L’inappetenza
Nei bambini, così come negli adulti, la sofferenza si manifesta spesso sul piano dell’alimentazione in quanto questa, così come la sessualità, è strettamente connessa all’affettività e ai primi rapporti madre–figlio che avvengono proprio mediante gli atti collegati alla nutrizione. La mamma che nutre il bambino dà a quest’ultimo non solo benessere organico ma anche benessere relazionale. Anche quando il bambino è più grandetto, poiché l’alimentazione è un atto sociale nel quale convergono elementi comunicativi, relazionali, affettivi ed emotivi, il piacere dell’alimentazione è strettamente legato ai rapporti che ha il figlioletto con i genitori e con l’ambiente che lo circonda.
Per capire l’inappetenza del bambino basta pensare a noi adulti. Raramente l’alimentazione dell’adulto si mantiene costante nel tempo: a periodi di maggior appetito o addirittura di ingordigia, si alternano giorni o periodi nei quali abbiamo poca o nessuna voglia di mangiare. La variabilità nell’alimentazione è notevole, è può essere legata a svariate cause fisiologiche, come le variazioni stagionali o a cause patologiche sia organiche che psichiche. Mangiamo meno durante le malattie, ma anche nei periodi di convalescenza. Abbiamo poco appetito o rifiutiamo il cibo quando l’ansia attanaglia il nostro stomaco, quando ci assale la tristezza e la depressione, ma anche quando siamo molto irritati o sconvolti. A sua volta però è anche esperienza comune di come l’ansia, l’insoddisfazione e la malinconia possano portarci ad un’alimentazione eccessiva, nell’intento di cercare una gratificazione che sopperisca alle gioie che in quel momento ci sono negate.
Problemi di inappetenza nei bambini possono essere dovuti a dei cambiamenti nel regime alimentare, durante il passaggio da un’alimentazione liquida a una solida, da un’alimentazione dolce a una salata. Periodi di inappetenza sono presenti quando è presente una minore crescita che richiede fisiologicamente un minor apporto calorico; quando il bambino soffre per malesseri fisici come i disturbi intestinali, le malattie influenzali ed esantematiche che colpiscono frequentemente i minori o a causa di momenti di maggiore stress, ansia e irritabilità. Alcune volte le scelte alimentari sono associate agli stati affettivi, per cui un cibo diventa “odioso” per diversi anni, solo perché a quel cibo la psiche del bambino collega degli eventi traumatici o stressanti.
Pertanto, giorni o periodi di inappetenza fanno parte della normale vita del bambino e quindi non dovrebbero creare alcuna preoccupazione. In questi periodi è sufficiente aspettare serenamente che le condizioni del piccolo si ristabiliscano. Ma poiché il cibo viene visto soprattutto dalle madri come l’elemento fondamentale per la vita dei figli e anche come l’essenza stessa delle proprie capacità di cura, il rifiuto del cibo, anche se limitato od occasionale, crea facilmente nelle donne ansiose, insicure o eccessivamente pignole, un senso di inadeguatezza che le stimola a insistere nel proporre alimenti, anche se il bambino per un motivo qualsiasi si rifiuta di assumerli. Questo insistere, affinché il bambino mangi, diventa come una lotta tra il bambino e la madre. Ed è una lotta che danneggia l’uno e l’altra. Danneggia il bambino in quanto questi si sente soffocato dall’ansia materna e perde il piacere del cibo, stressa e deprime la madre, in quanto questa avverte il bambino come fonte di problemi, piuttosto che di piaceri e gratificazioni, per cui più intensi sono i conflitti tra la madre e il bambino durante il pasto, maggiori saranno i comportamenti di rifiuto alimentare (Ammanniti, 2009, p.28). Purtroppo questi conflitti rischiano di rompere o alterare quel basilare legame madre–figlio indispensabile per una crescita sana e armonica.
Interventi
Per migliorare il rapporto del bambino nei confronti del cibo, basta pensare che la natura ha legato intensi piaceri agli atti fondamentali per la sopravvivenza: com’è l’atto della sessualità e dell’alimentazione. Compito dei genitori è soltanto quello di mantenere nel bambino il piacere di nutrirsi, evitando comportamenti incongrui come associare a questi atti emozioni negative. Pertanto è bene creare durante i pasti un’atmosfera gradevole e libera da tensioni (Oliverio Ferraris, 2005, p. 140), evitando argomenti di discussione troppo accesi, deprimenti o spiacevoli. Soprattutto è importante evitare continui rimbrotti: “Stai seduto correttamente”. Non toccare il cibo con le mani”. “Mangia più in fretta”. E così via. Cerchiamo di vivere e di far vivere questo momento con gioia, stimolando il dialogo e la comunione familiare, così che sia occasione di incontro e non di scontro, momento di dialogo e non di mugugni. Per creare momenti di piacevole dialogo e comunione familiare e non di isolamento, il televisore e gli altri apparecchi elettronici vanno banditi durante i pasti. Se il bambino è piccolo possiamo eventualmente intrattenerlo raccontando noi della favole, anche inventate sul momento.
