È questo uno dei sentimenti più frequenti in questi bambini. Traspare dal loro viso, dai loro occhi e dai loro racconti. Alcuni genitori più sensibili e attenti avvertono costantemente nel loro bambino segnali di tristezza. Diceva una mamma, riferendosi al figlio: ‹‹Sembra che la tristezza se la porti dietro per ogni cosa che fa o che dice››.
Il racconto di Simone, un ragazzo di tredici anni affetto da sindrome di Asperger, ci dà conferma di questo mondo interiore triste, oltre che sconvolto.
Figura 13- I colori e l'espressione triste e perplessa di questo omino riflettono la condizione psicologica di Simone.
Dopo aver disegnato un omino con colori molto scuri, fa questo racconto:
Un ragazzo amante della musica
‹‹Questo ragazzo si chiama Mattia. Ha circa trentadue anni, è molto problematico, soprattutto all’interno della sua famiglia, perché il padre era quasi sempre assente. Aveva l’amore per la musica metal. Cominciò a vestirsi come un Emo per rispecchiare ciò che aveva vissuto nella sua famiglia, quindi si vestiva di nero, per riflettere la sua tristezza e la sua asocialità. Poi si appassionò al canto e riesce ad entrare in una band che stava nascendo e suonava la batteria. Diventano il primo gruppo italiano conosciuto nel mondo per il loro genere musicale. Dal quarto disco in poi la sua vita inizia a migliorare. Impara a essere una persona felice con se stessa. S’innamora della tastierista, si fidanzano e si sposano. La chitarrista della band muore e il gruppo si scioglie e ognuno va per la sua strada. Lui inizia a suonare un genere musicale suo e la vita andrà per il verso giusto e avrà anche un figlio››.
In questo racconto Simone si vede più grande della sua età, ma sempre con i suoi problemi di autismo che egli collega alla scarsa presenza della figura paterna nella sua vita. Non amando la scuola, vede il suo futuro come un artista triste e asociale. Immagina e sogna tuttavia di riuscire a essere una persona felice con se stessa e così innamorarsi e sposarsi. Tuttavia il destino continua a accanirsi contro di lui e pertanto la moglie muore e lui ritorna solo. L’ultima frase è però ricca di speranza: ‹‹Lui inizia a suonare un genere musicale suo e la vita andrà per il verso giusto e avrà anche un figlio››.
Un bambino di paglia.
Lo stesso ragazzo, commentando un altro suo disegno, nel quale vi era rappresentato uno spaventapasseri, fece questo racconto con più elementi ottimistici.
Un figlio di paglia
‹‹C’era una volta un contadino, un uomo molto solo, aveva una fattoria ma ha sempre voluto avere un figlio, ma non aveva moglie. Cercò di trovare una soluzione per avere un figlio. Decise di prendere vari sacchi di iuta e una specie di palla di gomma per fare il naso, due quanti neri per le mani; come vestito usò una salopette blu. Incominciò ad impaciare i sacchi con i quali fece il corpo, li cucì, e poi gli fece due fori nella testa per fare gli occhi e un foro per la bocca. Inizialmente era ovvio che il pupazzo non prendesse mai vita, però decise di tenerselo in quel modo. Però una notte, grazie al suo desiderio, il pupazzo prese vita e incominciò a parlare e a provare amore nei confronti di suo padre. Da quel momento ebbe una persona con cui potere fare una vita felice››.
Se interpretiamo questo racconto, notiamo come il tema del padre sia prevalente. Nel racconto precedente egli diceva che i suoi problemi erano dovuti a un padre poco presente. In questo racconto, invece, egli prova a immaginare un padre buono e presente nei confronti del figlio. Invece di un padre assente vi è un contadino, un uomo semplice, povero, solo, ma con un gran desiderio di avere un figlio. Tanto che se lo costruisce da sé, usando dei sacchi di iuta da riempire con la paglia. Purtroppo però questo figlio costruito con la paglia è senza vita, così come spesso Simone si sentiva: senza emozioni e senza sentimenti positivi. Per fortuna grazie all’amore paterno, si compie il miracolo: questo figlio prende vita, parla ed è ricco di amore. Entrambi, padre e figlio, ora sono pronti ad affrontare con gioia la vita.
Altre volte la tristezza è come nascosta e camuffata da comportamenti apparentemente indifferenti o ridanciani, che non rispecchiano affatto il sentire di questi bambini, ma che sono attuati per far piacere agli altri e anche per cercare di combattere questo sentimento doloroso. I genitori notano inoltre nei figli che presentano sintomi di autismo una difficoltà a distrarsi e a lasciar perdere i pensieri negativi e ad avere, invece, pensieri ed emozioni positive.[1]
In definitiva, dal caos emotivo che disturba gravemente i circuiti neuronali della mente di questi bambini, nascono direttamente o a causa di uno o più meccanismi di difesa che essi mettono in campo, i variegati sintomi che noi rileviamo e che con molta difficoltà cerchiamo di catalogare, senza tuttavia riuscire a dar loro un senso coerente quando rifiutiamo di vederli come espressioni di una realtà psichica particolarmente turbata. Poiché ogni individuo è diverso dall’altro, e ogni realtà esterna, con la quale ognuno di questi bambini è costretto a confrontarsi, è diversa dall’altra in ogni momento della nostra vita, le manifestazioni della sofferenza presente nei bambini con sintomi autistici non sono mai uguali, anche se possiamo rintracciare qualche caratteristica comune.
Le paure e nelle forme più gravi, le fobie e il terrore che nascono dalla percezione, a volte reale, il più delle volte solo immaginaria, di una minaccia all’esistenza o all’integrità biologica, accompagnano quasi tutti i bambini normali. Queste emozioni, specie nella prima infanzia, sono frequenti e numerose a causa dell’immaturità e per la mancanza di esperienze nei riguardi del mondo che circonda i piccoli esseri umani. Sappiamo anche che le paure, sia per quantità sia per gravità, sono più evidenti e numerose nei minori che soffrono dei più svariati problemi psicologici: disturbi del comportamento, depressione, iperattività, disturbi del linguaggio, comportamenti oppositivi provocatori, mutismo selettivo e così via.
Sappiamo che l’ansia può essere fisiologicamente presente in tutte le persone normali di ogni età. Più rara è l’angoscia nella quale sono presenti delle manifestazioni somatiche, talvolta particolarmente vistose, come un senso di oppressione toracica.[1] Altrettanto noto è che queste due emozioni tendono ad accentuarsi nei bambini e negli adulti che presentano disturbi psicologici. Anzi, spesso, la loro gravità è direttamente proporzionale all’intensità di questi disturbi. Di conseguenza l’Io del soggetto è stimolato continuamente a utilizzare uno o più meccanismi di difesa, per cercare di gestirle e contenerle.
Poca attenzione si pone invece al fatto che queste due emozioni sono tra le più importanti componenti emotive presenti nei soggetti con disturbi dello spettro autistico. In questi, gli episodi di angoscia sono talmente gravi e costanti, da far dire a Rodríguez, citato da Bettelheim:
"Penso che l’intensità dell’angoscia del bambino autistico sia del tutto simile a quella causata dall’imminenza della morte". [2]
Anche la Grandin, non è da meno:
"Gli attacchi d’ansia più leggeri mi sollecitavano a scrivere pagine e pagine nel mio diario, mentre quelli più gravi mi paralizzavano e mi facevano desiderare di rimanere a casa, per paura che mi venisse un attacco in pubblico". [3]
E ancora la stessa autrice:
"Fin dalla pubertà avevo vissuto paure e ansie costanti, accompagnate da forti attacchi di panico, che si presentavano a intervalli variabili, da poche settimane a diversi mesi. La mia vita si basava sul fatto di evitare le situazioni che potevano scatenare un attacco di panico".[4]
Morello, un giovane con autismo, scrive:
"Voglio avventurarmi a parlare di continui, snaturali carichi di ansia in mare mosso da violento sciame di suoni fin da piccoli".[5]
De Rosa, un altro giovane con autismo, così descrive l’angoscia che provava:
"L’angoscia stessa rimaneva chiusa dentro di me perché non avevo modo di comunicarla. Ricordo che quando questa angoscia raggiungeva il limite, aprivo un cassetto in cucina, prendevo i cucchiai e correvo in salotto a lasciarli cadere per terra. Il rumore del metallo dei cucchiai sul marmo del pavimento era forte, disarticolato, sinistro, inquietante. Avevo trovato un suono, o forse a livello più basso un rumore, che esprimeva e comunicava la mia angoscia come una parola".[6]
E Franciosi:
"Il livello di allerta ansiosa è sempre dietro l’angolo, pronto a inondare la persona anche in assenza di richieste ambientali".[7]
Nei soggetti con sintomi di autismo l’ansia può nascere per motivi importanti come quelli descritti da De Rosa:
"E quando vi perdo (si riferisce ai genitori) entro in una sorta di panico perché ritorno al grande trauma della mia infanzia, di quando non capivo nulla del mondo intorno a me, non riuscivo a far capire niente di me e vivevo totalmente in balia dell’incomprensibile".[8]
La Grandin, una donna con autismo che lavorava come veterinaria, scrive:
"Nel mio lavoro sono in grado di gestire le situazioni nuove, ma di quando in quando mi prende il panico se le cose vanno storte (…) se non sono preparata per una nuova situazione, soprattutto quando viaggio all’estero dove non conosco la lingua e non posso comunicare".[9]
Tuttavia i motivi che possono far scaturire l’ansia possono essere strani e apparentemente futili.
De Rosa racconta:
"Quando ero bambino quest’ansia si manifestava, per esempio, nelle crisi emotive che subivo per strada quando c’era da tornare indietro. I miei genitori impararono che se si faceva una passeggiata, poi bisognava recuperare il punto di partenza con un ampio giro. Io non potevo semplicemente fare in senso inverso la strada fatta all’andata perché mi sarei buttato a terra a piangere e urlare".[10]
Nei soggetti con sintomi di autismo sono presenti tutte le tipologie di ansia che conosciamo. La caratteristica che la contraddistingue, rispetto ai soggetti normali o con lievi turbe psicologiche, è la gravità, per cui l’ansia arriva spesso all’angoscia e agli attacchi di panico. Altra caratteristica è data dalla frequenza, per cui l’ansia, nella vita di queste persone, è quasi una costante.
Ma cosa comporta per questi bambini, adolescenti o adulti, con tale patologia vivere incessantemente condizionati da una situazione di ansia così grave e costante?
L’ansia grave e costante limita tutte le capacità dell’individuo.
L’ansia è una barriera alla partecipazione sociale. Quando si è preda di un’intensa ansia è difficile parlare, spiegare, capire. Altrettanto difficile è programmare qualcosa.[11] Per tale motivo, per chi ne soffre, è difficile, se non impossibile, affrontare in maniera adeguata ogni attività che si propone di effettuare o che viene richiesta. Non importa se di tipo scolastico, familiare, sociale o lavorativo. Queste difficoltà sono più evidenti nelle occupazioni che richiedono discernimento, controllo e attenzione, come il relazionarsi con qualcuno, l’ascoltare, il parlare, il ragionare e l’apprendere. Cosicché l’ansia grave non solo può impedire l’apprendimento del linguaggio ma, anche quando esso è presente, può alterarlo nella forma e nel contenuto. Allo stesso modo può impedire l’apprendimento della lettura, della scrittura e dei vari contenuti culturali che sono proposti.
Un esempio di ciò l’avemmo qualche tempo fa quando fu inviata al nostro centro, per effettuare una terapia specifica Luisa, una bambina di nove anni, con diagnosi di dislessia. La madre era separata dal marito e impediva alla figlia di vedere il padre, poiché lo giudicava un poco di buono. Tuttavia la bambina aveva un grande desiderio di incontrare ed essere vicina a quest’uomo. La bambina presentava, oltre che notevoli difficoltà nella lettura e nella scrittura, anche importanti disturbi psicologici che si manifestavano con manierismi verbali e nel comportamento, chiusura, timidezza, paure e fobie, presenza di comportamenti infantili, incubi notturni. Dopo qualche mese la madre ci riferì della soddisfazione delle insegnanti, le quali avevano notato con gioia e stupore che la bambina finalmente aveva iniziato a leggere. Visto il successo che avevamo avuto con Luisa, nei mesi successivi le stesse insegnanti ci inviarono altri bambini che avevano difficoltà nella lettura e nella scrittura, certi che la nostra particolare metodologia per curare le problematiche dell’apprendimento, avrebbe avuto successo anche in quei casi.
Ebbene, nel programma rivolto a Luisa non vi era stato alcun momento dedicato all’apprendimento della lettura e della scrittura! Le uniche attività nelle quali la bambina era coinvolta consistevano nel partecipare con piacere e gioia ai giochi che lei proponeva e ascoltare i suoi problemi.
Poiché l’ansia è particolarmente grave nei bambini con disturbi dello spettro autistico, le loro parole, quando queste sono presenti, i loro ragionamenti e i loro comportamenti sono dettati più dall’impulso del momento che non da un ragionamento sereno e obiettivo della realtà. Per tale motivo gli errori e le incongruenze sono frequenti e ciò peggiora il rapporto che essi instaurano con le persone presenti nell’ambiente familiare, sociale o scolastico. Il che comporta anche un peggioramento dell’autostima.
L’ansia grave impedisce all’attenzione di permanere per il tempo necessario ad effettuare alcune attività più complesse, come disegnare.
In alcuni casi quando si chiede di effettuare un disegno ai bambini con sintomi di autismo, nel quale è presente un’ansia notevole, ci si accorge che essi riescono soltanto ad effettuare degli scarabocchi.
L'ansia grave permette di produrre solo degli scarabocchi.
Solo quando l’ansia interiore diminuisce, riescono a mettere ordine nei loro pensieri in modo tale da poter controllare meglio la loro motricità fine.
Morello, un giovane con autismo, descrive così le sue difficoltà dovute all’ansia:
"Il mio limite sta nell’ansia di dovermi troppo spesso specchiare nel dubbio e nel sospetto. Ansia è precipitare in disconnessione da me stesso. L’elemento più paralizzante è per me la mancanza di percezione del significato".[12]
Ed è per tale motivo che crediamo sia assolutamente inutile e fuorviante sottoporre tali bambini ai test intellettivi o cognitivi, poiché i risultati sarebbero sicuramente inquinati dalla presenza di questa emozione. Cosicché se un bambino manifesta un insuccesso, non si può in alcun modo essere certi che gli manchi la capacità di portare a termine il compito. Il suo insuccesso potrebbe essere stato causato, oltre che da una carenza motivazionale, da un elevato livello di ansia dovuto ai suoi problemi del momento.
Un esempio di quanto abbiamo detto, l’abbiamo evidenziato in Antonino, un ragazzo di dieci anni con sindrome autistica ad alto funzionamento, il quale, così come avviene spesso in questa patologia, aveva focalizzato in quel periodo la sua attenzione su un particolare soggetto: le auto. Pertanto inizialmente, nel disegno libero che amava fare, quando l’ansia era notevole, riusciva a malapena a disegnare solo una parte di un’auto. Già dopo pochi minuti, stanco e stressato nel cercare di attivare, per un tempo per lui notevolmente lungo, l’attenzione sul soggetto prescelto, smetteva esausto, senza riuscire a completare il disegno.
Soltanto dopo qualche tempo, con il miglioramento del suo stato psicologico generale, riuscendo meglio a controllare l’ansia che pervadeva la sua mente, riusciva a completare, nella stessa seduta, il disegno che si era proposto di realizzare.
Disegno assolutamente incompleto a causa dell'ansia notevole.
Il miglioramento dell'ansia permette al bambino di migliorare il disegno, colorandone qualche parte.
Solo quando i vissuti interiori del bambino sono nettamente migliorati egli riesce a completare il disegno.
L’ansia grave altera il linguaggio e la comunicazione.
