Il bambino e il suo ambiente

Il bambino e il suo ambiente

 

Attorno a noi, ma anche dentro di noi, vive e si agita un mondo complesso e articolato: l’ambiente.

Chiamiamo ambiente interno quel mondo interiore fatto di carne e sangue, di ormoni e geni, di cellule e apparati, ma anche di sentimenti ed emozioni, di pensieri e desideri, di speranze e delusioni, di gioie e angosce, di amori e odi, di rabbia e accoglienza. Questa realtà interna o intrapsichica è, in fondo, più reale della realtà materiale, in quanto la percezione della realtà esterna è notevolmente influenzata proprio dalla realtà psichica; pertanto è quest’ultima che agisce maggiormente su di noi.

 

Definiamo ambiente esterno il mondo su cui ci muoviamo e interagiamo. Un modo fatto di persone, animali, oggetti, ambienti naturali e artificiali.

L’Io, tranne che nell’infanzia, nei sogni, nei deliri o nelle allucinazioni, mediante l’esame di realtà riesce a distinguere gli stimoli provenienti dal mondo esterno, da quelli provenienti dal mondo interno. Pur tuttavia il contatto con la realtà esterna non è uguale in tutte le persone, così come non è uguale neanche in tutti i momenti della vita. Esso è massimo durante la veglia e minino durante il sonno,nel quale il nostro cervello esclude, quasi totalmente, la realtà esterna. Ma anche durante il giorno, il contatto con la realtà esterna diminuisce molto quando siamo distratti dalla stanchezza, dallo stress o quando le preoccupazioni e le frustrazioni ci costringono a chiuderci in noi stessi. Ciò è maggiormente evidente quando prevalgono nel mondo interiore istanze e problematiche difficili, tristi e angosciose o quando siamo travolti da conflitti ed emozioni intense, come la paura, l’ansia, la gelosia e l’ira.

Nei bambini questo allontanarsi dal mondo esterno per vivere e seguire le interne emozioni, accade più facilmente. Pertanto molti genitori si sgolano, nel tentativo di “far tornare sulla terra” per svolgere gli impegni quotidiani, i bambini assorti nei loro pensieri; ma anche gli insegnanti si lamentano quando dei bambini perfettamente normali, dopo alcune ore trascorse in classe, si distraggono e seguono più le loro fantasticherie ed i loro sogni ad occhi aperti, che le spiegazioni degli argomenti scolastici. Ciò è più evidente nei bambini che presentano problemi psicoaffettivi, per cui, tanto più gravi sono le problematiche psicologiche, tanto più labile, scarso, incerto e saltuario è il legame con la realtà esterna. Questo legame è notevolmente carente nei bambini con Disturbo pervasivo dello Sviluppo, nei quali è massimo il bisogno di restare chiusi ed immersi nel mondo interiore e minimo il desiderio, ma anche la possibilità di rimanere in contatto con il mondo esterno.

L’uomo si è sempre posto il problema di come questi due ambienti dialoghino tra loro e di quanto l’uno influenzi l’altro. La millenaria osservazione attuata nell’ambiente vegetale e animale gli ha dato le prime risposte. Se un seme che porta in sé, nei suoi geni, un progetto di vita, che può essere quello di un grande maestoso albero, ricco di frutti succosi, nei primi giorni della sua esistenza sarà circondato da un caldo, umido, leggero humus che, come un nido lo avvolgerà, lo riscalderà, lo aiuterà a germogliare e lo nutrirà sufficientemente e se poi nei riguardi di questo germoglio, gli insetti, gli animali ma anche le persone che lo circonderanno saranno benevoli e gli daranno ciò che gli serve per crescere, possiamo ben sperare che da questa piccola vita, quasi solo un progetto, si sviluppi una robusta piantina, che avrà notevoli capacità nell’affrontare le insidie dell’ambiente. Ma se al contrario, un seme che porta lo stesso patrimonio genetico è circondato da un ambiente ostile, come quello dato da una scarsa umidità, dal freddo intenso o da eccessivo calore, mentre nel contempo gli animali o gli esseri umani attorno a lui, piuttosto che a proteggerlo saranno intenti a schiacciarlo e calpestarlo, il risultato sarà sicuramente lesivo per quel seme, tanto che quella speranza di vita potrà cessare di esistere.

