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L'identità di genere e le sue possibili criticità

Autore: Dr. Emidio Tribulato

Neuropsichiatra e psicologo. Direttore del Centro Studi Logos di Messina

L’identità di genere è il vissuto che la persona ha di sé come maschio o come femmina. Quando l’individuo avverte una costante, chiara e netta consapevolezza di appartenere ad uno specifico genere sessuale, per cui può dire a se stesso e agli altri: “Io sono maschio”.  Oppure “Io sono femmina”,  noi diciamo che la sua identità sessuale è chiaramente ben definita. Al contrario quando la persona, qualunque siano le sue scelte sessuali, qualunque siano le sue caratteristiche anatomiche, non riesce a collocarsi in un sesso specifico noi diciamo che non ha una chiara identità sessuale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’identità sessuale va quindi nettamente distinta dal ruolo sessuale che è dato dal comportamento che l’individuo attua esprimendo le sue caratteristiche sessuali. Pertanto, come nel caso dell’omosessualità, si può avere un’identità correttamente aderente alle proprie caratteristiche anatomiche, ma al tempo stesso possono essere presenti dei comportamenti e delle scelte sessuali caratteristiche del sesso opposto.

 

Cosa concorre all’identità di genere?

Gli elementi che concorrono a rendere chiara, concreta e stabile l’identità di genere sono numerosi e si attivano durante tutta la vita dell’individuo. 

L’essere umano diventa maschio o femmina attraverso una lunga e complessa strada. Una strada che inizia dal ventre materno, più precisamente dall’incontro dello spermatozoo del padre con l’ovulo materno, continua poi durante la gestazione fino e oltre la fase puberale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli apporti genetici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo sostanziale apporto è dato dai geni. Se uno degli ovuli materni, che sono portatori sempre di cromosomi X, incontra uno spermatozoo  paterno X l’embrione sarà indirizzato verso il sesso femminile.

Se invece l’ovulo materno, che è sempre portatore di cromosomi X, incontrerà uno spermatozoo con corredo cromosomico Y, l’embrione tenderà a diventare un maschio.

Abbiamo detto tenderà, perché la strada per la completa differenziazione sessuale è lunga e complessa. Basta una qualunque alterazione ormonale, fisica, educativa o psicologica perché questa differenziazione non avvenga, resti incompleta o si alteri. Altri elementi, come gli apporti ormonali specifici, si aggiungeranno, infatti, ben presto e accompagneranno ogni individuo durante tutta la vita. Questi apporti ormonali specifici saranno, a loro volta, completati dagli elementi educativi e psicologici.

Gli apporti ormonali

 

Prima della nascita.

Per quanto riguarda gli apporti ormonali, questi già si attivano nella fase embrionale. Se l’embrione è portatore di cromosomi maschili XY, questi cromosomi stimoleranno la formazione della proteina HY. Questa proteina, a sua volta, avrà il compito di indirizzare la formazione del testicolo primitivo il quale, pur non producendo ancora spermatozoi, è capace di produrre ormoni maschili come il testosterone. Questo ormone maschile diffondendosi in tutto il corpo e collegandosi ai vari recettori: genitali – ossei – muscolari – cerebrali ecc., cercherà di indirizzare tutti gli organi verso il genere maschile. Anche il cervello subirà l’effetto ormonale per cui sarà mascolinizzato. Nel contempo lo stesso ormone lancerà un messaggio che tenderà a inibire la formazione degli organi interni ed esterni caratteristici del sesso femminile. Qualcosa di simile avverrà per  i cromosomi femminili XX i quali stimoleranno la formazione delle ovaie primitive, dalle quali sarà riversato in tutto il corpo l’estradiolo con il compito di indirizzare la formazione delle ovaie, dell’utero, delle tube, della vagina ma anche di femminilizzare il cervello e gli altri organi e apparati interni ed esterni.

 

 

Sappiamo però che gli ormoni sono solo dei messaggeri. E, come tutti i messaggeri, hanno un compito ingrato che può anche fallire in modo parziale o totale, per cui: il messaggio può non essere sufficiente e chiaro già in partenza; può non arrivare in tempo; può non essere accettato in uno o più organi ed apparati; può, pur essendo stato accettato, non essere interpretato ed eseguito correttamente. Ciò comporta che alcuni organi possono indirizzarsi in maniera coerente con il messaggio mentre altri possono, per motivi vari, non farlo. Si possono avere allora degli organi genitali maschili in un cervello femminile o al contrario un cervello maschile  in concomitanza con organi genitali interni ed esterni di tipo femminile. Come vi possono essere dei cromosomi di un sesso e organi genitali del sesso opposto. Infatti 1/20.000 maschi nasce con cromosomi sessuali femminili (XX). 1/100.000 femmine nasce con cromosomi sessuali maschili (XY). In 1/30.000 nascite vi è un individuo con cromosoma XX e genitali interni sia maschili che femminili. Inoltre 1/700 maschi ha un cromosoma XXY. Queste eccezioni ci confermano che la formazione di un essere umano, maschio o femmina che sia, è molto più complessa di quanto noi non pensiamo.

Dopo la nascita.

 

 

Dopo la nascita gli apporti ormonali continueranno ad esercitare la loro funzione durante tutta la vita dell’individuo. Per l’uomo saranno fondamentali gli ormoni provenienti dai testicoli, dalla prostata, dai surreni, dall’ipofisi. Per la donna saranno importanti gli ormoni provenienti dalle ovaie, dai surreni e dall’ipofisi.

 

 

Per quanto riguarda la pubertà questa, dal punto di vista ormonale, è una tappa fondamentale. Basti pensare che il peso dei testicoli che è di appena 2 grammi nel bambino aumenta a venti anni fino a 12 grammi, per arrivare a 34 grammi nell’adulto. Ciò comporta quella doccia ormonale che tende tra l’altro a stabilizzare e completare l’identità sessuale degli adolescenti. Notevoli modificazioni fisiologiche si hanno nella donna nella menopausa a causa del notevole calo degli estrogeni, della scomparsa della produzione ciclica di progesterone e dell’aumento delle gonadotropine FSH e LH. Nell’uomo con l’avanzare dell’età, il calo del testosterone è lieve ( solo dello 0,5% l’anno) ma costante. Da non dimenticare inoltre che variazioni del quadro ormonale si possono avere in seguito a malattie ed interventi chirurgici.

 

 

L’inquinamento ormonale.

Purtroppo, a causa del notevole inquinamento ormonale presente nelle società più ricche, a questi ormoni provenienti dall’interno del nostro corpo (endogeni), bisogna aggiungere l’incidenza perturbatrice delle sostanze ormonali assunti dall’esterno (esogeni). Ogni giorno con i farmaci, con l’acqua, con le carni e con il latte, senza volerlo e senza saperlo assumiamo sostanze ormonali o che hanno funzione di stimolo ormonale che incidono negativamente sia sullo sviluppo dell’embrione e poi del feto, sia sul normale assetto ormonale del bambino, dell’adolescente e poi del giovane e dell’adulto.

Anche gli stili di vita, ad esempio attività sportive o lavorative poco idonee al genere femminile o maschile concorrono a modificare in senso femminile o maschile la normale fisiologia ormonale dell’individuo.

Le esperienze educative, psicoaffettive e relazionali

Alle componenti genetiche, anatomiche e ormonali si aggiungeranno nello sviluppo della sessualità e dell’identità di genere, le esperienze psicologiche, ambientali e gli atteggiamenti educativi che i genitori e gli educatori porranno in essere nel rapporto con il bambino. Sono importanti: l’accoglienza, l’accettazione, la valorizzazione, l’educazione.

 

 

 

 

 

 

 

Accoglienza e accettazione.

L’accoglienza e l’accettazione di un figlio dovrebbero prescindere dal sesso. I genitori, ma anche tutte le persone che formano l’ambiente familiare ed amicale che circonda il bambino, dopo lo splendido momento dell’incontro, dovrebbero con gioia accettarlo e valorizzarlo per le sue caratteristiche umane e personali, attivandosi solo per migliorarle, senza preferenze e senza idee di superiorità o inferiorità di un sesso rispetto all’altro.

Spesse volte invece, la realtà sessuale di un figlio è avvertita in modo diverso sia per motivi ideologici, che per cause economiche o per tradizioni locali. A volte, anche solo per motivazioni personali, vi è una maggiore accoglienza di un figlio maschio rispetto ad una femmina o viceversa. Ciò chiaramente può alterare il primitivo rapporto genitore-figlio ma può avere anche degli sviluppi negativi sulla sua identità sessuale, per tale motivo se, ad esempio, i genitori sono felici del fatto che il figlio sia maschio e valorizzano e stimolano le sue caratteristiche sessuali, l’identità ed il ruolo di genere avranno un valido supporto e complemento, se, al contrario quel bambino troverà un genitore che desiderava ardentemente un figlio di sesso opposto, lo stimolo ed il supporto verso una corretta identità sessuale sarà modesto.

 

 

 

 

Valorizzazione delle caratteristiche sessuali specifiche..

Vi possono essere inoltre, dei genitori o degli atteggiamenti sociali che tendono a valorizzare e stimolare le differenze sessuali ed altri che, come avviene spesso oggi nella nostra società occidentale, tendono, mediante l’educazione, a sminuire e sfumare le differenze sessuali, in modo tale che di fronte alle scelte di vita vi sia un atteggiamento simile. 

Negli ultimi decenni è andata sempre più diffondendosi l’idea che le differenze d’atteggiamento e comportamento sessuale non siano utili alla società, giacché questa, specie nel campo lavorativo, richiede uguali prestazioni ad uomini e donne. Queste ultime d’altronde, volendo e sognando di conquistare gli ultimi baluardi di attività lavorative che una volta erano appannaggio maschile, come la difesa, la polizia o le attività imprenditoriali, fanno di tutto per incrementare le capacità muscolari e gli atteggiamenti aggressivi propri dei maschi.

Ma anche i rapporti tra i sessi sono visti più facili e meno problematici se tra loro non sono evidenti elementi di differenza sessuale. Ragazzi e ragazze, secondo queste teorie fraternizzerebbero più facilmente avendo non solo indumenti, linguaggio e comportamenti simili, ma anche vissuti comuni nei confronti di se stessi, della politica, dell’ambiente, dell’amore, del sesso.

Da ciò discende tutta una serie d’atteggiamenti e comportamenti dei genitori e degli educatori, tendenti a sminuire e svalutare le caratteristiche che tradizionalmente sono tipiche del proprio sesso, mentre d’altra parte è vista come importante conquista ed arricchimento l’appropriarsi di caratteristiche del sesso opposto.

I modelli educativi tendono, inoltre, ad accentuare la vicinanza sessuale: “E’ meglio che femminucce e maschietti stiano assieme il più possibile per capirsi ed intendersi meglio.” Tendono a dare gli stessi stimoli: “E’ meglio che utilizzino gli stessi giocattoli, gli stessi giochi e lo stesso linguaggio; svolgano le stesse materie scolastiche; facciano attività di tempo libero uguali.”

Vi è, inoltre, attualmente la tendenza a frustrare le caratteristiche salienti legate alle differenze sessuali “Non essere maschilista”, è l’accusa più facilmente rivolta ai maschietti esuberanti; “Non comportarti come una femminuccia”, è l’accusa rivolta alle bambine che esprimono con il pianto le loro emozioni.

La frequenza e la presenza attiva con dei genitori e degli educatori di entrambi i sessi.

Questo concetto dovrebbe essere scontato. Un bambino e una bambina per una corretta identità sessuale hanno la necessità di avere accanto a sé due genitori di sesso diverso così come hanno bisogno di rapportarsi con educatori di sesso diverso.

I genitori, ma anche gli altri adulti significativi come gli insegnanti, hanno infatti lo specifico  compito di aiutare lo sviluppo di una corretta identità e ruolo sessuale nei minori,

Per LIDZ: “Il mantenimento del corretto ruolo sessuale da parte dei genitori nel corso della loro unione ha un’importanza decisiva nel guidare il fanciullo a svilupparsi positivamente come uomo o come donna”;[1] se questo manca per cui i ruoli risultano confusi, sfumati o peggio ribaltati, il fanciullo mancherà di un modello valido di riferimento.

Gli stimoli specifici.

Oltre a proporre il proprio corretto stile di vita maschile o femminile, i genitori si dovranno impegnare nel dare ai figli stimoli specifici per meglio indirizzare l’identità e i ruoli sessuali. Questo compito la madre svolge già prima che il bambino nasca, preparando il corredino più adatto ma, soprattutto, preparando, nel proprio intimo, quegli atteggiamenti e quei comportamenti più idonei ad aiutare e rendere concreta una corretta identità e ruolo sessuale.

Questa preparazione interiore oggi è resa più facile dalla conoscenza prematura del sesso, ma anche quando ciò non era possibile, i genitori predisponevano il loro animo ad aiutare la natura nella definizione di una corretta identità. La scelta dei colori, nella nostra società occidentale: rosa per le femminucce e azzurro per i maschietti; la scelta delle fogge del vestiario: vestitini, pizzi, merletti per le femminucce, vestiti più sobri e pantaloncini per i maschietti, avevano e hanno lo scopo di far individuare facilmente il rispettivo sesso in una fase dello sviluppo nella quale i due sessi potrebbero confondersi.

E’ un messaggio per il neonato e successivamente per il bambino, ma è anche un messaggio per la comunità dei parenti e amici. Come dire e chiedere a tutti: “Mi raccomando, trattate questo bambino come femmina o, al contrario. come maschio.”

Noi siamo ciò che portiamo dentro il nostro corpo, noi siamo ciò che portiamo nella nostra mente e nel nostro cuore, ma noi siamo anche come gli altri ci vedono e come noi ci vediamo.

Se avere degli organi genitali di un determinato sesso contribuisce notevolmente allo sviluppo di una corretta identità sessuale, altrettanto importante è l’immagine che gli altri hanno di noi. Pertanto il nome, i vestitini, i colori, sono messaggi di identificazione per sé stessi e per gli altri, affinché si costruisca un vissuto interiore coerente e quindi ci si comporti di conseguenza e vada in porto, in modo corretto, il progetto di differenziazione sessuale già presente nei geni fin dal concepimento.

 

 

 

L’educazione.

Questo impegno per una corretta differenziazione sessuale continua mediante gli atteggiamenti ed i comportamenti familiari.

Entrambi i genitori ma soprattutto la madre si dedicheranno ad educare e sviluppare nelle femminucce un’intensa sensibilità, una calda emotività, atteggiamenti comprensivi, dolci e teneri. Si impegneranno a sviluppare nelle figlie ottime capacità nella cura e nella comunicazione, sia verbale, sia non verbale. Un linguaggio per ascoltare. Un linguaggio per capire e rispondere adeguatamente ai bisogni più immediati ed istintivi. Qualità queste indispensabili per capire, amare e accudire i bambini piccoli, ma anche i ragazzi e i giovani adolescenti.

