Le caratteristiche di un buon genitore

LE CARATTERISTICHE DI UN BUON GENITORE


  

Autore: Emidio Tribulato

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“Il presupposto che chiunque sia in grado di procreare sia ipso facto in grado di educare i figli, è uno dei principali errori della nostra cultura” - Slavson[1]

 

Quali siano le caratteristiche di un buon genitore è difficile da definire.

 

Sicuramente un buon genitore non può essere una persona che ha  caratteristiche o qualità eccezionali. L’uomo si è evoluto nei millenni, le società si sono sviluppate, partendo e utilizzando gli elementi di normalità e non di eccezionalità dell’essere umano, sia per quanto riguarda l’intelligenza e la cultura, che per le capacità educative. Non vi è stata mai una vera scuola per genitori, così come noi comunemente l’intendiamo, né un’esplicita selezione in base alle loro qualità e capacità. L’unica e più efficace scuola per genitori era fatta all’interno delle famiglie utilizzando la memoria e l’esperienza del passato ed il sacrificio e l’esempio di ogni componente adulto della famiglia: genitori, nonni, zii, fratelli maggiori.

 

 Per quanto riguarda la selezione dei futuri genitori, questa avveniva sistematicamente sia su base istintiva, mediante il rifiuto dell’handicap e di tutte quelle condizioni in cui era presente un disturbo psichico o comportamentale di un certo rilievo, sia su base familiare, quando i genitori stimolavano i figli ad evitare l’unione con “persone poco raccomandabili” e quindi con comportamenti sociopatici o psicopatici.

 

D’altra parte anche questa “normalità” è difficile da definire. Per “normale” si potrebbe intendere la media delle caratteristiche presenti in un dato momento storico in una popolazione. Sappiamo però che questo dato non ci dà alcuna sicurezza sulle qualità indispensabili per ottenere dei risultati sufficientemente accettabili. La normalità così intesa è valida in alcune popolazioni e in particolari periodi storici, mentre in altri ambienti, in culture ed epoche diverse, non lo è per nulla. La prova di ciò si ha a posteriori, osservando l’espansione di alcune civiltà, cosiddette barbare o il declino e/o la scomparsa d’altre popolazioni considerate al culmine del loro sviluppo culturale, sociale e civile.

 

E' difficile, inoltre, determinare le caratteristiche di un buon genitore dalla misura delle sue qualità e capacità, anche perché l’equilibrio, il dialogo, l’affettuosità, la bontà, la disponibilità, l’autorevolezza, di cui parleremo, non sono qualità facilmente misurabili. Così come sono difficilmente quantificabili gli atteggiamenti negativi, come l’irritabilità, l’ansia, l’aggressività, la severità eccessiva, la freddezza, l’irritabilità, il permissivismo. Tanto che, anche dal punto di vista legale, è difficile definire l’indegnità di un genitore, se non quando sono presenti elementi d’estremo degrado.

 

D’altra parte non possiamo neanche basarci sugli esiti dell’educazione, giacché, non è per niente scontato che, da buoni genitori, nascano dei bravi figli, poiché le influenze dell’ambiente esterno, gli incontri, le scelte individuali, sono anch’essi determinanti.

 

Né si possono pronunciare discorsi di normalità facendo dei paragoni che si riferiscono al passato, ad una certa cultura o ad una particolare società, giacché necessariamente si deve fare riferimento nel bene e nel male alla realtà presente e non a quella del passato.

 

Tuttavia è necessario avere chiare le caratteristiche che dovrebbe avere un buon genitore e quelle che non dovrebbe avere. Affinché le une siano prese come obiettivo da raggiungere, mentre le altre siano, per quanto possibile, allontanate dal nostro stile di vita, senza con ciò pretendere una perfezione, ma senza neanche accettare con indifferenza atteggiamenti e comportamenti improponibili per un buon educatore.

 

 

 

EQUILIBRIO

 

Un buon genitore sa rispondere con equilibrio alle esigenze dei figli

 

 

Come vedremo di volta in volta, è la capacità di soddisfare in maniera equilibrata le varie esigenze dei figli che qualifica, in primo luogo, un buon genitore. “In medio stat virtus.” In nessun altro settore quest’affermazione latina è stata mai così vera come nel campo educativo. Il bambino procede nella sua crescita mediante stimoli diversi, a volte contrastanti, pertanto ha bisogno di genitori che sappiano continuamente adattare e modellare questi stimoli alle sue varie necessità ed esigenze con duttilità, intelligenza, tempismo. Le esigenze di un bambino neonato non sono assolutamente paragonabili a quelle di un bambino di un anno o più. Così come i bisogni di un figlio non sono uguali a quelli di un altro, specie se di sesso diverso.

 

 Il danno maggiore che l’informazione di massa ha dato alla nostra società è proprio quello di aver creato e imposto dei cliché educativi, di volta in volta alla moda; essi sono stati presi acriticamente a modello da milioni di genitori i quali inopinatamente hanno, quindi, trascurato le conoscenze culturali selezionate nei millenni e trasmesse da padre in figlio, di generazione in generazione, che erano e restano le più valide.

 

Le esigenze tra le quali i genitori sono costretti a muoversi ed a cercare un equilibrio sono numerose:

 

  • vi è l’esigenza individuale che a volte, anzi spesso, può contrastare con quella familiare, genitoriale, sociale;
  • vi è l’esigenza attuale che in alcuni casi costruisce, ma in altri può mettere in forse i bisogni e le necessità future;
  • vi è il bisogno di libertà e quello della responsabilità e dell’ubbidienza;
  • vi è il bisogno del piacere ma anche quello del dovere;
  • vi è il bisogno della scoperta  ma anche quello della prudenza;
  • vi è il bisogno istintuale e quello razionale;
  • vi è il bisogno indotto e quello spontaneo;
  • Vi è il bisogno fisico ma anche quello spirituale.

 

 

 

DISPONIBILITA’

 

 

 

Un buon genitore ha una grande disponibilità nei confronti dei figli

 

 

La presenza fisica dei genitori è, come abbiamo detto, fondamentale per lo sviluppo del minore. Tale presenza non può spesso essere sostituita altrettanto validamente da altre figure, se non è seguito attentamente lo sviluppo psicopedagogico del minore.

 

La presenza fisica deve però accompagnarsi ad una presenza psicologica e ad una disponibilità emotiva ed affettiva. Dice giustamente Vanire: “Il bambino è l’essere più fragile. Non c’è nulla di più fragile di un bambino. Di tutti i piccoli degli animali è tra i più fragili e questa fragilità dura molto a lungo. Ai piccoli dell’uomo occorre molto tempo per arrivare alla maturità. Gli occorre tempo per camminare; gli occorre tempo per acquisire conoscenze; gli occorre tempo per arrivare alla maturità fisica; gli occorre ancora più tempo per raggiungere la sua vera maturità intellettuale, psicologica, così da essere capace di affrontare il nostro mondo, capace di sopportare tensioni e difficoltà, ….”[2]

 

 In questi lunghi anni il bambino ha bisogno di una gran disponibilità da parte di entrambi i genitori. Disponibilità al dialogo, all’ascolto; disponibilità alla cura, all’educazione, alla trasmissione delle conoscenze culturali proprie e familiari. Disponibilità ad intervenire nel modo e nei tempi più opportuni per consigliare, aiutare, correggere, sostenere, incoraggiare, reprimere, se necessario.

 

A volte basta poco per rendere felice un figlio, basta stare insieme, parlare, fare qualcosa condividendola. La condivisione e la comprensione dei sentimenti, delle emozioni, delle attività, delle esperienze diventa una delle forme più efficaci d’educazione. Il giocare insieme, il lavorare insieme permette la trasmissione d’emozioni, esperienze, conoscenze che diventano elementi e ricordi preziosi nell’animo del fanciullo.

 

Un errore comune riguarda un’eccessiva e patologica disponibilità, soprattutto da parte dei genitori ansiosi, emotivi, i quali si mettono al servizio delle richieste dei figli e non dei loro bisogni. La differenza è fondamentale.

 

Non tutto ciò di cui un figlio necessita, viene da lui richiesto esplicitamente, come non tutto ciò che chiede, a volte insistentemente, o mediante il pianto, serve al suo armonico sviluppo.

 

Spesso, infatti, i bisogni fondamentali: un ambiente sereno, un maggior dialogo, un atteggiamento più lineare e fermo, una maggiore coerenza educativa, sono camuffati o evidenziati sotto forma d’innumerevoli richieste che i genitori si affannano ad esaudire immediatamente senza preoccuparsi di capire qual è il bisogno vero.

 

Un altro errore in eccesso riguarda quei genitori che “si perdono” nei figli, trascurando i loro bisogni personali e, come coppia, la loro crescita affettiva e relazionale. 

 

Più frequenti però sono oggi gli errori in difetto. La ricerca affannosa di una realizzazione individuale, sia in campo lavorativo e sociale che affettivo, sentimentale o sessuale, spesso porta a trascurare le reali necessità dei figli. Si cerca di soddisfare innanzi tutto i propri bisogni e le proprie ambizioni, dando poco o nulla alla famiglia. E’ una corsa che mira ad arraffare dalla vita e dalla società quanto più possibile, lasciando alle esigenze dei minori briciole di tempo e d’energie; spesso dando loro solo ciò che è di moda o ciò che l’ambiente sociale richiede in quel momento: palestra, ballo, piscina, pizzeria; senza tentare neanche di lasciarsi veramente andare con loro ad un rapporto intimo e privilegiato per poter dare ai figli ciò che veramente serve.

 

 

 

PRESENZA

 

Un buon genitore è presente e segue in modo attivo lo sviluppo fisiologico dei figli.

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 Questo significa che è necessario che i genitori siano presenti, non necessariamente sempre e in maniera continua, ma seguendo i bisogni della fisiologia dei minori. Bisogni che sono insiti nella specie e non variano, né sono modificabili se non in tempi lunghissimi al variare dell’ambiente o della società.