 

Sappiamo anche che l’ambiente esterno interviene anche quando il seme si è trasformato in alberello. Quando nella campagna la sua piccola tenera cima svetterà insieme a quelle degli altri alberi, se gli insetti, i vermi e gli animali grandi o piccoli che vivono e prosperano attorno ad esso saranno pronti ad accoglierlo e a scambiare elementi di vita, le possibilità che cresca alto, rigoglioso e forte, così da dare, a tempo giusto, i suoi fiori ed i suoi frutti, aumenteranno sensibilmente. Al contrario, se l’ambiente che lo circonderà sarà portatore di ferite laceranti, di traumi intensi o ripetuti, non è difficile che prevalgano gli elementi di malattia, di deformità, se non di morte. Qualunque sia il suo patrimonio genetico.

In ogni caso quest’essere vivente ha già subìto, nel bene o nel male, le modifiche dell’ambiente attorno a lui, ma anch’egli ha contribuito a modificare, con la sua presenza, l’ambiente che lo circonda in quanto, se e quando gli sarà possibile farlo, anch’egli cercherà di adattarsi e difendersi dall’ambiente circostante. Non sempre abbiamo coscienza di questo scambio. Non sempre questo scambio è voluto e desiderato ma, costantemente, a tutte le età e in tutte le condizioni nelle quali ogni essere si trova a vivere, esso avviene.

D’altra parte queste interazioni sono presenti anche nel mondo non vivente: l’acqua di un fiume non modifica forse il paesaggio ed il letto in cui scorre, permettendo a migliaia di forme di vita vegetali ed animali di crescere e svilupparsi lungo il suo alveo? E un fiume non è forse modificato da tutti gli elementi che lo circondano: alberi, rocce, animali, esseri umani, i quali possono alterare e/o ostacolare il suo procedere verso il mare? Non basta forse una frana per modificare il suo corso? E le sue acque, cristalline alla sorgente, non possono forse essere inquinate dagli animali, compreso l’uomo, che le utilizzano?

Pertantonell’ambito degli esseri viventi, ma anche in quello dei non viventi come può essere un ambiente fisico, l’influenza reciproca è la regola e non l’eccezione.

Come abbiamo detto, questi scambi sono presenti in tutti gli esseri viventi, così come nell’ambiente fisico, ma è diversa la qualità degli scambi e anche la loro complessità. Ed è per questo motivo che le teorie su “come”, “cosa”, “perché” e  “quanto”, sia scambiato tra gli esseri umani e l’ambiente che li circonda, sono tante e non sempre coerenti tra loro. Ed è per questo motivo che studiando le ipotesi che gli studiosi si sono affannati a cercare e sperimentare, per poi metterle a disposizione di tutti e diffonderle con i loro articoli ed i loro trattati, si ha la netta sensazione di un impegno molto più arduo e complesso, rispetto alle nostre povere capacità. Ma ciò non ci esime dal trascurarle o peggio dal non tenerle in alcun conto, nei nostri quotidiani comportamenti.

  1. Per quanto riguarda gli esseri umani, probabilmente siamo ancora molto lontani dal dare una risposta definitiva alla problematica di quanto e come agisca l’ambiente esterno sul loro sviluppo, in quanto nell’uomo le influenze reciproche sono molto più ricche e complesse; ma, come dice Bowlby[1]:

 “Sappiamo che oggi il compito centrale della psichiatria dello sviluppo è proprio quello di studiare l’interazione senza fine tra mondo interno e mondo esterno e il modo in cui uno influenza costantemente l’altro, non solo durante l’infanzia, ma anche durante l’adolescenza e la vita adulta. Appare ormai evidente che gli avvenimenti accaduti all’interno della famiglia durante l’infanzia e l’adolescenza giocano un ruolo importante nel determinare se una persona crescerà mentalmente sana o no”.

 

Gli esseri umani e il loro ambiente

Negli esseri umani l’ambiente esterno è costituito da molti elementi: persone, animali, piante e altri elementi naturali, ma è anche costituito da oggetti, come può essere un libro, un televisore o un telefonino.

Per quanto riguarda le persone, alcune di queste: come i genitori, i fratelli, i familiari, gli amici, con i quali condividiamo i pensieri più intimi, le gioie più profonde, i dolori più laceranti, sono molto vicine al nostro cuore, pertanto la loro influenza sarà sicuramente maggiore e fondamentale per la nostra vita, il nostro benessere o malessere, ma anche per la nostra stessa sopravvivenza.

