L'ambiente psicologico

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Ambiente favorevole e sicuro e ambiente sfavorevole e insicuro

 

Fondamentalmente vi sono due tipi di ambienti:

Uno favorevole e sicuro e uno sfavorevole e insicuro.

Un ambiente favorevole e sicuro permette al bambino di  crescere  in modo fisiologico e sano, fino al raggiungimento di una buona maturità. Questa gli potrà permettere, in un futuro, di assumersi facilmente, come uomo o come donna, i compiti e le responsabilità ai quali sarà chiamato: impegni e bisogni personali, di coppia e familiari, doveri morali, religiosi, sociali, lavorativi, politici ecc.

Per Bowlby, 

“Sappiamo che oggi il compito centrale della psichiatria dello sviluppo è proprio quello di studiare l’interazione senza fine tra mondo interno e mondo esterno e il modo in cui uno influenza costantemente l’altro, non solo durante l’infanzia, ma anche durante l’adolescenza e la vita.

Appare ormai evidente che gli avvenimenti accaduti all’interno della famiglia durante l’infanzia e l’adolescenza giocano un ruolo importante nel determinare se una persona crescerà mentalmente sana o no” .

Quando invece il bambino è costretto a crescere in un ambiente sfavorevole e insicuro, questa situazione con molta facilità altererà, limiterà, impedirà o renderà difficile il sano sviluppo del suo Io. Cosicché l’individuo che si formerà porterà in sé delle stigmate che impediranno, gli renderanno difficile o disturberanno la sua vita personale e sociale, nonché i futuri ruoli e compiti che la vita gli chiederà.

In questi casi, se le problematiche saranno abbastanza gravi e importanti, la società dovrà necessariamente farsi carico dei suoi limiti e dei suoi problemi mediante una serie di attività di cura e assistenza. Inoltre, poiché le problematiche infantili spesso si prolungano nell’adolescenza e nell’età adulta si avranno non solo dei bambini disturbati ma anche degli adolescenti e degli adulti con problematiche psichiche più o meno gravi.

Purtroppo buona parte delle problematiche infantili non scompaiono con l’età ma spesso si modificano soltanto i sintomi, che poi sono i  segnali della sofferenza che li provoca.

Un ambiente favorevole e sicuro è fatto sostanzialmente di persone.

È, quindi, fatto di rapporti, gesti, scambi, pensieri, immagini, idee, sentimenti, emozioni, dialogo e attività ludiche.

Per costruire accanto al bambino un ambiente umano favorevole al suo sviluppo sono necessarie alcune condizioni.

La presenza

La prima condizione è data dalla presenza umana:

  • Presenza fisica
  • Presenza affettiva.
  • Presenza dialogante.
  • Presenza emotiva.
  • Presenza relazionale.

Sul problema della presenza una volta per tutte sarebbe bene che mettessimo in soffitta quanto si ripeteva continuamente durante il periodo del femminismo più acceso: che la qualità della presenza riesca a sopperire alla scarsa quantità.

Tutti gli studi confermano che ogni bambino, per crescere bene, ha bisogno di una notevole quantità  e qualità di presenza genitoriale.  Il motivo è semplice: l’essere umano è estremamente complesso per cui i suoi bisogni affettivo-relazionali sono altrettanto complessi e numerosi. Pertanto non possono essere soddisfatti da brevi apparizioni giornaliere, tra un impegno e l’altro.

Per quanto riguarda la qualità della presenza ricordiamo che sono importanti:

Le caratteristiche di personalità e la disponibilità delle persone che hanno cura del bambino. Pur non essendo necessaria la perfezione, non vi è dubbio che le persone vicine al bambino, specialmente i genitori, devono possedere oltre a una buona maturità e disponibilità anche una sufficiente serenità e un buon equilibrio interiore. Ricordiamo che le paure, le ansie, la depressione, i comportamenti ossessivi, gli atteggiamenti aggressivi o peggio violenti dei genitori e familiari, se superano una certa soglia, sono molto dannosi per il fragile animo del bambino.

La disponibilità affettiva. È  necessario inoltre che queste persone siano in grado di dare tutto l’amore e l’affetto dei quali il bambino necessita per il suo sano sviluppo, in modo da creare attorno a lui un nido caldo, tenero e gioioso.

Le capacità di ascolto e comunicazione. Atre qualità importanti dei genitori sono date dalle loro  capacità di ascolto e comunicazione. Qualità queste indispensabili per capire  e rispondere adeguatamente e coerentemente ai bisogni del bambino, tenendo conto della sua età e del suo sviluppo.

Le caratteristiche dell’ambiente familiare. Tutte le persone che sono vicine al bambino dovrebbero  saper creare attorno a questi un ambiente sicuro e sereno, ricordando che un ambiente dà sicurezza e serenità quando le persone vivono tra loro in buona armonia e rispetto reciproco, per cui i contrasti sono rari, di breve durata e sono risolti rapidamente.

Al contrario un ambiente insicuro e ansioso è quello che provoca nel bambino inquietudini, paure, conflitti interiori e lo costringe a schierarsi: “mio padre è buono, mia madre è cattiva”. “I nonni sono buoni, papà e mamma sono cattivi”, costringendo il bambino a chiedersi qualcosa che non vorrebbe mai chiedersi: “Chi ha ragione?” “Chi ha torto?” “A chi devo voler bene?” “Chi devo odiare?” “Chi devo amare”.

 L’ampiezza e la funzionalità della rete familiare: è importante anche il numero delle persone accanto al bambino.

A volte ci si illude di essere autosufficienti: “Io e mio figlio bastiamo l’uno all’altro”. Ricordiamoci che quanto più una famiglia è piccola tanto più è fragile e problematica.

Il bambino ha molte più possibilità di crescere bene quando può godere di una rete familiare funzionale, ma anche ricca e numerosa, che gli permetta di attuare molti possibili legami fatti di dialogo, accoglienza, cure, intese e sostegno, utilizzando i rapporti con le persone più sane, equilibrate e disponibili del gruppo familiare.

Le caratteristiche e i ruoli sessuali. Il bambino ha bisogno di persone che abbiano caratteristiche e ruoli sessuali chiari e specifici.

Anche in questo caso ci si illude dicendo a se stessi di potere essere per i propri figli ciò che si vuole: maschio o femmina, padre o madre. D’altra parte è molto limitante per il bambino confrontarsi e identificarsi solo con un sesso.

Per il suo mondo interiore è prezioso l’arricchimento che può ottenere  quando ha la possibilità di scoprire, confrontarsi e amare persone con caratteristiche sessuali diverse e complementari. È bello per ogni piccolo accogliere nel proprio Io  la tenerezza, la capacità di accoglienza, le capacità di cure della figura materna, insieme alla forza, alla determinazione, alla sicurezza, all’intraprendenza e al coraggio della figura paterna.

La stabilità dell’ambiente. Il bambino ha bisogno di avvertire che l’ambiente e le persone attorno a lui hanno caratteristiche di stabilità.

Egli deve potere dire a se stesso, prima che agli altri con tranquillità e sicurezza: “Questo è mio padre”, “Questa è mia madre”; “Questa è la mia casa” “Questa è la mia famiglia” “Questi sono i  miei fratelli e le mie sorelle” “Questi sono i  miei nonni, questi sono i miei zii”. Al contrario si sente confuso e in preda all’ansia e alle paure quando l’ambiente intorno a lui è troppo vario e non ha confini chiari e netti. “Qual è la mia casa? Quella della mamma o quella del papà? “O forse la mia casa è quella della fidanzata del papà o quella dell’amico della mamma?”

Anche in questo caso con molta faciloneria ci si illude che il bambino possa adattarsi facilmente quando si modificano o vengono alterati, da un momento all’altro, i suoi punti basilari di riferimento. Questa idea, purtroppo, non è realistica.

L’adattamento è una risorsa molto importante, ma spesso non è sufficiente a limitare o contrastare i danni causati dall’instabilità, la quale con facilità tende a generare nel piccolo paure, ansie e conflitti interiori.

 Il caso di Fabio è emblematico.

Questo bambino di nove anni, era nato da una donna la quale aveva vissuto delle situazioni sentimentali sempre molto varie e complicate. La madre si era sposata una prima volta con un uomo dal quale aveva avuto una figlia.

Separatasi dal marito aveva convissuto per due anni con il padre di Fabio, dal quale si era allontanata quando il bambino aveva solo due anni. Subito dopo aveva iniziato una relazione con un uomo sposato. Relazione che era durata diversi anni.

Quando la donna prese la decisione  di lasciare l’amante per un altro uomo, questi iniziò a perseguitarla, minacciandola in vario modo. Tale comportamento spinse la donna a decidere di trasferirsi con il figlio in un’altra regione d’Italia, allontanando così da lei il pericolo rappresentato dall’ex amante.

Con tale decisione però, il figlio sentiva di essere costretto a restare lontano dal padre, dai nonni, dai compagni, nonché dalla casa e dalla città natale, nella quale fino a quel momento era vissuto. Il bambino, molto risentito per questa situazione, nella ricerca di un minimo di benessere interiore, avvertiva nel suo intimo il bisogno di difendersi e punire chi gli aveva fatto e gli stava facendo del male. Come possiamo notare da questo suo racconto, il bisogno di difesa e di sanzioni, nella sua fantasia avevano assunto degli aspetti drammatici.

Il cavaliere, il drago e la strega

“C’era una volta un cavaliere che andò con il suo cavallo tanto lontano. Un giorno giunse a un punto e lì ha visto un drago. Pian piano avvicinandosi alla bestia il drago si svegliò e se ne andò via. Però il cavaliere con il suo cavallo lo inseguì e lo uccise. Lo uccise perché il suo comandante, il suo re, gli disse di uccidere il drago perché era una minaccia per il Paese.

Quando uccise il drago lo portò al Paese e lo mise davanti al re. Però il cavaliere non sapeva che il re era una strega che lanciò una maledizione sul cavaliere e lo fece diventare una rana. Il ranocchio andò a casa di una principessa. Questa ragazza era la figlia di un re di un altro Paese. Quando arrivò a casa della principessa, questa gli disse: “Ma tu chi sei?” Il ranocchio gli rispose: “Sono il cavaliere ma la strega mi ha fatto una maledizione. La principessa capì il problema e allora lo baciò, ed il cavaliere tornò normale.

Il cavaliere e la principessa corsero insieme con le guardie dalla strega e la imprigionarono nelle segrete. Da quel giorno in poi la strega era nelle segrete, così il cavaliere e la figlia del re vissero felici e contenti”.

Se interpretiamo il racconto di Fabio alla luce della sua storia familiare e personale, capiamo benissimo che egli, come un bravo cavaliere senza macchia e senza paura, sente prepotentemente il bisogno di ubbidire al suo re (in questo caso a suo madre) eliminando, in maniera definitiva, l’essere cattivo che attenta alla sicurezza sua e della sua famiglia, nel suo caso l’amante della madre che egli descrive come un drago. A questo proposito è da notare che egli non è proprio molto convinto della cattiveria di quest’uomo. Infatti il drago si allontana da lui e scappa piuttosto che affrontarlo!

Tuttavia, dopo aver eliminato il drago, capisce che i suoi problemi non sono solo all’esterno della sua famiglia, ma stanno nella sua casa e vivono accanto a lui: il problema maggiore è proprio la madre che con i suoi comportamenti incongrui  (il bambino diceva che la madre faceva sempre “casini”) lo aveva messo in passato e continuava metterlo in situazioni di gravi difficoltà. A questo punto la soluzione non può che venire dall’esterno della sua famiglia. La soluzione può venire solo da una ragazza, una buona principessa, figlia di un vero re e non di una strega. Ed è alleandosi con questa ragazza che gli è possibile fare in modo che la madre, causa di buona parte dei suoi problemi, sia rinchiusa nelle segrete, così che non possa più nuocergli.

I ruoli. Il rapporto con i minori è bene che sia attuato  da persone che hanno contezza del loro ruolo, così da poter soddisfare pienamente i bisogni essenziale del bambino. Come non sottolineare, infatti, che  un padre non può sostituire sempre e in ogni situazione una madre e viceversa; che un nonno o una nonna pur essendo figure fondamentali per la crescita dei minori non hanno la stessa valenza educativa e affettiva dei genitori del bambino; così come le insegnante o le babysitter  pur essendo preziose in alcune precise situazioni e condizioni non possono certo sostituire  altre figure familiari di accudimento.

 

Che cosa succede quando un ambiente non è favorevole allo sviluppo di un bambino?

Quando ciò avviene frequentemente compaiono le conseguenze della sofferenza causata dalle situazioni di stress, dalle frustrazioni, dai traumi subiti.

Noi chiamiamo  “sintomi”  i segnali attraverso i quali il bambino manifesta la sua sofferenza ma anche le difese che il bambino mette in atto per fronteggiare o diminuire il danno provocato dalle situazioni traumatiche o eccessivamente frustranti e stressanti che è costretto a subire.

I sintomi possono essere molto diversi:

  • La chiusura.
  • Le difficoltà nella socializzazione.
  • Le difficoltà nella comunicazione e nel dialogo.
  • Le ansie, le paure, le fobie.
  • I disturbi del comportamento.
  • Le stereotipie.
  • Le manifestazioni regressive.
  • L’aggressività.
  • Le manifestazioni psicosomatiche.
  • I sintomi depressivi.
  • I disturbi alimentari.
  • I disturbi dell’apprendimento.
  • I disturbi dell’attenzione.
  • Le manifestazioni fobiche - ossessive.
  • L’instabilità .
  • La scarsa fiducia e le maggiori difficoltà nei futuri legami affettivi ed amorosi.
  • I problemi di identità e identificazione. E così via

 

Purtroppo questi disturbi, come abbiamo detto, non cessano con l’età, ma soltanto si modificano in altri sintomi. Ne è un esempio la storia di Maria, la quale nonostante la sua tenerissima età aveva ben compreso:

  • Che cosa permette al cuor di un bambino di crescere e svilupparsi.
  • Che cosa, invece, lo fa rattrappire fino a portarlo a una grave regressione .
  • Come può migliorare un bambino quando gli viene dato l’aiuto necessario.
  • Cosa resta della sofferenza subita anche quando sono scomparsi o si sono attenuati i sintomi più grossolani.

Questa bambina aveva  appena cinque anni quando ha iniziato a frequentare il nostro centro. Era di famiglia agiata, i genitori si erano separati. Quando la piccola è stata da noi visitata  lamentava uno stato di grave regressione psicologica.

Il suo racconto fu dettato quando, dopo aver attuato degli interventi sulla coppia genitoriale e una psicoterapia della bambina, la piccola era molto migliorata, tanto che la regressione era quasi totalmente scomparsa.

Un fiore, un diamante, un cuore e tanta puzza

 “C’era una volta una famiglia. Avevano una casa bellissima e avevano una figlia. La figlia un bel giorno ha guardato un fiore azzurro e ha detto: “Me lo voglio prendere”. Se l’è preso e dopo un po’ di giorni la bimba è diventata grande. E anche il fiore è diventato grande e dentro il fiore c’era un diamante e dentro il diamante c’era il cuoricino della bimba che stava crescendo. La bambina era felice perché aveva un diamante in casa.

Sua madre non se n’è accorta ed ha buttato il fiore con dentro il diamante ed il cuore. La figlia cercava il diamante ma non lo trovava e allora è diventata sempre più piccola, ed è diventata neonata e la mamma ha detto: “Come può essere che è diventata neonata?”

Questa bimba neonata parlava e ha chiesto alla madre il diamante e la madre ha detto che era nella spazzatura. Lei (la bimba), l’ha ripreso ed era tutto sporco. Dopo l’hanno pulito, ma faceva puzza di pesce. E la bimba è tornata grande, ma, nonostante questo, è rimasta puzzolente”.

Si rimane stupiti di come una bambina di appena cinque anni abbia potuto descrivere così bene la sua storia ed i suoi problemi attuali.

L’interpretazione di questo racconto non è affatto difficile.

Maria si trova a vivere in una famiglia agiata (avevano una casa bellissima). Tutto sembra andare per il verso giusto. Ella è di intelligenza normale, anzi molto vivace, ha una buona stima di se, e vuole crescere rapidamente (La figlia un bel giorno ha guardato un fiore azzurro e ha detto: “me lo voglio prendere". Se l’è preso e dopo un po’ di giorni la bimba è diventata grande. E anche il fiore è diventato grande e dentro il fiore c’era un diamante e dentro il diamante c’era il cuoricino della bimba che stava crescendo). Ma c’è un grande “ma”. La madre, senza accorgersi del male che stava compiendo, mette la bambina in una situazione di grave disagio; la bambina probabilmente si riferisce ai notevoli conflitti con il padre (Sua madre non se ne accorta ed ha buttato il fiore con dentro il diamante ed il cuore). La conseguenza è stata, purtroppo, la regressione della bambina in alcuni settori dello sviluppo (La figlia cercava il diamante ma non lo trovava e allora è diventata sempre più piccola, ed è diventata neonata). La madre, accortasi che qualcosa di grave ed importante era accaduto alla figlia, ha cercato di capirne il motivo (e la mamma ha detto: “Come può essere che è diventata neonata?”)

Maria, a questo punto, fa capire in modo esplicito alla madre il suo notevole disagio (Questa bimba neonata parlava e ha chiesto alla madre il diamante e la madre ha detto che era nella spazzatura). La madre, finalmente consapevole di aver commesso degli errori, cerca di affrontare e risolvere i problemi della piccola, accettando un percorso che l’aiuti a risolvere i conflitti di coppia e porta la figlia in un centro di neuropsichiatria, in modo tale che le venga dato l’aiuto necessario per risolvere i suoi problemi. Per fortuna alcuni dei più gravi problemi dei genitori e della figlia vengono risolti (Lei (la bimba), l’ha ripreso ed era tutto sporco. Dopo l’hanno pulito, ma faceva puzza di pesce. E la bimba è tornata grande).

La bambina però si accorge che, nonostante l’impegno dei genitori e degli operatori, non tutti i suoi problemi sono stati eliminati. Qualcosa dei traumi subiti mentre aveva assistito per anni alle continue liti dei genitori era rimasto nel suo cuore ( E la bimba è tornata grande, ma, nonostante questo, è rimasta puzzolente).

Il secondo racconto di Maria che riportiamo, evidenzia in modo più evidente la sua più pressante e grave problematica: il conflitto tra i genitori. 

I principi litigiosi

“C’era una volta una bellissima principessa che aveva un fidanzato con il quale andava a passeggiare in un prato fiorito. Un giorno hanno deciso di sposarsi e hanno fatto un figlio che si chiamava Davide. Ma litigavano e si volevano lasciare.

La mamma di Davide aveva già partorito ed era molto preoccupata perché non sapeva cosa dire al figlio quando sarebbe diventato grande. I genitori si sono lasciati per forza.

Quando Davide è cresciuto ha chiesto: “Ma io non c’è l’ho un papà?” E la mamma ha detto “Te lo spiegherò quando sarai diventato più grande!” E poi dopo gli ha detto: “Ci siamo lasciati per le (a causa delle nostre) famiglie”. Il bimbo era scappato dalla famiglia e cercava il suo papà e la mamma è andata a cercarlo. Dopo (la madre) ha trovato papà e figlio che passeggiavano e gli ha detto: “Ma tu che ci fai qui!” E ha rimproverato il papà. La mamma era disperata. Dopo hanno fatto tutti pace e vissero felici e contenti.”

 

In questo racconto ancora una volta Maria mette in evidenza come, nella sua famiglia, vi fossero tutti i presupposti per un matrimonio felice: la bellezza, la ricchezza, l’amore, un ambiente idilliaco, la nascita di un figlio.  Purtroppo, però, questi presupposti non bastano . A questo punto è evidente la paura più grande che assilla la bambina: il timore che la separazione dei suoi genitori possa comportare la perdita del rapporto con il papà (Dopo ha trovato papà e figlio che passeggiavano e gli ha detto: “Ma tu che ci fai qui!” E ha rimproverato il papà.)

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente tutto il libro clicca qui.

Educazione permissiva

 

 

Se è facile capire come degli educatori depressi, aggressivi, irritabili, ansiosi, nervosi, possano, senza volerlo, creare delle problematiche psicologiche ai propri figli, è, invece, difficile immaginare come degli educatori molto, troppo buoni e accondiscendenti possano nuocere ai minori. Questi ultimi fanno di tutto per evitare ogni dispiacere ai bambini di cui hanno cura. Cercano di accontentarli in ogni richiesta, non li rimproverano mai, anzi aggrediscono ferocemente chi osa fare ciò: non importa se estranei, amici, parenti o insegnanti. Sono pronti ad esaudire ogni loro bisogno e desiderio prima ancora che sia espresso e quindi, in definitiva, amano viziarli fino all’inverosimile.

Spesso, nel dialogo, si sforzano di mettersi a livello dei figli. Nelle decisioni fanno appello alla loro coscienza e alla loro capacità di scelta, piuttosto che alle norme e alle regole. Giustificano tutto e sono troppo tolleranti nei confronti dei minori affidati alle loro cure. Credono fermamente nelle capacità educative dell’esperienza, per cui i loro “no” sono rari.

Le cause dei comportamenti permissivi da parte dei genitori e degli educatori sono numerose:

  •   intanto vi sono delle cause storiche. Spesso, nella storia umana, ad un periodo di notevole autoritarismo si contrappone un periodo di permissivismo, come a voler bilanciare gli eccessi precedenti;
  •  entrano in gioco, inoltre, nelle società occidentali, diffuse teorie e idee riguardanti il concetto di libertà, vista come libertà dell’individuo da ogni condizionamento, da ogni limite e da ogni norma;
  •   nelle società occidentali è confusa, sfumata o totalmente assente la figura autorevole del capo famiglia. Non essendo più stata data al padre la responsabilità ultima della conduzione sociale della sua famiglia egli, per evitare continue discussioni, contrasti e conflitti con il coniuge, preferisce lasciare alla sola figura femminile i compiti educativi, relegando in compiti marginali il suo ruolo paterno. La madre, a sua volta, non potendo utilizzare l’autorevolezza del padre, tende ad oscillare tra momenti di esasperazione, nei quali esprime chiaramente collera e aggressività, con conseguenti eccessive punizioni e rimproveri, ad altri di completa accettazione dei comportamenti dei figli;
  •   inoltre, poiché negli ultimi decenni, l’autorevolezza è stata scambiata per autoritarismo, i genitori e gli altri educatori, in primis gli insegnanti, sono condizionati dall’ambiente sociale, oltre che dalle istituzioni, così da usare atteggiamenti molto condiscendenti, piuttosto che essere accusati e denunciati per uso eccessivo della proprio autorità;
  • v  non è da sottovalutare la scarsa o tiepida visione morale ed etica della vita, che si è diffusa in tutti gli strati sociali. Pertanto, in molti genitori, ma anche in molti sacerdoti, appare notevolmente ridotto e sfumato il concetto di peccato e di male. Ogni atteggiamento tende ad essere capito, accettato e giustificato, in nome della libertà di espressione dei propri impulsi, sia nella gestione della propria vita privata sia nei rapporti umani;
  •   la maggiore ricchezza e il benessere materiale hanno indotto vasti strati sociali ad essere economicamente più liberali con i propri figli e nipoti, senza tener conto che una facilità di accesso al denaro può di molto aumentare il rischio di un suo uso improprio;
  •   si è, infine, notevolmente sottovalutato il concetto che nelle società umane, come in quelle di molti animali superiori, segno di maturità è sapere accettare le norme, i limiti, i divieti che sono utili al buon andamento del gruppo sociale, mentre è segno di immaturità il non accettare alcun limite.

Le conseguenze negative sul benessere dei minori sono altrettanto numerose:

  •   essere eccessivamente indulgenti di fronte alle richieste dei figli significa spegnere in loro il piacere del desiderio, del sogno, dell’attesa e della conquista. Dare in eccesso significa anche far utilizzare male quanto viene offerto: giocattoli, cibo, divertimento, tempo libero o denaro;
  •   il dare troppo e troppo facilmente ai figli limita la spinta alla maturazione e all’autonomia, soprattutto nel campo dell’indipendenza economica. Questi minori, giacché non hanno mai imparato ad accettare la vita come dovere, collaborazione e sacrificio, dimostrano, in definitiva, scarso impegno nei confronti degli altri;
  •   crescere nella bambagia, senza dover lottare per conquistare quanto desiderato, comporta inoltre una maggiore fragilità e debolezza di fronte alle frustrazioni e ciò espone i minori a maggiori difficoltà e disavventure quando sono costretti ad affrontare coetanei più agguerriti e decisi. Questi minori non protetti da un forte carattere, limitati dal proprio individualismo, rischiano di non riuscire, da adulti, ad impegnarsi nei riguardi di tutte quelle attività sociali, politiche e lavorative che richiedono sacrificio e rinunce;
  •   poiché l’essere umano ama l’azione e le conquiste, il minore prova piacere nel superare le difficoltà, se queste non sono eccessive e se sono presentate con gradualità. L’avere tutto e subito rischia di produrre insoddisfazione, mancanza di equilibrio interiore, incoerenza, instabilità emotiva, immaturità;
  •   quando i genitori e gli educatori rinunciano al loro ruolo educativo, pur di mettersi quasi come coetanei accanto ai minori e ai loro capricci, con il loro atteggiamento impediscono a questi ultimi di introiettare dagli adulti dei ruoli di responsabilità, nei confronti del prossimo;
  •   poiché i genitori permissivi suppongono nei figli più maturità, più capacità di giudizio, più controllo nell’uso della volontà, rispetto a quanto realmente posseduto, i rischi di tipo fisico, morale e sociale che questi genitori ed educatori fanno correre ai minori sono nettamente superiori a quelli affrontati dai coetanei, ai quali viene concessa solo quella libertà e possibilità di scelta che sono in grado di ben gestire. Pertanto le esperienze negative, a cui frequentemente vanno incontro e che accumulano nel tempo, rischiano di segnarli negativamente per la vita;
  •   questi minori vissuti in un ambiente permissivo, manifestano spesso comportamenti ed atteggiamenti provocatori ed irritanti. Sono frequenti in loro disturbi del comportamento, per scarsa capacità di autocontrollo. Inoltre, non avendo introiettato le indispensabili norme e regole del vivere civile, durante il periodo adolescenziale e giovanile, in questi minori può evidenziarsi la comparsa di atteggiamenti asociali o chiaramente devianti;
  • v  infine, l’uso che questi genitori fanno del ricatto morale, piuttosto che dei rimproveri e punizioni, per farsi ubbidire o per far accettare dei limiti e dei divieti, espone i minori a maggiori sensi di colpa e conflitti interiori.
  • Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

    Per scaricare gratuitamente tutto il libro clicca qui.