L’attività di differenziazione continuerà, giorno dopo giorno, mediante una serie di messaggi ed elementi culturali propri dello stile femminile. Uno stile che si evidenzierà nel modo di vestire, nel modo di relazionarsi con le altre donne e con gli altri uomini, con i vicini, con la rete parentale ed affettiva.

Uno stile che mette al primo posto i valori della famiglia, dei sentimenti e il mondo affettivo relazionale.

Nel contempo, entrambi i genitori ma soprattutto il padre si impegneranno per rendere chiara e definita l’identità ed il ruolo sessuale maschile valorizzando e stimolando varie funzioni.

Intanto una motilità più agile, impetuosa e forte. Il massimo della coerenza nelle azioni. La linearità e la determinazione nelle decisioni. Il coraggio e la sicurezza nell’affrontare i pericoli ed i compiti che si dovessero presentare. Il piacere nella cura e protezione delle donne e dei bambini. L’uso di un linguaggio più asciutto e scarno che vada dritto al nocciolo del problema. Un controllo dell’emotività, affinché le decisioni e le scelte di vita non siano influenzate eccessivamente dalle emozioni e dai sentimenti del momento. Stimoli all’avventura e all’azione. Stimoli ad osare per raggiungere obiettivi sempre più avanzati e importanti per il bene familiare e sociale.

Nello stile maschile che entrambi i genitori comunicheranno al figlio vi saranno inoltre: la necessità della sobrietà negli indumenti, nel cibo, nell’uso degli oggetti; l’importanza di uno spiccato senso dell’onore, per evitare di essere banderuola e voltagabbana nei confronti della propria famiglia e della società; stimoli ad una visione molto ampia della realtà interna ed esterna che tenga conto non solo della situazione attuale ma valuti correttamente le indicazioni del passato e i possibili sviluppi futuri.

I genitori hanno quindi il compito di dare ad entrambi i figli quei vissuti ed esperienze specifiche di cui sono portatori.

Se tutta la vita relazionale tra i genitori ed i figli dovrebbe essere attenta allo sviluppo di una corretta identità sessuale, vi sono dei momenti particolarmente importanti che la psicologia ha individuato: i primi due - tre anni di vita, la fase edipica, l’adolescenza.

La fase edipica.

Nella fase edipica che inizia verso i tre - quattro anni, si sviluppa quell’amore e quella preferenza verso il genitore di sesso opposto che Freud chiamò amore edipico. Un amore vero, reale, anche se vissuto in un contesto molto diverso: più protetto, meno intenso e coinvolgente, rispetto a quello che sarà vissuto da adulto.

Un amore esclusivo, un amore geloso, un amore possessivo, un amore seduttivo verso il genitore dell’altro sesso. Questo sentimento sarà una palestra protetta e sicura per imparare a gestire le future emozioni, come quelle date dall’innamoramento ed i futuri intensi ed esclusivi sentimenti affettivi, ma sarà anche uno strumento per migliorare l’identità sessuale. Dirà la bambina: “Se papà è un uomo e io sono una donna, per farmi amare da papà dovrò cercare di essere come la mamma”. Introiterà allora, così, tutte le caratteristiche femminili della madre, la sua dolcezza, la sua tenerezza, le sue capacità di donare e curare i più piccoli, i suoi modi per ottenere quanto desiderato attraverso atteggiamenti non diretti ecc.. Al contrario avverrà per il maschietto.

Affinché “l’amore edipico” svolga correttamente il proprio compito sono, però, necessarie alcune condizioni: vi devono essere due genitori di sesso opposto, che vivano con pienezza e rispetto reciproco il loro ruolo ed il loro rapporto d’amore, ma anche due genitori presenti ed attivi nell’educazione e nel dialogo con i figli.

Le amicizie ed i rapporti sociali.

Anche le amicizie ed i rapporti sociali sono importanti. Mentre le amicizie nell’ambito dello stesso sesso migliorano l’identità sessuale, attraverso lo scambio e la comunicazione di sentimenti, pensieri, sogni, esperienze con il gruppo dei pari, le amicizie con il sesso opposto permettono di capire meglio gli elementi caratteristici dell’altro sesso e quindi preparano all’intesa e all’incontro amoroso. Pur essendo utili entrambi, nel periodo dell’infanzia e della fanciullezza sono da favorire nettamente le prime, perché è da una buona e corretta identità sessuale che può nascere la possibilità di una migliore intesa. L’eccessiva frequenza con il sesso opposto, così come avviene oggi nella nostra società, sia a livello scolastico sia durante il tempo libero, rischia di confondere il corretto sviluppo dell’identità sessuale, toglie mistero e incanto all’incontro, mentre nel contempo banalizza i rapporti con l’altro sesso.

La scuola.

Anche la scuola dovrebbe contribuire alla costruzione di una corretta identità valorizzando le singole peculiarità di genere nell’ambito della formazione degli alunni e non, come avviene oggi, livellando gli apprendimenti. Il programmare e poi attuare stili educativi come se l’umanità fosse caratterizzata da un unico sesso, costringe, limita e soffoca le caratteristiche specifiche, con notevole danno per la donna e per l’uomo che si stanno formando. Se a questo si aggiunge la netta e prevalente presenza di insegnanti donne il contributo della scuola per il corretto raggiungimento dell’identità sessuale non solo si azzera, ma rischia di essere di segno negativo sia per i maschietti che per le femminucce.

Sappiamo infatti che l’identità sessuale non è qualcosa di fermamente e definitivamente concluso, né al momento della nascita, né dopo i primi anni di esistenza; essa ha bisogno in ogni fase della vita di continui, incessanti apporti. In caso contrario può confondersi o deviare in qualunque momento.

L’importanza di una corretta identità sessuale.

A questo punto dobbiamo chiederci se all’individuo, alla famiglia e alla società sia più utile e funzionale una differenziazione sessuale importante e sostanziale, oppure no.

Per quanto riguarda l’individuo quando l’identità non è chiara e definita ritroviamo spesso insoddisfazione, ansia, depressione, in quanto come dice LIDZ: “La sicurezza della propria identità sessuale è un fattore d’importanza fondamentale per conseguire una stabile identità delI’Io. Fra tutti i fattori che contribuiscono a formare le caratteristiche della personalità, il sesso è il più decisivo. Le incertezze e le insoddisfazioni relative alla propria identità sessuale possono contribuire all’eziologia di molte nevrosi, deficienze del carattere e perversioni.”[2] E DI PIETRO aggiunge: “In chiave antropologica la sessualità è propriamente una condizione di esistenza; infatti, prima ancora di essere funzione procreativa e pulsionale profonda, essa è dimensione strutturale della persona che segna in profondità tutta l’esperienza e l’autocoscienza dell’individuo...”[3]

Ciò nasce dal fatto che in questi casi nell’Io albergano emozioni e sentimenti diversi ed, a volte, contrastanti. L’Io si ritrova spesso diviso tra pulsioni non omogenee, tra modi di comportamento, tra scelte e doveri diversi e antitetici; da ciò ansia e confusione. Se una donna avverte che la femminilità che sgorga spontanea dal suo animo e che le appartiene è accettata dagli altri e dalla società, può liberamente manifestare la sua accentuata sensibilità, il suo senso di fragilità, il suo bisogno di tenerezza e di sicurezza, mentre nel frattempo può offrire accoglienza, cura e disponibilità, senza porsi alcun problema, sicura dell’accettazione e della valorizzazione degli altri.  Se al contrario questo suo sentire e di conseguenza questo suo approccio alla relazione le è proibito, ridicolizzato, messo in dubbio o criticato, le verrà difficile e spesso penoso ogni atteggiamento, ogni scelta, ogni gesto.

Lo stesso dicasi per il maschio. Se il suo essere forte, coraggioso, lineare, coerente, deciso, sicuro di se, è apprezzato, valorizzato, accettato e accolto dalla società, egli potrà viverlo pienamente e manifestarlo senza problemi, senza tentennamenti, senza dubbi, senza rimpianti. Se al contrario il suo sentire è colpevolizzato, svilito, criticato, limitato, c’è il rischio che in lui venga a crearsi  un senso di colpa, d’impotenza, di frustrazione. Vi è soprattutto il rischio che il suo atteggiamento oscilli continuamente da un estremo all’altro senza riuscire ad avere quella stabilità necessaria per un buon equilibrio psichico e per un buon rapporto interpersonale.

Anche l’approccio verso l’altro sesso è notevolmente compromesso se il modo di rapportarsi è simile o confuso. Se la sensibilità, la fragilità, la dolcezza, la capacità di tenerezze e cure, più squisitamente femminili sono accolte, valorizzate e controbilanciate dalla forza, dalla decisione, dalla linearità del maschio, le possibilità d’intesa, d’unione, di dialogo, di complicità sono notevolmente maggiori, rispetto ad una situazione in cui nella relazione vengono ad essere portate caratteristiche similari.

I deficit sull’identità sessuale influenzano inoltre la fertilità, poiché il grado di fertilità è influenzato dal modo di sentire e vivere il proprio essere sessuato.

C’è poi un problema ancora più importante che è notevolmente sottovalutato. L’uomo è un essere molto complesso e questa complessità si evidenzia sia nella sua vita interiore, sia nella gestione delle relazioni sociali. Per questo motivo l’umanità, nella sua accezione più vasta, ha bisogno sia delle caratteristiche maschili sia di quelle femminili. L’umanità ha bisogno di forza e di dolcezza, di sensibilità e di sicurezza, d’intraprendenza e di condiscendenza, di duttilità e di fermezza. Se questi due assi ereditari sono portati in maniera chiara, netta e piena, tutta l’umanità sarà più ricca; se invece sono trasmessi in maniera limitata, confusa, contraddittoria, sfumata, instabile, tutta l’umanità diventerà più povera.

Pertanto dovrebbe essere dovere basilare d’ogni società educante, attivare tutta una serie d’atteggiamenti che tendano a stimolare e valorizzare sia la mascolinità che la femminilità, senza appiattimenti e confusione, in modo tale da dare ad entrambi i sessi tutti gli elementi specifici caratteristici delle loro rispettive identità.

Identità di genere non  perfettamente chiare e definite possono presentarsi in molti individui e in molte situazioni. La più caratteristica è quella che porta il nome di transessualismo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il transessualismo o DIG (disturbo dell’identità di genere).

In questo caratteristico disturbo dell’identità di genere vi è la coscienza di avere una identità di genere sessuale diversa da quella presente nel proprio corpo e soprattutto nei propri genitali. Spesso infatti in questo disturbo vi è il forte desiderio di modificare il proprio corpo al fine di renderlo aderente al sesso vissuto interiormente.

 

Per il DSM IV I criteri diagnostici per identificare il transessualismo sono i seguenti:

  1. Una forte e persistente identificazione col sesso opposto.
  2. Un persistente malessere riguardo al proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso.
  3. Il disagio non è concomitante con una condizione fisica intersessuale.
  4. Questa problematica causa disagio clinicamente significativo o una compromissione dell’area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento.

Ad esempio nei ragazzi “Male– o-female” (M-F)

vi è :

  1. Il desiderio di essere donna.
  2. Il bisogno di indossare abbigliamento femminile in modo costante.
  3. Forte ammirazione per le donne, con una intensa identificazione.
  4. Amicizie prevalentemente femminili nei giochi.
  5. Avversione per i giochi tipicamente maschili, rudi, competitivi e fisici.
  6. Avversione per le caratteristiche del corpo maschile e quindi del proprio corpo.
  7. Cambiamento di impostazione vocale.
  8. Modo di comportarsi, di camminare, di sorridere, di muoversi di tipo femminile.

 

Non bisogna confondere i soggetti DIG con i  travestiti i quali si identificano con il proprio sesso anatomico. Per questi l’indossare abiti del sesso opposto è indice di una componente feticistica e quindi è sessualmente stimolante.

Il transessualismo va distinto anche dalle forme di intersessualità biologica nelle quali sono presenti contemporaneamente caratteristiche anatomiche ma anche a volte ormonali sia maschili sia femminili (Sindrome di Klinefelter – Sindrome di Turner).

Un grave disturbo dell’identità di genere si ha anche nel transgenderismo.  A questa categoria appartengono persone che hanno un’identità sessuale diversa da quella presente nei loro organi genitali ma li accettano e non intendono modificarli.  

 

Si distingue un Transessualismo primario nel quale la consapevolezza della diversa identità sessuale risale già alla fanciullezza e un Transessualismo secondario nel quale il disagio nei confronti del proprio corpo avviene in epoca post puberale, sebbene spesso vi sia un’alternanza di periodi nei quali queste persone stanno bene con il proprio corpo e altri nei quali lo rifiutano e vorrebbero modificarne le caratteristiche sessuali. Accanto a questi due tipi di transessualismo è presente anche un Transessualismo reattivo nel quale viene individuata la causa psicologica scatenante (ad esempio una situazione di persistente e continuo abuso sessuale).

Dei bambini DIG che diventano da adulti transessuali gli studiosi presentano varie percentuali che vanno dal  2 al 25% . In Olanda le donne con identità di genere maschile sono 1: 30.000, mentre gli uomini con identità di genere femminile sono 1:10.000

Nei transessuali maschi il nucleo basale dell’ipotalamo denominato BSTc è di dimensioni identiche al nucleo basale delle donne eterosessuali.

In Italia già dal 1982 (legge n° 164/82) il legislatore ha dettato delle norme per la rettifica nell’attribuzione del sesso. In questo percorso notevolmente lungo e complesso sono coinvolti a vario titolo varie figure professionali: andrologi, ginecologi, chirurghi plastici, endocrinologi, psicologi specialisti in problemi sessuali, psichiatri, avvocati e giudici. Sono infatti necessari, in una prima fase, accertamenti di carattere psicologico, psichiatrico, cromosomico e ormonale mentre nella seconda fase sono necessari tutta una serie di interventi di tipo ormonale, chirurgico e psicoterapico. Ciò al fine di evitare pentimenti, disfunzioni e squilibri nella personalità. Solo nell’ultima fase saranno affrontati i problemi legali. Nonostante ciò i casi di pentimento riguardano 1-3% degli interventi.

