Dialogo e disturbi psicoaffettivi

DIALOGO E DISTURBI PSICOAFFETTIVI

 Dott. Emidio Tribulato

 

Per instaurare con i figli un dialogo efficace dobbiamo tener presente che l’essere umano si forma mediante la comunicazione e l’interazione. L’essere umano si costruisce e si arricchisce mediante la comunicazione e l’interazione. Pertanto riteniamo che l’essere umano quando è disturbato da problemi psicologici, soprattutto se si trova in fase evolutiva, può e deve essere curato mediante un’efficace comunicazione e interazione.

Quando ci si pone in ascolto dei bambini affetti da disturbi psicoaffettivi e dei loro familiari, si ha la netta sensazione che tra i minori e le persone che sono ad essi vicine, si sia instaurata una disturbata comunicazione, fatta di sospetti e accuse reciproche, piuttosto che di reciproche intese. Gli adulti sono pronti a rinfacciare e sottolineare le molte nefandezze dei minori. Nefandezze che possono riguardare la scuola: “Non studia”- “Studia poco”- “Studia troppo lentamente”- “È sempre distratto”. Oppure possono riguardare i comportamenti dei loro figli: “Gioca con i suoi fratelli in modo violento e fa loro del male”- “Non rispetta i turni”- “Non ubbidisce”- “È sordo a ogni richiamo”- “Risponde a noi genitori in modo maleducato”, ecc.

Anche i minori, come è possibile evidenziare dai loro racconti spontanei, fanno delle accuse nei confronti degli adulti: “I miei genitori non mi capiscono e mi rimproverano e puniscono per ogni cosa”. “Sono sempre nervosi”. “Non li capisco”.

In definitiva molto spesso, quando è presente un disturbo psicoaffettivo, il dialogo tra gli adulti ed i minori è come se si fosse spezzato o addirittura interrotto, mentre, altre volte, appare notevolmente alterato e disturbato da forti emozioni negative.

Per rendere la comunicazione più efficace e funzionale è necessario utilizzare alcuni accorgimenti.

1.      Evitare la fretta.

Si dialoga bene solo quando non siamo sollecitati dall’impazienza, dalla premura o dalla foga per le cose da compiere, per le parole da dire o per le frasi che vorremmo ascoltare dall’altro. Se non abbiamo tempo sufficiente, lo stare insieme diventa una corsa finalizzata al fare e all’agire, piuttosto che al vivere, con serenità, tranquillità e pienezza, parole, gesti, sentimenti ed emozioni. Ciò è vero nel rapporto con tutti i bambini, ma è ancor più vero per i minori che presentano problematiche psicologiche. Questi, molte volte, non possiedono la capacità di aprirsi prontamente alle nostre domande, se sono fatte in modo frettoloso e convulso, senza tener conto dei loro bisogni del momento.

Le maggiori difficoltà nell’aprirsi prontamente al dialogo sono presenti in quasi tutti i disturbi psichici, ma sono maggiori quando la sofferenza si manifesta sotto forma di timidezza, chiusura, tristezza, inibizione. In questi casi, per favorire il dialogo è indispensabile creare attorno e accanto al bambino, un ambiente sereno, tranquillo, paziente e accogliente, nel quale le parole e le domande sono poche, mentre la disponobilità all’ascolto è tanta.

2.      Evitare di mettersi nel ruolo di pedanti insegnanti

I genitori e gli insegnanti sono gli educatori per eccellenza, ma un buon educatore non dovrebbe stare, come certi insegnanti pedanti, sempre con la matita rosso-blu in mano, pronti a segnalare, in maniera puntigliosa, ogni imperfezione ed ogni errore dell’educando. Il giudicare ed il riprendere in modo frequente o con toni eccessivi, compromette l’apertura, impedisce al bambino di esternare i contenuti più profondi del suo animo, esaspera e costringe alla chiusura, alla difesa, all’aggressività, oppure a dire, mentendo, ciò che l’altro si aspetta di ascoltare.

