Autismo

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Autismo, un decalogo per i genitori. Seconda parte.

Autore: Dottor Emidio Tribulato

Secondo

Impegnatevi a riservare a vostro figlio quanto più tempo possibile, per dedicarlo al dialogo, al gioco e alle coccole. Giocate, quindi, con lui per almeno un'ora al giorno, inserendovi, quando a lui fa piacere, come dei simpatici, allegri amici, nei giochi o nelle attività che vuole effettuare in quel determinato momento. Senza tener conto del tipo di gioco o dell’utilità cognitiva dell’attività da lui intrapresa. Poiché tutti i giochi, anche quelli molto semplici, ripetitivi, banali, chiaramente stereotipati o solo apparentemente pericolosi, sono preziosi per creare quella relazione profonda ed empatica tra voi e il vostro bambino. A questi giochi potrà partecipare il papà, la mamma o, ancora meglio, entrambi i genitori. Anche i nonni, gli zii o gli insegnanti e altri operatori, potranno dare il loro apporto. Tuttavia, i contributi dei genitori sono sicuramente i più validi e importanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Terzo

 

Mentre vi impegnate a far uscire dalla sua condizione di chiusura il vostro bambino, evitate di assumere, nei confronti del piccolo, un ruolo educativo e formativo poiché, nella situazione di grave immaturità affettiva ed emotiva ma anche di tensione e ansia, nel quale egli si trova, non ha senso cercare di insegnargli quello che, a vostro giudizio, potrebbe essere molto utile e adatto alla sua età cronologica. Questo tipo di comportamenti darebbe a lui molto fastidio e si convincerebbe ancor più che gli altri non comprendono i suoi bisogni e amano farlo soffrire. Mentre egli è felice e soddisfatto soltanto quando è pienamente libero di fare tutto ciò che desidera. Per tale motivo sono inutili e anche controproducenti le varie terapie, che di solito sono consigliate: logoterapia, psicomotricità, terapie comportamentali, e così via.

 

Inoltre, data la sofferenza nella quale egli vive quasi costantemente, sono per lui insopportabili tutte le imposizioni, gli insegnamenti, i richiami o i rimproveri. Al contrario gli apportano gioia, serenità e fiducia, i comportamenti dei genitori che sanno accogliere con piacere e amore ogni sua iniziativa e ogni suo bisogno. Questo impone anche di accettare i suoi strani comportamenti: soprattutto le stereotipie verbali e motorie che tanto fastidio danno ai genitori, agli insegnanti e agli altri adulti in genere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In definitiva:

 

 

 

 

CONTINUA

 

Autismo, un decalogo per i genitori - Prima parte

 

Autore: Dottor Emidio Tribulato

 

 

Dieci consigli per aiutare i vostri figli

ad abbandonare la chiusura autistica

 

 

Carissimi genitori.

Queste note sono dedicate a voi e ai vostri figli e hanno lo scopo di aiutarvi ad effettuare, quanto meglio e rapidamente possibile, quel percorso affettivo-relazionale che potrà permettere ai vostri piccoli di abbandonare, come una cosa assolutamente inutile, anzi molto dannosa, la chiusura verso gli altri e il mondo fuori di loro, che si erano imposti in un momento della loro giovanissima vita.

Conosco molto bene lo sgomento e l’ansia provata da tutti voi, nel momento in cui un vostro figlio ha ricevuto una diagnosi di questo tipo. Allo stesso modo conosco lo sbigottimento da voi avvertito quando, navigando su Internet, avete avuto, da sia il sospetto della presenza di questo tipo di problematiche nel vostro bambino che l’errato assioma sulla cronicità e quindi sulla impossibilità di guarigione da questa patologia.  

Tuttavia, se sarete disposti a mettervi in gioco e a coinvolgervi, giorno per giorno, nel relazionarvi in maniera adeguata ai bisogni di vostro figlio, sarete voi stessi a smentire queste diffuse affermazioni, riguardanti la cronicità di questa patologia, e ancor più, l’asserita presenza di elementi genetici che renderebbero questi bambini irreversibilmente “neurodiversi” dai loro coetanei e dagli altri esseri umani.  