Dopo la transizione si è notato che i soggetti tendono ad accentuare ed esaltare gli elementi caratteristici del sesso di elezione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In sintesi, per lo sviluppo di una corretta identità sessuale, sarebbe opportuno:

  • Evitare terapie ormonali non indispensabili durante la gravidanza, l’allattamento ma anche successivamente.
  • Utilizzare cibi privi di sostanze ormonali.
  • Aiutare la formazione dell’identità e del ruolo di genere sottolineando e valorizzando le caratteristiche specifiche di ogni genere.
  • Stimolare attività, interessi e comportamenti caratteristici  dei due sessi.
  • Effettuare percorsi educativi per maschietti e femminucce differenziati in alcuni settori caratteristici.
  • Evitare una promiscuità eccessiva e forzata soprattutto durante la fase di latenza.
  • Evitare allo stesso modo un’eccessiva separazione tra i due sessi.
  • Evitare rapporti omosessuali continui e frequenti.
  • Evitare sport e attività lavorative nei quali sono messi in risalto e valorizzate le qualità e le capacità del sesso opposto.
  • Non favorire atteggiamenti e comportamenti del sesso opposto.
  • Evitare un’intensa e frequente conflittualità tra i genitori.

 

 

 



[1] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, p.76.

[2] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, p.76.

[3] M. L. DI PIETRO, “Educare alla differenza sessuale in famiglia”, in La famiglia, 1994, 164, p.37.

Le terapie familiari e di coppia

 

 

Così come il nostro corpo si ammala e pertanto abbiamo bisogno del medico che ausculti le nostre spalle, palpi il fegato e l’addome allo scopo di diagnosticare il nostro male, per poi consigliarci la terapia più adatta, allo stesso modo anche le relazioni, tutte le relazioni, si possono ammalare in maniera lieve oppure grave e possono avere bisogno che qualcuno esamini, comprenda l’origine dei problemi che le assillano e ci aiuti a curarle. Per questo motivo una relazione disturbata o malata non significa affatto che sia morta e che quindi abbia soltanto bisogno di un buon funerale officiato da giudici, periti e avvocati.

Questo semplice, banale concetto spesso non è compreso, né è facilmente accettato, sia dalle singole coppie, sia soprattutto dalle politiche sociali rivolte alle coppie e alle famiglie. Si legifera per rendere sempre più spediti i divorzi, che sono poi i funerali delle coppie e spesso anche delle famiglie, ma poco o nulla si fa per prevenire e poi per curare queste stesse fondamentali realtà. Per altro sono veramente poche le coppie in crisi che chiedono di intraprendere un cammino che le aiuti ad affrontare e se possibile risolvere i problemi che assillano i loro rapporti amorosi.

Immersi ormai da decenni nelle immagini edulcorate dei film e della tv sull’amore romantico, crediamo, anzi ne siamo certi, che “l’amore o c’è o non c’è; e se non c’è bisogna prenderne atto il più presto possibile: prima separandosi, poi iniziando al più presto le pratiche di divorzio e infine cercando un altro oggetto d’amore se possibile migliore e più affidabile”.

E invece, come dice Harding, un atteggiamento di maggiore responsabilità verso l’aspetto sociale del matrimonio renderebbe più rara la necessità del divorzio, di quel che oggi non sia, anche quando uno dei coniugi s’innamorasse di una terza persona[1].

L’amore che spesso viene presentato dai film e dalle telenovele come un regalo che scende dolcemente da un cielo rosato per posarsi sul nostro cuore, si dovrebbe invece paragonare a una casa che bisogna costruire in due, ora per ora, giorno per giorno, mattone dopo mattone, con fatica, con sudore, sporcandosi le mani. Ma ciò non basta. Anche quando si è finito di costruirla e sembra ben solida e funzionale, questa costruzione ha bisogno, come tutte le case, di continui interventi di riparazione, se non di una completa ristrutturazione. Cose queste che richiedono molto impegno, tanta fatica e sacrificio personale, oltre che grande fiducia e disponibilità.

Insomma non esistono, se non nella nostra immaginazione, amori stabilmente sani e felici da poter godere in panciolle; esistono invece amori da realizzare giorno per giorno, amori da proteggere, affinché non si guastino, amori da riparare o anche ricostruire, quando le intemperie e i terremoti della vita li hanno danneggiati gravemente. Come dice Pirrone [2]: “Amare significa lavorare su di sé e sulla relazione per renderla sempre migliore o per curarla quando tende a deteriorarsi”.

Poiché nella coppia le strategie che si mettono in atto, per risolvere i conflitti e le incomprensioni, sono a volte poco adatte, tanto da innescare spesso dei circoli viziosi, per cui le coppie tendono a rispondere con comportamenti sempre più negativi a stimoli comunicativi inadeguati, è necessario affidarsi ad una terza persona, esperta in questo campo, che ci aiuti. E’ comprensibile, pertanto, l’importanza d’interventi volti a fornire alle coppie strumenti capaci di sviluppare e promuovere le risorse personali e di coppia, sia per ridurre i fattori di rischio, sia per contenerli e non farli peggiorare.

Alcuni di questi “medici e psicologi della coppia” sono orientati alla prevenzione e cioè alla riduzione dei fattori di rischio dei conflitti coniugali, altri alla cura e quindi al potenziamento delle competenze della coppia.


Terapie di coppia

La terapia dei disturbi coniugali mira a diminuire la sofferenza e a migliorare il cattivo funzionamento del rapporto esistente tra i coniugi. Sono numerosi i programmi rivolti alle coppie.

Alcuni di questi sono molto semplici e anche divertenti, come il tradizionale metodo giapponese Shindai nel quale, quando sopraggiunge un conflitto di coppia, ogni contendente prende un cuscino con dentro delle piume sul quale è stata fatta un’incisione. I due lottano a colpi di cuscino. Il terreno di lotta è, in genere, proprio il letto matrimoniale. Il gioco termina, tra le braccia l’uno dell’altra, quando si sono esaurite le piume o quando uno dei due si arrende. Questo metodo molto antico, in fondo permette di scaricare l’aggressività presente nella coppia in un certo momento mediante un gioco nel quale non ci si fa veramente del male e in compenso si ride tanto, mentre le piume uscendo dai cuscini, svolazzano nell’aria per poi dolcemente cadere sui contendenti, come a volerli pacificare.

Le terapie di coppia classiche sono effettuate mediante l’aiuto di terapeuti esperti, capaci di costruire, con entrambi i coniugi, una buona alleanza. Queste terapie dovrebbero essere richieste ogni qualvolta uno o entrambi i partner presentano un malessere che dura nel tempo e che non si riesce a superare in maniera autonoma. Spesso nelle coppie vengono a generarsi delle dinamiche ripetitive disfunzionali che alimentano le incomprensioni, i conflitti e gli scontri in maniera più o meno aperta. Queste dinamiche tendono a ripetersi, in una sorta di circolo vizioso che ripercorre le stesse tappe, gli stessi percorsi ed a volte anche gli stessi problemi. Per tali motivi una persona terza, con competenze specifiche, ha maggiori possibilità di comprendere le dinamiche che sottostanno ai problemi e può offrire alla coppia degli strumenti nuovi e più adeguati per guardare i problemi da una prospettiva diversa, che permetta con più facilità sia di capirli sia di affrontarli e superarli.

 Le terapie di coppia sono numerose ed ognuna si propone di raggiungere mediante specifiche tecniche determinati obiettivi. In linea di massima gli obiettivi più comuni presenti nelle varie terapie mirano a:

  • Sollevare la sofferenza presente nella coppia.
  • Mettere a fuoco le criticità che rendono inefficace la comunicazione e migliorarle al fine di creare un nuovo equilibrio.
  • Superare la crisi attuale.
  • Recuperare l’intesa.
  • Appropriarsi di modalità relazionali più efficaci che promuovano il cambiamento positivo.
  • Migliorare il cattivo funzionamento del rapporto, così da viverlo in modo più costruttivo e soddisfacente[3].
  • Rafforzare la capacità di risolvere insieme i problemi.
  • Ridurre il conflitto migliorando il modo di affrontarlo.
  • Incoraggiare la complementarietà dei rapporti a livello sessuale, emotivo e sociale[4].
  • Rafforzare l’immunità contro gli effetti disgreganti della crisi emotiva.
  • Promuove lo sviluppo del rapporto e quello di ciascun coniuge, in quanto individuo.
  • Rafforzare la capacità di risolvere insieme i problemi.

Le terapie della famiglia

La terapia familiare è una forma di psicoterapia che ha come unità base il sistema-famiglia e le relazioni all’interno di questo sistema. La terapia dei disturbi emotivi della famiglia era nata soprattutto per offrire un corretto trattamento nei confronti dei pazienti minori e adulti che presentavano delle problematiche psicologiche che traevano la loro origine dall’ambiente familiare. Nel tempo sono nate numerose scuole di terapia familiare. In quella proposta da Ackerman[5] lo scopo del terapeuta è di mobilitare una forma benefica di empatia e comunicazione tra i vari membri del gruppo familiare suscitando ed incrementando tra loro uno scambio emotivo vivificante e costruttivo, ma anche di modificare alcune parti dell’organizzazione familiare in modo da creare nuovi modi di relazionarsi e quindi anche nuovi equilibri. Nello stesso tempo il terapeuta cercherà di spezzare le rigidità all’interno della comunicazione rendendola più flessibile. Quest’approccio terapeutico, quando sono presenti anche dei conflitti coniugali, è molto utile per affrontarli, risolverli o almeno per limitarne i danni, che possono ricadere su ogni membro del gruppo familiare, specie sui suoi membri più giovani.

 La terapia inizia con una valutazione psicosociale della famiglia nel suo insieme. Lo specialista, chiarificando al gruppo la realtà familiare di essa e affrontando le disfunzioni relazionali ed esistenziali, lo aiuta ad esaminare queste disfunzioni in maniera serena e obiettiva, suggerendo i modi più opportuni per affrontarle e se possibile superarle. Ciò ottiene dissolvendo le barriere e i mascheramenti difensivi, la confusione e le incomprensioni, mentre nello stesso tempo si attiverà per dare sostegno affettivo, gratificazioni ed emozioni appropriate ad ogni elemento del gruppo. Il terapeuta inoltre, cerca di offrire a tutti i membri della famiglia nuovi modi di relazionarsi: più idonei e utili. Lavora sulle resistenze presenti, stabilendo un rapporto empatico tra i membri della famiglia e tra questi e lui stesso. Con il proprio modo di essere, offre una serie di sani modelli relazionali positivi. Nello stesso tempo sostiene e aiuta i membri della famiglia nel modo migliore per affrontare sia le paure sia i sensi di colpa. 

Una delle terapie familiari più moderne e attuali è quella intergenerazionale[6].

Questa terapia si fonda sull’idea che le storie individuali sono fortemente intrecciate con quelle delle generazioni precedenti. Pertanto per capire e aiutare il singolo individuo, bisogna necessariamente osservare e capire le generazioni precedenti. Per tale terapia ogni sistema familiare ha una propria identità culturale, che viene trasmessa alle successive generazioni attraverso i miti, i mandati familiari e i copioni che condizionano il suo presente. L’osservazione trigenerazionale cerca di ricostruire la trama intergenerazionale al fine di comprendere i nessi, i comportamenti e i vissuti attuali e i bisogni insoddisfatti del passato.

Anche se le terapie della famiglia possono essere effettuate in vari contesti, il loro luogo d’elezione dovrebbe essere il Consultorio Familiare, poiché in questo servizio la famiglia dovrebbe trovare un aiuto specializzato in un clima di rispetto e profonda empatia.

La consulenza familiare

Diversa dalla terapia della famiglia è la consulenza familiare, che viene effettuata da professionisti opportunamente formati che operano con delle metodologie ben precise seguendo gli orientamenti indicati dalla scuola di Carl Rogers[7]: non direttività, professionalità, globalità, interdisciplinarietà, relazione ricca di fiducia nei confronti delle capacità del cliente ed empatia con questi. Inoltre, utilizzando la non direttività la consulenza familiare riconosce e garantisce durante la terapia l’esclusione di ogni pressione ideologica e psicologica da parte del consulente nei confronti del cliente.

Un’ottima professionalità del consulente è importante per garantire al cliente quelle capacità di aiuto che questi si aspetta da parte di chi ha cura di lui. La globalità e la pluridisciplinarità permettono al consulente di osservare, accogliere e aiutare ogni persona che a lui si rivolge, tenendo conto di tutte le sue caratteristiche: sessuali, emotive, psicologiche, sociali, morali, relazionali ecc. Poiché la consulenza si pone come aiuto alla persona nella sua globalità, a questa persona sono riconosciute da parte del consulente le capacità di capire i suoi reali problemi e di compiere liberamente le proprie scelte con maturità e responsabilità; autodeterminandosi, nel momento in cui con l’aiuto del consulente ha compreso le sue problematiche più vere e profonde ma anche le possibili soluzioni.

Il rapporto di consulenza può certamente partire dal problema più urgente che in quel momento assilla il cliente, ma in seguito si dovrà ampliare a tutta la persona e anche a chi è a lui vicino.

La mediazione familiare

Un servizio alla coppia che si separa è dato dalla mediazione familiare, che ha lo scopo di aiutare la coppia ad elaborare la separazione e a riorganizzarsi come genitori, per continuare ad essere dei buoni educatori nei confronti dei figli[8].

Per Di Nuovo [9]: “Si ricorre alla mediazione quando ognuna delle parti non riesce a superare il proprio punto di vista, non ha fiducia nella buona fede dell’altra, non sa comunicare e gestire le emozioni in modo adeguato, altera la relazione fino a farla divenire irrimediabilmente conflittuale”.

Il mediatore è un professionista con una formazione specifica nella mediazione, negoziazione e gestione dei conflitti, con conoscenze approfondite in diritto, in psicologia e in sociologia, con particolare riguardo ai rapporti familiari e genitoriali. Questo professionista, cercando di essere equidistante e imparziale, ha il compito di facilitare la comunicazione della coppia, affinché i genitori stessi diventino capaci di decidere in maniera equa e funzionale sui tanti problemi che hanno ancora in comune: aspetti economici, gestione ed educazione dei figli, rapporti con gli altri parenti e così via. Gli obiettivi sono concordati e predefiniti già nei primi incontri ed il fine è quello di lenire la sofferenza e il disagio esistenziale della coppia ed aiutarla a trovare degli accordi solidi e costruttivi che tengano conto dei bisogni di ognuno di essi e di quelli dei figli.

Il mediatore familiare, facendosi carico degli aspetti emotivi e relazionali della coppia aiuterà questa a ben comunicare così da superare la rabbia, la delusione e il rancore che spesso sono presenti nei soggetti che si separano o divorziano, in modo tale che, senza litigare, possano recuperare rapidamente il potere decisionale e i valori educativi condivisi. In tal modo la coppia, con l’aiuto del mediatore, ha la possibilità di affrontare di volta in volta le tematiche più scottanti e difficili che creano in loro ansia, tensione e aggressività, come i problemi economici e le scelte educative e gestionali che si presentano durante la separazione.