Tuttavia non bisogna affatto sottovalutare tutti gli altri esseri umani con i quali, in qualche modo, siamo in contatto durante il giorno. Anche questi, con i quali scambiamo solo un freddo saluto o un garbato “buongiorno” o “buonasera”, anche questi, sebbene in modo minore, sono importanti nell’illuminare di sprazzi di gioia le nostre giornate o al contrario nel turbare, per un tempo più o meno lungo, il nostro animo.

Molte di queste persone non sono da noi scelte: non sono scelti i genitori e tutti i familiari con i quali si è instaurato un legame di sangue o di appartenenza; non sono scelti gli insegnanti, i compagni di scuola o di sport; così come non sono scelti i colleghi di lavoro o di studio. Solo in alcuni casi abbiamo la possibilità e la fortuna di selezionare noi stessi, con cura, le persone con cui rapportarci. Scegliamo, ad esempio, gli amici più cari con i quali condividere parte della nostra vita e il nostro tempo libero. Scegliamo gli amori più importanti e profondi con i quali vivere duraturi sentimenti teneri e caldi o anche dei progetti importanti.

Per quanto riguarda la frequenza, con alcuni avremo dei rapporti quasi quotidiani, con altri i contatti saranno più sporadici, con altri ancora i rapporti saranno saltuari, se non rari. Quando le relazioni sono frequenti e intime, accettiamo più facilmente le frustrazioni, le ansie, le inquietudini che da queste persone possono provenire, giacché sono compensate dalla ricchezza della relazione, fatta di presenza, ascolto, conforto, stimolo e aiuto, della quale siamo grati. Siamo, invece, più sensibili e reattivi nei confronti delle persone sconosciute o da poco conosciute. Da queste ci attendiamo costantemente almeno un rispetto formale.

Variano anche i sentimenti che proviamo o che scambiamo. Con alcuni esseri umani scambiamo amore, con altri risentimento e odio, con altri desideri e passioni, mentre alcuni, inevitabilmente, saranno per noi, in parte o del tutto indifferenti.

Persone sono anche quelle che ascoltiamo e vediamo sui mezzi di comunicazione: alla radio, sugli schermi della tv, mediante il computer, sulla rete Internet, sui cellulari. Persone sono anche quelle che ci hanno preceduto e che hanno lasciato, con i loro scritti e con le loro parole, i pensieri, le storie, le fantasie, le riflessioni e opinioni dei quali è ghiotta la nostra mente. Persone sono quelle che con le varie arti: musica, pittura, scultura, architettura, riescono a comunicarci, anche dopo secoli e millenni, bellezza, armonia, piacere e gioia, ma anche altre volte malinconia, angoscia e tristezza. Tutti questi esseri umani, anche se non li abbiamo mai conosciuti direttamente o sono morti da migliaia di anni, hanno lo stesso la capacità di commuoverci, divertirci, istruirci e farci apprendere alcune verità fondamentali sempre attuali. Anche questi esseri umani hanno il potere di farci crescere, renderci più sereni e forti o, al contrario, nonostante il trascorrere del tempo, hanno ancora il potere di turbarci; hanno il potere di infliggerci del malessere.  

 

L’ambiente esterno non è fatto solo di esseri umani. Gli animali, le piante e anche gli oggetti e l’ambiente fisico nel suo complesso, possono contribuire molto sia al nostro benessere sia al nostro malessere psicologico. Ad esempio, non è indifferente il tipo di casa che ci accoglie: così com’è piacevole entrare e vivere in una casa soleggiata, pulita, ordinata, calda, ampia e luminosa, al contrario è sicuramente sgradevole condurre la propria esistenza in una casa umida, fredda, sporca, buia o diroccata. Non è indifferente vivere accanto a strade asfaltate nelle quali corrono auto rombanti e camion puzzolenti oppure avere la possibilità di abitare in un parco verde e tranquillo o in una casa di campagna odorosa, così da godere della ricchezza, della bellezza, dei profumi e dei colori della natura.

Persone, animali, piante, oggetti, ambienti naturali, tutti influenzano la nostra vita fisica e psichica, in quanto tutti sono in grado, anche se in modo diverso, di migliorare o peggiorare il nostro mondo interiore e quindi sono capaci di creare e promuovere il nostro benessere, come sono in grado di spingerci verso il malessere.

