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La molteplicità dei ruoli

 

 

Ognuno di noi può avere, e spesso ha, più ruoli: si può essere contemporaneamente padre, zio, nonno, fratello, marito, responsabile aziendale, scrittore, sindacalista, volontario ecc. Per gli adulti avere più di un ruolo è la norma e non l’eccezione. Ed è forse per tale motivo che cercare di assumere molti e diversi ruoli e poterli cambiare a volontà, ci appare non solo naturale ma anche molto facile e desiderabile: “Perché essere soltanto madre o padre e non anche insegnante, politico, scrittore e quant’altro?”

Sicuramente questa disponibilità a cambiare ruolo o ad assumerne molti altri ci appare interessante, stuzzicante, moderna e in linea con i tempi: “Che noia fare sempre le stesse cose”, “Che bello cambiare e rimettersi in gioco”. Tuttavia non sempre è facile e conveniente cambiare il proprio ruolo o assumerne uno nuovo o peggio, aspirare a un’eccessiva pluralità di ruoli, a volte tra loro contrastanti. E ciò per vari motivi:

  1. L’avere un eccessivo numero di ruoli spesso non aggiunge nulla alla persona che lo esercita, e alla comunità per la quale questo viene esercitato. Può succedere infatti che gli apporti offerti, alla resa dei conti, siano modesti o insufficienti, sia per qualità sia per quantità. Il motivo è semplice, per ogni ruolo assunto che si aggiunge ai precedenti, aumentano gli oneri, gli impegni, le responsabilità e i sacrifici necessari per assolverli tutti e bene e ciò comporta un notevole dispendio di tempo ed energie fisiche e psichiche che non sempre sono a nostra disposizione. Tutto ciò si traduce per la persona in maggiore stress, ansia e disagio. Il buon senso vorrebbe allora che assumessimo i ruoli per i quali siamo ben preparati e che siamo in grado di sostenere, assolvere bene e correttamente e non tutti quelli che l’entusiasmo e le mode del momento ci suggeriscono o che ci sono offerti.
  2. Spesso anche un ruolo apparentemente semplice ha bisogno di una lunga e attenta preparazione. Ciò è soprattutto vero oggi, giacché per ogni compito che le moderne società, notevolmente complesse e articolate richiedono, sono necessari lunghi studi, master e tirocini i quali, a volte, si possono protrarre anche per decine d’anni. Per tale motivo il dispendio di tempo e di energie necessarie per assumere un ruolo, difficilmente potrà essere replicato e attivato per molti altri. In questi casi il rischio è di affrontare alcuni compiti essenziali per la famiglia e la società, senza la necessaria preparazione, rischiando di far male ogni cosa, con conseguenze anche sul piano dell’autostima personale.
  3. Quando decidiamo di affrontare mansioni troppo diverse e contrastanti e non riusciamo a compierle bene, siamo coinvolti dall’ansia e dai dubbi: “Faccio bene o faccio male?” “E’ corretto quello che faccio oppure no?” Se cerchiamo di uscire da questa inquietudine interiore, trascurando alcuni ruoli, a favore di altri, è evidente che deluderemo innanzitutto noi, ma anche le persone o le istituzioni che si aspettavano molto di più, rispetto a quanto, in realtà, siamo stati in grado di offrire.   
  4. Nell’affrontare i vari ruoli ci sfugge la considerazione che sono qualcosa di più di momentanei compiti. Ogni ruolo tende a incidere e penetrare in profondità nel nostro essere, segnando e modificando, anche profondamente, la nostra realtà interiore oltre che la nostra vita. L’immagine del sé è formata da molti elementi che appartengono per lo più alla sfera dell’inconscio. L’Io del soggetto è composto dal proprio corpo, dalla propria mente, ma anche dalle esperienze e dalle emozioni vissute durante la propria vita. Pertanto i compiti e i ruoli, che di volta in volta ci sono affidati o scegliamo di eseguire, influenzano il nostro essere. Ci accorgiamo di questa realtà quando notiamo che ad un cambiamento di ruolo si associa anche un nostro diverso atteggiamento interiore ed una modifica nei nostri comportamenti. Pertanto se a volte un certo tipo di personalità ha bisogno di esprimersi in una certa mansione, altre volte al contrario è la mansione assunta che plasma e modifica la personalità del soggetto. Se ad esempio, una persona “precisina” ama applicarsi in lavori, come quello dell’orologiaio, nel quale queste sue caratteristiche possono essere valorizzate, può avvenire anche il contrario, e cioè che il lavoro effettuato modifichi alcuni aspetti della sua personalità. Un altro esempio, fra i tanti che potremmo fare, è quello di un militare di carriera il quale, volente o nolente, a causa della lunga preparazione e dell’intensa disciplina alla quale è costretto a sottostare pur di eseguire correttamente il suo compito, assume ben presto le classiche caratteristiche presenti in un buon militare: grinta, rigidità, aggressività, impeto, dinamismo, resistenza, obbedienza e tanto amore per la disciplina. Tuttavia, queste caratteristiche non sempre sono confacenti con altri ruoli nei quali lo stile militaresco non solo non è necessario, ma è addirittura controproducente. In generale possiamo dire che lo stile che si acquisisce nel mondo economico e dei servizi può risultare scarsamente adeguato e poco confacente, quando è necessario affrontare dei rapporti affettivi, educativi e relazionali. Ciò perché, nelle attività manageriali e professionali hanno notevole valore la grinta e il dinamismo; l’intraprendenza e la determinazione; la precisione nei comportamenti e la razionalità; la capacità di cambiare ed aggiornarsi. Al contrario nel mondo degli affetti e delle relazioni sono importanti la serenità e la distensione; la dolcezza e la tenerezza; la disponibilità e l’accoglienza; le capacità di ascolto e di cura; l’istintualità e il sacrificio ma, soprattutto, sono fondamentali la stabilità e la continuità nei comportamenti. I cambiamenti che riguardano i ruoli sessuali, sono sicuramente quelli che provocano, più degli altri, conseguenze notevoli e spesso impreviste. Quando si cerca di vivere, sentire, amare, lavorare come l’altro sesso, non cambia soltanto un ruolo, ma tende a modificarsi anche l’identità di genere, con conseguenze notevoli sul proprio vissuto più intimo e profondo. Molto spesso però, in questi casi, sia nelle donne sia negli uomini, più che un vero ribaltamento o cambiamento di genere, si ottiene un effetto caricaturale. Non potendo, infatti, vivere fino in fondo l’altro genere sessuale, si è costretti ad imitare i suoi eccessi o gli elementi più superficiali ed eclatanti di una personalità non propria. Si ottiene in definita una strana, modesta imitazione dei lati peggiori e più superficiali dell’altro sesso, il che porta a uno stato d’insoddisfazione e di tensione notevole, che finisce per irritare, amareggiare e irrigidire la persona coinvolta.