Sarebbe bene non pretendere dai più piccini che mangino in modo educato ed impeccabile (Oliverio Ferraris, 2005, p. 141). Se necessario, imbocchiamo il piccolo ma, contemporaneamente, facciamo in modo che mangi, se vuole, con un suo cucchiaio o anche con le mani, per soddisfare il piacere di alimentarsi da solo e per migliorare nel contempo la sua autonomia. Se i genitori sono eccessivamente attenti alla qualità e alla quantità di cibo che il bambino assume, gli si dà il messaggio negativo che mangiare sia un dovere e non un piacere da offrire a se stessi. Sforziamoci quindi di vivere e far vivere il problema dell’alimentazione come un gradevole momento da assaporare insieme ai nostri figli. Sapendo che maggiore è la nostra ansia più si aggrava l’eventuale disturbo alimentare. Non è male poi ricordarsi che non è mai morto alcun bambino che avesse la possibilità di alimentarsi adeguatamente!
Poiché l’uomo è un animale onnivoro, egli è potenzialmente aperto verso tutti i cibi. Per aiutare il bambino a variare la sua alimentazione è necessario che egli li scelga spontaneamente. Per fare questo, mentre offriamo dei cibi che piacciono al bambino, metteremo sulla tavola anche delle piccole porzioni di altri alimenti che egli, se vuole, potrà gustare autonomamente. L’esperienza millenaria insegna alle madri che i bambini accettano più facilmente alimenti nuovi se li vedono mangiare da altri bambini e che l’esperienza positiva fatta con un alimento accresce la probabilità che venga gradito un altro alimento proposto.
Giacché nei cibi conta molto il colore, l’odore e l’aspetto, qualità queste che possono influenzare positivamente o negativamente la percezione gustativa, impegniamoci a che il cibo sia anche bello e abbia un buon profumo.
Non mettiamo fretta al bambino durante l’alimentazione, ma lasciamo che mastichi lentamente e che gusti con piacere ogni alimento. Se il bambino è abbastanza grande per poterlo fare, è sicuramento utile farlo partecipe della scelta e della preparazione dei cibi, in modo tale da renderlo protagonista della sua alimentazione e non soggetto passivo di questa.
Per quanto riguarda la quantità non creiamoci inutili problemi. Mettiamo semplicemente sul suo piatto una piccola porzione di cibo o comunque una quantità inferiore a quella che lui mangerebbe, cosicché sia lui stesso a chiederne dell’altro. Quando e se è possibile, facciamo in modo che sia il bambino stesso a servirsi direttamente dal piatto di portata (Oliverio Ferraris, 2005, p. 141).
Nel caso in cui il bambino non mangi tutto quello che è stato preparato da noi, non mostriamo alcun segno di disappunto, né tantomeno insistiamo perché finisca il cibo che ha nel piatto. Togliamo, invece, con un bel sorriso soddisfatto, la pietanza dalla tavola e passiamo alla successiva portata. Se questa non è prevista interrompiamo il momento del pranzo.
Da quanto abbiamo detto si può dedurre che non ha senso dare dei premi se il bambino mangia e dei castighi se non mangia, in quanto il cibo dovrebbe essere di per sè un piacere. Se per un certo periodo l’appetito del bambino diminuisce non agitiamoci e non facciamo notare la nostra preoccupazione, ma attendiamo serenamente che questo periodo di inappetenza passi.
Qualora il bambino abbia reali problemi con il cibo, è meglio evitare di parlare di ciò con parenti e amici ma, eventualmente, rivolgiamoci con fiducia a uno specialista.
L’anoressia
Per quanto riguarda, invece, l’anoressia vera e propria, l’attenzione deve necessariamente essere diversa e molto maggiore.
Intanto è giusto sottolineare come l’anoressia del neonato e del bambino, pur avendo la stessa denominazione, sia notevolmente diversa da quella dell’adolescente o della giovinetta. Quella del bambino si presenta di solito in forme molto meno gravi ed ha la possibilità di modificarsi abbastanza facilmente e rapidamente, se l’ambiente nel quale egli vive cambia in termini positivi.
Pur potendo comparire in ogni momento della vita del piccolo, l’anoressia si presenta più frequentemente verso il quinto – ottavo mese, spesso in coincidenza con lo svezzamento (anoressia del secondo trimestre).[1] In questa fase il bambino ha difficoltà ad accettare, non solo i diversi tipi di alimenti che gli vengono offerti, ma anche la diversa modalità di assunzione. Non è indifferente prendere il cibo dal caldo, morbido, seno della madre, piuttosto cha da un freddo biberon o peggio da un cucchiaino. Cambiano le sensazioni, ma cambiano anche le emozioni provate dal piccolo, il quale è costretto ad accettare un primo parziale distacco dalla madre. Distacco che, anche se molto limitato, può essere per lui difficile.