 

La necessità di dialogo, d’affetto, di comunicazione, di rapporto con un figura genitoriale, di un bambino del duemila, non è sostanzialmente diversa da quella di un coetaneo dell’età della pietra. D’altra parte la possibilità che nascano paure, ansie, insicurezze se questi bisogni fondamentali non sono soddisfatti pienamente, sono sostanzialmente uguali. Ciò impone, a chi si occupa di loro, di seguire la fisiologia dello sviluppo umano, senza mai forzarla o ignorarla, pena un vissuto di disagio che può dare, a secondo della sua gravità e durata, delle conseguenze più o meno importanti e invalidanti ma sempre spiacevoli alla sua vita futura.

 

Quando un bambino piccolo è costretto a cambiare per qualche tempo persona di riferimento, questa situazione è vissuta come una dolorosa forzatura poiché le persone con cui non vi è un profondo e duraturo legame affettivo sono da lui avvertite come pericolosi estranei, sia che si tratti d’adulti come le baby-sitter o le insegnanti dell’asilo nido, sia che si tratti di bambini con cui non è stato stabilito un legame affettivo.

 

La prima immediata risposta a questo disagio è rappresentata dal pianto. Quando, prima dei tre anni, la mamma si allontana dal bambino, o il bambino è allontanato dalla mamma, le reazioni di quest’ultimo sono evidenti ed eclatanti: piange, si dispera, la cerca e poi, al suo ritorno, si attacca maggiormente a lei, rifiuta il distacco e rimane per molto tempo più sensibile a nuovi allontanamenti. Qual è il significato di tutto ciò?

 

Il legame del bambino con le figure fondamentali della sua realtà interiore: i genitori, con la figura materna in primo piano, nasce da un elemento istintivo primordiale simile a quello di molti altri animali che, inizialmente, vedono i genitori e solo i genitori, come fonte di sicurezza, fiducia, amore, protezione, mentre nel contempo gli estranei sono avvertiti come causa di pericolo, rischio, abbandono. Anche l’ambiente fisico è importante. E’ fonte di sicurezza l’ambiente domestico, mentre un luogo estraneo, o diverso, istintivamente è avvertito come minaccia, rischio vitale; quindi infonde paura ed insicurezza. Nei primi tre anni di vita, questi legami sono per ogni bambino elementi fondamentali ai quali non può e non deve rinunciare; sono come il latte di cui si nutre, come l’aria che respira, come  il cordone ombelicale prima della sua nascita.

 

Da queste realtà affettive il bambino si allontana gradualmente negli anni; ma quest’allontanamento è in relazione alla sua maturità e serenità ed è anche in relazione alla fiducia nei genitori e nell’ambiente circostante. Conseguentemente più il bambino ha vissuto serenamente e pienamente il suo rapporto con i genitori, la famiglia, l’ambiente domestico, tanto più facilmente riuscirà poi a farne a meno. Quanto più, invece, il bambino è piccolo, immaturo, insicuro o con problemi affettivi e relazionali, tanto più questo legame persisterà negli anni.

 

E’ la crescita affettiva e la sicurezza interiore del bambino che facilita e rende possibile l’autonomia e non viceversa!

 

Lo scopo dell’educazione non è quindi quello di allontanare il bambino, rendendolo autonomo il più rapidamente possibile, ma quello di dargli sicurezza e maturità, in modo tale che possa fare a meno della presenza della mamma e del papà, della sua casa e del suo ambiente, il più rapidamente possibile, il più serenamente possibile.

 

Quindi se un bambino piange quando la mamma si allontana da lui, ascoltiamolo!  

 

In caso di allontanamento per poche ore dei genitori, maggior fonte di sicurezza il bambino ritrova nei nonni e negli zii, meno nelle tate, meno ancora nelle baby-sitter ad ore, mentre sono assolutamente da sconsigliare prima dei tre anni gli asili nido o altri tipi di istituzioni.

 

Il bambino ha bisogno dei genitori in maniera molto diversa in base all'età.  Egli si apre agli altri e al mondo, come un fiore. Nessuno è in grado di accelerare l’apertura di un bocciolo, se non forzandolo e quindi ledendo i suoi petali e la possibilità di dare al mondo il suo profumo. La fisiologia della crescita è una realtà immutabile in ogni specie che è indispensabile accettare e fare propria.

 

Qual è questa gradualità? Un bambino neonato ha bisogno della sua mamma o del suo papà ventiquattro ore al giorno, ma già i genitori con un bambino di qualche mese, potranno allontanarsi da lui durante il giorno, per qualche ora, affidandolo ad una persona con cui si è già instaurato un importante legame affettivo: una nonna, un nonno, una zia.

 

Un bambino di uno - due anni comincerà a giocare con gli altri suoi cuginetti, con i fratelli o con qualche coetaneo, ma sempre con la presenza vicina di un adulto di cui ha piena fiducia e con cui si è instaurato un buon legame affettivo. Soltanto verso i tre - quattro anni, accetterà fisiologicamente, senza traumi, l’inserimento in una scuola materna. Accetterà e si confronterà più maturo e forte con bambini con cui non c’è fratellanza e parentela e con adulti con cui non c’è un rapporto individuale. Rapporto individuale che, invece, prima era fondamentale.

 

 

Scuola materna e asilo nido

 

E’ indubbia l’utilità della scuola materna se questa viene ad inserirsi in un’età ideale: tre - quattro anni, in cui il bambino, normalmente, è pronto ad aprirsi a persone, insegnanti ed altri bambini, che sono al di fuori della sua famiglia, senza la presenza di un genitore o di un familiare. A quell’età il bambino dovrebbe essere maturo, per uscire dal suo nido familiare, per cercare e accogliere nuovi stimoli alla socializzazione, nuovi rapporti d’amicizia ed una massa maggiore d’elementi culturali che lo possono arricchire ad aiutare nella sua crescita. La scuola materna dà al bambino la possibilità di socializzare con adulti che non conosce, ma con cui impara presto a dialogare e con cui avrà la possibilità di instaurare un rapporto affettivo e d’amore, diverso e complementare rispetto a quello genitoriale. Impara a vivere ed ad incontrarsi con altri bambini sconosciuti, diversi dai suoi parenti e dai suoi fratellini, con cui può stabilire rapporti d’amicizia, dialogo e collaborazione o con cui può imparare a difendersi ed a limitare gli elementi espansivi del proprio Io.

 

Abbiamo detto che questo è possibile normalmente ad un'età compresa tra i tre - quattro anni. Questo margine è dovuto al fatto che l’età cronologica non sempre segue lo sviluppo psicologico del bambino. Vi può essere, infatti, fisiologicamente un diverso livello nella maturazione affettiva tra bambini della stessa età, come vi può essere la presenza di disturbi, e difficoltà relazionali che possono ritardare la maturazione psicologica. Possiamo allora dire che il bambino è pronto ad inserirsi nella scuola materna quando:

 

  1. lo vediamo sereno, nei rapporti con se stesso e con gli altri (genitori, fratelli, sorelle, nonni, cugini e compagni), con i quali riesce a giocare senza molti problemi e con cui non ha paura di instaurare relazioni di dialogo;
  2. ha conquistato lo spazio fisico e psicologico attorno a lui. Non ha paura di spostarsi, non solo nella sua stanza ma da una stanza all’altra della casa, così come in quella dei nonni e degli zii. E' capace inoltre di restare gioiosamente e serenamente per qualche ora in ambienti per lui non abituali, come le case dei compagni di giochi;
  3. ha conquistato e superato quasi totalmente il rapporto con gli oggetti con cui era particolarmente legato: la sua tazza, il suo orsacchiotto, il suo vasetto, non sono più oggetti di cui non può fare a meno, può accettare e accetta con piacere, per qualche ora altri oggetti per giocare, con cui alimentarsi o adempiere alle funzioni fisiologiche.

 

Se questo non è avvenuto, l’inserire il bambino nella scuola materna o nell’asilo nido, diventa un trauma ed una forzatura che potrebbe portarlo a regredire a stadi precedenti in alcuni o in tutti i settori evolutivi, impedendogli una normale crescita affettiva e relazionale.

 

Non bisogna pertanto sottovalutare i campanelli d’allarme che i bambini istintivamente lanciano in queste occasioni. Alcuni di questi sono molto chiari ed espliciti come il pianto o il rifiuto di andare a scuola. Altri hanno bisogno di un'attenzione e valutazione maggiore. La regressione nell’autonomia e nel linguaggio con il ritorno a fasi che aveva già conquistato, la sofferenza espressa attraverso sintomi somatici come il dolore addominale, il vomito, debbono costituire per noi un chiaro campanello d’allarme e farci riflettere sulla sua reale situazione interiore. Solo se riusciamo a ben interpretare questi segnali, possiamo capire se c’è o no quella maturità richiesta per l’inserimento e quindi comportarci di conseguenza. La corretta lettura di questi segnali oggi è resa più difficile dalle “necessità” lavorative e sociali che ci portano a sottovalutare ampiamente il disagio dei bambini

 

Le cause delle difficoltà d’inserimento possono essere diverse. Spesso è evidente un eccessivo attaccamento ai suoi genitori o ad uno di essi con paure di perdita e d’abbandono. In questi casi solo il proprio ambiente familiare diventa rassicurante.

 

In altri casi può essere presente un ritardo nella maturazione affettiva, oppure uno scarso legame con l’insegnante, un eccesso di frustrazioni durante i primi giorni di frequenza della scuola, l’aggressività da parte degli altri bambini non controllata efficacemente dal docente, la scarsa attenzione ai suoi bisogni fisici e affettivi.

