L'amicizia nei racconti dei bambini

L'amicizia nei racconti dei bambini

 

Gli amici sono persone che hanno un legame tra loro, a causa dell’età, del lavoro o degli interessi e problemi comuni. Gli amici sono quindi persone che amano frequentarsi per dialogare, giocare e discutere di temi di interesse comune: come lo sport, il cinema, il teatro, la musica. Nelle relazioni amicali vi è certamente una carica emotiva ed affettiva. Per tali motivi in queste relazioni sono importanti il rispetto, la sincerità, la lealtà e la disponibilità reciproca. Anche nei bambini l’amicizia significa dialogo, accoglienza, aiuto reciproco, ascolto e, soprattutto, gioco, indispensabile per sviluppare e maturare tutte le loro capacità.

Nell’amicizia è spesso presente un legame affettivo, che può essere molto tenue e limitato nel tempo ma che, in alcuni casi, può essere molto intenso, solido e duraturo. L’amicizia può instaurarsi anche nei confronti degli animali, giacché anche questi sono capaci di emozioni e sentimenti e amano rapportarsi, mediante il gioco e le specifiche capacità comunicative, con gli esseri umani.

In questi racconti leggeremo molti tipi di legami di amicizia.

 

L’autore di questo racconto è Lorenzo, un bambino di otto anni che presentava disturbi psicoaffettivi di grado medio. Questi disturbi si manifestavano con sintomi importanti come la chiusura, l’inibizione, le numerose e intense paure, l’irrequietezza, la facile irritabilità. Lorenzo, nei confronti della sorella gemella, aveva instaurato un rapporto difficile e conflittuale. Anche con il padre, un uomo impulsivo, che andava facilmente in collera, non vi sussisteva un buon legame.

 

Un albero solo che vuole compagnia

C’era una volta un albero in un prato. Era da solo, perché gli altri alberi erano morti, perché non avevano messo dell’acqua. L’albero voleva compagnia e si sentiva solo. Un giorno qualcuno ha messo un seme e sono nati altri alberi e l’albero più grande li curava. Così sono diventati alberi grandi e hanno potuto giocare. Mentre giocavano e passato un uccello e li ha salutati e loro hanno risposto.

Il bambino si identifica con un albero, che si trova da solo in un prato. L’albero è solo, triste e sofferente perché gli altri alberi sono morti per mancanza di cure e solo lui ha resistito (Era da solo, perché gli altri alberi erano morti perché non avevano messo dell’acqua). L’albero spera di poter aiutare nella loro crescita degli altri alberelli, nati attorno a lui, affinché possano diventare grandi e così poter giocare assieme.

Da questo racconto si può ragionevolmente supporre che il bambino, che soffriva per la mancanza di cure adeguate e per la solitudine, desidera e aspetta uno o più fratellini da curare quando sono piccoli, per poi, quando saranno più grandi, poter giocare con loro.

Rimane da esaminare l’ultima frase: “Mentre giocavano e passato un uccello e li ha salutati e loro hanno risposto”.

Gli uccelli, per la leggerezza e tenerezza che suscitano, rimandano alla felicità, alla gioia e alla libertà. È come se il bambino dicesse: “Una volta che avrò trovato l’amicizia e l’affetto di qualche fratellino con il quale giocare, sarò finalmente libero e felice come lo sono gli uccelli nel cielo”.

Il disegno dell’albero, potrebbe rappresentare lo stesso bambino, piegato dalla sofferenza, ma fiducioso che qualcosa attorno a lui possa migliorare. Da notare che l’albero è a sinistra del foglio e che il tronco è piegato sempre a sinistra. Da ciò si può dedurre che questo bambino presentava ancora una dipendenza emotiva dal passato e un attaccamento all’ambiente originale. La presenza di chiazze sul tronco conferma la presenza in Lorenzo di problematiche interiori non risolte. Il sole, in parte oscurato dalle nuvole, ci conferma che nella psiche di questo bambino erano presenti pensieri malinconici ed elementi depressivi e che il rapporto con la figura paterna non era piacevole e gratificante.[1]

 

Emilio, un bambino di nove anni, presentava disturbi psicologici che si manifestavano con un ventaglio di sintomi: paura della scuola e dei luoghi pubblici, somatizzazioni ansiose, disturbi del sonno con precoci risvegli, paura di rimanere da solo nella stanza. Anche la notte aveva bisogno che qualcuno dormisse insieme a lui. Inoltre, erano facili e frequenti i litigi con la sorella.