Le capacità nella comunicazione e nel linguaggio sono strettamente connesse alla serenità interiore e quindi alla presenza o meno dell’ansia. Un esempio di ciò l’abbiamo nei due racconti effettuati da Francesco, un bambino di nove anni con sindrome di Asperger. Come si può ben vedere, inizialmente, quando l’ansia era notevole, il linguaggio del bambino appariva frenetico, spezzato, poco chiaro e molto ripetitivo.
L’elefante e il pappagallo
‹‹C’era una volta un elefante che era stato abbandonato da un ragazzo giovane. Era senza genitori e decise di andare da un padrone che non c’era. Si chiamava Bernardo. “Questa casa è davvero in disordine” pensò il piccolo elefante. Bernardo era a caccia, ma l’elefantino non lo sapeva, va a vedere e camminava e non lo trova, torna e non lo trova. “Chissà dove sarà? È a caccia. È meglio che bisognerebbe tornare” disse l’elefantino. I genitori non c’erano. L’elefantino va di nuovo per tutta la città, ma non trova nessuno. Torna a casa, aspetta, aspetta ma Bernardo non torna. L’elefantino si sta annoiando, sente l’orologio ma Bernardo non torna. “Quanto ci metterà?”. Va di nuovo a controllare per tutta la città. Va dove vendono gli elefanti e gli chiedono se vuole essere comprato per fare la pelle di tamburo››.
Elefantino: ‹‹Non c’è mio padre?››.
Venditore: ‹‹Dov’è?››.
Elefantino: ‹‹Non saprei!››.
Venditore: ‹‹Allora devi essere venduto perché non hai i genitori, sarai costretto…››.
Elefantino: ‹‹Quando tornerò a casa?››. (Vuole tornare, poverino!).
Mentre aspetta un pappagallo gli chiede: ‹‹Perché sei qui?››.
Elefantino: ‹‹I miei mi volevano vendere››.
Pappagallo: ‹‹Sono intelligente››.
Elefantino: ‹‹Perché?››.
Pappagallo: ‹‹Perché ti devono vendere››.
Elefantino: ‹‹Voglio andare via, non mi piace››.
Pappagallo: ‹‹È bello››.
Elefantino: ‹‹No, chiudi il becco, brutto pappagallo, se no ti frusto, te l’ho detto un miliardo di volte! Vuoi stare zitto?››.
Pappagallo: ‹‹Non posso››.
Elefantino: ‹‹Posso uscire?››.
Pappagallo: ‹‹Devi andare lì. Se vuoi andare via, chiedi al giudice. Ti dobbiamo addestrare››.
Elefantino: ‹‹Quando torno a casa?››.
Pappagallo: ‹‹Mai più perché c’è una sbarra››.
Elefantino: ‹‹Ma mi aspetta mio padre!››.
Pappagallo: ‹‹Perché non lo hai detto prima? Dobbiamo addestrarti e portarti allo zoo››.
Elefantino: ‹‹Che significa?››.
Pappagallo: ‹‹Ti dobbiamo frustare e mandare al circo. Ma visto che sei un elefante, perché sei qui? Non puoi scappare, manette e via per sempre. Ti tapperemo la bocca così non potrai più parlare››.
Elefantino: ‹‹Voglio andare via, testa di rapa! Perché non posso andare?››,
Pappagallo: ‹‹C’è il segnale››.
Elefantino: ‹‹Non c’è. Quanto vorrei tornare a casa. Cosa faremo?››,
Pappagallo: ‹‹Non ti faremo mangiare e visto che sei un brutto elefante dovremo addestrarti››,
Elefantino: ‹‹Che farò? Devo tornare a casa, devo bere››.
Pappagallo: ‹‹Allora bevi la minestra››.
Elefantino: ‹‹Non bevo la minestra››.
Pappagallo: ‹‹E acqua?››.
Elefantino: ‹‹È il mio cibo preferito››.
Pappagallo: ‹‹Non è un cibo, è bevanda››.
Elefantino: ‹‹Perché non c’è gente?››.
Pappagallo: ‹‹Sono stati portati via e questa è la tragedia››.
Elefantino: ‹‹Quando tornerò?››.
Pappagallo: ‹‹Tutta la gente e i bambini sono andati via››.
Elefantino: ‹‹Perché?››.
Pappagallo: ‹‹Se lo chiedi alla polizia lo saprai. Sai cosa c’è qui? Accalappia animali e tu lì verrai spedito. È vero, non scherziamo. Non possiamo scherzare. Se vorrai andrai in prigione. Lì c’é un uomo, e la polizia che ha le manette per arrestarti. Fai meglio a nasconderti. Gravi conseguenze››.
Elefantino: ‹‹Che faremo?››.
Pappagallo: ‹‹Scappa. Dovrai aspettare che ti arresta››.
Il racconto continua sempre con le stesse caratteristiche strutturali e con gli stessi temi.
Diversa apparve, invece, l’organizzazione e la struttura del racconto un anno dopo, quando la condizione psicologica di Francesco era nettamente migliorata. Il tema era certamente truce ed erano ancora presenti alcune ripetizioni ma la minore ansia permise al bambino di eseguire una narrazione molto più agile, comprensibile, coerente e lineare.
Il fantasma spaventoso
‹‹C’era una volta un fantasma che era molto spaventoso e ogni notte veniva a spaventare le persone Queste persone non riuscivano a dormire e facevano brutti incubi. Loro pensano a cosa bisogna fare con questo fantasma: bisogna ucciderlo o mandarlo via? Poi la mattina le persone vanno a parlare col giudice e gli chiedono di far stare lontano il fantasma e far stare tranquille le persone. E lui dice: ‹‹Va bene, lo manderò via e così non tornerà mai più››. E finalmente le persone potranno dormire in santa pace. Però il postino suona una notte e dice che questo fantasma non se ne andrà più via. Un giorno sentono gli scricchiolii, poi sentono il fruscio del vento e sentono molti temporali. A un certo punto il fantasma arriva e va sopra le scale e le persone sentono dei passi e si spaventano e si nascondono sotto il letto in preda al terrore. Allora il fantasma bussa e le persone tremano dalla paura, lui entra e fa una risata molto spaventosa. Poi lui sente i rumori sotto il letto, arriva e apre la porta e prende le persone per il collo e le fa soffocare. Poi li porta via, prende un coltello con la sua mano e lo infilza dentro la testa delle persone. Poi attacca sul muro le teste con i chiodi e un martello. Dopo un po’ il fantasma se ne va nel villaggio per spaventare altre persone. Poi bussa alla porta e vede che non c’è nessuno, allora se ne va e vede qualcuno avvicinarsi come un’ombra scura e si spaventa, ma non c’è più tempo di scappare e allora il fantasma, in preda al terrore, cerca di scappare, ma ha le gambe deboli e non riesce a scappare. L’ombra si avvicina, lo prende con lui e lo porta a casa sua e lo chiude in un baule con un lucchetto. Poi il fantasma non riesce più a liberarsi, ma vuole uscire perché sta soffocando, perché dentro il baule non si respira. E allora riesce a liberarsi e va a casa di quel diavolo e mette un coltello dentro una lettera con una scritta. Poi se ne va e ritorna a casa sua, ma non riesce ad aprire la porta perché è chiusa. A un certo punto inizia una tempesta con temporali e fulmini che distruggono alberi, che poi vengono infuocati, ma non riesce più ad entrare e non sa più cosa fare. Sbatte cento volte la porta ma non riesce ad aprire, poi però gli viene l’idea di sfondare il vetro, così potrà entrare dentro la casa. Poi va a dormire; però vede qualcuno in lontananza dalla finestra, allora si nasconde sotto il letto, perché potrebbe anche essere una creatura mostruosa. Allora lui sigilla tutte le finestre e chiude tutte le tapparelle con un lucchetto per non farlo entrare. Mette i chiodi e poi sigilla tutto con un martello. Adesso è al sicuro. Poi il mostro ribussa, però non riesce a entrare. Poi se ne va dopo un po’ e dice: ‹‹Per fortuna che se n’è andato››. Poi va a dormire. Poi la mattina fa colazione e si accorge di qualcosa che non c’è più: le sue teste sono scomparse. Allora corre subito a vedere dove sono, ma non le trova. Allora fa colazione e poi va da qualche parte››.
L’ansia grave rende difficile o impedisce la comprensione.
Poiché i soggetti con sintomi di autismo sono continuamente impegnati a limitare, controllare e se possibile respingere l’assalto di questa emozione, così sconvolgente, difficile da gestire e governare, per loro è arduo interpretare correttamente le parole ascoltate o scritte, nonché le intenzioni, le espressioni del viso, i gesti e i comportamenti delle persone. Altrettanto difficile interpretare le immagini viste, i suoni ascoltati, le sensazioni avvertite. Di conseguenza, ad esempio, ascoltare semplicemente e soprattutto interpretare correttamente ciò che un adulto o un coetaneo dice o chiede, è per i bambini con sintomi di autismo particolarmente arduo e penoso. Così com’è molto complicato, se non impossibile, rispondere adeguatamente alle persone con le quali si relazionano, evitando di ferirle, infastidirle o annoiarle con delle parole o risposte inappropriate, ripetitive, insulse o poco coerenti.
Di conseguenza vivendo costantemente in apprensione e in allerta, questi bambini hanno difficoltà a giudicare la realtà con occhi sereni e obiettivi, dando a ogni cosa e ai tanti avvenimenti della vita la giusta dimensione e il corretto significato.
Pertanto, poiché i pericoli, le critiche e i comportamenti malevoli possono provenire da ogni cosa e da ogni persona, è facile che insorgano in loro delle patologiche impressioni di non essere compresi e accettati oppure di essere costantemente mal giudicati, criticati, rifiutati e anche perseguitati. Pertanto avvertono di essere costantemente in pericolo per ogni evento, anche il più frequente e naturale come può essere, nel caso di Federico, un ragazzo diciassettenne con sindrome di Asperger, la pioggia. Egli raccontava in questi termini la paura che provava ogni volta che pioveva: ‹‹Lo scrosciare della pioggia mi atterrisce soprattutto quando sono a letto. È come se da sotto il letto e da tutta la stanza potessero provenire delle presenze maligne, pronte ad assaltarmi e distruggermi››.
Poiché a causa dell’ansia diminuiscono le capacità di attenzione e concentrazione, scade anche il rendimento nella sfera cognitiva. Come conseguenza di ciò i bambini con sintomi autistici tendono a giudicare la maggior parte delle situazioni della vita, come troppo grandi e rilevanti per le proprie capacità e possibilità e quindi vi è in loro la tendenza a evitarle per il timore di non saperle affrontare. Anche perché, quando si decidono a farvi fronte, il loro impegno è esplicato in maniera talmente convulsa, affrettata e insicura che, dagli errori commessi, si convincono ancor più della loro incapacità.
Per i bambini in preda all’ansia costante, anche semplicemente giocare con i coetanei può diventare impossibile, perché significa coordinare le loro parole e i loro comportamenti con la realtà del momento ma, soprattutto, significa adeguarsi e collaborare con gli altri. Non riuscendo a fare ciò è frequentemente compromesso ogni tentativo d’integrazione e comunicazione sociale. Inoltre poiché il loro rendimento è incostante e non armonico, giacché è influenzato dalla tensione e dalle emozioni del momento, le loro capacità sono migliori in alcune situazioni e per alcune discipline, ma sono minori o totalmente assenti in altri momenti o in altre discipline.
L’ansia grave disturba i momenti di sonno e quelli dedicati al semplice riposo.
A causa degli incubi e dell’ansia grave questi bambini sono deprivati anche degli indispensabili momenti nei quali il corpo ha la possibilità di rilassarsi e la mente può riorganizzare le esperienze, le sensazioni e le emozioni che si sono vissute durante il giorno, eliminando quelle non importanti e fissando nella memoria a lungo temine solo quelle più utili alla persona. Anche per tale motivo, vivendo costantemente in una situazione d’emergenza, questi bambini si ritrovano in una condizione di facile irritabilità e stanchezza ma presentano anche più facilmente dei comportamenti oppositivi, reattivi e aggressivi.
L’apparente genialità
Se l’alterazione psichica non è eccessivamente intensa, alcuni bambini riescono a creare nella loro mente delle piccole, piacevoli, gratificanti nicchie, nelle quali riescono a eccellere (isole di abilità), utilizzando l’iperattivazione cerebrale frequentemente presente nei propri circuiti neuronali. Si ritrovano allora bambini e adulti con autismo che, per sfuggire all’angoscia che li opprime, giocano con i numeri e si divertono a risolvere rompicapi, espressioni e teoremi matematici molto complessi. Altri amano ricordare ed elencare i nomi e le caratteristiche degli animali esotici o di altri oggetti che hanno colpito la loro immaginazione: ad esempio, conoscono e sanno perfettamente descrivere le caratteristiche di molti dinosauri, riescono a disegnare le entrate e le uscite delle autostrade di una o più regioni d’Italia, sono capaci di ricordare molte targhe automobilistiche, conoscono il nome e sanno disegnare centinaia strumenti musicali.
Questo crearsi mentalmente degli impegni, o se volete delle isole, nelle quali gustare un minimo di piacere e gioia, è in realtà solo uno dei tanti espedienti che essi mettono in atto per cercare di difendersi dall’ansia, dalle paure e dalle tante gravi inquietudini delle quali soffrono. Anche perché, quando queste notevoli performance sono conosciute dagli altri e provocano il loro stupore, hanno la possibilità di provare un pizzico di gratificazione e di piacere interiore.
Quando frequentavo da studente il liceo classico, era presente nella nostra classe un compagno molto particolare e strano, che noi, allora, non riuscivamo a definire, ma che oggi sarebbe stato facilmente diagnosticato come affetto dalla sindrome di Asperger. Questo compagno s’isolava sistematicamente, sedendo da solo in un banco ai margini della classe, senza mai rivolgere la parola ad alcuno, ma anche senza rispondere, quando uno di noi gli rivolgeva la parola, se non con qualche semplice borbottio o al massimo con qualche monosillabo.
Quando questo particolare compagno di scuola era interrogato, era evidente la sua sofferenza nel dover parlare di fronte al professore e a tutta la classe: si torceva le mani per l’ansia e parlava con solo un filo di voce, in modo esitante e cantilenante. Quello che ci appariva il suo unico, piacevole passatempo, era scrivere numeri, equazioni e formule matematiche sul quaderno. Erano formule ed equazioni particolarmente complesse, per quello che noi, poco avvezzi alla matematica, potevamo comprendere. Le scriveva utilizzando una calligrafia minuta, anche se ben ordinata, come avesse paura di mostrarne il contenuto agli altri.
Poiché avevamo un professore di matematica alquanto pasticcione, quando questi, per spiegare alcune formule o teoremi, li scriveva sulla lavagna, mentre noi sonnecchiavamo, solo Carlo appariva attento e restava teso, come in allerta. Guardava la lavagna con la coda dell’occhio, ma tutti noi sapevamo che nulla di quello che il professore vi vergava sopra, sfuggiva alla sua osservazione. Infatti, ogni volta che il professore, vuoi per sbadataggine, vuoi per scarsa preparazione, commetteva qualche errore egli, senza mai interloquire apertamente, agitandosi nel banco ed emettendo degli inconfondibili mugolii, come fosse in preda ad un’acuta sofferenza, per quello che era costretto a leggere o al massimo indicando con il dito, faceva chiaramente comprendere al docente che nelle formule e nelle equazioni da lui scritte sulla lavagna, vi era qualche errore. Ogni volta che ciò accadeva, il professore entrava nel panico: rosso in viso, sudato e tremante, cancellava immediatamente gli ultimi numeri, cercando poi, mediante vari tentativi, di ricontrollare tutto il procedimento, per autocorreggere quanto aveva precedentemente scritto.
Il povero docente riusciva a respirare tranquillamente solo quando, guardando Carlo, lo vedeva, nuovamente tranquillo, ritornare alla sua occupazione preferita: scrivere le sue espressioni e le sue formule matematiche, molto più complesse di quelle che normalmente egli spiegava a noi. Naturalmente questo compagno di classe, almeno da parte nostra, non solo non era fatto segno di alcun atto di bullismo per il suo strano comportamento, ma anzi era costantemente corteggiato, poiché era la nostra unica ancora di salvezza, quando dovevamo affrontare e risolvere qualche compito di matematica particolarmente ostico!