Molto spesso vi sarete chiesto cosa è successo?

È successo che vostro figlio, in un certo momento della sua giovane vita, spinto da uno o più eventi o situazioni particolarmente stressanti o traumatiche, delle quali molto probabilmente non avete avuto alcuna colpa o responsabilità, ha pensato di difendersi dalla eccessiva ansia e tensione, provata in quei momenti, utilizzando una delle difese più arcaiche e immature, presenti nella psiche umana: la chiusura in sé stessi. Il vostro piccolo non avrebbe mai potuto immaginare che questa chiusura gli avrebbe creato così tanti problemi, poiché avrebbe impedito alla sua fragile e immatura personalità di crescere e svilupparsi normalmente. Inoltre, questo isolarsi dal mondo esterno, crescendo senza poter utilizzare le relazioni con le figure più importanti per ogni essere umano: i propri genitori, non pensava che lo avrebbe lasciato preda di numerose emozioni negative, come l’ansia, le paura, la tristezza, e soprattutto la diffidenza e la sfiducia verso gli altri e il mondo. Tutto ciò perché, il suo sviluppo psicologico, bloccato ad un’età molto precoce, non aveva ancora fatto in tempo a costruire delle efficienti difese psicologiche, adeguate nel gestire gli sgradevoli avvenimenti e percezioni interne ed esterne a lui.

 

 

 

 

 

 

L’obiettivo primario

Per fortuna le chiusure, tutte le chiusure nei confronti degli altri, come quelle che avvengono tra l’altro anche nei ragazzi e negli adulti, possono risolversi e quindi sono reversibili.  Pertanto, il vostro obiettivo primario, sarà quello di aiutare il vostro bambino ad uscire da questa condizione di parziale o totale chiusura, che gli impedisce una normale relazione con le persone che gli sono vicine, in modo tale da ritornare a crescere e a sviluppare tutte le sue capacità e ad acquisire un normale controllo delle proprie emozioni e della propria vita intrapsichica.

 

Per raggiungere questo obiettivo primario sarà indispensabile riuscire a costruire con il piccolo una relazione particolarmente piacevole, empatica, gioiosa, affettuosa e comprensiva. Solo a queste condizioni egli potrà avvertire che il mondo fuori di lui non solo non è cattivo, come egli credeva, ma è un mondo tenero e comprensivo, pronto ad accogliere ogni suo istanza interiore.  

 

Per fare ciò potrete utilizzare varie strategie, la più importante delle quali è rappresentata dal Gioco Libero Autogestito.

 

 

 

 Quando raggiungerete questo obiettivo primario: l’abbandono della chiusura in sé stessi e l’apertura verso gli altri e il mondo, egli potrà sviluppare tutte quelle capacità che sono ancora presenti nella sua psiche ma che non possono essere espresse pienamente ed adeguatamente.  

In definitiva solo nel momento in cui egli abbasserà le sue difese e abbandonerà la condizione di chiusura che si era imposta, potranno svilupparsi tutte quelle capacità che, fino ad a quel momento saranno rimaste come congelate nella sua mente: l’attenzione, la percezione, la comprensione, il ragionamento logico, l’autonomia, una adeguata socialità ed affettività e un buon controllo emotivo.

 

Quanto tempo ci vorrà per ottenere questa indispensabile apertura?

Non sappiamo in quanto tempo otterrete ciò, in quanto le variabili sono numerose: l’età del bambino, la gravità della chiusura che si è imposto, ma soprattutto la vostra capacità e disponibilità nel mettervi in gioco e attuare tutte le azioni e i comportamenti che sono indispensabili per raggiungere l’obiettivo primario che vi siete proposti. Tuttavia, la nostra attuale esperienza ci suggerisce che se i genitori si attivano e coinvolgono pienamente nel creare un’ottima relazione con il loro figlio, utilizzando la tecnica del Gioco Libero Autogestito, questo obiettivo, nei bambini con meno di cinque anni, di solito si raggiunge in meno di un anno, alcuni genitori l’hanno raggiunto in pochi mesi.

