Aggressività e sfiducia negli altri e nel mondo

Aggressività e sfiducia negli altri e nel mondo

Aggressività e sfiducia negli altri e nel mondo

 

I racconti di Marcello

 I racconti di Marcello, un bambino di sei anni, sono un vivido ritratto dell’ambiente familiare e scolastico nel quale viveva e con il quale era costretto a relazionarsi giornalmente.

Primo racconto

C’era una volta un deficiente che si chiamava Gianmarco. Un giorno la madre gli ha detto: “non buttare quella pianta se no ti ammazzo”, lui che era un deficiente è andato in balcone e butta la pianta sotto, e pensa: “Ora mia mamma mi ammazza”. C’era un aeroplano e disse: “Ancora peggio perché la pianta può rompere l’aeroplano”. L’aeroplano si è schiantato nel palazzo sono morte duemila persone. La madre disse: “È andata la casa a fuoco?”, e il bambino disse di sì. La madre l’ha buttato dalla finestra.

Secondo racconto

C’era una volta il mio compagno Stello. Una volta aveva fatto una scemenza stupida -stupida. Noi abbiamo un balcone a scuola. Lui ha fatto uscire la maestra, ha preso le piante e le ha buttate fuori. E la maestra lo ha rimproverato e mandato dal direttore. Una volta ha fatto lo stupido e la maestra ha chiamato la madre che lo stava ‘miscando” (picchiando). Lui è entrato come un cagnolino. Il direttore ha chiamato la mamma, che gli ha alzato le mani e lui è morto. Lo hanno sepolto a scuola e ai funerali hanno chiamato anche le autorità degli Stati Uniti.

Terzo racconto

C’era una volta Cristiano Bestia. Un giorno è voluto andare dalla maestra e gli ha chiesto: “Posso andare in bagno?” E la maestra gli dice: “No! Te lo scordi!” E poi Cristiano si fa la pipì addosso. Hanno dovuto chiamare i pompieri e gli hanno dato una mutanda dei pompieri. Stava scrivendo un compito di matematica e doveva fare 1+1, lui pensa quanto fa e scrive 1000. Così la maestra di matematica lo ha sbattuto fuori e gli ha rotto la testa. La maestra ha chiamato sua mamma e gli ha detto: ”Lo scriva in un’altra scuola!” Sua mamma è grossa e a Cristiano gli ha dato una botta facendolo sbattere (fuori) dalla finestra. Sotto c’era un’autombulanza, l’hanno messo lì e ricoverato al pronto soccorso. Era tutto rotto tranne il cuore. L’hanno dimesso sulla sedia a rotelle. È tornato a scuola e gli ha chiesto di nuovo alla maestra se poteva uscire e la maestra gli ha dato un altro schiaffo e l’hanno ricoverato di nuovo. Ritornato di nuovo a scuola con la sedia a rotelle, ha chiesto di nuovo di uscire, l’hanno sbattuto al muro e alla fine muore.

Quarto racconto

C’era una volta Stello e sua madre, che erano andati al mare e poi Stello ha chiesto alla madre se poteva fare il bagno ed è annegato, perché non sapeva nuotare. Sua mamma lo ha chiamato: “Vieni qui cretino!” E gli ha dato una timpulata (uno schiaffo), e così lui è morto nel mare. C’era il suo fantasma, sua mamma si è spaventata e gli ha dato un calcio. Lui è morto di nuovo e la cosa si è ripetuta tante volte.

Quinto racconto

C’era un ragazzo di nome Giacomo di un anno. La mamma esce a fare la spesa il bambino accende il fornello e incendia tutta la casa. Poi si arrampica al balcone e si butta giù, facendosi malissimo al cervello. Il pompiere arriva e dice: “Ma che cavolo fai?” Muore. Lo portano in chiesa e al cimitero. Poi il suo fantasma ripercorre la stessa storia per duecento volte e poi muore per sempre.