I genitori ansiosi

L’ansia negli adulti

Così come la serenità e l’equilibrio interiore possono condizionare positivamente il benessere del feto e poi del bambino, l’ansia e il conseguente scarso equilibrio psichico, possono avere un’influenza negativa, più o meno grave, sulla vita dei minori. “La prevalenza dei disturbi d’ansia negli Stati Uniti è stimata intorno al 10- 15% [1].

L’ansia è un’emozione che tutti noi facciamo comunemente nel corso della nostra vita. Chi non ha mai provato ansia quando da bambino o adolescente, seduto nel banco, a capo chino, aspettava che il professore aprisse il registro per scegliere, in base a sue profonde e imperscrutabili alchimie, chi interrogare quel giorno?

Chi non ha provato ansia, mentre in un’aula universitaria assisteva agli esami degli altri candidati e si chiedeva continuamente: “Questo domanda la so, questa non la so?”, “oh, Dio! fa domande troppo difficili! Cosa faccio? Non è meglio se mi ritiro e do la materia un’altra volta?” L’ansia fa compagnia anche a tutti i neo papà i quali, dietro la porta della sala parto, aspettano che la consorte metta al mondo il loro primogenito.

Accanto a queste ansie spiacevoli vi sono anche quelle piacevoli, come quando, con struggimento, aspettiamo l’amata o l’amato al primo appuntamento. Mentre in psicoanalisi i termini di ansia e angoscia sono usati come sinonimi, nell’ambito della psichiatria si preferisce usare il termine angoscia, quando l’ansia è molto intensa ed è accompagnata da paure irrazionali, da una sensazione di malessere generico e, a volte, da vertigini, sudorazioni, e palpitazioni cardiache, per cui ha un potere paralizzante, producendo confusione.[2]

Non è facile descrivere l’ansia: viene comunemente indicata come una sensazione di paura vaga e senza un oggetto specifico. In questo senso si distingue dalla paura nella quale vi è un ben definito oggetto che si teme. Per Bressa[3] : “l’ansia si può definire come quel fenomeno funzionale, destinato a sollecitare nel complesso mente-corpo che forma il nostro universo, una risposta sintonica ed adattativa agli stimoli esterni”. Lo stesso autore la definisce come quella sensazione di attesa penosa, quel malessere che ci impedisce una piena realizzazione facendoci vivere male anche le situazioni più banali[4]. Ma chiunque l’abbia provata, almeno una volta, sa che è qualcosa di più e di diverso. È un’emozione che impedisce di pensare correttamente e serenamente. È un’angoscia che blocca il respiro. È una sgradevole tensione che avvolge e sconvolge il corpo e la mente. È una bufera dentro la quale ci si ritrova sballottolati “come foglie al vento”. In altri casi si ha la sensazione di navigare su una fragile barchetta in mezzo alla tempesta, senza riuscire ad avere una meta precisa, senza riuscire a concentrarsi anche su compiti estremamente semplici e banali.

L’ansia viene considerata un’emozione normale, in quanto è notevolmente presente nella vita quotidiana: sia degli animali, sia dell’uomo. Essa è una forma particolare di paura che si sviluppa quando si è esposti a un pericolo che è ancora incerto, nella sua natura e indefinito nello spazio e nel tempo. L’ansia ha la funzione di mettere in allerta il corpo, in modo tale che possa affrontare al meglio: con più grinta ed efficacia, le prove più difficili ed ardue. Questa emozione si ritrova maggiormente nel sesso femminile, forse per permettere alle madri di attivarsi prontamente e rapidamente nella protezione e nella cura dei piccoli.

L’ansia è spesso accompagnata da una o più sensazioni fisiche sgradevoli: aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, sudorazione, dolori al petto, cefalea, respiro corto, nausea, tremore interno, formicolii, dolore di stomaco e secchezza alla bocca. A questi sintomi seguono stanchezza e spossatezza come quando si è compiuto uno sforzo notevole.

L’ansia si distingue dalla paura vera e propria per il fatto di essere aspecifica e vaga.

Ansia piacevole – Ansia sgradevole.

 

 

Tutti noi abbiamo sicuramente sperimentato, più di una volta, nella nostra vita l’emozione dell’ansia, e abbiamo imparato a distinguere nettamente l’ansia piacevole da quella sgradevole. Quando, aspettando l’arrivo della persona amata, abbiamo avvertito il cuore battere forte, mentre le tempie pulsavano, il respiro si faceva corto e la bocca diventava secca e asciutta, abbiamo provato cosa significa l’ansia piacevole. Altre volte, sicuramente, abbiamo provato anche l’ansia sgradevole, quando, in ritardo rispetto all’orario di rientro a casa, prevedevamo un’aspra e dura reprimenda da parte dei nostri genitori.

Le situazioni ansiogene

Le situazioni che provocano ansia possono essere una o più di una e possono variare nel tempo in base agli stimoli interni o esterni. Molto condizionati da quello che leggiamo nei quotidiani o vediamo in tv, il pericolo può assumere, di volta in volta, la veste di un pedofilo, di uno stupratore o violentatore pronto a ghermire noi o un nostro figlio all’angolo della strada. In altri periodi e per altri soggetti sono le malattie che possono metterci in allarme. Ad esempio, dopo il decesso di una persona amica per una malattia incurabile, diventiamo noi gli esperti nel riconoscere i primi sintomi di un tumore incombente, per cui ci sottoponiamo e costringiamo a sottoporsi le persone a noi care, a tutti gli esami possibili pur di scovare e distruggere in tempo questa insidiosa malattia.

Ma non sono solo gli esseri viventi, grandi o piccoli che siano, a stimolare la nostra ansia. Anche la natura ci può mettere in allarme. Dopo una catastrofe causata da un’alluvione o da un terremoto, guardiamo con trepidazione e sospetto il placido fiume della nostra città. Fiume che, fino a quel momento, aveva accompagnato i momenti più lieti e sereni della nostra vita e della nostra infanzia. Allo stesso modo, dopo un devastante terremoto avvenuto molto lontano da noi, con la visione di muri accartocciati e sventrati dalle onde del sisma, osserviamo con palpitazione e sospetto le travi della casa dove abitiamo. Travi che prima ci erano sembrate forti e robuste, mentre ora ci appaiono ridicolmente fragili e inefficaci a sopportare la minima scossa tellurica.

Oggi che i mass- media pur di vendere, pur di attirare e coinvolgere il pubblico riprendono, a volte per mesi e anni le notizie più truci e sconvolgenti, sottolineando i particolari più macabri, gli aspetti più morbosi purché capaci di provocare nei lettori e negli ascoltatori paura, rabbia, collera, disgusto, i motivi di ansia sembrano aumentare ogni giorno di più.

 

 

Ansia fisiologica e ansia patologica

L’ansia fisiologica è quella che si attiva quando l’essere umano, per evitare di correre dei rischi di fronte ad un pericolo reale o semplicemente immaginato, mette in moto i meccanismi di salvaguardia che lo proteggono da possibili conseguenze negative[5]. Per ottenere ciò, tutto l’organismo si attiva al fine di valutare rapidamente, mediante le sue conoscenze e le sue esperienze, l’ambiente che lo circonda, per poi affrontarlo nel modo migliore possibile con forza e determinazione.

Situazione diversa è quella di chi vive questa emozione con troppa frequenza o con un sentire dolorosamente accentuato (ansia patologica). In questi casi vi è una notevole discrepanza tra le situazioni da affrontare e la tensione che si mette in moto, per cui, anche problematiche molto blande, banali o poco difficili o pericolose, sono affrontate con enorme tensione. In molte occasioni, addirittura, senza che vi sia alcuno stimolo ansiogeno esterno, il cuore, la mente, il corpo, delle persone che soffrono di ansia patologica, sono come investiti e sconvolti per ore e a volte per giorni e notti intere, da questo stato d’allarme. Stato d’allarme che spossa, rende notevolmente indecisi su cosa fare e come farlo, altera e complica anche le attività più banali, mentre diminuisce le capacità di attenzione e concentrazione. Cosicché il rendimento, soprattutto il rendimento intellettivo, scade notevolmente. A questo proposito non bisogna dimenticare che esiste un parallelismo costante tra la vita affettiva e quella intellettiva, e che questo parallelismo prosegue lungo tutto lo sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza, in quanto per Piaget[6] “Ogni condotta presuppone degli strumenti o una tecnica: sono i movimenti e l’intelligenza. Ogni condotta però implica anche moventi e valori finali (il valore degli scopi): sono i sentimenti. Affettività ed intelligenza sono indissolubili e costituiscono due aspetti complementari di ogni condotta umana”.

Quando questo stato d’animo pervade la mente del soggetto ansioso ne soffrono anche i rapporti affettivi ed amicali in quanto l’ansia si diffonde alle persone con le quali ci si relaziona. Per tale motivo i rapporti interpersonali diventano difficili, dolorosi e conflittuali. È penoso stare in compagnia di una persona che emana spesso ansia (persona ansiogena), in quanto l’ansia si trasmette alle persone più vicine.

Il soggetto ansioso in modo patologico, valuta in modo errato gli eventi di cui è protagonista. Egli è pertanto coinvolto più dalle risonanze interne che dalle reali dimensioni dello stimolo[7]. Per tale motivo avverte la maggior parte delle situazioni come troppo grandi e rilevanti per le sue possibilità, pertanto tende ad evitare sempre di più le sollecitazioni per il timore, spesso ingiustificato, di non saperle affrontare. Oppure, al contrario, le affronta in maniera affrettata, convulsa, senza riflettere sufficientemente, per cui gli errori nella valutazione e nelle scelte sono numerosi e frequenti.

Per cercare di liberarsi dell’ansia, vi sono fondamentalmente due strategie: la prima è l’immobilità, per cui si cerca di allontanare questa sgradevole emozione cercando di distendere al massimo il proprio corpo, con la speranza che anche l’animo si distenda; la seconda è esattamente opposta alla prima: attivarsi notevolmente nel lavoro, negli impegni quotidiani o in attività motorie intense, come camminare, passeggiare, fare sport. Il tutto nella speranza di scacciarla mediante gli impegni, l’attività ed il movimento.

In sintesi, le conseguenze sono notevolmente disturbanti in quanto:

  • la persona vive molti momenti della sua vita con apprensione ed angoscia e sempre in allerta, in quanto pensa che i pericoli possono essere in ogni cosa e in ogni persona;
  • il soggetto ha difficoltà a vedere la realtà con occhi sereni ed obiettivi e gli avvenimenti nella giusta proporzione;
  • il suo stato di continua tensione gli rende difficile comunicare o ancor più mettersi in ascolto con gli altri, in quanto il soggetto è troppo impegnato a governare qualcosa difficilmente gestibile;
  • poiché il soggetto in preda all’ansia crea attorno a sé e negli altri un clima di allarme ingiustificato, rischia di accentuare il malessere di chi gli sta intorno. Pertanto la comunicazione sociale a seconda della gravità del vissuto ansioso, è più o meno compromessa;
  • le azioni della persona ansiosa sono dettate più dall’impulso del momento che non da un’analisi obiettiva e razionale della realtà, per cui gli errori che compie sono frequenti e le decisioni che attua spesso non sono coerenti ed efficaci;
  • questo vivere per lungo tempo in situazione di emergenza, pone la persona ansiosa in una condizione di facile irritabilità, stanchezza ma anche, a volte, maggiore reattività e aggressività;
  • poiché nei momenti in cui l’ansia è maggiore e più coinvolgente, il soggetto ansioso ha difficoltà a dare risposte efficaci, il suo rendimento è incostante e non armonico: maggiore in alcuni momenti e per alcune discipline, minore o molto minore in altri momenti e in altre discipline.
Le manifestazioni dell’ansia

L’ansia si può manifestare sotto forma di ansia generalizzata, di attacchi di panico, di somatizzazioni ansiose.

Ansia generalizzata

L’ansia generalizzata dura nel tempo e non è concentrata su un particolare oggetto o situazione. Pertanto è aspecifica e fluttuante. Le persone che hanno questo disturbo avvertono una tensione interiore che non si collega ad una particolare paura. Questo tipo di ansia interessa soprattutto il genere femminile, tanto che colpisce due donne per ogni uomo e può portare ad una menomazione considerevole. Questa tensione si evidenzia con una continua sequela di malesseri fisici, psicologici e psicosomatici, che impediscono al soggetto di vivere bene sia il suo lavoro che i rapporti con gli altri. A causa della persistente tensione interiore queste persone possono soffrire di emicrania, palpitazioni, vertigini e insonnia. Nello stesso tempo è per loro molto difficile affrontare le normali attività quotidiane, soprattutto quelle che richiedono un maggior discernimento, controllo e attenzione.

Questa tipologia d’ansia può essere associata ad elementi depressivi con ricorrenti pensieri e sentimenti tristi e penosi. Spesso è avvertita maggiormente al mattino rispetto alla sera. Forse perché la sera l’organismo, dopo ore di tensione continua, ha bisogno di riposo e quindi si impegna maggiormente a far cessare quest’inutile stato di allarme o forse perché la sera gli impegni ed il lavoro cessano, per cui diminuiscono anche gli stimoli ansiogeni.

In alcuni soggetti però l’ansia continua anche durante il sonno, pertanto, quello che dovrebbe essere il periodo di maggior riposo viene alterato sia in qualità che in quantità. Quando l’ansia si presenta in modo continuo e cronico, alla lunga produce, oltre a vari disturbi psicosomatici, anche una reale diminuzione della resistenza alle malattie infettive, per una caduta delle difese immunitarie.

Gli attacchi di panico

L’ansia si può presentare in maniera brutale e acuta con gli attacchi di panico. Sebbene questi, qualche volta, sembrino nascere dal nulla, generalmente sono avvertiti dopo esperienze traumatiche o in seguito ad uno stress prolungato. Gli attacchi di panico hanno un inizio brusco per cui sono molto intensi già nei primi dieci minuti o anche meno. Spesso i soggetti che ne soffrono sono costretti a ricoverarsi al pronto soccorso in quanto avvertono, improvvisamente e in alcune particolari circostanze, come una bufera che si abbatte sulla loro mente e sul loro corpo: “Stavo bene, poi all’improvviso non riuscivo a mantenere il controllo della situazione, mi sentivo svenire, era come se stessi impazzendo, tutti i miei organi correvano all’impazzata”[8]. Essi avvertono intensa apprensione unita a tremore, scosse, vertigini e difficoltà respiratorie.

 

Anche se tutti gli esami risultano nella norma, le persone che soffrono di attacchi di panico continuano a preoccuparsi a causa delle manifestazioni fisiche dell'ansia che rafforzano il timore che nel loro corpo vi sia qualche grave malanno. A volte vi è la “paura di avere paura”. Si innesta un intenso timore di avere una crisi d’ansia. Ad esempio, i normali cambiamenti nella frequenza cardiaca, che si avvertono quando si sale una rampa di scale, possono far pensare a queste persone che nel cuore vi sia qualcosa che non va o che stanno per avere un attacco di panico. Pertanto, si bloccano ed evitano di andare avanti.

Questo tipo d’ansia lascia nell’individuo che ne è colpito un residuo di malessere, tanta paura per l’emozione subita e uno stato di grande prostrazione. Dopo aver fatto questo tipo d’esperienza, da quel momento l’individuo cerca in tutti i modi di evitare quei luoghi dove questa crisi è avvenuta.

Questo tipo di crisi d’angoscia è scatenato dalla concomitanza di quattro concause:

  1. percezione di pericolo incombente;
  2. informazioni inaffidabili o contraddittorie sulla natura e sulla entità del rischio;
  3. presentimento di non essere in grado di adottare adeguate contromisure di protezione e di difesa;
  4. sensazione che sia rimasto poco tempo per mettersi in salvo.

Quella maledetta autostrada

Un nostro paziente sessantenne, aveva avuto il suo primo attacco di panico in una galleria dell’autostrada che aveva percorso mille volte, senza alcun problema. Dopo quella prima crisi, per mesi aveva smesso di passare dall’autostrada, costringendosi ad effettuare un lungo tortuoso e lento percorso, per andare nel paese vicino dove lavorava. Un giorno, spinto dagli amici, nonché dalla consorte, decise di farsi coraggio, così da affrontare le sue paure. Messosi in macchina, con grande soddisfazione e stima per il coraggio che stava dimostrando a se stesso e agli altri, affrontò baldanzoso quella che era diventata la sua nemica: l’autostrada. Al casello prese il suo bravo biglietto, e mano a mano che procedeva nel suo percorso si sentiva sempre più forte, deciso, e sicuro di sé. Tutto sembrava andare per il meglio. Accanto a lui scorrevano le colline ed i panorami bellissimi che conosceva molto bene e che gli davano conforto e fiducia. Poi, all’improvviso, gli si parò davanti la galleria dove aveva avuto la prima crisi. In quel momento, nel suo corpo e nella sua mente, fu un vorticare di sensazioni e di emozioni che lo spinsero a bloccare la macchina e a fermarsi nella corsia d’emergenza, a pochi metri dall’entrata della galleria. Per un po’ rimase come stordito. Il cuore gli batteva all’impazzata, mentre avvertiva come una morsa stringergli lo stomaco. Riacquistato, dopo qualche minuto, un minimo di lucidità e di autocontrollo, riuscì a prendere il telefonino e a comporre il numero più facile che ricordava: il numero d’emergenza 113. All’operatore che gli rispose, con voce rotta dall’emozione disse soltanto: Sono in autostrada, venite a prendermi. Poi chiuse la comunicazione, spense il cellulare e si abbandonò sul sedile, spossato. In quella posizione, rannicchiato sul sedile, era assolutamente indifferente alle macchine e ai camion che sfrecciavano rombanti a pochi centimetri dalla sua auto. Solo dopo molto tempo, vedendo che nessuna volante della polizia veniva a salvarlo, ricordando la convulsa telefonata di soccorso, capì che nessuno sarebbe venuto a toglierlo dall’autostrada senza che avesse riferito il luogo dove si trovava.

L’ansia somatizzata

Quando l’ansia si manifesta soprattutto con sintomi legati al corpo, per il DSM IV siamo in presenza di un Disturbo di somatizzazione.

I soggetti affetti da somatizzazioni ansiose manifestano e descrivono i loro numerosi malanni in termini eclatanti ed esagerati: “Ho un mal di testa da impazzire”. “Mi fa tanto male la schiena che non mi posso muovere dalla sedia”. “Mi gira tanto la testa che non riesco a stare in equilibrio”. “Mi sembra di vedere doppio”. “Ho come un bruciore sulla parte sinistra del capo”. Questi soggetti, nonostante gli esami obiettivi e di laboratorio ai quali si sottopongono non giustifichino la gravità dei disturbi lamentati, spesso, per la loro insistenza sui sintomi ottengono, dai medici consultati, terapie mediche ed anche interventi chirurgici che risultano, a posteriori, assolutamente inutili.

Influenza dell’ambiente ansioso nello sviluppo del bambino

Abbiamo già parlato dell’ansia materna durante l’attesa del figlio. Nei genitori ansiosi la fine della gravidanza non significa la fine delle ansie ma l’inizio di nuove e più pesanti preoccupazioni. Per una madre ansiosa basta poco per perdere il controllo e la lucidità mentale.

Per i genitori ansiosi è già un grosso motivo di preoccupazione il peso alla nascita: troppo scarso o eccessivo.

 “Chiaramente, e in particolare per la madre, questo peso alla nascita entra immediatamente nel campo delle preoccupazioni consce, ma anche in quelle preconsce e inconsce, visto che rimanda direttamente alla sua capacità o incapacità, di mettere al mondo un bel bambino. Avere un bebè che pesa poco costituisce in un certo senso una ferita narcisistica che può comportare preoccupazioni esagerate riguardo alle capacità del piccolo di mangiare, e quindi di raggiungere un peso ritenuto più soddisfacente”[9].

Quando la madre nota una pur minima alterazione o variazione nel figlio che si allontana da tutto ciò che considera “normale”, viene assalita da dubbi, perplessità e tensione interiore. “Come si fa a non preoccuparsi se il bambino oggi non ha mangiato sufficientemente?” O al contrario: “Cosa bisogna fare per limitare la sua fame irrefrenabile che gli provoca degli indigesti, per cui poi piange perché ha male al pancino?” “Come non preoccuparsi se il bambino ha vomitato il latte che aveva poco prima succhiato con foga?” “È possibile assistere impotenti quando la bilancia segnala inesorabilmente che il bimbo non cresce come dovrebbe, o cresce troppo rispetto alla media?” “Come puoi rimanere tranquilla quando il bambino si sveglia spesso la notte?”

Ogni piccola variazione notata nel corpo o nell’atteggiamento del figlio, o peggio la presenza di sintomi che possono far sospettare una patologia, sollecita la madre ad interventi nei quali sono coinvolti il marito, i genitori, i parenti, gli amici e, naturalmente, i medici specialisti e non. Tutti sono mobilitati ad ascoltare i suoi dubbi e le sue perplessità. Allo stesso modo tutti sono stimolati a proporre il farmaco o l’intervento risolutore. In questi casi, se le persone coinvolte riescono in qualche modo a controllare l’ansia della madre e a indirizzarla correttamente, l’impatto negativo sul bambino sarà modesto; al contrario, se anche loro, o perché coinvolti dalle preoccupazioni materne o perché a loro volta ansiosi, si lasciano travolgere dal panico, il carico d’ansia si moltiplicherà ed investirà pesantemente il bambino con risvolti, più o meno gravi, sul suo benessere interiore.

In queste situazioni si manifestano nel piccolo i primi sintomi di sofferenza, che vanno dal piangere “come un disperato”, alla irrequietezza motoria, al rifiuto di attaccarsi al seno, ad alterazioni della flora intestinale per cui evacua delle feci anormali per consistenza e colore. A questi sintomi si possono associare anche i disturbi del sonno, sia in senso quantitativo che qualitativo. Il bambino non riesce a prendere sonno, piange, si agita e poi, quando dopo aver a lungo strillato finalmente sembra essersi addormentato, non è raro che presenti dei risvegli improvvisi, seguiti da ulteriori scoppi di pianto difficilmente consolabile.

Se poi i genitori ansiosi già dormono anche male e poco, il doversi svegliare per allattare, consolare, cullare, massaggiare il piccolo, accentua la loro tensione, per cui la mattina lo sguardo che lanciano al figlio somiglia molto a quello con il quale i primi cristiani guardavano le belve del Colosseo che fuoriuscivano dalle gabbie: “Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?” “Dove e come poter sfuggire a queste continue angosce?”

È facile a questo punto che la madre e a volte entrambi i genitori, comincino a vivere male il rapporto con il loro figlio, avvertito come fonte non di gioie e gratificazioni ma di continue preoccupazioni, impegni e sofferenze. Se, inizialmente, il bambino era l’essere indifeso al quale capitavano sgradevoli esperienze, successivamente rischia di diventare lui la causa di esperienze negative nei confronti dei genitori. Tutto ciò spesso provoca nel bambino un’accentuazione dei suoi disturbi e dei suoi comportamenti, che rischiano di peggiorare il già precario rapporto con mamma e papà.

Queste dinamiche tendono a peggiorare quando entrambi i genitori sono impegnati in un’attività lavorativa. Conciliare gli impegni e le preoccupazioni genitoriali con i carichi di lavoro, in una situazione di prostrazione fisica e di stress psicologico dovuti anche alla mancanza di un buon sonno ristoratore, li rende ancora più nervosi, stanchi, sfiduciati e, in alcuni casi, anche facilmente irritabili, se non chiaramente aggressivi.

Tale aggressività spesso è orientata verso l’altro coniuge, accusato di non capire o di non impegnarsi adeguatamente, per cui a causa delle reciproche accuse sul modo di gestire il figlioletto, anche il rapporto di coppia può subire delle conseguenze negative. D’altra parte il piccolo avrà difficoltà a vivere bene il rapporto con gli altri esseri umani ed il mondo circostante, in quanto avvertirà sempre di più attorno a sé un’atmosfera carica di tensione e irritazione.

Poiché un bambino piccolo non è in grado di attivarsi per tranquillizzare o rendere sereni dei genitori ansiosi, l’unica modalità che si può usare per diminuire l’ansia del bambino è quella di essere meno ansiosi anche mediante l’aiuto di una buona psicoterapia o utilizzando degli psicofarmaci.

 

I problemi legati all’alimentazione, alle malattie e al sonno

Nell’ambiente ansioso, quando il bambino è stato svezzato, alcuni problemi, come quello dell’alimentazione e del sonno permangono, mentre altri se ne possono aggiungere. Per quanto riguarda l’alimentazione, dopo l’allattamento i problemi più frequenti riguardano lo scarso appetito del bambino o una nutrizione non corretta con conseguente modesto aumento di peso e/o di altezza. Tensione e relativi scontri nascono quando il bambino non effettua quella che per i genitori o il pediatra dovrebbe essere una corretta dieta. “Mio figlio non mangia mai carne, frutta e verdure”. “Mio figlio si alimenta solo a merendine e patatine”. “Non sopporto che Giovanni non mangi a tavola agli orari stabiliti ma si nutra con delle porcherie fuori dei pasti”. Spesso inizia una lotta senza quartiere tra i genitori ed il figlio. La parola più frequente, nei dialoghi, all’ora di pranzo, è: “Mangia!”. Le frasi più frequenti sono: “Se non mangi non cresci, non diventi grande”; “Se non mangi muori”; “Non è possibile che mangi così poco”. Queste frasi e questi incitamenti spesso ottengono l’effetto opposto in quanto, se il bambino già affetto da conflitti o problematiche psicologiche non ama crescere, ma vuole rimanere in fase infantile, i genitori gli danno la soluzione: “Non deve mangiare.” Se il bambino vuole far soffrire, punire e nel contempo imporre la propria volontà a dei genitori tiranni che non ama, basta che rifiuti il cibo. Alcuni genitori, pur di ottenere quanto desiderato, tra un boccone e l’altro, gli permettono qualunque cosa: giocare, correre e scorrazzare per la casa, vedere la Tv.