Per tale motivo, durante quest’anno o questi mesi, il vostro impegno e il vostro coinvolgimento dovranno essere notevoli, nel modificare tutti gli impegni giornalieri e i comportamenti che impediscono al piccolo di avere piena fiducia in voi genitori e nel mondo che voi rappresentate.   

Cercate pertanto di seguire, quanto meglio vi è possibile, i consigli e le indicazioni sottostanti.

Primo

Innanzitutto, poiché anche i termini usati sono importanti nel creare l’immagine interiore che ogni genitore ha del proprio figlio ma che serve a correggere l’immagine errata che gli altri hanno di questi bambini, sarebbe bene non usare, quando parlate tra di voi, con i familiari, gli amici e i conoscenti, termini che per noi sono assolutamente impropri, come: “Ho un figlio autistico”, oppure “Ho un figlio neurodiverso, neurodivergente”. Sostituite queste definizioni utilizzando frasi più aderenti alla realtà come: “Ho un bambino che presenta sintomi di chiusura autistica”. O, ancor meglio, potete tranquillamente parlare di vostro figlio dicendo semplicemente: “Ho un bambino che, in questo periodo, presenta dei sintomi di chiusura in sé stesso”.  In tal modo descriverete molto meglio e con più esattezza quello che realmente è presente e vive nella mente e nel cuore del vostro bambino.

Nel mentre cercate di avere di vostro figlio un’immagine molto diversa da quella presente oggi, create attorno al vostro piccolo un ambiente il più sereno, gioioso, caldo e accogliente possibile. Evitate, ad esempio, conflitti e scontri con l’altro coniuge, i parenti o gli altri figli. Sapendo che le liti, le urla, i rimproveri, i toni aspri, lo spaventano e, quindi, lo costringono a mantenere o ad accentuare la difesa che aveva attuato, mentre un ambiente ricco di rispetto reciproco, accoglienza e amore lo rasserena e lo spinge all’apertura e alla fiducia nei confronti del mondo che lo circonda.

 

 

 

 

 

Il Gioco Libero Autogestito nell'autismo- Domande e Risposte

 

 Autore: Emidio Tribulato

Abbiamo raccolto, in questo articolo, alcune delle domande più frequenti e le relative risposte che, in questi anni, ci sono state rivolte dai genitori, per quanto riguarda le caratteristiche e le modalità con le quali utilizzare la tecnica del Gioco Libero Autogestito nei bambini che presentano sintomi di chiusura autistica.[1]

 

Una madre racconta i progressi della figlia, mediante l'uso della tecnica del Gioco Libero Autogestito

 

Sono molto emozionata, sto scrivendo una relazione che riguarda i progressi di mia figlia e, guardandomi indietro, non riesco a credere alla strada incredibile che abbiamo fatto.

Mia figlia adesso ha 5 anni, fino a due anni non c’era stato alcun problema, poi pian piano abbiamo notato dei comportamenti strani, non in linea con la sua età. Probabilmente una serie di cose hanno contribuito a far chiudere in sé stessa mia figlia, tra cui la fine dell’allattamento a due anni compiuti (mi rendo conto che lei, col senno di poi, questa cosa l’ha vissuta come un trauma), l’inizio dell’asilo nello stesso mese (no, non era pronta), lo “spannolinamento” in un periodo sbagliato, nell’estate in cui aveva quasi tre anni. Purtroppo, si impara ad essere genitori strada facendo, e a conoscere i propri figli man mano che crescono. Mia figlia è una bambina molto sensibile, e certi approcci sono stati sbagliati. Non è detto che tutti i bambini siano pronti per andare all’asilo a due anni. Spinta dai consigli di amiche e pediatra, dovendo lavorare, e pensando si sbloccasse prima col linguaggio, abbiamo ottenuto l’effetto contrario, ovvero una chiusura progressiva della bambina.

Nei mesi successivi abbiamo cercato di darle il tempo di crescere, maturare, siamo andati anche da una pedagogista che ci ha indirizzati da un neuropsichiatra. Il neuropsichiatra ci ha, come da protocollo, indirizzati verso la psicomotricità, in quanto mia figlia non era in linea con la sua età.