 

Le baby-sitter

 

Per quanto riguarda le baby-sitter, non si può assolutamente generalizzare sulla loro disponibilità e capacità. Vi sono le studentesse che si dedicano a quest’attività nel tempo libero, per mantenersi agli studi o per avere qualche euro in più da utilizzare per le piccole spese, come vi sono le donne che fanno questo lavoro da anni quasi a tempo pieno. E’ difficile, se non impossibile fare quest’attività se non si amano i bambini, per cui, in tante di loro, ritroviamo spesso una buona disponibilità di base, anche se a volte non è sostenuta da altrettanto buone capacità. In ogni caso il problema più importante non sta tanto nelle loro disponibilità e capacità, quanto nella relazione che si viene a stabilire con il bambino. Quando la sostituzione è saltuaria questa figura assume agli occhi del pupo le caratteristiche di una giovane zia o sorella maggiore che ogni tanto lo viene a trovare per giocare insieme a lui. In questo caso i problemi sono minimi, in quanto il legame affettivo che si viene a stabilire è limitato. Quando invece la baby-sitter si sostituisce sistematicamente e per molte ore alla madre, per cui è lei che giorno dopo giorno è a lui vicino nel momento del risveglio, è lei che gli prepara e somministra la pappa, è lei che l’aiuta e lo pulisce quando è sporco, è lei che con lui gioca, dialoga e a lui trasferisce cultura, conoscenze e affetto, allora assume ai suoi occhi che lo voglia o no precise caratteristiche materne. E quando si ha una madre la si ama come una madre, si vuole che stia sempre con te come farebbe una buona madre, non si vorrebbe perderla, come nessun bambino vorrebbe perdere la propria genitrice. Ma questo è un amore difficile; difficile perché c’è già un’altra persona che dice di essere tua madre, difficile perché la persona che tu ami non può restare sempre con te anche se lo volesse in quanto è pagata solo per alcune ore e per alcuni giorni, difficile perché da un momento all’altro può essere licenziata e quindi scomparire del tutto.

 

In questi casi è facile sentirsi abbandonato, è facile sentirsi tradito, è facile non capire come e dove riporre i propri sentimenti di fiducia e d’amore.

 

Anche nei confronti della vera madre i pensieri di un bambino che vive queste realtà non sono teneri: “Fin quando ti serviva l’hai lasciata accanto a me, ora che non ti serve più l’hai allontanata infischiandoti dei suoi e dei miei sentimenti. Chi fa soffrire un figlio togliendogli l’oggetto del suo affetto non lo ama di certo!”

 

A questo proposito ricordo quello che disse una pedagogista che da anni faceva la baby-sitter e che era in procinto di sposarsi e quindi di avere propri bambini: “Spero proprio di non lasciare mai i miei figli con le baby-sitter.” Fui stupito da quelle parole dette proprio da una che faceva con professionalità ed impegno quel lavoro. La motivazione che diede fu però molto convincente: “Non voglio che i miei figli amino più la baby-setter della propria madre.”

 

 

 

SERENITA’ E STABILITA’

 

Un buon genitore non è disturbato da problematiche psicologiche e sa instaurare un rapporto sereno e stabile con i figli.

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Ogni problema interiore e quindi ogni disturbo psicologico di una certa rilevanza, influenza in modo significativo la comunicazione e quindi il nostro rapporto con gli altri, specie con le persone a noi più vicine. La serenità, cioè l’avere l’animo sgombro da preoccupazioni, ansie, rimorsi, paure, sensi di colpa, è elemento essenziale in ogni relazione umana.

 

Se una persona è serena riesce più facilmente a capire se stesso e gli altri. Il suo dialogo è fluido e proficuo; il rapporto con gli altri più lineare; l’amore, l’affetto più sicuro e stabile. La serenità nasce dalla mancanza di problematiche interne non risolte, dalla gratificazione del proprio operato, dalla chiarezza interiore, dall’autostima per ciò che si è o si fa.

 

La mancanza di serenità nasce dalle sofferenze, dai conflitti interiori non risolti, dalle nevrosi, dall’insicurezza del proprio ruolo o del proprio operato, dalle scarse o alterne gratificazioni e si evidenzia attraverso l’ansia, la depressione, la paura, l’eccessiva emotività. Quest’ultima è una forma di reattività istintiva poco controllata che si esprime con una tendenza alla facile commozione, all’immediato turbamento. Una persona emotiva non sempre è in grado di esprimere in modo maturo la sua affettività. Un genitore emotivo vive ogni atto proprio o dei figli, ogni avvenimento con tensione, con dubbio, con preoccupazione, con insicurezza, con palpitazione.

 

Il genitore ansioso e insicuro può diventare eccessivamente repressivo nel tentativo di limitare le occasioni che in lui fanno nascere ansia o al contrario può avere atteggiamenti permissivi nel tentativo di avere l'approvazione e l'ubbidienza del figlio. Mostrandosi aperto a discutere su qualsiasi richiesta, s’illude di attuare un rapporto altamente positivo e democratico.[3]

 

Egli rimprovera i figli per poi pentirsene subito dopo, quasi chiedendo scusa. Se è preoccupato o arrabbiato li rimprovera, se è tranquillo gli concede più del necessario. “Una persona emotiva non sempre è in grado di esprimere in modo maturo la sua affettività. Il genitore ansioso, ad esempio, trasmetterà il suo attaccamento affettivo con una modalità comportamentale iperprotettiva e tenderà a creare un’atmosfera familiare tesa, in cui ogni evento viene amplificato e drammatizzato.”[4]  Egli si colpevolizza facilmente per ogni suo atto, un semplice malore che riguarda il figlio comporta spesso la richiesta d’intervento di uno o più medici se non il ricorso al pronto soccorso dell’ospedale. Ciò naturalmente traumatizza il minore; pertanto i suoi problemi tendono ad accentuarsi e complicarsi, mentre tutta la famiglia soffre per questi continui sconvolgimenti. Per il bambino, la stabilità è elemento fondamentale della sua esistenza; se i fatti avvengono come al solito vi è sicurezza e stabilità, i punti di riferimento sono uguali, il carattere ripetitivo degli eventi rassicura, se i punti di riferimento cambiano c’è il caos o il nulla.[5]

 

Per quanto riguarda l’emotività e l’ansia queste possono evidenziarsi sia nell’uomo sia nella donna, ma sono geneticamente più frequenti in quest’ultima, a causa anche delle continue variazioni ormonali e della maggiore reattività femminile agli stimoli ansiogeni. Quest’accentuata emotività, viene però compensata dalla maggiore razionalità maschile che la tempera e la controlla. Purtroppo quando questa figura manca, o è sottovalutata o peggio emarginata, la famiglia viene privata da questa compensazione e quindi soffre maggiormente le conseguenze dell’instabilità emotiva della donna.

 

Non sono da sottovalutare inoltre i sintomi depressivi. Nelle persone che soffrono di disturbi dell’umore, la realtà si tinge quasi costantemente di grigio se non di nero, per cui essi avvertono la vita, gli altri, se stessi, il mondo, con pessimismo, chiusura e tristezza. Anche questi soggetti, poiché tenderanno a vedere il lato peggiore e distruttivo d’ogni realtà umana e sociale, avranno gravi difficoltà ad instaurare un dialogo sereno e produttivo, svalutando ogni iniziativa e ogni segnale di apertura alla vita e al mondo sia da parte del coniuge che dei figli.

 

 In altri casi pur non essendo presenti evidenti sofferenze psichiche alcuni comportamenti sono chiaramente dettati da problematiche inconsce non risolte, che continuano ad influenzare in maniera negativa parole ed azioni dell’individuo, senza che questi si renda conto della sua alterata realtà interiore e soprattutto senza che riesca a gestirla in maniera positiva. Non sempre, infatti, riusciamo a modificare o ad opporci in maniera continua, sostanziale, alle pressioni e ai coinvolgimenti del nostro inconscio.

 

In tutte queste situazioni, come per tanti altri disturbi della psiche che portano sofferenza al soggetto che n’è colpito e alle persone che gli stanno vicino, s’impone, un attento esame psichiatrico o psicologico che tenda a valutare la gravità di tali problematiche ed indichi le terapie più efficaci per risolverle.

 

D’altra parte i problemi dei singoli possono diventare problemi di tutti i componenti il nucleo familiare per cui si ha come conseguenza una famiglia nevrotica nella quale vengono ripetutamente riprodotti i conflitti infantili irrisolti di entrambi i genitori. I bambini ne vengono coinvolti e i ruoli loro assegnati hanno un effetto profondo sullo sviluppo della personalità.[6] 

 

AFFETTO

 

Un buon genitore è affettuoso con i figli.

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“ Se l’educatore non arriva a conquistare il cuore del giovane, la sua opera è vana. Se un giovane non apre il suo cuore all’educatore l’educatore fallisce” P. Lombardo[7]

 

L’affetto è un elemento fondamentale nello sviluppo dell’essere umano.  Noi siamo, viviamo, cresciamo, maturiamo, ci sviluppiamo, in quanto qualcuno ci ha amato e ci ama, qualcuno ci ha voluto bene o ci vuole bene.  Non possiamo fare a meno dell’affetto, come non possiamo fare a meno dell’aria che respiriamo o del cibo che mangiamo. Per Lombardo: “L’affettuosità esprime un aspetto, una dimensione del linguaggio affettivo che rivela l’intensità e la ricchezza del sentire. La persona affettuosa riesce ad esprimere con spontaneità e calore i suoi sentimenti.”[8] 

 

I modi con cui si esprime l’affetto possono essere diversi: le parole, le carezze, la tenerezza, la sensibilità, l’ascolto.

 

Essere sensibili significa capire immediatamente la realtà dell’altro, cercare di dare all’altro quello di cui ha bisogno, per cui la sensibilità è elemento fondamentale nell’educazione di un minore. Le occasioni in cui l’affettuosità può essere espressa dovrebbero essere numerose specie nei confronti dei bambini piccoli, i quali hanno una gran fame di carezze e di coccole da parte di entrambi i genitori.

 

Anche gli animali leccano, accarezzano, abbracciano teneramente i loro cuccioli creando un’atmosfera magica di sentimenti d’amore, affinché la loro crescita sia sana ed equilibrata.

 

Per fare ciò, è necessario che i genitori siano sereni e disponibili, aperti verso il cuore del loro piccolo, ma anche capaci di avvertirne le  esigenze, capaci cioè di esprimere i sentimenti più teneri e caldi dell’amore materno e paterno. A volte ciò non avviene perché i genitori hanno fretta, sono tesi o hanno la mente impegnata altrove: nel lavoro, nelle occupazioni sociali e politiche. Altre volte sono aridi perché non hanno potuto sviluppare dentro di loro le caratteristiche materne e paterne. In tutti questi casi, quello che dovrebbe essere un comportamento istintivo ed immediato, diventa un’occupazione da imparare razionalmente e frettolosamente da un libro di puericultura o da insegnanti prezzolati. In tale tristi situazioni è facile che si stabilisca “una comunicazione non affettiva” per cui il bambino viene bensì allattato, lavato, cambiato, cullato, ma con una minima, se non assente partecipazione emotivo – affettiva.