Permangono anche le ansie per la sua salute. Spesso si innesta un circolo vizioso: essendo stressato, è più magro e gracile e ciò lo fa ammalare più frequentemente. Ma più si ammala, più i suoi genitori si mettono in allarme per il suo benessere, per cui sarà sottoposto a nuove visite mediche, ad accertamenti e a cure anche dolorose, con notevole aggravio di insopportabili stress per lui e per tutta la famiglia.

Accanto al problema del cibo e delle malattie, può permanere il problema del sonno. Questo disturbo costringe i genitori ad estenuanti ore trascorse nel cercare di fare addormentare il loro figlioletto. Spesso non basta leggergli libri di favole affinché Morfeo faccia il suo dovere, ma è necessario tenere la mano del bambino e lasciare la luce o anche il televisore accesi tutta la notte. Ma se l’inquietudine e le paure sono tante, non saranno sufficienti neanche questi stratagemmi; sarà necessario farlo dormire nel lettone, dividendosi: il papà sul divano, mamma e figlio nel lettone o viceversa.

I genitori ansiosi e la vivacità dei bambini

 

Quando il bambino comincia a gattonare o camminare, i contrasti con le persone ansiose aumentano, in quanto queste, per sentirsi tranquille, cercano in tutti modi di limitare la libertà nei movimenti, negli spostamenti e nelle esplorazioni dei bambini a loro affidati.

La persona ansiosa si mette in allarme già quando il piccolo comincia a gattonare, andando da una parte all’altra della casa. Per cui è quasi impossibile controllarlo nel suo desiderio di scoprire e sperimentare oggetti e materiali nuovi. Il genitore, il familiare o l’educatore ansioso si chiederà continuamente: “Cosa farà?” “Cosa toccherà?” “Cosa metterà in bocca?” “Cosa distruggerà?” “Con che cosa si farà male?” “A chi farà del male?”

Nella fase della scoperta del mondo che lo circonda, mentre il bambino si lancia per la casa aprendo tutti i cassetti, buttando in aria o a terra il loro contenuto con fredda e rapida determinazione, mettendo poi tutto in bocca per conoscere meglio tutto ciò che lo circonda, il piccolo è visto come un “Terminator “pronto a distruggere ogni cosa presente nella casa o a cercare qualcosa per farsi del male. Basta che egli si avvicini, interessato, al prezioso vaso regalato dalla zia Anna il giorno del matrimonio, perché la mente del genitore ansioso veda il vaso già ridotto in mille pezzi o peggio, lo stesso vaso, lo immagina cadere sulla testolina del suo tesoro, così da ferirlo gravemente.

Se in giro per la casa vi è una sorellina più piccola, è facile che la persona ansiosa veda la piccola sottoposta a mille torture da parte del fratellino geloso e aggressivo. Se poi il piccolo Attila si avvicina ad un rubinetto, per i genitori ansiosi è scontato che lo aprirà, allagando così tutta la casa, provocando dei danni ai preziosi tappeti e all’appartamento dei signori del piano sottostante. Se egli gioca in un angolo con qualche compagnetto, le previsioni sono che ben presto sulla testa di quest’ultimo calerà come una clava la piccola chitarra avuta in regalo per Natale.

Non sempre il figlio viene visto come un carnefice. In altre occasioni egli assume il ruolo di vittima sacrificale, mentre sono gli altri bambini i suoi torturatori, pronti a farlo ruzzolare per terra, a rubargli quanto gli appartiene, a scacciarlo dalla loro compagnia o ad utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per farlo piangere e disperare.

Tali paure costringono questi genitori a seguire il bambino, o meglio ad inseguirlo, in ogni suo spostamento, costringendolo a lasciare “con le buone o con le cattive”, le cose o gli strumenti considerati pericolosi o preziosi.

Questo comportamento molto limitante accentuerà la collera e l’instabilità del piccolo, che si sentirà prigioniero tra le mura domestiche, con la conseguenza che aumenteranno i suoi sentimenti di rancore, se non di odio verso i genitori, mentre nel contempo diminuirà la stima di sé, in quanto si vedrà come “un bambino monello e cattivo che fa continuamente disperare mamma e papà”.

Se poi i genitori ansiosi attueranno la strategia di togliere dalla portata del piccolo, tutto ciò che potrebbe rompersi o tutti gli oggetti con i quali potrebbe ferirsi e farsi del male, la casa somiglierà più al deserto libico che non ad un luogo nel quale vivere insieme con piacere e gioia. Resteranno nell’abitazione solo i giocattoli “sicuri”. In realtà resteranno solo giocattoli di un unico materiale: la noiosa, banale plastica, che il bambino conosce benissimo, che è stufo di maneggiare e che odia, proprio per le sue caratteristiche di inalterabilità.

I rapporti dei genitori ansiosi con gli altri adulti

Dai genitori ansiosi giudizi poco lusinghieri sono riservati agli altri adulti ed educatori. L’altro, il marito o la moglie, è sicuramente incapace di controllare adeguatamente i movimenti del pargolo “indiavolato”, così da non lasciargli correre alcun pericolo o da non fargli rompere oggetti preziosi. Poca fiducia è riposta soprattutto nei nonni che, “per la loro età, non sono sicuramente in grado di badare al nipotino”. Scarsamente apprezzati se non notevolmente incolpati sono anche gli insegnanti ed i medici, giudicati spesso come persone che non sanno capire, aiutare, sostenere, giudicare e così via.

I genitori ansiosi ed i bambini di tre – quattro anni

Verso i tre - quattro anni, ad un’età nella quale il bambino potrebbe e dovrebbe giocare, correre e scorrazzare liberamente fuori casa con i suoi coetanei, le preoccupazioni si accentuano.

Già farlo uscire dalle mura domestiche diventa un problema di difficile soluzione, in quanto è necessario il concorso di molti elementi. Lui o lei che dovrebbe accompagnarlo deve sentirsi bene, pertanto non deve aver traccia di “quell’orribile mal di testa” che spesso l’opprime. Anche il bambino deve stare bene e quindi non deve aver avuto un colpo di tosse da almeno una settimana. Mentre il suo nasino deve essere asciutto e libero ed i suoi occhietti devono essere vispi e splendenti come non mai.

Altre condizioni riguardano il tempo atmosferico. Non vi deve essere troppo caldo, per evitare che il bambino sudi o peggio, rischi di subire un’insolazione. Non vi deve essere troppo freddo, né deve aleggiare un alito di vento, perché questo potrebbe portare con sé pollini, polvere ed “altre porcherie” pericolose per i polmoni del piccolo. Naturalmente non deve piovere o nevicare: “Solo un pazzo farebbe uscire il proprio figlio in queste condizioni climatiche!”

Ma anche la ricerca dei luoghi dove farlo giocare è ardua. Il cortile sotto casa è “pericoloso”, in quanto possono entrare delle auto ed è di libero accesso a bambini “sconosciuti e figli di chissà chi”. Nelle strade il piccolo rischia di essere investito da un’auto o da una moto. I soli luoghi accettabili, se non vi è assolutamente pericolo che siano frequentati da drogati e pedofili, sono le villette o i giardinetti del quartiere; che sono poi i soli posti nei quali, in epoca di scarsa natalità, è possibile trovare altri coetanei con i quali far svagare e socializzare il piccolo. Ma per praticare questi luoghi è necessario superare vari problemi: innanzitutto bisogna avere l’auto e poi provvedere al corretto vestiario del bambino. Se è molto coperto sicuramente “suderà e poi si ammalerà”. Se lo si veste leggero “c’è il rischio che si buschi una polmonite”.

È necessario, allora, provare mille vestitini prima di sceglierne uno adatto. Questa operazione, avvertita dai bambini come una lunga, estenuante, inutile tortura, inevitabilmente provocherà conflitti e scontri con il figlio. Quando poi, finalmente, è là che gioca nella villetta comunale con dei coetanei, appena si immagina possa aver sudato, la madre ansiosa è già pronta a togliergli qualche indumento sostituendolo con uno più leggero e asciutto oppure è svelta ad inseguirlo per mettere un po’ di borotalco sulle spalle sudate. Non mancano poi i rimbrotti ed i suggerimenti: “Non giocare con la terra: è sporca”; “Non salire sull’altalena: potresti cadere”; “Non giocare con quei legnetti, perché potresti farti male”; “Non raccogliere e buttare le pietre, potresti colpire gli altri bambini”; “Non correre, perché sudi” e così via. Spesso questi genitori, spossati dalla loro ansia, hanno degli atteggiamenti e dei comportamenti altalenanti e ambivalenti che rendono insicuro il bambino a loro affidato.

Nella nostra epoca, nella quale gli apparecchi della tv sono più d’uno, e addirittura in certe case sono distribuiti in tutte le stanze come fossero dei quadri, i genitori ansiosi, come soluzione ai loro problemi, trovano quella di arricchire la cameretta del bambino con tutti i migliori prodotti di intrattenimento: videogiochi, computer e televisore a grande schermo, con la speranza che se ne stia là buono per il maggior tempo possibile, senza correre alcun rischio.

Nel periodo scolastico l’ansia si concentra soprattutto sulla scuola e sui compiti. I colloqui con le maestre sono quasi giornalieri per sapere come si sta inserendo il suo ometto e se apprende regolarmente e velocemente. Basta una parolina di critica in più da parte delle insegnanti, sia per quanto riguarda il profitto sia per il comportamento, per spingere la persona ansiosa ad aumentare le ore di studio ma anche i rimproveri e le punizioni verso il figlio.

Accanto ai genitori ansiosi vi possono essere anche dei nonni, altri familiari o anche insegnanti portatori d’ansia. Anche in questo caso i comportamenti, le parole, gli atteggiamenti che tutte queste persone assumono nella relazione con il bambino possono essere causa di eccessivo stress. Stress che ha sicuramente un effetto nocivo, anche se minore, rispetto all’atteggiamento ansioso manifestato dai genitori.

Quando i familiari lamentano attacchi di panico la sofferenza è trasmessa al bambino a motivo dell’angoscia direttamente vissuta ed espressa dal genitore ma anche a causa delle limitazioni ai quali quest’ultimo costringe se stesso e anche i figli.

Nelle somatizzazioni ansiose tutta la famiglia, ma soprattutto i piccoli, soffrono, in quanto avvertono attorno a loro la tristezza ed il dolore vissuto dal genitore. Questa tristezza si irradia anche a loro, sia direttamente sia indirettamente, come paura di una possibile grave malattia che li priverebbe del papà o della mamma.

Una bambina “indiavolata”

Nonostante durante la nostra attività professionale abbiamo direttamente conosciuto migliaia di madri ansiose, la più grave in assoluto ci è sembrata Francesca.

Questa madre aveva accompagnato insieme alla nonna la figlia, per la solita seduta di psicoterapia. Per tutta un’ora Luisa, una bambina alla quale era stata diagnosticata una grave forma di autismo, si era mostrata serena, distesa e anche, a modo suo, collaborante e vicina al terapeuta. Libera di muoversi nella stanza, libera di scegliere il gioco o i giochi che preferiva, libera di cercare o non il contatto con il terapeuta, libera di interromperlo in qualunque momento, mi aveva accettato in un gioco che lei stessa aveva inventato, manifestando un parziale, iniziale, ma prezioso contatto e legame. Finita la seduta, soddisfatto di come si era svolta, per la fiducia che la bambina aveva manifestato nei miei riguardi e quindi verso il mondo che in quel momento io rappresentavo, l’ho riconsegnata alla madre e alla nonna dicendo che avevamo giocato tranquillamente e che la bambina era stata serena per tutta l’ora. La madre, una giovane e colta donna, l’ha guardata, come cercando nella figlia qualcosa che si aspettava dovesse manifestare e poi, prendendola in braccio, con un’espressione del viso, con un tono della voce, e con il corpo da cui sprizzava angoscia, ha iniziato a dire con voce stridula e concitata: Ma che dice, dottore? Ma la guardi! Le sembra una bambina serena questa? Non vede come mi guarda? Non vede quanta tensione c’è nei suoi occhi? E poi questo viso tutto rosso che significa? E le braccia e le gambe, non vede come vorrebbe scappare via da me?” Mentre la madre finiva per gridare sempre più forte, anche la bambina, di contro, modificava il suo atteggiamento: si era fatta più tesa e spaventata, aveva allontanato lo sguardo dalla madre mentre la spingeva con le braccia e le dava calci con le gambe ed i piedi, fino a quando, pur di divincolarsi da lei, si lanciò con la testa ed il corpo all’indietro come cercasse di scappare da quelle braccia. E la madre ancora: “Vede com’è, dottore? Vede come fa? È terribile. È terribile questa bambina. Io non ce la faccio più”. Mentre tra la madre e la figlia era in corso come una lotta furibonda, anche la nonna cominciò a gridare: “Ferma, ferma, Luisa, dobbiamo andare via, ferma!” Intanto cercava di metterle a forza, ma inutilmente, il cappottino, prendendole ora l’uno ora l’altro braccino che la bambina, in piena crisi nervosa, divincolava e scuoteva. E ancora la nonna, sempre più rossa in viso gridava: “È un diavolo questa! Questa non è una bambina!”

Da quel giorno non ho più rivisto Luisa. Ho saputo di lei dopo circa due mesi, quando una pedagogista del centro mi telefonò dicendomi che era stata invitata ad una seduta di esorcismo su una bambina. La bambina in questione era lei, era la piccola Luisa.

Come commentare questo caso se non che l’ansia impedisce la comunione serena con gli altri. L’ansia si autoalimenta. L’ansia si trasmette agli altri. L’ansia incontrollata deforma la realtà. L’ansia impedisce di percorrere le strade più utili e più opportune e costringe a scegliere degli interventi non solo assolutamente inadeguati ma gravemente controproducenti.

Gli ultimi saluti

Un’altra madre ansiosa, oltre che invadente, fu la protagonista di una situazione tragicomica raccontatami dal marito, nonostante le gomitate e le occhiatacce della moglie.

Si trattava di uno dei primi episodi nei quali dovettero subire, come coppia, le “persecuzioni” della suocera.

“Ci eravamo sposati la mattina e lei può immaginare la stanchezza e la fatica che si avverte in queste circostanze, dopo tutte le cose da preparare: la cerimonia, il lunghissimo pranzo di nozze con centoventi invitati da salutare, baciare, intrattenere, trovando per tutti, non si sa con quali energie, una parola gentile e affettuosa. Finalmente tutto sembrava finito. Mia suocera e suo figlio ci avevano voluto accompagnare alla stazione per prendere il treno e così iniziare il nostro breve ma, sognavamo, meraviglioso viaggio di nozze. Scendendo dall’auto avevamo tentato di salutare in fretta i nostri affettuosi accompagnatori, ma fu un tentativo infruttuoso. Con un “Ma noi vi accompagniamo fino al treno”, erano già dietro di noi. Dopo aver aspettato una buona mezzora nella sala d’aspetto e aver ascoltato, così, per la decima volta, tutte le raccomandazioni della mammina, l’annunciatrice diffuse, con la sua solita voce anonima, il prossimo arrivo del treno. Questo annuncio, sia da me che dalla mia giovane mogliettina, fu avvertito come l’avviso di una prossima liberazione. Tenendoci per mano e correndo, con la scusa di salire in tempo sullo scompartimento giusto, pensavamo di aver seminato tutto il parentado e soprattutto la suocera che, grassottella com’era, non ci avrebbe mai potuto raggiungere. Per capire il nostro stato d’animo, dottore, lei deve pensare che era la prima volta che prendevamo un vagone letto, ma era anche la prima volta che potevamo stare insieme da soli, in quanto, per tutti gli anni del fidanzamento, nonostante mia suocera dicesse di fidarsi totalmente di me, chissà come, era sempre ed in ogni luogo presente quando io e la figlia eravamo insieme. Per cui, tranne qualche bacetto di sfuggita non c’era stato niente, ma proprio niente, lei mi capisce, dottore! Salendo i gradini dello scompartimento del vagone letto di prima classe, quasi avevamo voglia di abbracciare il conduttore che ci chiedeva i documenti e urlare: “Finalmente soli!” Ma non era così. Avevamo appena iniziato a sistemare le valigie che sentiamo gridare il mio nome e quello di mia moglie. Era mio cognato che con la sua voce baritonale ci cercava, come fosse l’ultima cosa che dovesse fare prima di spirare, mentre la madre, nonostante la mole, arrancava veloce, rossa in viso per l’affanno e per l’ansia di non ritrovarci in tempo per darci gli ultimi saluti. Non so per quale motivo, ma quel benedetto treno che era arrivato sferragliando veloce alla stazione sembrava essersi bloccato là su quei binari, come volesse trascorrere la notte nella stazione. Ogni tanto sfiatava, ogni tanto aveva come un tremito, ma non si muoveva di un solo millimetro. Mi sembrava come quei cavalli che, finalmente, la sera, arrivano nella stalla e si mettono a mangiare nella mangiatoia godendosi ogni filo d’erba, ignari di tutto e di tutti. Dopo un po’ di attesa affacciati al finestrino, ci è sembrato giusto scendere per gli ultimi saluti, per poi risalire veloci, non si sa mai il treno dovesse partire! Ma quel mucchio di ferrame non voleva saperne di spostarsi, pertanto, dopo un po’ anche loro si sono sentiti in dovere di salire per gli ultimi baci. E così più volte. O erano loro a salire o eravamo noi a scendere: per prendere la busta con i soldi dei regali…“Che vi possono essere utili se dovete fare qualche spesa in più” o perché la madre si era accorta che sul vestito nuovo della figlia un bottone penzolava e per evitare il rischio di perderlo era meglio attaccarlo subito, con l’ago di emergenza che portava sempre con sé, mentre il treno era là fermo, immobile, tanto che sembrava saldato ai binari. Finalmente vedo il berretto rosso del capostazione, con la magica paletta. Finalmente il fischio prolungato del treno che si muove. Inutile dire come ci sentivamo: spossati per tutta quella giornata convulsa e poi per quella infinita attesa prima della partenza. Ci sediamo uno accanto all’altra, lei con il vestito rosso fiammante, elegante ma da viaggio; io con la stessa giacca e cravatta del matrimonio, perché mi era sembrato inutile perdere tempo per cambiarmi. Era bello guardare il nostro set di valigie nuovissime affacciarsi dal portapacchi. Ma era ancora più bello vedere la mia giovanissima sposina che aveva allungato una mano per stringere la mia. Intanto si era fatta notte e ci è sembrato giusto, a questo punto, metterci il pigiama e approfittare delle piccole comodità offerte dal vagone letto. Avevamo appena messo mano ai pigiami nuovissimi di mussola, comprati apposta per questa occasione, che sentiamo gridare fuori del corridoio i nostri nomi e poi battere furiosamente alla porta del nostro scompartimento. Non potevamo fare altro che aprire per capire cos’era successo. Dietro la porta, nello stretto corridoio vi erano gli altri viaggiatori che ci indicavano di guardare fuori dal treno, di nuovo fermo, ma in un’altra stazione. Fuori, come per magia, vi erano ancora suocera e figlio, desiderosi e felici di poterci salutare una volta di più! Avevamo dimenticato di essere a Messina e che tra la stazione centrale, dove eravamo saliti e quella marittima vi sono poche centinaia di metri, e questa distanza non rappresentava certo un ostacolo per una madre in ansia per la figlia che iniziava una nuova vita con l’uomo amato!”

La gestione dell'ansia

La gestione dell'ansia non è semplice, tuttavia vi sono diverse opzioni che possiamo mettere in campo:

1) Sappiamo che il moto tende a far diminuire o permette di eliminare l'ansia. Vi sono alcuni uomini e donne che preferiscono alzarsi un'ora prima, la mattina, pur di fare una bella corsetta, alle prime luci dell'alba, per permettere di scaricare questa fastidiose emozione. Altri, per lo stesso motivo, preferiscono andare al lavoro a piedi o in bicicletta, altri ancora non vogliono la sera rinunciare a giocare a tennis o ad andare in piscina e così via.

2) Anche gli esercizi di rilassamento ottengono grandi benefici.:  Training Autogeno, Yoga, Esercizi di respirazione, Esercizi di consapevolezza Mindfulness-Based Stress Reduction; La meditazione; Il rilassamento muscolare progressivo e così via. 

3) La terza strada, anch'essa molto efficace, è data dall'effettuare una buona psicoterapia. Vi sono molti tipi di psicoterapia che aiutano la persona a liberarsi dalla problematiche interiori non risolte che pesano e agiscono  in modo negativo sulla nostra mente.

4) Vi sono poi i farmaci ansiolitici, soprattutto le benzodiazepine, che ottengono buoni risultati, ma di cui è bene non abusare poiché possono provocare assuefazione.

5) Importante è anche non stressare la mente assumendosi degli impegni e delle responsabilità eccessive. La nostra mente, come il nostro corpo, ha dei limiti di cui abbiamo il dovere di tener conto. E' bene, pertanto, durante la giornata fermarsi per dei momenti di relax.  Il voler strafare, pensando di poter giorno dopo giorno tutto affrontare e tutto risolvere è una illusione deleteria per la nostra psiche.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1] Kaplan, H.I., Sadock B. j., (1993), Manuale di psichiatria, Napoli,  Edises, p. 438.

[2] Sullivan H.S.,      (1962), Teoria interpersonale della psichiatria, Milano, Feltrinelli Editore, p. 27.

[3] Bressa G.M., (1991), Mi sentivo svenire – Conoscere e affrontare l’ansia, Roma, Il pensiero Scientifico Editore, pp. 1-2.

[4] Bressa G.M., (1991), Mi sentivo svenire – Conoscere e affrontare l’ansia, Roma, Il pensiero Scientifico Editore, p. 4.

[5] Bressa G.M., (1991), Mi sentivo svenire – Conoscere e affrontare l’ansia, Roma, Il pensiero Scientifico Editore, p. 3.

[6] Piaget J., (1964), Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Torino, Giulio Einaudi Editore, p. 23.

[7] Bressa G.M., (1991), Mi sentivo svenire – Conoscere e affrontare l’ansia, Roma, Il pensiero Scientifico Editore, p. 4.

[8] Bressa G.M., (1991), Mi sentivo svenire – Conoscere e affrontare l’ansia, Roma, Il pensiero Scientifico Editore, p. 4.

[9] Debray R. e Belot, A., (2009), Psicosomatica della prima infanzia, Roma, Casa editrice Astrolabio, p. 44.

 

Ambiente irritabile e collerico

 

Come descrivere dei genitori, dei familiari o degli educatori irritabili e collerici, se non paragonandoli ad un vulcano sempre in attività come il nostro monte Etna?

Quando questo imponente vulcano è in periodo di quiete, appare come un gigante buono e disponibile ad accettare tutto e tutti. Lo si può avvicinare tranquillamente. Sulle sue pendici si può sciare e si possono fare bellissime passeggiate e, tra i boschi che lo circondano si possono organizzare succulenti picnic. Addirittura, trasportati dai gipponi, ci si può spingere fin sul bordo dei crateri attivi, per effettuare delle foto suggestive, anche se raccapriccianti, dei fumi e del ribollire della lava nelle voragini sottostanti. In questi periodi di calma apparente, sembra che nulla di male possa mai succedere. Come spesso avviene nei vulcani sempre attivi questi, a volte per giorni, a volte per settimane o mesi, si limitano ad uno stanco borbottio, simile al russare di un gigante buono, mentre dal cratere esce soltanto qualche grazioso e vezzoso sbuffo di fumo bianco. In tali periodi, mentre i pullman dei turisti si arrampicano sulle sue vette e i contadini sono intenti a curare i pometi dai frutti saporiti e i vigneti rigogliosi, pronti a dare dell’ottimo, ricco vino, solo se si guarda bene il fondo del cratere, si vede la lava nera ribollire mentre si apre in frange rosso cupo. Ma questa, quando è visibile, é solo un’attrazione in più per i turisti che si limitano ad indicarla l’un l’altro o a fotografarla per provare un piccolo brivido da raccontare poi, ritornando nei loro paesi e nelle loro case, agli amici increduli, come dimostrazione di grande coraggio.

 

 

Ma poi, un bel giorno, senza alcun motivo apparente, almeno per noi profani, ecco improvvisamente la lava bollire più forte e diventare incandescente. Ecco la montagna scuotersi in boati e rombi spaventosi. Ecco fontane rosso vermiglio di lava sprizzare in alto a centinaia di metri di altezza, per poi colare dalla bocca del vulcano e invadere sentieri, strade, case, vigneti e strade sottostanti, tutto distruggendo, tutto, coprendo, tutto, bruciando. Insieme alla lava non è raro vedere lanciati a centinaia di metri di distanza, come da una mano gigantesca, pietre infocate e lapilli piccoli quanto un pugno o massi grandi quanto un’auto. Ma non basta. Per alcuni vulcani, i più cattivi, vi è il rischio che quei piccoli refoli di fumo bianco si trasformino in pochi minuti in una nuvola di gas incandescenti che arriva al cielo e poi si riversa fino a valle a chilometri di distanza, avvelenando e bruciando ogni cosa che incontra sul suo selvaggio cammino.

È difficile vivere accanto o ai piedi di un vulcano, così com’è difficile vivere accanto a delle persone, specie se sono i propri genitori, facilmente irritabili. Basta poco per farli andare in collera. Basta poco per farli esplodere in grida ed invettive furiose. Basta poco per sentirsi da loro aggrediti, insultati e a volte picchiati. È difficile parlare con questi adulti in quanto, se a volte sono disposti ad accettare anche le critiche più pesanti, altre volte, in altre circostanze, qualunque frase, qualunque parola anche la più innocente, può far esplodere la loro irritazione, rabbia e aggressività. In queste occasioni, che possono essere più o meno frequenti, si è costretti a subire gli eccessivi rimproveri, gli improperi o peggio le ingiuste punizioni. Non sono solo gli elementi esterni a provocare gli scoppi d’ira ma questi nascono dalle profonde ferite mai rimarginate del loro cuore. Pertanto gli stimoli esterni sono solo l’occasione, mediante la quale l’aggressività accumulatasi nell’animo ha la possibilità di manifestarsi apertamente.

Già il neonato è costretto a subire gli altalenanti comportamenti di questo tipo di genitori. A volte la sua mamma o il suo papà sono sereni, tranquilli, capaci di mille moine e tenerezze. Un momento dopo possono comportarsi in modo aspro, scostante e ruvido. .