La prima e più importante conseguenza del chiudersi in se stessi, nel proprio mondo interiore, estraniandosi in tutto o solo in parte, dalla realtà esterna, riguarda il difficile controllo e la corretta gestione delle emozioni e dei sentimenti.
Quando si parla di bambini con autismo, raramente si parla del loro sentire ma anche del sentire di quelli che stanno accanto e vicino a loro: genitori, familiari, baby sitter, insegnanti e altri operatori. Eppure sono proprio le emozioni e i sentimenti degli uni e degli altri, gli elementi essenziali che condizionano, limitano o alterano i pensieri, le azioni e i comportamenti di questi soggetti o al contrario possono migliorare la loro condizione.
Pertanto se vogliamo capire, per poi aiutare questi bambini a sviluppare adeguatamente tutte le loro potenzialità intellettive, affettive e relazionali, cosicché possano meglio interagire, comunicare e capire, è fondamentale riuscire a comprendere le loro emozioni e i loro sentimenti. Allo stesso modo è necessario analizzare e capire le emozioni e i sentimenti delle persone vicine a loro o che hanno cura di loro, al fine di aiutarle a modificare i loro comportamenti e atteggiamenti, in modo tale che siano adeguati ai reali bisogni dei minori.
Le emozioni sono fenomeni complessi, profondamente connessi a ogni aspetto dell’esperienza umana, poiché sono presenti in ogni atto o comportamento da noi effettuato, così come sono presenti in ogni pensiero elaborato dalla nostra mente. La nostra vita quotidiana è intrisa di sentimenti ed emozioni che influenzano i nostri comportamenti, i nostri pensieri e ogni nostra azione.[1] Le emozioni sono anche dei sistemi di comunicazione interpersonale, come risposta a precisi comportamenti da parte degli altri e servono alla sopravvivenza e alla riproduzione della specie.[2] Esse sono regolate al fine di permetterci di rispondere in maniera equilibrata, flessibile e socialmente adeguata, alle richieste che pervengono dalle persone, dalle istituzioni e dai gruppi con i quali ci relazioniamo.[3]
Fanno parte delle emozioni la gioia, l’interesse, la sorpresa, la passione, l’innamoramento, la compassione ma anche la paura, l’ansia, l’angoscia, il disprezzo, la rabbia, la collera, l’aggressività, il disgusto, l’irritazione, la vergogna, la colpa e così via. Le emozioni sono fondamentali per avvertire pienamente ogni evento della nostra vita, tanto che, senza di esse, anche possedendo un’acuta intelligenza, non riuscendo ad entrare in sintonia con le altre persone. somiglieremmo a degli zombie viventi.[4] Inoltre sono essenziali per la memorizzazione e per l’attenzione, nei processi decisionali, pertanto sono preziose nei processi d’apprendimento e nel selezionare le scelte più giuste per noi e per gli altri.[5]
Come scrive Oliverio:
"Ciò che oggi sappiamo sui rapporti tra emozione e ragione, ci dice che affetti ed emozioni sono parte integrante del processo di apprendimento e formazione: l’affettività, infatti, può facilitare o inibire, accelerare o ritardare la funzione cognitiva e fare in modo che l’attività di conoscenza sia uno strumento per affrontare e risolvere i problemi di comunicazione con gli altri. L’apprendimento non dipende soltanto da acquisizioni legate al mondo esterno, ma è mediato dal mondo interiore di chi apprende, dalle sue emozioni e affetti".[6]
In definitiva, sia i bambini sia gli adulti, per apprendere e memorizzare in modo efficace, devono aver sviluppato alcune capacità fondamentali: una buona fiducia in se stessi, un’idonea conoscenza dei propri sentimenti e una padronanza degli stati emotivi. In definitiva, hanno bisogno di possedere un buon equilibrio interiore.[7]
Le emozioni possono essere attivate da stimoli reali, ai quali l’individuo reagisce mediante un processo cosciente oppure da ricordi di eventi del passato, sia coscienti sia sepolti nell’inconscio, i quali vengono elaborati dal soggetto.[8] Le risposte dell’individuo nascono da una presa di coscienza del proprio stato emotivo che permette di avviare la valutazione dell’evento, al fine di determinarne la natura e ciò allo scopo di regolare la qualità e l’intensità della reazione emotiva più appropriata e adeguata. Contemporaneamente si attiverà il sistema nervoso autonomo, con delle reazioni corporee che consentiranno all’organismo di reagire rapidamente e bene, così da affrontare la situazione che si è determinata. Affinché la risposta sia adeguata, si modificherà anche l’espressione facciale, posturale e il tono della voce, in modo tale che alle persone con le quali ci si relaziona arrivino una serie di adeguati messaggi comunicativi verbali e non verbali.[9]
Si pensava che l’area interessata alle emozioni fosse l’amigdala, ma in seguito si è visto che partecipano alle regolazioni delle emozioni diverse regioni corticali, le quali formano come una grande rete cerebrale che si attiva e collabora agli eventi emozionali, dando ognuna il proprio contributo.
Per quanto riguardai sentimenti, questi sono delle risonanze affettive meno intense ma molto più durature delle passioni. Mediante i sentimenti il soggetto vive i propri stati soggettivi e gli aspetti del mondo esterno.[10] Sono sentimenti l’odio e l’amore, il piacere e il dolore; il senso di pienezza o di vuoto interiore; la contentezza e la tristezza; la speranza e la disperazione; la diffidenza e il risentimento.
La regolazione delle emozioni
La mente emozionale è un potente sistema di conoscenza. Il monitoraggio e la regolazione degli stati emotivi, al fine di attivarli, sopprimerli o adeguarli, sono fondamentali per la comprensione globale di se stessi e degli altri, per il nostro benessere, ma soprattutto per saper regolare ogni momento della nostra vita sociale, affettiva e relazionale. La nostra mente, se non particolarmente alterata, riesce a eseguire questi controlli e a modulare correttamente le emozioni e le esperienze interne che viviamo, in modo tale da permettere un buon adattamento nei confronti delle varie situazioni che è necessario affrontare nella vita.[11]
Le emozioni e i sentimenti, così come possono sostenere, regolare e aiutare gli individui nei loro rapporti interpersonali, permettendo loro di avere delle reazioni spontanee e adeguate nei confronti degli altri, se non sono in buon equilibrio possono contrastare, limitare, alterare, rallentare ma anche bloccare, i pensieri, le azioni e i comportamenti. La conseguenza di ciò è che i sentimenti estremi, le emozioni che diventano troppo intense o durano troppo a lungo, minano la nostra stabilità e la nostra capacità sociale e relazionale.[12]
Per Ayan:
"Il nostro modo di reagire a determinati impulsi e le strategie che scegliamo per la regolazione delle emozioni, non sono tanto frutto della forza di volontà, quanto il risultato di modelli e abitudini appresi nell’infanzia e nelle circostanze momentanee".[13]
La regolazione degli stati emotivi è un’attività molto complessa e delicata, tanto che può essere disturbata facilmente dalle situazioni e dagli eventi stressanti o traumatici che subiamo, o abbiamo subito in passato. La cosiddetta intelligenza emotiva si riferisce proprio all’abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri, di distinguerle tra di loro e di usare tali informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni.[14]Quando questa attività di regolazione non avviene o avviene in modo abnorme, la disregolazione emotiva che ne consegue può alterare gravemente sia la vita interiore dell’individuo sia le interazioni sociali che egli cerca di affrontare.
La disregolazione emotiva avviene quando uno stato di tensione generalizzata si amplifica a tal punto, che le funzioni auto-regolatrici ne risultano compromesse. Pertanto il pensiero razionale diventa poco accessibile, con la conseguenza che prevalgono le reazioni automatiche e riflesse.[15]
Le emozioni nell’autismo
È evidente la presenza di una disregolazione emotiva in tutti i minori e adulti che presentano e soffrono di disturbi psicologici. In questi ritroviamo spesso incoerenza tra le reazioni, gli obiettivi, le modalità espressive e le richieste dell’ambiente sociale.[16] Quest’alterazione è molto più grave nei bambini e negli adulti con disturbi autistici, nei quali si manifesta lungo un continuum di fenomeni dai più lievi ai più intensi. Pertanto si può passare da lievi variazioni dell’umore, a comportamenti esplosivi dovuti a un sovraccarico emotivo, cognitivo e sensoriale. Sono possibili le crisi di collera furiosa, il panico improvviso, l’eccitazione fuori controllo, le manifestazioni auto ed etero aggressive, le urla, gli atteggiamenti scomposti e anche le fughe.
Queste e altre reazioni emotive abnormi si presentano per motivi che, ad un osservatore esterno, possono sembrare molto banali, ma non è affatto così.[17] In realtà nei soggetti con disturbi dello spettro autistico, il sistema nervoso è costantemente messo alla prova, a causa del bombardamento continuo di stimoli sensoriali, emotivi, cognitivi, sociali, che hanno il potenziale effetto di disorganizzarlo ed è da questa disorganizzazione interna che nascono queste manifestazioni strane ed eccessive.
Anche se tutti noi abbiamo certamente vissuto più di una volta nella nostra vita, sia le emozioni sia i sentimenti, ciò che caratterizza le emozioni dei soggetti con disturbi autistici non è la qualità delle emozioni ma la loro intensità e gravità. Essi mostrano una notevole sensibilità di fronte a ogni esperienza emotiva, ma si presentano chiusi ad ogni ragionamento logico.[18] Queste persone, quando riescono a riferirle, raccontano, ad esempio, di un’intensa e incontenibile rabbia, anche se di breve durata, come quella presente nei bambini piccoli.
Essi parlano di un mondo che avvertono insicuro e minaccioso, che provoca loro numerosi momenti di angoscia e terrore. Riferiscono d’intensi stimoli dolorosi che non riescono a dominare, di odori opprimenti, di caos e confusione nella loro mente, ma anche di frequenti episodi di estraniamento dalla realtà. Ricorda De Rosa: ‹‹Ero molto angosciato, arrabbiatissimo, spesso in preda a una grande ansia che non riuscivo a comunicare››. [19]
Per Franciosi:
Le persone con autismo vivono intensamente il livello presente. Il loro paesaggio interiore è connotato da amplificazioni: paure intense, tristezze infinite, collere furiose, pensieri assorbenti, eccitamenti fuori misura. Sono costantemente esposti ad alti livelli di tensione interna, che si manifestano in molte forme: reattività alle piccole frustrazioni, resistenza al cambiamento, ossessività, comportamenti compulsivi, pensiero rigido e inflessibile, tendenza alla perseverazione, adesione rigida ai rituali, crisi acute di angoscia provocate dagli imprevisti, inquietudine manifestata di fronte all’impossibilità di riportare immediatamente le cose al loro ordine. La paura, in certo casi, si trasforma in terrore fobico, dando luogo a improvvise e frequenti oscillazioni del tono dell’umore.[20]
La disregolazione, nei soggetti con sintomi di autismo è evidente dalla mancanza di gradualità, che caratterizza le risposte emotive di queste persone.[21]
I deficit nei processi di regolazione emotiva possono condurre a comportamenti apparentemente senza scopo, disorganizzati, disorientati ma anche a condotte di evitamento, fuga, comportamenti oppositivi, variazioni improvvise di tonalità affettiva, instabilità dell’umore, risposte inappropriate, difficoltà a mantenere una risposta emotiva stabile, rigidità espressiva, iperattività motoria, tensione muscolare, cambiamenti posturali e vocali ma anche aumento di azioni ripetitive.[22]
Da Giuseppe, un ragazzo quasi adolescente con sindrome di Asperger, che abbiamo seguito nel tempo, questo mondo intimo e personale nel quale egli cercava di sopravvivere con grandi sforzi, era descritto come “l’inferno”. Alla nostra richiesta di chiarirci meglio che cosa intendesse affermare con questa terribile parola, ha aggiunto soltanto che era meglio per noi e per il nostro equilibrio mentale, evitare di spiegarci il termine che aveva usato.
Purtroppo la documentazione che abbiamo su questo “inferno” da parte di altri bambini e adulti con la stessa sindrome, è notevolmente corposa e gli dà ragione. Queste emozioni negative spesso sconvolgenti e intense, che sono presenti nei soggetti con sintomi di autismo, si notano facilmente dai loro disegni e racconti, i quali evidenziano un mondo interiore gravemente confuso e disordinato, instabile e pauroso, truce e crudele. Un mondo che in certi momenti riesce a sconvolgere i pensieri, le azioni e i desideri di questi bambini. Un mondo che rende notevolmente dolorosi e penosi molti momenti della loro vita.
La Williams afferma di essere certa di avere e vivere emozioni e sentimenti, ma nota la sua difficoltà a comunicarli correttamente agli altri. [23]Per la stessa autrice ciò che caratterizza l’autismo è proprio la disregolazione emotiva.
L’autrice scrive:
"Credo che l’autismo sia la condizione in cui ciò che non funziona adeguatamente è un tipo di meccanismo che controlla l’emotività, così che un cervello normale, in un corpo relativamente normale, non riesce ad esprimere se stesso con la profondità di cui sarebbe altrimenti capace".[24]
La Grandin, un’altra donna con autismo ad alto funzionamento, così descrive le proprie emozioni: "Alcuni ritengono che le persone con autismo non abbiano emozioni. Io ne ho, eccome, ma sono più simili alle emozioni di un bambino che a quelle di un adulto". [25]
E poi aggiunge:
"Le mie emozioni sono più semplici di quelle della maggior parte delle persone. Non so cosa siano le emozioni complesse in una relazione umana. Io capisco soltanto le emozioni semplici, come la paura, la rabbia, la gioia, la tristezza".[26]
Sullo stesso argomento l’autrice afferma: "Nei bambini autistici la tendenza a rapidi mutamenti emozionali è piuttosto frequente a un’età successiva, in cui a volte presentano gli schemi emozionali di un bambino piccolo".[27]
Le emozioni in questi soggetti sono molto vicine a quelli di un bambino piccolo, proprio perché il loro sviluppo psichico e affettivo non ha avuto la possibilità di evolversi normalmente. Tuttavia nel momento in cui il loro mondo interiore migliora, la loro maturità emotiva ed affettiva cresce rapidamente, tanto che essi si rivelano desiderosi di affetto, attenzione e vicinanza che manifestano mediante degli espliciti comportamenti teneri e delicati ma anche mediante parole di gratitudine, verso chi è disponibile a capirli e ascoltarli e dimostra con i fatti e non certo solo con le parole, di rispettare i loro bisogni emotivi.
L’esempio più evidente l’abbiamo avuto proprio da Giuseppe, il quale, nel momento in cui è migliorata la sua grave ansia e tensione interiore, quasi in ogni seduta, pur di continuare a provare la gioia di parlare ed essere ascoltato, prospettava a me e ai suoi genitori il desiderio di avermi a casa sua: in occasione del suo onomastico, del compleanno o anche soltanto per una semplice passeggiata.
Lo stesso ragazzo fece un commovente racconto nel quale evidenziava il suo bisogno e desiderio di avere il suo vecchio dottore che egli chiamava “Doc” sempre con sé:
Un vecchio cellulare per amico
"C’era una volta un vecchio cellulare di nome Doc. Aveva problemi ad accendersi perché la batteria era malandata. Un ragazzo di 20-25 anni lo trovò ed iniziò a ripararlo e poi iniziò a programmarlo. Solo che poi il ragazzo scordò dove lo aveva messo. Non lo trovò, ma alla fine lo trovò, ma non era più funzionante perché la carica era finita. Visto che era l’ultimo telefono al mondo di quel tipo e tutti i caricabatteria erano distrutti, ad un certo punto ricordò ciò che gli aveva insegnato un suo caro amico, prima di essere esiliato, ovvero, che poteva recuperare cpu e ram da un altro telefono. Quel telefono si risvegliò ed era più veloce e disse: “Cosa mi hai fatto?” e lui: “Ti ho modificato per salvarti la vita”. Ed il telefono rispose: “Grazie mille finalmente”. E vissero per sempre felici e contenti".