Sesto racconto: Desiderio di adozione

“C’era una volta un bambino che si chiamava Marco e si era perso. Un giorno ha trovato una casa e ha pensato di entrarci. C’erano tante cose vecchie e poi è uscito a giocare. Poi si è annoiato e se ne andato nel bosco. Nel bosco c’erano un maschio e una femmina grandi. Hanno trovato questo bambino ed hanno pensato di adottarlo. Sono tornati a casa e il bambino non era più solo”.

I racconti di Marcello non hanno bisogno di molti commenti, in quanto la quotidiana realtà di un certo tipo di scuola e di famiglia ne esce vivida e realistica: le botte, gli schiaffi, le aggressioni fisiche e verbali descrivono un ambiente e dei comportamenti educativi sicuramente poco consoni allo sviluppo di un bambino di sei anni. Come si può notare dai racconti, gli adulti: la madre, l’insegnante, il direttore, non sono mai sotto accusa. Sotto accusa sono gli stessi bambini, cioè le vittime. Come dice Giancarlo Tirendi: “L’odio provato per il genitore maltrattante verrà spostato su altri oggetti, consentendo così di conservare una buona relazione con il padre (o la madre) a livello cosciente”.[3]

L’ultimo racconto è però molto diverso dagli altri. In questo il protagonista: Marco, sente prepotentemente il bisogno di allontanarsi dalla sua famiglia nella quale vi era un clima violento. Tanto che inizialmente si accontenta di restare da solo. Solo successivamente emerge il desiderio di cercare una coppia di genitori diversi dai suoi che possano adottarlo.

 

 

Il racconto di Tonino

"Lupi travestiti d’agnelli"

“C’era una volta un lupo che passeggiava e in giro c’era un agnellino. Questo lupo si nascondeva e diceva all’agnellino: “Sei carino e bellino e da mangiare!” L’agnellino impaurito, va dai genitori che poi vanno a chiedere spiegazioni al lupo: lui risponde che non è vero che voleva mangiarlo.

Il lupo esce dalla tana, va dall’agnellino e gli dice: “Hai detto ai tuoi genitori che ti voglio mangiare?” “Sì dice l’agnellino”. Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno. Così il lupo grande non lo mangia. Così gli dice il lupo piccolo: “L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare”. Una sera spunta il lupo, l’agnellino era con i genitori. Il lupo saluta i genitori e loro ricambiano. I genitori volevano sapere come mai lui non avesse mangiato l’agnellino, perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino.

Da notare intanto in questo racconto di un altro bambino, Tonino, come le parole più frequenti siano: “lupi, mangiare ed agnellino”. Queste tre parole colorano di notevole, incredibile violenza e angoscia tutto il racconto. La seconda cosa da evidenziare è che i personaggi hanno continuamente degli atteggiamenti ambivalenti: a volte sembra vogliano proteggere la piccola, fragile vittima, mentre in altri momenti la tradiscono o sono ansiosi di aggredirla e sbranarla o farla sbranare. Pertanto, insieme alla paura della violenza estrema nel bambino: l’essere mangiato, pur essendo buono, piccolo e docile come un agnellino, vi è l’assenza di ogni speranza e di ogni fiducia negli altri, anche nei cosiddetti “amici” che sono pronti in ogni momento a tradirti. Il lupacchiotto che sembra proteggere in un primo momento l’agnellino (Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno) un momento dopoè pronto a darlo in pasto alle sue fauci (L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare). Questa sfiducia si allarga, in un terribile crescendo, anche ai propri genitori! (perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino).

Tutto ciò rispecchia le realtà interiori di questi bambini i quali, in seguito ai comportamenti dei genitori e degli adulti aggressivi, perdono ogni punto di riferimento affettivo e ogni sicurezza nell’ambiente che li circonda. Quali certezze avere, su chi e su che cosa poter contare e avere fiducia, quando le persone che lo picchiano frequentemente nei momenti di irritazione ed insofferenza sono le stesse che in altri momenti lo hanno abbracciato, baciato e consolato?