A tre anni e mezzo parlava poco, socializzava poco con i coetanei. Nel frattempo, abbiamo cambiato asilo, un bellissimo asilo in cui la bambina si trova ancora molto bene. Ma nonostante il cambio di asilo e la terapia, non abbiamo visto miglioramenti significativi nel comportamento della bambina.

Un giorno, durante una seduta di terapia, sento mia figlia urlare, era una bella giornata di ottobre, si sentivano gli uccellini cantare e il cielo era sereno.

Mi sono detta cosa ci facevo lì. Perché avessi portato mia figlia in una stanzina con un’estranea per farle fare un gioco che a lei non piaceva.

Forse avrei fatto meglio, quel giorno, a portarla alla villetta.

Mi sono imbattuta nel libro del dott. Tribulato. Dopo tante ricerche, consulti e conversazioni con altri genitori che hanno problemi simili ai nostri.

Ho parlato tanto con genitori che seguono un approccio diverso, un approccio che segue le linee di pensiero del dottor Tribulato o del dottor Benedetti, dottori che mettono in risalto l’ambiente del bambino.

Abbiamo deciso, noi genitori, di lasciar perdere la psicomotricità. Mai decisione fu più giusta.

Nel frattempo, dopo aver mollato la terapia, abbiamo preso appuntamento col dottore, che ci ha spiegato come approcciarci a nostra figlia.

Niente di più facile e spontaneo. Attraverso il gioco libero autogestito, siamo risusciti a entrare in contatto con lei che, nel frattempo, nel corso di questi mesi è migliorata tantissimo.

Mia figlia comunica molto di più, parla di più, ci chiama sempre per giocare, è serena, è felice.

Il dottore la vede allineata. Noi non potremmo essere più felici.

Quando siamo soli mia figlia è molto loquace, ancora, se siamo con altre persone, non esattamente al 100%, ma ci stiamo lavorando.

In ogni caso i progressi sono tangibili per noi. Piano piano verrà meno la sua “ansia sociale”, la sua paura di mostrarsi agli altri per quello che è veramente: una bambina dolcissima, molto intelligente e, finalmente, felice.

Non potevamo prendere una decisione più giusta. I progressi del gioco libero autogestito sono stati immediati, come dice il dottore è vero che non dovremmo insegnare ai bambini piccoli, ma dar loro lo spazio per potersi esprimere e riuscire a cercare di trascorrere del tempo di qualità con loro.

Siamo cambiati tanto noi genitori, siamo più spontanei con lei, meno ansiosi e, non facendo più richieste, mia figlia è spinta ad aprirsi a parlare di più, rispetto a prima. Un anno di psicomotricità purtroppo non è servito a niente.

Abbiamo perso tempo seguendo un approccio sbagliato. Ci siamo resi conto che i veri progressi avvengono quando i bimbi sono sereni, non facendo loro continue richieste o cercando di metterli alla prova.

Il rapporto, per essere sano, deve essere spontaneo e sereno.

Adesso mia figlia parla, sorride, esprime le emozioni e anche all’asilo se ne sono resi conto. È addirittura monella, a volte dà botte agli altri bambini, ma sono modi di relazionarsi, no?

Mia figlia comincia a raccontare, prova a fare frasi sempre più lunghe, a condividere, finalmente balla all’asilo e la musica non la spaventa più. Direi che possiamo parlare come di una rinascita, di una continua evoluzione.

A settembre comincerà la scuola. L’abbiamo iscritta senza sostegno. Speriamo possa fare sempre continui progressi e che si trovi bene.

Nel frattempo, ci godiamo nostra figlia. Una bimba che finalmente non è sfuggente, ci risponde, parla, condivide. E di tutto questo dobbiamo ringraziare il dottore e la sua visione illuminata rispetto agli standard di oggi.

Una madre.

Diario relazionale

 

Questo diario ha lo scopo di aiutarvi nell'utilizzo della tecnica del Gioco Libero Autogestito con il bambino o la bambina che avete in cura.

Lo scrivere alla fine di ogni giorno i vostri vissuti e quelli del vostro bambino/a vi permette di riflettere sulla tipologia dei giochi che vi sono stati chiesti, come egli/ lei sta rispondendo al vostro approccio e infine su come voi state vivendo questo particolare tipo di relazione.  