Quando il bambino cresce in un ambiente così difficile e traumatico, avrà notevoli difficoltà ad intraprendere dei legami fruttuosi con gli altri, in quanto gli mancheranno i parametri indispensabili per stabile dei limiti e dei confini alle sue azioni. Non vi sono comportamenti corretti da cui aspettarsi una lode e comportamenti errati da cui attendersi un sonoro e aspro rimprovero, ma momenti. Momenti di calma apparente in cui tutto è possibile fare e dire senza che nulla succeda e altri in cui non c’è nulla di buono e di valido che si possa dire o fare per evitare che insorga la collera immotivata. Questo tipo di rapporti è improntato a volte alla paura, altre volte all’ansia, oppure alla chiusura e al silenzio, per evitare che una qualunque parola o azione possa scatenare una furente reazione. Anche in questo caso, se accanto ad un genitore irritabile ve ne è un altro equilibrato e tranquillo vi sarà, nell’ambito della famiglia, come un rifugio nel quale il figlio può trovare riparo. La situazione sarà molto più grave se il bambino può contare su un solo genitore o se l’altro elemento della coppia ha le stesse caratteristiche negative.

Il racconto che riportiamo è di una bambina che viveva in una famiglia nella quale il padre, disoccupato, evitava per quanto possibile di farsi coinvolgere dai problemi familiari ma, quando si accorgeva che la moglie ed i figli avevano dei conflitti e gridavano, esplodeva aggredendo sia la consorte che i figli. La madre, d’altra parte, si descriveva come una donna molto ansiosa ed irritabile, che aveva instaurato un pessimo rapporto con i suoi bambini, specie con Francesca, con la quale litigava spesso.

Francesca e le automutilazioni

“C’era una volta una signora di nome Nicoletta. A questa piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone e poi ritornò a casa a preparare il mangiare. Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio”.

Questo truce racconto evidenzia il grave conflitto e l’atmosfera costantemente aggressiva esistente nell’ambito familiare. Nei confronti della madre la bambina, indirettamente manifesta un giudizio molto severo, quasi feroce. Nel racconto che la bambina fa vi è una donna che vive la sua vita serenamente e tranquillamente, raccogliendo fiori e facendo spese voluttuarie (A questa (signora) piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone). Questa signora, però, sembra non accorgersi minimamente di quanto avviene nella sua famiglia e a carico dei suoi figli (Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio.)

Un grande desiderio

Roberta, di anni otto, che aveva una madre la quale tendeva facilmente ad accusarla di ogni malefatta e pertanto la sgridava frequentemente e vivacemente, affida i suoi desideri ad un disegno nel quale, dietro a delle rose piene di spine: la sua madre attuale, bella certamente ma irritabile e aggressiva, spiccano le montagne che hanno la forma di un morbido seno, che rappresenta il suo sogno ed il suo più grande desiderio: potersi relazionare con una madre accogliente, dolce ed affettuosa.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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I bambini e le malattie organiche

 

Tutte le malattie sono mal sopportate sia dagli adulti sia dai bambini. Per questi ultimi che amano correre, saltare, scorrazzare per la casa o per i giardinetti, inventando mille giochi e mille attività, non è sicuramente piacevole essere costretti a letto da mattina a sera, come non è gradevole ingurgitare orribili medicine, nonché offrire il proprio sederino alle dolorose, anche se indispensabili punture. Inoltre sono tante le malattie capaci non solo di debilitare i bambini ma anche di provocar loro una serie di sintomi notevolmente fastidiosi: come l’aumento della temperatura, il dolore, il vomito, la diarrea e così via.

A ciò si deve aggiungere che, sempre più frequentemente, a causa delle reazioni di paura e ansia delle figure di riferimento, ma anche dei medici, i piccoli sono costretti a ricoverarsi in luoghi particolari, come gli ospedali, che hanno caratteristiche molto diverse e contrastanti rispetto alle loro case e alle loro famiglie. Luoghi nei quali si è toccati e gestiti da persone e mani estranee, dove si è costretti ad alimentarsi con cibi inconsueti. Luoghi nei quali si è giornalmente in contatto con le sofferenze e le pene dell’umanità ferita. Ancora peggio, sono mal sopportati dai bambini i ricoveri e le malattie post traumatiche, come le fratture o le slogature, che li costringono all’immobilità più assoluta. I limiti alla loro autonomia, il bisogno insoddisfatto di movimento li rende nervosi e irritabili. Tutto ciò può comportare anche dei sintomi regressivi, specie quando i genitori e gli amici non sono a loro vicini e non procurano giochi e passatempi, anche perché “…quanto più il bambino è piccolo tanto meno potrà comprendere e razionalizzare gli interventi terapeutici che subisce. Egli avrà sempre la tendenza a interpretarli in senso aggressivo e primitivo, e quindi essi saranno causa di ansia.[1]

Le conseguenze psicologiche delle malattie sono legate a molteplici fattori dei quali bisognerebbe tener conto:

  •   la gravità e le caratteristiche del quadro clinico generale;
  •   il tipo di terapie alle quali è sottoposto il bambino;
  •   l’età del minore;
  •   le sue caratteristiche di personalità e quindi la sua maggiore o minore emotività;
  •   le risposte emotive dei familiari;
  •  le capacità relazionali e comunicative del personale medico ed infermieristico;

 

Per fortuna anche le malattie, se ben vissute e gestite, possono essere occasione d’incontro: con genitori, parenti e amici. Incontri per iniziare o portare avanti un dialogo ricco di calore e affetto reciproco. Incontri per sperimentare e vivere, più intensamente e tranquillamente, momenti di coccole e tenere effusioni. Incontri nei quali, se ben sfruttati, la dolcezza lasciata dalla maggiore vicinanza fisica e affettiva con i genitori, potrebbe rimanere nell’animo del bambino più a lungo delle sofferenze causate dalle stesse malattie.

Lo stare a letto ed essere accuditi può, per alcuni bambini, risultare un momento piacevole, in quanto è possibile godere di maggiore libertà dalla scuola e dai compiti, ma anche avere la possibilità di vivere un maggior dialogo affettuoso con i propri familiari i quali, quando il loro bambino è ammalato, spesso tendono ad essere più presenti, affettuosi, vicini, teneri e comprensivi.

Anche quando il bambino è ricoverato in clinica o in ospedale quei giorni possono provocare o non un trauma nel suo animo, in base a come la struttura ed il personale sapranno accogliere il piccolo paziente ed i suoi genitori. È sicuramente importante la durata del ricovero, che dovrebbe essere quanto più ridotta possibile.

Vi può essere, inoltre, un ricovero in un ambiente triste e tetro come lo sono ancora molti reparti pediatrici, oppure, come oggi per fortuna si cerca di fare nei migliori ospedali, è possibile vivere questa dolorosa esperienza in ambienti ricchi di calore umano e pieni di sollecitazioni positive.  Poiché la psiche di un bambino è estremamente sensibile, basta poco per procurare ai cuccioli dell’uomo dolore, paura e inquietudine, ma basta altrettanto poco per modificare in modo positivo un’esperienza, senza dubbio difficile e dolorosa.

Il personale, sia medico sia infermieristico che tratta i piccoli ospiti, dovrebbe tener presente alcune regole essenziali:

Vi è sempre qualche terapia o esame in più che può essere evitato al piccolo ospite senza che questi ne risenta alcun danno fisico.

Spesso negli ospedali, ma anche negli ambulatori dei pediatri di base, si esagera nella prescrizione di esami che appaiono indispensabili per capire fino in fondo la patologia del bambino, o per mettersi al riparo da eventuali denunzie, ma che sono assolutamente inutili per quanto riguarda i potenziali interventi da effettuare. Ridurre gli esami, ma anche le terapie al minimo indispensabile, potrebbe notevolmente diminuire la sofferenza del bambino e le conseguenze che da questa possono derivare. Conseguenze che, come delle cicatrici indelebili, rischiano di rimanere nella psiche dei minori, instaurando ansie, paure e altri sintomi di sofferenza che possono negativamente influire sulla loro vita futura.

Non tutti gli esami e terapie hanno la necessità di essere effettuati nel momento in cui si decide di eseguirli.

Spesso è possibile postergare gli interventi traumatici ad un’età più adulta nella quale l’Io del bambino è più solido, maturo e ricco di difese. Quando poi è indispensabile intervenire, a volte basta qualche minuto in più nelle braccia della mamma, un giocattolo da tenere tra le braccia o poche parole di spiegazione e di rassicurazione, per trasformare il vissuto interiore del bambino da negativo e frustrante in positivo e gradevole. “Stupisce sempre constatare il grado di collaborazione che si può ottenere dal bambino in occasione di cure mediche quanto si sia avuto cura di dargli le spiegazioni che la sua età consente e di aiutarlo a “farsi una ragione”, insistendo sulla natura dell’intervento che deve subire e sui benefici che ne risulteranno”.[2] Molti bambini accompagnati bene dal punto di vista psicologico, ricordano la gratificazione di aver ben affrontato l’esame clinico, la cura o anche l’intervento, dimenticando il fastidio e il dolore fisico a questi collegati. Purtroppo sono visitati, ricoverati e curati più frequentemente proprio i bambini psicologicamente più disturbati e fragili. E ciò non solo perché il disturbo psicologico provoca, a lungo andare, una diminuzione delle difese immunitarie e quindi una maggiore probabilità che il bimbo si ammali, ma anche perché avendo questi minori accanto a loro dei genitori e familiari che vivono con ansia e paure ogni realtà, anche la più banale, sono da questi costretti a visite, esami, terapie ed interventi, il più delle volte inutili o superflui. In questi casi, preciso dovere del medico dovrebbe essere il sedare le ansie genitoriali, così da limitare al massimo le loro richieste di interventi impropri.

Evitiamo di aggiungere all’ansia del bambino la nostra ansia.

I bambini vivono e respirano l’atmosfera che hanno intorno. Quando questa atmosfera è carica d’ansia e di preoccupazione, ogni atto di tipo medico e chirurgico, anche il meno traumatico, è affrontato in maniera dolorosa, stressante e difficile. Quando, invece, l’atmosfera che è nell’animo delle persone che assistono il piccolo paziente è serena e fiduciosa, lo stesso tipo di esame, terapia o intervento è molto meglio affrontato e vissuto.

 

Non effettuare senza aver adeguatamente preparato il bambino visite, interventi ed esami.

Per evitare che il bambino pianga o protesti per la visita, l’esame, la terapia o l’intervento da effettuare, alcuni genitori con la complicità dei medici, preferiscono intervenire senza alcun preavviso. Ciò spaventa il bambino, ma soprattutto fa crollare la fiducia sia verso papà e mamma, ritenuti giustamente bugiardi, sia verso i medici che saranno visti, da quel momento in poi, come persone dalle quali ci si può attendere di tutto. In tal modo nasce la sfiducia nei confronti di queste persone e vi è il rischio che possa nascere la sfiducia anche nella vita, la quale viene avvertita non come una sequenza di eventi sostanzialmente positivi, nei quali si inseriscono delle parentesi negative, ma al contrario, come un’attesa di improvvisi, inspiegabili e inaspettati eventi negativi, immersi in un continuum di ansiosa attesa.

Effettuare l’anestesia preparatoria nella camera del bambino.

Quando è necessario effettuare un intervento sarebbe importante effettuare l’anestesia preparatoria nella camera del piccolo e non nel complesso operatorio. La cameretta del bambino con i suoi giocattoli, i genitori e le persone care vicine, è ben diversa dell’anonima e sterile sala operatoria o pre-operatoria. Anche questa ci sembra un’attenzione nei confronti del bambino che non costa nulla, ma che può evitare inutili sofferenze psicologiche.

Non ingannare il bambino.

A volte alla nostra equipe sono pervenute strane proposte e altrettanto strane richieste di visite ed interventi. Tali proposte e richieste sono in genere precedute da telefonate di questo tipo: “Buongiorno, dottore, vorremmo che lei ci aiutasse a risolvere un grave problema che abbiamo con nostro figlio”, e giù a spiegare il problema o i problemi del figlio, “…ma le raccomando, lui non deve sapere niente. Gli abbiamo detto che lei è un nostro amico che vorremmo andare a trovare. Lei lo osservi senza dire nulla, né a lui né a noi, poi ci faremo sentire per sapere il risultato della visita”. Naturalmente ci rifiutiamo di fare “visite” di questo genere. Non solo perché sono tanti i test, le prove e le osservazioni che effettuiamo con la collaborazione del bambino e pertanto è impossibile non accorgersi che non si tratta di visite di cortesia ma, soprattutto, perché sappiamo quanto le bugie irritino i minori. Queste, anche se dette a fin di bene, accentuano le loro paure e ammantano di nero mistero e dubbio anche le realtà più semplici e chiare. D’altra parte, com’è possibile aiutare un minore a superare i suoi problemi senza il suo intervento e la sua collaborazione e, soprattutto, in un clima di falsità? Spesso i genitori che fanno tali proposte hanno proprio loro difficoltà ad affrontare la realtà e con questo tipo di comportamento rischiano di trasferire nel bambino le loro ansie e paure.

Evitare l’effetto sommatorio degli stress e dei traumi.

Prima di aggiungere altri possibili stress e traumi, come può essere un allontanamento dei genitori, la presenza di un nuovo fratellino, l’inserimento nell’asilo nido o nella scuola materna, è necessario essere certi che il bambino abbia ben superato gli stress ed i traumi dovuti alle malattie e agli eventuali interventi che ha dovuto subire. In caso contrario, proprio per un effetto sommatorio, le conseguenze psicologiche potrebbero essere molto gravi.

Il caso di Antonio ne è un esempio.

Antonio arrivò alla nostra osservazione all’età di cinque anni, per importanti problematiche psicologiche, le quali però erano state precedute e accompagnate da una serie di malattie organiche. Il bambino a due mesi e mezzo aveva accusato una convulsione in seguito a ipertermia per cui era stato necessario il ricovero per accertarne la natura; a nove mesi era stato costretto a subire un intervento per il frenulo del pene e per idrocele; il bambino, inoltre, soffriva di stipsi, di ragadi anali e di iperemia diffusa, per la quale da anni effettuava varie terapie topiche e sistemiche. A questi numerosi problemi, dopo un precoce e traumatico inserimento presso un asilo nido, si aggiunsero: disturbi nella socializzazione, notevole instabilità psicomotoria, sintomi regressivi con atteggiamenti infantili, eccessiva reattività con comportamenti aggressivi e distruttivi se contrariato, incubi notturni e una notevole mole di paure: dei rumori, del mare, delle persone brutte, dei giochi d’artificio, di uscire da solo, della confusione nelle feste dei compagnetti, dei giochi movimentati e rumorosi, di allontanarsi dalla madre.

In questo, come in casi simili, la maggiore fragilità psicologica del bambino dovuta ai disturbi organici, al ricovero e alle terapie che Antonio era costretto ad effettuare, con molte probabilità si era trasformata in una ben più grave sofferenza psicologica nel momento in cui i genitori avevano deciso di inserire il piccolo nell’asilo nido.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 127.

[2] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 127.

 

Ambiente familiare disgregato: conseguenze sui minori

 

La difficile relazione educativa.

Una delle principali conseguenze di un ambiente familiare disgregato è la nascita o l’aggravarsi dei problemi di tipo educativo. Affinché un rapporto pedagogico sia efficace, sono necessarie alcune qualità essenziali: la stabilità, la serenità, l’autorevolezza, un dialogo efficace, chiari ruoli ed infine un lavoro di squadra tra tutti gli adulti e i minori interessati. Al buon esito del processo educativo partecipano, infatti, non solo gli adulti ma anche l’educando, il quale deve collaborare con altrettanta disponibilità ed impegno.

Nel caso di genitori separati o peggio divorziati, spesso non vi è alcuna di queste condizioni.

Non vi è stabilità, perché le relazioni precedenti sono sconvolte dalle decisioni dei giudici e dagli accordi dei genitori, ma anche perché ognuno dei genitori è spesso impegnato a ricercare e a vivere altre amicizie, altri amori, altre passioni.

Non vi è serenità in quanto i genitori e, spesso, anche gli altri parenti e amici, sono coinvolti su come, quando e con quali armi potranno far del male alla controparte o sul come, con quali mezzi e strumenti possono privare l’altro di qualcosa a cui tiene, piuttosto che su come ben educare il minore. Spesso, inoltre, le maggiori difficoltà economiche dovute all’incremento delle spese necessarie a mantenere due famiglie, nonché gli esborsi per spese legali, impegnano i genitori nella ricerca di nuove e più sostanziose entrate che permettano di vivere decentemente o almeno di sopravvivere.

 

 

 

 

Non vi è autorevolezza, in quanto con i loro comportamenti, spesso incongrui e contraddittori, l’immagine genitoriale scade agli occhi dei figli.

Non vi è collaborazione da parte dell’educando, poiché questi, investito da profonde e conflittuali dinamiche relazionali, difficilmente ha la serenità necessaria per aderire ad un processo educativo proposto da un genitore che giudica egoista, evanescente, contraddittorio, ma anche colpevole del proprio personale disagio.

Non vi è lavoro di squadra, poiché se i figli hanno deicomportamenti ansiosi, instabili, aggressivi, non trovano nei genitori inquieti una sponda capace di comprenderli, correggerli e indirizzarli adeguatamente. Spesso i due coniugi sono in concorrenza per avere rispettivamente tutto per sé l’affetto e l’attenzione dei figli. Se vi è qualche problema psicologico questo o viene negato, per evitare di essere emotivamente coinvolti o viene aggravato, in modo tale da dare all’ex coniuge la responsabilità di quanto accade: ‹‹Necessariamente Luigi si comporta così, in quanto ha un padre che l’accontenta in tutto ciò che chiede quando sta con lui. Quando poi io, madre, devo negargli qualcosa, egli mi giudica cattiva e si ribella››. ‹‹Francesco è capriccioso poiché sua madre lo sta allevando nella bambagia, come d’altronde è stata educata anche lei dai suoi genitori››. E ancora: ‹‹Mio figlio ha questi gravi problemi psicologici perché mio marito non si trattiene e lo fa assistere alle effusioni che ha con la nuova amica›› ‹‹Questo ragazzo ha il carattere capriccioso, caparbio, egoista di suo padre››. Poiché queste difficoltà educative si accentuano nel periodo adolescenziale, è in questo periodo che esplodono in modo più virulento i contrasti tra il genitore affidatario e i figli, specie se questo genitore è la madre, in quanto per la donna è più difficile e complessa la gestione educativa del figlio adolescente.

Inoltre manca spesso, in queste situazioni, un dialogo efficace. Questo dovrebbe essere sereno e costruttivo. Ciò è difficile che avvenga in quanto, se il bambino nei fine settimana lascia la madre affidataria per andare a casa del padre, questi, piuttosto che impegnarsi in un sano e rispettoso dialogo, costretto spesso dalla guerra interminabile con l’ex coniuge, cercherà di sapere dal bambino elementi che possono mettere in cattiva luce la madre: ‹‹Cosa fa? Con chi esce? Ti accompagna a scuola?

Lo stesso fa la madre quando il bambino, trascorsi il sabato e la domenica con il padre, ritorna da lei. ‹‹Dove siete stati? Con chi siete stati? Cosa faceva tuo padre con quella donna che sta con lui?›› Prevalgono nel dialogo i motivi di sospetto, diffidenza e ricerca di comportamenti o atteggiamenti colpevoli dell’altro. Pertanto, il rapporto genitori – figli si deteriora rapidamente, e molto spesso anche definitivamente.

Nell’educazione dei bambini di genitori separati o divorziati incidono pesantemente la mancanza di linearità e di un chiaro ruolo educativo. Il genitore affidatario o comunque il genitore con il quale il bambino resta durante tutta la settimana, che è in genere la madre, ha difficoltà ad assumere contemporaneamente il doppio ruolo di padre e di madre, maschile e femminile. A sua volta il padre, che vede il bambino solo durante i fine settimana, non riesce ad avere con lui un ruolo autorevole di tipo paterno, per evitare che il bambino si irriti e rifiuti quel minimo di rapporto che si è instaurato tra di loro. Per tale motivo mette da parte il suo fondamentale compito per assumere una più comoda mansione di “padre- amico e complice”.

Inoltre, per accaparrarsi l’amore del figlio conteso, è frequente la tendenza, in entrambi gli ex coniugi, ad essere più permissivi di quanto si sarebbe voluto e si dovrebbe. Come conseguenza di ciò si ha, nei figli dei divorziati, una frequente presenza di comportamenti capricciosi ed infantili.

Le conseguenze sui minori causate da un ambiente disgregato sono tanto più gravi quanto più il bambino è piccolo al momento della separazione, quanto maggiore è il grado di conflittualità e quanto più le visite dell’altro genitore sono irregolari ed imprevedibili.[1] Tra le tante conseguenze si registrano nei minori:

  1. Disturbi psicoaffettivi.

  2. Il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto.

  3. L’assunzione di eccessive responsabilità.

  4. La perdita di stima nei confronti dei suoi genitori.

  5. La perdita della stabilità, della sicurezza e della chiarezza.

  6. La scarsa fiducia e le maggiori difficoltà nei futuri legami affettivi ed amorosi.

  7. Problemi di identità e identificazione.

    1.     Disturbi psicoaffettivi.

I minori di famiglie separate o divorziate sono spesso colpiti da ansie, paure, sensi di colpa, depressione ed altri disturbi psicoaffettivi, dovuti alla perdita di uno dei genitori o di entrambi se questi sono immersi nel conflitto, nell’offesa o nella difesa, piuttosto che nella relazione con il bambino. La sofferenza provata può spingere i minori a dei comportamenti incongrui come quelli attuati mediante l’uso di sostanze stupefacenti o atteggiamenti asociali o antisociali. Inoltre, poiché è la famiglia il luogo privilegiato della formazione emotiva, quando la famiglia si rompe, si interrompe o si altera questo tipo di formazione.

Il confronto tra i bambini che crescono con una madre vedova rispetto a quelli che crescono con una madre divorziata è nettamente sfavorevole per questi ultimi, nei quali vi è un maggior grado di alterazione, a livello cognitivo, emotivo e sociale.

I sensi di colpa di cui possono soffrire i figli dei separati e dei divorziati possono nascere dalla consapevolezza di non essere stati in grado di tenere uniti papà e mamma, o peggio di essere stati causa dei loro diverbi con i loro comportamenti non corretti. Altri sensi di colpa possono nascere dai giudizi negativi che essi hanno formulato in cuor loro verso uno o verso entrambi i genitori: ‹‹La mamma è una poco di buono, come dice papà. Lui, a sua volta, è uno sfaticato ed un incapace come dice la mamma››. Il bambino, inoltre, può vivere dei sensi di colpa difficilmente superabili per il riacutizzarsi di problematiche edipiche in quanto ‹‹Vedere i genitori opporsi, litigare, separarsi, può costituire la realizzazione di un desiderio fantasmatico incestuoso: togliere di mezzo uno dei genitori per poter possedere l’altro››.[2]

2.     Il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto.

Uno dei rischi più gravi, ma per fortuna non frequente, è il rischio di comportamenti promiscui, nonché di violenze sessuali o incesti all’interno delle famiglie ricostruite. Questi rischi sono dovuti alla compresenza di persone non legate da vincoli di sangue, che possono, tra l’altro facilmente già presentare, sintomi di disagio o chiari disturbi psicologici.

3.     L’assunzione di precoci ed eccessive responsabilità.

I figli dei separati e dei divorziati sono spesso costretti a farsi carico di responsabilità precoci in quanto il genitore rimasto solo non ha né il tempo, né le energie necessarie per occuparsi della cura della famiglia e dei figli. Inoltre, questo genitore solo si ritrova spesso in una precaria situazione economica ed in continuo conflitto con l’ex coniuge e con la sua famiglia.

Rimasto privo dell’apporto affettivo e materiale della rete amicale e parentale, è costretto a barcamenarsi tra lavoro, avvocati, giudici e assistenti sociali. Quando poi è anche invischiato in nuove impegnative relazioni amorose, non riesce a gestire in maniera piena, efficace e serena il rapporto con i figli per cui avverte il bisogno d’appoggiarsi all’affetto e al consiglio di questi per far fronte ad un futuro incerto ed oscuro. Questo bisogno di far partecipi i figli delle responsabilità della famiglia lo spinge a trattarli come avessero una maturità e delle capacità superiori alla loro età, ma anche come fossero dei sostituti dell’ex coniuge. Ciò spinge i minori ad assumere dei ruoli non propri e non adeguati alla loro età e maturità. [3] Per LIDZ ‹‹I genitori possono, anzi devono, dipendere l’uno dall’altro, ma non dal bambino – ancora immaturo – che ha bisogno della sicurezza derivante dal suo stato di dipendenza per dedicare ogni energia al proprio sviluppo. Tale sviluppo può arrestarsi se il fanciullo deve sostenere emotivamente i genitori, quando invece è proprio da loro che deve ricevere sicurezza››.[4]

4.     La perdita di stima dei genitori.

Abbiamo detto che spesso i figli sono usati dai genitori come strumento di offesa, spionaggio, scambio, ricatto. Questi comportamenti fanno scemare o perdere totalmente nei piccoli la stima verso i genitori, che non sono più percepiti come adulti responsabili, forti, equilibrati; fonte di sicurezza, serenità e amore ma, al contrario, come individui irresponsabili, deboli, scarsamente stabili, dai quali è possibile attendersi solo ansie, problemi e frustrazioni. L’immagine che il bambino ha dei genitori è, infatti, quella che questi ultimi trasmettono loro direttamente o indirettamente. Quando una madre parla male del marito, inevitabilmente trasmette ai figli un’immagine negativa del padre. Se poi le sue osservazioni riguardano gli uomini in generale, riesce a trasmettere anche un’immagine negativa del sesso maschile in generale. A sua volta però, il bambino diminuirà la stima verso se stesso in quanto come dice WOLFF: ‹‹…noi stessi siamo i nostri genitori, la stima e la fiducia in noi stessi dipendono dalla nostra capacità di pensar bene dei nostri genitori nell’infanzia.[5]

5.     Perdita della stabilità, della sicurezza e della chiarezza.

 

 

Se vi sono degli elementi di cui i bambini non possono fare a meno, questi sono la stabilità, la chiarezza e la sicurezza. Quando questi tre capisaldi mancano nell’ambiente nel quale i minori vivono, il loro sviluppo, se non regredisce, certamente si arresta o si altera. Purtroppo queste tre componenti spesso mancano nelle famiglie di separati e divorziati.