Bisogna, inoltre, tener presente che quando un bambino è disturbato dall’ansia, dalla tensione, dalle paure, dalle tristezze, diventa molto più sensibile e reattivo ad ogni osservazione e ad ogni richiamo, pertanto tende a reagire molto male a ogni osservazione. Il suo animo, già lacerato, in questi casi reagisce come può e come sa. Pertanto, mentre in un primo momento i genitori e gli insegnanti notano che i sintomi più disturbanti appaiono migliorati, tanto che per qualche giorno, dopo i rimproveri e le punizioni esemplari, il bambino si comporta meglio, successivamente, dopo breve tempo, i suoi atti ritornano uguali a prima, se non peggiori di prima.

Ciò avviene in quanto i bambini, tutti i bambini, per loro natura vorrebbero essere buoni e bravi, così da far contenti i propri genitori e gli altri educatori, rendendo nel contempo felici anche se stessi. I piccoli vivono dell’amore e della stima di papà e mamma e degli adulti. La gioia di questi è anche la loro gioia. Quando un bambino con problemi psicologici si comporta male, non è sicuramente segno di cattiveria o di monelleria. Egli interagisce in questo modo perché non riesce a fare di meglio o in modo diverso. Glielo impediscono i problemi, i conflitti e le ansie presenti nel suo animo. Glielo impediscono la rabbia e la collera dalle quali la sua mente è sconvolta; è per questo motivo che, almeno inizialmente, il bambino, utilizzando al massimo e facendo forza su se stesso, cerca con tutti i mezzi di essere come i genitori e gli altri educatori lo vorrebbero, ma poi, sopraffatto dai suoi problemi e dalla sua sofferenza, i suoi comportamenti disturbanti tendono a ripresentarsi. Spesso nella relazione genitore-figlio si instaura un circolo vizioso nel quale, ad un atteggiamento poco sereno, duro e frustrante del genitore, il figlio reagisce con uno stato di sofferenza e malessere che lo porta ad essere più irritante, aggressivo, disubbidiente, scarsamente disponibile, poco attento agli altri e ai suoi doveri. Questa condizione stimola il genitore a rimproverarlo e punirlo di più. La qual cosa peggiora i vissuti interiori del bambino e deteriora ancor più la relazione sia con l'adulto sia con tutte le altre persone con le quali il minore si confronta, ad esempio, i fratelli e le sorelle.

Bisogna allora rompere questo circolo vizioso ed instaurarne uno virtuoso in cui il protagonista non può che essere il genitore, il quale deve riuscire a sostituire ai rimproveri le lodi, ai castighi i premi.

3.      Evitare di punire in modo frequente e con troppa severità

Le punizioni, se frequenti o troppo severe, rischiano di interrompere il dialogo con i figli, i quali possono sentirsi umiliati e non amati. Inoltre il figlio dopo aver scontato le sue malefatte pensa che è pronto a farne qualche altra. Tra l’altro il figlio capisce che non è difficile evitare con qualche stratagemma di essere scoperto e punito[1] e impara ad instaurare con gli adulti una relazione fatta di bugie e falsità.

4.      Non urlare

Molto spesso si urla quando si ha timore di non riuscire a tenere sotto controllo una situazione e si spera che, alzando la voce e spaventando i bambini, questi vengano a più miti propositi, per cui si sarà obbediti prontamente. Ciò è vero sul breve periodo e su singoli episodi ma, alla lunga, come notano le stesse “madri e insegnanti urlatrici”, i loro bambini “diventano sempre più sordi e non ascoltano più”, per cui sono costrette ad alzare sempre di più il tono della voce e ad aumentare il numero e la gravità delle punizioni inferte ai disobbedienti. Il motivo di questo comportamento da parte dei bambini è semplice. Questi amano ubbidire alle persone verso le quali provano stima e rispetto. Amano ubbidire alle persone che li fanno sentire bene, mentre tendono a disubbidire alle persone che li fanno sentire male o li mettono a disagio.