 

E’ giusto manifestare i sentimenti affettuosi in tutti i modi e quindi anche con le parole; è importante, però, che dietro le parole vi siano dei comportamenti coerenti e adeguati. Non ha quindi molto senso, dire ai figli: “Ti voglio bene”, quando il  loro bene viene trascurato sistematicamente.

 

Per Don Mazzi “E’ indubbio che il cuore dell’uomo non si ciba soltanto di lavoro, di scuola e di ricchezza, ed è indubbio che il cuore dell’uomo è molto più esigente dell’intelligenza dell’uomo stesso.”[9] 

 

Per il bambino è importante essere svegliato al mattino con dolcezza, con tranquillità, senza fretta, mentre la madre o il padre approfittano di quei momenti ricchi di intimità come il vestirsi, il lavarsi, il fare colazione insieme, lo scegliere l’abito più adatto, per dialogare con gioia della notte trascorsa, in modo da allontanare i brutti sogni e gli ultimi fantasmi e nello stesso tempo presentare e programmare insieme la giornata che comincia.

 

Se il bambino va a scuola, l’accompagnarlo non dovrebbe essere un’occupazione da fare in fretta per non fare tardi in ufficio, ma un altro prezioso momento da vivere insieme con serenità e gioia.

 

 Lo stesso dovrebbe avvenire durante e dopo il ritorno da scuola, quando egli può riversare nell’animo del genitore e così confrontarle, le sue nuove esperienze: con gli insegnanti, con i compagni, con la cultura trasmessa in classe.

 

Il pranzo e la cena, durante i quali, la televisione dovrebbe essere bandita, non dovrebbero rappresentare soltanto momenti in cui ci si alimenta, ma occasioni di comunione, di ascolto e dialogo per tutta la famiglia. Momenti in cui le esperienze della giornata si confrontano, si chiariscono, si rivivono insieme a delle persone care.

 

La sera prima di addormentarsi sarebbe bene “rendere piacevole e bella l’ora di andare a letto”[10] , in molti modi. Eseguendo con calma tutto il cerimoniale previsto in questi casi: andare in bagno, lavarsi, spogliarsi, mettere il pigiamino, dire le preghiere e poi ascoltare la favoletta raccontata da uno dei genitori o da entrambi alternativamente. Una favola per sviluppare la comprensione del linguaggio e la cultura, ma anche per offrire al bambino, nella magia della sera, un’altra occasione di intimità, di calore e di carezze.

 

Quando un bambino si fa male è giusto consolarlo. Per Spock: “Talora un genitore che si preoccupa particolarmente che il figlio cresca coraggioso e senza piagnistei teme che consolarlo lo renda una donnicciola.”[11]  La giusta consolazione non rende donnicciole, l’eccesso sì, specie se si trasmettono al bambino le proprie ansie e le proprie paure. Per tale motivo la consolazione dovrebbe essere attuata con serenità e accompagnata da un atteggiamento interiore ricco di forza, coraggio e sicurezza.

 

La dose delle carezze varia da bambino a bambino. “Vi sono bambini che con pochi contatti si sentono appagati e pienamente soddisfatti, mentre ve ne sono altri molto più “coccoloni”, che vanno continuamente alla carica dei propri genitori.”[12] 

 

Ci accorgiamo di questo bisogno fondamentale quando esaminiamo i danni che la mancanza di atteggiamenti affettuosi produce nei bambini, come negli adulti e negli anziani. Nei bambini istituzionalizzati precocemente nei brefotrofi si evidenziano sintomi di varia natura dovuti alle gravi carenze affettive. Quei luoghi tristi, privi di emozioni positive, di calore non riescono a far sbocciare la gioia e l’apertura alla vita nell’anima dei minori a loro affidati, per cui il cuore di questi piccoli, così come la loro vita tende a rattrappirsi e a gridare la sua sofferenza attraverso gli incubi, le paure, i problemi psicologici, a volte anche gravi, le disarmonie nella crescita, l’aumento delle malattie organiche.

 

 Anche il corpo infatti, oltre che l’animo, risente pesantemente della mancanza d’amore e d’affetto.

 

Questi luoghi, che si tende per fortuna a far scomparire, restano poveri affettivamente, anche se possono essere ricchi sul piano del personale che si occupa dei bambini: medici pediatri, puericultori, educatori, assistenti sociali. Spesso, infatti, nonostante la presenza di personale qualificato, poiché all’amore non si comanda, né si può imporre per contratto, rimane la povertà affettiva e relazionale con tutte le sue funeste conseguenze.

 

Non sono le persone più colte, preparate o specializzate i migliori educatori, ma quelle che riescono ad avere con il bambino un legame affettivo profondo, solido, stabile, responsabile e continuo nel tempo.

 

 Le persone più valide, almeno potenzialmente, sono quindi in ordine di importanza: i genitori, i nonni, gli zii, i fratelli e le sorelle, le tate, le baby-sitter, e per ultimo il personale degli asili nido, in quanto questi servizi utilizzano un personale pagato, che fa dei turni e che può variare nel tempo, con il quale il bambino ha difficoltà ad instaurare un legame d’amore stabile e continuo fatto di dialogo, di confidenze, di coccole.

 

Le conseguenze delle deprivazioni affettive sono diverse a seconda dell’età del piccolo, della gravità e durata del problema: aspetto prostrato, abbattuto, triste, frequenti autostimolazioni, ritardo psicomotorio globale, anoressia, turbe del sonno, affezioni respiratorie (asma) o in un’età maggiore oltre i due – tre anni, disturbi del comportamento con instabilità, collera, aggressività, fughe ecc..

 

 “Alcuni bambini, non a caso, comunicano il loro vuoto affettivo, il non sentirsi amati, attraverso comportamenti ribelli ed aggressivi.” [13]

 

“E’ proprio tramite tale fame di carezze che si può passare tutta la vita ad elemosinare la presenza di qualcuno che ci voglia bene o dalla parte opposta isolarsi e rifiutare qualsiasi forma di contatto interpersonale.”[14] 

 

“ La solitudine può essere annullata nella dimenticanza - ebollizione della coscienza di sé, nell’alcool, la droga, gli stati orgiastici, le estasi autoprovocate, gli stati d’ipnosi, la sessualità vissuta per il piacere nell’atto dell’esclusiva genialità, isterismo collettivo (concerti rock, avvenimenti sportivi), l’assordamento, e l’abbrutimento psichedelici e varie forme di vero e proprio fanatismo.”[15]  

 

O ancora mediante “la costruzione di corazze difensive, di vario genere e di diversa intensità…” [16]

 

La controprova si ha allontanando i motivi del disagio e della deprivazione affettiva: il bambino, come se lentamente rinascesse alla vita e al rapporto con gli altri, ritorna a sorridere e ad alimentarsi correttamente, cresce meglio, ritorna a dialogare con i genitori e gli adulti, la relazione con gli altri si fa più ricca e intensa, anche se alcune sequele patologiche resteranno impresse per molti anni, a volte per tutta la vita, nella sua anima.

 

Purtroppo a soffrire delle deprivazioni affettive non sono soltanto gli orfani, i figli di separati o di divorziati o i minori istituzionalizzati. Molti bambini pur avendo entrambi i genitori soffrono degli stessi sintomi in quanto la presenza di essi e le attenzioni a loro rivolte non sono adeguate ai loro bisogni. Si tratta in genere di genitori troppo impegnati, ansiosi, preoccupati e coinvolti in mille faccende, che trascurano o non riescono a vivere con serenità, gioia e donazione la relazione affettiva con i loro figli.

 

DIALOGO

 

Un buon genitore è capace di instaurare un dialogo efficace.

 

La comunicazione è elemento fondamentale per lo sviluppo e la vita relazionale di moltissimi animali, ma soprattutto dell’uomo. Possiamo tranquillamente affermare che la nostra umanità genetica avrà il suo naturale sviluppo e acquisterà completezza, solo e in quanto qualcuno avrà comunicato con noi in modo efficace.

 

Per le madri più sensibili, più disponibili, più attente, più rilassate, più disposte alla relazione, la comunicazione con il proprio piccolo nasce già durante la gravidanza.

 

La presenza del figlio nell’utero materno, avvertita ancor prima dei movimenti del bambino stesso, come presenza di un altro, di altro da sé, ma connesso intimamente con il “sé” materno, porta istintivamente al dialogo, alla comunicazione, all’intesa e al rapporto tra la madre ed il bambino. Rapporto, intesa e comunicazione che si perfezionano e si completano nel momento in cui il nuovo essere umano fa sentire la sua presenza, con i  movimenti del corpo. Molte mamme e padri reagiscono a queste sollecitazioni del figlio con toccamenti e carezze dati al bambino attraverso l’addome. In tal modo comunicano le loro emozioni: la gioia nell’avvertire la sua presenza, il piacere di quell’intesa e attesa.

 

Ma questa comunicazione si completa e diventa molto più intensa, dopo la nascita. Attraverso le espressioni emozionali del viso, con significato di piacere, gioia, rabbia, dolore, disappunto, desiderio, ricerca, il bambino comunica alla madre i suoi bisogni, e non solo.

 

I bisogni di base del bambino li conosciamo molto bene: pulizia, cibo, calore, affetto, attenzione. Ma vi sono dei bisogni che dovrebbero essere altrettanto evidenti, ma che purtroppo, a volte, dimentichiamo: bisogno di dialogo, serenità, equilibrio, protezione; e ancora stimoli per lo sviluppo: stimoli per il linguaggio, per la motilità, l’affettività, la volontà, ecc..

 

Il bambino non chiede soltanto, ma cerca di soddisfare i bisogni dei genitori o di chi si prende cura di lui con amore. Per tale motivo dà generosamente amore, piacere, dialogo ed altre forme di gratificazioni. Fa ciò attraverso la modulazione delle espressioni del viso come il sorriso; attraverso le sue mani: le carezze i toccamenti i gesti; con la sua bocca, mediante i baci e le espressioni verbali. [17]

 

In tal modo si ristabilisce un equilibrio tra ciò che si chiede e ciò che si dà e lo scambio diventa paritario. Come conseguenza di ciò vi è un benessere e un attaccamento reciproco, ed un vincolo emotivo stabile nel tempo.