I ruoli tradizionali

Per quanto riguarda gli uomini, nei ruoli tradizionali, frettolosamente accantonati, la gratificazione e la soddisfazione personale nascevano da vari elementi.

  1. Dall’orgoglio di provvedere alle necessità materiali dei propri familiari.
  2. Dal sentirsi responsabili della protezione, della coesione e del buon funzionamento della famiglia ad essi affidata.
  3. Dall’essere garanti dell’equilibrio, della stabilità e del benessere di ogni membro, non solo della loro famiglia, ma anche della comunità, nella quale questa famiglia si trovava inserita.
  4. Dalla possibilità che gli uomini avevano d’infondere, a ogni persona del gruppo familiare, quegli indirizzi, quelle norme e regole comuni, indispensabili nella costruzione delle relazioni interpersonali, nonché fondamentali allo sviluppo di famiglie sane, funzionali e adeguate al vivere civile.

Nello svolgimento del loro difficile, responsabile e faticoso ruolo, la determinazione, la forza, la coerenza e sicurezza degli uomini nascevano dall’essere sostenuti, aiutati e stimolati dalle loro compagne di vita, dalla comunità nella quale vivevano, nonché dalle leggi dello stato.

Per quanto riguarda le donne, le loro gratificazioni e soddisfazioni personali nascevano dal riconoscere, nel loro ruolo, molti compiti fondamentali.

  1. Intanto avevano coscienza di costruire, con il loro amore, con la loro tenerezza, con le loro cure, oltre che il corpo di ogni piccolo essere umano che si affacciava alla vita e al mondo, anche e soprattutto i componenti fondamentali dell’Io di ognuno di essi. Come dice Slepoj [1]: “In realtà, nei bambini di entrambi i sessi, è proprio l’identificazione primaria con la madre, come colei che cura e sostiene, che elabora le angosce e rassicura, a favorire lo sviluppo di un nucleo saldo della personalità che, a seconda degli autori, viene definito “sé profondo” o “fiducia di base”. Soltanto questa identificazione, infatti, permette al bambino di costruire dentro di sé quelle capacità materne di elaborazione dell’angoscia e di cura di se stesso che gli daranno la sicurezza per diventare autenticamente autonomo”.
  2. Le madri erano altresì consapevoli di essere indispensabili protagoniste nello sviluppo delle più importanti caratteristiche umane dei loro piccoli.
  • Erano loro, le donne, a iniziare i figli al linguaggio verbale e non verbale, nonché alle capacità di comprensione e ascolto.
  • Erano soprattutto loro, le donne, che badavano a sviluppare le capacità affettivo – relazionali del futuro dell’umanità.
  • Erano soprattutto loro, le donne, che con le loro attenzioni riuscivano a far gustare ai loro piccoli il piacere e la gioia della condivisione, ma anche l’importanza di offrire agli altri, specie ai più bisognosi, agli anziani e ai disabili, gli splendidi doni che nascono nell’animo quando si offre generosamente la propria disponibilità, cura, vicinanza e calore affettivo.
  • Erano consce, le donne, di essere le protagoniste nel difficile compito di arricchire l’animo delle nuove generazioni d’innumerevoli qualità fondamentali: quali le capacità comunicative e di ascolto, la sensibilità e la tenerezza, la relazione e l’accoglienza, l’amore e il perdono.
  1. Erano fiere, le donne, di essere indispensabili nel costruire con le loro parole e i loro gesti d’amore, il benessere fisico e psicologico dei loro compagni di vita. Sapevano che con i loro comportamenti sarebbero riuscite ad accogliere, gratificare, sostenere, confortare, i loro uomini, così da renderli ancora più forti e sicuri di sé, ancora più disponibili all’impegno in loro favore, ma anche verso i figli, la famiglia e le istituzioni sociali.
  2. Infine le donne erano ben consapevoli di essere protagoniste nel tessere e mantenere vivi, efficienti e produttivi i legami con la propria rete familiare e con quella del loro uomo. Reti e legami indispensabili a garantire una buona armonia e benessere, sia per la coppia, sia per le famiglie che iniziavano il loro difficile cammino sulla scena del mondo.

I ruoli attuali

Quando per i due sessi questi ruoli, ben definiti, stabili e aderenti alle richieste della società e alle loro specifiche caratteristiche, sono stati messi, prima in discussione e poi criticati, biasimati, per essere infine cancellati quasi del tutto, per sostituirli con altri, scarsamente chiari, se non nettamente confusi, poco aderenti alle caratteristiche dei due generi, assolutamente insoddisfacenti nel creare benessere per loro e per i loro figli, poiché indirizzati e finalizzati quasi esclusivamente a soddisfare i bisogni della finanza, della produzione, dell’acquisizione e della distribuzione di beni e servizi, qualcosa di fondamentale non ha più funzionato nel rapporto uomo – donna; qualcosa di molto importante è entrato in una crisi irreversibile; qualcosa si è spezzato e, di conseguenza, qualcosa di deleterio ha snaturato buona parte del sistema sociale, relazionale e familiare.

Questa crisi è diventata negli anni sempre più grave e distruttiva, innescando una spirale perversa, fatta di scarso dialogo, incomprensione, conflittualità e aggressività, che si è diffusa e allargata dentro e fuori dalle coppie e dalle famiglie, dentro e fuori dall’agone politico, nei singoli come nelle comunità.

I motivi di questa crisi e di questa perversa spirale sono diversi.