Dei due ambienti: quello interno e quello esterno, sappiamo che l’uno condiziona l’altro, l’uno è legato all’altro, l’uno è capace di essere modificato in senso positivo o negativo dall’altro.

  1. Sofferenza o gioia possono nascere dalla nostra costituzione genetica (patrimonio di base di natura genetica)[2], dai disordini biochimici e ormonali o dalle malattie che ci possono colpire in qualunque momento della nostra vita. Allo stesso modo però, sofferenza e gioia possono nascere dal rapporto positivo o negativo, facile o difficile, normale o disturbato, caldo o freddo, intenso o raro, che abbiamo avuto e che abbiamo ogni giorno con l’ambiente esterno a noi, con il quale ci relazioniamo. È naturale allora che sulla base di come abbiamo interpretato le nostre prime esperienze con i genitori, l’inconscio ci induca a pensare che il mondo ci accetta e ci approva, oppure ci rifiuta e disapprova.[3]

Pertanto, tutto e tutti possono provocare delusioni cocenti, conflitti laceranti, angosce opprimenti; come, per fortuna, tutto e tutti possono essere apportatori di serenità e gioia, piacere e benessere, calore e apertura. In definitiva ogni persona umana porta con sé in ogni momento della sua vita elementi biologici, psicologici e sociali che sono intimamente legati e fusi gli uni agli altri, così che è estremamente difficile, se non impossibile, separarli.

Rapporto tra ambiente esterno e ambiente interno

Per quanto riguarda il rapporto tra ambiente interno e ambiente esterno, molti autori si sono cimentati nel ribadirlo, ma anche nel cercare di spiegarne le modalità con le quale questo rapporto si instaura ed evolve.

Non solo Freud e gli altri psicoanalisti ma anche molti altri autori hanno ribadito con forza, in tutte le loro opere, l'evidenza che le radici della nostra vita emotiva risiedono nell'infanzia e soprattutto nella prima infanzia.

Per Osterrieth[4]:

 “Non si ereditano l’intelligenza, la capacità di concentrazione, la pigrizia, la virtù o il senso degli affari, come si eredita una collana di perle o un servizio da tavola. L’ereditarietà non assicura probabilmente la trasmissione di caratteristiche psicologiche o morali belle e fatte, come si pensa comunamente. E certamente più giusto pensare che ciò che si trasmette, siano predisposizioni, sensibilità o insensibilità, che permettano l’acquisizione nel corso della vita di certe attitudini o di certe caratteristiche di comportamento. Inoltre è necessario che le circostanze consentano a queste predisposizioni di manifestarsi e offrano le modalità secondo le quali esse si plasmeranno”.

 

E ancora lo stesso autore:

“È forse utile ricordare che, in realtà, organismo e ambiente sono in continua interazione, e che, secondo le caratteristiche dell’ambiente, certe tendenze ereditarie saranno non soltanto permesse ma favorite, concretizzandosi in attitudini o in tratti di carattere, altre saranno inibite, e appariranno solo in forma alterata, altre infine non saranno mai stimolate e le reazioni concomitanti non si verificheranno mai”[5].

“In breve, qualunque sia l’importanza e il peso dei fattori ereditari, l’uomo non è condizionato soltanto da questi: lo è altrettanto dalle condizioni in cui vive e in cui il suo sviluppo è avvenuto[6]”.

“Si può senz'altro affermare che le circostanze della vita e le esperienze dell'individuo determinano in larga misura il modo in cui la sua struttura ereditaria troverà espressione”. E ancora: “Si sottovaluta che il più delle volte si trasmettono non malattie ma predisposizioni verso certe malattie piuttosto che altre. Si trasmette una maggiore o minore sensibilità ai traumi psichici piuttosto che disturbi o malattie psichiche. Anche perché perfino nei gemelli veri non vi è un uniforme comportamento per cui parecchie attitudini e tratti del carattere si trovano nell'individuo in quanto sono stati incoraggiati dall'ambiente, mentre altri sono stati costantemente inibiti”[7].

Per De Ajuriaguerra[8]:

 “Non esiste sviluppo comprensibile al di fuori del suo ambiente”.