Durante la mediazione familiare è inoltre possibile affrontare altri temi come il rapporto con i nonni, la rete parentale, la gestione delle vacanze, del tempo libero e così via. Il tutto dovrà essere effettuato da parte del mediatore familiare senza alcuna forzatura e con la garanzia della più assoluta imparzialità e riservatezza. Questo intervento è delimitato nel tempo: spesso sono sufficienti dieci incontri, ciascuno della durata massima di due ore – due ore e trenta.

Poiché detto servizio si attiva quando i coniugi hanno già deciso di separarsi o si sono separati, non ha come finalità specifica l’obiettivo del ricongiungimento dei due partner. Pertanto, non è una terapia di coppia e non è una terapia della famiglia. Un’eventuale terapia di coppia o familiare può procedere, affiancare o seguire la mediazione.

 La mediazione familiare non è una forma di assistenza legale. Quest’ultima rimane di pertinenza degli avvocati i quali, normalmente, interverranno dopo la mediazione, sulle questioni relative alla procedura della separazione o sugli aspetti economico-patrimoniali che la coppia avrà deciso di attuare. La mediazione familiare non è neanche una consulenza tecnica per i giudici. Pertanto, il mediatore non fornirà alcun genere d’informazione ai magistrati, agli avvocati o ad altre persone senza aver ottenuto prima il consenso delle parti interessate.



[1] Harding E., (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 236.

[2] Pirrone C.,  (2014), “Come dire: Ti prometto di essere fedele sempre”, Famiglia oggi,  n. 3, p. 57.

[3] Ackerman N. W., (1970), Patologia e terapia della vita familiare, Feltrinelli Editore, Milano, pp.124-125.

[4] Ackerman N. W., (1970), Patologia e terapia della vita familiare, Feltrinelli Editore, Milano, pp.124-125.

[5] Ackerman N. W., (1970), Patologia e terapia della vita familiare, Feltrinelli Editore, Milano p. 99.

[6] Framo J. L., (1996), Terapia intergenerazionale,  Raffaello Cortina, Milano.

[7] Rogers, C. R. (2000) La terapia centrata sul cliente, Firenze, Psycho,

[8] Mazzei, D. (2002) La mediazione familiare, Milano, Raffaello Cortina Editore,

[9] Di Nuovo S. (2008), “Separazione e affido condiviso dei figli”, Psicologia contemporanea, 206, marzo – aprile.

Il perdono nelle relazioni di coppia

 

 

Bisogna essere sempre pronti e disponibili a chiedere perdono e a perdonare poiché tutti abbiamo qualcosa meritevole di assoluzione. D’altra parte, com’è possibile asserire di amare qualcuno se non si è disposti ad accettare le sue imperfezioni, i suoi difetti e i suoi limiti?

Per Pirrone[1]:

 “L’intelligenza serve per capire che tutti abbiamo dei difetti e che quindi l’altro va amato, nonostante i suoi limiti, con tutti i suoi difetti. E per fare questo ci vuole la volontà: “Voglio volerti bene”.. Il bene significa voler sostenere l’altro a realizzarsi pienamente come persona, aiutarlo a sviluppare al meglio le sue qualità e acquisire capacità nuove che non gli sono innate.

Il perdono ci permette di ricostruire insieme, su fondamenta più solide, il nostro rapporto, ci aiuta a superare la chiusura in noi stessi, esso ci permette di entrare in comunione più profonda, poiché possiamo meglio capire le ragioni dell’altro.

Quando l’altro ci ha fatto del male, possiamo far finta di niente oppure cercare di analizzare le ragioni della crisi mediante la luce calda dei sentimenti, mentre da parte di chi chiede il perdono è importante cercare di capire perché l’altro si è sentito ferito e umiliato.

Il perdono ha molti lati positivi:

  • Fa stare meglio. “Secondo quando hanno dimostrato numerosi studi, quando riusciamo a perdonare, ci sentiamo meglio, come liberati da un peso, possiamo girare pagina e guardare al futuro”[2](Hofmann, 2015).
  • Fa rientrare nella propria vita la serenità e la pace.
  • Cancellando il passato è più facile costruire il futuro.
  • Il perdono cambia le persone da dentro, poiché anche se non fa dimenticare il male ricevuto consente di portarlo in sé senza rancore.
  • A sua volta, le persone che perdonano, sentendosi meglio, in seguito avranno più facilità nel perdonare[3].
  • Chi perdona facilmente sta meglio anche fisicamente[4].
  • Il perdono ristabilisce il contatto con l’altro, rende vivo il dialogo, riapre un processo di crescita.

Nonostante ciò il perdono è difficile a causa del nostro amor proprio, della nostra gelosia, del nostro orgoglio. Le personalità rancorose e psichicamente meno stabili perdonano con più difficoltà. Perdonano più facilmente i bambini piccoli, perché sanno che i rimproveri di papà e le sgridate della mamma non tolgono nulla al fatto che entrambi amano moltissimo i figli. Sono più facili al perdono anche le persone più avanti con gli anni, giacché sanno per esperienza personale che è insito nel nostro DNA lo sbagliare e che di errori ognuno di noi ne commette tanti nella vita. Inoltre, la maturità permette di controllare meglio le proprie emozioni.

Con più difficoltà riescono a perdonare i giovani, i quali non accettano e non sopportano gli errori degli altri, mentre sono ben disposti a coprire, cancellare e scusare i propri. Hanno inoltre difficoltà a perdonare le persone che hanno un alto livello di narcisismo.

È più facile perdonare quando si è costruito un amore solido e forte. “Se i due sono molto vicini, se il loro rapporto è soddisfacente o hanno investito molto per crearlo e conservarlo, sarà più facile chiudere un occhio sulle offese”[5]. Naturalmente si perdona più facilmente quando chi ha offeso ammette la colpa e si mostra pentito.



[1] Pirrone, C.,  (2014), “Come dire: Ti prometto di essere fedele sempre”, Famiglia oggi,  n. 3, p. 56.

[2] Hofmann A. (2015), “Ti perdono oppure no?” ”Mente e Cervello, n. 131, novembre.

[3] Hofmann A. (2015), “Ti perdono oppure no?” ”Mente e Cervello, n. 131, novembre, p. 99.

[4] Hofmann A. (2015), “Ti perdono oppure no?” ”Mente e Cervello, n. 131, novembre, p.99.

[5] Hofmann A. (2015), “Ti perdono oppure no?” ”Mente e Cervello, n. 131, novembre, p. 99.

Prevenzione dei conflitti di coppia

 

 

 

Se vogliamo diminuire, se non debellare, l’aggressività, la violenza e i conflitti presenti nelle coppie e nelle famiglie, è evidente che bisogna agire sulle cause che li determinano.  La modifica dell’ambiente sociale e familiare nel quale vive la coppia è fondamentale per attuare una prevenzione primaria che miri a evitare che nelle coppie esplodano dei conflitti talmente frequenti e intensi che è difficile affrontarli adeguatamente.

Immaginare, come attualmente spesso viene fatto, che questi fenomeni possano essere affrontati quasi esclusivamente mediante leggi sempre più severe e repressive, quasi sempre da applicare nei confronti di uno dei due generi: il sesso maschile, è non solo moralmente discutibile, ma è anche fondamentalmente errato, poiché non vi è dubbio che la violenza, anche se con modalità e strumenti diversi, è espressa da entrambi i sessi, mentre le vere cause dei problemi delle coppie vengono da molto lontano e sono molteplici e profonde.

Inoltre l’atteggiamento di costante criminalizzazione del sesso maschile è controproducente, poiché accentua sia una maggiore reattività femminile ad ogni atteggiamento, anche il più spontaneo e ricco di buone intenzioni che proviene dall’altro sesso, sia la rabbia dei maschi, che si sentono sistematicamente e ingiustamente accusati, oltre che sminuiti, nelle loro qualità affettive, intellettive, psicologiche, etiche e morali. D’altra parte è illusorio pensare di superare la violenza con altra violenza, in una perpetua, coatta, ripetizione. È possibile debellare l’aggressività e le violenze, che spesso ne conseguono, soltanto riconoscendo le circostanze e le condizioni che la generano e poi lavorando coraggiosamente per evitarle[1]. Intervenire in maniera efficace su buona parte se non su tutte le problematiche presenti nelle coppie e nelle famiglie, mediante opportune terapie è oggi praticamente impossibile, dato l’enorme numero di coppie e famiglie squassate da conflitti, aggressività e violenze. Sarebbe come cercare di svuotare il mare con un cucchiaio.

Fatte queste fondamentali premesse, e in attesa che la società civile, le leggi dello stato e i servizi deputati alle coppie e alle famiglie, come i Consultori Familiari, finalmente s’impegnino in un’attività di prevenzione e promozione, così da riuscire ad eliminare, se non tutte almeno una buona parte delle cause più importanti che creano i conflitti, le singole coppie potranno sicuramente migliorare il loro rapporto, nel momento in cui saranno riuscite a tener conto di alcuni concetti basilari.

1.     Tutte le relazioni sono difficili

Non ci sono relazioni facili. Non esistono relazioni che non richiedano impegno, sacrificio o che siano esenti da momenti di tensione e sofferenza. Anche quando ci poniamo in un rapporto molto semplice, come può essere quello con un animale da compagnia: un cagnolino dagli occhi dolci e teneri o un gattino affettuoso da coccolare e accarezzare, anche in questi casi, insieme a dei momenti di gratificazione, piacere e gioia, vi saranno sicuramente dei periodi di difficoltà, impegno e sacrificio. Non solo, ma è naturale che in alcuni momenti, possano emergere momenti d’irritazione e insofferenza: “Vorrei fare un bel viaggio con le mie amiche, ma cosa devo fare di questo gattino?” “Che seccatura questa cagnetta: quante vaccinazioni da praticarle e quanti soldi che devo spendere per nutrirla, pulirla e curarla!”; “Il mio cagnolino non vuole saperne della mia stanchezza e del fatto che spesso soffra d’insonnia! Che ci sia sole o pioggia, che sia un giorno di vacanza o di lavoro, che io abbia dormito oppure no, alle sette del mattino vuole sempre uscire per fare la sua passeggiatina!”

Dovrebbe inoltre essere facile riconoscere che le relazioni umane sono notevolmente più complesse e difficili di quelle che possiamo instaurare con un animale, pertanto è naturale che necessitino, oltre che di tanta serenità e maturità interiore, anche di una grande disponibilità all’impegno e al sacrificio, insieme a tanta pazienza, capacità d’accettazione e sopportazione.

2.     Le relazioni sono molto più difficili quando sono presenti

delle problematiche psicologiche di un certo rilievo.

Le relazioni, tutte le relazioni diventano più difficili, se non impossibili, quando sono inficiate da problematiche psicologiche che alterano o disturbano proprio le capacità nella socializzazione e integrazione con gli altri. Queste problematiche psicologiche le riconosciamo facilmente poiché si evidenziano con ansia eccessiva, depressione, facile irritabilità, paure, fobie, ecc. Questi, e altri sintomi di disagio interiore, influenzano in modo rilevante la comunicazione, l’ascolto, l’intesa e il nostro rapporto con gli altri, specie con le persone a noi più care. In tali casi, quando i disturbi sono intensi, così da far soffrire il soggetto che ne è colpito e le persone a lui vicine, è necessario un attento esame specialistico, affinché sia valutata la gravità delle problematiche e siano indicate le terapie più efficaci per risolverle.

 

3.      Tutte le relazioni possono avere dei momenti di difficoltà o crisi.

Così come non esiste un tempo atmosferico sempre bello, ma periodi e giorni sereni si alternano ad altri tempestosi, nei quali nuvole nere incombono da un cielo tetro, sconvolto da fulmini e tuoni che sembrano scuotere la terra, oltre che impaurire i cuori, allo stesso modo vi sono giorni o periodi nei quali l’intesa di coppia sembra perfetta, cosicché il calore e la gioia si offrono alla coppia come spumeggianti coppe di sciampagne da sorseggiare al chiaro di luna. Tuttavia vi sono altri giorni o altri periodi nei quali gli sguardi arrabbiati, le parole tese, irose e i comportamenti scostanti e irritanti sembrano fatti apposta per incendiare ancor più gli animi, facendo in tal modo del male all’altro, a se stessi e all’unione coniugale. In definitiva le relazioni di coppia non sono qualcosa di stabile e immutabile, anzi il loro equilibrio è spesso instabile e precario, per cui hanno bisogno di continui aggiustamenti. Per tale motivo i conflitti sono presenti, in modo più o meno evidente e in modo più o meno grave e frequente, in tutte le relazioni intime, ma si considerano patogeni solo quando non sono dominati e correttamente gestiti.

4.      È indispensabile comprendere il corretto significato dell’amore.

Intanto è indispensabile accettare che, nel campo amoroso, il nostro compito non può certamente esaurirsi nel godere dell’amore o del piacere che si prova nell’essere amati.

Amare ha ben altri significati.

Come dice Dacquino [2]: “Chi possiede una vera disponibilità affettiva non privilegia l’amore come sentimento, ma come impegno; non si limita quindi a vivere gli affetti ma costruisce su di essi; non vuole comandare ma è disposto anche a servire, non vuole passività ma il fare insieme”. Se la fase dell’innamoramento è fatta per lo più d’illusioni che svaniscono dopo qualche mese o al massimo qualche anno, l’amore è un sentimento profondo che richiede molta volontà, saggezza, costanza, umiltà e coraggio nella sua gestione. Inserirsi in un rapporto amoroso significa essenzialmente iniziare in due, un cammino di crescita nel quale è importante accettare con gioia i bisogni e le istanze dell’altro. Questo cammino richiede una notevole disponibilità all’accoglienza e all’ascolto, tanta delicatezza e tenerezza, il tutto unito ad una notevole dose di responsabilità ed impegno, finalizzati al benessere fisico e psicologico dell’altro.

Pertanto, ad esempio, è necessario un uso molto attento delle parole e delle espressioni che utilizziamo. Queste oggi, purtroppo, non tenendo in alcun conto la sensibilità e la sofferenza dell’altro, spesso corrono in totale libertà e veicolano, nei confronti di chi dovremmo rispettare, amare e proteggere, accuse gratuite ed eccessive, imprecazioni e offese volgari.

Poiché amare significa aver cura e sollecitudine verso la persona che ci sta accanto e fare di tutto, anche con sacrificio personale, pur di riuscire a farla stare bene, sia fisicamente sia psicologicamente, è evidente che bisogna spostare l’obiettivo dell’amore dall’”io” al “tu”. Pertanto non “tu sei mio”, che ha la forma del possesso, ma ”io sono tuo”, nel quale l’amore è donazione[3].   Poiché la dimensione fondamentale dell’amore è la relazione, per amare è necessario dare se stessi attraverso il dialogo, l’amicizia, le tenerezze e le coccole. Amare significa essere comprensivi verso l’altro, non solo accettando i suoi limiti e difetti, ma anche valorizzando le sue qualità.