L’interpretazione di questo racconto non è difficile. Il ragazzo avverte il vecchio medico che lo segue come una delle poche persone che lo comprendono e lo mettono a proprio agio. Pertanto per lui questa persona è diventata importante, tanto importante che egli vorrebbe ringiovanirla per farla vivere di più, così come si potrebbe fare con un vecchio cellulare, aggiornando le sue componenti essenziali!
Nei disegni effettuati nei soggetti con autismo, non ritroviamo quasi mai i classici elementi presenti nei disegni dei bambini normali: casette con balconi fioriti, soli splendenti, alberi, altalene e bimbi che giocano in mezzo al prato. Quando non riescono a controllare le loro gravi pulsioni interiori, sono presenti soltanto dei caotici scarabocchi, ma se il loro mondo intimo è un po’ più sereno e controllato, l’osservatore riesce facilmente a scorgere nei loro disegni una realtà interna deformata e alterata a causa delle intense pulsioni emotive presenti nella loro psiche. Una realtà nella quale predominano la confusione e l’angoscia, il terrore e l’aggressività, le paure e la violenza.
Scarabocchio caotico di un bambino con sintomi di autismo.
Disegno disordinato e caotico di un bambino con sintomi di autismo.
Figura umana con aspetto aggressivo e violento
Altro disegno di bambino con sintomi di autismo: il cielo si trova sotto l'albero!
Disegno dell'albero molto inconsueto.
Pertanto sono presenti elementi stereotipati con contenuti tragici: navi che s’inabissano con tutti i loro occupanti, robot e mostri assassini, bambini spinti dai draghi nel burrone, sangue, mutilazioni, escrementi, morte e atti di crudeltà immotivata. Lo stesso avviene nei loro racconti i quali, oltre ai contenuti violenti e tragici, appaiono spesso spezzati e confusi e, in alcuni casi, inintelligibili. Tuttavia quando questi bambini riescono ad acquisire una buona serenità interiore, i loro racconti, pur essendo sempre intrisi di situazioni strane e drammatiche o di pensieri paralizzanti e terrifici, diventano più comprensibili, lineari e con qualche elemento di ottimismo.
L’evoluzione in senso positivo della chiusura autistica è resa più facile e completa o più difficile e parziale, in conformità a molteplici condizioni: la profondità e la gravità del ritiro autistico; l’età del bambino, ma soprattutto sono importanti la capacità e la disponibilità nel mettersi in gioco delle persone che sono vicine a questo bambino, così da impegnarsi a modificare in maniera sostanziale l’ambiente di vita nel quale si muove e si relaziona il minore.
Il mascheramento e la dissimulazione
Alcuni soggetti con autismo pur non abbandonando la chiusura autistica, riescono a nascondere la loro realtà interiore e utilizzano, come fossero dei mascheramenti, dei comportamenti che pensano possano essere più efficaci o socialmente meglio accettati. La Williams, ad esempio, utilizzava nel tempo due personaggi diversi: Carol e Willie. Questi due personaggi presentavano caratteristiche diverse: Carol incarnava la fuga dalle paure, mentre Willie era la personificazione esteriore di lotta alle paure.[1]
Anche in alcuni nostri pazienti abbiamo potuto constatare lo stesso intento di mascherare la loro condizione di autismo, presentandosi, nei rapporti con gli altri, con degli atteggiamenti che nascondevano molto bene la loro vera realtà interiore. Questi pazienti riuscivano a presentarsi come dei bambini o giovani allegri, sorridenti e, soprattutto, molto socievoli. Esattamente l’opposto di quello che ci si aspetterebbe da soggetti con autismo. Altri si presentavano autorevoli e sicuri di sé, come fossero persone mature e responsabili, mentre in realtà erano psicologicamente molto piccoli, fragili e indifesi. Questi camuffamenti riescono a volte a trarre in inganno gli operatori, inducendoli ad effettuare, nei loro riguardi, delle diagnosi che nulla hanno a che fare con l’autismo.
I tentativi autonomi di uscire dall’autismo
A causa della notevole plasticità cerebrale, così come vi è sempre la possibilità di una regressione a livelli inferiori di sviluppo cognitivo, emotivo e affettivo, allo stesso modo vi è, per questi soggetti, la possibilità di raggiungere progressivamente dei livelli superiori di capacità relazionali, emotive e intellettive. Rimane quindi in loro, anche se latente, la capacità di riacquistare quella serenità, fiducia, maturazione ed equilibrio momentaneamente perduti.
In alcuni casi, come nella Williams, lo stimolo a cercare di uscire dalla condizione di autismo, era dato dalla sfida che la donna aveva intimamente ingaggiato con la madre e con il fratello maggiore, che sembravano gioire della sua patologia:
Sarei stata felice di “lasciar perdere” e ritirarmi nel mio mondo personale, se non fossi stata sicura che mia madre e mio fratello maggiore sembravano fiorire sulla mia diversità e la mia incapacità di stare al passo. Il mio odio e il mio senso dell’ingiustizia erano la forza che mi spingeva a dimostrare che sbagliavano.[2]
[1] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p.129.
[2] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 52.
Gli interventi dei genitori
Attuazione di una modalità relazionale adeguata
Per quanto riguarda i comportamenti dei familiari, nel momento in cui questi hanno chiara la diagnosi effettuata sul figlio, in alcuni casi sono i genitori stessi, senza alcun aiuto o indicazione esterna, che attuano una modalità relazionale più adeguata, dialogante, affettuosa, attenta e responsabile, capace di riportare alla normalità un bambino con chiari segni di autismo.
La madre di Federico, di cinque anni ne è un esempio. La donna, accortasi della presenza nel figlio di chiari sintomi di autismo, confermati tra l’altro da un neuropsichiatra infantile, si attivò prontamente e, soprattutto, personalmente nel dare al proprio bambino, mediante degli atteggiamenti e delle cure particolarmente dolci e tenere, quella tranquillità e serenità che Federico aveva momentaneamente perduto e delle quali aveva assolutamente bisogno, per poter ritornare ad avere fiducia negli altri e nel mondo e così abbandonare la chiusura autistica riprendendo la sua crescita affettivo-relazionale, momentaneamente interrotta.
In pochi anni, senza far effettuare al figlio alcuna terapia abilitativa o riabilitativa, questa madre riuscì ad ottenere dei miglioramenti così vistosi e completi che quando venne da noi, per avere confermata o smentita la diagnosi che era stata fatta anni addietro al suo bambino, non avendo osservato in quel momento alcun sintomo della patologia pregressa, né altri disturbi psicologici di una certa rilevanza, rimandammo a casa lei e il figlio, senza prenderli in carico e quindi senza effettuare interventi di alcun tipo. Demmo alla madre un unico consiglio: continuare a comportarsi con Federico, così come aveva fatto fino a quel momento.
Non sappiamo quanti siano i casi come quello di Federico, poiché è raro che un genitore vada da uno specialista per avere la conferma della risoluzione di un problema, temiamo però che non siano molti. Purtroppo pensiamo che invece siano più frequenti altri tipi di comportamenti.
La negazione delle cause ambientali
Molti genitori tendono a negare a se stessi e agli altri che, in un certo periodo anche molto breve, per uno o più motivi, si sia creato attorno al bambino, un ambiente relazionale talmente negativo e difficile, da indurlo alla chiusura. In questi casi per i familiari appare molto più agevole dare la responsabilità di quanto accaduto a elementi esterni, di tipo genetico o organico, come l’aver effettuato al figlio le vaccinazioni prescritte o l’aver dato degli alimenti non idonei. Questa negazione può riguardare i genitori, i quali è come se dicessero a se stessi: ‹‹Mio figlio è nato così, ha questo handicap che fa soffrire tutti noi, ma non possiamo fare altro che cercare di attenuare i suoi comportamenti problematici e migliorare le sue scarse capacità sociali, relazionali, intellettive e cognitive, utilizzando tutti i tipi di terapie educative e rieducative che conosciamo o che ci vengono indicate dagli specialisti››.
Il negare la presenza di un possibile problema ambientale, coinvolge spesso anche la società nella quale viviamo. È come se questa proclamasse a gran voce: ‹‹Anche se non sappiamo bene cosa succede e perché succede, le cause dell’autismo devono essere necessariamente di natura genetica o organica. L’ambiente di vita non ha certamente alcuna influenza sulla patologia di questi bambini e, chi afferma il contrario, vuole soltanto colpevolizzare i loro genitori e familiari, soprattutto le madri. Pertanto la società deve soltanto attivare i servizi socio- sanitari, al fine di assistere questi soggetti, dalla culla alla tomba, cercando di migliorare i loro inguaribili deficit utilizzando le terapie educative e riabilitative che in quel determinato momento appaiono più valide e opportune››. Tuttavia: ‹‹Pensare ancora che la dimensione affettiva chiami in causa necessariamente una colpevolizzazione delle madri, significa misconoscere gli sviluppi della scienza in ambito evolutivo ed eludere la fatica di revisionare le patologie in base alle nuove conoscenze››.[1]
La colpevolizzazione del bambino
Un altro modo ancora peggiore di affrontare il problema, è quello di colpevolizzare il bambino stesso, giudicandolo come cattivo, capriccioso e noioso, oltre che stupido. Un bambino che ama far disperare i suoi genitori e tutti gli adulti che hanno a che fare con lui, un bambino che non vuole crescere, non vuole imparare, non vuoleubbidire. Un figlio che in tante occasioni: a casa, a scuola, in pizzeria o nelle feste, ama mettere in imbarazzo le persone che hanno cura di lui.
Per fortuna vi sono dei genitori più responsabili e attenti che, affiancati da un operatore sensibile e attento alle problematiche psicologiche di questi bambini, riescono ad instaurare con i loro figli una relazione particolare, fatta di grande accettazione e profondo rispetto della realtà interiore di essi. Quando si rendono concrete queste due condizioni, i bambini con disturbi autistici riescono rapidamente a fare a meno di quelle difese arcaiche, rappresentate da muri, porte o cupole, che essi avevano messo in atto per difendersi nei confronti del mondo e sono pronti a iniziare un rapido cammino di crescita affettiva ed emotiva, che li può condurre alla piena normalità.
Crediamo pertanto che sia giunto il momento di guardare in faccia la realtà e non più nascondere la testa sotto la sabbia. Poiché solo avendo come obiettivo primario non la lotta ai singoli variegati sintomi, ma la diminuzione della grave sofferenza interiore esistente nei bambini che presentano questa patologia, mediante un’efficace relazione con essi, abbiamo la possibilità di incidere profondamente sul loro malessere, dando ai bambini stessi la concreta speranza di un armonico sviluppo.
Inoltre, nel momento in cui la società, nel suo complesso, avrà ben chiari i motivi che costringono questi bambini a isolarsi e difendersi dagli altri e dal mondo, utilizzando le difese più arcaiche e improduttive, sarà possibile mettere in atto una serie di attività volte a prevenire, in maniera razionale e incisiva, questa devastante patologia. Non possiamo, infatti, sottovalutare che l’autismo, pur manifestandosi in svariate forme, in modo sempre più frequente tormenta d’intensa e prolungata sofferenza i bambini che ne sono affetti ma anche le loro famiglie. E infine, come fare a non tenere in alcun conto o sottovalutare le spese necessarie che gravano notevolmente sui bilanci degli Stati, giacché, secondo l’Osservatorio Nazionale Autismo, in Italia oggi si pensa che addirittura un bambino su settantasette, potrebbe essere definito come bambino con sindrome autistica?
Che cosa può essere andato storto? Che cosa nei primi mesi di vita ha potuto costringere questi bambini ad effettuare, non sappiamo quanto istintivamente o volontariamente, la drammatica e radicale scelta di chiudersi in se stessi?
La nostra esperienza ci ha insegnato che gli eventi che possono avere inciso negativamente, disturbando il dialogo, la comunicazione e in definitiva la relazione tra il bambino e il mondo esterno, rappresentato dai suoi genitori e familiari, costringendolo ad estraniarsi dalla realtà possono essere diversi. Non solo, ma possono sommarsi tra loro, poiché non sempre è sufficiente un’unica causa a costringere il bambino verso la chiusura che lo porterà a delle gravi conseguenze sul piano cognitivo e affettivo-relazionali.
1. In alcuni casi l’intimo dialogo tra il bambino e il suo ambiente di vita può essere stato influenzato negativamente a causa di una o più situazioni stressanti e difficili da affrontare.
I suoi genitori e familiari possono essere stati influenzati negativamente a causa di pressanti necessità economiche; per la presenza di eccessivi e prolungati impegni lavorativi; a causa di conflitti coniugali o familiari; per gravi difficoltà lavorative; a causa della necessità di affrontare gli stress presenti in ogni separazione o divorzio. Altre situazioni ambientali nettamente negative possono essere state originate da malattie proprie o di qualche familiare, da eventi luttuosi che si sono abbattuti sulla famiglia, e così via.
La William riferisce dei gravi conflitti intrafamiliari nei quali, suo malgrado, era stata coinvolta: ‹‹A casa la guerra infuriava costantemente attorno a me››.[1] E ancora: ‹‹La tensione tendeva ad esplodere, mio padre umiliava e maltrattava mia madre, lei umiliava e maltrattava me. Entrambi avevano trovato vie di fuga e se ne servirono per anni, lasciandosi alle spalle una distruzione tanto più totale di quanto non avrei mai potuto far apparire nel mio piccolo mondo magico››.[2] E inoltre: ‹‹La famiglia era decisamente spaccata a metà, in una caduta a spirale che l’avrebbe precipitata a capofitto nel baratro infernale››.[3]
È evidente come l’ambiente familiare descritto dalla Williams, sia esattamente l’opposto di come dovrebbe essere, al fine di permettere una normale crescita di una piccola bambina. Quest’ultima avrebbe avuto bisogno di un ambiente tranquillo, senza la presenza di ansie e timori eccessivi e con il sostegno di genitori che, amandosi tra loro, avessero amato anche lei. Winnicott è lapidario quando afferma: ‹‹Al giorno d’oggi parliamo molto spesso di bambini disadattati: ma i bambini disadattati sono tali perché il mondo non è riuscito ad adattarsi correttamente a loro all’inizio e durante i primi tempi››.[4]
Possiamo paragonare questa condizione a ciò che tante volte può accadere a chi è impegnato nel lavoro. Se questo soggetto, per qualunque motivo, è preda della stanchezza, se mille pensieri molesti disturbano la sua mente, sarà per lui difficile concentrarsi su ciò che dovrebbe fare e che avrebbe potuto svolgere bene, se non fosse stato investito da tanta stanchezza, stress e preoccupazioni. In definitiva le persone vittime di conflitti o stress eccessivi, pur possedendo buone qualità e capacità, a causa di alcune situazioni contingenti, non riescono a svolgere correttamente i loro compiti. In questi casi il disagio, la disistima e i sensi di colpa che si avvertono nel capire che non si stanno eseguendo adeguatamente gli impegni assunti, peggiorano la condizione psicologica di tali persone, cosicché le difficoltà tendono ad accentuarsi.
2. Può aver inciso pesantemente nella relazione con i minori un disturbo psicologico di una certa importanza, presente nella psiche degli adulti che hanno cura di loro.
In questi casi, a causa di uno dei tanti disturbi psicologici che possono essere presenti nella psiche degli adulti, questi possono presentare difficoltà a comprendere pienamente i bisogni, i vissuti e i problemi dei minori, ma soprattutto possono avere difficoltà nel rispondere in maniera serena, adeguata ed equilibrata ai loro bisogni psicologici e alle loro legittime richieste. Tra l’altro, in molti casi i disturbi psicologici, anche se non sono gravi, possono comportare problemi proprio nel campo della comunicazione, la quale è essenziale nello stabilire un rapporto relazionale con i bambini piccoli che permetta al loro Io di formarsi, crescere e svilupparsi armonicamente. Possono soffrire di questi problemi non solo le madri ma anche i padri, entrambi i genitori oppure i nonni, quando sono loro ad avere le maggiori responsabilità nella cura dei bambini, le baby sitter, le puericultrici dei nidi frequentati dai minori e così via.