 

Il giardiniere

C’era una volta un prato coltivato da un giardiniere. Alcune persone andavano ad osservare. Le persone hanno detto che non gli piace come ha coltivato. Il giardiniere era dispiaciuto e quindi che aveva un amico lo poteva aiutare (il giardiniere ha pensato di farsi aiutare da un amico). Dopo un giorno, le persone passarono di nuovo a vedere e hanno detto: “Che splendido giardino!” Grazie al suo amico lo ringraziò e lui era molto felice di avere costruito un bel giardino.

I bambini sanno che, per costruire attorno a loro un ambiente piacevole e rasserenante, come può essere un bel giardino, è necessario avere degli amici. L’amicizia è capace di infondere nell’animo di ogni bambino, specie se sofferente, la gioia e la serenità necessarie al proprio benessere e al proprio sviluppo affettivo - relazionale.

Emilio inserisce nel disegno tutti gli elementi che potrebbero rendere bello il giardino che, in questo caso, simboleggia la sua vita. Pertanto, vi disegna gli alberi, i fiori, gli insetti, gli uccelli e il sole. Tuttavia, è da notare il colore del sole, che non è chiaro e brillante come ci si aspetterebbe e la presenza di nuvole nel cielo. Questi due elementi intristiscono e disturbano l’atmosfera, per il resto gradevole.  

Leggendo il racconto è facile notare la difficoltà, presente in questo bambino di nove anni, nell’organizzare e strutturare le frasi (Le persone hanno detto che non gli piace come ha coltivato. Il giardiniere era dispiaciuto e quindi che aveva un amico lo poteva aiutare) (Grazie al suo amico lo ringraziò). La causa di queste anomalie è da collegare alla notevole inquietudine interiore, presente nella sua mente.

 

Dèsirée, una bambina di otto anni, presentava ritardo nell’apprendimento della lettura e della scrittura, difficoltà di integrazione con i coetanei, tendenza alla chiusura e alla solitudine, paura di allontanarsi dalla sua abitazione e dai suoi familiari.

 

 

Tre amiche

C’erano una volta tre bambine di nome Camilla e Francesca, e stavano giocando a raccogliere fiori; poi viene una sua amica di nome Laura. Francesca dice: “Vuoi raccogliere i fiori con noi?”. E Laura dice: “Sì”. E si mettono a raccogliere fiori. Poi Camilla dice: “Mi hanno dato tre inviti a una festa e voi, se volete, potete venire”. E loro: “Veniamo, veniamo!”.

Dopo vanno alla festa e poi avevano sbagliato strada che portava al circo, allora la sua amica Laura disse: “Non vi preoccupate, vi accompagno io alla festa, quando finisce andiamo al cinema”. Le amiche vanno al cinema e si siedono e hanno guardato un film. Poi non sono andati a casa. La sua amica dice: “Andiamo allo zoo?”. E loro: “Si”. Sono andate allo zoo a vedere il leone, la scimmia e il panda. Poi si è fatta sera e Francesca dice: “Andiamo a casa”. Sono andate a casa, la madre chiede dove sono state e loro rispondono: “Al cinema, allo zoo”. E poi sono andate a dormire.

È come se la bambina, in questo racconto, avesse raccolto tutti i propri sogni e desideri: trascorrere una giornata felice con la compagnia e l’affetto delle amiche; con queste giocare a raccogliere fiori; andare ad una festa, al cinema e infine, entrare allo zoo per osservare gli animali. Sogni e desideri certamente legati alla sua età ma che, a causa delle sue condizioni psichiche, non era mai riuscita a soddisfare.

La bambina disegna le tre amiche con un’evidente sproporzione tra gli arti inferiori e il resto del corpo (figura 48). Ancora una volta il suo desiderio si scontra con la realtà. Lei vorrebbe essere grande e fare delle cose da grandi (rappresentate nel disegno dalle gambe lunghe sue e delle sue amiche) purtroppo non solo non ha un’età da “grande”, ma non lo è neanche affettivamente ed emotivamente.