  1. Ascoltare attivamente

Mettersi in ascolto significa avvertire i movimenti dell’animo del bambino e armonizzarsi con essi. Ogni genitore ha bisogno di sentire quello che i figli pensano di lui, quello che sentono, vogliono e cercano da lui e da lui si aspettano. I bambini, nonostante le tante richieste che fanno, spesso hanno solo desiderio di tenerezze, calore, presenza e affetto. Ascoltare attivamente significa cercare di apprezzare ogni tentativo di comunicazione, in modo tale da capire empaticamente ciò che c’è dietro le parole, i commenti, le domande banali, ma anche quello che vi è dietro i comportamenti. Durante l’ascolto attivo si cerca di andare oltre il significato letterale delle parole e dei gesti, così da capire le cause più profonde e vere. Per tali motivi si dovrebbe riflettere più sui bisogni dell’altro che non sulle sue parole.

In questo tipo di ascolto sono importanti anche i silenzi. Spesso, quando riusciamo a metterci sulla stessa lunghezza d’onda d’un bambino, quando il nostro cuore è accanto al suo, il semplice ascolto è già un aiuto e una terapia efficace, in quanto permette al piccolo di trovare nel nostro animo, quel conforto, quel sostegno, quella comprensione e amore che egli cerca.

L’ascolto attivo è importante in ogni comunicazione che vuole essere efficace, ma lo è ancora di più quando ci mettiamo in relazione con un bambino che presenta problemi psicologici. Questi bambini difficilmente manifestano verbalmente la loro tristezza e ansia; raramente affermano di essere turbati o sconvolti dalle paure e dalle inquitudini, né riescono con facilità a comunicare i motivi dei loro sentimenti ed emozioni. Bisogna allora che i genitori e gli educatori in genere, riescano ad andare oltre le loro parole, oltre i loro comportamenti, apparentemente incomprensibili ed a volte inaccettabili o disturbanti, al fine di capirli fino in fondo, così da poter lenire la nascosta sofferenza.

 

 

6.      Offriamo al bambino un atteggiamento accettante e incoraggiante.

Ciò significa che dobbiamo riuscire a far capire al bambino che siamo disposti ad ascoltare, se non a condividere, tutte le sue opinioni e le sue idee, anche se diverse dalle nostre, in quanto ogni essere umano, anche se piccolo ed in formazione, può essere portatore di corrette idee e opinioni. È dall’accettazione che nasce e si sviluppa un confronto positivo. Quando quest’accettazione manca, per cui vorremmo che nostro figlio fosse come noi lo abbiamo sognato e desiderato o avesse sempre le stesse caratteristiche di quando era più piccolo o di quando non aveva i problemi psicologici che adesso ha, il dialogo diventa difficile, disturbato ed improduttivo.

D’altra parte non si può forzare un bambino ad aprirsi e a confidare i sentimenti, le emozioni e i pensieri più veri e profondi, se non lo si mette nelle condizioni di sentirsi libero di dire tutto ciò che sente, sapendo che non arrecherà un grosso dispiacere o danno.

7.      Avere come prospettiva l’incontro e non lo scontro con il bambino.

 Il dialogo e la comunicazione non servono a decidere, utilizzando le parole, le idee e le sottili argomentazioni o, peggio, usando la forza e la violenza, chi è più bravo, più forte, più determinato, più resistente. Il dialogo e la comunicazione non servono, in definitiva, a dichiarare un vincitore in uno scontro, ma dovrebbero essere finalizzati a facilitare l’incontro e l’intesa. Anche se non sempre ciò è possibile, anche se non sempre si riesce a trovare quest’intesa, dovrebbe esserci però, da parte di noi adulti, in ogni momento, questo desiderio e questo tipo di tensione interiore.