Manca la stabilità in quanto da un momento all’altro possono modificarsi le condizioni dei minori. Si può stare con la mamma tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, ma se il giudice modifica la sentenza di separazione o di divorzio, la situazione può, da un momento all’altro, ribaltarsi. Sono necessari, allora, dei continui stressanti tentativi di adattamento: ad una nuova casa, a nuovi fratellastri, a nuovi amici e familiari, ad una nuova scuola, ad un genitore diverso, ma anche ad una diversa fidanzata o convivente. Questa, a sua volta, è portatrice di diversi valori, modalità di approccio e stile educativo. Se poi questa nuova unione fallisce, e non è raro che ciò succeda, vi è il rischio di dover modificare ancora una volta i propri rapporti affettivi ed i propri punti di riferimento.

Manca la chiarezza in quanto, a volte per anni, i genitori naturali, nella ricerca di una persona che vada bene per sé e per i propri figli, instaurano delle “storie” più o meno lunghe, più o meno profonde, con persone diverse presentate al figlio: a volte come amici, altre volte come fidanzati, altre volte ancora come conviventi o come qualcuno ‹‹che per te sarà come un nuovo papà o una nuova mamma››. Amici, fidanzati, conviventi o nuovi papà e mamma, che però, da un momento all’altro, possono ridiventare degli odiati estranei da non salutare nemmeno, in base a come evolve il rapporto amoroso.

Lo stesso dicasi con i figli di questi con i quali il minore viene invitato a socializzare. Questi possono essere presentati come ‹‹i figli di Mario con cui giocare›› o come ‹‹nuovi amichetti o nuovi fratelli e sorelle››, che però, da un momento all’altro, possono ridiventare degli estranei in base a come va avanti la relazione con la loro madre o con il loro padre. Altrettanto dicasi degli altri familiari: nonni zii, cugini ecc.. Pertanto, nelle famiglie ricostruite i punti di riferimento affettivo per i figli spesso diventano vaghi, insicuri, imprecisi, altalenanti.

 

6.     La scarsa fiducia e le maggiori difficoltà nei futuri legami affettivi e amorosi.

Se da una parte la conflittualità all’interno delle coppie si traduce, inevitabilmente, in un maggior numero di separazioni e di divorzi, dall’altra le separazioni e i divorzi producono nella prole atteggiamenti di sospetto e di rifiuto verso tutti i tipi di unione stabile. Non solo, ma anche quando questo sospetto e questo rifiuto siano stati superati, nel momento in cui i figli dei divorziati decidono di unirsi stabilmente mediante il matrimonio o una convivenza, è facile che si crei una maggiore conflittualità coniugale. Il motivo è facilmente comprensibile: l’aumento della sofferenza nei figli provoca adulti più fragili, immaturi, o con chiari disturbi psichici. Questi, a sua volta, avranno più difficoltà a relazionarsi in maniera efficace e stabile, nel momento in cui decideranno di formare una famiglia.

7.      Problemi di identità e di identificazione.

L’identità caratterizza in modo inconfondibile ciascuno di noi come individuo singolo. L’identità oggettiva è data da quanto gli altri vedono in noi: non solo il nostro viso, il nostro carattere, il nostro modo di vestire ma anche la nostra collocazione familiare e sociale. L’identità soggettiva è l’insieme delle nostre caratteristiche così come noi le vediamo e le descriviamo. Per una corretta e costante identità soggettiva e oggettiva, è necessario che i punti di riferimento siano costanti e solidi; ogni alterazione o cambiamento, sia del mondo interiore come del mondo esterno la può, pertanto, mettere in discussione o alterare.

Per quanto riguarda l’identificazione, la scarsa presenza, la scomparsa o la modifica dell’immagine di uno o di entrambi i genitori, può alterare o impedire l’identificazione con il genitore dello stesso sesso. Per il maschietto: ‹‹Perché dovrei desiderare di essere come papà se la mamma lo descrive come una persona spregevole e inaffidabile, così come sono tutti gli uomini?›› Per le femminucce: ‹‹Perché dovrei desiderare di essere donna come mia madre e quindi assumere le sue caratteristiche, se ha fatto soffrire il papà che amavo tanto e lo ha allontanato da me e dalla famiglia?››.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente tutto il libro clicca qui.

[1] J. DE, AJURIAGUERRA – D. MARCELLI, Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 374.

[2] J. DE, AJURIAGUERRA – D. MARCELLI, Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 373.

[3] P. LOMBARDO, Crescere per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 94-95.

[4] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, Torino, Editore Boringhieri, 1977, p. 71..

[5] S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando Armando Editore, 1970, p.137

 

 

Tratto da "Il bambino e il suo ambiente" di Emidio Tribulato

 

 

 

Per scaricare l'intero libro clicca qui.

 

Famiglie disgregate: conseguenze psicologiche sui figli

 

 Leggendo le normative dei vari stati sul divorzio, si nota come i legislatori si siano affannati a sottolineare che la separazione o il divorzio dei genitori non debba in alcun modo avere delle ripercussioni negative sui figli. Per tale motivo le sentenze emesse dai vari tribunali che si occupano di cause di divorzio, dovrebbero, in ogni caso, mettere in primo piano il benessere materiale, sociale e psicologico dei minori. Benessere dei minori che dovrebbe essere preponderante rispetto a quello dei singoli coniugi. Inoltre, nella legislazione italiana, per evitare che il genitore non convivente sia per il figlio un fantasma da vedere solo per il pranzo della domenica, per poi guardare insieme la partita, con la nuova legge sulla separazione e sul divorzio si cerca di puntare sulla bi-genitorialità per cui l’articolo 155 del nuovo testo recita:

“Anche in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Poiché il figlio desidera, chiede e ha necessità dell’affetto, della presenza, dell’educazione di entrambi i genitori naturali, mediante la bi-genitorialità il legislatore vorrebbe che papà e mamma, anche se separati, provvedessero in modo armonico ad educare i propri figli, soddisfacendo in tal modo i loro bisogni affettivi e materiali. Ciò in quanto, come abbiamo detto prima, il benessere dei figli dovrebbe prevalere sui bisogni dei genitori coinvolti nella separazione.

Non dubitiamo della sincerità dei legislatori nell’emanare delle leggi e in quelle dei giudici nel farle applicare. Dubitiamo molto, invece, sulle conseguenze reali che questo istituto, anche utilizzando la nuova legge sulla bi-genitorialità, ha sui figli e quindi sulle nuove generazioni.

Esaminando le dinamiche presenti in questa triste realtà, che è in costante aumento,[1] ci si accorge immediatamente di come i desideri del legislatore siano da annoverarsi più nel campo delle pie illusioni che non della cruda, quotidiana realtà.

Le cause della sofferenza

I motivi di sofferenza dei figli dei separati o divorziati possono riguardare:

  1. La conflittualità tra i genitori.
  2. Uso dei figli nel conflitto.
  3. La crisi dei precedenti legami affettivi.
  4. Il difficile e complesso rapporto con i nuovi genitori, con i fratellastri e i nuovi parenti.
  5. La difficile relazione educativa.
1.      La conflittualità tra i genitori

La separazione ed il divorzio spesso non diminuiscono le cause di diverbio né fanno cessare il conflitto esistente tra i coniugi.

 Per Scaparro e Bernardini[2]:

“Le procedure di separazione e divorzio nel nostro sistema ci sembrano oggi, indipendentemente dalla volontà dei singoli, disumane. In molti casi, infatti, lungi dal ridurre la conflittualità tra i genitori in via di separazione o separati, la accrescono esponendo i bambini a gravi forme di abuso e gli stessi genitori ad insostenibili ansie”.

 In molti casi ai vecchi motivi di contrasto se ne aggiungono altri e la nuova legge italiana sull’affidamento condiviso non sembra aver affatto risolto questo annoso problema.[3]

  •   Il conflitto economico

Intanto, con la separazione ed il divorzio si apre il fronte del conflitto economico. Ognuno dei coniugi, spalleggiato dai suoi avvocati, cercherà in ogni modo di ottenere dalla separazione, per il proprio cliente, il massimo del profitto con il minimo danno. Anche perché sono poche le famiglie che possono permettersi di mantenere, da separati, lo stesso tenore di vita che avevano precedentemente.

Il conflitto sulle condizioni economiche può durare vari decenni in quanto, anche dopo la sentenza definitiva di divorzio, se la situazione si è modificata, e non è affatto difficile che il tempo modifichi le cose, uno dei due contendenti può richiedere al giudice nuove e diverse misure economiche. Ciò mantiene gli ex coniugi in una continua, esasperante situazione di tensione che alimenta i motivi e le condizioni di reciproca aggressività.

L’altro viene visto come una sanguisuga pronta a utilizzare tutti gli espedienti possibili per ottenere sempre di più: “Pur di pretendere più soldi si inventa mille necessità e spese per i figli e per la famiglia”. Oppure, al contrario, l’altro viene visto come l’avaro ed il prepotente che non concede quanto può e quanto gli è dovuto ai figli e al coniuge, costringendoli ad una vita difficile e grama: “Non vuole pagare neanche le spese per l’apparecchio dei denti di cui ha bisogno suo figlio! È proprio un miserabile”.  “Si rifiuta di partecipare alle spese per il corso di ginnastica riabilitativa per risolvere il problema della scoliosi di Laura”. In questi conflitti su base economica sono coinvolti anche i figli, i quali sono spesso costretti a mentire su quanto veramente spendono o su quanto guadagnano: “Fai pure qualche lavoretto ma non dirlo a papà se no ti toglie il mantenimento”. “Di’ a papà che il corso di chitarra ti è indispensabile e che ci costa molto”.

  •   Il contenzioso sull’affidamento dei figli

Con la separazione e con il divorzio si apre il contenzioso sull’affidamento dei figli. Per Vico[4] : “Il figlio diventa spesso una realtà contesa, divisa, ora oggetto di scambio, ora fattore di compensazione, ora perdita preziosa nel circolo vizioso giuridico - psicologico del gioco delle parti in cui il sistema familiare viene a trovarsi”. Vi sono mille motivi di tipo affettivo ed economico per volere per sé i figli quanto più a lungo possibile o, al contrario, per non volerli. “Se i figli stanno insieme a me, di questo disastrato matrimonio mi resta almeno qualcosa: il loro affetto, la loro presenza nonché il mantenimento che il mio ex mi dovrà dare”. “Se i figli stanno con me posso facilmente gestire a mio vantaggio i loro bisogni economici”.

Ma sono presenti anche dei desideri o dei bisogni opposti: “Se il figlio non sta con me sono libero/libera di avere altre amicizie, altri amori ed intraprendere nuove e più redditizie attività lavorative senza che lui/lei sappia nulla”. Anche in questo caso il dissidio può non finire affatto con la sentenza del giudice che indica a chi sono affidati i figli e quali possibilità ha l’altro di vederli e restare con loro. Può succedere che il genitore che si è battuto strenuamente ed ha fatto “ferro e fuoco” per avere affidati i figli quanto più a lungo possibile, pochi mesi dopo, a causa delle mutate esigenze sentimentali, lavorative o per un sopraggiunto difficile dialogo e gestione dei minori, pretenda esattamente il contrario: “Se quando ero solo mi stava bene che i figli stessero con me tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, dopo aver conosciuto Luisa, queste condizioni non mi stanno più bene in quanto non mi permettono di trascorrere i fine settimana con la mia nuova fidanzata”.

 

  •   Le nuove relazioni amorose

L’altro fronte molto caldo, anzi scottante, che si apre riguarda le nuove relazioni amorose. Una parte degli uomini e delle donne separati o divorziati vorrebbe creare, dopo il fallimento del primo matrimonio, una nuova famiglia. Una famiglia che abbia tutti i pregi di quella abbandonata senza averne i difetti. Il progetto è sicuramente desiderabile e augurabile, ma si scontra con mille difficoltà.

È, intanto, laboriosa la scelta di un nuovo partner. Data la facilità con la quale i due sessi si possono incontrare nelle numerose feste, nelle discoteche o mediante l’uso degli strumenti elettronici: Internet, cellulari, telefono, agenzie matrimoniali, ma anche con la frequenza di appositi locali per gli incontri sentimentali dei single, il progetto di conoscere e frequentare un nuovo partner non è obiettivamente difficile. È facile organizzare dei primi incontri, così com’è agevole la conduzione sentimentale e sessuale durante le prime settimane della nuova relazione.

I fuochi della passione, delle illusioni e dell’innamoramento, con molta probabilità riusciranno a creare un clima relazionale incantevole. I problemi nascono dopo. I problemi nascono quando si vuole trasformare un rapporto sentimentale e amoroso in qualcosa che somigli ad una famiglia.

Non appena l’uomo e la donna iniziano a parlare e a programmare qualcosa di più importante, rispetto ai piacevoli momenti vissuti e goduti insieme, saltano fuori, come dal cappello a cilindro di un prestigiatore, i problemi reciproci. “Sì ci amiamo, ma che fare di questo amore? Ancora non sono divorziato”. “Ho ancora dei figli piccoli che stanno con me e non vorrei traumatizzarli inserendo un’altra presenza estranea tra noi”. “Attualmente non sono pronto per un'altra unione”. O peggio: “Tu credi ancora nel matrimonio o nella convivenza? Io non ci credo più, dopo quanto ho dovuto subire”.

Ciò rende i genitori dei bambini separati o divorziati notevolmente inquieti, instabili e incostanti. Essi passano dall’entusiasmo della fase dell’innamoramento, quando nuove e più esaltanti emozioni bussano al loro cuore ed al loro corpo, alla tristezza e al pessimismo più profondi, che spesso si accompagnano a irritabilità e scontrosità quando, per un motivo qualsiasi, il nuovo legame amoroso diventa difficile, si sfalda o sfuma.

I problemi personali dei divorziati, e quindi i riflessi negativi sui figli, si accentuano anche per la difficoltà o l’impossibilità di far accettare all’altro coniuge il nuovo sentimento amoroso e la nuova realtà affettiva. Sono pochi gli uomini e le donne, cosiddetti “di larghe vedute”, che riescono ad essere insensibili o poco reattivi quando avvertono che una nuova persona è accanto all’ex coniuge. Molti che fino a qualche giorno prima giuravano di non provare più nulla per l’altro, nel momento in cui si accorgono che questi ha iniziato ad instaurare una nuova relazione, avvertono sorgere nel loro animo un’intensa, irrefrenabile gelosia, mista a disappunto e aggressività.

Sentimenti questi difficilmente gestibili. Non è psicologicamente facile accettare che nel proprio talamo coniugale il proprio ex consorte accolga un altro uomo o un’altra donna. Non è assolutamente agevole pensare serenamente che quest’ultimo mangi nello stesso desco dove, per decine d’anni, la famiglia consumava i suoi pasti, sospettando, tra l’altro, che assapori i cibi comprati con i soldi dati da lui/lei all’ ex consorte per il suo mantenimento.

Non è necessario essere siciliani per provare i morsi feroci della gelosia quando si sospetta o si è certi che qualcosa del genere avvenga. Ciò spinge chi prova questo sentimento ad atti e comportamenti particolarmente irritanti, se non chiaramente aggressivi, sia nei confronti dell’ex coniuge sia verso il suo nuovo amore. Ne sono un’evidente dimostrazione le bordate al vetriolo contro l’altro o l’altra fidanzato/a che si accompagna al marito o alla moglie.

Ancor più difficili da accettare sono i rapporti affettuosi dell’ex coniuge quando l’altro ha la veste del proprio miglior amico o amica, resosi subito disponibile per consolare il giovane divorziato o la giovane separata.

Data l’intensa gelosia, le conseguenti manifestazioni di collera e aggressività sono pertanto frequenti. Il modo di manifestarle è però diverso. Se la donna cercherà di colpire subdolamente l’ex marito sui beni a cui tiene di più: sull’amore dei figli, sulle sostanze economiche, sulle amicizie, l’uomo che tende a trasformare in immediate azioni aggressive il suo odio, la sua sofferenza e la sua rabbia, rischia di diventare, e sempre più spesso lo diventa, un feroce assassino: della propria consorte, della suocera che l’appoggia e del nuovo amore della sua ex!

Anche la donna, a volte, uccide il marito ma più spesso non lo fa direttamente bensì tramite altre persone: il padre, il fratello, il nuovo amante, così come in un moto di disperazione o di aggressività può uccidere o ferire i figli e se stessa.

 

  •   La gestione quotidiana dei figli

Con la separazione nasce il problema della gestione quotidiana dei figli. Se questi figli, ad esempio, sono affidati alla moglie è molto facile che questa si lamenti di non essere assolutamente aiutata dal marito. Pertanto, cercherà in tutti i modi di metterlo in difficoltà chiedendo il suo aiuto nei momenti meno opportuni, al fine di creare scompiglio, sia ai programmi lavorativi sia agli incontri sentimentali. Se invece il marito cercherà di impegnarsi nella gestione del figlio, è molto facile che la moglie veda questo suo desiderio come un’insopportabile intrusione e quindi farà di tutto per impedire i contatti troppo frequenti tra padre e figlio, anche accusando l’ex marito dei comportamenti i più infamanti come la violenza, l’abuso o le molestie sessuali.

2.      Uso dei figli nel conflitto

Non è difficile avvertire la sofferenza di un bambino quando uno o entrambi i genitori usano il figlio come arma impropria nei confronti dell’altro. Eppure è ciò che accade frequentemente nelle coppie di separati, anche per il “progressivo inserimento nel corso delle procedure legali di tutta una serie di figure quali avvocati, periti, magistrati e così via, che oggettivamente possono portare i genitori a perdersi, letteralmente di vista e a comunicare esclusivamente attraverso carte bollate”[5].

Spesso il figlio è utilizzato come spia per conoscere cosa fa, con chi esce, quali sono le cattive abitudini e quanto guadagna l’altro, in modo tale da fornire al proprio avvocato nuove armi legali contro l’ex coniuge. Bastano poche informazioni riguardanti ad esempio l’abuso di alcolici, stupefacenti, la frequenza di cattive compagnie o la possibilità di nuovi introiti, per iniziare un procedimento di modifica della sentenza del giudice a proprio favore.

Può succedere ancora di peggio: come quando i figli, specie se piccoli, sono utilizzati per accusare l’altro di violenza fisica o abuso sessuale. Così da mettere KO l’avversario in modo completo e definitivo.

In altri casi il figlio è utilizzato per ricattare l’altro: “Se non mi mandi puntualmente l’assegno di mantenimento non ti faccio vedere tuo figlio”. “Se continui a frequentare quella donnaccia chiederò al giudice di non farti vedere più Francesco”. I figli sono anche utilizzati direttamente per punire l’altro: “Lei mi ha lasciato e io le sottraggo il figlio e vado all’estero”. “Lui si è comportato male e io gli metto il figlio contro, così quando viene a prenderlo nei fine settimana, il bambino si rifiuterà di andare e questo rifiuto lo umilierà e lo rattristerà”. O ancor peggio: “Lei si è comportata male io le uccido i figli prima di uccidere anche me”.

3.      La crisi dei precedenti legami affettivi

Spesso con la separazione o con il divorzio vanno in crisi molti dei legami affettivi precedenti che avevano supportato lo sviluppo psicologico e maturativo dei minori.

La crisi del legame genitori-figli

Va in crisi il legame con uno, ma a volte anche con entrambi i genitori in quanto, già durante la separazione o anche prima, i genitori separati cercano consciamente o inconsciamente di strappare o rendere il più evanescente e conflittuale possibile il rapporto dei figli con l’altro coniuge. E ciò per vari motivi:

  • “Lui/Lei deve pagare in qualche modo per i danni arrecati con il suo comportamento, con la sua infedeltà, con le sue parole aggressive o ingiuriose mentre stavamo insieme”.
  • “Lui/lei deve pagare per quello che con la separazione ha ottenuto tramite un bravo avvocato o un giudice compiacente”.
  • “Lui/ lei deve pagare per i piacevoli incontri o per i nuovi amori che si concede con un’altra donna o un altro uomo”.

Questo accanirsi l’uno contro l’altro comporta dei messaggi altamente deleteri nei riguardi dei figli: “Se mi vuoi bene, se vuoi essere un buon figlio, cerca di giudicare quanto peggio possibile tua madre/tuo padre, per quello che è il suo caratteraccio, per quello che ha fatto quando stavamo insieme, ma anche per come si comporta adesso”.

Anche se lui/lei, seguendo i consigli e le esortazioni degli psicologi, dei consulenti familiari o delle persone vicine che cercano di inserire nella relazione tra i due ex, un minimo di buon senso, si sforzano di impegnarsi affinché l’immagine del padre o della madre non scada agli occhi dei figli, questo tipo di comunicazione passa ugualmente mediante i comportamenti e gli atteggiamenti nettamente aggressivi e pieni di livore verso l’altro coniuge.

Da ciò nasce la lacerazione interna della quale soffrono i figli dei divorziati. A loro viene di fatto negata la possibilità di amare e rispettare entrambi i genitori. A loro viene di fatto negata la possibilità di dialogare serenamente e costruttivamente con la madre ma anche con il padre naturale. A loro viene di fatto negata la possibilità di avere da entrambi i genitori quei valori, quei consigli, quegli atteggiamenti educativi diversi per qualità e contenuto, che possono provenire solo da una figura femminile e materna e da una figura maschile e quindi paterna.

I figli, qualunque sia il loro comportamento, rischiano di far soffrire o di offendere l’uno o l’altro dei genitori. Se scelgono di amare maggiormente la persona con la quale vivono maggiormente, sentono di fare un torto all’altra, che è costretta ad avere la loro compagnia ed il loro affetto solo per alcuni giorni o ore della settimana e ne lamenta la mancanza.

Se al contrario si legano maggiormente al genitore meno frequentato, essi avvertono di essere ingiusti nei confronti di chi, giornalmente, per loro lavora, per loro sacrifica molte ore della sua giornata, li segue, li aiuta e sostiene nei momenti di difficoltà, li cura nelle malattie, a loro è vicino nei momenti di scoraggiamento, dolore e delusione.

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La crisi tra i genitori e i figli si accentua nel momento in cui questi ultimi hanno comportamenti o atteggiamenti poco o nulla affettuosi nei riguardi di mamma e papà. Mentre quando la famiglia è unita il genitore che in quel momento lamenta la lontananza o la scarsa tenerezza dei figli vive questi episodi con serenità, in quanto essi fanno parte delle dinamiche fisiologiche all’interno del gruppo familiare, il genitore separato soffre gli stessi atteggiamenti con angoscia e sensi di colpa.

Sensi di colpa per non essere riuscito a tenere integra l’unità familiare, per tutto ciò che avrebbe potuto fare per loro e non ha fatto, per tutto quello che avrebbe potuto dire loro e non ha detto, per tutte le occasioni sprecate o mancate, per tutto il tempo a loro non concesso. Altre volte il senso di colpa è sostituito da sentimenti e comportamenti reattivi e aggressivi. In questi casi il genitore separato, con il suo comportamento, con il suo atteggiamento, con le sue parole, rimprovera e manifesta ai figli tutto il suo livore, per non essere stato compreso e aiutato abbastanza o perché questi hanno appoggiato l’altro genitore, a suo giudizio colpevole della crisi della famiglia.

Questa ostilità aperta o nascosta rischia spesso di allontanare ancora di più i figli, sia psicologicamente, sia fisicamente. Questi, quando sono abbastanza grandi per decidere autonomamente, possono rifiutare ogni visita ed ogni contatto, creando di fatto un baratro a volte incolmabile. È frequente un preciso giudizio negativo sui genitori che si sono separati: “La violenza maggiore che ho subìto è stata quella fattami dai miei genitori quando si sono lasciati”. Così affermava una giovane donna in un incontro in cui si discuteva di violenza. A un figlio spesso non importa di chi sia la colpa: entrambi i genitori sono accusati di non essersi comportati con la maturità e la saggezza necessaria, impedendogli di vivere e godere, giorno per giorno, la serenità e la sicurezza di una famiglia normalmente unita.

Il rapporto genitori-figli è destinato spesso a peggiorare nel momento in cui i separati o divorziati cercano o instaurano nuovi legami amorosi. Questi nuovi legami spesso sono vissuti dai figli con sconcerto ed irritazione, quando non fanno emergere una chiara collera. I figli, istintivamente, avvertono la patologia di un secondo legame sentimentale e matrimoniale in quanto sanno, più o meno consciamente, che in questi successivi rapporti vi è qualcosa che rischia di portare loro ulteriore sofferenza. “Papà che prima trascorreva tanto tempo con me, non è diventato forse più assente da quanto ha conosciuto quest’amica?” “La mamma non è forse più nervosa, irritabile ed aggressiva da quando ha saputo che papà ha una nuova fidanzata?” “Papà non è andato forse in bestia minacciando una carneficina quando gli ho detto che la mamma usciva con uno che poi ha addirittura invitato a cena?”

Tra l’altro nell’immaginario dei figli, i rapporti sessuali dei genitori sono accettati già con molta difficoltà solo nei confronti della propria madre o del padre; quelli con gli estranei sono visti e giudicati come una cosa poco bella, se non chiaramente impudica e sconcia.

Frequentemente nei libri che si occupano di questo argomento viene consigliato di parlare con calma ai propri figli di questo scabroso argomento, così da far accettare meglio la nuova situazione sentimentale e sessuale di mamma e papà. Non vi è dubbio che il consiglio sia valido, anche se, purtroppo, le sue conseguenze pratiche sono minime in quanto si cerca di modificare razionalmente qualcosa che sfugge ad un ragionamento logico, in quanto le reazioni dei bambini a questi avvenimenti sono legate più ai moti istintivi dell’animo che alla ragione.

La crisi del legame con gli altri familiari

Si complicano di molto il dialogo e le relazioni affettive con i familiari dell’ex consorte. Verso di questi può persistere un buon legame amichevole o anche affettivo solo se manifestano apertamente una netta condanna nei confronti del loro congiunto. In caso contrario i sentimenti verso i genitori ed i parenti dell’ex coniuge non sono affatto né affettuosi, né amichevoli.