3. Può incidere negativamente sulle capacità relazionali degli adulti la scarsa o inadeguata esperienza necessaria per una corretta gestione di un bambino piccolo.
Dice Winnicott:
"Ma perfino le madri devono imparare dall’esperienza ad essere materne. A mio parere esse dovrebbero affrontare il problema da questo punto di vista: l’esperienza insegna. Affrontandolo in un altro modo e credendo di dover studiare sui libri come diventare madri perfette sin dall’inizio, sbagliano".[5]
Questa situazione, poco frequente nelle famiglie tradizionali è diventata, in questo periodo storico, consueta, a causa della mancata trasmissione dell’esperienza e dei saperi riguardanti la cura di un bambino, da una generazione all’altra. Tale situazione è causata dal notevole calo delle nascite, dalla diffusione di famiglie sempre più piccole e prive di fratelli minori con i quali fare tirocinio, ma anche e soprattutto dalle frequenti deleghe nella cura dei figli, alle quali sono oggi costretti i genitori. Tale impreparazione può accentuare l’ansia insita nei compiti di cura, rendendo difficile un sereno dialogo e rapporto con i propri figli. Pertanto questi genitori possono avere difficoltà a stabilire con i loro piccoli un vero e saldo legame affettivo ed emotivo, oltre che un dialogo profondo ed efficace.
4. Possono aver influito negativamente le indicazioni che spesso provengono da una società consumistica, iperliberale ed egocentrica come la nostra.
Sappiamo che molte società del mondo occidentale, sostanzialmente basate sulla produzione, sul profitto e sull’economia, giudicano come motivo del successo e della realizzazione degli adulti, non la maternità o la paternità, non il piacere e la gioia della cura e dell’educazione di un figlio, ma la ricerca della propria realizzazione, prevalentemente o esclusivamente nel campo professionale, lavorativo, economico e sociale, insieme alla ricerca, a volte sregolata, di gioie e piaceri molto semplici, poveri e banali. Pertanto, da questo tipo di società, le attenzioni e gli impegni degli adulti sono prevalentemente indirizzati e focalizzati su obiettivi e temi diversi e spesso contrastanti, rispetto a quelli necessari per svolgere correttamente il ruolo di genitore o comunque di educatore.
Il racconto di Dario, di nove anni, che presentava problemi psicologici che si manifestavano soprattutto negli apprendimenti scolastici, evidenzia chiaramente lo stato d’animo presente nei bambini i cui genitori sono assenti per motivi di lavoro.
Il pesce e il granchio
‹‹C’era una volta un pesce che nuotava notte e giorno, era triste e solo ed era in cerca di amici. Un giorno il pesce ha trovato un granchio che era in pericolo perché c’era una murena che se lo stava mangiando. Il pesce è corso incontro alla murena e l’ha cacciata via. Subito il granchio si è messo a correre per salvare il pesce. Da quel giorno il pesce non è rimasto più solo, perché è rimasto con il granchio››.
Domanda del terapeuta: ‹‹Perché il pesce era solo?››.
Risposta: ‹‹Il pesce era solo perché i genitori erano sempre a lavorare››.
5. Possono aver influito negativamente nella relazione tra il bambino e il suo ambiente di vita le sofferenze, le ansie e le paure causate da malattie organiche delle quali il piccolo ha sofferto o soffre ancora.
I problemi organici hanno dei risvolti psicologici, sia sul bambino sia sui suoi familiari, che non si possono e non si devono trascurare. Soffrire di una malattia significa “stare male”. Quasi sempre questo “stare male” non riguarda solo il corpo ma anche la psiche del soggetto. Si sta male per la malattia della quale si soffre, si sta male per la condizione d’impotenza e a causa delle limitazioni conseguenti alla malattia, si sta male per tutti gli esami, le terapie mediche e chirurgiche o, peggio, i ricoveri in ospedale che bisogna sopportare. Purtroppo, spesso non si tiene nella giusta considerazione la fragilità psichica dei bambini, specie se molto piccoli ma anche quella dei loro familiari. Ci dimentichiamo che ogni patologia e ogni atto medico, che hanno una qualche componente traumatica, possono comportare delle sofferenze e quindi dei danni psicologici. Non è difficile quindi che, come conseguenza di questi problemi organici, possa insorgere, in alcuni bambini, specialmente in quelli psicologicamente più fragili, il bisogno di fuggire da una realtà eccessivamente frustrante e dolorosa.
6. Un’altra concausa può essere legata all’uso sempre più diffuso di deleghe nel campo educativo e di cura.
È noto come la gestione del bambino piccolo, mediante gli asili nido, le baby sitter o la collocazione dai nonni per un tempo eccessivo, possa provocare una condizione di fragilità nel piccolo essere umano che si sta formando, il quale invece, soprattutto nei primi anni di vita, avrebbe bisogno di vivere, crescere e svilupparsi accanto ai suoi genitori, in uno stabile, confortevole, caldo e sereno nido familiare. Questa fragilità, sommata ad altre situazioni stressanti o traumatiche, può anch’essa contribuire ad indurre delle gravi sofferenze le quali, a sua volta, possono spingere il piccolo a chiudersi in se stesso.
7. Vi è un’altra condizione che non riteniamo meno importante delle altre, che è legata a uno stile relazionale non adeguato.
Il modo di porsi nei confronti dei bambini piccoli, oltre che essere influenzato dalle caratteristiche di personalità, dal sesso e dalla realtà del momento, è condizionato anche dalle esperienze vissute durante tutta la propria vita. Pertanto quando lo studio, i tirocini e gli impegni di tipo lavorativo e professionale modellano le capacità di dialogo e di relazione degli adulti in funzione di un’attività lavorativa e professionale, inevitabilmente sarà dato molto valore alle caratteristiche più utili in questi campi: come la vivacità, la grinta, la determinazione, la forza, l’intraprendenza. Caratteristiche queste molto diverse, anzi opposte, a quelle richieste nella cura e nella relazione con un bambino piccolo. Cura e relazione che richiedono invece comportamenti pacati, dolci, teneri e delicati, insieme a tanta pazienza e a notevoli doti e capacità comunicative ed empatiche.
8. Cause organiche e genetiche
Per quanto riguarda le possibili cause organiche o genetiche, oggi spesso indicate come le uniche possibili cause dell’autismo, noi pensiamo che certamente non tutti i bambini nascano con la stessa sensibilità, per cui ciascuno di essi può resistere e reagire all’ambiente in modo differente. Pertanto le capacità di resistere agli stress, alle frustrazioni o ai traumi, possono certamente dipendere anche da componenti genetiche o organiche.
Tuttavia le esperienze che abbiamo avuto nel tempo ci confermano che i fattori ambientali, di tipo psicologico e relazionale, sono nettamente predominanti nella nascita dei vari disturbi psicologici presenti nell’infanzia. Cosicché, quando gli elementi ambientali negativi superano una certa soglia, anche il bambino che possiede un ottimo corredo genetico ed è privo di problematiche organiche, sarà inevitabilmente coinvolto in meccanismi psicologici che possono alterare in maniera più o meno grave i suoi comportamenti, le sue emozioni e i suoi vissuti interiori.
Sono tanti gli autori che pongono l’accento sulle componenti ambientali nella nascita dei disturbi psicologici.
Per Osterrieth:
"È forse utile ricordare che, in realtà, organismo e ambiente sono in continua interazione, e che, secondo le caratteristiche dell’ambiente, certe tendenze ereditarie saranno non soltanto permesse ma favorite, concretizzandosi in attitudini o in tratti di carattere; altre saranno inibite, e appariranno solo in forma alterata, altre infine non saranno mai stimolate e le reazioni concomitanti non si verificheranno mai".[6]
E ancora lo stesso autore:
"In breve, qualunque sia l’importanza e il peso dei fattori ereditari, l’uomo non è condizionato soltanto da questi: lo è altrettanto dalle condizioni in cui vive e in cui il suo sviluppo è avvenuto".[7]
Sempre da Osterrieth:
"Si sottovaluta che il più delle volte si trasmettono non malattie ma predisposizioni verso certe malattie piuttosto che altre. Si trasmette una maggiore o minore sensibilità ai traumi psichici piuttosto che disturbi o malattie psichiche. Anche perché perfino nei gemelli veri non vi è un uniforme comportamento per cui parecchie attitudini e tratti del carattere si trovano nell'individuo in quanto sono stati incoraggiati dall'ambiente, mentre altri sono stati costantemente inibiti".[8]
Per Ackerman: "L’eredità fissa dei limiti al potenziale sviluppo della personalità, ma a darle una forma concreta è l’esperienza sociale".[9]
Per De Ajuriaguerra:
"Senza alcun dubbio esistono dei pattern caratteristici di ogni specie, trasmessi per via ereditaria, che si manifestano sotto forme equivalenti in un insieme di individui della stessa specie. Ma i pattern possono essere attivati dall’ambiente, dagli stimoli tattili, visivi, uditivi, etc., o modificati per l’assenza o per l’azione qualitativamente o quantitativamente inadeguata degli apporti dell’ambiente".[10]
Bowlby afferma:
"Il punto di vista che sostengo, come si potrà notare, si basa sulla convinzione che gran parte dei disturbi psichici e dell'infelicità siano dovuti ad influenze ambientali su cui siamo in grado di intervenire e che possiamo modificare. E inoltre: Se un bambino è sereno e sicuro oppure infelice e non in armonia con la società, dipende in gran parte dall’adeguatezza o meno delle prime cure che ha ricevuto".[11]
"Sappiamo che oggi il compito centrale della psichiatria dello sviluppo è proprio quello di studiare l’interazione senza fine tra mondo interno e mondo esterno e il modo in cui uno influenza costantemente l’altro, non solo durante l’infanzia, ma anche durante l’adolescenza e la vita adulta. Appare ormai evidente che gli avvenimenti accaduti all’interno della famiglia durante l’infanzia e l’adolescenza giocano un ruolo importante nel determinare se una persona crescerà mentalmente sana o no".
A questo riguardo non possiamo non ricordare anche le osservazioni e gli studi di Imbasciati, Dabrassi e Cena:
"Sappiamo che la maturazione cerebrale è in relazione all’esperienza e che questa inizia ad essere esperita già dal feto. È l’esperienza che regola lo sviluppo micromorfologico e funzionale del cervello".[13]
Gli stessi autori aggiungono:
"Si è ritenuto a lungo, e in parte tuttora alcuni ritengono, che la maturazione del tessuto nervoso, quale si riscontra morfologicamente e fisiologicamente, dipenda esclusivamente dalla realizzazione del programma genetico che riguarda il completamento morfofunzionale di tutti gli organi corporei e che investirebbe pertanto anche il cervello, che verrebbe così “completato” gradualmente, prima e dopo la nascita, nei primi mesi. La mente scaturirebbe così dalla maturazione biologicamente predeterminata del cervello. Al contrario si è dimostrato che la maturazione è un processo che avviene solo se c’è l’esperienza: non solo, ma che la qualità dell’esperienza determina il tipo di maturazione. (…) Gli studi sugli animali hanno da tempo dimostrato che l’architettura istologica corticale è in relazione al tipo di apprendimento cui l’animale è stato sottoposto. Più moderne tecniche, tra cui i metodi di neuro-immagini (PET), mettono in evidenza, anche nell’uomo, come sia l’esperienza che viene acquisita, ossia il tipo di apprendimento conseguito, che condiziona la cosiddetta maturazione neurale".[14]
Per Benedetti:
"Esistono invece bambini e le loro famiglie che trovano degli ostacoli e delle difficoltà nel seguire la loro strada evolutiva per cui vengono ad accumulare “ritardi” nel percorso previsto, o a volte “deviazioni” dalla strada considerata “normale”, o comune. Ho l’impressione che occuparsi di “autismo” e delle teorie che sono state costruite per “spiegarlo” abbia impedito a lungo di vedere questi bambini nel loro sviluppo e i fattori che potevano e possono ostacolarlo".[15]
Purtroppo come ben dice Osterrieth:
"La nozione fatalistica di ereditarietà incoraggia facilmente ad astenersi da ogni sforzo di educazione e da ogni tentativo per modificare l'ambiente nel quale il bambino cresce; essa costituisce, come ha detto qualcuno, un imponente guanciale di pigrizia pedagogica".[16]
Per quanto riguarda in modo specifico i disturbi autistici, i motivi che ci inducono a ritenere molto importanti le problematiche relazionali e ambientali nella nascita e nell’evoluzione nel tempo di questa patologia psichica, sono numerosi.
1. Sintomi molto simili a quelli presenti nei bambini con autismo sono evidenziati in molti animali, ogni qualvolta il loro ambiente di vita non è idoneo ai loro bisogni psicologici. Dice la Grandin che lavorava come veterinaria:
"Negli zoo gli animali tenuti in gabbie di cemento nudo si annoiano e spesso sviluppano comportamenti anormali come dondolarsi e camminare a piccoli passi o a zigzag. Le bestie giovani collocate da sole in ambienti di questo tipo subiscono un danno permanente e manifestano comportamenti bizzarri simili a quelli autistici, diventando eccessivamente eccitabili e mostrando comportamenti di tipo autolesionistico, iperattività e relazioni sociali disturbate". [17]
E ancora la stessa autrice:
"I cuccioli di cane allevati in cucce di cemento spoglie si agitano molto quando sentono un rumore. Le loro onde cerebrali continuano a mostrare segni di eccitabilità anche dopo sei mesi che sono stati tolti dalla cuccia di cemento e alloggiati in una fattoria". [18]
2. I sintomi presenti in questa patologia sono troppo diversi e contrastanti per essere addebitati, in modo prevalente, a cause organiche o genetiche, mentre sono coerenti con la presenza di uno sconvolgimento psichico che altera in maniera costante la vita emotiva di questi minori. I comportamenti da loro manifestati sono, in definitiva, direttamente e facilmente collegabili alla loro grave sofferenza ma anche alle varie strategie e difese che essi mettono in campo per cercare di limitare, arginare e se possibile eliminare questa sofferenza. Per tali motivi, poiché gli ambienti familiari, sociali, le realtà interiori, così come gli individui sono diversi l’uno dall’altro, i disturbi psicologici di questi bambini si esprimono diversamente mediante un notevole ventaglio di sintomi, che sono a volte contrastanti.
3. La variabilità in senso positivo o negativo dei sintomi, in rapporto alle persone con le quali questi bambini si relazionano, alle circostanze da essi affrontate e ai luoghi frequentati, è troppo frequente e notevole per pensare che ciò avvenga per caso.
4. In molti bambini i sintomi specifici dell’autismo sono così lievi che spesso sfumano e si confondono non solo con quelli presenti in molte altre patologie psichiche, ma anche con le manifestazioni e i comportamenti che ritroviamo nei soggetti che rientrano nell’ambito della normalità.Ed è per tale motivo che, a volte per anni, le diagnosi rimangono dubbie o controverse, così come sono dubbie e controverse le percentuali dei casi di soggetti che presentano disturbi autistici.
5. Alcune caratteristiche di questa patologia come: la resistenza ai cambiamenti, i comportamenti stereotipati, il bisogno di stabilità e tante altre, possono facilmente essere evidenziate in molte persone che rientrano nella norma, quando queste si trovano ad affrontare situazioni di grande tensione e stress.