8.      Il dialogo deve tenere conto delle esigenze e dei bisogni individuali.

 I bisogni di un bambino sono diversi da quelli di un altro. I bisogni di un bambino in un dato momento della sua vita, sono diversi da quelli dello stesso bambino in una fase diversa del suo sviluppo. Non esistono due bambini uguali, con gli stessi gusti, la medesima realtà interiore, gli stessi desideri, come non esistono in un essere umano gli stessi bisogni in momenti e periodi diversi della sua vita. Inoltre i bisogni di un bambino con problemi psicologici sono molto più intensi e risultano, a volte, poco chiari, lineari e coerenti, rispetto a quelli di un bambino normale ed è forse per questo che è più difficile capirli e accettarli.

9.      Cerchiamo di soddisfare i suoi bisogni più veri e profondi.

Spesso troviamo dei bambini con disturbi psicoaffettivi che piangono ore intere, che gridano e urlano a più non posso, che pestano i piedi, insultano, minacciano ed aggrediscono, per avere un giocattolo in più, un telefonino più completo e potente, un dolce proibito, un quarto d’ora in più di tv o di videogioco. Tuttavia, nel momento in cui abbiamo soddisfatto tutti questi bisogni, ritornano ad urlare e a pestare i piedi, ritornano a minacciare e ad aggredire. Di solito il commento che viene fatto a questi comportamenti è che “…i bambini di oggi non sono mai soddisfatti di quello che viene loro dato”. Tuttavia se riusciamo ad andare oltre le apparenze e a guardare i bisogni più veri e profondi, scopriamo che non è l’ultimo telefonino che loro desiderano veramente, che non è la merendina proibita, quella che cercano, non è un quarto d’ora in più di tv quello che veramente vogliono. Scopriamo, insomma, che i loro desideri più veri e profondi sono altri: desidererebbero, ad esempio, che la famiglia trascorresse, tutta insieme, più tempo; vorrebbero che tra i genitori e nella loro famiglia vi fossero più gesti di amore e meno comportamenti e parole aggressive; chiederebbero più presenza della mamma e del papà spesso assenti o troppo impegnati; vorrebbero poter giocare liberamente in spazi verdi; chiederebbero più spazio fisico e psicologico nel quale potersi muovere o anche più coccole e più intimo dialogo. In definitiva scopriamo che i cosiddetti “capricci” nascondono dei bisogni importanti e veri, che i bambini non sempre riescono ad esprimere chiaramente.

 

10.  Sforziamoci di comunicare con il dialogo sentimenti positivi

 

 

 

Molte volte l’ansia e la tristezza che ci pervadono, le difficoltà della vita, le brutture che ci circondano, gli incontri infelici, ci spingono a vedere il mondo, la vita e gli altri con sconforto ed eccessivo pessimismo. Lo stesso pessimismo e sconforto sentiamo anche nei riguardi di nostro figlio con problemi psichici: “È fatto così”– “È fatto male”– “Non c’è nulla da fare”– “Non può cambiare”– “Ogni cosa che facciamo non serve a nulla”. Queste frasi o questi pensieri, se da un parte limitano e castrano le nostre potenzialità, nel contempo scoraggiano e avviliscono un bambino già provato. Per tali motivi il suo malessere si accentua e si aggrava. Cerchiamo invece, per quanto possibile, di offrire loro un sano ottimismo, fatto di speranza e fiducia nel mondo, negli altri ma, soprattutto, in sé stessi.

11. Inseriamo sempre nel dialogo una carica e una partecipazione affettiva ricca, tenera e calda.

Le parole e gli incoraggiamenti nei confronti dei bambini con disturbi psicoaffettivi, se sono ricchi di amore e di una partecipazione tenera e calda sono in grado di aiutarli ad essere più sereni e con meno tensioni e paure. È questa maggiore serenità interiore che può contribuire alla loro maturazione e allo sviluppo della loro personalità, con conseguenze positive sul comportamento. Ciò possiamo ottenere dicendo la parola giusta al momento giusto, dando il nostro sostegno, il nostro conforto e soprattutto valorizzandoli. Ognuno di noi ha bisogno che qualcuno metta in risalto le nostre qualità e capacità e non i limiti e i difetti. Questo ci fa sentire bene, ci dà sicurezza, forza, coraggio, ci fa affrontare meglio e con più grinta la vita. La disistima da parte dell’altro, soprattutto se viene da un genitore, visto come l’essere umano più importante della sua vita, spinge i figli alla chiusura, alla tristezza, all’abbandono, allo sconforto e alla rinuncia. Oppure, al contrario, ad una maggiore irritabilità, scontrosità, se non proprio ad una chiara aggressività.