A questo riguardo le frasi che si odono più frequentemente sono: “Non sono forse loro ad averlo/a educato/a così male tanto che non ha saputo ben comportarsi nella vita matrimoniale?” E poi: “Siamo certi che i suoi genitori e parenti si siano adoperati fino in fondo per evitare che il figlio/la figlia si comportasse in quel modo deleterio o seguisse una cattiva strada?” Ed infine: “I genitori di lui/lei non sono forse gli stessi che nel primo periodo del fidanzamento, ma anche dopo, non erano affatto d’accordo sulla scelta fatta dal figlio o dalla figlia e mi mettevano in cattiva luce ai suoi occhi? Pertanto, sicuramente, avranno influito negativamente sul suo comportamento successivo e adesso gioiscono della separazione”.

Anche in questo caso, consciamente o inconsciamente, il messaggio che arriva ai figli dei divorziati è: ”Cerca di giudicare anche tu male queste persone e quindi comportati verso di loro con freddezza e animosità”. Oppure: “ Allontanati da questi parenti in quanto fanno parte di un mondo che ci è ostile e non è più il nostro”.

4.      Il difficile e conflittuale confronto con i nuovi genitori, fratellastri e parenti
I conflitti con i nuovi genitori

Molto spesso i conflitti dei figli di divorziati con i nuovi genitori si evidenziano già prima che si sia formato un nuovo vincolo. Alcuni, se possono, preferiscono defilarsi dalla nuova situazione vivendo da soli, piuttosto che con il patrigno o matrigna e con i fratellastri. Il nuovo venuto, ed i suoi parenti, sono visti come figure minacciose, pronte a sottrarre loro il vero genitore, o come ladri desiderosi di rubarne l’affetto. In ogni caso il nuovo fidanzato o la nuova fidanzata, i figli ed i parenti di questi sono vissuti come persone che porteranno sicuramente scompiglio in un equilibrio preesistente.

Altri figli di separati o divorziati pur rimanendo in apparenza nel nuovo nucleo familiare, cercano all’esterno: nel branco, negli amici, nei coetanei o in qualche altro adulto, quella serenità, continuità e stabilità che ogni minore desidera ardentemente, e ciò comporta il rischio di essere plagiati o strumentalizzati.

Ancora più difficile è accettare, senza particolari traumi, l’inserimento di nuove figure che dovrebbero sostituire o aggiungersi a quelle che i figli conoscono e che si sono profondamente radicate nel loro animo. Molte volte, se i nonni sono disponibili ad accoglierli, alcuni figli chiedono e ottengono di restare con loro al fine di garantirsi un minimo di stabilità, vivendo con persone ben conosciute e amate, piuttosto che affrontare nuovi e difficili rapporti.

Le motivazioni o spiegazioni date dai genitori nel momento in cui questi iniziano una nuova “storia” non sono spesso sufficienti a placare i sentimenti negativi dei figli, in quanto questi comprendono benissimo che il mondo attorno a loro non è come dovrebbe essere. Da una parte il figlio vorrebbe che il papà e la mamma fossero uniti mentre non lo sono. Vorrebbe che almeno vi fosse tolleranza e rispetto reciproco ma anche questi comportamenti non sono presenti.

Si aspetterebbe che dopo la sofferenza ed i traumi dovuti ai diverbi prima e durante la separazione ed il divorzio, vi fosse una pausa di stabile serenità, ma anche questo rimane un sogno impossibile. In queste situazioni i minori si sentono trascinati in una giostra di emozioni e sentimenti negativi che non riescono a gestire, senza subire ferite laceranti. Ferite che, a sua volta, lasciano cicatrici indelebili nella loro psiche.

Ancora una volta, si chiede ai bambini di capire e accettare qualcosa che difficilmente si può capire e accettare, in quanto contrasta fortemente con i loro desideri e i loro bisogni più profondi e veri. Come si fa ad accettare e se possibile amare una donna o un uomo fino a quel momento dei perfetti estranei, in sostituzione od in aggiunta al loro vero padre o alla loro vera madre? Se poi estranei non sono è ancora peggio. Come si fa ad accettare e amare quelle persone che hanno provocato, anche se involontariamente, sconquasso nella propria vita e nella propria esistenza?

Tra l’altro, prima della scelta definitiva, che spesso avviene molto tardi, questi uomini e queste donne che si sono frequentati hanno, per i figli, caratteristiche poco chiare e definite. “Questa persona che sta accanto a mio padre o a mia madre, che dovrei rispettare e con la quale dovrei esser gentile perché dice di volermi bene, chi è? È un amico/a? Un amante? Un fidanzato/a? Un nuovo genitore? Insomma, chi è? e cosa vuole da noi e da me in particolare?”

Può poi capitare, e capita spesso, che anche questo nuovo “amico”, “amore” o peggio, “fidanzato”, scompaia dopo poco tempo come volatilizzatosi, lasciando nei figli sconcerto e perplessità e, nel genitore che si era illuso, collera, risentimento o depressione. Sentimenti questi che inevitabilmente si riverseranno nell’animo dei minori. Per non parlare dello sconvolgimento quando i nuovi nonni, zii e cugini, dopo essere improvvisamente comparsi nella loro vita, altrettanto velocemente scompaiono nel nulla.

Quando poi la situazione si stabilizza con una convivenza o meglio ancora con un nuovo matrimonio, come accettare questo nuovo compagno? Non è facile avvertire senza acredine o profondo rifiuto, chi si inserisce dall’esterno in una relazione familiare preesistente. Istintivamente, ma anche istigati dalla madre o dal padre naturale, i figli sentono e giudicano quelle persone come degli intrusi che cercano di annettersi un ruolo che non è il loro. Pertanto i minori tendono ad esasperare sia i rimproveri, sia qualunque intervento educativo venga da esse.

I sentimenti negativi dei figliastri rischiano, inoltre, di provocare in chi li subisce delle reazioni tali da impedire al nuovo padre o alla nuova madre di assumere quell’autorità e quella responsabilità indispensabili per gestire un vero ruolo genitoriale. Ne segue l’amarezza, in questi nuovi genitori, di far di tutto per farsi voler bene ed essere, invece, ricambiati con freddezza o peggio con netta ostilità.

Alcuni minori pur di vivere accanto a due figure genitoriali stabili e che abbiano delle buone relazioni affettive accettano, anzi desiderano questi nuovi legami, ma sono costretti a subire dei notevoli sensi di colpa nei confronti dell’altro genitore naturale, in quanto temono di essere giudicati corresponsabili dell’intrusione di un’altra persona estranea nella famiglia naturale.

Anche verso il genitore che ha fatto questa scelta nascono dei conflitti e dei giudizi severi: “Anche se mia madre odia papà, perché ha bisogno di un altro uomo? Il mio amore per lei non era forse sufficiente?” D’altra parte soprattutto le matrigne, se non riescono in entrambi i ruoli: di buona madre del figlio del marito e di buona moglie, è facile che provino sentimenti negativi sia verso il bambino che verso il di lui padre.

 

I conflitti con i fratellastri

Se con il nuovo legame, matrimonio o convivenza che sia, si aggiungono anche altri figli di precedenti unioni, le dinamiche relazionali si complicano ulteriormente.

L’incontro di minori con diverse origini familiari, esperienze educative, patrimonio genetico e cognome, spesso è notevolmente difficile da vivere e da gestire da parte di minori già portatori di disagio psicologico, in quanto provengono da una vita familiare nella quale i conflitti, le incomprensioni, le aggressioni li hanno profondamente segnati. Il ritrovarsi improvvisamente con dei fratellastri non cercati, non desiderati, non può che accentuare le normali invidie, gelosie e rivalità tanto frequenti nei fratelli.

Come un figlio vede la sua famiglia separata

La madre di Salvatore, un ragazzo di dodici anni, aveva chiesto il nostro intervento in quanto il figlio presentava disturbi psicoaffettivi di media gravità che si manifestavano con parziale e momentaneo distacco dalla realtà, tendenza alla chiusura, distraibilità eccessiva, scarsa cura di sé, labilità emotiva, notevoli difficoltà scolastiche. Quando abbiamo chiesto a Salvatore di parlarci della sua famiglia egli l’ha descritta in questi termini:

“Papà è normale, tranquillo un po’ impulsivo: quando dobbiamo vederci la partita non avvisa la mamma ma solo me. Lui non telefona per mettersi d’accordo. A volte si arrabbia perché la mamma non è puntuale. Sto spesso dai nonni della mamma, sono simpatici. La mamma è un po’ bugiarda, dice un sacco di bugie e papà si arrabbia.

Ricordo poco di quando la mamma e papà stavano insieme.

Con mia sorella Francesca litigo, mi prende in giro e gli do botte. Canta: “Salvatore è scemoooooo!!”Mamma poi rimprovera tutti e due.

Litigo con la mamma per i compiti, per la scuola, perché l’aiutiamo poco. Ma io preparo la tavola e mia sorella non fa niente.

Con i compagni va benissimo, organizziamo le partite, non mi prendono in giro.

La convivente di mio padre mi sta un po’ antipatica, litiga sempre con papà, si arrabbia con me e difende mia sorella. Io ci vado quasi sempre da lei. Francesca quasi mai. Papà si arrabbia perché Francesca non ci va quasi mai.”

 

In questo racconto sulla propria famiglia con genitori separati, vi è un’efficace sintesi di quanto abbiamo descritto:

I genitori spesso continuano a litigare anche da separati (Papà è normale, tranquillo un po’ impulsivo. A volte si arrabbia perché la mamma non è puntuale. La mamma è un po’ bugiarda, dice un sacco di bugie e papà si arrabbia).

I bambini danno dei giudizi negativi su entrambi i genitori. In questo caso soprattutto sulla madre (Lui non telefona per mettersi d’accordo) ( La mamma è un po’ bugiarda, dice un sacco di bugie e papà si arrabbia).

I figli trovano un’oasi di serenità solo dai nonni e nei giochi con i compagni. (Sto spesso dai nonni della mamma, sono simpatici). (Con i compagni va benissimo, organizziamo le partite, non mi prendono in giro).

La sofferenza provata si trasforma in aggressività tra fratelli (Con mia sorella litigo, mi prende in giro e gli do botte. Canta “Salvatore è scemooooo!!)

Il bambino evidenzia poi i difficili rapporti con il genitore affidatario (Litigo con la mamma per i compiti, per la scuola, perché l’aiutiamo poco).

Non trascura di annotare il difficile rapporto del padre con la nuova convivente (litiga sempre con papà).

Infine, è evidente lo scarso amore e attaccamento verso la convivente da parte di entrambi i figli (La convivente di mio padre mi sta un po’ antipatica. Si arrabbia con me e difende mia sorella. Io ci vado quasi sempre da lei. Francesca quasi mai. Papà si arrabbia perché Francesca non ci va quasi mai).

      La difficile relazione educativa

Una delle principali conseguenze è la nascita o l’aggravarsi dei problemi di tipo educativo. Affinché un rapporto pedagogico sia efficace, sono necessarie alcune qualità essenziali: la stabilità, la serenità, l’autorevolezza, un dialogo efficace, chiari ruoli, ed infine un lavoro di squadra tra tutti gli adulti e i minori interessati. Al buon esito del processo educativo partecipano non solo gli adulti ma anche l’educando, il quale deve collaborare con altrettanta disponibilità ed impegno.

Nel caso di genitori separati o peggio divorziati, spesso non vi è alcuna di queste condizioni.

Non vi è stabilità, perché le relazioni precedenti sono sconvolte dalle decisioni dei giudici e dagli accordi dei genitori, ma anche perché ognuno dei genitori è spesso impegnato a ricercare e a vivere altre amicizie, altri amori, altre passioni.

Non vi è serenità in quanto i genitori e, spesso, anche gli altri parenti e amici, sono coinvolti su come, quando e con quali armi potranno far del male alla controparte o su come, con quali mezzi e strumenti possono privare l’altro di qualcosa a cui tiene, piuttosto che su come ben educare il minore. Spesso, inoltre, le maggiori difficoltà economiche dovute all’incremento delle spese necessarie a mantenere due famiglie, nonché gli esborsi per spese legali, impegnano i genitori nella ricerca di nuove e più sostanziose entrate che permettano di vivere decentemente o almeno di sopravvivere.

Non vi è autorevolezza, in quanto con i loro comportamenti, spesso incongrui e contraddittori, l’immagine genitoriale scade agli occhi dei figli.

Non vi è collaborazione da parte dell’educando, poiché questi, investito da profonde e conflittuali dinamiche relazionali, difficilmente ha la serenità necessaria per aderire ad un processo educativo proposto da un genitore che giudica egoista, evanescente, contraddittorio, ma anche colpevole del proprio personale disagio.

Non vi è lavoro di squadra, poiché se i figli hanno deicomportamenti ansiosi, instabili, aggressivi, non trovano nei genitori inquieti una sponda capace di comprenderli, correggerli e indirizzarli adeguatamente. Spesso i due coniugi sono in concorrenza per avere rispettivamente tutto per sé l’affetto e l’attenzione dei figli. Se vi è qualche problema psicologico questo o viene negato, per evitare di essere emotivamente coinvolti o viene aggravato, in modo tale da dare all’ex coniuge la responsabilità di quanto accade: “Necessariamente Luigi si comporta così, in quanto ha un padre che l’accontenta in tutto ciò che chiede quando sta con lui.

Quando poi io, madre, devo negargli qualcosa, egli mi giudica cattiva e si ribella”. “Francesco è capriccioso poiché sua madre lo sta allevando nella bambagia, come d’altronde è stata educata anche lei dai suoi genitori”. E ancora: “Mio figlio ha questi gravi problemi psicologici perché mio marito non si trattiene e lo fa assistere alle effusioni che ha con la nuova amica”. “Questo ragazzo ha il carattere capriccioso, caparbio, egoista di suo padre”.

Poiché queste difficoltà educative si accentuano nel periodo adolescenziale, è in questo periodo che esplodono in modo più virulento i contrasti tra il genitore affidatario e i figli, specie se questo genitore è la madre, in quanto per la donna è più difficile e complessa la gestione educativa del figlio adolescente.

Inoltre manca spesso, in queste situazioni, un dialogo efficace. Questo dovrebbe essere sereno e costruttivo. Ciò è difficile che avvenga in quanto, se il bambino nei fine settimana lascia la madre affidataria per andare a casa del padre, questi, piuttosto che impegnarsi in un sano e rispettoso dialogo, costretto spesso dalla guerra interminabile con l’ex coniuge, cercherà di sapere dal bambino elementi che possono mettere in cattiva luce la madre: “Cosa fa? Con chi esce? Ti accompagna a scuola?

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Lo stesso fa la madre quando il bambino, trascorsi il sabato e la domenica con il padre, ritorna da lei. “Dove siete stati? Con chi siete stati? Cosa faceva tuo padre con quella donna che sta con lui?” Prevalgono nel dialogo i motivi di sospetto, diffidenza e ricerca di comportamenti o atteggiamenti colpevoli dell’altro. Pertanto, il rapporto genitori–figli si deteriora rapidamente, e molto spesso anche definitivamente.

Nell’educazione dei bambini di genitori separati o divorziati incidono pesantemente la mancanza di linearità e di un chiaro ruolo educativo. Il genitore affidatario, o comunque il genitore con il quale il bambino resta durante tutta la settimana, che è in genere la madre, ha difficoltà ad assumere contemporaneamente il doppio ruolo di padre e di madre, maschile e femminile.

A sua volta il padre, che vede il bambino solo durante i fine settimana, non riesce ad avere con lui un ruolo autorevole di tipo paterno, per evitare che il bambino si irriti e rifiuti quel minimo di rapporto che si è instaurato tra di loro. Per tale motivo mette da parte il suo fondamentale compito per assumere una più comoda mansione di “padre - amico e complice con il quale andare allo stadio o vedere le partite alla tv”.

Inoltre, per accaparrarsi l’amore del figlio conteso, è frequente la tendenza, in entrambi gli ex coniugi, ad essere più permissivi di quanto si sarebbe voluto e si dovrebbe. Come conseguenza di ciò si ha, nei figli dei divorziati, una frequente presenza di comportamenti capricciosi ed infantili.

 



[1] In Italia nel 1995 si verificavano 158 separazioni e 80 divorzi ogni mille matrimoni; nel 2008, sempre in Italia si è arrivati a 286 separazioni e 179 divorzi ogni mille matrimoni (Dati Istat).

[2] Scaparro F., Bernardini I., (1987), “Come ridurre i traumi della separazione”, Famiglia Oggi, settembre – ottobre, anno X, n.29, p. 65.

[3] Per il presidente dell’AMI Gian Ettore Gassani (associazione avvocati matrimonialisti italiani) il 70% delle coppie anche dopo la separazione ed il divorzio continua a essere in conflitto e a delegittimarsi.

[4] Vico G., (1987), “Educare il bambino in una famiglia instabile”, Famiglia oggi, Anno X, Settembre–ottobre, p. 29.

 

[5] Scaparro F., Bernardini I., (1987), “Come ridurre i traumi della separazione”, Famiglia Oggi, settembre – ottobre, anno X, n.29, p. 66.

 

 

Conseguenze psicologiche sui figli

 

Le conseguenze sui figli, causate da un ambiente disgregato, sono tanto più gravi quanto più il bambino è piccolo al momento della separazione, quanto maggiore è il grado di conflittualità e quanto più le visite dell’altro genitore sono irregolari ed imprevedibili.[1] Tra le tante conseguenze si registrano nei minori:

 

  1. Disturbi psicoaffettivi.
  2. La perdita della stabilità, della sicurezza e della chiarezza.
  3. La scarsa fiducia e le maggiori difficoltà nei futuri legami affettivi ed amorosi.
  4. Problemi di identità e identificazione
  5. L’assunzione di precoci ed eccessive responsabilità.
  6. La perdita di stima nei confronti dei suoi genitori.
  7. Il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto.

 

1.      Disturbi psicoaffettivi

 

I minori di famiglie separate o divorziate sono spesso colpiti da ansie, paure, sensi di colpa, depressione ed altri disturbi psicoaffettivi, dovuti alla perdita di uno dei genitori o di entrambi se questi sono immersi nel conflitto, nell’offesa o nella difesa, piuttosto che nella relazione con il bambino. La sofferenza provata può spingere i minori a dei comportamenti incongrui come quelli attuati mediante l’uso di sostanze stupefacenti o atteggiamenti asociali o antisociali. Inoltre, poiché è la famiglia il luogo privilegiato della formazione emotiva, quando la famiglia si rompe, si interrompe o si altera questo tipo di formazione.

Il confronto tra i bambini che crescono con una madre vedova, rispetto a quelli che crescono con una madre divorziata è nettamente sfavorevole per questi ultimi, nei quali vi è un maggior grado di alterazione, a livello cognitivo, emotivo e sociale.

I sensi di colpa di cui possono soffrire i figli dei separati e dei divorziati possono nascere dalla consapevolezza di non essere stati in grado di tenere uniti papà e mamma, o peggio di essere stati causa dei loro diverbi con i loro comportamenti non corretti. Altri sensi di colpa possono nascere dai giudizi negativi che essi hanno formulato in cuor loro verso uno o verso entrambi i genitori: “La mamma è una poco di buono, come dice papà. Lui, a sua volta, è uno sfaticato ed un incapace come dice la mamma”. Il bambino, inoltre, può vivere dei sensi di colpa difficilmente superabili per il riacutizzarsi di problematiche edipiche in quanto “Vedere i genitori opporsi, litigare, separarsi, può costituire la realizzazione di un desiderio fantasmatico incestuoso: togliere di mezzo uno dei genitori per poter possedere l’altro”.[2]

2.      Perdita della stabilità, della sicurezza e della chiarezza

Se vi sono degli elementi di cui i bambini non possono fare a meno, questi sono la stabilità, la chiarezza e la sicurezza. Quando questi tre capisaldi mancano nell’ambiente nel quale i minori vivono, il loro sviluppo, se non regredisce, certamente si arresta o si altera. Purtroppo queste tre componenti spesso mancano nelle famiglie di separati e divorziati.

Manca la stabilità in quanto da un momento all’altro possono modificarsi le condizioni dei minori. Si può stare con la mamma tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, ma se il giudice modifica la sentenza di separazione o di divorzio, la situazione può, da un momento all’altro, ribaltarsi. Sono necessari, allora, dei continui stressanti tentativi di adattamento: ad una nuova casa, a nuovi fratellastri, a nuovi amici e familiari, ad una nuova scuola, ad un genitore diverso, ma anche ad affrontare un diverso fidanzato/a o convivente di mamma e papà. Se poi questa nuova unione fallisce, e non è raro che ciò succeda, vi è il rischio di dover modificare ancora una volta i propri rapporti affettivi ed i propri punti di riferimento.

 

Manca la chiarezza e la sicurezza in quanto, a volte per anni, i genitori naturali, nella ricerca di una persona che vada bene per sé e per i propri figli, instaurano delle “storie” più o meno lunghe, più o meno profonde, con persone diverse presentate al figlio: a volte come amici, altre volte come fidanzati, altre volte ancora come conviventi o come qualcuno “che per te sarà come un nuovo papà o una nuova mamma”. Amici, fidanzati, conviventi o nuovi papà e mamma, che però, da un momento all’altro, possono ridiventare degli odiati estranei da non salutare nemmeno, in base a come evolve il rapporto amoroso.

Lo stesso dicasi con i figli di questi, con i quali il minore viene invitato a socializzare. Questi possono essere presentati come “i figli di Mario con cui giocare” o come “nuovi amichetti o nuovi fratelli e sorelle”, che però, da un momento all’altro, possono ridiventare degli estranei in base a come va avanti la relazione con la loro madre o con il loro padre. Altrettanto dicasi degli altri familiari: nonni zii, cugini ecc. Pertanto, nelle famiglie ricostruite i punti di riferimento affettivo per i figli spesso diventano vaghi, insicuri, imprecisi e altalenanti.

3.      La scarsa fiducia e le maggiori difficoltà nei futuri legami affettivi e amorosi

Se da una parte la conflittualità all’interno delle coppie si traduce, inevitabilmente, in un maggior numero di separazioni e di divorzi, dall’altra le separazioni e i divorzi producono nella prole atteggiamenti di sospetto e di rifiuto verso tutti i tipi di unione stabile. Non solo, ma anche quando questo sospetto e questo rifiuto siano stati superati, nel momento in cui i figli dei divorziati decidono di unirsi stabilmente mediante il matrimonio o una convivenza, è facile che si crei una maggiore conflittualità coniugale. Il motivo è facilmente comprensibile: l’aumento della sofferenza nei figli provoca adulti più fragili, immaturi, o con chiari disturbi psichici. Questi, a sua volta, avranno più difficoltà a relazionarsi in maniera efficace e stabile, nel momento in cui decideranno di formare una famiglia.

4.      Problemi di identità e di identificazione

L’identitàcaratterizza in modo inconfondibile ciascuno di noi come individuo singolo. L’identità oggettiva è data da quanto gli altri vedono in noi: non solo il nostro viso, il nostro carattere, il nostro modo di vestire ma anche la nostra collocazione familiare e sociale. L’identità soggettiva è l’insieme delle nostre caratteristiche così come noi le vediamo e le descriviamo. Per una corretta e costante identità soggettiva e oggettiva, è necessario che i punti di riferimento siano costanti e solidi; ogni alterazione o cambiamento, sia del mondo interiore come del mondo esterno la può, pertanto, mettere in discussione o alterare.

Per quanto riguarda l’identificazione, la scarsa presenza, la scomparsa o la modifica, in senso negativo, dell’immagine di uno o di entrambi i genitori, può alterare o impedire l’identificazione con il genitore dello stesso sesso. Per il maschietto: “Perché dovrei desiderare di essere come papà se la mamma lo descrive come una persona spregevole e inaffidabile, così come sono tutti gli uomini?” Per le femminucce: “Perché dovrei desiderare di essere donna come mia madre e quindi assumere le sue caratteristiche, se ha fatto soffrire il papà che amavo tanto e lo ha allontanato da me e dalla famiglia?”.

5.      L’assunzione di precoci ed eccessive responsabilità

I figli dei separati e dei divorziati sono spesso costretti a farsi carico di responsabilità precoci, in quanto, il genitore rimasto solo, frequentemente non ha né il tempo, né le energie necessarie per occuparsi della cura della famiglia e dei figli. Inoltre, questo genitore solo si ritrova spesso in una precaria situazione economica ed in continuo conflitto con l’ex coniuge e con la sua famiglia. Questo genitore, rimasto privo dell’apporto affettivo e materiale della rete amicale e parentale, è costretto a barcamenarsi tra lavoro, avvocati, giudici e assistenti sociali.

Quando poi è anche invischiato in nuove impegnative relazioni amorose, non riesce a gestire in maniera piena, efficace e serena il rapporto con i figli, per cui avverte il bisogno d’appoggiarsi all’affetto e al consiglio di questi, per far fronte ad un futuro incerto ed oscuro. Questo bisogno di far partecipi i figli delle responsabilità della famiglia, lo spinge a trattarli come avessero una maturità e delle capacità superiori alla loro età, ma anche come fossero dei sostituti dell’ex coniuge. Ciò spinge i minori ad assumere dei ruoli non propri e non adeguati alla loro età e maturità[3].

Questo comportamento non stimola affatto la crescita e lo sviluppo dei figli, come spesso viene affermato, in quanto, come dice Lidz:[4]

“I genitori possono, anzi devono, dipendere l’uno dall’altro, ma non dal bambino – ancora immaturo – che ha bisogno della sicurezza derivante dal suo stato di dipendenza per dedicare ogni energia al proprio sviluppo. Tale sviluppo può arrestarsi se il fanciullo deve sostenere emotivamente i genitori, quando invece è proprio da loro che deve ricevere sicurezza”.

6.      La perdita di stima nei confronti dei loro genitori

Abbiamo detto che spesso i figli sono usati dai genitori come strumento di offesa, spionaggio, scambio e ricatto. Questi comportamenti fanno scemare o perdere totalmente nei piccoli la stima verso i genitori, che non sono più percepiti come adulti responsabili, forti, equilibrati, fonte di sicurezza, serenità e amore ma, al contrario, come individui irresponsabili, deboli, scarsamente stabili, dai quali è possibile attendersi solo ansie, problemi e frustrazioni.