  1. 1.      La distribuzione del potere e dei ruoli tra uomini e donne.

Le critiche e il biasimo distruttivo nei confronti dei tradizionali ruoli, hanno dimenticato che: “La distribuzione del potere tra uomo e donna, non è stata operata una volta per tutte all’origine dell’umanità da un deus ex machina o da un creatore soprannaturale, ma è il frutto di un’opzione culturale di lungo periodo, diremmo oggi di un contratto sociale, di una negoziazione in base alla quale ciascuno occupa un determinato posto all’interno della comunità”[2].

Inoltre la storia ci ha sempre confermato che questa millenaria distribuzione dei ruoli non è nata in seguito a una guerra tra uomini e donne, per cui, dopo la vittoria dei primi, l’altro sesso era stato sopraffatto, ma ha avuto origine dalle necessità di affrontare, nel miglior modo possibile, i complessi e ineludibili bisogni educativi presenti nello sviluppo di ogni essere umano. Questi bisogni educativi, oggi spesso sottovalutati, richiedono notevoli impegni formativi che devono necessariamente essere esplicati nei tempi e nei modi opportuni, da altri esseri umani che, con i minori, hanno avuto la possibilità di instaurare degli stabili, profondi, caldi e teneri legami affettivi e relazionali.

Da tutto ciò è nato, ed è ancora attivo in moltissimi paesi del mondo, quel patto sociale nella distribuzione dei ruoli, la cui validità è stata ampiamente dimostrata durante le millenarie esperienze del passato.

  1. 2.      La competizione tra ruoli simili o uguali

Nei rapporti di coppia, che non mancano certo di complessità e difficoltà, se ogni sesso s’impegna, si attiva ed è protagonista, in un campo diverso e specifico, agli occhi e al cuore dell’altro questo suo impegno assume un grande valore ed è giudicato e vissuto come un elemento importante, caro e prezioso del quale essere enormemente grati. Conseguentemente, proprio per una visione positiva dell’altro, considerato importante, anzi fondamentale e indispensabile, per l’apporto specifico che ogni giorno è capace di offrire al coniuge, ai figli e alla famiglia, verso di questi si mobiliterà l’interesse e la cura, al fine di migliorare il suo benessere. Inoltre, l’impegno in campi diversi e complementari, permetterà la nascita di un’alleanza e una fiducia reciproca, che sono fondamentali per allontanare o diminuire i possibili conflitti.

Se invece entrambi i sessi si attivano sullo stesso piano e sono impegnati negli stessi ambiti, con molta più facilità si corre il rischio di avvertire l’altro, in molti momenti della vita a due, come uno sleale concorrente o, in altri casi, come un pigro e inaffidabile compagno, che non s’impegna sufficientemente e non offre alle necessità del partner e della famiglia quanto dovrebbe e potrebbe. Se ad esempio, entrambi si attivano e s’impegnano nel campo professionale, è facile che l’uno guardi l’altro con sospetto e invidia, nel momento in cui i guadagni, la visibilità e la fama dell’uno saranno superiori a quelli dell’altro.

Ciò è ancora più evidente e grave quando l’ambito nel quale uno dei due partner s’impegna, non è tradizionalmente appannaggio del proprio genere sessuale. Se ad esempio, la donna guadagna più dell’uomo o ha più successo di lui nel campo economico e professionale, cosicché ottiene dall’ambiente sociale una più alta valutazione e rispetto, vi è il concreto rischio che il partner avverta tutto questo come una minaccia alla propria reputazione e alla propria immagine di uomo e ciò potrà fare insorgere in lui gelosia, irritabilità e aggressività nei confronti della compagna.

Ackerman[3] descrive molto bene le conseguenze presenti nella coppia competitiva. In questi casi: “Ognuno dei due genitori compete con l’altro e teme di essere superato. Nessuno dei due è sicuro, anche se ha la pretesa di una maggiore competenza. Paradossalmente ognuno passa la parola all’altro quando si tratta di prendere decisioni responsabili. La lotta per la competizione riduce la simpatia affettiva, distorce la comunicazione, indebolisce la reciprocità del sostegno, e della corresponsabilità e diminuisce il soddisfacimento dei bisogni personali”.

Lo stesso può avvenire se è l’uomo ad avere più successo in un campo tradizionalmente legato al genere femminile, come quello affettivo –relazionale e di cura. Se ad esempio, il marito o compagno riesce ad avere nel rapporto con i figli un maggiore e miglior dialogo e confidenza, una maggiore e migliore intesa e comunione, un ascolto più intimo e profondo, è facile che la donna, sentendosi meno considerata, cercata e amata dai figli, si senta relegata a un ruolo subalterno. Ciò la potrà spingere a lottare per strappare all’uomo la sua supremazia, anche usando l’arma della delegittimazione.

In definitiva quando i ruoli non sono ben chiari e definiti si corre il rischio che ognuno dei due, piuttosto che impegnarsi a valorizzare l’impegno dell’altro, tenda a considerare, come una personale perdita, gli apporti di questi, cosicché, per reazione, cercherà in tutti i modi di sminuire l’altro, gioendo più degli insuccessi che dei successi di lui. Da questa situazione di disagio potrà con facilità mettersi in atto una competizione, tanto più insidiosa quanto più sotterranea, irrazionale e istintiva, che può facilmente sfociare in un rapporto conflittuale, che si manifesterà mediante evidenti comportamenti irritanti, aggressivi e collerici, attuati nelle occasioni più strane e inusuali.

 A causa della scarsa soddisfazione, può succedere anche che uomini pieni di livore e umiliazione, di fronte a donne meglio inserite nel campo lavorativo, che guadagnano più di loro, lascino il loro piccolo, insoddisfacente lavoro e si dedichino soltanto ai loro hobby, così come può succedere che donne, piene di rancore nei confronti dei loro compagni, rinuncino quasi totalmente al loro ruolo affettivo relazionale e di cura, nel momento in cui avvertono che questo ruolo è stato sottratto dai loro uomini, i quali sono riusciti ad instaurare con i loro figli dei migliori e più profondi legami affettivi.