12.  Partecipiamo ai vissuti del bambino.

Nostro compito è anche partecipare ai suoi sentimenti, ai suoi vissuti, alle emozioni del momento, in modo tale che i suoi bisogni diventino i nostri bisogni, la sua sofferenza diventi la nostra sofferenza, i suoi desideri diventino i nostri desideri. In tal modo attueremo una piena partecipazione e condivisione di pensieri, sentimenti ed emozioni che rinsalderanno il nostro legame reciproco, illumineranno di gioia la sua vita, riscalderanno il suo cuore, offrendogli certezze e speranze.

13.  Comunichiamo ciò che gli è utile.

Non sempre si può comunicare tutto. Se il dialogo genitori–figli è fondamentale in un processo educativo, è vero anche che non sempre si può far partecipare di tutto i minori. Ci sono delle cose che sono appannaggio degli adulti e devono rimanere nell’ambito degli adulti. I bambini non dovrebbero essere coinvolti in argomenti che non sono in grado di capire, né essere resi complici in situazioni che potrebbero spaventarli, metterli in ansia o crear loro conflitti interiori. Pensiamo, per esempio, alle avventure sentimentali e sessuali che i genitori separati o le ragazze madri, tendono a comunicare ai figli. Pensiamo alle liti e alle beghe con i parenti o i vicini, nelle quali i genitori spesso sono coinvolti, ma ci riferiamo anche alle ansie e paure, delle quali gli adulti possono essere vittime. Queste, se comunicate ai bambini, rischiano di provocare loro una continua sensazione di pericolo imminente: “Non fare questo perché è pericoloso”- “Non fare quest’altro perché puoi morire o fare morire i tuoi genitori”.

Cerchiamo, invece, di comunicare ciò che può essere loro utile, ciò che può migliorare la loro serenità e il loro benessere interiore. Teniamo per noi tutto ciò che potrebbe accentuare il loro turbamento, le loro ansie, i loro timori. E infine proteggiamoli da tutto ciò che potrebbe metterli in conflitto con se stessi o con le persone che vorrebbero e dovrebbero amare e rispettare .

14. Il dialogo dovrebbe essere sereno, gentile e delicato.

 Cerchiamo di dialogare in modo sereno e tranquillo. “Il nostro compito è creare le condizioni per cui la voce della ragione possa essere udita e seguita. Se ci agitiamo e mettiamo in ansia, non riusciamo a far parlare quella voce così flebile, e se nostro figlio teme il nostro disappunto e le nostre punizioni, non sarà in condizione di starla ad ascoltare”.[2]

Ci appare superfluo ricordare di evitare i modi bruschi, le parole aspre che umiliano, che offendono, che allontanano e spaventano. La televisione e gli altri mass media ci stanno sempre più abituando all’uso di parole “pesanti” e offensive, usate da “eroi” aggressivi e prepotenti. Questo tipo di linguaggio non è mai utile e opportuno, anche perché il bambino rischia di farlo proprio. Pertanto tenderà ad usarlo dapprima con i suoi compagni e fratelli e successivamente, quando sarà più grande, quando non avrà più timore degli adulti, vi è il rischio concreto che lo usi proprio contro i genitori, gli altri familiari, oltre che verso gli insegnanti e gli altri educatori. La gentilezza, la dolcezza e l’accoglienza nei modi e nelle parole ripagano sempre, in quanto procurano simpatia, calore umano e benessere alle persone che ci circondano. Queste, prima o poi ci ricompenseranno con altrettanta gentilezza e dolcezza.

A

[1] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p. 149.

[2] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p.150.

 

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