 

Quando questo non avviene, quando l’intesa non si manifesta e lo scambio non si attua, può succedere quanto descritto da diversi autori: vi è un evitamento degli sguardi, ma anche dei toccamenti, degli abbracci dei sorrisi, con conseguente allontanamento e disagio reciproco. Disagio che può sfociare nella madre in ansia, depressione o aggressività manifesta verso il piccolo.

 

 Il bambino supera il trauma iniziale della nascita, la paura nei confronti del mondo e degli altri, la tentazione a chiudersi in se stesso, attraverso il dialogo. Sono, infatti, le persone che l’accolgono al mondo, soprattutto i suoi genitori e gli altri familiari che, con le loro attenzioni, con le carezze e con i baci, gli fanno avvertire di essere bene accolto. Gli fanno sentire con il loro amore che il mondo gli vuole bene, che il mondo è una cosa buona perché ricco di calore e di disponibilità nei suoi confronti. Quando i genitori, infatti, non riescono a comunicare al bambino attraverso i gesti e le parole il senso caldo dell’accoglienza, dell’affetto, della disponibilità, hanno il sopravvento la tristezza e la paura iniziale che lo possono spingere verso la chiusura e la depressione.

 

In un secondo tempo, sarà sempre il dialogo che permetterà al bambino di crescere e maturare sia nel linguaggio sia nelle capacità intellettive e cognitive. Sarà mediante un continuo scambio di esperienze e di valori che in lui si svilupperà il senso morale.

 

 Quindi l’aprirsi alla vita, la sua crescita e maturazione verrà solo se avrà accanto a sé dei genitori o in ogni caso esseri umani che si pongono nei suoi confronti in un rapporto dialogico stabile e continuo di maternità o paternità. Pur tuttavia, oltre che dei genitori avrà bisogno, per la sua crescita, di altre figure che gradualmente si aggiungeranno, ma non potranno sostituire le prime: i nonni, i fratelli, gli zii, i parenti e poi gli amici, gli insegnanti e infine i conoscenti. Tutti si dovranno rapportare con lui mediante un dialogo efficace.


[1] S.R.Slavson, I gruppi per genitori: l’orientamento centrato sul bambino, Boringhieri, Torino, 1980, p. 291

[2] J. Vanire, La ferita nel cuore dell’uomo, Messaggero, Padova, 1985, p.10.

[3] P. Lombardo, Crescere  per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 22.

[4] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 36.

[5] P.A. Osterrieth, Introduzione alla psicologia del bambino, C/E Giunti – G. Barbera, Firenze, 1965, p. 53.

[6] S. Wolf, Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore, Roma, 1970, p.153.

[7] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 31.

[8] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 35.

[9] Don A. Mazzi G. Zois, Pinocchio e i suoi fratelli, Piemme, III ristampa, 1994, p. 29.

[10] B.Spock, Il bambino, come si cura e come si alleva, Longanesi,e C., Milano, 1968, p.434.

[11] B.Spock, Il bambino, come si cura e come si alleva, Longanesi,e C., Milano, 1968, p.430.

[12] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 43.

[13] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 36.

[14] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 18.

[15] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 31.

[16] P. Lombardo, Crescere  per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 62.

[17] Si può facilmente immaginare quanto sia vera dal punto di vista squisitamente tecnico oltre che poetico l’esortazione di Virgilio al fanciullo ancora infante: “Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem”.  Comincia bambinello a mostrare a tua madre di averla riconosciuta sfoggiando un bel sorriso.

 

SINCERITA’ E LEALTA’

Un buon genitore sa instaurare con i figli un rapporto sincero e leale.

 

Sincerità nei confronti dei figli può significare molte cose: come il manifestare l’affetto che si prova, mediante parole e gesti d’amore o esprimere il proprio orgoglio per i comportamenti positivi da loro avuti; ma è anche sincerità esprimere il disappunto, la collera e la tristezza quando i loro comportamenti sono chiaramente criticabili.

E’ invece molto lontano da un comportamento sincero, dire qualcosa, solo per ottenere un certo scopo.  Spesso i genitori, soprattutto con i bambini piccoli, tendono ad essere chiaramente bugiardi, come quando dicono: “Esco per andare dal dottore”, mentre in realtà sono pronti per andare al cinema. “Esco per fare delle compere”, mentre in realtà stanno per uscire con gli amici. In questi come in molti altri casi è preferibile essere sinceri. Non dovrebbe costituire trauma per i figli sereni ed appagati, sapere che i propri genitori, dopo aver fatto pienamente il proprio dovere, si prendono qualche ora di riposo o di libertà, mentre al contrario questi ultimi, saranno giudicati severamente e daranno un pessimo esempio quando cercheranno di camuffare i propri comportamento mediante pietose bugie.

Ancora peggio quando, evidenziano atteggiamenti affettuosi,  dicono “ Ti voglio bene” ai figli, solo per sentirsi “buoni genitori”, mentre i fatti li sconfessano o dentro di loro questo sentimento non è per niente presente. In questi casi “ amore mio”, “tesoro” “dolcezza di mamma” sono parole vuote, che contraddicono il comportamento e a volte anche il pensiero confondendo, irritando e sconvolgendo l’animo del minore.

Lealtà nei confronti dei figli significa mantenere, per quanto umanamente possibile, ciò che è stato promesso. Senza cercare scuse. Sia che la promessa riguardi un giocattolo da comprare, una gita da fare o una minaccia nel caso si sia presentato un comportamento improprio. Mantenere quanto detto o promesso significa stimolare i figli alla linearità, alla lealtà e coerenza, cosa di cui ognuno di noi e ogni società, nel suo complesso, ha gran bisogno.

AUTOREVOLEZZA

Un buon genitore deve essere autorevole

 

“ Per educare occorre sommare la forza della ragione a quella del cuore, perché solo così si assumono i tratti dell’autentica autorevolezza.”  P. Lombardo[1]

Che cosa dà sicurezza a un ragazzo, a un bambino, a un giovane ma anche all’essere umano adulto?

Una cosa che dà sicurezza è sicuramente il sentirsi amato e rispettato. Dà sicurezza sentire che attorno a noi, accanto alla nostra anima, c’è qualcuno che ci ama, qualcuno che ascolta i battiti del nostro cuore, i suoi bisogni e riesce a soddisfarli.  Qualcuno che ci dà tenerezza, dialogo, comprensione e che sa intravedere e rispettare la nostra individualità.

C’è un altro caposaldo della sicurezza, purtroppo spesso trascurato nelle società permissive, ed è quello di sentire che accanto a noi vi è una persona autorevole.

Se l’autorità compete di diritto ad ogni educatore, uomo o donna che sia, poiché, avendo un’età maggiore dell’educando ha dei doveri nei suoi confronti, l’autorevolezza purtroppo non è di tutti gli educatori, giacché necessità di qualità che sono in parte innate, mentre in buona parte si sviluppano ad opera dell’ambiente. In ogni caso sono volute e alimentate dall’individuo stesso. 

 

                                      IL GENITORE AUTOREVOLE

 

  • E’ consapevole dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.
  • Ha una grande forza interiore.
  • Rispetta profondamente il figlio e sa dargli un’equilibrata fiducia.
  • Sa farsi rispettare.
  • Ha stima dei figli.
  • Sa dare il giusto spazio alla libertà.
  • Sa dare norme e limiti chiari.
  • Sa essere flessibile ma non elastico.
  • Incarna i valori che propone.
  • E’ una persona matura e saggia.
  • Non ha bisogno della violenza per farsi ubbidire o per affermare le proprie idee.
  • Non ha paura del figlio.
  • Infligge punizioni giuste, equilibrate e limitate nel tempo.

 

 

E’ consapevole dei propri diritti, ma sa che il diritto all’autorità ha per contraltare tutta una serie di doveri.

Ogni genitore ha diritto al rispetto e all’ubbidienza da parte dei suoi figli.

Ma ha anche diritto ad autonome scelte educative che non possono e non devono essere condizionate dagli interventi esterni alla famiglia se non in minima parte. 

Purtroppo negli ultimi decenni il peso di questi interventi, nati per risolvere problematiche particolari e situazioni limite, si è fatto via via sempre più pesante, sia sul piano dei rapporti tra i coniugi che sulla gestione familiare e sui mezzi e strumenti educativi, esautorando, di fatto, i genitori di molti diritti gestionali senza dare, ed era pura illusione pensare di poterlo fare, risposte alternative giuste ed efficaci.

Si è creata attorno alla famiglia una babele e una selva di leggi, regolamenti e sentenze che non solo ne limitano la funzionalità ma impediscono il sereno svolgersi della vita familiare, creando intensa conflittualità tra i coniugi e nell’animo dei giovani perplessità, incertezze, dubbi e in definitiva paura ed ansia nei confronti dell’istituto matrimoniale e familiare.

Lo stesso stato e gli stessi giudici che discutono se un padre o una madre possono o no dare uno scappellotto al loro figlio ribelle non sembrano poi curarsi molto delle violenze che giorno dopo giorno, ora dopo ora si abbattono sui minori. Violenze che, come abbiamo già visto e vedremo nei prossimi capitoli, nascono dall’invadenza e dai condizionamenti della pubblicità, dall’azione diseducativa e lesiva dei mass media e  della rete internet, dal capillare spaccio di droga, dalle carenze affettive e così via.

Per quanto riguarda i doveri, ogni genitore ha:

 

  • dovere di “servizio” nei confronti dei figli; [2]
  • dovere alla linearità e alla coerenza tra ciò che l’educatore dice e ciò che fa;
  • dovere di intraprendere insieme all’educando un cammino comune, lento, faticoso, a volte doloroso, ma che si assume nella consapevolezza di un fine importante;[3]  
  • dovere di una posizione che non può essere allo stesso livello dell’educando, giacché la necessità di essere ascoltati e ubbiditi gli impone comportamenti e atteggiamenti che non devono confonderlo con il figlio.
Il genitore autorevole ha grande forza interiore.