Spesso alla fine di questa guerra concorrenziale, raramente dichiarata, ma anzi il più delle volte tenuta ben celata, entrambi si ritrovano ad aver perduto il piacere dell’impegno e ciò li potrà spingere a chiudersi in un bozzolo di apatia e fuga. Come dire a se stessi e al mondo: “Se il mio ruolo, le mie capacità e il mio impegno, non sono valorizzati io, volontariamente e con rabbia le autolimito, pur di vendicarmi della castrazione che su di me è stata effettuata”. Oppure, al contrario, la frustrazione potrà spingere uomini e donne ad atteggiamenti e comportamenti di auto ed etero aggressività e distruttività.

  1. 3.      L’affidamento dei ruoli

Vi è infine un altro problema del quale si parla poco. Se un certo ruolo è affidato solo a una persona questa, sentendosi pienamente responsabile del risultato, s’impegnerà a svolgerlo bene e correttamente, dando il massimo di sé, se non altro per soddisfare il suo orgoglio e la sua autostima, ma se lo stesso ruolo è affidato a due o più persone l’impegno sarà sicuramente molto più modesto, perché più scarsa sarà la gratificazione. Inoltre, in caso di fallimento, è facile che la responsabilità sia data all’altro:... “che non ha collaborato”, … “che non si è impegnato abbastanza”, …“che ha sbagliato”, … “che si è comportato in maniera pigra o da incapace”, e così via.

Ancora una volta un importante esempio l’abbiamo nelle nostre famiglie. L’aver affidato lo stesso ruolo agli uomini e alle donne ha comportato un disinvestimento negli impegni e nelle responsabilità familiari, specie nelle responsabilità educative e di cura. Poiché se qualcosa non funziona, e purtroppo sono tante le cose che non funzionano in questi ambiti, è sicuramente colpa dell’altro. Se invece qualcosa va bene, è sicuramente merito nostro.

In definitiva, l’aver affidato ad entrambi i coniugi gli stessi compiti e le medesime funzioni e ruoli si è rivelato - e non era difficile prevederlo- il modo migliore per mettere uomini e donne gli uni contro gli altri e rendere stabilmente e perennemente conflittuale il rapporto tra i sessi.

  1. 4.      Gli effetti deleteri della supremazia

Quando s’incitano le donne a lottare contro gli uomini, accusandoli delle peggiori nefandezze, si sottovaluta che uomini e donne sono, e non potrebbe essere diversamente, intimamente legati tra loro nei bisogni, nelle aspirazioni, negli obiettivi. Pertanto, come dice la Slepoj [4] è indispensabile avere la consapevolezza che il maschile è una categoria di relazione, pertanto se muore o va in crisi il maschile, muore e va in crisi anche il femminile.

Inoltre il lottare per sopraffare, allontanare, colpevolizzare, biasimare o peggio escludere uno dei due sessi dal proprio animo o dalla propria vita è come lottare per sopraffare, allontanare, colpevolizzare, biasimare ed escludere se stessi. In definitiva: “La tensione per la conquista di una totale supremazia ha come ultimo effetto un senso di solitudine e di carenza emotiva”[5].

  1. 5.      La responsabilità condivisa

Spesso s’insiste su una crisi del maschile che si manifesta con tristezza e disappunto, dovuta al fatto che l’immagine dell’uomo che provvede alla famiglia è stata sminuita e svilita. Crisi che spiegherebbe l’aggressività e violenza nei confronti delle donne, ree di aver sottratto ai maschi una condizione di privilegio. Tuttavia questa lettura trascura il fatto incontestabile che tutti i ruoli di responsabilità e autorità comportano non solo “onori” ma anche molti “oneri”, e che spesso questi ultimi superano di molto le gratificazioni dovute agli onori.

Questa realtà spiega molto bene ciò che è avvenuto. Quando la legge sulla famiglia ha sottratto l’autorità di capo famiglia al marito affidandolo ad entrambi e poi in ultima istanza alla magistratura, molti uomini non solo non si sono strappati i capelli e non sono scesi in piazza per protestare e lottare con le unghie e con i denti contro questa legge ma, come si direbbe oggi, “non hanno fatto una piega” e hanno subito accettato e approfittato di questa nuova situazione per “tirare i remi in barca”. Hanno cioè accolto di buon grado questa perdita del ruolo di capo famiglia ma, in compenso, hanno ceduto ben volentieri la responsabilità, la fatica, l’impegno e tutti i sacrifici che questo ruolo comportava. E poiché la responsabilità condivisa si è trasformata rapidamente in una comune irresponsabilità, ogni componente della coppia, non essendo investito formalmente di questo specifico e preciso ruolo, ha pensato bene di scrollarsi di dosso ogni obbligo e impegno, scaricando sull’altro o su altri le carenze che a mano a mano si venivano a creare in seno alla famiglia.

Le carenze più evidenti le ritroviamo soprattutto sul piano educativo, formativo, affettivo e di guida efficace nei confronti dei più piccoli, ma anche degli adolescenti e giovani. Queste carenze, da quel momento in poi, hanno cominciato ad essere attribuite all’altro: …“che non si impegna”; … “che non collabora”; …“che se n’infischia delle necessità della famiglia”; … “che è troppo permissivo o troppo rigido e autoritario”. All’altro: … “che sicuramente non capisce, non si adegua ai tempi moderni”, perché troppo immaturo, incapace e forse anche disturbato.

Le leggi che hanno promosso e imposto una comune e condivisa responsabilità nelle decisioni che riguardano l’andamento familiare non hanno, inoltre, tenuto conto e non hanno previsto che quando ogni decisione “per legge” deve essere presa di comune accordo, i conflitti che nascono da un modo diverso di vedere e affrontare i problemi e le necessità della famiglia si moltiplicano e si aggravano notevolmente, poiché entrambi i coniugi si sentono autorizzati e stimolati ad interminabili, estenuanti ed in definitiva fallimentari e sterili discussioni e trattative su ogni argomento e su ogni decisione da prendere, piccola o grande che sia.