Ricordate che:

1) Non è importante il tipo di gioco che farete insieme al bambino ma la relazione piacevole, allegra, dialogante che riuscirete a costruire.

2) Anche giochi molto semplici e ripetitivi possono essere utili e importanti.

3) Parlate poco, ma mettetevi in ascolto di quello che lui vorrebbe che faceste e che potrebbe far piacere al vostro bambino.

4) Sostenete,  incoraggiate e partecipate, divertendovi insieme al bambino, nel gioco o nell'attività che egli ha scelto di effettuare.

5) Non stimolatelo a fare o a non fare una determinata azione o comportamento.

6) L'impegno e il coinvolgimento di entrambi i genitori in questa attività è fondamentale.

 

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori e familiari?

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori e familiari?

 

 

 

 

 

 

 

Il tatto nell'autismo

 

La nostra pelle e le nostre mucose hanno la possibilità di registrare una quantità incredibile d’informazioni provenienti dal mondo esterno: dal lieve, piacevole tocco di una carezza, al dolore di uno schiaffo; dal tiepido calore del latte succhiato dal seno materno, al bruciante dolore di una scottatura. Attraverso il tatto, oltre la temperatura, comprendiamo l’intensità della pressione esercitata sul nostro corpo, la presenza nell’ambiente di vibrazioni, capiamo la consistenza degli oggetti, avvertiamo la differenza tra i vari tipi di superfici: lisce, ruvide, scivolose e così via.

Le sensazioni tattili sono collegate in maniera molto intima alle emozioni più primitive: molti piccoli di animali avvertono, mediante il tatto, il calore della madre, insieme alla sua presenza tenera e rassicurante. Attraverso il contatto corporeo i gesti materni, fatti di leccamenti, carezze e abbracci, fanno acquisire ai cuccioli l’amore e la sicurezza del mondo che li circonda. È soprattutto mediante il tatto che il piccolo essere umano si bea del piacere di succhiare, insieme al tiepido latte che proviene dal morbido seno materno, che offre nutrimento al suo corpo, anche l’affetto, l’accettazione e l’amore della madre che plasmano e arricchiscono il suo Io, rendendolo sempre più maturo, sano e forte. È attraverso il tatto che il bambino avverte dalle forti braccia del padre, la rassicurante presenza e protezione che questi è disposto a offrirgli.

Tuttavia è anche attraverso il tatto che i piccoli degli animali e dell’uomo notano la fredda atmosfera che si crea quando la madre o il padre, per svariati motivi, non hanno verso di loro le giuste attenzioni e cure o quando i genitori non hanno tempo o voglia di giocare con loro e non li abbracciano e baciano con il calore e la tenerezza che essi si aspettano. Ed è infine soprattutto attraverso il tatto che tutti i piccoli degli animali e dell’uomo avvertono l’aggressività e la violenza dell’ambiente nel quale vivono.

Sono tanti i bambini piccoli che non amano e provano intenso fastidio per alcuni contatti intimi, come l’essere baciati e accarezzati, non solo dalle persone estranee ma a volte anche da qualche familiare, come dagli zii o dai nonni.

D’altra parte come dice Benedetti (2020):

La reazione all’estraneo è una manifestazione fisiologica nello sviluppo dei bambini, utile filogeneticamente alla difesa della specie, con l’attaccamento alle persone conosciute e la diffidenza e l’allontanamento da quelle sconosciute.[1]

 

Questo comportamento si accentua nei minori che presentano anche solo modesti disturbi psicologici. Anche loro si ritraggono non solo dai baci e dalle carezze, ma a volte non accettano neppure di essere toccati dagli altri. Possiamo allora ben dire che i comportamenti di evitamento, nei confronti delle persone, non solo estranee ma anche familiari, sono collegati sia all’immaturità dei soggetti, sia alla presenza di qualche problematica psicologica.