6. L’aumento della frequenza di questa, come di tutte le altre patologie psichiche, che si è verificato in questi ultimi decenni nella popolazione generale, contrasta con delle cause genetiche od organiche, mentre può essere spiegato molto bene dai notevoli cambiamenti lavorativi, sociali e familiari, sopravvenuti nello stesso periodo nella nostra società. Si pensi soltanto alla diminuzione delle ore trascorse dai genitori con i figli, al notevole incremento delle separazioni, dei divorzi, dei conflitti coniugali. Si rifletta sull’invasione dei mass – media nella vita familiare e sulle situazioni stressanti subite dai genitori quando entrambi sono impegnati nel lavoro
7. Tuttavia il motivo più importante che ci fa pensare a una netta prevalenza delle problematiche ambientali, nella nascita e nell’evoluzione di questa patologia, deriva dal constatare un notevole miglioramento di tutti i sintomi di autismo ogni qualvolta sia presente un miglioramento nell’ambiente di vita dei bambini con disturbi autistici. Al contrario, quando dopo essere migliorati si ritrovano nuovamente vittime di un ambiente relazionale frustrante, traumatico o comunque non idoneo ai loro bisogni affettivo-relazionali, il peggioramento che ne segue è consequenziale e facilmente prevedibile. La Williams, riferisce un commovente episodio di completa chiusura in se stessa, in seguito a un grave episodio di violenza attuato da parte della madre:
"A tavola guardavo un piatto pieno di colori, un coltello e una forchetta stretti nelle mani. Guardai attraverso il piatto pieno di colori e tutto si dissolse. Un paio di mani disturbarono la mia visione: un coltello d’argento, una forchetta d’argento stavano tagliando i miei colori. C’era un pezzo di qualcosa all’estremità della forchetta d’argento. Stava lì seduto, immobile. Il mio sguardo seguì quel pezzetto di colore attraverso la forchetta, fino a una mano. Spaventata, lasciai che i miei occhi seguissero la mano fino ad un braccio, congiunto ad un viso. Infine, il mio sguardo cadde sugli occhi, che me lo restituirono con infinita disperazione. Era mio padre".[19]
La difficoltà ad accettare le cause ambientali
Sappiamo tuttavia che l’approccio che sottolinea le cause ambientali, nella nascita e nell’evoluzione delle sindromi della sfera autistica, in questo momento storico è poco accettato. I motivi sono diversi.
Per i genitori e i familiari
Da parte dei genitori e familiari accogliere le cause ambientali significa che il rapporto con il proprio bambino, almeno per un certo periodo di tempo, non è stato dei più felici, giacché al piccolo è stato fatto mancare, anche senza volerlo, qualcosa di cui aveva assolutamente bisogno, affinché la sua personalità potesse svilupparsi serenamente e bene.
Significa inoltre che probabilmente non sono stati interpretati correttamente i suoi primi segnali di sofferenza e pertanto i familiari o i sanitari non vi hanno posto rimedio rapidamente e, soprattutto, non nel modo più opportuno e corretto.
Per i genitori e gli altri familiari accettare quest’approccio significa coinvolgersi direttamente, tanto da riorganizzare la propria vita personale, coniugale, lavorativa e familiare, al fine di renderla il più possibile adeguata alle necessità del minore con problemi. Ciò è sicuramente un compito difficile, faticoso e doloroso. Poiché è necessario impegnarsi, giorno dopo giorno, nel modificare profondamente l’ambiente di vita nel quale è immerso il piccolo con problemi di autismo. In alcuni casi significa affrontare con decisione e risolvere gli eventuali conflitti coniugali presenti oppure relazionarsi con il bambino per un tempo molto maggiore e soprattutto molto meglio di quanto non fosse stato fatto prima, ascoltando fino in fondo i suoi bisogni, così da rispondere alle necessità che manifesta con la necessaria affettuosità, dolcezza e disponibilità interiore.
Accogliere quest’orientamento nei confronti dei problemi dei bambini con sintomi di autismo può comportare, inoltre, impegnarsi ad affrontare e modificare in meglio, se non tutti, buona parte delle disfunzioni o dei disturbi psicologici, se questi sono presenti nella propria psiche, se si pensa che abbiano influenzato o possano ancora influenzare negativamente la delicata relazione con il figlio.
Per l’ambiente politico e sociale.
Anche per quanto riguarda l’ambiente politico e sociale, accettare che buona parte delle cause dell’autismo nasca dal fatto di non riuscire a dare a ogni piccolo essere umano che viene al mondo le condizioni minime, idonee al suo sviluppo psicologico, significa ammettere che la società, nel suo complesso, ha fallito il suo scopo principale. Poiché non è riuscita a formare delle famiglie funzionali, nelle quali la collaborazione e l’intesa reciproca, il dialogo e l’ascolto, sono riusciti a creare, attorno a ogni bambino che è venuto al mondo, un nido caldo, sicuro, accogliente e sereno. Caratteristiche queste indispensabili per la crescita di ogni piccolo essere umano.
È difficile inoltre ammettere sul piano politico, che la società nel suo complesso non è riuscita ad eliminare, nella vita di molte famiglie, molte situazioni stressanti e traumatiche. Ad esempio, non è riuscita a evitare che uomini e donne siano costretti a correre da un posto all’altro, da un’occupazione all’altra, da un impegno all’altro, pur di avere il necessario per vivere dignitosamente. Né questa società è riuscita a fronteggiare e porre un freno a tutte le false necessità, indotte, se non proprio dettate, dal mondo finanziario, utilizzando l’attuale consumismo imperante.
Inoltre, accettare questa tesi rende evidenti tutte le carenze di una società che non è riuscita a creare delle condizioni tali da permettere ai genitori di avere sufficiente tempo e disponibilità per ascoltare, dialogare e giocare con i propri figli, così da garantire a ogni bambino che viene al mondo, almeno fino ai tre anni, la vicinanza fisica ed emotiva di almeno uno dei genitori.
Accogliere questa tesi significa che le società attuali del mondo occidentale non sono state in grado di formare delle famiglie funzionali, in grado di privilegiare le funzioni educative e formative, piuttosto che gli impegni lavorativi e professionali.
Altrettanto importante è poi il tema della preparazione al compito specifico di padre e madre. Accettare questa tesi significa che la società nel suo complesso non è riuscita a formare e preparare uomini e donne che abbiano le qualità necessarie per affrontare, nel modo più opportuno, il difficile e delicato compito materno e paterno. Pertanto l’ambiente sociale non ha aiutato i genitori, e soprattutto le madri, che sono le figure più impegnate nella crescita affettivo-relazionale dei figli, a far maturare e sviluppare nell’animo e nei comportamenti di questi le attitudini indispensabili a dare risposte puntuali, efficaci e corrette ai loro piccoli, specie nei primi anni di vita. Periodo questo notevolmente delicato al fine di una normale crescita psicologica.
Infine l’approccio ambientale ai problemi dell’autismo, in questo periodo storico, è contrastato, se non chiaramente rifiutato, poiché una società che mette in primo piano il profitto, il consumo e una spietata concorrenza, ha bisogno d’individui efficienti e tesi allo spasimo nel produrre e consumare, piuttosto che persone che abbiano tempo e disponibilità ad aver cura dei loro piccoli.
Per accedere al mondo interiore dei bambini con disturbi autistici e comprenderlo meglio, è indispensabile iniziare ad esaminare il sintomo più importante e grave, che è poi quello che attribuisce il nome a questa patologia: L'AUTISMO. Sintomo che, come vedremo, diventa a sua volta la causa prima del loro grave malessere psichico e di tutti gli altri segni che lo accompagnano.
L’isolamento autistico è una condizione che comporta l’autoreferenzialità assoluta, la negazione di tutto ciò che è differente da sé o si riferisce agli altri, la chiusura, parziale o totale, nei confronti del mondo esterno e, nei casi più gravi, anche nei confronti degli stimoli che provengono dall’interno della propria mente e del proprio corpo.
Il bisogno di chiudersi in se stessi e allontanarsi dall’ambiente esterno, non è caratteristico soltanto dei bambini che presentano questa patologia, tale desiderio o bisogno, che a volte si traduce in precisi comportamenti, lo ritroviamo, anche se in modo lieve, parziale e momentaneo, anche nei bambini normali di tutte le età, quando reagiscono, chiudendosi e isolandosi per qualche tempo, a causa di qualche grave ingiustizia subita o per l’impatto nella loro psiche di un ambiente eccessivamente stressante, frustrante o traumatizzante.
Nei bambini che presentano varie problematiche psicologiche, come reazione di difesa, non è raro avvertire il bisogno e la necessità di allontanarsi, almeno nell’immaginazione, dall’ambiente di vita. Questi minori, nei loro racconti e disegni, fanno frequentemente intravedere la necessità di distaccarsi fisicamente e psicologicamente dalla propria casa, dai loro genitori e familiari, dal loro consueto ambiente di vita, pur di sfuggire a situazioni ambientali eccessivamente frustranti e opprimenti, che causano loro notevole disagio o un’insopportabile sofferenza.
Alcuni di questi bambini immaginano, ad esempio, di fuggire in qualche bosco e, in quell’ambiente naturale, ricco di serenità e pace, trovare una casetta in cui rifugiarsi da soli, per poi essere eventualmente adottati da un’altra coppia di adulti più tranquilla, meno conflittuale, più gioiosa, più distesa e disponibile. Altri sognano di isolarsi con i loro amici o con l’animale d’affezione in un luogo tutto loro, in cui predominano soltanto elementi positivi fatti di gioia, luce, calore e protezione.
Il commento al disegno effettuato da Cettina[1] di anni sette, i cui genitori spesso litigavano, è molto esplicativo sia dei suoi bisogni che non venivano soddisfatti nella sua famiglia, sia della necessità di fuggire dalla realtà angosciante nella quale lei si trovava a vivere per rifugiarsi in un mondo immaginario in cui predominavano la luce, la protezione e il calore.
Fuga nella casa del sole
‹‹C’era una volta un sole che parlava con i fiori e gli diceva cose belle:
“Che cosa state facendo?”
“Stiamo giocando con il mare e abbiamo visto una barchetta buttata dal mare, poi l’abbiamo presa e l’abbiamo portata a casa per ripararla. Quando è stata bene, abbiamo giocato tutti insiemi: il sole, i fiori, il mare e la barchetta”.
Un giorno la barchetta scappò a casa del sole e allora il sole l’ha detto a tutti i suoi amici. La barchetta è scappata nella casa del sole perché non stava bene a casa sua. Anche i suoi amici allora sono andati nella casa del sole, hanno chiuso la porta a chiave, hanno fatto la festa e dormirono tutti a casa del sole››.
Se interpretiamo questo toccante racconto, notiamo come riveli pienamente i sentimenti, i pensieri e i desideri di Cettina.
La bambina, dopo l’esperienza traumatica vissuta a causa dei conflitti e poi della separazione dei genitori, nota che vi sono delle persone che navigano a loro agio nell’immenso mare della vita, mentre altre, per motivi vari, in questo caso il conflitto tra i genitori e le caratteristiche di personalità della madre, sono gravemente danneggiate, tanto che vengono estraniate dalla vita (abbiamo visto una barchetta buttata dal mare). Per fortuna qualche persona buona (i fiori), ha cura delle loro ferite, ma la bambina, nonostante stia meglio, dopo quanto ha sofferto nella sua famiglia e quindi nella vita reale, piuttosto che ritornare a confrontarsi con le gravi difficoltà nelle quali si è trovata in passato, preferirebbe fuggire e rifugiarsi in un mondo caldo, luminoso ma irreale. È naturale che in questo mondo incantato la bambina non voglia restare da sola. Per tale motivo porta con sé gli amici ma esclude tutto il resto delle persone (hanno chiuso la porta a chiave).
‹‹C’era una volta un bambino che viveva solo in una casa in campagna. Un giorno decise di abbellirla mettendo dei vasi con dei fiori. Rasò il prato e vide degli uccelli volare nel cielo. Un giorno gli abitanti della zona andarono a casa del bambino, cenarono lì e alla fine gli fecero i complimenti per la casa che aveva. Abitava solo, perché tutti lo prendevano in giro. Andò a letto e sognò una famiglia: era pentito di vivere da solo. Sognò una famiglia molto ricca, fatta da papà, mamma, fratello e sorella. Sentì bussare ed era una famiglia che lo voleva accogliere. Erano buoni, comprarono un po’ tutto, erano sempre allegri››.
Michele, nella sua ricerca di un ambiente sereno, accogliente e ricco di pace, esclude la sua famiglia, ritenendola incapace di dargli quanto gli serve. Inizialmente la soluzione che trova è quella di vivere da solo in una casa in campagna, per avere quella serenità, pace, accoglienza e tenerezza che egli cercava. Si accorge ben presto però che un ambiente idilliaco ma privo del calore familiare, è per un bambino insufficiente. Inserisce allora una nuova famiglia, una famiglia ideale, che l’accoglie, dandogli tutto ciò che il suo cuore attendeva da tempo.
Anche negli adulti che rientrano nell’ambito della normalità, il bisogno di fuggire dal mondo, almeno in maniera parziale, è spesso presente. Pertanto alcuni di loro, pur di allontanarsi dai conflitti, dai traumi, dalle tensioni e stress, presenti nell’ambiente di vita, fuggono, con motivazioni varie. Alcuni abbandonano la vita vissuta fino ad allora per ritirarsi in qualche convento, non solo perché hanno una vocazione religiosa ma anche per un bisogno di serenità e pace, altri vanno in paesi o luoghi lontani, alla ricerca di un ambiente più semplice, meno ansiogeno e stressante. Vi sono alcuni che, come avviene nella sindrome di Hikikomori, si chiudono nella loro stanza, in compagnia soltanto del loro computer o di qualche video-gioco e rifiutano ogni contatto esterno, anche nei confronti dei propri familiari. Sono tante, inoltre, le persone che cercano di escludere dalla propria vita e dai propri contatti sociali, alcune categorie d’individui quando giudicano apportatori di problemi e sofferenze. Pertanto non vogliamo avere a che fare con il sesso femminile (misoginia) o con quello maschile, quando ritengono che uno dei due generi sessuali sia stato causa di grave delusione, frustrazione o amarezza; vogliono tenersi lontani dagli extracomunitari, quando pensano siano stati la causa dei loro problemi di lavoro; non vogliono avere alcun rapporto con le persone di etnia rom, perché hanno timore dei loro comportamenti, e così via. Altre volte questa fuga dalla realtà è attuata mediante l’uso di alcol o droghe le quali, almeno momentaneamente, allontanano il soggetto dai problemi psicologici e dalla sofferenza interiore.
Tuttavia, senza che a volte ce ne rendiamo conto, le chiusure, tutte le chiusure, se inizialmente ci apportano un senso di maggiore pace, protezione e sicurezza, nel tempo tendono a peggiorare la nostra condizione psichica, poiché ci privano di tutte le esperienze che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto, di tutte le relazioni, le amicizie e gli affetti che avremmo potuto avere e ai quali abbiamo volontariamente rinunciato. Ma soprattutto le chiusure fanno sorgere nell’animo, come fossero funghi velenosi, sgradevoli emozioni negative, che accentuano i nostri sospetti e le nostre paure, aumentano la nostra aggressività e irritabilità, esasperano il malumore che già ci opprime.
e nei bambini molto piccoli, quando non riescono ad affrontare delle situazioni troppo dolorose per il loro sentire, si mette in moto un bisogno istintivo di difesa, che li spinge ad allontanarsi dalle persone e dall’ambiente che li circonda, inserendo tra loro e gli altri qualcosa, come un muro o meglio una barriera psicologica, che sperano li isoli, li difenda e li protegga da emozioni troppo intense e penose per essere sopportate dalla loro fragile psiche. Chiudendosi in se stessi, come in un bozzolo, mediante il distacco dal mondo che li circonda, questi piccoli cercano di raggiungere l’anestesia dei sentimenti e delle emozioni, così da impedire agli stimoli eccessivamente dolorosi che provengono dall’ambiente esterno di arrivare alla coscienza.
Le varie persone affette da autismo, che hanno avuto la possibilità di descrivere questa condizione di chiusura, utilizzano parole e immagini diverse ma con un contenuto molto simile.
Un nostro paziente adulto con sintomi di autismo, Luigi, spesso amava disegnare due elementi apparentemente lontani e diversi l’uno dall’altro: un albero e un muro e, nei suoi racconti, descriveva strane e inusuali relazioni tra l’uno e l’altro.