Queste leggi, inoltre, non hanno previsto che le infinite e sterili discussioni e trattative spesso, alla fine, sfociano nelle peggiori delle conclusioni: non decidere nulla per non darla vinta all’altro, oppure lasciare all’altro tutte le decisioni e smarcarsi il più possibile, a volte gradualmente altre volte rapidamente da ogni responsabilità familiare e godersi in pace il proprio tempo libero e gli amati hobby!

Le conseguenze per gli uomini

Per l’uomo, la donna rappresentava una realtà notevolmente ricca e importante.

  1. Era l’altra parte di sé. Era il simbolo della tenerezza e della fragilità; della delicatezza e della calda emotività. Tutte realtà che all’uomo mancavano e con le quali desiderava unirsi. Dice Harding [6]: “Un uomo senza anima non è che un mezzo uomo, perciò quando la sua anima è proiettata su di un altro essere, è come se metà di lui sia in quell’essere. Di qui l’enorme importanza e l’attrattiva della donna, il desiderio di entrare in rapporto con lei per entrare così in rapporto con l’anima che altrimenti è perduta per lui”.
  2. Era la donna l’oggetto d’amore più importante.
  3. 3.      Era l’essere che gli avrebbe permesso di prolungare la sua esistenza, al di là della vita terrena, mettendo al mondo e poi educando i suoi figli.
  4. 4.      Era la persona con la quale costruire una famiglia, cioè la cellula base di ogni società umana.
  5. 5.      Era quell’essere speciale che avrebbe avuto cura di lui, che sarebbe stata a lui vicina in ogni giorno e in tutte le difficoltà della vita.
  6. 6.      Era, la donna, l’unica persona che poteva dare significato al suo lavoro ai suoi sacrifici e ai suoi impegni.
  7. 7.      Con la sua presenza calda, affettuosa e operosa avrebbe curato la loro casa e soprattutto i suoi abitanti.
  8. 8.      Era la persona capace di creare e tenere viva e funzionale la rete familiare e amicale.

Pertanto è stata molto intensa e dolorosa la delusione, quando l’uomo si è accorto che l’anima femminile aveva perduto molte delle caratteristiche che lo interessavano, anzi lo affascinavano. Non ritrovava più in quel nuovo essere la riservatezza, il pudore e la delicatezza che sognava e cercava. Ora la sentiva lontana, spesso insicura, critica e insoddisfatta di tutto e di tutti, soprattutto di lui. Scopriva di non avere accanto a sé una donna che fosse porto sicuro, caldo, accogliente e amorevole. Non trovava più accanto a sé una donna che avesse nei suoi confronti ammirazione, rispetto e accoglienza.

Quando poi egli cercava di costruire una famiglia, sana e funzionale, non scorgeva, nelle ragazze e nelle donne facilmente disponibile all’avventura di una notte e a rapporti sessuali privi di sentimenti profondi, quella serietà nell’affrontare la relazione e il rapporto che egli cercava.

È stato amaro per l’uomo constatare che la donna non era più a lui complementare, ma spesso la sentiva rivale: nel lavoro, nella famiglia, nella vita sociale e in quella politica. Ora era costretto ad accostarsi a lei quasi con timore, sentendola disposta a tutto e a mettere da parte tutto, pur di far carriera e acquisire sempre maggiore potere.

E poi come credere che la donna incontrata avrebbe mai potuto essere la madre dei suoi figli, quando notava che era più interessata al fare, che al prendersi cura; più capace professionalmente, che sul piano educativo. Spesso assente, maldestra e inaffidabile nella cura dei figli, tanto da delegare sempre più la sua funzione educativa e formativa agli altri: nonni, baby sitter, asilo nido, insegnanti di scuola e doposcuola, con risultati molto spesso disastrosi sul piano psicologico.

Ora l’uomo sente il rapporto con questa nuova donna notevolmente rischioso, non solo per l’aumento della sua disponibilità al tradimento e all’abbandono, ma soprattutto a causa delle facili accuse e denunce che egli, in un qualunque momento, avrebbe potuto subire. Accuse di maltrattamenti, molestie sessuali, violenze, stalking, ecc. Accuse e denunce a volte pretestuose, altre volte chiaramente false o costruite ad arte, alle quali poteva far seguito l’allontanamento dalla casa coniugale, la privazione dei suoi beni, ma anche dell’amore, della stima e anche della stessa presenza e vicinanza dei suoi figli.

Le conseguenze

Le conseguenze di tutto ciò sono state numerose:

  • Il rapporto dell’uomo nei confronti delle donne si è modificato profondamente e in maniera sostanziale. Questo rapporto è diventato notevolmente più guardingo, irriguardoso, sospettoso, labile, incostante, con un’accentuazione delle componenti difensive e, consequenzialmente, con una scarsa o assente disponibilità alla fiducia, all’abbandono e all’amore incondizionato.
  • Spogliatosi dalle responsabilità del ruolo di capofamiglia ora l’uomo non sente più il dovere di provvedere con responsabilità, al mantenimento della stessa. Così come non si sente più in dovere di preservarne l’unità e la stabilità.
  • Volendo trovare un minimo di gratificazione e calore, ha iniziato a rapportarsi con i figli in modo eccessivamente tenero e permissivo, cancellando e rinunciando al suo ruolo di guida autorevole, sicura, lineare e ferma [7]. Essendo ora l’uomo più insicuro ed emotivamente più fragile ha perso la sua capacità di condurre con linearità, fermezza e responsabilità l’educazione dei figli ma anche la conduzione della famiglia.
  • Anche la sua sessualità ne risente, diventando più rara, difficile e problematica.
  • Inoltre, cosa ancora più grave, con l’allontanamento dei maschi dai loro tradizionali compiti è avvenuto qualcos’altro, che Slepoj [8] sintetizza con queste parole:

“Sono in molti a sottolineare come il progressivo indebolimento dell’autorità paterna, porti con sé effetti devastanti. Nella società postpatriarcale si registra infatti un diffuso venire meno della trasmissione culturale forte, con il conseguente dissolvimento di concetti come autorità, verità, limite, morale, che nella cultura patriarcale venivano tramandati dal padre. Con la sparizione del padre che educa, che impone dei limiti, che insegna il bene e il male, secondo alcuni autori verrebbero meno i cardini della convivenza civile, con la conseguente perdita di orientamento nei giovani, privi di coordinate etico-sociali entro cui muoversi. Ecco perché molti pensatori sostengono che la “morte” del padre significa anche la “morte” dei figli, condannati a vivere in una sfera di incertezza esistenziale, che fa pesare sul singolo la difficoltà di scelte e di decisioni che prima erano stabilite dalla collettività e in modo condiviso”.