La forza interiore è fondamentale in mille occasioni della vita: per affrontare i problemi e le mille difficoltà d’ogni giorno, per vincere i dubbi e le incertezze nelle scelte, per chiarire dentro di sé le istanze interiori, per superare la tristezza e il dolore. Dolore e lutto per la perdita di persone care o che rappresentavano molto per la nostra esistenza. Non è pensabile, infatti, eliminare dalla vita la perdita delle persone care, come non è possibile eliminare gli elementi negativi che ci fanno soffrire: la frustrazione per qualcosa a cui si ha diritto e non ci è accordato; per qualcosa che volevamo o potevamo raggiungere e non abbiamo ottenuto. Non è possibile, abbiamo detto, ma forse non sarebbe neanche utile.  Servono le frustrazioni, per spingere più in alto il nostro sguardo, per stimolare le migliori capacità dell’uomo, in modo tale da superare noi stessi e le miserie della vita.

Anche le ansie, sono un elemento comune e inalienabile dalla vita. Soltanto una gran forza interiore ci potrà far superare l’ansia dell’attesa, di qualcosa che si desidera o che si vuole raggiungere. L’ansia come preoccupazione per le persone che ci sono care.

Così come ci vuole una gran forza interiore per vincere le delusioni: per un lavoro che non riusciamo ad ottenere, per qualcosa di noi che gli altri non rispettano, per una bocciatura o per le tante ingiustizie che si incontrano in ogni piega della società e che spesso non si possono eliminare o allontanare, per cui bisogna soltanto saperle affrontare. Anche l’aggressività degli altri è una realtà inalienabile. Non possiamo illuderci che il giovane e poi l’uomo possano vivere in un Eden fatto solo d’amore.

Quando i genitori hanno dentro di sé questa forza interiore, possono affrontare serenamente i mille problemi della vita quotidiana e soprattutto possono trasmetterla ai figli. Quando invece prevalgono la fragilità, la paura, l’inquietudine, l’emotività, l’autosvalutazione, per cui troppo spesso si pensa di commettere degli errori o di aver fallito, allora diventa veramente difficile essere genitori ma anche trasmettere all’altro qualità che non si possiedono, caratteristiche che non si hanno.

 Il genitore autorevole rispetta profondamente il figlio e sa dargli un’equilibrata fiducia

 Il genitore autorevole sa rispettare, nel cammino verso la maturità e l’autonomia, la personalità e individualità, la libertà di giudizio del figlio. Non abusa della sua fiducia e credulità. Lo considera importante e ha stima di lui. Ha fiducia nelle sue capacità, possibilità e potenzialità.

Attenzione, però: non è fiducia l’incoscienza. Non è fiducia mettere la testa sotto la sabbia come lo struzzo, non vedere il pericolo, il rischio, o le gravi difficoltà in cui noi adulti lasciamo i nostri ragazzi soprattutto adolescenti. Non è prova di fiducia, dare più libertà di quanto un giovane possa utilizzare in maniera corretta, possa essere in grado di gestire.

La gestione della libertà è difficile e dipende da molti elementi: il tempo da gestire, la maturità dell’individuo, il luogo in cui bisogna gestirla, le persone che ci aiuteranno e così via.

 
Un genitore autorevole rispetta il figlio, ma sa farsi rispettare.

Il cercare a tutti i costi di “essere amici dei figli”, nasconde spesso la debolezza di carattere di un genitore. Se per amicizia intendiamo confidenza, dialogo, rispetto, possibilità di aprirsi all’altro, l’amicizia con il figlio è un bene; ma accanto a questi elementi relazionali deve permanere sempre, da parte del genitore, la funzione di guida e di sostegno morale.

E’ invece veramente preoccupante l’amicizia quando viene a mancare l’autorità. In questi casi il genitore tende a adattarsi al figlio, vivendo le sue stesse esperienze e condividendole, venendo così ad assume un artefatto ruolo giovanile. Volendo imitare e conquistare il figlio, rincorre i suoi atteggiamenti più moderni e spregiudicati, come il farsi chiamare per nome, dimenticando che ogni età ha la sua dimensione, la sua bellezza, i suoi doveri.

I genitori oggi esigono talmente poco rispetto per la propria persona che rischiano la stima dei figli.  Se si conoscono i propri limiti ci si sente sicuri e si stima la persona che responsabilmente dà quei limiti. In caso contrario nasce l’insicurezza e la disistima.

Il rispetto degli altri, soprattutto verso chi ha una funzione pedagogica e quindi di guida, ed in particolare modo dei genitori, degli insegnante, dei leader, è essenziale per una buona crescita educativa; quindi è necessario fare rispettare il proprio ruolo, non ammettendo che sia canzonato o svilito. E’ giusto fare rispettare la maggiore età ed esperienza, poiché stimola il minore ad accettare i propri limiti e i ruoli che sono fondamento d’ogni vivere civile e quindi lo spinge ad impegnarsi e prepararsi ad assumere lui stesso un giorno un ruolo con maggiori onori ma anche con maggiori responsabilità.

Se il ruolo degli educatori è svilito, evidentemente quest’obiettivo non sarà più presenta nell’animo e nella mente del giovane. Saremo amici, uguali ad altri amici, compagni uguali ad altri compagni. Per qual motivo un ragazzo dovrebbe cercare maggiori responsabilità ed oneri se questi non hanno alcuna contropartita? Dove può trovare la spinta maturativa e il desiderio di abbandonare il ruolo infantile ed adolescenziale trovando negli adulti le stesse caratteristiche degli amici?

 

 Il genitore autorevole ha stima dei figli.

 

La stima di sé è elemento indispensabile di sicurezza, gioia, forza interiore; quando qualcuno ha una buona stima di noi ci sentiamo più forti, più coraggiosi, più disponibili a dare e a ricevere, più aperti e intraprendenti, più ricchi. Quando invece qualcuno, soprattutto le persone a noi più care e più vicine come i nostri genitori, hanno poca stima nei nostri riguardi, la tristezza, l'inquietudine, l'insicurezza ci assale. Ci sentiamo piccoli e indifesi per cui reagiamo con la chiusura, con l'apatia, con il disinteresse, oppure con aggressività verso chi ci ha fatto provare questa sensazione negativa. Il risentimento può allargarsi anche ad altre persone, che nulla hanno a che vedere con il nostro stato d'animo ma che sono coinvolte in questa situazione di malessere.

E' giusto e sacrosanto criticare gli atteggiamenti ed i comportamenti inadeguati o poco consoni al vivere civile, ma bisogna farlo senza "togliere la propria considerazione per il valore della dignità altrui.”[4]  In caso contrario l'altro si considererà un poco di buono, un fallito, un incapace, un essere inutile e spregevole. Sono da evitare, inoltre, l'ironia ed il dileggio: sono molto meglio “le critiche costruttive.”[5]

E’ giusto ed è utile anche confermare, approvare e “lodare non solo i buoni risultati ma mettere in evidenza soprattutto gli sforzi di crescita cui possono seguire esiti negativi.”[6]   Quando un ragazzo s’impegna pienamente nello studio o nel lavoro ma, per motivi non dipendenti dalla sua volontà, non riesce a raggiungere i risultati voluti, è bene che trovi accanto a sé, il cuore dei suoi genitori che lo confortano e lo incoraggiano ad andare avanti, apprezzando il suo impegno e gli sforzi della sua volontà.

I genitori però non possono limitarsi a dire: “Bravo” o “Sono orgoglioso di te”, devono anche fare in modo che lo siano veramente, con il loro impegno, aiuto e abnegazione. Purtroppo ciò spesso manca nei genitori d’oggi, i quali sono pronti a difendere il proprio figlio con le unghie e con i denti di fronte ad insegnanti e educatori che evidenziano in lui problemi e difficoltà ma poi fanno poco o nulla affinchè egli le superi.

Il genitore autorevole sa dare il giusto spazio alla libertà.

 

Poiché l’autorità non è in contrasto con la libertà; anzi, aiuta ad acquisire quella vera, egli ama la libertà e sa che questa è fondamentale nella crescita e nello sviluppo di qualsiasi essere vivente. Uno dei fini basilari dell’educazione è di fare del bambino “un uomo libero. “ Cioè un individuo padrone di se stesso. Capace di effettuare scelte consapevoli e di assumersi le responsabilità del suo stato.  Libero da condizionamenti, soprattutto interiori e quindi libero da complessi, traumi, conflitti all’interno della propria coscienza e del proprio Io; libero da un eccessivo orgoglio, dalla superbia, dall’egoismo; libero di realizzare i valori più alti dell’umanità.

 Per tali motivi, è indispensabile che il figlio apprenda a far buon uso di tale libertà operando delle scelte attente e responsabili tra i suoi molteplici desideri mentre deve riuscire a comprendere gradualmente e ad accettare i limiti della propria indipendenza sia nel personale interesse che, responsabilmente, negli interessi della società.

Il bambino, quindi, ha bisogno di spazio. Lo spazio fisico gli permette di muoversi, di giocare, di correre, di scoprire, di inventare, di creare; quello psicologico gli permette, mediante delle scelte libere e consapevoli, di cercare, scoprire e trovare nella vita una strada propria, da percorrere insieme a compagni di viaggio che saranno prima i suoi familiari, poi gli amici e quindi, da adulto, la persona da amare e con cui formare una famiglia.

Questo spazio psicologico può essere percorso e vissuto meglio e più facilmente approfondito se sono accettate ed osservate due condizioni di base.