 “Senza alcun dubbio esistono dei pattern caratteristici di ogni specie, trasmessi per via ereditaria, che si manifestano sotto forme equivalenti in un insieme di individui della stessa specie. Ma i pattern possono essere attivati dall’ambiente, dagli stimoli tattili, visivi, uditivi, etc., o modificati per l’assenza o per l’azione qualitativamente o quantitativamente inadeguata degli apporti dell’ambiente”.

Bowlby[9] afferma:

“Il punto di vista che sostengo, come si potrà notare, si basa sulla convinzione che gran parte dei disturbi psichici e dell'infelicità siano dovuti ad influenze ambientali su cui siamo in grado di intervenire e che possiamo modificare”.

“Se un bambino è sereno e sicuro oppure infelice e non in armonia con la società, dipende in gran parte dall’adeguatezza o meno delle prime cure che ha ricevuto”[10].

Per Ackerman[11]:

 “L’eredità fissa dei limiti al potenziale sviluppo della personalità, ma a darle una forma concreta è l’esperienza sociale”.

 

Per Bettelheim[12]:

 “La teoria freudiana pone l’accento sia sull’immodificabilità di gran parte della nostra eredità evolutiva, sia sull’importanza delle prime esperienze: benché non sia possibile modificare minimamente tale eredità, le prime esperienze determinano le modalità in cui essa troverà espressione nella personalità di ciascuno”.

“Le prime esperienze infantili non solo influiscono sulla formazione dell’autostima e sulla percezione di sé in rapporto agli altri, ma determinano anche il modo in cui interpreteremo le esperienze successive”[13].

Per Mastrangelo (1975 p.307)*:

“Quanto ai fattori ambientali intesi in senso lato, prevalgono quelli legati all’assenza della madre o di entrambi i genitori, oppure alla personalità frustrante dei genitori, (a volte già frustrati come figli e quindi rifiutanti i propri figli).  essi concorrono, come oggi viene opportunamente sottolineato all’insorgere o all’aggravarsi dell’iniziale “difficoltà di comunicazione”.

L’influenza dell’ambiente nello sviluppo degli esseri viventi è tanto maggiore quanto maggiore è la sua complessità per cui, come dice Portmann citato da Osterrieth[14]:

“l’animale nasce in certo qual modo “pronto”, per la vita, biologicamente “compiuto”o quasi, ma richiuso, si potrebbe dire, nelle possibilità, relativamente ridotte e immutabili, che questa compiutezza gli assicura. Il bambino “incompiuto”, al contrario, procederà nella propria formazione corporea e andrà provvedendosi dei mezzi di adattamento a contatto dell’universo sociale e materiale nel quale si trova prematuramente immesso, rispondendo a condizioni necessariamente incerte e variabili. Non disponendo di meccanismi belli e fatti, siamo costretti a fabbricarceli; di qui la nostra infanzia è la risposta all’incompiutezza iniziale, all’impotenza pressoché totale del bambino, che aveva così colpito Jean-Jacques Rousseau”.

Lo stesso concetto è ripreso da Isaacs[15]:

“Possiamo affermare che, in genere, quanto più i piccoli di una determinata specie animale hanno bisogno di assistenza e quanto più a lungo rimangono dipendenti dai genitori, tanto più sono dotati di intelligenza e di spirito di adattamento, tanto meno vivono seguendo le regole fissate dalle leggi dell’ereditarietà e dalla genetica”.

e Winnicott[16]:

“Al giorno d’oggi parliamo molto spesso di bambini disadattati: ma i bambini disadattati sono tali perché il mondo non è riuscito ad adattarsi correttamente a loro all’inizio e durante i primi tempi”.

Per Wolff[17]:

“Le esperienze dell’infanzia non vanno perdute. Quando esse sono positive, l’individuo raggiunge la maturità conservando intatte le sue potenzialità riguardo ai rapporti umani, al lavoro, alla felicità. Egli risponde all’ambiente in modo realistico e sa adattarsi al mutare delle circostanze. Quando le esperienze infantili lo stressano in modo schiacciante, si ha un arresto dello sviluppo della personalità e può essere messo in movimento uno schema di comportamento disadattato, che si ripeterà per tutta la vita. Esso, come un destino malvagio, impedisce per sempre all’individuo di realizzare appieno le sue potenzialità nella vita adulta”.