Il racconto di Daniela

"Un cuore stanco di essere picchiato"

Le violenze subite da Daniela prima dell’adozione si riflettono in questa storia:

  

“C’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori. Lo picchiavano perché combinava guai. Il cuore è andato via e si è sposato, ha avuto dei figli: una si chiamava Emanuela e l’altro si chiamava Marco. Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli, ( a me non piace quando picchiano i figli!) E vissero tutti felici e contenti.”

Innanzi tutto è da notare come la bambina metta in evidenza non il dolore del corpo che subisce le botte dei suoi genitori ma il cuore (c’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori), come a voler sottolineare che la cosa che soffre di più, in seguito alle violenze subite è soprattutto l’animo del bambino. Anche questa bambina, almeno in parte giustifica queste violenze (lo picchiavano perché combinava guai). La bambina cerca di sfuggire a questo ambiente violento, sognando di sposarsi ed avere dei figli e quindi avere una famiglia propria nella quale non si picchiano i bambini ed i genitori vanno d’accordo. Famiglia che rispecchia, in realtà, quella adottiva dove la bambina ormai viveva (Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli).

Il racconto di Francesca

 

"Francesca e le automutilazioni"

Il racconto che riportiamo è di una bambina che viveva in una famiglia nella quale il padre, disoccupato, evitava per quanto possibile di farsi coinvolgere dai problemi familiari ma, quando si accorgeva che la moglie ed i figli avevano dei conflitti e gridavano, esplodeva aggredendo sia la consorte che i figli. La madre, d’altra parte, si descriveva come una donna molto ansiosa ed irritabile, che aveva instaurato un pessimo rapporto con i suoi bambini, specie con Francesca, con la quale litigava spesso.

 

“C’era una volta una signora di nome Nicoletta. A questa piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone e poi ritornò a casa a preparare il mangiare. Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio”.

 

Questo truce racconto evidenzia il grave conflitto e l’atmosfera costantemente aggressiva esistente nell’ambito familiare. Nei confronti della madre la bambina, indirettamente manifesta un giudizio molto severo, quasi feroce.

Nel racconto che la bambina fa vi è una donna che vive la sua vita serenamente e tranquillamente, raccogliendo fiori e facendo spese voluttuarie (A questa (signora) piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone). Questa signora, però, sembra non accorgersi minimamente di quanto avviene nella sua famiglia e a carico dei suoi figli (Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio.)

 

Due racconti di Giulio

L'aggressività e la sfiducia verso tutto e tutti sembrano regnare anche nei racconti di Giulio. Un ragazzo di dieci anni che presentava disturbi psicologici con grave ritardo nell'apprendimento, paure, tristezza, facile reattività, timidezza, insicurezza, chiusura, difficoltà nella socializzazione, litigiosità e scontrosità. 

Primo racconto

C'era una volta Sabrina e Santina che combinavano sempre danni ed erano le migliori amiche. Un giorno hanno ucciso cinque persone ciascuna perché si erano rubata la bicicletta, una macchina e un mitra. Un giorno di questi sono diventate miliardarie, si sono comprate una villa, un garage e una macchina velocissima e una moto più veloce del mondo.

Si sono comprate tutte le armi del mondo per uccidere tutto il mondo. Hanno ucciso tutto il paese perchè non avevano niente da fare. E' morta Sabrina e poi Santina ha rubato tutto: casa. macchina, e poi ha ucciso di nuovo tutto il paese. 

Secondo racconto

C'era una volta Sabrina che faceva la monella. Dentro casa aveva un carrarmato e un mitra. Era molto ricca. Una volta Santina guardava sempre Sabrina. Santina non aveva un carrarmato. 

Sabrina usciva per sparare a tutti, era cattiva.

Domanda del terapeuta: "Perché era cattiva?"

Era cattiva perché la facevano arrabbiare, non aveva né famiglia, non aveva nessuno.

Poi Santina si compra un grande carrarmato con cannone e mitragliatrice e spara a Sabrina. Sono morti tutti tranne loro due. 

Poi alla fine ... si sono beccate tutte e due insieme. Sabrina ha uscito la pistola e Santina è scappata via e sono morte.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 

 

 


"I bambini raccontano - Interpretazione dei

 

 

 

racconti infantili".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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