L’immagine che il bambino ha dei genitori è quella che questi ultimi trasmettono loro direttamente o indirettamente. Quando una madre parla male del marito, inevitabilmente trasmette ai figli un’immagine negativa del padre. Se poi le sue osservazioni riguardano gli uomini in generale, riesce a comunicare anche un’immagine negativa del sesso maschile. A sua volta però, il bambino avrà difficoltà a stimare se stesso in quanto, come dice Wolff [5]: “…noi stessi siamo i nostri genitori, la stima e la fiducia in noi stessi dipendono dalla nostra capacità di pensar bene dei nostri genitori nell’infanzia”.

7.      Il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto

Uno dei rischi più gravi, ma per fortuna non frequente, è il rischio di comportamenti promiscui, nonché di violenze sessuali o incesti all’interno delle famiglie ricostruite. Questi rischi sono dovuti alla compresenza di persone non legate da vincoli di sangue, che possono, tra l’altro facilmente già presentare, sintomi di disagio o chiari disturbi psicologici.

La limitazione dei danni nei casi di separazione o divorzio

Elenchiamo adesso alcuni accorgimenti che sarebbe bene attuare nelle situazioni di separazione o divorzio, al fine di limitare e attenuare i danni psicologici dei minori:

  •   diminuire al massimo i motivi del contendere, anche mediante l’utilizzo della figura del mediatore familiare;
  •   mettere in primo piano il benessere proprio e quello dei figli, piuttosto che ricercare, con mille espedienti legali e psicologici, l’acre e velenoso piacere della vendetta;
  •   riflettere sulla legge fisica per cui “ad ogni azione segue una reazione uguale e contraria di pari intensità”, per cui ogni male fatto all’altro coniuge, piccolo o grande che sia, prima o poi provocherà del male rivolto a se stessi. Così come ogni atteggiamento di rispetto, amicizia e di civile disponibilità verso l’altro, è facile che, prima o poi, sia ricambiato con altrettanti comportamenti rispettosi ed amichevoli;
  •   evitare atteggiamenti e comportamenti chiaramente o subdolamente provocatori. Lo scopo non è, o non dovrebbe essere, quello di far soffrire l’altro, ma di convivere pacificamente, rispettandosi, anche se non si vive nella stessa casa;
  •   non parlare male dell'altro coniuge in pre­senza dei figli, ma, al contrario, sottolineare davanti a loro tutti i lati positivi dell’ex coniuge, in modo tale che non avvertano nelle parole e nelle azioni odio, rancore, deside­rio di ripicca o vendetta ;
  •   mai cercare l’amore del figlio a scapito dell’affetto che questi nutre verso l’altro coniuge. Evitare quindi di inviare ai figli messaggi di questo tenore: “Se mi vuoi bene, se vuoi essere un buon figlio, dovresti giudicare quanto peggio possibile tua madre/tuo padre”;
  •   poiché il bambino non è un oggetto da possedere perché se ne ha diritto o da non cedere per gli stessi motivi, ma una persona da aiutare a crescere con delicatezza, amore, tenerezza e giusto cri­terio, è bene favorire e non ostacolare in alcun modo il rap­porto di questi con l'altro coniuge. Ciò in quanto, per una buona crescita affettiva, ogni bambino ha bisogno di entrambi i genitori. Per ottenere questo risultato è importante che la madre o comunque il genitore affidatario, prepari gli incontri con l’altro genitore, mediante atteggiamenti di gioia, sottolineando, così come abbiamo detto prima, gli aspetti positivi dell’ex coniuge. Questi, a sua volta, dovrebbe riuscire ad inserirsi con delica­tezza e serenità in un dialogo educativo con il bambino, cosicché l’autorevolezza si unisca ai giochi, ai sorrisi e alle affettuose dimostrazioni di affetto;
  •   nel caso in cui i genitori riescano a non essere palesemente ostili l’uno nei confronti dell’altro, sarebbe, inoltre, molto importante permettere al bambino di vivere con entrambi i genitori molte occasioni di festa: come i compleanni, gli onomastici, il Natale, la Pasqua e altre importanti occasioni;
  •   poiché i figli non sono delle spie al servizio dei genitori, non si dovrebbero mai utilizzare questi per conoscere cosa fa, con chi esce, quali sono le cattive abitudini e quanto guadagna l’altro, in modo tale da fornire al proprio avvocato nuove e più efficaci armi legali contro l’ex coniuge;
  •   giacché i nuovi legami amorosi sono spesso vissuti dai figli con sconcerto ed irritazione, se non proprio con rabbia e collera, è bene che siano portati alla sua conoscenza con notevole gradualità, responsabilità e delicatezza. Pertanto, fino a quando non sia stato programmato un secondo matrimonio o una stabile convivenza, queste nuove amicizie o questi nuovi amori dovrebbero essere vissuti dai genitori separati in modo molto discreto e personale, evitando precoci coinvolgimenti della prole;
  •   per quanto riguarda poi la frequenza con i nuovi fratellastri, anche ciò dovrebbe avvenire solo quando il nuovo matrimonio o la nuova stabile convivenza è alle porte e non prima. Ciò per evitare precoci, inutili e dannosi coinvolgimenti;
  •   giacché nei confronti dei familiari dell’ex coniuge: nonni, zii, cugini, il bambino può aver instaurato dei profondi e intensi legami affettivi è importante che anche dopo la separazione questi legami continuino ad essere protetti e valorizzati. 

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente tutto il libro clicca qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A



[1] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 374.

 

[2] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 373.

 

[3] Lombardo, P.,     (1994), Crescere per educare, Verona, Edizioni dell’aurora, pp. 94-95.

[4] Lidz T., (1977), Famiglia e problemi di adattamento, Torino, Editore Boringhieri, p. 71.

[5] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 137.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1.  

 

I conflitti coniugali: cause, conseguenze e prevenzione

 

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Momenti di scontro e conflitto nell’ambito delle coppie, per fortuna alternati a momenti di intesa, dialogo proficuo, scambi affettuosi, vi sono sempre stati. Ciò che stupisce nelle coppie di questo periodo storico non è la presenza dei conflitti nella vita coniugale, ma il notevole aumento di questi conflitti, la loro maggiore gravità e le tragiche conseguenze alle quali spesso portano. È come se nella vita delle coppie i momenti di quiete e di bonaccia siano diventati sempre più rari, mentre quelli di scontro, più o meno violento, siano sempre più frequenti, quasi la norma. Questi scontri sono fatti di frasi nelle quali gli insulti, le parolacce, le accuse, i rimproveri ed i rimbrotti la fanno da padroni.

Le cause

La conflittualità all’interno della coppia, nel mondo occidentale, ha molteplici cause:

 
  1. La maggior frequenza dell’adulterio.
  2. La presenza di una mentalità consumistica.
  3. Le differenze eccessive nell’ambito della coppia.
  4. La non accettazione delle differenze di genere.
  5. La scelta di partner con personalità non adatte alla vita familiare e coniugale.
  6. Il vivere la vita affettiva e amorosa con eccessive e fragili illusioni
  7. Il diverso clima sociale
  8. La scarsa influenza delle religioni.
  9. Il deterioramento delle immagini maschili e femminili.
 
1.      La maggior frequenza dell’adulterio
 

La fedeltà reciproca della coppia è ampiamente sottovalutata sia nell’ambiente politico e sociale sia in quello familiare e personale. Si gioca con i sentimenti. Si gioca con la sessualità. Si gioca con i comportamenti che implicano dei rischi di tradimento, senza tener presente che questo piacevole gioco iniziale ha delle conseguenze deleterie sia sul piano personale dei coniugi, sia sull’intera famiglia, ma soprattutto ha notevoli conseguenze sulla vita dei figli. La maggior frequenza dell’adulterio è dovuta anche al complessivo peggioramento del dialogo nell’ambito della coppia, diventato sempre più raro e difficile, ma anche sempre più aspro, in quanto spesso privo dell’indispensabile intesa, accettazione e comprensione reciproca. Dialogo nel quale si lascia prevalere l’istinto di predominio dell’uno sull’altro, piuttosto che l’accoglienza. Dialogo nel quale si cerca di primeggiare e di sottomettere l’altro, piuttosto che valorizzarlo. Prevale il concetto che all’interno della coppia tutto si può fare e tutto si può dire perché lui/lei se mi ama capirà e accetterà. E ciò senza tener conto della sensibilità del partner.

 
2.      La presenza di una mentalità consumistica
 

Influenzati dal consumismo imperante che stimola a sostituire e cambiare quanto non corrisponde ai nostri desideri del momento, si è spinti a cambiare partner ogni qualvolta si notano dei difetti nell’altro, ogni volta che avvertiamo una netta diminuzione del sentimento amoroso, o quando abbiamo la sensazione che sia possibile averne uno migliore. Siamo sempre alla ricerca della relazione “perfetta” e dell’uomo e della donna altrettanto “perfetti” che ci facciano vivere in uno stato di perenne innamoramento e gioia, se non addirittura di felicità.

 
3.      Le differenze eccessive nell’ambito della coppia
 

Un’altra delle cause della conflittualità è da riportarsi alla presenza, nell’ambito della coppia, di caratteristiche di personalità, stili educativi, valori, a volte anche religione e cultura molto, troppo diversi e distanti. Senza tenere conto che le differenze eccessive nel modo di vivere e sentire sono di ostacolo nelle mille decisioni che si è costretti a prendere giornalmente nella vita familiare.

 

Anche questo tipo di scelte nasce dall’illusione romantica che l’amore supera tutto, che l’amore tutto fa comprendere ed accettare, che l’amore cancella le differenze e le diversità. Purtroppo ciò è vero solo se le diversità non sono numerose e non sono eccessivamente profonde.

 
4.      La non accettazione delle differenze di genere
 

Mentre si è propensi ad accettare nell’altro anche cultura, carattere, lingua diversa, non si è disposti ad accettare le differenze di genere, in quanto “uomini e donne siamo uguali” e quindi ci si attende che l’altro si comporti e viva le realtà della vita allo stesso nostro modo. Non si accetta la diversa emotività. Non si accetta il diverso modo di vivere e sentire la sessualità, i diversi contenuti e stili nella comunicazione, il diverso modo di esprimere l’interesse e l’amore. Si rifiutano le differenze nel vivere e gestire gli eventi, la diversa prospettiva storica, la difformità nel modo di affrontare le attività educative e le attività lavorative. Questa ricerca dell’uguaglianza a tutti i costi mette in secondo piano il fatto che quando le differenze di genere sono comprese e accettate, sono di notevole aiuto nei rapporti di coppia, nell’educazione dei figli e nella vita familiare. Se invece si cerca di negarle cercando inutilmente, ma anche erroneamente, un’uniformità nei comportamenti e nei vissuti, le differenze di genere sono causa di contrasti notevoli, mentre i figli perdono la ricchezza dovuta proprio ai diversi apporti educativi e formativi.

 
5.      La scelta di partner con personalità non adatte alla vita familiare e di coppia
 

La personalità e le esperienze familiari degli sposi sono fondamentali per la riuscita d’un matrimonio.

Quando la personalità è alterata da problematiche psicologiche come l’ansia, la depressione, la facile irritabilità e aggressività, le ossessioni, la diffidenza, la povertà affettiva, le difficoltà nella comunicazione, c’è da aspettarsi un notevole aumento dei conflitti coniugali insieme al notevole danno per i figli che nasceranno

6. Il vivere la vita affettiva e coniugale con eccessive e fragili illusioni

 

Nell’ambito della relazione amorosa le illusioni create dal cinema, dalla Tv e dai romanzi sono tante. Ad esempio:

  • credere che esista la donna o l’uomo perfetto;
  • credere che i rapporti affettivi rimarranno immutati negli anni;
  • credere che esista il partner ideale;
  • credere che l’amore sia in grado di far capire e accettare tutto;
  • credere che l’altro sia sempre pronto ad esaudire ogni nostro desiderio e a soddisfare ogni nostra esigenza;
  • credere che per amore nostro l’altro possa snaturare il proprio carattere fino ad adattarsi interamente a noi;
  • credere che l’altro abbia il dovere di renderci felici;
  • credere che la sessualità e l’amore siano sempre collegati l’uno all’altra;
  • credere che con la persona amata saremo sempre due persone in un’anima sola;
  • credere che la coppia sia sufficiente a sé stessa.
 
7.      Il diverso clima sociale
 

I diversi valori ed il diverso clima sociale presente nelle società occidentali hanno una notevole influenza sulla conflittualità coniugale. Intanto è valutata positivamente, e quindi come valore sociale, la reversibilità delle scelte, cioè la libertà di tornare sui propri passi quando una decisione si mostra troppo vincolante per un soggetto che si vuole e si pensa come assolutamente libero nelle sue relazioni. Pertanto quando una situazione non è molto gradita, piuttosto che affrontare e cercare di risolvere le cause che l’hanno determinata, si è più propensi a ritornare sui propri passi cercando di eliminarla e cancellarla. D’altra parte, per le attuali società occidentali, tutte le scelte individuali, di coppia e familiari sono allo stesso livello (privatizzazione delle scelte). Da parte dello Stato non vi sono, pertanto, interventi di alcun genere sulle scelte individuali, anche quando queste si dimostrino essere notevolmente deleterie per la stessa persona, per i minori e per la società, purché non comportino dei reati penalmente perseguibili.

 
8.      La scarsa influenza delle religioni
 

La religione, in tutte le epoche e presso tutti i popoli, ha avuto sempre un notevole peso sui comportamenti e sugli atteggiamenti riguardanti la famiglia, l’unione sponsale, l’uso della sessualità. Purtroppo, attualmente, la sua influenza sui comportamenti dei singoli è diminuita notevolmente in quanto gli Stati, sempre più laicizzati, hanno emarginato la religione nel campo delle emozioni e dei sentimenti, per cui essa non riesce più ad influenzare se non in modo marginale la vita delle persone e le scelte individuali e collettive.

 
9.      Il deterioramento dell' immaginario maschile e femminile.
 

L’immagine dell’uomo agli occhi delle donne e quella delle donne agli occhi degli uomini si è negli ultimi decenni notevolmente deteriorata. Pertanto anche il valore ed il rispetto che si dovrebbe avere nei confronti dell'altro sesso nonché il valore di un sesso per l'altro è, negli ultimi decenni notevolmente scaduto.

Da quando è iniziata la cosiddetta “liberazione femminile”, da quando il clima culturale ha iniziato a legiferare e a lottare per “l’eguaglianza tra i sessi”, l’immagine del maschio è stata sistematicamente deteriorata e svilita.

Gli uomini sono sistematicamente descritti come:

  1. “immaturi”, “bamboccioni”, “mammoni”, “inaffidabili” nella cura delle loro donne, come dei figli;
  2. sempre più frustrati e poco capaci dal punto di vista lavorativo, culturale, intellettivo e sessuale.
  3. schiavisti per millenni nei confronti delle donne che hanno relegato in casa, legandole ai fornelli, ai figli da curare e ai panni da lavare.
  4. pronti a far violenza, fino ad uccidere le donne che si ribellano al loro dominio o dalle quali sono lasciati
  5. violenti stupratori che aggrediscono le donne indifese che si ribellano al loro dominio.
  6. maschi pronti ad assumere le vesti di orchi pedofili pronti ad abusare di piccoli esseri innocenti.
 

D’altra parte le accuse alle donne, anche se fatte per lo più in sordina sono altrettanto violente e denigratorie:

  1. oggi le donne hanno un aspetto assolutamente trasandato o portano un abbigliamento e dei vestiti eccessivamente sexy e provocanti;
  2. le donne si concedono con troppa facilità, per poi piangere disperate e quindi spesso sono considerate di facili costumi ma anche stupide;
  3. le donne del nostro periodo storico sono incapaci di gestire, non dico la loro casa, ma anche solo se stesse e quindi sono pronte a schiavizzare il marito o il compagno che cade tra le loro grinfie malefiche;
  4. le donne sono pronte a sacrificare la propria dignità, il marito e i figli per un avanzamento di carriera;
  5. le donne non sono mai soddisfatte dei loro uomini, pronte a lamentarsi e a lagnarsi di tutti e di tutto;
  6. le donne sono pronte ad approfittare dei figli e del legame matrimoniale per “lasciare in mutande” il povero uomo che hanno accalappiato, togliendogli tutto: i soldi, la casa, i mobili, i figli, ma anche la sua stessa dignità.
conseguenze 

 

Nelle situazioni di conflitto tra coniugi, la tensione emotiva all’interno della famiglia e della coppia è fatta di gelo e di fuoco. Come il gelo dell’inverno colpisce le giovani gemme dell’albero e le congela, le fa inaridire e marcire, impedendo lo schiudersi delle foglie e dei fiori, allo stesso modo l’atteggiamento freddo tra i genitori impedisce che all’interno della famiglia circoli quel dolce tepore che alimenta e fa sbocciare la vita e con la vita la gioia. Questo stato di tensione è però anche fuoco, simile a quello che nei campi brucia e trasforma in cenere tutto ciò che incontra: insetti e animali, alberi grandi ma anche giovani piantine appena spuntate dalla terra: tutto muore investito dal calore delle fiamme, tutto viene sterminato, distrutto e ridotto in cenere, senza pietà.

 

L’aggressività, l’intolleranza il conflitto della coppia si espandono nell’ambiente dove questa vive. Per i figli è vivere in una condizione di grave, continuo, insopportabile stress. Tutto ciò non può non avere delle pesanti ripercussioni sul loro benessere e sulla loro vita emotiva e relazionale. Per Paradis e altri,[4] i litigi tra i genitori possono danneggiare l’equilibrio mentale dei figli, i quali da adulti avranno più facilmente e frequentemente disturbi depressivi, uso eccessivo di alcol e droghe, comportamenti antisociali, difficoltà a trovare e mantenere un lavoro.

Lo schierarsi

 

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Lo scontro ed il disagio dei coniugi si allarga poi, quasi sempre, alle famiglie di origine. Nonostante molte di queste facciano sforzi immani per aiutare i loro figli a raggiungere una sistemazione affettiva stabile e duratura, si ritrovano ad assistere, e poi inevitabilmente ad essere coinvolte, in duelli fatti di offese e aggressioni. Duelli nei quali ognuno cerca di ferire e far del male all’altro.

Pertanto è molto facile che le persone attorno ai due contendenti si schierino con l'uno o con l'altro. La scelta a volte è istintiva: “Io, come madre del giovane, non posso certo prendere le difese di quella donna che lo ha lasciato “. Altre volte sono i contendenti stessi a chiedere, anzi a pretendere, un pieno appoggio contro l’avversario, tanto che è visto con sospetto, quasi fosse un altro nemico, chi non si sente di dare un giudizio di parte. 

La necessità di schierarsi a favore dell’uno o dell’altro elemento della coppia, innesta delle dinamiche che coinvolgono i figli, gli altri familiari e gli amici. Queste dinamiche spesso hanno come conseguenza la rottura dei legami che sostenevano la rete familiare ed affettiva, con ripercussioni a cascata su ogni nodo della rete. Dove prima vi era fiducia rischia di nascere il dubbio. La o le persone da cui ci si attendeva aiuto e conforto rischiano di diventare fonte di malessere e insicurezza. A questa logica non si sottrae nessuno. Né i figli della coppia conflittuale, né gli altri familiari e gli amici.

Ma cosa significa schierarsi per un figlio? Spesso equivale a bollare di iniquità uno dei due genitori, accettando in tutto o in parte le accuse dell’altro. Significa allontanarsi, sia fisicamente sia psicologicamente, dalla madre o dal padre ritenuto colpevole. Significa costringere un figlio a prendere anche lui delle armi per difendere il genitore che si crede aggredito e, contemporaneamente, cercare di punire il presunto aggressore. Solo in alcuni casi, con la maturità, alcuni figli riescono a giudicare serenamente quanto è avvenuto o avviene nella loro casa, sotto i loro occhi e dentro il loro cuore, evitando di prendere le parti dell’uno o dell’altro. Anzi, soprattutto con la maturità, è facile che siano accusati entrambi i genitori, in quanto ritenuti rei di non aver ottemperato a un loro fondamentale, preciso dovere: rendere il clima familiare sereno e pacifico. 

Le alleanze

Alle alleanze non si sottraggono le famiglie d’origine e gli amici. Come è naturale anche questi in genere tendono, per solidarietà, a vedere l’altro e anche la famiglia dell’altro come colpevoli. Non sono però rari i casi in cui la madre o il padre accusano chiaramente ma anche coraggiosamente il proprio figlio o la propria figlia del conflitto esistente. In ogni modo, con la rottura dell’unità familiare, si forma una rete patologica di alleanze, in favore dell’uno o dell’altro. Queste alleanze risultano frequentemente distruttive per l’uno e per l’altro.

Vi possono essere, soprattutto nella fase iniziale del conflitto, degli interventi pacificatori, in quanto, ben a ragione, ognuno dei familiari, in qualche modo, subisce delle perdite ma anche delle sofferenze a causa della contesa in atto. Purtroppo però, frequentemente, i dissidi coniugali fanno riemergere nei familiari e parenti, risentimenti, animosità e gelosie latenti o nascoste che tenderanno a manifestarsi, accentuando la lotta tra i coniugi: “Quell’uomo non mi è mai piaciuto, ero sicuro/a che non faceva al caso tuo. Ho sospettato che non fosse una persona sincera, equilibrata e con dei solidi principi, da quando me l’hai presentato”. “Quella donna si è comportata male dal primo giorno del matrimonio. Non mi sono mai andate a genio la sua alterigia e la sua sfrontatezza”.

Anche i figli, purtroppo, a volte non solo non si impegnano per degli interventi pacificatori ma tendono ad accentuare, con i loro comportamenti, i contrasti tra i genitori, sia per punire il genitore che con i suoi “no”, con le sue decisioni più rigide li ha fatti qualche volta soffrire, sia con la vana speranza che, eliminando dalla propria famiglia e dalla propria vita l’elemento “cattivo”, rimanga soltanto la parte “buona”. Per fortuna, nell’ambito familiare, amicale e nei figli, a volte sono presenti degli elementi più saggi e illuminati, che mettono in moto gli interventi appropriati e utili a rappacificare la coppia. Sono interventi difficili, ma quando sono attuati, spesso sono un toccasana per i contendenti, i quali si vedono in questo modo costretti a riappropriarsi della loro responsabilità genitoriale.

Conseguenze sui figli

“I bambini sono estremamente sensibili al tipo di relazione esistente tra i genitori: quando tra le quinte va tutto bene, il bambino è il primo a rendersene conto e lo dimostra: infatti è palesemente più a proprio agio ed è felice; è anche più facile accudirlo”.[1]  Che cosa succede, invece, nell’animo di un bambino quando le persone che dovrebbero, più delle altre, dargli sicurezza e serenità, iniziano tra loro una contesa della quale non si conoscono i risultati, ma si avvertono sicuramente i danni inferti?

Nei bambini, dopo un iniziale stato istintivo d’allarme, sopravviene il bisogno di capire e, se possibile, ricercare delle soluzioni alla sgradevole situazione nella quale la propria famiglia è piombata. Pur tuttavia, nonostante i figli, anche se molto piccoli, siano perfettamente capaci di avvertire immediatamente le caratteristiche positive o negative dell’ambiente attorno a loro, gli stessi hanno difficoltà, invece, a capire esattamente i problemi che sottostanno alle espressioni emotive che li circondano e nelle quali si sentono coinvolti.

Tutti i conflitti, anche i più lontani, risvegliano in noi adulti emozioni fatte di sofferenza ma anche di perplessità e stringenti interrogativi: “Chi sono i contendenti?” “Perché guerreggiano tra loro?” “Chi ha ragione?” Chi ha torto?” “Cosa posso fare io per far cessare questa contesa che procura tante sofferenze e distruzioni?” “Quali strumenti posso utilizzare?” Se queste sono le domande che noi adulti ci facciamo quando dal telegiornale ascoltiamo le notizie di una guerra lontana dalla nostra nazione, dalla nostra terra, dalla nostra casa, quanto più gravi e coinvolgenti devono essere gli interrogativi, ma anche le sofferenze nel caso in cui la guerra sia molto vicina, anzi il conflitto sia proprio dentro la propria casa e tra i suoi genitori, che rappresentano, per il bambino piccolo, tutto il suo mondo!

La prima domanda che forse si fa un figlio è: “Chi sono i contendenti?”  Non è facile, come si crede, rispondere a questa semplicissima domanda. Queste due persone non sono degli estranei che si sono scontrati per la via con le loro autovetture in un malaugurato incidente, per cui, con i nervi scossi per la paura di restare coinvolti anche fisicamente e per il danno subìto dalle loro auto, hanno iniziato a litigare. Queste due persone si sono cercate. Queste due persone si sono scelte per amore. Il bambino ha visto tante volte le loro foto nel grande album del loro matrimonio. Ha visto i loro volti raggianti di gioia, ha visto le loro mani ed i loro corpi uniti da gesti affettuosi. Queste due persone si sono giurate aiuto e sostegno reciproco. Pertanto le perplessità del bambino sono numerose e gravi: “Queste due persone hanno giurato di volersi bene sempre, hanno giurato che avrebbero fatto di tutto affinché io stia bene, non soffra, non sia perseguitato da dubbi, da incertezze, da timori, da angosce. Questo è il loro lavoro, questo è il loro impegno quotidiano. Ho sentito gridare mio padre accusando mia madre di essere una poco di buono e mia madre accusare mio padre di essere un despota. Ma può una madre essere una poco di buono e mio padre, il suo uomo, può essere quel violento despota descritto da mia madre?” E ancora: “Minacciano di lasciarsi. Ma che vuol dire lasciarsi? Dicono che è meglio che ognuno vada alla sua casa e per la sua strada. Ma la nostra casa è questa. Io ho visto come e con quali sacrifici l’hanno pagata. Io ho visto come e con quanto amore l’hanno arredata. Il loro lettone non sta forse nella stanza accanto alla mia? E quella stanza e quel letto non sono forse il mio rifugio quando i fantasmi della notte opprimono il mio cuore e lo spaventano? Quella stanza e quel letto non sono forse il nostro campo di giochi preferito la mattina della domenica e delle feste quando, mentre loro stanno sotto le coperte abbracciati, io e mia sorella saltiamo sul materasso e ridendo ci buttiamo sopra di loro e loro si lamentano, felici che li schiacciamo?”

Solo successivamente nascono le alleanze. Per cui Giancarlo Tirendi[2] vede nei comportamenti del bambino quattro stadi.