La dimostrazione più evidente di ciò è l’aver disegnato il corpicino proprio e quello delle sue amiche molto piccolo, quasi insignificante, sopra delle lunghe gambe. L’immagine della sua tristezza e inquietudine la possiamo veder rappresentata nel cielo, sotto forma di una serie di nuvole.

 

 

 

 

 

Serena- Primo racconto

 

Due amiche

C’erano una volta due amiche, una si chiamava Marialuna e l’altra Giulia. Avevano otto e nove anni. Un giorno, quando dovevano andare a scuola, dovevano entrare alle undici e quindi stettero un po’ insieme. Il giorno dopo la scuola stettero nuovamente insieme e si divertirono.

Serena, un’altra bambina di otto anni, in questo racconto evidenzia soprattutto il piacere di stare insieme ad un’amica, approfittando di qualche ora nella quale non vi è lezione.

È evidente in questo disegno (figura 49), rispetto a quello della bambina della quale abbiamo parlato sopra, una maggiore armonia nei corpi disegnati, il che ci conferma la maggiore maturità affettiva e la migliore condizione psicologica di Serena, rispetto a quella di Desirée, che aveva la stessa età, ma che presentava numerosi e intensi disturbi psicologici.

 

Serena- Secondo racconto

 

Il piacere dello shopping

C’erano, una volta, tre amiche che si volevano bene. Un giorno andarono a prendersi un gelato, dopo andarono a fare shopping e comprarono vestiti. Marialuna comprò cinque vestiti, tre gonne e due magliette; io cinque pantaloncini, cinque magliette e due paia di scarpe: Gabriella comprò cinque vestitini, un pantaloncino e tre magliette. Poi hanno cenato insieme e. il giorno dopo. si sono messi i vestiti nuovi. E soprattutto io ero contenta, con i pantaloncini. Un giorno uscirono di nuovo a fare shopping e incontrarono un altro bambino di nome Simone, molto bello. Due già erano innamorate di lui, ma lui era già fidanzato. Erano contente di averlo incontrato e hanno fatto shopping con lui.

Anche in questo racconto di Serena sono presenti vari indiscussi elementi presenti nelle relazioni tra amiche che si vogliono bene: il piacere di prendersi un gelato; la gioia di fare shopping in abbondanza, senza crearsi problemi di denaro;il cenare insieme; il godere nel pavoneggiarsi con i vestiti appena comprati (il giorno dopo si sono messi i vestiti nuovi. E soprattutto io ero contenta con i pantaloncini); quindi l’immediato innamoramento nei confronti di un ragazzo “molto bello” ma purtroppo già fidanzato! Infine, la felicità di fare shopping anche con questo bel ragazzo.

Da notare in entrambi i disegni (figure 49 e 50), l’attenzione tutta femminile posta nei vestiti e nei particolari dell’abbigliamento.

 

Roberta, una bambina di sette anni, veniva descritta come una bambina apatica, chiusa, irritabile, irrequieta, la quale presentava numerosi sintomi di sofferenza psicologica: somatizzazioni ansiose; fobie e atteggiamenti e comportamenti infantili. Inoltre, Roberta aveva difficoltà nell’impegnarsi in qualsiasi cosa le si chiedesse ed eccessive reazioni di difesa e paura verso gli stimoli esterni.

 

Amicizia tra un delfino e una balena

C’era una volta una piccola balena che si chiamava Giosuè, che andava in giro e si allontanava dalla mamma. Era felice e un giorno ha incontrato un delfino piccolo di nome Kevin e si misero a giocare a nascondersi e lottare. Dopo la mamma non li ha più visti e si sono messi a cercarli. Dopo li hanno trovati e gli hanno detto di non allontanarsi più e non dovevano più uscire da soli. E il delfino e la balena hanno fatto amicizia e stavano nella casa insieme.

La bambina proietta il proprio desiderio di amicizia sugli animali allo scopo di trovare qualcuno con il quale giocare (Era felice e un giorno ha incontrato un delfino piccolo di nome Kevin e si misero a giocare a nascondersi e lottare). La mamma va a cercarla e la rimprovera per essersi allontanata. La fine del racconto fa capire come il bisogno di autonomia si contrapponga ai richiami dei genitori e alle eccessive richieste di una maggior prudenza. Cosa che può impedire la possibilità di instaurare delle nuove, preziose amicizie.

