Nascita e primi giorni di vita

Nascita e primi giorni di vita

 

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 Così come per la madre, anche per il bambino il momento della nascita è un momento difficile, anzi, per alcuni versi, può essere vissuto come un momento traumatico. Per la donna, soprattutto se primipara, questo evento tanto sognato, ma anche tanto temuto, può rappresentare uno dei momenti fisicamente più dolorosi e impegnativi della propria vita. È una fase di svolta nella propria esistenza, in quanto è anche un momento importante per verificare varie capacità e qualità: di mettere al mondo un figlio, di saper ben gestire il dolore e la sofferenza fisica, di provare a controllare le ansie e le paure, di saper ben accogliere una nuova vita umana ed infine di riuscire a fare accettare questo bambino al proprio partner, ai propri genitori o al proprio marito.

 

Ma anche per il bambino è un momento difficile. Per questi è sicuramente penoso lasciare qualcosa di molto morbido e caldo per un ambiente sgradevole e freddo. È faticoso abbandonare un ambiente sereno, tranquillo e ovattato, per entrare in un ambiente rumoroso e caotico come il mondo. Non è agevole iniziare ad assumere ossigeno e cibo dall'esterno. È complicato comunicare con gli altri esseri umani essendo forniti soltanto di rudimentali mezzi di dialogo. Tuttavia, sia la madre sia il bambino, se rientrano in quella fascia molto ampia che noi chiamiamo “normalità” sono pronti e preparati ad affrontare tutto ciò. Anche perché la natura e l'ambiente dovrebbero aver fornito all'uno e all'altra gli strumenti idonei per fronteggiare e superare queste e tante altre difficoltà che si presenteranno inevitabilmente nel futuro.

 

Le sensazioni del neonato

 

Alla nascita i sensi del neonato sono sviluppati quasi completamente, anche se egli non è ancora in grado di riconoscere gli oggetti e le persone in quanto tali, né ha la coscienza di sé come entità distinta dall’altro. Per il PIAGET inizia con la nascita una rivoluzione copernicana. ‹‹Mentre al punto di partenza di questo sviluppo il neonato riferisce ogni cosa a sé, o meglio al proprio corpo, al punto di arrivo, cioè quando hanno inizio il pensiero ed il linguaggio, si colloca praticamente come elemento o corpo fra gli altri, in un universo che ha costruito a poco a poco, e che sente ormai come esterno a sé.››[1] Pur non potendo conoscere direttamente la vita psichica di un neonato, possiamo verosimilmente immaginarla come un susseguirsi di sensazioni ed impressioni che si sovrappongono le une alle altre in modo caotico e confuso, a causa delle scarse capacità del sistema nervoso di recepire, selezionare, comprendere e gestire al meglio le informazioni in arrivo.

 

Alcune di queste sensazioni, come quelle tattili, termiche, uditive, olfattive, provengono dal mondo esterno a lui.

 

Procurano sensazioni tattili i suoi vestitini, la stoffa della culla, l’acqua del bagnetto, il corpo della madre e delle persone che hanno cura di lui e così via. Pertanto il dialogo tonico – emozionale, già presente nella fase prenatale, prosegue dopo la nascita. Queste sensazioni possono essere piacevoli, nel momento in cui il bambino si sente accolto, accarezzato, baciato, oppure sgradevoli se le mani e le braccia che lo manipolano sono tese, rigide, tremanti, incerte, scarsamente accoglienti e morbide, o peggio rifiutanti, violente o aggressive.

 

Il bambino riceve sensazioni termiche dal  tepore del seno o del corpo della madre e delle persone che hanno cura di lui, ma anche dall’acqua del bagnetto e dall’ambiente dove vive.

 

Avverte sensazioni uditive ascoltando il battito del cuore della mamma mentre viene allattato, le parole di lei, i rumori e i suoni dell’ambiente.

 

 Percepisce sensazioni olfattive dall’odore della madre, dei familiari, del latte, dei prodotti per la pulizia sua e della stanza.

 

Avverte sensazioni cenestesiche quando viene cullato, manipolato, spostato, o quando, chi è vicino a lui, gioca con le sue manine e con i suoi arti.

 

Le sensazioni interne provengono, invece, dal suo organismo: dalla pelle irritata, dal suo respiro, dai borbottii o dalle altre contrazioni dell’addome, dal battito del suo cuore.