Il massimo grado di reattività lo ritroviamo, senza dubbio, nei bambini che presentano disturbi autistici, i quali spesso si ritraggono e non accettano di essere abbracciati, baciati, accarezzati o semplicemente toccati, non solo dagli estranei ma anche dai loro stessi genitori, tanto da reagire con crisi di angoscia, aggressività o agitazione psicomotoria quando ciò avviene. In questi casi le loro reazioni sono inusuali e particolari, giacché quello che essi provano, non viene mediato da una personalità matura, complessa, integrata e serena come avviene in un bambino normale della loro età.[2]

La Williams, riferendosi ai suoi genitori ricorda: ‹‹Non li ho mai abbracciati, né mai fui abbracciata da loro. Non mi piaceva che qualcuno mi venisse troppo vicino, né tantomeno che mi toccasse. Sentivo che ogni tocco era dolore e avevo paura!››.[3]

Inoltre, poiché la sensibilità generale dei bambini con disturbi autistici, a causa della notevole tensione interiore, è notevole, essi possono odiare il contatto con alcune sostanze e amarne altre. Pertanto molti di essi, pur odiando il contatto con un altro corpo umano, amano strusciare il viso e il corpo sul pavimento, sulle tende, sui mobili, sul rivestimento delle sedie e su altri oggetti.

Come afferma De Rosa: ‹‹Un’altra caratteristica del mio autismo, di cui mi sembra di essere diventato consapevole in quegli anni, è la grande sensibilità tattile che sfocia nel vero e proprio piacere di toccare certe cose come nel fastidio di toccarne altre››.[4]

Ricorda la Williams:

Ma un giorno mi ritrovai su un sedile accanto a una grossa ragazzina di nome Elisabeth. Stava creando una persona umana con un cono di cartone e della carta. Mi attiravano i suoi capelli, tirati indietro in una lunga treccia: passavo la mano su quella treccia. Si girò per guardarmi, io mi spaventai per come il suo viso era unito ai capelli. Volevo toccare i suoi capelli, non lei.[5]

Nei bambini con sintomi di autismo, oltre che nei confronti delle persone, il rapporto della loro pelle con gli oggetti, le stoffe, i liquidi si presenta in modo particolare: molti di loro, come i bambini piccoli, non amano lavarsi i capelli, soprattutto non amano lo shampoo, perché brucia gli occhi e confonde; non accettano alcuni capi di biancheria intima e dei vestiti nuovi e stretti; provano fastidio per le cerniere lampo e per le etichette dei vestiti e dei maglioni; spesso non sopportano gli elastici, le guarnizioni presenti nelle stoffe e gli abiti scomodi.

 

 

 

Molti bambini con sintomi di autismo si divincolano disperatamente e sfuggono quando i genitori o peggio i barbieri o i parrucchieri vogliono tagliare loro i capelli. Lo stesso può avvenire quando la madre cerca di spazzolare loro i denti o tagliare le unghie. Inoltre le attività come la pittura con le dita e i giochi con la sabbia possono produrre in loro più stress che divertimento.[6] Alcuni di loro, come i neonati, sembrano non avvertire le sensazioni di caldo o di freddo, per cui i loro vestiti spesso non si accordano con la stagione e con la temperatura presente.[7] In questi casi la scelta degli indumenti e il bisogno di coprirsi molto o di scoprirsi si collegano più a loro intime esigenze psicologiche che non alla temperatura da essi percepita.

Tuttavia, anche in questo settore, come in tanti altri campi, non vi sono caratteristiche costanti: ogni bambino con sintomi di autismo ha le sue fobie e le sue intolleranze, ma anche le sue preferenze, dovute alcune volte a precedenti esperienze negative o positive, altre volte a particolari percorsi psicologici assolutamente personali, per cui queste intolleranze o preferenze nascono da confuse e instabili esigenze e problematiche interiori, che si manifestano in un determinato momento e con particolari persone.