Arresto nello sviluppo non significa, però, che da quel momento tutto diverrà statico ma che vi sarà una deviazione della personalità con un ritardo nelle manifestazioni di cambiamento che caratterizzano il corso normale dello sviluppo di un minore.

Sempre la stessa autrice aggiunge:

 “Ma certe circostanze possono essere dannose per i bambini, non per ciò che esse procurano, ma per ciò che non procurano: esse possono privare i bambini di essenziali esperienze di apprendimento”.[18]

A questo riguardo non possiamo non ricordare quello che dicono Imbasciati, Dabrassi e Cena[19]:

“Sappiamo che la maturazione cerebrale è in relazione all’esperienza e che questa inizia ad essere esperita già dal feto. È l’esperienza che regola lo sviluppo micromorfologico e funzionale del cervello”.

Gli stessi autori[20] aggiungono inoltre:

“Si è ritenuto a lungo, e in parte tuttora alcuni ritengono, che la maturazione del tessuto nervoso, quale si riscontra morfologicamente e fisiologicamente, dipenda esclusivamente dalla realizzazione del programma genetico che riguarda il completamento morfofunzionale di tutti gli organi corporei e che investirebbe pertanto anche il cervello, che verrebbe così “completato” gradualmente, prima e dopo la nascita, nei primi mesi. La mente scaturirebbe così dalla maturazione biologicamente predeterminata del cervello. Al contrario si è dimostrato che la maturazione è un processo che avviene solo se c’è l’esperienza: non solo, ma che la qualità dell’esperienza determina il tipo di maturazione. […] Gli studi sugli animali hanno da tempo dimostrato che l’architettura istologica corticale è in relazione al tipo di apprendimento cui l’animale è stato sottoposto. Più moderne tecniche, tra cui i metodi di neuro-immagini (PET), mettono in evidenza, anche nell’uomo, come sia l’esperienza che viene acquisita, ossia il tipo di apprendimento conseguito, che condiziona la cosiddetta maturazione neurale”.

Per Stefana e Gamba[21]:

“In definitiva è esperienza comune quanto “il sistema psiche” sia assai più complesso di qualsiasi altro sistema conosciuto: è perciò inevitabile, “fisiologico”, che le nostre conoscenze sullo stesso e sulle patogenesi dei disturbi che lo affliggono siano ancora parziali. Conseguentemente non ci si può limitare la chimica e la fisiologia del cervello, o anche il comportamento osservabile, o i riscontri che la moderna tecnologia diagnostica permette, poiché l’importanza di tali approcci al paziente e alla sua psicopatologia non esaurisce la comprensione dell’essere umano e della sua esperienza, che si inserisce in un contesto e in un ambiente la cui scissione dagli elementi di comprensione introduce una semplificazione non priva di rischi. Non si tratta quindi di abbandonare alcuni strumenti classici, ma di arricchirli: “per vedere nella mente di un altro, noi dobbiamo ripetutamente immergerci nel profluvio delle sue associazioni e dei suoi sentimenti; dobbiamo noi stessi essere lo strumento che lo scandaglia, abbandonando una semplicistica separazione dicotomica tra aspetti biologici e influenze psicosociali. Non è questione di “aut-aut, ma di et-et o meglio, una questione di indistricabile fusione (intesa come stato di confluenza) degli uni nelle altre”.

L’evoluzione biologica è quindi la piattaforma su cui si inserisce l’evoluzione psicologica e sociale.

Nonostante queste conoscenze siano ben note da decenni, ciclicamente, nei vari periodi storici e nelle diverse società, l’accento viene posto a volte su una causa, a volte su un’altra. In alcune epoche ed in alcune culture è sottolineato il ruolo dell’ambiente interno, mentre in altre epoche ed in altre culture, viene prevalentemente proposta all’attenzione della società l’influenza dell’ambiente esterno. A volte si evidenziano soprattutto i fattori legati al nostro patrimonio genetico, altre volte sono le malattie causate da microbi, virus e batteri ad essere messe in primo piano. Così come in alcuni periodi storici ed in alcune culture si pone l’accento sulle patologie legate a un’alterazione dell’assetto ormonale o biochimico, in altre  sono messe in risalto le influenze nefaste delle condizioni socio-economiche.