 

 

 

Giuseppe – Primo racconto

 

Si può essere amici anche di un drago

C’era una volta un drago che si chiamava Fuoco e un bambino che si chiamava Giuseppe. Questo drago viveva in una grotta, mentre il bambino in un castello. Un giorno il bambino si reca nella grotta e vede il drago che era buono. Fanno amicizia e siccome altri cavalieri non volevano che lui lo toccasse, il drago e il cavaliere scapparono e vissero felici e contenti. Un giorno gli altri cavalieri li attaccarono, ma il drago sputava fuoco e uccise i cavalieri e distrusse il castello. Tutti e due vissero felici e contenti nella grotta.

Anche i maschi raccontano delle amicizie ma, come possiamo leggere, i loro racconti sono alquanto diversi da quelli delle femminucce: essi raccontano frequentemente di castelli, cavalieri, armi, spade e lotte senza quartiere.

Giuseppe, un ragazzino di dieci anni, racconta di un’amicizia con un drago (figura 52). Quest’amicizia non è accettata dagli altri cavalieri. Tuttavia, questo legame è tanto solido che il drago e il bambino fuggono insieme per vivere felici. E anche quando i cavalieri li attaccano il drago “Fuoco” li distrugge, sputando fiamme dalle sue fauci.

I disturbi psicologici di Giuseppe, sono evidenti in alcuni elementi del racconto. Intanto è strano che egli, vivendo in una invidiabile dimora principesca, come un castello, trovi un ambiente di vita più sereno e felice in una semplice e umile grotta, nascosta e lontana dagli altri esseri umani (Tutti e due vissero felici e contenti nella grotta).

La fragilità psichica di Giuseppe è evidente anche dal fatto che per difendersi ha la necessita di chiedere l’aiuto di un drago, un essere enorme, forte e aggressivo e non in un altro essere umano (Un giorno gli altri cavalieri li attaccarono, ma il drago sputava fuoco e uccise i cavalieri e distrusse il castello).

Il motivo di questa scelta risiede nella difficoltà che i bambini con disturbi psicologici hanno quando cercano di far amicizia con i compagni, a causa delle loro paure e dell’eccessiva timidezza e chiusura che spesso è presente nella loro mente.

Questi bambini a volte non provano neanche ad intrattenere dei rapporti sociali e, quando li cercano, spesso non riescono a ben gestirli e mantenerli, a causa delle difficoltà che hanno nel confrontarsi, comunicare e giocare in maniera adeguata.

Apparentemente incomprensibile è la necessità di Giuseppe di distruggere il castello. Questa necessità si può spiegare soltanto con la sfiducia che egli aveva nei confronti del suo ambiente familiare e sociale, nel quale non si trovava a suo agio a causa di una madre eccessivamente ansiosa e di una nonna problematica.

Giuseppe – Secondo racconto

 

Giochi irruenti

C’era una volta un gruppo di tre amici che giocavano alla playstation e dicevano parolacce. Giocavano a vari giochi e si buttavano addosso. Uno si chiamava Thomas e lui si metteva nel covo anti-Salvatore, mentre gli altri, Salvatore e Samuele si buttavano di sopra. Io, quando entravano nel covo, prendevo a calci Salvatore per farlo uscire. Un giorno abbiamo rotto tutta la stanza, è entrata la zia di Giuseppe, ci ha sgridati e siamo andati tutti a casa.

I giochi amicali dei maschi tendono ad essere aggressivi e irruenti, soprattutto se questi presentano, come Giuseppe, disturbi psicologici di una certa importanza.

 

 

Dei cinghiali per amici

Una coppia di genitori, che hanno due figli ancora piccoli e insieme vanno a fare un picnic in campagna ma, mentre mangiano, sentono dei cinghiali. Per non farli scappare gli danno da mangiare e così i cinghiali si avvicinano di più a loro e si fanno accarezzare, conquistando la loro fiducia. All’inizio gli lasciavano il cibo, ma pian-piano glielo davano da vicino. Dopo averli accarezzati, era quasi buio, e se ne vanno, felici di averli accarezzati. I cinghiali si fanno una tana lì vicino.