  1. Nel primo il bambino appare come semplice spettatore di fronte a qualcosa che lo stupisce, lo spaventa ma non riesce ancora a capire, né sa come comportarsi.
  2. Nel secondo stadio il bambino si schiera e stabilisce un’alleanza con il genitore che appare vittima del partner. In genere questo genitore è la madre in quanto la donna, con più emotività, mediante il pianto ed i lamenti manifesta meglio e con più impeto la sua sofferenza e le sue accuse.
  3. Nel terzo stadio il genitore visto come vittima, ottiene la coalizione attiva del figlio.
  4. Nel quarto stadio le risposte del figlio vengono strumentalizzate al massimo per cui il genitore visto come vittima ha dei comportamenti permissivi verso il figlio, così da rendere stabile e definitiva questa alleanza. D’altra parte l’altro genitore diventa eccessivamente autoritario in quanto avverte anche il figlio come un nemico contro il quale combattere. “Si viene a creare infatti ciò che in termini sistemici viene chiamata triangolazione ovvero una coalizione tra membri appartenenti a due generazioni diverse, contro un terzo ”Giancarlo Tirendi”[3].
 

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L’ansia e la paura che nascono da questi continui conflitti non possono non riflettersi nell’animo dei minori, i quali avranno notevoli difficoltà ad amare e rispettare i genitori. A volte il rancore dei figli si riverserà su entrambi, altre volte solo su uno di essi. In altri casi o in altri momenti l’odio si alternerà all’amore.

Inoltre come potranno questi piccoli esseri umani, diventati grandi, credere ancora nell’amore, quando dopo pochi anni hanno visto l’unione dei propri genitori sfaldarsi e sciogliersi come neve al sole? Come potranno credere nell’istituto del matrimonio, se è proprio all’interno di questo istituto che si è consumata e si consuma la tragedia del conflitto?

 

 

D’altra parte il non avere avuto una famiglia serena accanto a loro li spingerà a cercarla, inutilmente, altrove. Inutilmente in quanto qualsiasi altro rapporto instaurato in seguito, non potrà mai riempire il vuoto lasciato da una famiglia conflittuale, né potrà spegnere il dolore ed il risentimento causati da questa condizione.

 

Purtroppo lo stesso giudizio, imbevuto di odio e d’amore, potrà essere rivolto anche a se stessi, ritenuti, quasi sempre a torto, causa del conflitto stesso. Non è raro constatare come molti motivi di scontro tra i genitori, riguardano le decisioni da attuare e la linea da tenere nell’educazione dei figli. Pertanto questi ultimi si accusano con frasi come queste: “Se io fossi stato più bravo, se io fossi stato più buono, i miei genitori non avrebbero litigato tra loro”. Altri sensi di colpa nascono dai giudizi dati all’uno e all’altro genitore nel corso della propria fanciullezza: “È giusto che in quell’occasione io abbia giudicato male mia madre schierandomi con mio padre?” E viceversa: “È giusto che per tanti anni abbia difeso mia madre quando, obiettivamente, lei ha un pessimo carattere, così che facilmente fa arrabbiare ed esasperare mio padre?” Il senso di colpa può nascere anche per essere stati incapaci di tenere uniti mamma e papà, non intervenendo nelle loro dispute.

 

Le paure dei figli spesso riguardano anche il proprio futuro ruolo di genitore: “Sarò un buon padre? Sarò una buona madre? Come posso essere certo che con il mio comportamento e con i miei problemi d’ansia non farò soffrire i miei figli?”

 

Alcuni racconti dei figli che hanno vissuto o vivono i conflitti dei genitori

 

Marco, di undici anni, viene portato alla nostra osservazione a causa della presenza di incubi, paure, fobie, parziali e momentanei estraniamenti dalla realtà, eccessiva dipendenza dalla figura materna.

 

L’ambiente nel quale viveva questo ragazzo era fortemente influenzato, da una parte dalle caratteristiche dei genitori: il padre era descritto dalla moglie come nervoso, suscettibile, aggressivo mentre la madre era descritta come una donna insicura, nervosa, molto emotiva, ansiosa, apprensiva, ma soprattutto patologicamente gelosa del marito. I coniugi fin dall’inizio del matrimonio erano in perenne conflitto proprio a motivo della gelosia della donna.

 

Riportiamo due suoi racconti.

 

Litigi tra i genitori

 

C’era una volta una famiglia in cui ancora non avevano deciso di avere un figlio. Quando l’ebbero, decisero di non litigare più. Ma un giorno litigarono e decisero di mandare il loro figlio da amici. Dopo capirono che il loro figlio stava male se loro litigavano e decisero di parlare con lui e dopo averlo capito decisero di non litigare più e vissero felici e contenti.

 

Dietro la frase “C’era una volta una famiglia in cui ancora non avevano deciso di avere un figlio. Quando l’ebbero, decisero di non litigare più”, è evidente il giudizio severo di Marco, che è poi lo stesso evidenziato da tutti i bambini, verso tutti i genitori che litigano pur avendo un figlio. È evidente il suo disappunto nei confronti dei suoi genitori (Quando l’ebbero, decisero di non litigare più, ma un giorno litigarono e decisero di mandare il loro figlio da amici). Come dire che avevano promesso a se stessi di non litigare per rispetto del figlio, e anche per non far vivere al figlio le conseguenze del conflitto e invece…Sono chiaramente manifesti anche la sua sofferenza (capirono che il loro figlio stava male se loro litigavano); ed infine il suo maggior desiderio (decisero di non litigare più e vissero felici e contenti).

 

La foresta distrutta dall’incendio e poi ricostruita

 

“C’era una volta una foresta molto bella, c’erano molti alberi e un lago. Un giorno, non si sa il motivo, la foresta si incendiò. Le persone si rifugiarono in una baita. Grazie all’intervento dei vigili del fuoco alcuni alberi si sono salvati e altri sono stati tagliati e al loro posto sono stati piantati dei nuovi alberi e, in un anno, la foresta diventò di nuovo bella”.

 

Il ragazzo descrive la sua realtà interiore, che è strettamente legata a quella della sua famiglia, dopo un anno e sei mesi dall’inizio della terapia, in seguito alla quale i rapporti tra i suoi genitori erano nettamente migliorati. Egli rappresenta il conflitto subìto, come un fuoco che brucia e distrugge tutto ciò che incontra (la foresta si incendiò). Il ragazzo non sa il motivo di quello che era avvenuto tra i suoi genitori, però si accorge sia della distruzione sia, in seguito, della ricostruzione avvenuta (Grazie all’intervento dei vigili del fuoco alcuni alberi si sono salvati e altri sono stati tagliati e al loro posto sono stati piantati dei nuovi alberi e in un anno la foresta diventò di nuovo bella).

 

La casa del sole

 

Il commento al disegno effettuato da Cettina di anni sette i cui genitori spesso litigavano, è molto esplicativo sia dei suoi bisogni che non venivano ad essere soddisfatti nella sua famiglia, sia della necessità di fuggire dalla realtà angosciante nella quale si trovava a vivere.

 

C’era una volta un sole che parlava con i fiori. Gli diceva cose belle:

 

 - Che cosa state facendo?

 

- Stiamo giocando con il mare e abbiamo visto una barchetta buttata dal mare, poi l’abbiamo presa e l’abbiamo portata a casa per ripararla. Quando è stata bene abbiamo giocato tutti insieme: il sole, i fiori, il mare e la barchetta.

 

Un giorno la barchetta scappò a casa del sole e allora il sole l’ha detto a tutti i suoi amici. La barchetta è scappata nella casa del sole perché non stava bene a casa sua. Anche i suoi amici allora sono andati nella casa del sole, hanno chiuso la porta a chiave, hanno fatto la festa e dormirono tutti a casa del sole”.

 

L’interpretazione che abbiamo dato a questo racconto è ancora una volta molto toccante e ci rivela dei sentimenti e dei pensieri molto profondi per una bambina di solo sette anni.

 

“Nell’immenso mare della vita vi sono delle persone che navigano a loro agio, mentre altre, per motivi vari: in questo caso il conflitto tra i genitori e le caratteristiche di personalità della madre, sono gravemente danneggiate dai marosi tanto che vengono estraniate dalla vita (abbiamo visto una barchetta buttata dal mare). Per fortuna, a volte, qualche persona buona (i fiori), ha cura delle loro ferite. I fiori, infatti, dicono al sole : abbiamo visto una barchetta buttata dal mare, poi l’abbiamo presa e l’abbiamo portata a casa per ripararla. Ma la persona, nonostante stia meglio dopo quanto ha sofferto nella sua famiglia e quindi nella vita reale, piuttosto che ritornare a confrontarsi con le gravi difficoltà nelle quali si è trovata, preferisce fuggire e rifugiarsi in un mondo caldo, luminoso ma irreale (Un giorno la barchetta scappò a casa del sole e allora il sole l’ha detto a tutti i suoi amici. La barchetta è scappata nella casa del sole perché non stava bene a casa sua).

 

Naturalmente in questo mondo irreale la bambina non vuole restare sola e porta con sé, non i suoi genitori ma solo le persone a lei più care (Anche i suoi amici allora sono andati nella casa del sole), ma da questo luogo ideale esclude tutto il resto del mondo (… hanno chiuso la porta a chiave).

 

Questo racconto è sicuramente molto più tragico di quanto non appaia a prima vista. In realtà questa bambina, nonostante sia migliorata con l’aiuto della terapia, non si fida affatto di tornare a rapportarsi con una famiglia per lei così traumatica. Preferisce piuttosto chiudersi volontariamente in un suo mondo immaginario.

 

Salvatore e i suoi genitori separati

 

La madre di Salvatore, un ragazzo di dodici anni, aveva chiesto il nostro intervento in quanto il figlio presentava disturbi psicoaffettivi di media gravità che si manifestavano con parziale e momentaneo distacco dalla realtà, tendenza alla chiusura, distraibilità eccessiva, scarsa cura di sé, labilità emotiva, notevoli difficoltà scolastiche. Quando abbiamo chiesto a Salvatore di parlarci della sua famiglia egli l’ha descritta in questi termini:

 

‹‹Papà è normale, tranquillo un po’ impulsivo: quando dobbiamo vederci la partita non avvisa la mamma ma solo me. Lui non telefona per mettersi d’accordo. A volte si arrabbia perché la mamma non è puntuale. Sto spesso dai nonni della mamma, sono simpatici. La mamma è un po’ bugiarda, dice un sacco di bugie e papà si arrabbia.

 

Ricordo poco di quando la mamma e papà stavano insieme.

 

Con mia sorella Francesca litigo, mi prende in giro e gli do botte. Canta “Salvatore è scemoooooo!!” Mamma poi rimprovera tutti e due.

 

Litigo con la mamma per i compiti, per la scuola, perché l’aiutiamo poco. Ma io preparo la tavola e mia sorella non fa niente.

 

Con i compagni va benissimo, organizziamo le partite, non mi prendono in giro.

 

La convivente di mio padre mi sta un po’ antipatica, litiga sempre con papà, si arrabbia con me e difende mia sorella. Io ci vado quasi sempre da lei. Francesca quasi mai. Papà si arrabbia perché Francesca non ci va quasi mai.››

 

 

 

In questo racconto sulla propria famiglia con genitori separati notiamo:

 

I genitori continuano a litigare anche da separati (Papà è normale, tranquillo un po’ impulsivo. A volte si arrabbia perché la mamma non è puntuale. La mamma è un po’ bugiarda, dice un sacco di bugie e papà si arrabbia).

 

I bambini danno dei giudizi negativi su entrambi i genitori. In questo caso soprattutto sulla madre (Lui non telefona per mettersi d’accordo) ( La mamma è un po’ bugiarda, dice un sacco di bugie e papà si arrabbia).

 

I figli trovano un’oasi di serenità solo dai nonni e nei giochi con i compagni. (Sto spesso dai nonni della mamma, sono simpatici). (Con i compagni va benissimo, organizziamo le partite, non mi prendono in giro).

 

La sofferenza provata si trasforma in aggressività tra fratelli (Con mia sorella litigo, mi prende in giro e gli do botte. Canta “Salvatore è scemooooo!!)

 

Il bambino evidenzia poi i difficili rapporti con il genitore affidatario (Litigo con la mamma per i compiti, per la scuola, perché l’aiutiamo poco).

 

Non trascura di annotare il difficile rapporto del padre con la nuova convivente (litiga sempre con papà).

 

Infine è evidente lo scarso amore e attaccamento verso la convivente da parte di entrambi i figli (La convivente di mio padre mi sta un po’ antipatica. Si arrabbia con me e difende mia sorella. Io ci vado quasi sempre da lei. Francesca quasi mai. Papà si arrabbia perché Francesca non ci va quasi mai).

 

 

Maria

Primo racconto

Un fiore, un diamante, un cuore e tanta puzza

 

 ‹‹ C’era una volta una famiglia. Avevano una casa bellissima e avevano una figlia. La figlia un bel giorno ha guardato un fiore azzurro e ha detto: “Me lo voglio prendere”. Se l’è preso e dopo un po’ di giorni la bimba è diventata grande. E anche il fiore è diventato grande e dentro il fiore c’era un diamante e dentro il diamante c’era il cuoricino della bimba che stava crescendo. La bambina era felice perché aveva un diamante in casa.

 

Sua madre non se n’è accorta ed ha buttato il fiore con dentro il diamante ed il cuore. La figlia cercava il diamante ma non lo trovava e allora è diventata sempre più piccola, ed è diventata neonata e la mamma ha detto: “Come può essere che è diventata neonata?” Questa bimba neonata parlava e ha chiesto alla madre il diamante e la madre ha detto che era nella spazzatura. Lei (la bimba), l’ha ripreso ed era tutto sporco. Dopo l’hanno pulito, ma faceva puzza di pesce. E la bimba è tornata grande, ma, nonostante questo, è rimasta puzzolente››.

 

Si rimane stupiti di come una bambina di appena cinque anni abbia potuto descrivere così bene la sua storia ed i suoi problemi attuali.

L’interpretazione di questo primo racconto non è affatto difficile.

 

Maria si trova a vivere in una famiglia agiata (avevano una casa bellissima). Tutto sembra andare per il verso giusto. Ella è di intelligenza normale, anzi molto vivace, ha una buona stima di se, è vuole crescere rapidamente (La figlia un bel giorno ha guardato un fiore azzurro e ha detto: “me lo voglio prendere". Se l’è preso e dopo un po’ di giorni la bimba è diventata grande. E anche il fiore è diventato grande e dentro il fiore c’era un diamante e dentro il diamante c’era il cuoricino della bimba che stava crescendo). Ma c’è un grande “ma”. La madre, senza accorgersi del male che stava compiendo, mette la bambina in una situazione di grave disagio, la bambina probabilmente si riferisce ai notevoli conflitti con il padre (Sua madre non se ne accorta ed ha buttato il fiore con dentro il diamante ed il cuore). La conseguenza è stata, purtroppo, la regressione della bambina in alcuni settori dello sviluppo (La figlia cercava il diamante ma non lo trovava e allora è diventata sempre più piccola, ed è diventata neonata). La madre accortasi che qualcosa di grave ed importante era accaduto alla figlia ha cercato di capirne il motivo (e la mamma ha detto “come può essere che è diventata neonata?”)

 

Maria, a questo punto, fa capire in modo esplicito alla madre il suo notevole disagio (Questa bimba neonata parlava e ha chiesto alla madre il diamante e la madre ha detto che era nella spazzatura). La madre, finalmente consapevole di aver commesso degli errori, cerca di affrontare e risolvere i problemi della piccola, accettando un percorso che l’aiuti a risolvere i conflitti di coppia e porta la figlia in un centro di neuropsichiatria, in modo tale che le venga dato l’aiuto necessario per risolvere i suoi problemi. Per fortuna alcuni dei più gravi problemi dei genitori e della figlia vengono risolti (Lei (la bimba), l’ha ripreso ed era tutto sporco. Dopo l’hanno pulito, ma faceva puzza di pesce. E la bimba è tornata grande).

La bambina però si accorge che, nonostante l’impegno dei genitori e degli operatori, non tutti i suoi problemi sono stati eliminati. Qualcosa dei traumi subito mentre aveva assistito per anni alle continue liti dei genitori era rimasto nel suo cuore ( E la bimba è tornata grande, ma, nonostante questo, è rimasta puzzolente).

Il secondo racconto di Maria che riportiamo, evidenzia in modo più evidente la sua più pressante e grave problematica: il conflitto tra i genitori.

I prìncipi litigiosi

‹‹C’era una volta una bellissima principessa che aveva un fidanzato con il quale andava a passeggiare in un prato fiorito. Un giorno hanno deciso di sposarsi e hanno fatto un figlio che si chiamava Davide. Ma litigavano e si volevano lasciare.

La mamma di Davide aveva già partorito ed era molto preoccupata perché non sapeva cosa dire al figlio quando sarebbe diventato grande. I genitori si sono lasciati per forza.

Quando Davide è cresciuto ha chiesto: “Ma io non c’è l’ho un papà?” E la mamma ha detto “Te lo spiegherò quando sarai diventato più grande!” E poi dopo gli ha detto: “Ci siamo lasciati per le (a causa delle nostre) famiglie”. Il bimbo era scappato dalla famiglia e cercava il suo papà e la mamma è andata a cercarlo. Dopo (la madre) ha trovato papà e figlio che passeggiavano e gli ha detto: “Ma tu che ci fai qui!” E ha rimproverato il papà. La mamma era disperata. Dopo hanno fatto tutti pace e vissero felici e contenti.››

In questo racconto ancora una volta Maria mette in evidenza come nella sua famiglia vi fossero tutti i presupposti per un matrimonio felice: la bellezza, la ricchezza, l’amore, un ambiente idilliaco, la nascita di un figlio (C’era una volta una bellissima principessa che aveva un fidanzato con il quale andava a passeggiare in un prato fiorito. Un giorno hanno deciso di sposarsi e hanno fatto un figlio che si chiamava Davide). Purtroppo però questi presupposti non bastano (Ma litigavano e si volevano lasciare). A questo punto è evidente la paura più grande che assilla la bambina: il timore che la separazione dei suoi genitori possa comportare la perdita del rapporto con il papà (Dopo ha trovato papà e figlio che passeggiavano e gli ha detto: “Ma tu che ci fai qui!” E ha rimproverato il papà.)

Come si può evincere da questi racconti i sintomi presentati dalla bambina ci dicono poco o nulla sulle cause dei suoi problemi, né ci fanno comprendere la sofferenza della piccola. Questi problemi, e la sofferenza che ne consegue, diventano evidenti quando le si dà la possibilità di esprimere liberamente i suoi sogni, i suoi desideri, le sue emozioni, i suoi pensieri, mediante l’uso del disegno libero e l’esposizione di qualche racconto anch’esso costruito liberamente. In definitiva noi crediamo che è dalle loro parole, dai disegni e dai loro racconti, che possiamo veramente comprendere il mondo interiore dei bambini e non certo dai loro sintomi.

 


[1] Winnicott D.W., (1973), Il bambino e il mondo esterno, Firenze, Giunti e Barbera, p. 113.

 

[2] Tirendi Giancarlo, “Il maltrattamento infantile: semplice violenza o patologia?”, Solidarietà, anno IX N° 24, p. 98-99.

[3] Tirendi Giancarlo, “Il maltrattamento infantile: semplice violenza o patologia?”, Solidarietà, anno IX N° 24, p. 99.

[4] Paradis A. D., et al., (2009), “Long-term impact of family arguments and physical violence on adult functioning at age 30 years: Findings from the Simmons longitudinal study”,  Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 48 (3), 290-298.

 

La prevenzione della conflittualità familiare

Se la conflittualità e la disgregazione del nucleo familiare, sono considerate tra le più importanti e frequenti piaghe delle moderne società occidentali, in quanto apportatrici di notevole sofferenza sia per gli adulti sia per i minori, l’impegno individuale, familiare e sociale per combatterle, dovrebbe essere notevole e dovrebbe riguardare i comportamenti dei singoli individui, delle famiglie e delle istituzioni sociali.

 

Gli impegni dei singoli individui:

a)      Per quanto riguarda i singoli individui,nella scelta del partner si dovrebbero seguire dei canoni prevalentemente oggettivi e non solo criteri soggettivi, legati principalmente all’entusiasmo della fase dell’innamoramento. Ciò in quanto, per una buona vita relazionale, sono importanti alcune caratteristiche come la maturità, la saggezza, la serenità interiore, l’equilibrio psichico; sono essenziali buone capacità di dialogo, ascolto e accoglienza; non devono mancare, inoltre, notevoli capacità e disponibilità nel dare amore, calore e affetto all’altro. Per non parlare dell’importanza di qualità come la serietà, la fedeltà, la generosità, le capacità di cura e di sacrificio. Qualità queste indispensabili in un rapporto di coppia stabile e duraturo.

b)      Durante il matrimonio l’impegno dei coniugi dovrebbe essere finalizzato a dare con entusiasmo e generosità all’altro il proprio amore, utilizzando gli apporti specifici legati alle proprie caratteristiche personali e sessuali, piuttosto che chiedere sempre di più!  

c)      Sarebbe importante, inoltre, considerare la famiglia che si è formata, come il luogo migliore nel quale con gioia, attenzione e responsabilità reciproca, è possibile educare i nuovi cittadini di domani, aiutandoli a sviluppare le migliori qualità, che sono di specifico appannaggio dell’essere umano e non soltanto come un’istituzione alla quale chiedere, in ogni momento, piacere, gioia, benessere e felicità.

d)     Quando poi compaiono gli inevitabili primi screzi e conflitti, questi dovrebbero essere accolti come una sfida e un’occasione, per meglio comprendere non solo i limiti ma anche i bisogni dell’altro, così da poter accettare i primi e soddisfare gli altri e non dei precisi segnali della fine di un rapporto.

e)      Poiché l’adulterio è una delle più frequenti cause di conflitto nella coppia, conflitto che poi si estende in maniera distruttiva anche alle famiglie interessate, compito dei coniugi, delle loro famiglie e delle istituzioni dovrebbe essere la promozione, protezione, e la valorizzazione dell’unione coniugale e della fedeltà di coppia.

f)       Infine, giacché le differenze di genere e i diversi apporti sessuali, se ben accolti e sfruttati, sono preziosi per il pieno sviluppo umano, oltre che per le relazioni di coppia, queste differenze dovrebbero essere notevolmente promosse nell’educazione dei minori e dei giovani e giammai, come avviene oggi, soffocate o sminuite.

 

Gli impegni delle famiglie d'origine

a)      Compito delle famiglie d’origine dovrebbe essere quello di preparare fin dall’infanzia i figli, mediante un’educazione specifica, all’assunzione di ruoli particolarmente complessi, delicati e difficili, come quelli di marito e moglie, di padre e di madre. Questa preparazione dovrebbe avere come obiettivi il buon equilibrio psichico dei figli, unito ad una sufficiente maturità e responsabilità. Per tale motivo ogni famiglia dovrebbe sviluppare nei propri figli alcuni valori fondamentali come:

  1. la gioia del dare;
  2. il piacere della cura e della disponibilità verso l’altro;
  3. il massimo rispetto verso chi, in futuro, sarà loro vicino in un progetto di vita in comune. Rispetto, quindi, per le idee, per le diversità, per le convinzioni, per i singoli ruoli, per i bisogni e per le necessità del partner;

L’educazione dovrebbe sviluppare, inoltre, le attitudini empatiche indispensabili per capire e ascoltare i messaggi e i sentimenti più profondi, così come dovrebbe far crescere nell’animo dei minori le capacità di perdonare e di chiedere scusa quando è il caso e di tener fede agli impegni assunti, così da evitare il tradimento delle promesse fatte.

b)      Le famiglie d’origine, inoltre, dovrebbero poter dare ai giovani che iniziano una vita in comune non solo il loro aiuto materiale ed il loro tempo, ma anche consigli e supporti ricchi di esperienza, saggezza e maturità.

 

Impegni delle istituzioni sociali

a)      Queste dovrebbero provvedere a favorire la formazione di coppie e di famiglie stabili e funzionali ai loro compiti affettivi, educativi, di cura e assistenza, pur senza sovrapporsi ad esse, pur senza sostituirsi ad esse.

b)      Le istituzioni sociali dovrebbero proteggere sia i minori sia gli adulti dall’inquinamento psichico e morale derivante dagli strumenti di comunicazione i quali, diffondendo capillarmente idee, situazioni e immagini, altamente diseducative, volgari e violente, riescono a minare il normale sviluppo della personalità umana, limitando e rendendo vano l’impegno educativo e formativo dei genitori e delle altre agenzie educative.

c)      Compito delle istituzioni sociali dovrebbe essere anche quello di proteggere con ogni mezzo il contratto matrimoniale, e quando le disarmonie e i contrasti all’interno della coppia risultano evidenti, dovrebbe essere interesse preminente di tutta la società, oltre che dei singoli, mobilitarsi per affrontare e risolvere questi eventi negativi nella maniera più rapida e corretta possibile, utilizzando i mezzi più opportuni: terapia individuale, di coppia o familiare. Il ricostruire l’armonia dove vi sono contrasti, il ridare gioia dove è presente il dolore, far rinascere la pace dove è scoppiata la guerra, dovrebbe essere uno degli impegni primari di tutte le componenti la società. Non ha senso, come avviene oggi, che lo stato e la comunità civile assistano impotenti al disfacimento della più importante e fondamentale istituzione umana: la famiglia, quando sappiamo benissimo, e le cronache quotidiane drammaticamente ce lo ricordano, che la separazione ed il divorzio sono solo delle pseudosoluzioni che non solo non risolvono i conflitti, ma li esasperano e li accentuano, provocando un danno notevolmente grave ai minori e al tessuto sociale. Danno che può arrivare, come le cronache quotidiane ci ricordano, alle terribili tragedie del cosiddetto “femminicidio”, per cui, alla morte della donna uccisa per mano dell’ uomo, segue la morte fisica di questi per suicidio oppure la sua morte sociale a causa della condanna penale e morale. Non è raro inoltre nelle famiglie conflittuali, disgregate o disfunzionali l’infanticidio ad opera soprattutto della donna, la quale, con questo gesto estremo, cerca di vendicarsi dell’abbandono o del tradimento oppure pensa di cancellare come con un colpo di spugna ogni segno della disgraziata unione. 

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

 

 

 

 

 

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