Non vi è dubbio che delle molteplici realtà che accompagnano e si attivano in senso positivo o negativo nella formazione del benessere o del malessere dell'essere umano, negli ultimi decenni gli elementi genetici e biologici siano stati ampiamente posti in netta evidenza e, quindi sopravvalutati, a scapito delle componenti sociali, ambientali e relazionali che sono per lo più sottaciute, mentre in alcuni casi si prova addirittura a cancellarle.

Continuamente l'opinione pubblica viene informata della scoperta di un nuovo gene che avrebbe una marcata influenza su questa o quella malattia, su questo o quel disturbo o comportamento abnorme o eccessivo. Ciò ha sviluppato nella mentalità comune la falsa opinione che buona parte delle malattie e dei disagi di tipo psicologico di cui soffriamo noi adulti ma anche i nostri figli come le ansie, le fobie, le dipendenze, l'autismo, l'instabilità psicomotoria, i disturbi del carattere o del comportamento, le psicosi depressive e quelle dissociative, siano su base genetica e, pertanto, incurabili fino a quando non si riuscirà a modificare i geni interessati, così da curare i nuclei e le aree cerebrali geneticamente alterate. La fiducia e le aspettative poste in queste ricerche da parte di un’opinione pubblica poco informata, diventano enormi e incongrue, poiché è dai genetisti o dai farmaci sperimentati e prodotti e non dai nostri comportamenti personali, di gruppo, politici e sociali che si attende la o le soluzioni dei tanti gravi problemi che assillano i bambini.

 

Ciò mette in scarsa luce e svilisce quanto constatato e studiato dagli illustri studiosi dell’animo umano.

Purtroppo però nell’attesa che le ricerche genetiche diano i loro frutti, si trascura, sia nell'ambito della prevenzione, sia nell’ambito degli interventi terapeutici lo studio degli aspetti ambientali e relazionali. Per cui, come ben dice Osterrieth[22]:

“La nozione fatalistica di ereditarietà incoraggia facilmente ad astenersi da ogni sforzo di educazione e da ogni tentativo per modificare l'ambiente nel quale il bambino cresce; essa costituisce, come ha detto qualcuno, un imponente guanciale di pigrizia pedagogica”.

Questo atteggiamento spinge a considerare molte malattie psichiche come malattie croniche e incurabili, da fronteggiare soprattutto con gli psicofarmaci o mediante terapie abilitative e riabilitative, fino a quando un improbabile, futuro intervento genetico potrà affrontarle ed eliminarle. Nel contempo siamo tutti assolti. Sono assolti i genitori che trascurano i loro figli e li costringono, con i loro incongrui ed egoistici comportamenti, ad innumerevoli sofferenze. Sono assolti i politici e gli amministratori, che possono impunemente utilizzare i soldi pubblici ed indirizzare buona parte delle risorse per migliorare il benessere economico o peggio per costruire sempre più strumenti di guerra, trascurando il benessere sociale, quello familiare e di coppia e, quindi, l'ambiente di vita del bambino, come del giovane, dell'adulto o dell'anziano. Sono assolti i servizi presenti sul territorio, ai quali non si chiede l’efficacia dei loro interventi ma soltanto il numero delle prestazioni effettuate.

Inutile dire che è un messaggio sostanzialmente falso e fuorviante in quanto, se l'umanità ha sempre compreso e accettato la presenza della componente genetica e biologica nello sviluppo umano, nel contempo si è sempre attivata a che le componenti ambientali fossero le migliori possibili, al fine di evitare l'insorgenza o l’aggravarsi delle malattie del corpo e soprattutto di quelle della psiche, nelle quali prevalgono nettamente le componenti affettivo – relazionali e quindi prevalgono la comunicazione, il dialogo e lo scambio emotivo.