Questa strana amicizia con i cinghiali può forse essere spiegata dal fatto che Giulio era spesso vittima dei comportamenti e degli atteggiamenti sprezzanti dei compagni di scuola, a causa del suo aspetto poco gradevole. È come se Giulio dicesse: “Se sono escluso e allontanato dai bambini normali, perché non sono grazioso e bello come loro, gli unici possibili amici che potrei avere sono degli animali che hanno un aspetto sgradevole come il mio!”

 

Alessio, un bambino di sei anni, venuto alla nostra osservazione per problemi di fobia scolare, in questo racconto ci trasporta in un mondo magico, abitato da maghi, elfi e streghe.

Il tema della solitudine, e della difficoltà di avere degli amici è frequente nei racconti dei bambini. Spesso noi operatori tendiamo a collegare le difficoltà d’integrazione e socializzazione, quasi in modo esclusivo, ai bambini che presentano sintomi di autismo. In realtà tutti i bambini che lamentano problematiche psicologiche hanno, in vario grado, come abbiamo visto in tanti racconti, difficoltà nell’integrazione e nella socializzazione, soprattutto con i coetanei.

Un elfo va alla ricerca di amici

C’era una volta un elfo che non aveva amici. Un giorno, per cercare di avere amici, andò da un mago e gli chiese se aveva una pozione per fargli avere molti amici, ma il mago gli rispose che non ne aveva e per avere questa pozione magica doveva battere, in un castello, una strega. L’elfo andò in questo castello. Prima di arrivare dalla strega ha dovuto salire cento scale. Quando arrivò all’ultimo piano, dove c’era la strega, gli disse che la voleva sfidare e la strega gli disse di sì. Dopo un po’ di tempo l’elfo è stato battuto, e gli ha detto che ritornava molto più forte. L’elfo decise di andare a casa per allenarsi. Si allenò per cinquant’anni, poi decise di ritornare al castello, però, per arrivarci, ha dovuto affrontare un serpente velenoso e lo sconfisse. E l’elfo gli disse se voleva aiutarlo a battere la strega e il serpente gli disse di sì, cosi andarono avanti. Poi ha incontrato un grosso lago, nel quale non c’erano barche. Poi l’elfo vide un cavallo che poteva volare e gli chiese se poteva trasportarli fino alla fine del lago, per andare al castello. Quando sono arrivati il cavallo gli ha chiesto se poteva venire con l’elfo e l’elfo gli disse di sì e andarono avanti. Poi incontrarono un muro fortissimo e insieme, tutti e tre, si chiesero come passare il muro. Lo sentì un uomo roccioso e gli disse: “Vi posso aiutare io”. E distrusse il muro. Alla fine, l’elfo gli chiese se voleva andare con loro e battere la strega e arrivarono al castello e tutti insieme riuscirono a battere la strega.

Il bambino, che aveva notevoli difficoltà ad integrarsi con il gruppo dei pari, si identifica con un Elfo, una creatura piccola e nascosta che ha, tuttavia, un disperato desiderio e bisogno di avere degli amici. Per ottenere ciò, l’unico strumento che immagina è quello di una pozione magica, che dovrebbe permettergli di sconfiggere una strega. Probabilmente Alessio, in questa sua scelta, è influenzato dal fatto che nei confronti della madre aveva un rapporto ambivalente: da una parte egli cercava le coccole di lei per rilassarsi e per diminuire la sua tensione e ansia interiore, dall’altra il bambino manifestava, nei confronti della madre un atteggiamento aggressivo e irritante, poiché non si sentiva da questa accolto e compreso.

Per arrivare alla strega e batterla dovrà soffrire e penare a lungo. Dopo aver salito cento scalini viene inizialmente battuto dalla strega. Dovrà allenarsi per cinquant’anni, per avere la possibilità di riuscire a sconfiggerla. Inoltre, dovrà superare un muro altissimo e avrà bisogno di farsi aiutare da un serpente e da un cavallo alato.

Il bambino è, quindi, consapevole delle proprie difficoltà e chiede aiuto a due realtà opposte: a qualcosa di brutto, viscido e velenoso, un serpente, ma anche a un essere esuberante, forte, slanciato e bello come può essere un cavallo alato. Insomma, per battere qualcosa di infido e negativo, e così poter avere tanti amici, egli ha bisogno di qualcosa di molto turpe e aggressivo ma anche di qualcosa di molto bello e forte.



[1] Crotti E., Magni A. (2003), Colori, Novara, Edizioni Red!, p. 51

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

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