Oltre agli elementi come l’autorità, i limiti e le componenti morali del vivere civile, ai quali si riferisce Slepoj, la mancata funzione educativa dei padri ha comportato anche la perdita, nell’educazione dei minori, di elementi essenziali della componente umana: come la determinazione e la forza, la linearità e il coraggio, la sicurezza e la fermezza. Qualità queste che caratterizzavano gli apporti paterni e che servivano ad arricchire e rendere più valide sul piano personale e sociale le nuove generazioni. Come conseguenza di ciò, l’assunzione di responsabilità da parte dei figli di entrambi i sessi, è nettamente diminuita, prolungando, in molti casi indefinitamente, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

In questo periodo storico possiamo constatare che questa condizione innaturale, ma soprattutto poco chiara e definita, di quello che almeno nelle intenzioni doveva essere un sistema basato sulla piena e totale cooperazione e collaborazione, non solo non ha dato i frutti sperati, ma anzi è risultata, nei fatti, una condizione deleteria per entrambi i sessi, favorendo e provocando, oltre che l’allontanamento dai compiti genitoriali, intensi conflitti e sistematici scontri all’interno delle famiglie.

In definitiva il fatto che i maschi avessero accettato, senza battere ciglio, compiti e ruoli diversi, pur di evitare di essere stigmatizzati dalla società, come uomini fuori dalla storia. che si opponevano all’emancipazione femminile, non ha comportato la vittoria del femminile sul maschile, né possiamo onestamente affermare che vi sia stata la vittoria della società più avanzata, su quella patriarcale. Per la verità, a ben guardare, è stata una grave sconfitta per tutti, poiché tutti hanno sofferto e soffrono per le carenze degli apporti squisitamente maschili nella conduzione dell’istituto familiare.

Le conseguenze per le donne

L’iniziale entusiasmo

Le prime conseguenze, dopo il cambiamento dei ruoli nell’ambito delle famiglie e della società, sono state nettamente positive per il genere femminile. La consapevolezza di essere ora protagoniste, oltre che della vita familiare, anche di quella professionale, economica, lavorativa, sociale e politica, ha permesso di vivere questa nuova realtà con entusiasmo e gioia. Non essendo stato difficile conquistare compiti e ruoli una volta appannaggio quasi esclusivo degli uomini, sono rapidamente aumentati di numero i mestieri e le professioni che hanno visto protagonista il genere femminile. L’apporto delle donne si è diffuso a valanga in tutti i campi sociali e professionali: donne docenti in tutte le scuole, donne impiegate, donne operaie, poliziotto, soldato, aviatrici, manager, astronaute, ministro ecc. Inoltre, il rapporto economico più paritario con l’uomo ha fatto aumentare molto il loro potere contrattuale, sia nei confronti delle altre donne, sia nei rapporti con i loro compagni e la società in genere.

Lo stress e la stanchezza

Tuttavia, abbastanza presto molti elementi hanno contribuito a smorzare l’entusiasmo iniziale. La prima difficoltà che le donne hanno dovuto affrontare e anche subire, è stata la maggiore stanchezza e stress causati dal notevole impegno e tempo necessario per affrontare i diversi e svariati compiti che ora sono costrette ad affrontare: seguire attentamente l’andamento della famiglia, l’educazione dei figli, la preparazione e lo studio necessari per affrontare giorno dopo giorno le varie attività lavorative. Oggigiorno le espressioni più usate dalle donne sono: “Corro sempre”; “Devo fare tutto di corsa”; “Corro per preparare qualcosa da mangiare prima di uscire per il lavoro”; “Corro per portare i figli a scuola o dai nonni; per andare in ufficio e strisciare sul badge all’orario previsto”; “Corro per riprendere i figli, per farli mangiare, per far fare i compiti, per pulire la casa, per fare la spesa…”

Questo continuo rincorrere le tante, molteplici attività, è diventato anche un correre delle donne contro se stesse, essendo impossibilitate a godere serenamente i piccoli piaceri della vita, soprattutto quelli familiari: le gioie della maternità, il piacere di un rapporto intimo con i figli, il piacere di un tenero dialogo con il marito.

L’insicurezza

Lo stress e la stanchezza spesso sono accompagnati anche dall’ansia, dall’irritabilità e dall’insicurezza, causate dal fatto che le nuove donne, pur condividendo con i partner gli importanti investimenti affettivi nella conduzione della famiglia, hanno di fatto spostato buona parte dei propri interessi all’esterno dell’ambiente familiare. Il cambiamento nelle idee, nei ritmi di vita, nei comportamenti e negli obiettivi è diventato talmente profondo e incisivo che molte donne non si riconoscono più. Non riconoscono più qual è il loro ruolo; non sanno più chi sono; non sanno più cosa è bene e cosa è male; non sanno più cosa devono fare e come devono comportarsi e agire.

Ackerman, (1968, p. 152) descrive bene questa sensazione d’insicurezza:

“La madre. A sua volta, pretende di avere una forza e una sicurezza che è ben lungi dal possedere. Dato che non si può sentire sicura della forza del marito, assume su di sé il compito di organizzare la vita familiare. Dimostra il suo valore imitando lo stereotipo della forza maschile. Cerca di essere onnipotente ma riesce soltanto a essere distaccata, impersonale e alienata dagli spontanei sentimenti materni. Si sforza ardentemente di agire nel modo giusto con i bambini, ma si tormenta per la paura di commettere errori. Ciò nonostante pretende di saperci fare, recita la parte della persona forte, superiore, autosufficiente, e spesso con questa facciata, riesce a ingannare il marito. Ma fondamentalmente rimane insicura e dipendente, bisognosa di essere vezzeggiata, pur aborrendo di confessarlo”.