Per tali motivi, anche se questi bambini, come normalmente viene descritto, non amano alcuna carezza, altri invece, desiderano e vogliono essere abbracciati e sono felici quando si fa loro il solletico. A questo riguardo è da notare come alcuni genitori non solo non sono freddi con i loro figli ma anzi amano coccolarli, baciarli e accarezzarli a lungo e questi ultimi sembrano accogliere con piacere i baci e le coccole. Tuttavia, in alcuni casi, la sensazione che si ha guardando le loro coccole è che questi genitori abbiano stabilito con questi figli un rapporto simbiotico e pertanto non si attivino nel far maturare la personalità del loro bambino, mediante una relazione più profonda, varia e stimolante. Altri bambini con sintomi di autismo amano partecipare a dei giochi corpo a corpo con gli adulti, soprattutto con il padre, anche se lo attuano in maniera aggressiva.[8] Ciò non sempre è accettato dai genitori, soprattutto dalle madri, che giudicano in modo negativo questi comportamenti.

Per alcuni di loro inoltre l’essere toccati in un certo modo e solo da certe persone diventa, in qualche modo, una coazione rilassante o psicologicamente necessaria al benessere interiore ma scarsamente comprensibile da parte di chi osserva questi strani e inusuali comportamenti. Ad esempio per De Rosa la sensazione che faceva diminuire la sua ansia e gli permetteva di esprimere con la scrittura, mediante il computer, i suoi pensieri, le sue idee, era data dal contatto della mano del padre sulla sua spalla.[9]

 Per la Grandin, una sensazione che faceva diminuire la sua ansia era invece quella offerta da una macchina che lei chiamava “stringitrice”. Gli effetti di questo strumento da lei inventato, sono così descritti:

Per avere sensazioni di delicatezza, è necessario sperimentare il delicato benessere fisico. Quando il mio sistema nervoso imparò a tollerare la rilassante pressione della mia macchina stringitrice, scoprii che questa sensazione di benessere mi rendeva una persona più gentile e tenera. [10]

L’autrice riferisce inoltre come anche altri bambini autistici avevano dei benefici quando venivano stretti da qualcosa. Molti genitori raccontavano all’autrice che i loro figli con disturbi autistici amavano infilarsi sotto i materassi, avvolgersi nelle coperte o incunearsi in luoghi molto stretti quando volevano ricercare una maggiore serenità.[11]

Quest’accorgimento scoperto dalla Grandin, la quale non accettava di essere stretta fra le braccia della madre ma a queste preferiva le pale di un marchingegno meccanico e freddo,[12]ci fa ben capire come il problema dei bambini con sintomi di autismo che non accettano di essere abbracciati, coccolati o semplicemente toccati, non sia di tipo neurologico e non riguardi l’intensità della sensazione, ma le qualità e le caratteristiche delle persone con le quali essi si relazionano in quel momento. Nel caso della dott.ssa Grandin l’abbraccio che proveniva da una persona, la madre, verso la quale lei non nutriva sentimenti positivi, le provocava paura; invece la stessa sensazione che proveniva da un oggetto affettivamente neutro, come poteva essere la “stringitrice”, poteva essere ben accetta, anzi le provocava delle emozioni piacevoli e rilassanti.

Per quanto riguarda la pulizia, anche in questo campo, in bambini con la stessa diagnosi, possono coesistere situazioni opposte, per cui in alcuni o in alcuni periodi si può avere un’indifferenza pressoché totale per la pulizia, mentre in altri o in altri periodi questi bambini possono presentare una cura maniacale della propria persona.



[1] Benedetti G. (2020), La Bolla dell’Autismo, Self- Publishing, pp. 60-61.

[2] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti,p. 13.

[3] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 15.

[4] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 29.

[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 26.

[6] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 52.

[7] Brauner A., Brauner F. (2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 86.

[8] Ajuriaguerra J. (De), Marcelli, D.,(1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 765.

[9] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 80.

[10] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 91.

[11] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 69.

[12] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 100.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

Per scaricare tutto il libro clicca qui. .

 

 

 

 

 

 

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I disturbi motori nell'autismo

 

Molti bambini con sintomi di autismo, oltre a presentare nei loro movimenti evidenti stereotipie, hanno spesso vari altri disturbi motori. Ad esempio, possono saltare la fase del gattonare o gattonano in forma poco coordinata. Quando camminano, l’andatura può apparire strana, incerta, pesante. A volte tendono a camminare sulla punta dei piedi, sono ansiosi quando devono correre, inciampano facilmente e hanno difficoltà a salire le scale, a un’età nella quale i loro coetanei le salgono facilmente. Molti di loro imparano con difficoltà ad andare in bicicletta, cadono dalle sedie, non riescono a ben usare le posate, le matite e gli altri strumenti che richiedono una buona motricità fine, perdono l’equilibrio quando chiudono gli occhi, rompono gli oggetti sbattendovi contro e non amano gli sport.