 

  1. La prima è che sia proporzionale all’età e allo sviluppo. Un bambino piccolo può utilizzare bene uno spazio molto ristretto, fatto inizialmente soltanto dei suoi genitori: si perderebbe o si confonderebbe nel muoversi in uno spazio troppo ampio. Un bambino più grande, con più esperienza e maturità, riesce a padroneggiare uno spazio maggiore nel quale fanno parte anche i suoi parenti più stretti e poi gli amici del cuore, senza danno, senza inquietudine e ansia. Pertanto, con molta gradualità, il ragazzo ed il giovane potranno avvicinarsi senza molti problemi anche agli estranei.
  2. La seconda è che questo spazio abbia caratteristiche utili per l’educando. E’ necessario, pertanto, valutare attentamente rischi e benefici dei luoghi psicologici in cui si muove il minore e delle persone che frequenta. Se egli si muove e vive in un ambiente inquinato e quindi a rischio, anche quando avrà buone capacità di critica, la possibilità di fare o di farsi del male sarà sempre presente e attuale. Vi sono, nella nostra società del benessere, oggi, molti spazi neutri. Spazi in cui non si evidenzia né una chiara utilità né un preciso danno; anche questi è giusto che siano percorsi ma in maniera molto limitata.  L’assenza di finalità educative di queste realtà e quindi la mancanza di un loro specifico apporto positivo, si traduce lo stesso, se frequentati eccessivamente, in un danno per i minori.
 
Il genitore autorevole sa dare norme e limiti chiari. Sa essere flessibile ma non elastico.

Poiché il concetto di libertà implica automaticamente quello di responsabilità, compito dell’educatore è fare in modo che il bambino che sta crescendo e l’uomo che si sta formando siano responsabili e quindi capaci di controllare i propri istinti, desideri e bisogni senza soffrire eccessivamente per le costrizioni che il mondo reale necessariamente darà. Un bambino è libero quando sa utilizzare e mettere al frutto questa libertà, sa rispettare quella degli altri, sa porsi dei limiti, sa accettare i limiti che gli altri gli pongono. E' libero quando sa chiedere ma nello stesso tempo sa limitare le richieste, sa accontentarsi, riesce a postergare la soddisfazione dei suoi bisogni.

L’educatore autorevole amando la libertà sa che per poterla vivere pienamente essa ha bisogno di limiti, regole e norme ben precise.

 “La disciplina è fondamentale nell’educazione dei figli: la verga e la riprensione sono ciò che dà sapienza; ma il ragazzo lasciato senza freno farà vergogna a sua madre” (proverbi 29; 15) Il termine biblico “verga” indica il bastone che guida il gregge non ha quindi il senso della violenza sui minori quanto quello di una guida e una disciplina attenta ed efficace.

Le regole e le norme sono indispensabili per rispettare gli altri e se stessi. Poiché fanno parte di un progetto educativo globale, che i genitori e gli educatori vogliono far percorrere all’educando, essi variano notevolmente in base all'età, alle qualità, alle caratteristiche di quest’ultimo e dell’ambiente che lo circonda.

 Il bambino deve sapere con chiarezza e certezza, ciò che è giusto fare e ciò che non è giusto. Distinguere ciò che è possibile, da ciò che non lo è. Ciò che è bene da ciò che è male. Ciò che è utile a lui, alla famiglia, ai genitori, alla società da ciò che non lo è. Ciò che è indifferente, quindi né utile né inutile, da ciò che è dannoso, quanto è dannoso e perché è dannoso.

Poiché è bene che l’educando sappia distinguere esattamente ciò che può fare da ciò che non può fare, ciò che gli è utile da ciò che non lo è, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, sono necessari dei “sì” chiari, precisi e definitivi ma anche dei “no”, altrettanto netti e chiari, anche se detti con amorevolezza e gentilezza. Dei “no”, che abbiano il valore di un limite, di una norma, e quindi non si modifichino solo perché il figlio piange o protesta energicamente ma, eventualmente, siano adattati, in base alle circostanze e alla maturità di lui, con la giusta flessibilità.

Bisogna invece evitare di esser elastici; cosicché una norma possa essere interpretata in modo eccessivamente difforme o possa essere sconvolta nella sua interpretazione; quindi le regole, le norme, le indicazioni, devono essere fatte rispettare senza rigidità eccessiva, ma anche senza troppa elasticità che le renderebbe povere, non congruenti e ne svilirebbe il contenuto.

Se diciamo ad un figlio adolescente di ritornare a casa alle otto, ciò non significa che alle otto e un minuto, debba scattare la punizione, il rimprovero, o la reprimenda. Ma è altrettanto utile però stimolarlo alla puntualità e sostanziale accettazione e rispetto della norma, per cui non è accettabile, che il figlio si presenti  mezzora o un’ora più tardi, perché questo significherebbe stravolgere l’indicazione data, non abituarsi alla puntualità, alla lealtà, alla coerenza.

Questi “no” non dovrebbero essere numerosi. Ciò per permettere all’educando ampie possibilità di scoperte, di scelte e l’assunzione graduale di sempre maggiori responsabilità.

Un sano ed equilibrato rapporto educativo è possibile solo se, il genitore autorevole è sostenuto e confortato dall’ambiente familiare e sociale che lo circonda. Quando questo non avviene, per cui l’altro coniuge, gli altri educatori o l’ambiente sociale in cui la famiglia vive, tendono a svilire, svalutare o peggio contrastare una linea educativa autorevole, diventa estremamente difficile ottenere l’ubbidienza o proporre norme e limiti.  Come conseguenza di ciò ritroviamo o una frattura del rapporto con i figli, con il coniuge e gli altri educatori o, quel che è peggio, un abbandono dell’impegno educativo che si traduce in un aumento della vasta schiera dei genitori assenti o permissivi.

L'altro genitore, familiare o gli altri adulti dovrebbero fare proprie queste norme e aiutare i minori a rispettarle, in modo tale che possano tradursi in punti fermi, in paletti entro cui essi possano muoversi liberamente, sapendo di agire bene e correttamente, sia nei confronti di se stesso che verso gli altri. Quando queste circostanze si verificano i limiti e le norme potrebbero essere molto pochi ed essere necessarie soltanto nella fase iniziale del processo educativo; successivamente potrebbero scomparire quasi completamente, perché già interiorizzati dal soggetto e incarnati in tutti i suoi comportamenti.[7]

Ciò attualmente è molto difficile da ottenere, giacché il ventaglio degli atteggiamenti da parte dei genitori e degli educatori non solo è troppo ampio e confuso, ma soprattutto è spostato nettamente in senso permissivo, conseguentemente non si riesce a trovare nell’ambiente sociale, ma spesso anche in quello familiare, un atteggiamento educativo uniforme che giustifichi e sostenga limiti e norme.

Il “no” può e deve nascere quando la richiesta può comportare per il figlio una situazione di reale rischio fisico, morale o sociale. Questa condizione è la più facilmente compresa e accettata dal minore. Più difficile da comprendere, e quindi da accettare, è la necessità di portare avanti un progetto formativo che sviluppi le varie capacità e potenzialità del minore.

Se, per esempio, diciamo ad un giovane che siamo contenti che vada ogni tanto ad una festa, difficilmente potrà capire il perché molte feste non sono utili. Se una festa è un bene, tante feste dovrebbero essere ancora meglio. E’ difficile che comprenda, e forse non è neanche il caso di spiegarlo, che il nostro scopo è anche quello di aiutarlo a conservare il piacere del nuovo, del diverso, dell’eccezionale, del bello, del meraviglioso, della scoperta, facendo in modo che non sia banalizzata “la festa.” E’ difficile che il giovane riesca a capire che una limitazione o un ostacolo al desiderio,  esalta l’oggetto del desiderio stesso, lo rende ancora più bello, più splendido, lo fa gustare ancora di più; com’è difficile che riesca a capire che ci sono delle limitazioni che servono a sviluppare la sua volontà, a forgiare il suo carattere o a dare stimoli all’autonomia e all’indipendenza. Le limitazioni, infatti, se non sono eccessive, rafforzano e danno maggiore grinta all’essere umano, lo aiutano a crescere ed a porsi su un piano di maggiore consapevolezza, liberandolo dalle dipendenze infantili.

I “no” vanno se possibile spiegati all’educando, pur sapendo che non sempre egli è in grado di capire o di accettare le motivazioni. A volte non è in grado di capire per motivi legati all’età o all’immaturità. La differenza tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il bello ed il brutto, tra il vero e il falso si conquista gradualmente negli anni. Altre volte, è difficile per l’educando capire in quanto si trova in una situazione ed in un ruolo in cui gli sfugge la complessità del progetto formativo dei genitori. Dal suo punto di vista, i nostri scopi appaiono troppo lontani, indefiniti, oscuri.

In altri casi, i nostri obiettivi e valori si scontrano con quelli di una società che n’è priva o porta avanti esigenze e bisogni opposti a quelli utili e necessari ad una sana educazione. Quest’incomprensione non deve limitare e bloccare il nostro agire, per tale motivo nonostante ciò, dobbiamo ugualmente porli e farli rispettare. Se io dico ad un bambino piccolo che non ha ancora avuto la dolorosa esperienza della scottatura, che il fuoco brucia e che può farsi del male, il bambino non capirà o capirà solo parzialmente che il fuoco è pericoloso. Fargli fare l'esperienza del fuoco che fa male e che brucia potrà sì essere una lezione, ma questa lezione potrebbe lasciare indelebili cicatrici! Lo stesso avviene se mettiamo dei limiti al tempo libero di un adolescente. Difficilmente questi potrà capirne lo scopo, o gli scopi dell'educatore come quelli di evitare rischi inutili, aiutarlo a concentrare la sua attenzione sugli impegni e non solo sulle attività piacevoli, stimolare la sua crescita, responsabilità, condurlo a valorizzare gli elementi piacevoli della vita evitando quindi di banalizzare gli incontri, le feste, l’amore, il sesso.

 

Un genitore autorevole incarna i valori che propone.

L’autorità educativa si evidenzia non solo nel proporre princìpi etici, religiosi o sociali, ma anche e soprattutto nell’incarnare tali valori. Ad esempio ciò che un educatore dice riguardo all’onestà è importante, ma se dimostra, anche nelle piccole occasioni d’essere onesto è molto meglio. C’è sempre uno scarto tra princìpi e valori che si propongono e quelli che si riesce a vivere concretamente, ma non vi è dubbio che quanto più questo scarto è ridotto, tanto meglio e più profondamente si riesce a seminarli e farli crescere nell’animo di un giovane.

Il genitore autorevole è anche una persona matura e saggia.

