Autostima

AUTOSTIMA

Emidio Tribulato 

EDUCARE AD AVER STIMA DI SE

 

 

Quando qualcuno valorizza ciò che siamo, ciò che dimostriamo, ciò che facciamo e creiamo, quando qualcuno valorizza il prodotto del nostro ingegno, delle nostre azioni, della nostra volontà, dei nostri sentimenti, del nostro corpo, in noi s’infonde un caldo senso di piacere, di gioia, di entusiasmo per la vita, di gratitudine per gli altri, d’amore nei nostri confronti. Ci sentiamo più amati e quindi anche più sicuri, grandi, forti, capaci. Ciò ci porta ad essere anche più decisi nell'affrontare le difficoltà della vita.

 Quando invece qualcuno, soprattutto un genitore, sminuisce sistematicamente o ingiustamente le nostre capacità, i nostri comportamenti, l'espressione dei nostri sentimenti, la sensazione che ci pervade è di delusione, di tristezza, di chiusura. Rattrappiti come una foglia o un fiore cui manchi l'acqua, come una pianta cui manchi la terra, ci pervade un senso di tristezza e di delusione profonda che rende difficile effettuare poi anche la azioni più semplici e facili. Soprattutto nei confronti di chi ingiustamente ci accusa o sminuisce e poi anche nei confronti degli altri, del mondo intero si manifesta in noi scontentezza, rabbia, risentimento, acredine.

E' quindi importante valorizzare e gratificare l'educando per ciò che è, per ciò che può dare, per ciò che può e riesce a fare; ciò lo renderà più sicuro, più fiducioso verso di noi, verso gli adulti in generale, verso la vita.  Lo renderà più forte e capace nell’affrontare il mondo e le difficoltà.

Ma attenzione agli eccessi. Quando la stima e la fiducia verso i nostri figli non sono meritate o sono ipervalutate, c'è il rischio di stimolare abnormemente il loro Io rendendolo ipertrofico. In questo modo gli renderemo poi difficile affrontare con grinta e realismo il mondo al di fuori dell’ambito familiare.

I genitori spesso, oggi, tendono proprio a questo. Tendono a sopravvalutare le capacità, le possibilità del proprio figlio, ma soprattutto tendono a giustificare e " comprendere " comportamenti assolutamente non giustificabili e comprensibili, mettendosi contro chiunque osi rimproverare, punire, giudicare negativamente il loro “bambino”.

Anche contro ogni realtà ed ogni obiettività difendono il "pargolo" con le unghie e con i denti, sia nei confronti degli altri coetanei sia, il che è peggio, rispetto ad altri educatori, specialmente verso gli insegnanti, quando questi "osano evidenziare" nel loro figlio difetti, incongruenze, immaturità o peggio, chiari segni di patologia nel comportamento. Li induce a ciò il bisogno di difendere con il figlio, i loro limiti, la loro incapacità, lo scarso impegno educativo e formativo, la loro immaturità, le scelte di vita, a volte molto dannose nei confronti della prole.

 Quest’atteggiamento comporta nel minore non solo delle tragiche illusioni: come il pensare di possedere qualità e capacità che non si hanno; ma, il che è peggio, può creare nel suo animo una scissione tra i genitori, gli unici che capiscono, aiutano, sostengono, proteggono e gli altri, il mondo, che non capisce, svaluta, aggredisce, ostacola.

 

Avviene così una scissione e un'alterata visione della realtà. Vi può essere, inoltre, il rischio che i figli o gli educandi in genere, se non stimolati e pungolati a progredire nello sviluppo, si adagino in una condizione infantile con conseguente appiattimento delle proprie capacità e possibilità.

Si rimane piccoli, illudendosi d’essere grandi, si rimane deboli nell'illusione d’essere forti, si rimane immaturi pensando di aver raggiunto la pienezza della crescita.

La gratificazione e la stima dell'educatore, dovrebbero essere legate alla realtà e dovrebbero accompagnarsi sempre ad un’attività di stimolo ad una maggiore crescita delle varie funzioni dell'Io. Bisogna quindi incitare, criticare in senso positivo, spiegare e cercare di aumentare le competenze del minore, chiedere ed avere delle aspettative,   stigmatizzando i comportamenti negativi ma non la persona, senza ingiuste generalizzazioni: “Sei sempre il solito, mi fai disperare”.

 

Tratto dal libro di E. Tribulato"L'educazione negata" Edizioni E.D.A.S.

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