Influenza dell’ambiente sugli esseri viventi

Nei riguardi degli esseri viventi lo scambio con l’ambiente non è sempre costantemente favorevole o sfavorevole. Questo scambio può essere, in certi periodi ed in certi momenti positivo, mentre in altri periodi ed in altri momenti può risultare negativo. Come tutti gli esseri viventi anche gli uomini hanno dei tempi biologici che non possono essere misconosciuti o trascurati.Non è indifferente il periodo della propria vita nel quale gli eventi positivi o negativi vanno ad incidere sull’essere umano. Ad esempio, l’assenza della madre o del padre per alcune settimane non ha la stessa valenza sulla psiche di un figlio se questo evento avviene quando il bambino ha pochi mesi o quando ha diversi anni. In particolare, se l’elemento sfavorevole agisce quando l’essere vivente è piccolo e fragile, le conseguenze negative saranno molto più gravi che non quando le stesse condizioni lesive o negative agiranno quando l’essere vivente è già grande e robusto. “L’ipotesi è che quanto più precoce è il danno tanto più probabile è che esso lasci un segno nella struttura che si va delineando” (Pesavento e altri, p.55)*. “L’aver sperimentato eventi di vita avversi negli anni passati e/o nel corso degli ultimi dodici mesi, incrementa in modo significativo il rischio di insorgenza di disturbi psicopatologici (internalizzanti ed esternalizzanti) sia in età prescolare, che in quella scolare e adolescenziale”[23].

 

 

 

Inoltre, se l’elemento sfavorevole agisce per breve tempo, il danno sarà minore che se agisce per molto tempo (effetto cumulativo di più eventi negativi). “Le ricerche cliniche e scientifiche hanno evidenziato come i bambini e gli adolescenti ”fragili”, che hanno sperimentato eventi negativi nell’arco della loro vita, a volte con effetto cumulativo nel tempo, siano maggiormente a rischio per lo sviluppo di diversi disturbi ed inoltre siano maggiormente esposti alla sperimentazione di situazioni potenzialmente “traumatiche”[24].

Non sono da trascurare, inoltre, le differenze di genere sessuale. Uno stesso elemento stressante o traumatico non ha la stessa valenza negativa se colpisce una femminuccia o un maschietto.

 

In sintesi per quanto riguarda gli eventi di vita è importante evidenziare:

  1. La qualità dell’evento: vi possono essere eventi di vita positivi per la psiche dell’individuo, eventi di vita negativi o neutri.
  2. Gli eventi di vita possono essere recenti o appartenere a un passato più o meno lontano (eventi pregressi).
  3. Gli eventi possono essere singoli o possono ripetersi nel tempo.
  4. Gli eventi possono essere più o meno gravi (peso dell’evento in base alle sue conseguenze psico-sociali).
  5. Il peso dell’evento varia, inoltre, in base alla fase evolutiva del bambino e al suo livello di sviluppo[25].
  6. Gli eventi hanno un peso diverso in base al genere sessuale.
  7. La concomitanza o non con altre patologie organiche o psichiche, ha influenza sugli eventi.

Ma così come eventi sfavorevoli possono danneggiare un bambino, allo stesso modo situazioni favorevoli possono aiutarlo nella sua guarigione, per cui sono molto importanti e utili tutti i tentativi che si propongono di modificare in senso positivo il suo ambiente di vita.

 


[1] Bowlby J., (1988), Rivista di psichiatria, vol. 23, giugno, p. 58.

[2] De Ajuriaguerra J., (1993), Manuale di psichiatria del bambino, Milano, Masson, p. 11.

[3] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p. 25.

[4] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, pp. 15-16.

[5] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, p. 16.

[6] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, p. 19.

7. Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, p. 18.

[8] De Ajuriaguerra J., (1993), Manuale di psichiatria del bambino, Milano, Masson, p. 116.

[9] Bowlby  J., (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 22.

[10] Bowlby  J., (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 2

[11] Ackerman N.W., (1970), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Boringhieri, p. 69.

[12] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p. 23,

[13] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p. 26.

[14] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 23.

[15] Isaacs S., (1995), La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, p. 20.

[16] Winnicott D.W., (1973), Il bambino e la famiglia, Firenze, Giunti e Barbera, p. 130.

[17] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 9.

[18] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 10.

[19] Imbasciati A., Dabrassi  F., Cena  L., (2007), Psicologia clinica perinatale, Padova, Piccin Nuova Libreria, p. 4.

[20] Imbasciati A., Dabrassi  F., Cena  L., (2007), Psicologia clinica perinatale, Padova, Piccin Nuova Libreria, p. 7.

[21] Stefana  A., Gamba  A., “2013”, “Semeiotica e diagnosi psico(pato)logica”,  journal of psychopathology, 19, p. 357.

[22] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 10.

[23] Sogos C. et al., (2009), “Dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana”, Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Vol.76, p. 462.

[24] Sogos C. et al., (2009), “Dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana”, Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Vol.76, p. 461.

[25] Sogos C. et al., (2009), “Dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana”, Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Vol.76, p. 464.

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