Tra il bambino che non mangia, e quindi non aumenta di peso, ed i genitori, spesso si innesta un circolo vizioso: non alimentandosi adeguatamente il bambino diventa più magro ma anche fisicamente più fragile per cui si ammala più facilmente. Ciò spinge i genitori a farlo visitare da medici che propongono varie terapie farmacologiche. L’ansia dei genitori, unita alle nuove visite e alla terapie, accentua il malessere del bambino, che rifiuta ancor più di alimentarsi.
Problemi nell’accettare il cibo offerto possono presentarsi ad un’età maggiore, quando la madre, inserendo nella dieta nuovi cibi, propone sapori e odori ai quali il bimbo non è abituato. Sapori e odori che i piccoli più tradizionalisti hanno difficoltà ad accettare e che giudicano disgustosi (avversioni elettive), mentre, al contrario, manifestano un notevole desiderio per alcuni specifici alimenti (selettività alimentare). In genere i cibi disgustosi sono quelli a base di verdure e di legumi, mentre quelli notevolmente desiderati, sono le patatine, le merendine, i dolci e tutti gli alimenti ricchi di cioccolato e di grassi. Le avversioni elettive sono a volte accomunate ad episodi di anoressia.
In altri casi il bambino non ha problemi, né per la quantità né per la qualità di cibo, ma rimane sconcertato soltanto dalle diverse modalità di alimentazione: non più tra le braccia della mamma ma sul seggiolone, non più un’alimentazione al bisogno ma ad orari prefissati, non più con calma e senza fretta ma stimolato a far presto, a causa degli impegni dei genitori. Quando poi il bambino è capace di camminare, tra il bambino e la madre o chi ha cura di lui rischiano di iniziare altri tipi di conflitti nel campo dell’alimentazione. Ad esempio, i genitori vorrebbero che il bambino stesse seduto a tavola o nella sua sediolina, mentre al piccolo, in preda ad un irrefrenabile bisogno motorio, piace girare per la casa e continuare a giocare mentre si alimenta. I genitori vorrebbero che non si sporcasse o comunque non sporcasse tutta la stanza dove mangia, ed invece il bambino, pasticciando, imbratta non solo se stesso ma tutta la casa. Inoltre, quando il bambino, anche se piccolo, viene posto frequentemente e a lungo davanti alla tv, non accetta d’alimentarsi se non guardando i suoi cartoni animati preferiti (abitudini inadeguate).
L’eccessiva alimentazione
L’alimentazione eccessiva facilmente porta all’obesità, la quale, a sua volta, può innescare numerosi problemi di tipo medico, sociale e relazionale: malattie respiratorie e cardiovascolari, problemi ortopedici, tumori, nonché la necessità di accettare le sofferenze psicologiche inflitte con frasi offensive ai bambini definiti “ciccioni”. Sul piano clinico si considera obeso un bambino che ha un peso in eccesso di almeno il 20% rispetto alla norma per la sua età ed altezza.[2]
L’obesità oggi è diventato un problema sociale in quanto la percentuale di bambini che soffrono per un peso eccessivo, nei popoli che possono permettersi un’abbondanza di cibo, aumenta ogni anno. In soli vent’anni nel mondo occidentale si è triplicato il numero dei bambini obesi e aumenta anche la velocità con cui si ingrassa.
Una delle cause dell’obesità è da ricercarsi nella notevole diminuzione dell’attività fisica; un altro motivo importante è dato dal complesso atavico che ci portiamo dietro, dovuto al fatto che per centinaia di migliaia di anni abbiamo dovuto combattere contro la fame dei nostri figli. Pertanto abbiamo notevoli difficoltà a limitare i desideri alimentari dei nostri bambini, anche quando questi desideri sono eccessivi. Il binomio grasso = buona salute, è difficile da scacciare e continua a permanere nelle menti dei genitori, soprattutto delle madri.
Come comportarsi
Per evitare un’eccessiva alimentazione e la conseguente obesità è bene:
- preparare cibi che piacciano al bambino ma a limitato numero di calorie;
- evitare di cucinare quantità eccessive di alimenti, in modo tale che il bambino, terminata la propria razione, non possa richiederne altra;
- per favorire il senso di sazietà, un ottimo espediente è quello di preparare insalate, macedonie, verdure cotte e molta frutta, senza esagerare nei condimenti;
- tenere in frigo, in piccole quantità, solo pochi e selezionati alimenti e quindi evitare, nella dieta di tutta la famiglia e non solo per il bambino, cibi grassi, condimenti eccessivi, merendine;
- praticare e far praticare ai figli attività fisiche;
- evitare di far mangiare il bambino davanti alla tv o mentre utilizza altri strumenti elettronici.