 

Certe percezioni sono dolorose o sgradevoli e provocano tensione e bisogno che qualcuno provveda ad eliminarle, mentre altre sono piacevoli e gradevoli ed il neonato vorrebbe che non finissero mai in quanto gli danno un senso di benessere. Tutte queste sensazioni non sono però nette e chiare ma confuse ed incerte. Il neonato ancora non sa, non capisce da dove vengono e perché vengono, in quanto non le ha ancora interpretate, definite e catalogate. L’adualismo nel quale egli vive, descritto dal Piaget, gli rende impossibile distinguere il suo mondo interiore da quello esterno, l’Io dal non Io. Allo stesso modo ancora non esistono, a livello di coscienza, il tempo e lo spazio, né vi è causa ed effetto o relazioni di qualsiasi genere. Per il neonato esiste soltanto una specie di adesso, indifferenziato al quale il bambino non si può sottrarre.[2]

 

Quando dorme, e il bambino neonato dorme per la maggior parte del suo tempo, le sue impressioni sono ancora più vaghe e confuse.[3] Ciò può spiegare, almeno in parte, i suoi trasalimenti, le sue precoci paure, i suoi scoppi di pianto improvvisi e per noi immotivati.

 

 Inizio delle relazioni

 

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Pur tuttavia, ben presto, dopo questo primo momento indifferenziato, inconsistente e fluttuante, la ripetizione frequente di un certo numero di situazioni identiche: bisogno di nutrizione, pulizia, rumori e odori specifici come quelli preparatori alla poppata, alla pulizia o al bagnetto, sensazioni uditive come le costanti parole della madre e degli altri familiari al suo cospetto, nonché le carezze, i baci e le coccole rivolte a lui, tutte queste situazioni che si ripetono nel tempo innestano rapidamente un inizio di organizzazione per cui, da quel momento in poi, la vita extra-uterina si alimenta, si costruisce e vive nelle e delle relazioni. La relazione con l'ambiente esterno a lui è fondamentale non solo per accrescere esperienze e cultura ma è indispensabile per la formazione stessa dell'Io e per la crescita sana ed equilibrata del futuro uomo o donna.

 

Elemento base della relazione è la comunicazione, tra lui e la madre-mondo. DE PINTO L. (2004) ‹‹Quando il bambino scopre che esistono altre menti oltre la sua, costruisce il campo della relazione intersoggettiva che include, oltre alla presenza fisica, anche stati soggettivi di emozioni, sentimenti, motivazioni ed interazioni. In questo campo intersoggettivo si sviluppa la capacità di leggere gli stati mentali dell’altro, di conformarsi, di allinearsi, sintonizzarsi con essi (o il contrario).››[4]

 

Poiché il neonato è solo un candidato alla condizione umana: il bambino ancora “incompiuto” procederà nella propria formazione psichica e corporea e andrà provvedendosi dei mezzi di adattamento a contatto dell’universo sociale e materiale nel quale si trova prematuramente immesso, rispondendo a condizioni necessariamente incerte e variabili. Non disponendo di meccanismi belli e fatti, è costretto a fabbricarseli.[5] Il suo tirocinio per diventare adulto è lungo, in quanto il livello da conseguire da adulto è notevolmente complesso ed evoluto.

 

L'infanzia è allora il periodo necessario al “divenire umano” dell’individuo. E' l’apprendistato che porta alla piena maturità umana. Da qui la necessità, per l’essere umano che ha la caratteristica di essere molto complesso, di una lunga infanzia; da qui la sua debolezza ma anche la sua ricchezza e le possibilità quasi infinite di adattamento.[6]

 

Il bambino è dunque un "animal educandum", un essere che reclama l'educazione, come ha giustamente sottolineato LANGEVELD, poiché senza di essa non può divenire adulto.

 

Pertanto non si prenderà mai troppo seriamente l'infanzia, e quindi l'educazione.[7]

 

 La relazione con la madre

 

 

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La relazione più importante è sicuramente quella che il neonato instaura con la madre. Nella fase nella quale non vi è soltanto un “Io” ma qualcosa al di fuori di lui, fase del dualismo, il suo mondo esteriore è fatto quasi esclusivamente di questa figura, con la quale il neonato stabilisce dei rapporti tattili, termici, propriocettivi, cenestesici, sonori, olfattivi, ma anche e soprattutto instaura delle particolari relazioni affettivo - emotive. Pertanto la qualità e la ricchezza della comunicazione tra la madre ed il bambino hanno un’enorme importanza per lo sviluppo psicoaffettivo del neonato.[8] Levy ha definito la dipendenza del bambino dalla madre con l’espressione:“fame primaria d’amore” in quanto soddisfa i bisogni biologici fondamentali [9] e si attiva ad alleviare tutti i vari squilibri ricorrenti.