Amare significa anche vedere la coppia come un’unità, una squadra. Pertanto, insieme si vince e insieme e si perde. Certamente non può essere assolutamente adeguato l’atteggiamento nel quale ci si pone come dei rivali, pronti a godere dei limiti dell’altro, pronti ad azzannarsi e farsi del male, pur di prevalere sull’altro.

Poiché il rapporto di coppia, come ogni relazione interpersonale, si basa sul principio della gratificazione reciproca, amare significa darsi vicendevolmente ed offrire con generosità e gioia alla persona amata le cose più belle che possediamo dentro di noi mentre accogliamo con gratitudine e gioia quanto riceviamo dall’altro[4].

Inoltre, è bene tener presente che ogni nostro atto o sentimento ha bisogno di precise regole. Quando eliminiamo dai nostri comportamenti amorosi e sentimentali la necessaria responsabilità e l’autodisciplina, così da lasciarci guidare e trasportare soltanto dagli impulsi e dai bisogni del momento, diventa quasi impossibile dare stabilità, correttezza ed efficacia alle relazioni solide e fondamentali per la nostra vita. Per tale motivo non è assolutamente valida, ed è anche molto rischiosa, la teoria della spontaneità, che ha condizionato in maniera notevole il comportamento relazionale dell’ultimo mezzo secolo. Questa teoria, tollerando ad oltranza gli elementi istintuali dell’essere umano, ha reso lecita la ricerca di ogni proprio piacere e il soddisfacimento di ogni proprio desiderio, senza tener conto dei bisogni e soprattutto della sofferenza dell’altro[5]. Ciò inevitabilmente ha reso tutti i rapporti sentimentali e amorosi poveri, fragili, ma anche molto conflittuali.

Il vero amore per crescere ha bisogno di stabilità e questa, a sua volta, è fondamentale per il benessere individuale, familiare e sociale. Se la coppia è un’entità molto più forte di quanto lo sia la persona singola, il lavorare per stabilizzare la relazione con un partner permette di avere quella tranquillità interiore e quella garanzia degli affetti che ci può offrire la sicurezza, la serenità e la realizzazione che ognuno di noi ardentemente desidera[6].

 

Il dialogo efficace

La comunicazione è un elemento indispensabile per la vita relazionale. Nella fase iniziale è necessaria per conoscere l’altro, le sue qualità e disponibilità, sia nel dare sia nel ricevere, i suoi bisogni e desideri, le sue possibilità e capacità come futuro marito o moglie, come futuro padre o madre. In una fase successiva il dialogo è indispensabile non solo per scoprire i cambiamenti presenti in chi è a noi vicino, ma anche per riuscire ad adattarsi a ogni nuova e diversa realtà, che le esperienze positive o negative della vita nel tempo apportano.

È difficile immaginare una relazione senza che alla base di questa via sia un buon dialogo. Il linguaggio verbale è sicuramente un importante strumento di dialogo, ma non è l’unico. È altrettanto importante la comunicazione non verbale, fatta di gesti e comportamenti. Un dono, un gesto tenero, un atteggiamento di solidarietà, lo scambio di una sessualità matura, capace di comunicare il nostro amore, la nostra disponibilità e attenzione verso l’altra persona, sono in una coppia comportamenti e atteggiamenti preziosi, quanto e più di mille parole.

Scambiando con la persona che amiamo i nostri pensieri, le nostre paure e le difficoltà che incontriamo giornalmente, il dialogo ci permette sia di farci aiutare dall’altro sia di essere vicino a quest’ultimo con sollecitudine e tenerezza. Pronunciando le parole giuste al momento giusto, riusciamo a dare a chi amiamo il sostegno e il conforto dei quali ha bisogno. Valorizzando le qualità  dell’altro sicuramente potremo migliorarne l’autostima, così da farlo sentire più sereno, forte e sicuro di sé.

Il dialogo efficace si riconosce facilmente poiché riesce a soddisfare i bisogni e le attese della persona con la quale ci relazioniamo; pertanto, è in grado di produrre benessere e serenità alla persona che amiamo, alla coppia e a tutta la famiglia.

Le sue caratteristiche più importanti sono:

La chiarezza, la sincerità e la lealtà.

Affinché il dialogo sia efficace, il linguaggio dovrebbe essere per quanto possibile chiaro, semplice, sincero e trasparente, ma anche onesto e leale. Le bugie, i sotterfugi e ancor peggio i tradimenti delle promesse fatte, sono capaci di minare anche le relazioni più solide. Tuttavia, poiché le parole possono produrre una notevole sofferenza, una comunicazione efficace non consiste nel dire tutto ciò che passa per la mente, ma nel costruire, attraverso l’amore e il rispetto per la sensibilità altrui, un rapporto sincero e leale. Il minimo che si può chiedere a due persone, che si vogliono bene e che vogliono scongiurare conflitti inutili, è quello di evitare di ferire inutilmente l’altro mediante parole, frasi e atteggiamenti, espressi senza essere stati filtrati dal buon senso e dall’opportunità. In definitiva, bisogna assolutamente evitare che la sincerità si trasformi in crudeltà. Pertanto, in ogni relazione anche il tacere ha una grande importanza.

L’accettazione e l’accoglienza

Accettare l’altro significa accoglierne la diversa personalità ed identità sessuale. Accettare l’altro significa accoglierne anche il diverso ruolo. E’ da quest’accettazione di base che nasce e si sviluppa un confronto positivo. Quando tutto ciò manca, per cui vorremmo che l’altro fosse come noi lo sogniamo e desideriamo o che abbia sempre le stesse caratteristiche di quando l’abbiamo incontrato e ci siamo innamorati di lui, ci accorgeremo con amarezza che il dialogo diventa difficile o cessa del tutto. È indispensabile inoltre riconoscere che ogni elemento della coppia proviene da un passato, attraversa un presente e vuole proiettarsi in un futuro di cui non si può avere certezza. Pertanto, in un rapporto ricco e vivo, è necessario un continuo adattamento reciproco.

È inoltre necessario accogliere le nostre e altrui fragilità. Accanto alla forza e alla sicurezza, ognuno di noi, a causa delle sofferenze e dei traumi subìti nel proprio passato, ha anche alcune o molte fragilità. Quando nella ricerca puntigliosa, oltre che inutile, della perfezione, non le accettiamo, mostrando di conseguenza un atteggiamento giudicante, rischiamo di compromettere la spontaneità dell’altro il quale, in futuro, cercherà di evitare di esternare il contenuto più profondo dei propri pensieri ed emozioni. Contemporaneamente, rischiamo di stimolare inutilmente le sue difese e le sue reazioni rabbiose e aggressive.

Il dialogo è efficace quando riesce ad accogliere e tenere nella giusta considerazione le idee altrui. Poiché siamo uguali come esseri umani, quando la comunicazione è valida, si riesce facilmente ad accettare, senza sentirsi minimamente menomati, le decisioni e le opinioni dell’altro, specialmente quando queste nascono da una diversità di ruolo, da caratteristiche sessuali diverse, da qualità ed esperienze specifiche. Poiché la verità non è mai una sola, e ha tante sfaccettature, dovremmo imparare a non sentirci aggrediti o svalutati se le nostre idee non sono sempre condivise (Dacquino, 1994, p. 304).  D’altra parte sappiamo che i bisogni di un uomo sono diversi da quelli di una donna. I bisogni d’ogni individuo possono essere o tradursi in maniere diverse l’uno dall’altro. Non esistono due persone uguali, con gli stessi gusti, la medesima realtà interiore, gli stessi desideri.

Come dice Ackerman[7]:

“La differenza tra coniugi nelle relazioni familiari non deve essere considerata un pericolo, più di quanto non sia la differenza sessuale. Al contrario, essa deve essere salutata come prova di un complemento del Sé; come è la possibilità di imparare nuove cose e di realizzarsi meglio”.

La complementarietà in ogni relazione è lo strumento migliore che le coppie hanno inventato per riuscire a diminuire il numero e la gravità dei conflitti. Nelle relazioni familiari sostiene l’unità, aiuta l’unione e la partecipazione [8]. E ancora lo stesso autore: “Gli uomini e le donne possono essere ugualmente rispettati per quanto danno alla famiglia, alla vita, alla società, ma la qualità di questo rispetto deve essere diversa”[9]. Ed è per tale motivo che la complementarietà nei ruoli ancora oggi è utilizzata da milioni di coppie in buona parte del mondo.

Per Ackerman[10]: “Esiste una complementarietà positiva quando i componenti della coppia o del triangolo familiare esperiscono una reciproca soddisfazione dei bisogni, in modo tale da promuovere un positivo sviluppo emotivo delle relazioni e degli individui”.

Con questa strategia ognuno dei due sa e accetta che vi siano delle decisioni e dei settori della vita familiare, come l’educazione dei figli, che sono di appannaggio o di specifica competenza dell’altro.

Le esperienze nettamente negative degli ultimi decenni nel mondo occidentale hanno ampiamente confermato che il discutere, decidere e prendere insieme ogni decisione: da quelle più importanti e fondamentali che riguardano l’andamento di base della famiglia, a quelle più minute di ogni giorno, anche se ciò appare “una cosa bella, moderna e attuale”, si è invece dimostrata nei fatti, il modo migliore per provocare e incrementare i conflitti e, di conseguenza, anche i comportamenti aggressivi e violenti nelle relazioni di coppia.

L’ascolto

Il dialogo efficace non dovrebbe consistere in una lotta di parole e argomentazioni per combattere e sopraffare i pensieri e le idee altrui, ma un mezzo per capire e mettersi in ascolto dei movimenti dell’animo della persona amata, al fine di armonizzarsi con essi. Per tale motivo nelle discussioni è bene cercare di comprendere il punto di vista dell’altro e riflettere, più sui bisogni che questi esprime, non solo con le parole, ma anche con i silenzi, piuttosto che sulla risposta da dare per sopraffare le sue idee, i suoi pensieri e i suoi sentimenti.

Per preservare una buona intesa è necessario spezzare in maniera decisiva il circolo vizioso che spesso si crea: “Lui mi ha fatto… lui mi ha detto e quindi io gli ho detto…io gli ho fatto…” che si potrebbe tradurre in: “Lui mi ha detto questa cosa sgradevole o peggio offensiva, io di rimando l’ho messo al tappeto con una cosa ancora peggiore e più offensiva”. L’esperienza delle coppie, che vivono un rapporto sano e armonico, ci indica invece che è molto meglio dare risposte totalmente diverse da quelle che l’altro ci ha dato e che ci hanno fatto soffrire o da quelle che l’impulso del momento istintivamente ci suggerisce. Questa strategia stimola la persona che amiamo a riflettere sulle sue parole e sulle sue azioni e gli crea nell’animo un debito psicologico di riconoscenza nei nostri confronti     

La delicatezza.

Spesso con gli estranei tendiamo a misurare le parole e i gesti per non offendere. Pur di essere accettati cerchiamo di avere modi cortesi, delicati e rispettosi. Per non essere sgradevoli, cerchiamo di essere allegri e di buon umore, mentre con la persona con la quale condividiamo la nostra vita e che dovremmo amare e rispettare più di qualunque altra, tutto ci sembra lecito. Pertanto, tendiamo ad usare nei suoi confronti modi e parole che mai useremmo con gli altri: “…perché se lui/lei mi ama veramente, mi deve accettare così come sono. Perché se lui/lei mi ama fino in fondo, deve riuscire a sopportare il mio nervosismo e i miei comportamenti irritanti”.

Purtroppo non è così. I modi bruschi, le parole che umiliano, che fanno sentire male, l’eccessiva impulsività, la poca pazienza e l’aggressività allontanano, spaventano e mettono sulla difensiva chi ci sta accanto; esse ledono la sua pazienza, fanno scemare l’interesse e l’amore che ha per noi ed è facile che lo stimolino ad adottare dei comportamenti altrettanto deleteri e distruttivi.

Non sempre le parole sono utili nelle relazioni di coppia. È molto meglio tacere quando avvertiamo dentro di noi tensione, ansia, aggressività e irritabilità, a causa delle quali tendiamo a essere scontrosi, irritanti o troppo sensibili e reattivi ad ogni parola che l’altro pronuncia anche in buona fede. È più saggio evitare di replicare quando ci accorgiamo che le parole peggiorano il rapporto, tendono a svalutare e umiliare l’altro, colpiscono i sentimenti più profondi dell’altro. Meglio parlare solo quando avvertiamo che quello che diremo gli darà serenità, lo conforterà, lo aiuterà a capire i nostri bisogni e i nostri argomenti. In definitiva spesso è possibile sdrammatizzare le tensioni che si creano e ristabilire un clima sereno e positivo, semplicemente evitando di rispondere con aggressività alle parole aggressive dell’altro[11].

Il piacere dell’incontro con l’altro

Anche se non sempre ciò è possibile, anche se non sempre si riesce a trovare quell’intesa tanto agognata, la tensione interiore nell’approccio con l’altro dovrebbe esserci in ogni momento ed in ogni occasione, soprattutto nelle occasioni e situazioni più difficili e complesse. Per tale motivo, se è utile non lasciare che si accumulino dei non detti o delle piccole realtà negative, che in seguito potranno esplodere in un incontrollabile litigio, è disastroso discutere continuamente di tutto, così com’è dannoso rinvangare continuamente il passato: “Ricordati quella volta che tu mi hai detto…” “Pensa a quando hai guardato quella donna in mia presenza”. Spesso nei litigi sono fatti riemergere episodi lontani del passato che dovrebbero essere e restare sepolti per sempre e non proposti continuamente.

Bisogna inoltre ricordare a se stessi che il compromesso non è una perdita di qualcosa ma una conquista. Allo stesso modo però, bisogna tener presente che quando si accettano delle proposte di conciliazione bisogna poi attenersi a quanto concordato.

  Il lavoro e gli impegni

A volte si litiga per il gusto di litigare: perché siamo nervosi, stanchi, frustrati nei nostri bisogni, a causa del lavoro o delle relazioni poco felici con i colleghi, con gli amici o altri familiari. Per tale motivo, quando si vuole iniziare una discussione che potrebbe degenerare, bisogna sempre chiedersi da dove realmente nasce la nostra irritabilità e quindi se veramente vale la pena iniziare un litigio.

La comprensione, l’ascolto, il trovare l’intesa, il limitare il proprio Io, richiedono grandi capacità e notevole disponibilità interiore. Quando queste sono scarse, perché le abbiamo spese per il lavoro, gli impegni familiari o extrafamiliari, le energie residue non sono capaci di farci instaurare un dialogo efficace. Il lavoro, come molti altri impegni, anche di notevole spessore sociale, può creare un coinvolgimento emotivo eccessivo: occupando i nostri pensieri, prelevando buona parte delle nostre energie, impegnando la volontà oltre limiti accettabili.