L’albero e il muro
‹‹C’erano una volta un albero e un muro. L’albero era con le foglie, era piantato sottoterra. L’avevano piantato gli agricoltori. Faceva i fiori, c’erano persone che avevano piantato l’albero e fatto il muro››.
Domanda del terapeuta: ‹‹Perché avevano costruito il muro?››.
Risposta: ‹‹Le persone avevano fatto il muro per fare bello l’albero. Erano muratori. Un giorno l’albero non c’era più e si era appassito e avevano buttato le foglie. Le persone erano tristi perché non c’era più l’albero, mentre il muro c’era ancora››.
Se proviamo a interpretare questo strano e insolito racconto, ci accorgiamo che vi sono alcuni elementi interessanti.
1. Il primo è simbolizzato dall’albero piantato sottoterra. Questa condizione dell’albero che sta sottoterra fa pensare a ciò che avviene quando i piccoli instaurano una chiusura estrema di tipo autistico. Naturalmente quest’albero dapprima è vitale e pieno di fiori ma poi appassisce e muore. Che è poi la condizione nella quale si trova il bambino nel momento in cui permane in una condizione di autismo: una morte sociale e relazionale.
2. Il secondo elemento è il muro costruito dalle persone “per fare bello l’albero”. Quindi il muro era stato messo lì come a proteggere l’albero da elementi negativi. Questo muro, questa protezione, invece resta lì ben saldo. Questa condizione somiglia molto a ciò che succede ai bambini con disturbi autistici, nei quali il loro Io (l’albero ben vitale che faceva fiori) gradualmente tende a deperire e morire, mentre le difese che essi aveva messo in atto (il muro) rimangono ben salde.
3. Il terzo elemento è altrettanto interessante: la tristezza, “Le persone erano tristi perché non c’era più l’albero”. Questa tristezza è in fondo quella che ritroviamo nei genitori e nelle persone che si relazionano con questi bambini, ma è anche quella che troviamo nello stesso bambino, il quale si scopre isolato ed escluso dalla società civile e da quella condizione relazionale che è capace di procurare agli esseri umani sviluppo, vitalità e gioia.
Morello, un altro giovane che soffriva di disturbi autistici, che era riuscito a laurearsi in Scienze umane e pedagogiche, presso l’università di Padova, nel suo libro "Macchia, autobiografia di un autistico”, ha descritto, mediante l’uso del computer, le sue emozioni, i suoi ricordi e i suoi pensieri. In quest’autobiografia, mediante un linguaggio poetico e ricco di emozioni, così descrive questa condizione di chiusura verso il mondo esterno: ‹‹Cupola di vetro sopra laguna ghiacciata è l’autismo chiuso dentro se stesso››.[2]
In questa concisa descrizione ritroviamo alcuni elementi fondamentali di questa patologia:
1. La cupola di vetro. È quella protezione che dovrebbe riuscire a tener fuori tutte le situazioni negative che possono venire dal mondo esterno. Questo tipo di chiusura, pur permettendo al soggetto di osservare ciò che succede fuori di sé, impedisce tuttavia di interagire, se non in minima parte, con l’esterno.
2. La laguna ghiacciata. La cupola di vetro copre una realtà molto fredda, desolata e triste: una laguna ghiacciata, nella quale l’elemento predominante è, evidentemente, la mancanza di calore umano e di affetto.
3. Chiuso dentro se stesso. Questa è la condizione nella quale vive il soggetto con autismo: la chiusura dentro il proprio Io.
Lo stesso autore in un’altra pagina del suo libro, così rappresenta questa sua esigenza interiore di estraniarsi dalla realtà e chiudersi nella sua cupola di vetro:
"La mia casa era la mia prigione. Preferivo restare a perdermi in camera. Mi lasciavo avvolgere dalla musica. La stanza allora si dissolveva in uno spazio incantato. C’erano molti animali, il leone mi girava attorno. La pecora saltava sopra la mia testa: mi sembrava di essere in un giardino tutto colorato (…) Ero libero dal mondo, libero da bisogni. La voce del papà poi mi scuoteva: “Cosa fai sempre solo in camera?” mi diceva. “Vieni a farti vedere” e l’incanto svaniva. Calava la realtà e restava solo il gesto continuo dello sfregarsi delle dita per dominare l’ansia".[3]
In questa seconda descrizione le immagini, sempre molto calde, allegoriche e poetiche, sono molteplici.
1. La casa. Una prigione nella quale il soggetto con disturbi autistici si rinchiude volontariamente.
2. La stanza, che si dissolve in uno spazio incantato. Il bambino che ha scelto la chiusura autistica cerca di ritrovare nella propria casa e nella propria stanza, con l’aiuto della musica, un luogo e dei momenti che gli permettano di estraniarsi dal mondo reale per scoprire, in un proprio spazio irreale ma incantato, la condizioni psicologica agognata, fatta di libertà, luce, colore, armonia, serenità e pace.
3. L’intervento esterno. Quest’intervento è giudicato come inopportuno, perché riporta e costringe il giovane Morello ad affrontare una realtà triste, ansiosa e paurosa, che egli cerca di diminuire e combattere, utilizzando una stereotipia: lo sfregarsi delle dita.
Una donna con autismo: Temple Grandin, laureata in Scienze animali presso l’università dell’Illinois e professoressa lei stessa di scienze animali, descrive invece il suo stato mentale di chiusura autistica, utilizzando la similitudine dei pannelli di vetro:
"Mentre ero intrappolata tra i pannelli di vetro, era pressoché impossibile comunicare attraverso di essi. Essere autistici è come essere intrappolati in questo modo. Le porte di vetro simbolizzavano i miei sentimenti di distacco dalle altre persone e mi aiutarono a fare fronte all’isolamento".[4]
La Grandin usa come similitudine della condizione di autismo i pannelli di vetro. Questo simbolo è simile a quello usato dal Morello. Quindi non un muro opaco ma dei pannelli di vetro trasparente che, se da una parte proteggono dal mondo esterno permettono, se si vuole, di guardare fuori, senza tuttavia provare e soffrire di alcuna particolare emozione. Tuttavia, fa notare l’autrice come questa condizione sia anche una trappola dalla quale è difficile sfuggire.
La stessa autrice, parla anche lei, come Morello, della ricerca di una situazione dì trance e d’incantamento quando riusciva a estraniarsi dal mondo: ‹‹Quando venivo lasciata da sola, spesso andavo in una specie di trance, come ipnotizzata. Mentre andavo in trance mi tagliavo fuori dalle immagini e dai suoni che mi circondavano››.[5]
Donna Williams, un’altra donna che soffriva di autismo, aveva trovato da piccola altre strategie per fuggire dalla realtà e perdersi in un suo incantato mondo interiore:
"Scoprii che l’aria è piena di puntini. Se guardavo nel vuoto c’erano i puntini. La gente mi passava davanti, ostruendo la mia visione magica del nulla. Io mi mettevo davanti a loro. Protestavano. La mia attenzione era saldamente fissata sul desiderio di perdermi in quei puntini e ignoravo la protesta, guardando dritto attraverso l’ostruzione con un’espressione calma, addolcita dell’essere io persa in quei puntini".[6]
E ancora:
"Riuscii alla fine a perdermi in qualsiasi cosa desiderassi – nei disegni, sulla carta da parati o sul tappeto, in un suono che si ripeteva all’infinito, nel rumore sordo che ottenevo, battendomi ripetutamente sul mento; persino la gente non fu più un problema. Le loro parole divennero un confuso balbettio, le loro voci uno schema di suoni. Riuscivo a guardare attraverso di loro fino a sparire e poi, più tardi, sentivo che mi ero persa in loro".[7]
L’autrice spiega che cosa provava in quella situazione psicologica particolare che lei stessa ricercava:
"In questo stato ipnotico potevo afferrare la profondità delle cose più semplici; ogni cosa era ridotta a colori, ritmi e sensazioni. Questo stato mentale mi dava un conforto che non potevo trovare in nessun altro luogo, a quello stesso grado".[8]
E ancora la stessa autrice:
"Da sveglia inseguivo implacabilmente il sogno: mi mettevo di fronte alla luce che brillava di fronte alla finestra, vicino al mio lettino e mi fregavo furiosamente gli occhi. Eccoli lì! Gli splendenti, vaporosi colori che si muovevano attraverso il bianco››. ‹‹Smettila!››, giungeva l’implacabile stroncatura. Io continuavo gioiosamente. ‹‹Slap!››"[9]
Nelle descrizioni di quest’autrice vi sono numerosi elementi di notevole interesse per capire la condizione mentale di chiusura autistica:
1. Vi sono intanto un desiderio e una volontà di allontanarsi dalla realtà, giudicata come triste e desolante, per perdersi in sensazioni che danno sicurezza e piacere, anche se sono emozioni molto semplici e povere.
2. Vi è la descrizione dei mezzi utilizzati per ottenere ciò: “Riuscii alla fine a perdermi in qualsiasi cosa desiderassi – nei disegni, sulla carta da parati, sul tappeto, in un suono che si ripeteva all’infinito, nel rumore sordo che ottenevo, battendomi ripetutamente sul mento”.
3. Sono evidenti l’irritazione e il disturbo che l’autrice provava a causa della presenza delle persone e delle loro parole attorno a lei: “…persino la gente non fu più un problema. Le loro parole divennero un confuso balbettio, le loro voci uno schema di suoni”.
4. È posto l’accento sul conforto che lei avvertiva in questa condizione: “Questo stato mentale mi dava un conforto che non potevo trovare in nessun altro luogo, a quello stesso grado”.
5. Le reazioni degli altri, che di solito cercano di riportare alla realtà i soggetti che si chiudono nel loro mondo autistico non sempre sono adeguate, anche se non sono così brutali e violente come quelle che usava la madre della Williams: gli schiaffi.
6. L’autrice vedeva la causa del suo isolamento nella paura di vivere delle emozioni negative che le avrebbero comportato notevole paura e sofferenza. In un altro brano dice: "La gente pensa alla realtà come a una specie di garanzia su cui appoggiarsi. E tuttavia, fin da bambina, ricordo di aver trovato la mia unica sicurezza affidabile nel perdere ogni consapevolezza delle cose che in genere sono considerate reali".[10]Per cui: "Era sicuramente qualche incontrollabile resistenza interiore che mi impediva di entrare nel mondo, in generale".[11]
7. Per quanto riguarda la volontarietà o meno di questo comportamento, per la Williams: "Benché la sensazione che creava la perdita di me stessa si verificasse, la maggior parte delle volte, fuori dal mio controllo, scoprii che potevo arrendermi ad essa o combatterla".[12]
[1] Tutti i nomi presenti in questo articolo sono immaginari.
[2] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 28.
[3] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 18.
[4] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 42.
[5] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 49.
[6] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, pp. 11.
[7] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 11.
[8] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 63.
[9] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 11.
[10] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 177.
[11] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 24.
[12] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 45.
Le gravi conseguenze
Abbiamo detto che questa tendenza a fuggire da una realtà avvertita troppo frustrante o dolorosa è presente anche in tanti ragazzi e adulti. Tuttavia questa istintiva, ma anche a volte voluta e ricercata decisione di fuggire dalla realtà, per trovare rifugio in un mondo tutto proprio, quando avviene in bambini molto piccoli comporta delle conseguenze molto più drammatiche, gravi e destabilizzanti, rispetto a quelle che possono essere vissute da dei ragazzi o dagli adulti.[1]
E ciò per diversi motivi.
!. I bambini molto piccoli sono privi delle capacità di omeostasi e di quelle efficienti difese presenti nell’Io dei ragazzi e degli adulti.
Per tali motivi reagiscono al dolore emotivo senza alcun filtro e, quindi, in modo molto più intenso e immediato.
2. I bambini molto piccoli possiedono conoscenze minime del mondo nel quale si ritrovano a vivere e hanno uno sviluppo psichico fragile e immaturo.
Pertanto quando fuggono, per un qualunque motivo, da un ambiente avvertito come intollerabile, si ritraggono dal mondo ancor prima che la loro umanità possa realmente venire alla luce.[2] In questa condizione non possono trovare in se stessi qualcosa di diverso che non sia la loro povera, instabile e fragile realtà del momento. Non possono certamente sperare di trovare, anche solo con la fantasia, in qualche altro luogo, in un’altra casa o in un’altra famiglia, quella serenità, quella pace e calore che cercano e sono indispensabili al loro sano sviluppo. Cosa che invece possono fare i ragazzi più grandi e, ancor meglio, gli adulti.
3. La personalità dell’essere umano si struttura e si espande soltanto mediante un proficuo e costante contatto con gli altri.[3]
La prima infanzia non è altro che un graduale processo di costruzione della realtà. La consapevolezza di essa sorge gradualmente, mediante innumerevoli esperienze positive che provengono dall’ambiente di vita del bambino,[4] pertanto la maturazione e l’arricchimento della personalità degli esseri umani, che avverranno per gradi, si attuano prevalentemente mediante il dialogo e le relazioni con gli altri. Solo dai rapporti positivi con le persone care che abbiamo accanto a noi, riusciamo ad ottenere la serenità, le attenzioni, le cure e il dialogo necessari a sviluppare tutte le capacità umane, geneticamente presenti. Per tale motivo, nel momento in cui dei bambini molto piccoli istintivamente si estraniano dalla realtà per chiudersi in se stessi, il loro Io non avrà più la possibilità di crescere e svilupparsi normalmente e armoniosamente, pertanto sarà costretto a rimanere non solo immaturo ma anche molto fragile e in preda alle emozioni più disparate.
Ricorda Morello:
"Da piccolo non pensavo a cose mie e non credo di aver mai capito la differenza tra le cose mie e quelle degli altri. Quando ero piccolo, credevo di non esistere; pensavo di essere la coda della mamma e non capivo la sua continua insistenza perché facessi le cose a modo mio".[5]
Per tali motivi questi bambini, che si sono chiusi nel loro mondo interiore, avranno notevoli difficoltà ad affrontare in ogni momento le emozioni e le sensazioni sia interne sia esterne. Non potendo sviluppare le normali capacità di comunicazione e socializzazione, avranno difficoltà ad amare e farsi amare, saranno inadeguati ad accogliere e farsi accogliere, avranno notevoli problemi nell’accrescere in maniera equilibrata e armonica le proprie capacità comunicative, immaginative, intellettive e cognitive, sarà per loro difficile modulare in maniera corretta gli apporti sensoriali, avranno difficoltà a mettere ordine nelle idee e nei pensieri.
Per Bettelheim:
"Una volta che il bambino ha smesso persino di comunicare con gli altri, il suo Io si impoverisce: ciò in misura tanto maggiore quanto più dura il suo autismo e quanto meno sviluppata era la sua personalità nel momento in cui si è manifestato questo blocco della comunicazione".[6]
Anche per Franciosi:
"Le esperienze di reciprocità, nelle prime fasi della vita, favoriscono lo sviluppo e l’integrazione dei sistemi deputati alla processazione e alla modulazione delle emozioni e gettano le basi per la futura capacità del bambino di connettersi e sintonizzarsi con altri esseri umani".[7]
E De Rosa:
"Tutto questo l’ho scritto per indicare e per illustrare che l’autismo non è solo una condizione: è esso stesso un trauma. Ogni limite che riduce la nostra capacità di gestire la realtà ci allontana dalla vita e diviene quindi un terrore di morte".[8]
4. Il costante stato d’immaturità, nel quale vivono i bambini chiusi nel loro autismo, impedisce lo sviluppo di quei meccanismi compensatori e di difesa, presenti nei soggetti più maturi.