 

Inizialmente la madre è qualcosa di molto vago, ma ciò non toglie che ben presto questa diventi sicuramente più di un seno che lo nutre o delle braccia che lo cullano. Per il neonato la sua mamma diventa qualcosa che conforta, rassicura, fa stare bene, accarezza e procura sensazioni gradevoli ma, a volte, anche sgradevoli. Per cui è alla madre che egli chiede cibo, pulizia, benessere fisico e psichico. Ed è con la madre che cerca di adattarsi e di instaurare un legame e un dialogo profondo, intenso e proficuo per entrambi. Ed è a lei che per prima, dopo la quinta settimana, offre i suoi sorrisi. Tutta la sua prima iniziazione avviene dunque nella tonalità della sicurezza familiare che si sprigiona dalla persona della madre, in quell’atmosfera di tenerezza e di affetto che oggi sappiamo quanto sia indispensabile al bambino, perché essa determina il suo personale sentimento di sicurezza, condizione di ogni successivo progresso.[10]

 

Il periodo dell’allattamento

 

Simbolo di questa intimità fisica madre - bambino è il periodo dell’allattamento. ‹‹È intorno all’atto della nutrizione che si forma la prima relazione. Il neonato dipende in tutto e per tutto dalla sua nutrice, con la quale stabilisce un legame molto intimo, intenso e significativo. Fin dalle prime poppate, l’alimentazione avviene in un contesto sociale ricco di sensazioni. Sono interessati non solo il gusto e l’olfatto, ma anche il tatto: le labbra del neonato si attaccano al capezzolo, il bambino tocca e stringe il seno materno, la madre sostiene il piccolo. Questo contatto ravvicinato crea un clima emotivo al cui interno la suzione, la deglutizione, la digestione e in seguito la masticazione, assumono delle valenze psicologiche che vanno ben al di là del fatto alimentare in sé. Il latte si fonde con il corpo della mamma. Non è solo buono da succhiare, ma anche da immaginare e da sognare. Il suo profumo e il suo gusto si associano a sensazioni di benessere, serenità e affetto.››[11]

 

Con la madre, quindi, il bambino entra inizialmente in contatto intimo soprattutto con la bocca. Quest’organo non è solamente un mezzo per nutrirsi o provare piacere, ma è uno strumento che gli permette di mettersi in contatto con il mondo esterno per fare le sue prime esperienze.[12] Ciò capiamo dal comportamento del bambino. La ISAAC così descrive un momento dell’allattamento: ‹‹Ma se la mamma ritrae il seno come cambia velocemente il suo atteggiamento! Il viso del neonato si rabbuia, e arrossisce, strilla per il dolore e per la rabbia, agita i pugni e tutto il corpo esprime dimenandosi la sua protesta. Se gli si restituisce il capezzolo, il suo corpo si rilassa, il viso si distende, il bimbo sospira o borbotta di sollievo e la bocca ricomincia a soddisfare la sua fame di nutrimento e di affetto. Offrire il seno al bambino, nei suoi primi momenti di vita, vuol dire offrigli amore, ritirare o rifiutare il seno vuol dire ritirare o rifiutare l’amore .››[13] Pertanto il tardare nel dare da mangiare al bambino non significa soltanto lasciarlo per qualche tempo con un po' di fame ma, altresì, disturbare il fluire delle sue gratificazioni affettive. Egli non piange e protesta solo perché ha fame, ma anche perché si sente privo d’affetto e non gode del piacere di succhiare. 

 

Per quanto riguarda il tipo di allattamento non vi è dubbio che l’allattamento al seno sia da preferire nettamente non solo per motivi biologici ma soprattutto per motivi psicologici in quanto come dice WINNICOTT: ‹‹L’offerta del biberon in luogo del seno o la sostituzione del seno con il biberon durante le prime settimane dell’allattamento rappresenta, in una qualche misura, una barriera che divide il piccolo e la madre piuttosto che un legame che li unisce. Nel complesso il biberon non può sostituire adeguatamente il seno.››[14]

 

Tuttavia, dopo le prime settimane, il bambino comincia ad abituarsi alla regolarità nella nutrizione e al resto delle cure che gli sono prestate per cui, certo dell’affetto costante e stabile, non ha motivo di abbandonarsi immediatamente all’ansia e alla solitudine.[15] Le madri si accorgono di questa iniziale crescita del bambino in quanto avvertono che egli ora sa attendere di più la soddisfazione dei suoi bisogni. ‹‹È  più paziente ›› - dicono.