Nello stesso tempo però alcuni bambini con la stessa patologia manifestano capacità motorie sorprendenti, come salire sugli alberi senza affatto cadere; sgusciare veloci e rapidi da una parte all’altra di una stanza o di un appartamento, senza rompere nulla, senza cadere o farsi alcun male. Altri bambini con sintomi di autismo riescono a far girare mediante le dita più trottoline contemporaneamente e con più efficacia dei loro coetanei oppure fanno scivolare dei cubi da una mano all’altra con una tecnica da prestigiatore.[1]

In alcuni casi sono evidenti dei tic nervosi, in altri momenti può essere presente un comportamento motorio eccessivo (ipermotricità), apparentemente senza alcuno scopo: il bambino va avanti e indietro, gira come una trottola nella stanza o corre da una parte all’altra della casa, senza che se ne comprenda il motivo. Ricorda la Williams: ‹‹Non mi è mai piaciuto star seduta sulle sedie; le mie gambe non riuscivano a star ferme e mi rendevano impossibile star seduta immobile››.[2]

 

In altri casi invece si può evidenziare una scarsissima attività fisica (ipomotricità): il bambino resta seduto immobile per diverso tempo. Questi due opposti comportamenti manifestano entrambi un’inquietudine e una sofferenza interiore. Nel primo caso l’ipermotricità: il soggetto, se da una parte si sente come costretto a muoversi, d’altra parte, mediante il movimento, cerca di scaricare e diminuire la sua notevole ansia interiore. Nel secondo caso l’ipomotricità: il limitare o bloccare il proprio corpo diventa una modalità per tentare di controllare o arrestare la confusa e penosa realtà interiore. Di solito lo stato di blocco motorio o l’ipomotricità manifesta delle problematiche interiori più gravi rispetto a quelle presenti nell’ipermotricità.

Le cause di queste anomalie nel comportamento motorio non sono difficili da comprendere se solo si pone attenzione al legame inscindibile che esiste tra mente e corpo. Una mente eccitata notevolmente spinge anche il corpo a muoversi, allo scopo di scaricare, attraverso il movimento, la tensione e l’ansia che l’opprime. Allo stesso modo uno stato mentale nel quale predomina una chiusura totale o la tristezza, non può che agire sul corpo, diminuendo la sua vivacità e la sua dinamicità, come succede tra l’altro negli stadi depressivi. D’altra parte una mente che si muove nel mondo che la circonda in modo incerto, tra paure e ansie, mentre teme che da ogni cosa possano provenire degli eventi negativi, coinvolgerà anche il corpo che si sposterà con timore e incertezza.

Per Bettelheim:

Dal momento che il loro sistema nervoso centrale è perfettamente integro e ben sviluppato, alcune azioni e reazioni o l’assenza di esse non derivano da una mancanza delle capacità potenziali, ma dal fatto che, per una ragione o per l’altra, ciò che era allo stato potenziale non è arrivato a realizzarsi. [3]

Per tale motivo è necessario attivarsi per offrire a questi bambini insieme a un ambiente sereno, una relazione genitoriale efficace, ricca di ascolto, gioia e comprensione.[4]

Per quanto riguarda le attività sportive, le quali spesso sono consigliate a tutti i bambini che hanno problematiche psicologiche, queste spesso non sono accettate dai soggetti con sintomi di autismo, giacché contrastano nettamente con i loro bisogni e desideri: restare in un luogo tranquillo, privo di chiasso e tensione, un luogo nel quale non vi siano richieste o peggio imposizioni. Ricorda la Williams: ‹‹Lo sport, in particolare, fu una brutta novità. Odiavo appartenere a una squadra, partecipare per qualcuno o farmi dare degli ordini››.[5]



[1] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 91.

[2] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 26.

[3] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 13.

[4] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 40.

[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 53.

 

 

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

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