Per tale motivo questi bambini saranno facile preda della tristezza e dell’angoscia, saranno costretti a soccombere alle ansie e alle paure, che potranno espandersi nel loro Io, senza incontrare difese efficaci e mature. Pertanto con facilità potranno svilupparsi nella loro mente instabilità, caos e confusione. In definitiva questi bambini, bloccati e limitati nel loro sviluppo affettivo e mentale a dei livelli primitivi, tenderanno a reagire in maniera insolita, eccessiva e sproporzionata, ogni qualvolta saranno stati costretti ad affrontare esperienze, sensazioni ed emozioni nuove e diverse che, a noi adulti, possono apparire semplici e banali o con modeste e accettabili cariche di ansia e frustrazione. Infine, si accentueranno in loro sia la fragilità psichica sia l’insicurezza emotiva.
5. Poiché nei casi più gravi l’allontanarsi dalla realtà può riguardare tutto e tutti, questi piccoli non avranno quasi alcuna reazione nei confronti dell’ambiente che li circonda.
In tali condizioni cercheranno di evitare anche di agire, poiché fare qualcosa potrebbe comportare delle reazioni negative da parte dell’ambiente circostante. Inoltre se questi bambini pensano che quello che succede, per qualche motivo, possa essere colpa loro, quanto più credono di essere loro stessi i responsabili di eventi generatori di effetti sgradevoli, tanto meno agiranno,[9] mentre aumenterà sempre più la loro insicurezza e la loro instabilità psichica.
6. Per le famiglie, l’assenza o l’inadeguatezza di risposte emotive appropriate nei propri figli sarà un’esperienza molto penosa e frustrante.
Mancherà ai genitori la gioia e la gratificazione che nascono dalle relazioni affettive che s’instaurano con i propri bambini. I baci, le carezze, gli abbracci e le parole d’amore che i piccoli spesso rivolgono ai genitori sono, per questi ultimi, fonte di gratificazione, piacere e gioia e servono a mantenere e rinforzare il legame tra loro.[10] Ciò, a sua volta, servirà a migliorare la comunicazione genitori – figli, controbilanciando efficacemente la fatica e le preoccupazioni necessarie per allevarli. Quando purtroppo da parte dei figli viene attuata una fuga da queste fondamentali relazioni, può sopraggiungere nei genitori una consequenziale difficoltà relazionale, mentre il dialogo vero e profondo, a causa dell’accentuarsi dell’ansia e delle preoccupazioni, tenderà a peggiorare sia in quantità sia in qualità.
In definitiva, nel momento in cui i bambini si chiudono in se stessi, i loro problemi psicologici, piuttosto che diminuire, aumenteranno, poiché cresceranno in loro la diffidenza, l’ansia e la paura nei confronti di ogni stimolo proveniente dall’esterno ma anche dall’interno della loro mente e del loro corpo. Anzi, se vi era stata inizialmente una crescita normale, la chiusura che questi bambini sono costretti ad adottare, tenderà a impoverire e a destrutturare gradualmente la loro fragile e immatura personalità, per cui, anche se avevano già acquisito una qualche forma di linguaggio o qualche altra competenza, ad esempio, nel campo dell’autonomia personale e sociale, a causa del severo deficit presente nel loro sviluppo affettivo-relazionale che si è instaurato ed essendo vittime di processi regressivi, rischieranno di perdere anche queste competenze.
Bettelheim descrive molto bene questo circolo vizioso nel quale si trova invischiato il bambino piccolo che si chiude in se stesso:
"Una persona profondamente angosciata può tentare di trovare un minimo di sicurezza riducendo dapprima il suo contatto con un mondo che, per l’appunto, la angoscia troppo. Nei casi più gravi può evitare del tutto tale contatto, perdendo ogni fiducia nelle proprie possibilità di trattare con gli altri esseri umani. Se il suo ritiro non è soltanto temporaneo, il soggetto può essere preso in un circolo vizioso nel quale l’angoscia lo porta ad allontanarsi dalla realtà e l’isolamento induce in lui un’angoscia ancora maggiore e quindi, in definitiva, un ritiro ancora più massiccio. A questo punto non fa più molta differenza che l’angoscia sia provocata da pericoli reali o immaginari oppure da processi psichici interni". [11]
Per Franciosi:
"D’altra parte, è quotidianamente sotto gli occhi degli esperti, clinici e genitori, quanto la disregolazione emotiva rappresenti uno dei fenomeni che meglio descrive l’esperienza autistica e quanto peso ha il ruolo giocato dalle risposte emotive disadattive e dai disturbi emotivi nella vita e nella salute mentale delle persone con autismo".[12]
Questo distacco e questa chiusura verso il mondo esterno, ma anche quest’alterazione e fragilità dell’Io, possono presentarsi in forme e gravità diverse.
In alcuni casi, come in Marco, un bambino di tre anni, che ancora non parlava, era presente intensa paura e sfiducia, con conseguente allontanamento e atteggiamenti di difesa non solo nei confronti di tutte le persone estranee ma anche verso i compagni di scuola, gli insegnanti e persino verso il papà e i nonni paterni. Rimaneva in lui soltanto un legame, un attaccamento, nettamente patologico e simbiotico, nei confronti della figura materna. Questa, pur non essendo in quel momento una figura amata, rappresentava per il piccolo la sua unica, possibile e parziale ancora di salvezza, alla quale aggrapparsi per difendersi e trovare un minimo di controllo emotivo, nei confronti delle paure e delle emozioni terrifiche che lo attanagliavano. Pertanto si avvinghiava fisicamente a lei, alla presenza di altre persone, rifiutando di essere lasciato nei locali della scuola materna e in tutti gli altri luoghi che non fossero la sua casa.
In questi casi Marco, anche se male, aveva ancora qualche possibilità di reagire all’ambiente, mediante le sue richieste e i suoi rifiuti e, se non accontentato, anche mediante le sue manifestazioni di rabbia, poiché riusciva a collegare la sua angoscia e la sua conseguente reattività e aggressività con il mondo esterno, con il quale restava in contatto, anche se in modo parziale.[13] Invece, nei bambini con sintomi più gravi di autismo, questo distacco può riguardare tutte le persone, compresi i genitori i quali sono soltanto “utilizzati” per raggiungere i propri scopi e i bisogni essenziali, come il mangiare, il bere o l’essere puliti.
La sindrome autistica è, senza dubbio, una delle patologie che più dividono e confondono. Ci si divide tra gli specialisti, su quali sintomi siano indispensabili per fare questa diagnosi; ci si divide sulle cause di questa patologia e, soprattutto, ci si divide su quali siano le terapie più idonee ed efficaci. Le infinite discussioni anche acute, hanno coinvolto le varie organizzazioni sanitarie e si sono poi allargate all’opinione pubblica. Purtroppo queste dispute hanno reso oltremodo perplessi e insicuri i genitori, su come considerare i gravi disturbi presenti nei loro figli e su quali siano i migliori e più efficaci interventi da attuare per affrontare e se possibile sconfiggere questa patologia, così sfuggente e difficile da comprendere.
Di fatto i soggetti con sintomi di autismo presentano delle anomalie e delle caratteristiche paradossali che ci sorprendono continuamente.[1]
Alcuni di loro, ai test più comuni, risultano mentalmente ritardati, mentre altri, con la stessa diagnosi[2], hanno delle conoscenze così minuziose e precise su argomenti di loro interesse; hanno delle idee ed effettuano dei calcoli così complessi che ci sbalordiscono e ci fanno pensare di essere in presenza di persone geniali.
In alcuni casi tendiamo a vederli come fossero dei robot, poiché la loro bellezza fisica e le loro capacità intellettive contrastano con le enormi difficoltà emotive e relazionali.[3] Invece, in altri momenti o in altri bambini con la stessa diagnosi, scorgiamo un solido e profondo attaccamento con le persone che riescono a capirli, accettarli e, soprattutto, a rispettarli.
Lo stesso avviene per quanto riguarda i luoghi: alcuni di loro sembrano essere indifferenti al posto nel quale si trovano, per altri invece non è affatto così. Dice la Grandin,[4] una donna con autismo: ‹‹Ritornare in un luogo dove è successo qualcosa di gradevole o osservare un oggetto associato a emozioni positive ci aiuta a rivivere quelle sensazioni piacevoli››. Ciò fa capire chiaramente come, in molti di questi bambini, anche l’ambiente fisico sia importante per il loro benessere o malessere psicologico, poiché ogni ambiente può richiamare nel loro animo delle esperienze, che sono state vissute, in alcuni casi con gioia e piacere, mentre in altri casi hanno provocato in loro angoscia e terrore.
A volte sono descritti come fossero degli alieni provenienti da una galassia lontana, che per caso o per avventura sono capitati sulla nostra terra e si muovono nelle nostre case e nelle nostre scuole.[5] E invece, quando il miglioramento dell’ambiente di vita e una relazione efficace riescono a modificare in meglio il loro mondo interiore, si scopre la loro meravigliosa umanità, fatta di un’acuta sensibilità e di un’intensa emotività, che è desiderosa di vicinanza e tenerezza, così come avviene con tutti gli altri bambini. Si scopre insomma il loro profondo e caldo desiderio di comunicare, scambiare e offrire con gioia le tante potenzialità della loro mente e del loro cuore.
In molte occasioni noi adulti non sopportiamo e ci innervosiamo, quando li scopriamo chiusi e difesi, come dietro un muro invisibile che sembra non permettere alcun contatto con la parte più intima della loro personalità. Ancora peggio, spesso li osserviamo guardare in modo vacuo non le persone ma “attraverso” le persone,[6] tanto che sembrano non ascoltare nulla di quello che diciamo, per poi scoprire, in altri momenti e in altre occasioni, che non solo hanno ascoltato attentamente le nostre parole ma che le ricordano perfettamente e danno a queste il giusto significato e peso.
Viene spesso ripetuto che questi bambini non sono capaci di valutare le intenzioni dietro il comportamento degli altri. Ciò tuttavia contraddice le tante esperienze che abbiamo avuto, sia con soggetti in età evolutiva che con adulti che soffrono di tali disturbi. Abbiamo potuto tante volte constatare come questi si leghino intensamente a tutte le persone dalle quali si sentono pienamente accolti, capiti e accettati, mentre si allontanano e rifiutano, come è logico e naturale che sia, le persone nervose, ansiose, irrequiete o che hanno difficoltà nel saper ascoltare con empatia i loro problemi e accogliere i loro bisogni.
Un’altra delle tante stranezze si può notare a livello sensoriale. Alcuni di loro sembrano avere un’ipersensibilità a determinati stimoli sonori, olfattivi, visivi o dolorosi, altri o gli stessi, in altre occasioni e in altre situazioni, al contrario, sembrano avere una sensibilità molto ridotta, rispetto a quella presente nei soggetti normali, tanto da sopportare, senza affatto lamentarsi, odori nettamente ripugnanti o sensazioni molto intense, spiacevoli e anche dolorose.
Per quanto riguarda la gravità nel tempo di questa patologia, alcuni di loro sembrano rientrare perfettamente nella definizione di soggetti con autismo, quando sono piccoli ma non quando crescono. Altri, al contrario, da piccoli non mostrano una sintomatologia che li fa rientrare in questa patologia, cosa che invece avviene da adulti.[7]
Inoltre non è difficile fare un lungo elenco di sintomi, spesso molto gravi, presenti in questi soggetti, tuttavia i parametri che si analizzano, per evidenziare se vi sia o no una lesione cerebrale od organica, sono frequentemente negativi: esami genetici, indagini metaboliche, risonanza magnetica, elettroencefalogramma, valori del sangue, tutto o quasi tutto appare normale in loro.[8]
Altra caratteristica che sorprende è il constatare che non vi sono due bambini autistici uguali: l’uno è diverso dall’altro, non solo per la gravità dei sintomi, ma anche per il loro modo di esprimerli. Tanto che nello studio di Camberwell (citato da Frith, 2019) l’autore annota e descrive almeno tre tipologie di autismo, sostanzialmente diverse l’una dall’altra, che denomina: “Il riservato”, “Il passivo” e “Lo strano”. [9]
Il riservato: è un bambino ritirato in se stesso: non risponde agli approcci sociali o al linguaggio, rifiuta di essere coccolato, non usa il contatto oculare, non cerca conforto quando è addolorato, rimane concentrato per ore su un gioco al computer, ma rifiuta di giocare con gli altri bambini.
Il passivo: è un bambino che accetta in modo indifferente gli approcci sociali da parte degli altri, fa quello che gli viene detto, è molto condiscendente, sa parlare e risponde sempre alle domande volentieri e con totale sincerità. Purtroppo è spesso vittima di beffe o bullismo. Egli non sembra consapevole di poter ricevere aiuto dai suoi insegnanti e genitori, ha un comportamento da bonaccione, tuttavia, se vi è un cambiamento nella routine giornaliera, questo cambiamento può provocare delle violente risposte emotive, con pianto incontrollato o attacchi d’ira.
Lo strano: è un bambino cui piace stare con gli altri. Ama toccare ed essere toccato, gode nel farsi coccolare anche dagli estranei, tanto che va incontro a persone sconosciute e non teme di chiedere a queste quello che a lui serve. È un bambino che chiacchiera continuamente, fa domande ripetitive, ma non nota quando il proprio comportamento diventa inopportuno e spiacevole agli occhi degli altri.[10] Pertanto oggi, che la rete internet permette dei facili contatti mediante i vari social, egli invia continuamente richieste di amicizia e ricerca momenti di dialogo anche con persone sconosciute.
Queste tre categorie già sono notevolmente diverse l’una dall’altra, tuttavia, chi ha esperienza e frequenta giornalmente questi bambini, potrebbe tranquillamente aggiungerne molte altre o potrebbe accorgersi, perplesso, che un bambino inserito in un gruppo si può ritrovarlo in un momento diverso, ad esempio quando è migliorato il suo mondo interiore o quando si relaziona con altre persone, in un altro gruppo!
Pensiamo che per capire tali e tante altre stranezze presenti in questi bambini e soprattutto per prevenirle e curarle adeguatamente, non basta osservare ed elencare i contraddittori e particolari sintomi che essi manifestano per poi provare a correggerli o eliminarli, mettendo in campo tutta una serie di terapie abilitative e riabilitative.
Crediamo sia invece necessario qualcosa di molto diverso, anche se più impegnativo.
È necessario scoprire, prendere atto e impegnarsi a migliorare ciò che vive, si agita e pulsa nel cuore e nella mente di questi bambini. Pertanto abbiamo la necessità di conoscere molto bene i loro vissuti interiori, i loro bisogni, le loro angosciose paure, i motivi della loro rabbia e delle loro esplosioni di collera, i loro limiti e le difficoltà ed infine, ma non meno importanti degli altri, dobbiamo riuscire a riconoscere e valorizzare le loro capacità. Le quali sono tante, ma sono come congelate dentro di loro.
Abbiamo il dovere di fare ciò allo scopo di modificare e adattare ai loro bisogni l’ambiente nel quale essi trascorrono la vita di ogni giorno e quindi la famiglia in cui essi vivono, la scuola dove trascorrono molte ore del giorno, la palestra che frequentano, ma anche tutti gli altri luoghi nei quali hanno l’opportunità di avere degli incontri sociali. Dobbiamo fare tutto ciò al fine di rendere questi luoghi e soprattutto le persone con le quali essi vengono giornalmente in contatto, adeguati alle loro esigenze e ai loro bisogni più reali e profondi.
Solo a queste condizioni ci accorgeremo che questi bambini sono pronti e disponibili ad abbattere le mura che avevano costruito attorno a loro, in un precoce, particolare momento della propria vita, per difendersi da un’insopportabile sofferenza. Contemporaneamente ci accorgeremo delle loro possibilità e capacità nell’instaurare delle relazioni efficaci, sia con gli adulti sia con i coetanei, con caratteristiche simili, se non perfettamente uguali, a quelle che consideriamo “normali”. Nello stesso tempo, vedremo sciogliersi, come neve al sole, i tanti, variegati sintomi, che erano nati come difesa nei confronti della sofferenza, ma anche come conseguenza del loro triste isolamento.
In definitiva solo quando riusciremo e rapportarci con questi bambini, così come essi si aspettano che facciamo, ci accorgeremo non più dei loro limiti, ma delle loro potenzialità e capacità.