Questo stato d’insicurezza si accentua nel momento in cui la donna avverte il disagio dei figli e anche il suo, insieme alla sgradevole sensazione di non sentirsi veramente realizzata, sia come donna sia come madre, giacché i risultati ottenuti sono spesso modesti in entrambi i campi. In alcuni casi cerca di eliminare il problema, negandolo: “Non c’è alcun problema, i miei figli stanno bene, la mia famiglia procede come tutte le altre, il mio lavoro non ha alcuna influenza negativa su di essa. Non faccio mancare loro nulla. Tutto è come dovrebbe essere”.

In molte altre situazioni invece, nascono in lei degli interrogativi angosciosi ai quali non riesce a dare delle coerenti e decisive risposte: “E’ giusto o no, quello che faccio?” “Mi comporto bene o male?” Continuamente trascinata e a volte travolta dal dubbio e dalla perplessità, si chiede: “Ho il diritto di fare quello che sto facendo?” “Quello che faccio, lo faccio per me o per la mia famiglia?” “ La mia famiglia ne ha veramente bisogno?”

La schizofrenia interiore

Il problema della doppia presenza: in famiglia e in un lavoro impegnativo, porta inoltre ad una schizofrenia interiore difficilmente risolvibile ed affrontabile. L’impegno familiare è nettamente diverso da quello lavorativo. Il primo richiede grandi capacità d’ascolto, intuito, tenerezza, affetto, disponibilità e donazione verso l’altro, e soprattutto dei tempi lenti, elastici e fluidi. L’impegno lavorativo richiede invece una persona scattante, efficiente, razionale, grintosa, precisa e metodica. Vivere bene entrambe le realtà: familiare e lavorativa, è praticamente impossibile, provarci richiede un grande dispendio di energie.

Il conflitto non ha fatto altro che aumentare l’emotività, l’ansia ed i sensi di colpa, accentuando le paure e le indecisioni nei comportamenti. La fuga dai sensi di colpa, dalle difficoltà interiori, dalla tensione, si è tradotta in una rinuncia alla maternità vera, per cercare altri tipi di maternità sostitutive, meno responsabilizzanti e con meno implicazioni emotive, come la cura di uno o più animali, gli impegni di volontariato, l’adozione a distanza ecc.

La frustrazione e l’insoddisfazione

Questi due sentimenti sono sgorgati nell’animo femminile quando le donne hanno avvertito che mentre si spendevano nelle mille occupazioni e nei mille compiti che la società, pretende da loro, non erano più in grado di impegnarsi, così da ottenere dei buoni risultati nelle funzioni che le loro madri e nonne sapevano svolgere benissimo: far crescere sereni, sani e forti i loro figli, così da far maturare in loro le più importanti qualità presenti in un normale essere umano.

Ora molte madri avvertono in modo acuto la sofferenza di essere costrette a trascorrere con i figli solo dei ritagli di tempo, il che -comprendono benissimo- lede, a volte in maniera lieve, altre volte in modo grave, lo sviluppo affettivo- relazionale dei minori, ma anche il forte e profondo legame che avrebbe dovuto instaurarsi con loro.

Poiché le madri non riescono più a dare l’ascolto necessario ai loro piccoli nei momenti più importanti e delicati del loro sviluppo, si accorgono che diminuiscono in molte circostanze le capacità di percepire e poi soddisfare i loro bisogni più veri e profondi. Cosicché la frettolosa e irritata comunicazione che con fatica riescono a instaurare non è adatta a comprenderli e a farsi comprendere. Tanto che i figli, sentendosi deprivati della presenza, delle cure e delle attenzioni a cui avevano diritto e che si aspettavano, durante l’adolescenza, ma spesso anche prima, si rivolgono contro di loro con parole offensive e acide. Le accusano di non aver mai tempo per l’ascolto vero e profondo, di non aver mai tempo per giocare con loro, di non aver mai tempo per le coccole o per ridere e scherzare insieme, di non aver mai tempo per permettere loro di giocare con i compagnetti. Gli stessi figli fanno notare che la sera, dopo una giornata convulsa e stressante loro, le madri, sono sempre troppo stanche, per raccontare le favole della buona notte e se lo fanno, leggendo in fretta e furia qualche pagina di un libro illustrato, queste favole non hanno sapore. Così come non hanno sapore i cibi già cotti o precotti che sono costretti frequentemente a trangugiare.

L’altro motivo d’insoddisfazione delle donne riguarda l’incapacità di costruire e poi mantenere attive quelle reti affettive familiari che le loro madri e nonne del passato sapevano tessere e costruire attorno alla loro famiglia, poiché non hanno né il tempo, né la voglia e la serenità necessaria per gestire questo delicatissimo e importante compito.

Numerosi autori, soprattutto donne, hanno nei loro scritti ben evidenziato queste intime frustrazioni e sofferenze presenti oggi nel genere femminile.

Per Harding [9], l’immaginario inconscio della donna soffre di questi cambiamenti. Esso si contrappone al pensiero razionale che invece è conscio, perciò voluto, indirizzato e coordinato dalla ragione e dal pensiero concreto. L’immaginario inconscio della donna è legato indissolubilmente alla sua femminilità e maternità per cui le chiede di essere madre inappuntabile, moglie fedele, regina di un ambiente, la casa che lei vorrebbe fosse un nido caldo e accogliente, ricco di elementi affettivi e di cura. Il suo inconscio la spinge ad avere un legame profondo e complementare con l’uomo. Essere l’anima del marito, integrarsi con lui, con lui camminare insieme nella vita, è il suo più profondo desiderio.

Quando quest’immaginario è frustrato, sovvertito, violentato da un pensiero razionale che vuole una donna contrapposta e concorrente all’uomo, niente affatto desiderosa di porsi in modo complementare all’anima di lui, poco disposta ad un ruolo prevalente all’interno della famiglia, della casa e degli affetti, poco incline a un rapporto educativo, vi è un intimo scontro che ha delle conseguenze notevoli. La frustrazione e l’insoddisfazione nascono soprattutto quando le donne si accorgono che il loro modo di porgersi con continua critica, irritabilità, sfiducia e arrogante spavalderia verso gli uomini, rende questi assolutamente insoddisfatti, cosicché li vedono allontanarsi da loro, spaventati, perplessi ma anche profondamente delusi.