Evitiamo quindi di lasciare per l’incontro, la comunione, lo scambio con la persona che amiamo i rimasugli del nostro tempo e delle nostre energie. Ritagliamo invece, nella nostra vita di ogni giorno o della nostra settimana, delle ore e dei giorni da dedicare con serenità, disponibilità ed il massimo delle nostre energie e capacità al dialogo e allo scambio affettivo, amoroso e sessuale.

I sentimenti positivi.

I doveri di un compagno di vita sono anche quelli di ascoltare, lenire e confortare il nostro animo. Ciò che rinsalda l’unione è la partecipazione e la condivisione di pensieri, sentimenti ed emozioni. Pertanto è fondamentale il coinvolgimento affettivo che porta a vivere, come fossero nostri, le gioie e le gratificazioni dell’altro, ma anche la sua tristezza e sofferenza. Tuttavia, spesso le aspettative che abbiamo nel campo amoroso sono tante, troppe e assolutamente irrealistiche. Poiché non possiamo essere sicuri che l’altro possa saziare tutti i nostri bisogni e offrirci non dico la felicità ma almeno la serenità interiore che ci manca da sempre, è inutile chiedere alla persona che amiamo più di quanto possa darci. Questa, come noi, ha dei limiti che bisogna accettare e rispettare, se non si vuole costringerlo ad allontanarsi, a causa di un carico eccessivo di richieste e lamentele riversate continuamente sul suo animo.

Per tale motivo è bene evitare le continue lagnanze: “Tu non fai, tu non sei…, tu non mi capisci…,tu non cerchi di…”. È meglio sforzarsi di comunicare sentimenti maturi e positivi come l’ottimismo, la fiducia, il coraggio e la stima. Sentimenti questi che aiutano a crescere e ad affrontare con gioia e con serenità le difficoltà e le avversità della vita.

L’ottimismo e l’allegria

Per prevenire conflitti e aggressività reciproche è sicuramente molto utile un sano ottimismo. Uno stato d’animo positivo ci permette di osservare la realtà con animo sereno e lieto, cosicché possiamo nutrire fiducia in noi stessi ma anche in chi ci sta vicino. L’ottimismo ci permette, tra l’altro, di fare assegnamento sulle qualità positive dell’altro, evitando di porre l’accento ed esaltare nel nostro animo gli aspetti negativi che ci infastidiscono e fanno soffrire. Un sano ottimismo può inoltre potenziare le capacità della coppia nel saper riconoscere e affrontare i problemi che ogni giorno si presentano, riuscendo a trovare sempre un giusto compromesso.

Se riusciamo ad accompagnare la nostra vita in due con un atteggiamento e un umore allegro e brioso, sarà inoltre più facile vivere in modo sereno, stabile e duraturo i rapporti sentimentali. Il sentirsi lieti, il divertirsi insieme, il condividere con una risata liberatoria uno scherzo o una battuta, fa sentire la coppia più aperta alla vita e al cambiamento, aiuta a sdrammatizzare le situazioni difficili che inevitabilmente si incontrano, permette di scaricare ed eliminare le inevitabili tensioni, in definitiva, fa gustare meglio il piacere di stare insieme. Naturalmente l’allegria non deve servire a deridere o schernire l’altro giacché quest’atteggiamento produce frutti deleteri in tutte le relazioni.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Ti odio" Conflitto, aggressività e violenza tra i sessi.



[1] Hacker F. (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Milano, Edizioni il Formichiere, p.117.

[2] Dacquino G., (1994), Che cos’è l’amore, Mondadori Editore, Milano, p. 267.

[3] Pirrone, C.,  (2014), “Come dire: Ti prometto di essere fedele sempre”, Famiglia oggi,  n. 3, p. 57.

[4] Dacquino G., (1994), Che cos’è l’amore, Mondadori Editore, Milano, p. 277.

[5] Dacquino G., (1994), Che cos’è l’amore, Mondadori Editore, Milano, p. 266.

[6] Dacquino G., (1994), Che cos’è l’amore, Mondadori Editore, Milano, p. 277.

[7] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p 35.

[8] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 82.

[9] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 223.

[10] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 115.

[11] Dacquino G., (1994), Che cos’è l’amore, Mondadori Editore, Milano, p. 265.

La scelta del partner d'amare

 

 

La scelta del partner dovrebbe essere il risultato di un esame molto attento e scrupoloso e dovrebbe basarsi più su una buona compatibilità caratteriale e sulla presenza di quelle qualità che sono necessarie per instaurare una stabile e serena vita di coppia e familiare, piuttosto che sul piacere, sull’interesse o la passione del momento. Se invece, così come spesso avviene oggi, questa scelta è offuscata dalla cieca, istintiva passionalità, se questa valutazione è frutto soltanto della proiezione dei nostri desideri consci e inconsci, presenti nella fase dell’innamoramento, oppure ancor peggio, se questa scelta nasce in seguito ad un semplice, piacevole, occasionale gioco erotico, non ci si può certo attendere un risultato non dico valido, ma neanche soltanto accettabile, al fine di intraprendere un cammino di coppia stabile, responsabile, sereno e rispettoso dei bisogni e delle esigenze del partner e dei figli.

L’esperienza popolare, acquisita nei millenni, nonché le indagini scientifiche più attuali, hanno da tempo evidenziato quali sono le qualità che devono avere dei coniugi perché sia possibile una buona intesa di coppia e la formazione di una funzionale e sana famiglia. In parole povere non si trova per caso o per fortuna un bravo marito o una buona moglie; non si trovano per caso o per fortuna un padre e una madre responsabili e capaci per i propri figli. Per ottenere ciò sono necessarie delle precise e responsabili scelte. Di queste le più importanti riguardano:

  1. Le affinità.

Intanto, per ottenere una serena vita di coppia è necessario poter condividere con la persona che si ama, molti elementi comuni, come l’età, la cultura, lo stile di vita, le idee, le abitudini, i valori religiosi e morali.

Per Ackerman[1] (1968, p. 200) entrambi i coniugi dovrebbero condividere desideri, valori e dovrebbe esserci una ragionevole compatibilità nelle esperienze emotive, sociali, economiche e parentali. L’avere un’età vicina a quella del partner; possedere valori etici e morali, religione, tradizioni, desideri, aspirazioni, interessi culturali, politici e artistici in comune, ma anche avere uno status sociale simile a quello del partner, facilita molto una buona e stabile intesa (Guèguen, 2009, p. 99). Al contrario si rischia di esporsi a frequenti e gravi conflitti, con conseguenti crisi e rottura del legame coniugale, quando s’intraprende un rapporto di coppia con una persona che ha esperienze, idee, valori, stili di vita e caratteristiche di personalità molto diverse dalle nostre, se non proprio divergenti.[2]

Purtroppo, a causa di vari fattori, tra cui la diffusione di facili contatti mediante gli strumenti elettronici, la globalizzazione del mercato lavorativo, il maggior benessere economico, l’aumento degli scambi turistici e professionali, l’eccessiva libertà sessuale e sentimentale, la scarsa influenza o la totale assenza delle famiglie e dell’ambiente sociale nella scelta del partner, si assiste ad un notevole aumento di relazioni che nascono con caratteristiche molto diverse o addirittura contrastanti. E ciò prelude spesso a conseguenze funeste per l’armonia e il benessere della coppia e, conseguentemente, dei figli.

 

  1. Capacità di instaurare dei sani rapporti con le reti familiari.

Molti scontri tra i sessi sono in qualche modo collegati, anche se spesso ingiustamente, a inopportune o distruttive interferenze che provengono dalle reti familiari dei due giovani. Ciò ha stimolato molte coppie a escludere il più possibile le famiglie d’origine, sia nel momento della scelta del partner, sia durante tutta la conduzione del rapporto. Come dire: “Se le nostre famiglie possono essere causa di conflitto, meglio farne a meno e vivere in modo autonomo, senza alcuna interferenza”.

Questa soluzione, purtroppo, si è rivelata un’amara illusione. La coppia normalmente non è, e non conviene che sia, totalmente indipendente e autonoma dall’ambiente nel quale è nata e si è sviluppata.  Così come non può essere, e non è conveniente che sia, totalmente indipendente dalla nuova rete familiare nella quale s’inserisce. Per tali motivi l’intesa tra i membri d’una coppia è strettamente collegata all’intesa tra e con la propria famiglia, ma anche ai buoni rapporti che riesce ad instaurare con la famiglia del partner.

In definitiva l’avere pochi conflitti con i propri genitori e l’intrattenere buoni, anzi ottimi rapporti con la rete familiare dell’altro, è fondamentale al fine di evitare futuri conflitti di coppia. Inoltre, quando questi dovessero presentarsi, la presenza di familiari disponibili, vicini, attivi, attenti e collaboranti, sarà sicuramente un ottimo viatico, al fine di superare le distruttive possibili crisi. Si tratta allora non di auto isolarsi, ma di apprendere, fin dalla più tenera età, i segreti e i modi migliori per ben relazionarsi con i propri familiari e con quelli del partner, affinché la presenza di queste persone sia di aiuto e sostegno e non diventi motivo di danno per la coppia.

  1. La presenza di adeguate caratteristiche psicologiche.

Non dovrebbe stupire che vi siano persone adatte ad intraprendere una relazione di coppia stabile, serena e produttiva e persone che hanno difficoltà a fare ciò, a causa di caratteristiche di personalità non adeguate a ben relazionarsi, incapacità ad affrontare le difficoltà e gli stress ai quali va incontro una normale famiglia, mancanza di qualità essenziali per comprendere, educare, dialogare e aver cura della prole. In particolare non sono adatte ad una relazione di coppia, così da riuscire a creare e condurre bene una famiglia funzionale ai suoi scopi, gli uomini e le donne che presentano delle problematiche psicologiche di una rilevanza tale da disturbare o peggio rendere impossibile un sereno e costruttivo dialogo. Persone quindi che soffrono di eccessiva ansia, depressione, irrequietezza, instabilità, facile irritabilità e aggressività.

Al contrario le persone più idonee sono quelle che:

  • Possiedono una buona serenità e sicurezza interiore.
  • Hanno valide capacità di ascolto e dialogo.
  • Sono disponibili e vivono con piacere la cura verso l’altro.
  • Sono determinate nell’affrontare le difficoltà e le avversità della vita.
  • Sono dotate di responsabilità e affidabilità.
  • Sono dotate di una buona maturità personale. Questa è indispensabile sia per affrontare i tanti problemi insiti in una relazione così complessa come quella uomo-donna, sia per intraprendere un corretto compito educativo. Dice Spock, (1969, p. 50): “Io direi che la misura più certa della maturità di un uomo o di una donna consiste nell’armonia, nello stile, nella felicità, nella dignità che riesce a creare nel matrimonio e nel piacere e nell’ispirazione che possono dare al coniuge. L’individuo immaturo può arrivare al successo nella carriera mai nel matrimonio”. La maturità personale è indispensabile soprattutto oggi, poiché viviamo in una società non solo molto complessa e articolata, ma anche notevolmente confusa, disgregante e poco coerente.
  • Possiedono buone capacità di adattamento. Nella normale vita familiare le preoccupazioni e le problematiche sono talmente frequenti e numerose che agli uomini e donne che la intraprendono sono richieste buone, anzi ottime, capacità di adattamento. Per tali motivi è notevolmente difficile, se non impossibile, alle persone infantili, deboli o insicure, affrontare adeguatamente le difficoltà e le problematiche presenti nella vita familiare e coniugale.

 

  1. La corretta formazione alla vita familiare e di coppia

Difficile inoltre immaginare che un uomo e una donna possano affrontare una vita insieme senza un’adeguata preparazione e un fruttuoso tirocinio. Tutto ciò in passato era attuato dai genitori, dagli altri componenti la famiglia, ma anche dagli adulti più ricchi di saggezza ed esperienza, che utilizzavano per fare ciò le loro parole e il loro esempio. Purtroppo, spesso oggi questa preparazione e questo tirocinio mancano quasi totalmente. Sono assenti nei genitori, spesso impegnati nel lavoro e nella competizione reciproca, ma sono assenti negli altri adulti e nell’ambiente sociale che ci circonda, che spesso offrono numerosi esempi di comportamenti diseducativi, nei quali prevalgono l’egoismo, l’individualismo e la scarsa responsabilità.

L’educazione attuale, organizzata e impegnata quasi esclusivamente sul piano professionale, si è rilevata assolutamente inadatta a far crescere e maturare degli uomini e delle donne capaci di affrontare il vasto e fondamentale campo affettivo - relazionale, nonché i normali compiti educativi e di cura, che sono indispensabili nel momento in cui si vuole creare una sana e funzionale famiglia.

TTratto dal libro di Emidio Tribulato "Ti odio!", Conflitto, aggressività e violenza tra i sessi.  Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.


[1] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri.

[2] Tra le persone che hanno effettuato un matrimonio misto, la percentuale dei divorzi e delle separazioni è di circa l’80%.  Il tasso del divorzio è il doppio di quello italiano.

Il conflitto e l'aggressività tra i sessi e l'abnorme ricerca di diritti e potere

 

 

Autore: Emidio Tribulato

Uno dei tanti motivi che stimola le coppie a comportamenti aggressivi è legato all’accentuata voglia di esercitare il proprio potere sull’altro. Il movente del potere e del possesso è frequentemente originato dall’impellente desiderio infantile di pretendere per sé una posizione di maggior controllo sugli altri o di possedere in modo esclusivo un oggetto, un lavoro, un ruolo od una funzione.

Questi comportamenti sono molto frequenti nei bambini per cui il fratello maggiore ama strappare la palla dalle mani del fratellino più piccolo, debole e indifeso, non perché questi non gli permetta di giocare ma solo per esercitare un potere su di lui. Come dire: “Io sono più grande e più forte di te. Io sono quello che comanda, tu sei quello che deve ubbidire”. A sua volta il bambino più piccolo, se è abbastanza furbo, riesce anche lui ad esercitare il suo potere sul più grande, piangendo e strillando a più non posso, così da costringere i genitori esasperati, ad accontentare le sue richieste, togliendo al fratello più grande, per darlo a lui, l’oggetto desiderato. Anche in questo caso, pur se indirettamente, il bambino piccolo, nonostante sia meno forte e indifeso, riesce lo stesso a procurarsi e utilizzare, tramite l’autorità genitoriale, un grande potere.