La bulimia
L’immagine classica del bambino bulimico è quella di un bambino grassottello che, nottetempo, si avvicina con fare furtivo al frigorifero e cerca di svuotarlo, riempiendosi la bocca e divorando tutto quello di cui riesce ad impossessarsi, prima di essere scoperto dai genitori. I bambini bulimici accomunano in un unico pasto pantagruelico, in modo indiscriminato, cibi altamente calorici: come la marmellata, la cioccolata, la pasta fredda lasciata a pranzo, i formaggi grassi e così via. Nel concetto di bulimia è insito il bisogno imperioso di abbuffarsi di qualunque cosa sia commestibile, senza neanche riuscire a gustare quello che si sta ingoiando.
La potomania
Nella potomania si ha un bisogno imperioso di bere grandi quantità di acqua o liquidi zuccherati: succhi di frutta, aranciate ecc.
La pica
I bambini che manifestano questo sintomo tendono ad ingoiare sostanze e oggetti non commestibili: chiodi, monete, carta, terra, sabbia ecc. Si può però parlare di bambino affetto da pica solo quando il piccolo ha superato abbondantemente l’età della scoperta delle caratteristiche degli oggetti mediante la bocca. Questi disturbo è spesso presente nel bambino con sintomi di chiusura autistica.
La coprofagia
Se il bambino piccolo tra i due ed i quattro anni non ha problemi a giocare con le sue feci, ad un’età superiore dovrebbe sopravvenire invece un disgusto per questo materiale. Ciò non avviene nel bambino affetto da coprofagia, il quale continua a giocare con le sue feci, anche dopo questa età. Lo stesso può avvenire nel bambino che presenta importanti problematiche psicoaffettive.
Le cause
Cause organiche
I disturbi dell’alimentazione possono essere causati da condizioni mediche come la presenza di endocrinopatie, malattie metaboliche, patologie gastrointestinali, disturbi della motricità oro-glosso-faringea ecc.
Cause ambientali
Le cause ambientali sono complesse e numerose.
Quando sono presenti nel bambino disturbi dell’alimentazione di una certa gravità, troviamo frequentemente un clima familiare conflittuale e teso. A volte gli scontri avvengono proprio durante i pasti. In alcuni bambini il cattivo rapporto con il cibo può essere causato dal bisogno di dimostrare un minimo d’indipendenza nei confronti di genitori troppo oppressivi, che attribuiscono un’eccessiva importanza all’alimentazione e alla necessità che il bambino ubbidisca alle loro richieste. In questi casi lui/lei deve mangiare; se non si alimenta fa stare male i genitori, in quanto delegittima la loro autorità e, nel contempo, fa aumentare l’ansia materna e/o paterna.
In altri casi è la fretta dei genitori che impedisce al bambino di godere del cibo. La premura e l’impazienza dovute agli impegni vari e al lavoro diventa, nei confronti dei figli, costrizione a mangiare tutto e velocemente, senza la possibilità di un dialogo sereno e senza gustare nulla. Con la facile conseguenza di avere, a causa di ciò, nausea, vomito e altri malesseri intestinali che sottolineano, nell’animo del bambino in modo negativo, sia l’atto dell’alimentarsi sia il cibo stesso.
Interventi
Poiché questa tipologia di problemi è legata a disturbi psichici di una certa importanza non basta impegnarsi solo sui sintomi legati all’alimentazione; spesso è necessario occuparsi del benessere complessivo del bambino e della famiglia nella quale il bambino vive. È necessario quindi:
- migliorare gli atteggiamenti educativi errati, perché troppo opprimenti, ansiosi, frustranti, irritanti, offrendo nel contempo al piccolo un giusto spazio fisico e psicologico;
- favorire giornalmente il gioco libero e spontaneo all’aria aperta, in compagnia di qualche coetaneo con il quale si è stabilito un rapporto di dialogo e amicizia;
- limitare, se eccessivo, il tempo dedicato allo studio, alternandolo con momenti di svago, da attuare lontano dagli strumenti elettronici;
- in presenza di conflittualità nell’ambiente familiare è indispensabile attivare una seria terapia di coppia o familiare;
- effettuare con il bambino attività che l’aiutino a ritrovare una buona serenità e un buon equilibrio psicologico, mediante esercizi psicomotori, musicoterapia, terapie di rilassamento, psicoterapia.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico
Per scaricare gratuitamente questo libro clicca qui.
[1] De Ajuriaguerra J., Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 114.
[2] De Ajuriaguerra J., Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 116.