Essere maturi significa aver fatto un percorso di vita, che rende possibile capire gli altri, farsi capire dagli altri, essere capaci di guida, di ascolto e di conforto, poiché si è pervenuti ad un buon livello di crescita e d'integrazione tra le varie componenti della personalità. La saggezza è invece, una ricchezza interiore che ci permette di dare la nostra esperienza, il nostro sostegno, consiglio e incoraggiamento nei modi e nei tempi più opportuni. Queste doti facilitano i processi d’identificazione, ma anche di confronto, quando è necessario. 

I nostri giovani che stanno molte ore con gli altri coetanei, con questi potranno sicuramente giocare e divertirsi, ma il confronto è parziale e limitante, giacché si ritrovano tra persone che hanno problemi, esigenze, livelli di maturazione molto simili. Per tale motivo, i coetanei difficilmente potranno essere guida efficace, fonte d’esperienza, sostegno ed identificazione. Queste qualità si possono soltanto ritrovare in un adulto maturo, responsabile e saggio.

Un genitore autorevole non ha bisogno della violenza per farsi ubbidire e per affermare le proprie idee.

Basta poco alla persona autorevole per farsi ubbidire. Il rispetto, il fascino, la fiducia, la serenità, l’autorità che emana, la capacità di essere comprensive e ferme nello stesso tempo, permette a queste persone di ottenere obbedienza senza bisogno di utilizzare la violenza e limitando al massimo le punizioni, i ricatti, le minacce. Spesso esse non hanno bisogno neanche di alzare la voce per ottenere quanto richiesto.

I genitori autorevoli non hanno paura del figlio.

I genitori psicologicamente più labili, emotivamente più fragili, spesso hanno paura dei comportamenti aggressivi e distruttivi del figlio, per cui sono costretti a subire continui ricatti. Le minacce possono essere esplicite: “Se non mi concedi questo vado via di casa”, “non ti parlo più”, “mi metto a gridare”, “non studio”, “non vado a scuola”, “non mangio”; oppure, il più spesso, implicite mediante l’utilizzazione di comportamenti e d’atteggiamenti con i quali l’esperienza gli ha dimostrato che può ottenere quanto desiderato.

In tutti i casi cedere significa incamminarsi in una strada fatta di concessioni in seguito a continue pressioni e ricatti. Un buon genitore dovrebbe riuscire, anche con notevole sacrificio e sofferenza, a respingere ogni tentativo di questo genere.

Un genitore autorevole infligge punizioni giuste, equilibrate e limitate nel tempo.

Per quanto riguarda le punizioni è un’illusione tragica il pensare che si può non usarle mai nell’educazione d’un bambino, d’un giovane o d’un adulto. In ogni caso se vi sono dei limiti e delle norme da far rispettare, è indispensabile che chi non li rispetta nonostante li conosca e sia maturo per farlo, ne paghi le conseguenze; anche perché la punizione, se è giusta e non eccessiva, ristabilisce l’equilibrio e controbilanciando la mancanza; essa pertanto evita sensi di colpa e d’indegnità nei minori come negli adulti e aggressività repressa nell’educatore. La persona saggia e autorevole sa però che le punizioni sono necessarie solo se l’educando ha la consapevolezza della mancanza fatta, ed è in grado di controllare efficacemente le proprie azioni; quindi non ha senso castigare i bambini piccoli se ancora non hanno raggiunto la consapevolezza dei loro comportamenti o se non possono averne il controllo. Se un bambino maneggia ancora in maniera maldestra gli oggetti, non è sicuramente colpevole se lascia cadere e, quindi, rompe qualcosa che, incautamente, gli abbiamo lasciato tra le mani. In questo caso i responsabili siamo noi e non lui; se non v’è ancora il concetto di proprietà, che matura dopo i tre - quattro anni, non vi può essere una punizione per furto. Lo stesso vale per le bugie di un bambino negli anni della prima infanzia, periodo in cui ancora la fantasia si confonde con la realtà.  In questi casi è giusto soltanto un richiamo e un lieve rimprovero, per iniziare a far comprendere, accettare e far propri gradualmente i principi e i valori etici. Né ha senso la punizione quando il soggetto non aveva alcuna volontà di eludere la norma o la richiesta. Ad esempio quando il fatto è avvenuto per il verificarsi di un evento occasionale. “Io avevo fatto di tutto per tornare in orario ma un guasto (reale!) alla macchina me l’ha impedito.” Come è giusto perdonare o trattare benevolmente un’unica mancanza, mentre è corretto essere più severi quando la mancanza si ripete: “Errare humanum est, perseverare diabolicum.”

Per essere giusta ed efficace la punizione deve inserirsi in un disegno educativo sereno e lineare,   non dovrebbe nascere dallo sfogo di un malumore, da un momento di collera, né da paure o ansie immotivate dell’educatore.

Le punizioni date in un momento immediatamente successivo alla colpa sono meglio collegate a questa. Se un genitore castiga troppo frequentemente o impone punizioni eccessive, quasi sicuramente troveremo qualcosa che non va nelle sue capacità educative o nello sviluppo del bambino. Quando un genitore è autorevole e la sua linea educativa è chiara, precisa e ferma, quest’evenienza si presenterà raramente.

Se, ad esempio si è dato un orario ben preciso, si è spiegato il motivo per cui è necessaria la puntualità ed è chiara anche l’eventuale punizione, il bambino, il ragazzo, il giovane ha tutti gli elementi per controllare i suoi comportamenti.  Sa che cosa deve fare, perché deve farlo e qual è l’eventuale punizione. Conosce anche in positivo, l’accettazione dei genitori e lo spazio che ha a disposizione. “ I miei genitori sono contenti che io esca, perciò è una cosa buona uscire, è bello parlare e divertirsi con gli amici in modo sano e costruttivo.” La certezza e la chiarezza dei diritti, come delle norme, dei limiti e delle pene, fa diminuire notevolmente il numero delle infrazioni.

Ciò sanno bene i nostri amici giuristi. 

Invece, il non conoscere i propri diritti o il sottostare a  pene aleatorie scritte solo sui codici ma raramente applicate, fa aumentare notevolmente il numero e la gravità dei reati e porta a comportamenti sempre più devianti e deviati. Per tale motivo, un rimprovero chiaro, netto o un piccolo castigo applicato senza tentennamenti o marce indietro, nel momento opportuno, evita mille rimbrotti, rimproveri e castighi notevolmente più gravi e numerosi in futuro.

L’ultima cosa che vogliamo dire a questo riguardo è di non utilizzare, se non raramente e in situazioni eccezionali, le armi affettive con le quali gli educatori cercano di ottenere qualcosa o di infliggere una punizione stimolando il senso di colpa. “Se tu fai questo mi fai soffrire, morire, dispiacere, mi fai stare male, uccidi tua madre.” Le armi affettive tendono a provocare disagio interiore, ansia, sensi di colpa che possono accentuare piuttosto che risolvere i problemi di comportamento.

Dove stanno i padri autorevoli?

Già da qualche anno, sempre più frequentemente gli psicologi, i sociologi, i pedagogisti, esprimono a gran voce, dopo ogni segno di follia giovanile, la necessità che i genitori, soprattutto i padri, seguano i figli con autorevolezza.

“A.A.A. Padri autorevoli cercasi” è l’appello che viene costantemente ma invano lanciato, anche perché sembra che di questi genitori o padri autorevoli ne sia scomparsa ogni traccia. Purtroppo se non sono evidenziate e risolte le cause che portano a questa quasi estinzione, pensiamo che l’appello continuerà a cadere costantemente nel vuoto.

 “A.A.A. Padri autorevoli cercasi”, dovrebbe trasformarsi in “A.A.A. Società responsabile, attenta e coerente cercasi.” Chi se non una società responsabile e attenta potrebbe dar vita a padri ed educatori autorevoli? La loro scomparsa è stata provocata da una serie d’interventi assolutamente irresponsabili da parte di molti settori di quella stessa società che adesso, nei momenti in cui avverte più intensa la crisi delle giovani generazioni, li richiede a gran voce.

Per troppi decenni in maniera massiccia, da parte dei legislatori, dei mass - media, dei politici e degli stessi sociologi, psicologi e pedagogisti che adesso richiedono a gran voce padri autorevoli, le caratteristiche sopra descritte sono state tradotte e presentate in maniera negativa.

 

COME SI DISTRUGGE L’AUTOREVOLEZZA

  • La maturità e la saggezza sono state viste come saccenteria e vecchiaia.
  • Gli atteggiamenti responsabili, come interventi fuori del tempo e della storia, lontani dalla realtà del 2000.
  • La serenità è stata vista come freddezza, insipienza e noia.
  • La virilità nei comportamenti come maschilismo ed oscurantismo.
  • La linearità come rigido militarismo.
  • I limiti e le norme come offesa alla libertà e ai sacrosanti diritti individuali e collettivi. “Per carità non irreggimentiamo i nostri giovani, non li facciamo diventare come dei soldatini”, è stato per anni il ritornello degli specialisti di turno.
  • La coerenza e la fermezza sono state viste come autoritarismo, aggressività, dittatura del padre padrone; quindi, se i figli ubbidiscono, sono visti come delle marionette in mano ai loro genitori tiranni; se non lo fanno, ne hanno molti buoni motivi.
  • Sia che venisse dai professori, dai politici o dai genitori, ogni atteggiamento che chiedeva responsabilità, attenzione, coerenza è stato bollato di autoritarismo.
  • Le punizioni come gratuita violenza esercitata sui minori.

 

Sappiamo per certo invece e non da ora, ma dall’inizio dei tempi, che l’unire l’affetto, la dolcezza, la sensibilità, la tenerezza, alla fermezza e alla sicurezza, non è un controsenso.

 E’ ciò che ogni buon genitore ha fatto, ogni genitore può fare, deve fare. Non facciamo quindi mancare ciò che è indispensabile: non facciamo mancare dei genitori e degli educatori autorevoli accanto ad ogni bambino, così come accanto ad ogni giovane.



[1] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 25.

 

[2] P. Lombardo, Crescere  per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 37.

[3] P. Lombardo, Crescere  per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 61.

 

[4] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 134.

[5] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 135.

[6] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 134.

 

[7] P. Le Moine, Educare, il grande mestiere, Edizioni San Paolo, 1995, p.102.

 

 Tratto dal libro di E. Tribulato "L'educazione negata" Edizioni E.D.A.S.

 

 

 

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