Questi comportamenti sono presenti anche negli adulti, quando questi fanno di tutto per imporre la propria volontà agli altri. I ricatti esercitati dagli uomini sulle donne possono essere di questo tenore: “Lasciami andare alle partite di calcio senza protestare, se no ti lascio e vado a cercare una ragazza più giovane e più accondiscendente di te”. O peggio ancora: “Lascia in pace me e la mia amante se no ti picchio”. I ricatti femminili possono essere di altro genere, ma sono altrettanto stringenti, pressanti e dello stesso tenore, poiché contengono la stessa brama di potere: “Pulisci i piatti e aiutami a sistemare la cucina, se vuoi fare all'amore con me stasera”. Oppure: “Dammi i soldi che ti ho chiesto, se vuoi vedere i tuoi figli”. O peggio ancora: “Se non mi dai ciò che ti ho chiesto, ti accuso di maltrattamenti e di violenza e ti faccio marcire in galera per anni”.

 

Così come quando un bambino picchiato dai compagni apprende che è necessario difendersi e picchiare a sua volta, altrettanto succede nelle relazioni tra adulti: quando uno dei due esercita ingiustamente il suo potere sull’altro, quest’ultimo si sente autorizzato a rispondere, ingigantendo le minacce o peggio le manifestazioni aggressive. “Se tu minacci di denunziarmi per violenza, io ti accuserò di abbandono di minore!”

Ciò avviene sovente nella nostra società e nel nostro periodo storico. Poiché si è affermata la cultura del predominio del più forte e del più prepotente, si crede di poter realizzare qualsiasi cosa, di soddisfare qualsiasi desiderio, utilizzando l’arroganza, i ricatti, le prepotenze e le minacce. Questo tipo di cultura ha coinvolto anche le relazioni tra i sessi. Dice Bonino [1](2005, p.15): “… si evidenzia anche un facile e disinibito ricorso all’aggressione, nel tentativo di imporre agli altri il proprio volere, o addirittura di distruggerli quando questo non è possibile”. Per Dacquino[2]: “Proprio perché comporta l’incontro – scontro di due personalità, l’amore è anche un reciproco tentativo di affermarsi, per cui diventa terreno di sfida e di competizione tra uomo e donna”.

In definitiva, quando qualcuno avverte che l’altro ha dei comportamenti prevaricatori, si sente autorizzato a servirsi delle stesse modalità negative, se non più gravi, per difendersi e vendicarsi della violenza subita. Ciò innesca una spirale perversa, nella quale l’aggressività e la violenza, a volte nascoste, ma più spesso manifeste e presenti, possono diventare nel tempo sempre più intense, gravi e distruttive.

Questo desiderio di potere si è sviluppato soprattutto quando è iniziata la competizione tra i sessi e quando si è affermata l’idea che i ruoli “devono” essere uguali: in famiglia come in politica; nel lavoro come nelle relazioni; pena il sentirsi inferiore all’altro. Pertanto la giusta ricerca di una compiuta uguaglianza e dignità della donna si è trasformata nel tempo, in una lotta per il potere, nella quale è possibile utilizzare tutte le armi a disposizione: politiche, legali, psicologiche e fisiche, pur di sottomettere, schiacciare, costringere e, se possibile, annullare l’altro sesso. È evidente che in una situazione di conflitto costante, nascano e si sviluppino sempre più, tra i generi, dei comportamenti aggressivi e violenti che è difficile, se non impossibile riuscire a gestire e controllare.

È palese come questa non sia la migliore modalità relazionale. L’incontro tra un uomo e una donna, ma anche le relazioni tra omosessuali, transessuali e altri generi sessuali, non dovrebbero essere vissuti come un terreno di conquista, confronto e scontro e certamente non dovrebbero portare al predominio e alla prevaricazione di un sesso sull’altro. Se si utilizza questo tipo di comportamenti, le possibilità di vivere bene e in pace le relazioni diventeranno sempre più un’eventualità rara o mancheranno del tutto. Questi incontri e queste relazioni dovrebbero, al contrario, permettere lo sviluppo di un’intesa, un aiuto e un sostegno reciproco, non solo utile ma direi indispensabile per vivere e collaborare, mano nella mano, in un clima di serenità e pace. 

 

L’eccessiva difesa dei propri diritti e la contemporanea scarsa propensione ai propri doveri.

Nell’attuale società, uno dei motivi di aggressività tra i sessi è dato dal notevole aumento di atti e comportamenti ritenuti necessari alla difesa di alcuni diritti, considerati importanti e sacrosanti da uno dei due, mentre non sono ritenuti tali, non sono accettati e pertanto in vari modi sono ostacolati, dall’altro. Nel momento in cui quest’ultimo non concede quanto richiesto, nasce l’impellente bisogno di esercitare la propria vendetta o ripicca, in modo tale che compensi “l’ingiustizia” subita o la sofferenza provata.

Quelli che sono ritenuti dei propri “diritti” possono nascere dai bisogni personali, dai sentimenti che si provano in quel momento, dalle tradizioni e dai ruoli che la persona ricopre, dalle leggi dello stato; dalle sentenze dei giudici e così via e possono variare in base all’età, al sesso e alle consuetudini del luogo. Pertanto ogni persona, nelle varie età della vita, avverte dei personali bisogni ai quali non vuole e non intende rinunciare.

Coloro che dovrebbero soddisfare questi bisogni sono spesso le persone che amiamo di più, le quali, tuttavia, non sempre sono in grado di ottemperare a quanto richiesto. Facciamo qualche esempio.

Per i bambini i diritti sono spesso dovuti al bisogno e alla gioia di scoprire il mondo che li circonda e al piacere di sperimentare se stessi: le proprie capacità sensoriali, la propria forza fisica, l’agilità motoria. I piccoli sentono intensamente il diritto di scoprire e conoscere come sono fatti gli altri esseri viventi, gli oggetti, i materiali e gli strumenti presenti nel mondo che li circonda. Ciò fanno correndo e saltando da una parte all’altra della casa; smontando e spesso distruggendo i giocattoli, disegnando e colorando dove capita, inventando storie, perseguitando i poveri animali presenti in casa, verso i quali non rinunciano al piacere di tirar loro la coda e le orecchie o di abbracciarli così forte da far loro male.

E guai a chi non accetta la loro insaziabile voglia e piacere finalizzati alla ricerca e alla scoperta. Quando i genitori o i nonni richiamano la loro attenzione, chiedendo di smettere di fare il gioco o l’esperienza che il quel momento stanno conducendo, perché non è giusto distruggere il giocattolo ancora nuovo e ben funzionante, maltrattare gli animali, decorare il corridoio o la stanza da pranzo con i loro graffiti, papà e mamma sono visti non solo come dei disturbatori e degli intrusi, ma anche come dei violenti persecutori, che impediscono di fare quanto ritengono essere un loro sacrosanto diritto. Per tale motivo si sentono nel giusto mentre gridano, piangono e protestano vivacemente.

Per gli adolescenti l’affermazione e la difesa ad oltranza dei propri diritti è strettamente legata alla ricerca di una maggiore libertà e autonomia nell’agire e nelle scelte da compiere, soprattutto nel campo delle amicizie, dei giochi, dei divertimenti, ma soprattutto nei riguardi della loro vita sentimentale e sessuale. Pertanto, di fronte ai genitori, agli insegnanti e agli adulti in genere, è come se continuamente affermassero ed elencassero questi loro “diritti”, come se questi fossero contemplati, a lettere d’oro, negli articoli della carta costituzionale.

“Io ho diritto di uscire in piazzetta tutte le sere insieme ai miei amici, di avere come questi il cellulare di ultima generazione, di andare in discoteca o in pizzeria ogni venerdì e sabato sera, tornando la mattina dopo”. E poi di seguito: “Io ho anche il diritto di frequentare la ragazza (o il ragazzo) che più mi piace, che più mi fa divertire, di fare e possedere tutto quello che fanno e hanno i miei amici” e così via. “Pertanto, chiunque non accetta le mie richieste e non acconsente ad esse, è da considerarsi ingiusto e cattivo, per cui è lecito che io mi ribelli vivacemente e se è il caso lo aggredisca con le mie parole e i miei comportamenti”.

Ma anche gli adulti non mancano di affermare e rivendicare, nei confronti del partner, dei diritti che giudicano legittimi e sacrosanti.

 I diritti dei maschi adulti riguardano, ad esempio, giocare a calcetto tutti i sabati; correre in bicicletta la domenica mattina con gli amici; gareggiare con le moto o con le auto. In altri momenti e per altri adulti più pantofolai i bisogni sono di tutt’altro genere, come: assistere a tutte le partite o agli altri sport trasmessi dalla tv, andare al campo sportivo la domenica o recarsi al bar per chiacchierare e giocare con gli amici, fare in compagnia di questi qualche viaggio di piacere, e così via.

Pertanto, quando la fidanzata, la compagna o moglie che sia, si oppone a tutto ciò, assume facilmente la veste di irriducibile nemica guastafeste.

 

 

Allo stesso modo anche le donne adulte sentono di avere altrettanti bisogni da soddisfare come: andare per negozi per fare shopping in tutte le stagioni, senza porre troppa attenzione al portafoglio e senza badare alla lunghezza delle gonne ed alla profondità delle scollature, sistemare frequentemente la propria capigliatura dal parrucchiere, chiacchierare per ore con le amiche, vedere alla tv le telenovele che fanno battere forte il cuore, chattare in ogni momento della giornata in tutti i gruppi nei quali sono iscritte, inserire le ultime foto o le loro ricette su Facebook, e così via. Pertanto il marito, il fidanzato o compagno, quando osano opporsi a questi e ad altri desideri e bisogni che le donne sentono di dover soddisfare, si prenderanno facilmente l’appellativo di “retrogradi, violenti e prepotenti maschilisti”.

Ci sono poi dei nuovi ed entusiasmanti “diritti”, strettamente legati al sesso, alle emozioni e ai sentimenti del momento, ritenuti un po’, ma solo un po’, troppo spinti, ai quali tuttavia le moderne società offrono una notevole dose di comprensione e accettazione. Sono il diritto di correre dietro ogni gonna o pantaloni che si trovano nei paraggi, che può procurare vivo piacere ed eccitazione o quello di lasciar correre a briglia sciolta le emozioni amorose, quando queste fanno battere forte il cuore.

In queste, e in tante altre occasioni, appare inutile far notare che accanto ai tanti “diritti”, che ognuno di noi proclama, dovrebbero riconoscersi altrettanti doveri: nei confronti della persona che ci sta accanto, verso i figli, verso la rete familiare e verso la società, in relazione  al lavoro, ma anche in ordine alla morale o al semplice buon gusto.

 

Purtroppo il numero e la quantità di questi “diritti” si sono nel tempo moltiplicati a dismisura in tutte le età e in entrambi i sessi, a causa della martellante pubblicità, presente in ogni ora del giorno e della notte in tutti i mezzi di comunicazione di massa. Pertanto quando qualcuno accenna a limitarli o indirizzarli correttamente, sopravviene o si accentua immediatamente uno stato di frustrazione, che alcuni soggetti non riescono a sopportare e pertanto reagiscono con manifestazioni aggressive e violente.



[1] Bonino S., (2012), “L’assurdità delle punizioni fisiche: Ti picchio per insegnarti a non picchiare”, Psicologia contemporanea, gennaio-febbraio, p. 15.

[2] Dacquino G., (1994), Che cos’è l’amore, Milano, Mondadori Editore, p. 264.

 

La scomparsa del galateo tra i sessi

 

 

Una delle tante conseguenze della presenza di una continua e incessante lotta tra uomini e donne, è stata la scomparsa quasi totale di ogni indicazione che, nelle generazioni passate, era presente nel galateo tra i due sessi. Queste indicazioni imponevano agli uomini e alle donne una serie di precisi comportamenti, atti a proteggere, curare, rispettare, far stare bene e rassicurare l’altro. Queste indicazioni e consigli che venivano dati dalla società nel suo complesso, ma soprattutto dai genitori ai figli, permettevano a ogni uomo e donna di avere una base sicura dalla quale muoversi, nel momento in cui volevano confrontarsi con il sesso opposto, per intraprendere e costruire un rapporto armonioso, rispettoso e stabile.

Sia agli uomini sia alle donne, tenendo presenti le loro caratteristiche peculiari, erano indicate le migliori norme per proteggere, aiutare, rassicurare, gratificare, rendere sereno e per quanto possibile lieto, l’altro sesso. Queste istruzioni erano così cogenti e numerose, da apparire oggi assolutamente poco credibili e fuori luogo. L’episodio personale che qui descrivo ne è un esempio.

 

Il mio vecchio padre soffriva da molto tempo del morbo di Parkinson. Mi ero reso disponibile a curarlo personalmente ma, data la patologia cronica e ingravescente, i risultati erano stati modesti. Pertanto, tenendo conto della mia giovane età e della mia scarsa esperienza nel settore, mi chiese di prenotargli una visita presso un altro specialista, molto più anziano di me e sicuramente molto più illustre, che visitava a Roma. Naturalmente acconsentii subito alla sua richiesta e così prenotai anche l’aereo per la Capitale. Il viaggio di andata si svolse senza particolari problemi, tranne le continue attenzioni e l’aiuto che dovevo necessariamente fornire al vecchio genitore, quando era costretto a camminare, sedersi, alzarsi e, soprattutto, quando fu costretto a salire le scalette dell’aereo che, a quel tempo, erano piuttosto strette e ripide.

I guai cominciarono quando arrivammo nella clinica privata, dove visitava l’illustre collega neurologo. Data la fama di questi, i pazienti presenti nella sala d’attesa erano numerosi, per cui riuscii con difficoltà a trovare una sedia nella quale sistemare il traballante genitore. Contento e soddisfatto della mia impresa, aspettavo in piedi che la gentile segretaria ci chiamasse quando, dopo pochi minuti, alzando gli occhi dalla rivista che avevo appena iniziato a leggere, lo vidi alzarsi di scatto per cedere il suo posto a una donna molto più giovane e sicuramente molto più stabile di lui. Assolutamente conscio delle problematiche motorie e dello scarso equilibrio dell’anziano genitore non persi tempo nel cercare un altro posto dove farlo accomodare.

Cercando nuovamente di rilassarmi ritornai a leggere gli articoli della rivista quando, alzando gli occhi, lo rividi nuovamente in piedi, mentre il suo posto era occupato da un’altra donna. A questo punto non riuscii a trattenermi dal rimproverarlo, anche se in modo affettuoso, per quel gesto imprudente, facendogli notare che, a causa della sua instabilità motoria, rischiava di cadere da un momento all’altro. Fui tuttavia sopraffatto e bloccato dalla sua risposta ferma e decisa: “Io, uomo, non posso starmene tranquillamente seduto, mentre una signora è in piedi”.

Rassegnato, andai nuovamente alla ricerca di un’altra sedia!

Prima che arrivasse il suo turno, la stessa scena si ripeté più volte: immancabilmente mentre io mi affannavo a cercare e trovare una sistemazione più sicura per lui, in qualche poltrona o sedia che fosse, egli, con uno scatto fulmineo, anche se barcollando, si alzava per cedere il suo posto a ogni donna che entrava nella sala d’attesa.