 

Anche le braccia della madre non sono solo delle braccia. Se queste sanno sorreggerlo e accoglierlo con morbidezza e disponibilità, sono fonte di sensazioni piacevoli e rassicuranti. Offrono al bambino qualcosa di molto simile ad un utero o a un nido morbido, caldo e accogliente. Tutte queste sensazioni piacevoli e serene gli permettono di mantenere e far crescere la fiducia in se stesso, ma anche nel mondo nel quale si sta gradualmente inserendo. E ciò permetterà al piccolo essere umano di percorrere la strada che lo porterà alla crescita affettiva e all’indipendenza.

 

Le attese del neonato

 

Il bambino riconosce la situazione dell’allattamento e si calma appena la madre lo solleva per nutrirlo, in quanto ha rapidamente imparato a collegare le varie sensazioni interne ed esterne. Quando ha fame si aspetta che la madre lo allatti, così come quando è sporco o prova fastidio ha fiducia che la mamma lo pulisca. Quando è stanco di trovarsi nella stessa posizione egli sa che la madre accorrerà per sistemarlo in una posizione più comoda e più idonea al suo riposo. Quando la troppa luce disturba i suoi occhi egli si aspetta che la madre abbassi le tapparelle. Se i comportamenti della madre si modellano in maniera sufficientemente attenta e precisa ai suoi bisogni, aumenta la sua fiducia in lei e quindi nel mondo esterno a lui, mentre contemporaneamente aumenta la stima nelle sue capacità di stabilire relazioni efficaci. Se invece non accade quanto si aspetta, rimane disorientato e angosciato[16] e coltiva sfiducia e stizza sia verso gli altri, in quanto incapaci di ascolto, sia verso se stesso, sentendosi vittima impotente.

 

 ‹‹Alla nascita il bambino non è una tabula rasa. Tra un bambino e l’altro vi sono differenze significative di carattere ereditario e congenito. I bambini variano per il tipo fisico, il potenziale intellettuale, il temperamento, il metabolismo, l’affettività, l’attività motoria, le reazioni nervose. Nonostante ciò, l’influenza dell’ambiente nel plasmare in modo definitivo l’espressione di queste potenzialità è enorme...››[17] Pertanto le capacità adattative della madre alle diverse qualità e realtà del bambino sono fondamentali. Per BOWLBY: ‹‹Oltre che dalla comprensione intellettuale, che non voglio certo criticare, il modo giusto di allevare un bambino nasce dalla sensibilità della madre alle reazioni del figlio e dalla sua capacità di adeguare intuitivamente il proprio comportamento alle necessità del bambino.››[18]

 

Le “madri sufficientemente buone” nel momento in cui hanno un bambino tra le braccia, per capirlo meglio, per entrare meglio in sintonia con lui, per Winnicott regrediscono e si fanno piccole come il loro bambino. Altre invece, soprattutto oggi, coinvolte negli impegni lavorativi e professionali, spaventate da questa condivisione totale con il loro bambino ‹‹… temono questo stato e hanno paura di diventare dei vegetali, con la conseguenza che si aggrappano alle vestigia di una carriera come a una vita preziosa e non si concedono neppure temporaneamente a un coinvolgimento totale.›› [19]

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1]  J. PIAGET , Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964, p. 17.

[2]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 48.

[3]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 49.

[4]  DE PINTO L. (2004), “Conversare tra noi lungo il cammino”, in Consultori familiari oggi, numeri 2-3, anno 12, p. 13.

[5]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 28.

[6]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 28.

[7]  Cfr. LANGEVELD in P., A., OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 29

[8]  Cfr. M. DE NEGRI M. e altri, Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, 1970, p. 126

[9]  Cfr. LEVY in DE NEGRI M. e altri (1970), Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, p. 127.

[10]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 58.

[11]  A. O. FERRARIS, “Il ricatto della pappa”, in Mente e cervello n. 19, gennaio – febbraio 2006, p. 40.

[12]  S. ISAACS S. (1995), La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni e Figli e genitori, Roma, Newton, p. 32.

[13]  S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 33.

[14]  D. W. WINNICOTT, Il bambino e la famiglia, Giunti e Barbera, Firenze, 1973, p. 156.

[15]  S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 40.

[16]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 50.

[17]  N.W. ACKERMAN, Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 69.

[18]  J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982,  p. 18

[19]  D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Cortina Raffaello, Milano, 1987, p.93.

 

 

 

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