Dopo la breve visita, ritornando all’aeroporto, m’illusi che i problemi dovuti all’estrema sua disponibilità e cortesia nei confronti del genere femminile fossero terminati, anche perché, nelle sale d’attesa, vi erano molti posti liberi. Tuttavia qualcos’altro colpì la sua attenzione. Proprio accanto a noi si era seduta una donna di non più di quarant’anni. Dopo aver saputo che la signorina viaggiava da sola, nel mio vecchio padre emerse immediatamente il mai sopito istinto cavalleresco, pertanto non poté esimersi dal prendere la donna sotto la sua ala protettrice.

Le richieste nei miei confronti affinché nulla mancasse alla solitaria viaggiatrice erano categoriche: “Lo sai che negli aeroporti vi possono essere dei ladri? Che aspetti a sistemare la valigetta della signorina accanto a noi?” “Non rimanere lì impalato, vai al bar a comprare quello che la signorina desidera, non può certamente rimanere a digiuno!”. “Chiedile se deve andare ai servizi e in tal caso accompagnala”.

 

Anche durante l’imbarco egli non riuscì ad esimersi dal prestare il suo sostegno e i suoi servizi da perfetto gentiluomo alla donna. Pertanto, agli osservatori si offrì uno spettacolo che oggi apparirebbe assolutamente incredibile: quello di un giovane figlio, costretto a tenere con una mano una valigia, mentre con l’altra cerca di aiutare il vecchio padre disabile che, sbilenco, si arrampica sui gradini di una ripida scaletta di aereo, rischiando in ogni momento di cadere, mentre questi, dal canto suo, non può esimersi dal tenere ben stretta in mano, la valigetta d’una giovane donna la quale, con fare spedito, sicuro e leggiadro, precede tutto il gruppo!

Il compito del vecchio gentiluomo terminò soltanto quando, arrivati all’aeroporto di Catania, poté consegnare al genitore della signorina, sana e salva la figlia, che aveva curato e protetto per tutto il tempo del viaggio.

Dicevamo una scena poco credibile oggi, giacché tali comportamenti, non soltanto non sono valorizzati, ma da molto tempo sono aborriti e anche completamente aboliti sia dagli uomini sia dalle donne. Ognuno, uomo o donna che sia, non importa se giovane o anziano, si sente in diritto di comportarsi nei confronti dell’altro sesso, così come gli aggrada in quel momento, senza tener presente la sensibilità e le attese di chi dovrebbe rispettare e, soprattutto, senza tener in alcun conto i bisogni e le necessità di chi ha di fronte o si trova accanto a lui. Se gli uomini non pensano affatto a cedere il posto alle donne sull’autobus o in metropolitana, né sono disposti a pagare il conto dell’amica al ristorante o portare i libri della compagna quando si recano insieme a scuola, le donne,da parte loro, non sono assolutamente disponibili a ricambiare con qualche altra gentilezza o cortesia l’altro sesso. Ognuno di loro, chiuso nel suo egoismo, pensa piuttosto a come difendersi e offendere piuttosto che al modo migliore per aiutare, assistere e far piacere all’altro.

Con tali comportamenti è facile capire come tra i due sessi siano diventati molti più frequenti gli atteggiamenti che fanno soffrire piuttosto che quelli che fanno gioire. Altrettanto facile immaginare quanto siano più numerosi i comportamenti che rendono insicuro, irritabile e aggressivo chi ci sta accanto, piuttosto che i gesti e le parole atti a rassicurare, rasserenare e proteggere. La disponibilità a un piccolo o grande sacrificio, pur di essere vicini e aver cura dell’altro, è considerata retaggio di lontani periodi storici, quando uomini e donne erano schiavi di questi comportamenti ed atteggiamenti altruistici e cavallereschi.

 

Tutto ciò è avvenuto, lo sappiamo benissimo, nel momento in cui l’uguaglianza nella dignità e nella responsabilità dei sessi è stata trasformata in uguaglianza nei ruoli, nei comportamenti, nelle aspirazioni, nei desideri, negli atteggiamenti e nei comportamenti. “Se la donna che sta accanto a me, uomo, è come me, perché dovrei cederle il mio posto in autobus o in metropolitana? Perché dovrei usare un linguaggio attento alla sua sensibilità? Perché dovrei esentarla dagli impegni e lavori più difficili, gravosi, sporchi o pericolosi? Perché mai dovrei proteggerla e rassicurarla? Si arrangi!”

D’altra parte, se non tutte, anche molte donne rese, almeno apparentemente, sicure e forti delle loro idee di uguaglianza, non accetterebbero più di essere trattate con la delicatezza e l’attenzione riservate alle loro madri e nonne del passato; così come non accetterebbero di essere esentate dai lavori più pericolosi e gravosi; né tantomeno vorrebbero essere escluse dall’ascoltare i racconti, le parolacce e le barzellette più spinte e piccanti.

Questi comportamenti maschili, che una volta erano spontanei e naturali, oggi sarebbero giudicati come un venir meno dei principi di uguaglianza e quindi significherebbe per loro sentirsi trattate come “donnicciole d’altri tempi” e non come delle donne forti, sicure di sé, coraggiose, impavide, pienamente libere ed emancipate, che non hanno alcun bisogno di protezione e cura da parte del sesso opposto.

La stessa cosa avviene per il sesso femminile: “Se l’uomo che è accanto a me è come me, se uomini e donne siamo uguali, perché dovrei essere attenta ai suoi bisogni? Perché dovrei rispettare la sua sensibilità nei riguardi dei temi e delle situazioni che più possono turbarlo o metterlo in difficoltà? Perché dovrei stare attenta a non sollecitare la sua gelosia? Per quale motivo dovrei rispettare la sua dignità, la sua virilità e il suo onore? Perché dovrei rinunciare a vestire come mi pare, usare il linguaggio che desidero, comportarmi con il cameratismo che mi aggrada, solo perché a lui e agli altri uomini, queste cose danno fastidio? E poi perché dovrei aver cura di lui, preparargli da mangiare, lavare e stirare la sua biancheria, se tutte queste cose lui le potrebbe fare da solo, con le sue mani?”

Quest’altro episodio può meglio chiarire quali tipi di rapporti tra i sessi, in questi anni abbiamo contribuito a costruire.

Com’è risaputo oggi quando siamo in treno, in autobus o in metropolitana, volenti o nolenti siamo costretti ad ascoltare quello che il vicino di posto comunica usando il suo cellulare. Di solito cerco di astrarmi e non seguire quanto viene detto attorno a me, sia per il fastidio che ciò mi provoca, sia per un certo senso di pudore. Tuttavia in un mio recente viaggio in treno non sono riuscito a fare ciò. Troppo strane e bizzarre erano le frasi che ascoltavo dall’uomo seduto di fronte a me, per riuscire ad escluderli dalla mia mente. Quest’uomo, sulla cinquantina, ben vestito e rasato, con un viso allegro e soddisfatto, che tra l’altro, ho saputo in seguito, eseguiva un’importante e responsabile attività lavorativa, non faceva altro che registrare e inviare messaggi vocali con frasi davvero strane: “Sai cosa fai, Salvatore?, Quel gatto della tua ex, buttalo fuori di casa e poi puoi sempre dire a lei che è scappato”. E subito dopo un altro messaggio: “Oppure, ascoltami bene, Salvatore, puoi fare ancora meglio: invita la tua ex moglie a pranzo e servile il gatto cotto al forno con contorno di patatine, ma non le dire niente se non alla fine del pranzo”. E ancora: “Va bene, se non vuoi farlo tu, lascia entrare il gatto quando il tuo pitbull è libero, in giro per la casa e aspetta che sia lui a sbranarlo”.

Durante il viaggio, ridendo, ci tenne a spiegarmi che l’ex moglie del suo amico era andata in vacanza e aveva lasciato a quest’ultimo la cura del suo gatto. E poiché questo compito non era gradito all’amico, lui si era sentito in dovere di dargli qualche prezioso e utile consiglio!

Naturalmente il tutto era detto con un sorriso e c’è da sperare che non dicesse sul serio quando incitava l’amico a far gustare all’ex moglie quel particolare menù. Tuttavia i segnali del tipo di rapporti che oggi spesso sono presenti tra uomini e donne, specie tra separati, sono a volte di questo tenore.

 

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Ti odio!", Conflitto, aggressività e violenza tra i sessi.  Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

 

 

 

 

Le illusioni nel campo amoroso

 

 

 

 

Autore: Emidio Tribulato

Se le attese che abbiamo nei riguardi della vita in generale, dell’altro sesso, dei sentimenti amorosi e delle qualità delle persone che incontriamo e di cui ci innamoriamo e se le aspettative presenti in un’unione stabile, come il matrimonio, sono realistiche, la nostra vita sarà sicuramente più serena e accettabile, poiché ogni cosa che il partner o la relazione sentimentale potrà darci ci sembrerà importante, anzi preziosa. Pertanto la soddisfazione che ne avremo compenserà certamente le eventuali frustrazioni. Se al contrario le attese sono eccessive; se non ci accontentiamo facilmente di quello che gli altri e la vita ci offrono, se dai nostri desideri e aspirazioni ci lasciamo facilmente trasportare nel mondo delle illusioni, cosicché pensiamo che riusciremo ad ottenere dalla persona che amiamo il massimo della perfezione, dell’amore, della gentilezza, dell’accoglienza, della sollecitudine e dell’onestà, in questo caso, poiché ci lasciamo trasportare da una serie di sogni irrealizzabili, è molto probabile che nasceranno insoddisfazione, sconforto e cocenti delusioni.

Di conseguenza possono sorgere nel nostro animo aggressività, livore e rabbia, nei confronti della vita in generale, ma soprattutto nei confronti delle persone a noi più vicine, che consideriamo responsabili per non averci concesso quanto sognato, desiderato e immaginato. Tutto ciò non potrà che tradursi in continue rimostranze, che potranno creare i presupposti sia per rapporti instabili e precari sia per comportamenti aggressivi e violenti.

 

Le illusioni nel campo affettivo – relazionale sono molte:

  1. Credere che la passione provata all’inizio del rapporto rimanga immutata nel tempo.

Sappiamo benissimo che i cambiamenti in senso positivo o negativo dovuti all’età, alle continue, nuove esperienze e situazioni alle quali ci sottopone la vita: come le malattie, la perdita del lavoro, una nuova gravidanza o il dover affrontare situazioni difficili e confronti imbarazzanti, sono la norma e non l’eccezione. Per tale motivo piuttosto che arrabbiarci, rifiutare e opporci ai cambiamenti, difendendo rigidamente lo status quo, dovremmo essere pronti a sfidarli, adattandoci a essi.

  1. Credere che se qualcuno ci ama, sarà sempre in grado di capire ogni nostro bisogno, sensazione, emozione e desiderio.

L’amore, quando è vero e reale, è un sentimento molto forte e potente, tuttavia, anche quando siamo riusciti ad esprimere al nostro partner in modo chiaro ed evidente i nostri bisogni e desideri, difficilmente lo troveremo sempre disposto ad accoglierli e soddisfarli pienamente.

  1. Credere che per amore l’altro possa snaturare le proprie caratteristiche di personalità per adattarle alle nostre.

Ci sono sempre degli insopportabili difetti che vorremmo cancellare nella persona che amiamo, perché ci fanno innervosire, irritare o soffrire. Nello stesso tempo vorremmo che l’altro potesse acquisire, se non tutte, buona parte delle caratteristiche da noi richieste e desiderate. In realtà questa speranza non è totalmente vana. Qualche piccola modifica nel comportamento della persona con la quale abbiamo una relazione amorosa, è possibile, ciò che è illusorio è che avvenga un cambiamento radicale. È necessario allora fare delle scelte oculate, prima di iniziare un rapporto amoroso, piuttosto che chiedere per amore, in un momento successivo, un impossibile cambiamento.

 

 

  1. Credere che l’altro abbia le qualità che scorgiamo durante la fase dell’innamoramento.

Una delle principali illusioni riguarda la fase dell’innamoramento. I libri, i tanti film, le soap opere e le riviste, con o senza carta patinata, negli anni ci hanno suggerito, fino a convincere molti di noi, che tutto ciò che crediamo e sogniamo, quando siamo in preda a una sconvolgente passione, sia qualcosa di reale e concreto, mentre dovremmo sapere molto bene che così non è. Le emozioni anche molto intense, vissute durante la fase dell’innamoramento, sono spesso delle vere e proprie illusioni mentali, nelle quali i nostri sogni, i nostri bisogni interiori, i nostri desideri, le nostre aspirazioni, sono proiettati su un altro e per ciò stesso diventano veri e concreti per noi, ma solo per noi e solo durante questo particolare, roseo periodo. Il corpo che abbracciamo è certamente reale e concreto ma la parte più intima e profonda di quella persona in quei momenti ci sfugge quasi totalmente e solo in seguito dovremo imparare a conoscerla, capirla e accettarla.

  1. Credere che esista in qualche parte del mondo la donna e l’uomo che si adattino perfettamente a noi.

Alcuni sprecano tutta la loro vita nella ricerca “dell’altra metà della mela” e cioè della persona che riesca non solo a capirli fino in fondo ma che sia anche disposta ad accontentare e soddisfare tutti o quasi tutti i loro bisogni e desideri. Tuttavia questi desideri e questi bisogni nel nostro tempo sono diventati talmente numerosi e spesso anche contrastanti, che sarebbe veramente un miracolo trovare qualcuno che riesca ad appagarli realmente. Pertanto crediamo sia molto più conveniente impegnarsi ad amare e rendere stabile e produttivo un legame con una persona la quale, pur avendo dei limiti e dei difetti, ha anche dei pregi che possiamo scoprire, coltivare e valorizzare.

  1. Credere che lo stare insieme o lo sposarsi sia fonte di perenne gioia, se non di piena e totale felicità.

Questa convinzione ci spinge a pensare che la persona amata abbia il dovere di darci tutta la gioia e la felicità che sogniamo e alla quale aspiriamo. In questo caso non si riflette abbastanza sul fatto che anche soltanto uno stato di sufficiente benessere interiore, dipende da molteplici fattori, legati solo in parte, alla realtà attuale. Molti elementi del nostro benessere o malessere dipendono più dalle esperienze del passato che da quelle del presente. Pertanto la persona amata può solo aiutarci a vivere meglio e con più serenità, ma non potrà modificare, se non in piccola parte, i nostri più profondi vissuti interiori, quando questi sono frutto di traumi o disturbi psichici che traggono la loro origine dal nostro lontano passato.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Ti odio!", Conflitto, aggressività e violenza tra i sessi.  Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

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