 D’altra parte l’educazione occidentale cerca di sradicare, per quanto possibile, ogni manifestazione dell’istintualità femminile legata alla maternità, alla riproduzione e alla cura, cosicché queste qualità, nella maggior parte delle donne restano sopite e trascurate. In cambio quel tipo di educazione offre loro gli aspetti intellettuali e razionali presenti nella vita lavorativa e professionale, che non riescono a soddisfarle pienamente[10]. Ma per poter emergere nel mondo del lavoro le donne devono necessariamente far affiorare e sviluppare tutte quelle qualità maschili che ordinariamente sono in loro latenti. “Per conseguenza molte donne che esercitano mestieri e professioni, sono caratterizzate, qual più qual meno, da tratti e abitudini maschili che testimoniano il loro mutato atteggiamento psicologico”[11].Per cui la donna: “Anziché essere gentile e condiscendente e lasciarsi portare dai suoi sentimenti, in altri termini, invece di agire come essere femminile, essa comincia a perseguire un fine, né più né meno dell’uomo, e il più delle volte diventa aggressiva, autoritaria e testarda. Le sue qualità maschili non sviluppate e non disciplinate nel fondo della sua psiche prendono il controllo della sua personalità[12]

Tuttavia le conseguenze di questa castrazione delle attitudini femminile sono particolarmente traumatiche e dolorose: “Un oscuro e profondo senso di inferiorità e incompiutezza perseguita in genere la donna che, preoccupata della sua professione non ha dato amore a nessun essere umano. Essa cercherà di trovare compenso a questo senso di insufficienza nel mondo esterno, con la speranza che il riconoscimento dei suoi meriti sociali prenderà il posto lasciato vuoto dall’amore”[13].

Per Bonanate[14]:

“C’è tanta infelicità nelle donne di oggi. C’è quella disarmonia con se stesse che crea nevrosi, un uso aggressivo del proprio corpo, una perdita d’identità. Sul lavoro, nell’ambiente sociale, nella vita quotidiana, il mondo femminile si è appiattito sui modelli maschilisti che hanno consacrato una società basata sulla prepotenza del più forte e del più furbo, sulla onnipotenza del denaro, sul successo a qualsiasi prezzo, sul potere come strumento di dominio e di esclusione. Le donne hanno finito in questo modo per rafforzare proprio quel maschilismo spesso spietato e crudele che volevano combattere, uscendone con le ossa rotte, e spesso in una bara. Il pianeta femminile sta perdendo un fondamentale appuntamento con l’uomo per completarsi e aiutarsi a vicenda non in competitività, ma in collaborazione e integrazione, nel rispetto reciproco. In questo vuoto gli istinti peggiori del più forte si abbattono come una mannaia sul più debole, con rabbia, crudeltà, con follia. E il femminicidio registra capitoli sempre più spietati”).

E ancora la stessa autrice Bonanate[15]:

“…il rischio di sprecare questa nuova primavera delle donne, esiste. Ed è quello di non interrogarsi, fuori a ogni ideologia di parte, sul perché la donna è diventata spesso nemica a se stessa. Tradisce le “virtù” femminili più autentiche, come la tenerezza, la capacità illimitata di condivisione, la sua creatività, il rispetto per il proprio corpo, per lasciarsi plagiare dai media della società dei consumi, dalla tirannia del denaro, del successo, del potere, da una libertà illimitata che diventa schiavitù. Per adottare qual maschilismo che proprio il femminismo ha combattuto, pur di raggiungere posti di potere, far carriera, ottenere a tutti i costi una visibilità che si risolve spesso in aggressività e sopraffazione di chi incontriamo”.

E così, mentre l’uomo costretto in compiti che non gli si addicono, soffre giacché non si sente pienamente realizzato nel suo ruolo naturale, altrettanto avviene nelle donne le quali, dopo aver assunto molti dei compiti maschili, si sono accorte di aver barattato, per questi, gli elementi più preziosi, belli, importanti e caratteristici della loro femminilità.

Per Morandi [16]: “La “parità” si rileva un falso scopo inteso ad adulterare il rapporto di coppia attraverso quella che viene chiamata liberalizzazione dei sessi e che in realtà si rileva, come ampiamente vediamo, una perdita di identità”.

Per Magna[17]: “Negli ultimi decenni abbiamo assistito a notevoli mutamenti nella relazione uomo - donna: la condizione della donna è molto cambiata, ma questa liberazione sul piano dell’agire sembra non aver risolto i suoi problemi profondi. Credendo di doversi liberare dal dominio dell’uomo, ha assunto schemi maschili a scapito della propria femminilità, contraddicendo la sua natura profonda”.

Anche per Ackerman[18]: “Oggi le donne sono più libere, spesso più sicure di sé, ma competono come uomini, così facendo si allontanano dalla femminilità”.

Diminuisce l’impegno nei confronti dell’attività educativa in generale, e soprattutto diminuisce l’attività educativa volta a sviluppare le capacità e la cultura favorevoli al matrimonio e alla famiglia. Tutto ciò porta le donne ad aumentare l’investimento su se stesse, spendendo sempre più per il piacere di sentirsi belle e desiderabili, ma anche mediante la ricerca di gioie e piaceri effimeri e banali per cercare di superare i conflitti interiori e trovare, con questi espedienti, la gioia interiore perduta. Le avventure extraconiugali diventano un mezzo per sentirsi vive, desiderate ed accettate, un mezzo per far sopire, almeno momentaneamente, ansie ed intime contraddizioni.

Il rapporto con l’uomo

Questi cambiamenti nei ruoli e nei comportamenti avvenuti in un tempo abbastanza breve hanno stravolto le regole presenti nei rapporti di coppia e le possibilità di capirsi e incontrarsi con il genere maschile. Con l’aumento della reattività nei confronti dell’uomo sono diventate sempre più facili le accuse e le minacce, le richieste e i ricatti. L’uomo assunto perennemente al ruolo di capro espiatorio dello stress, dell’insicurezza e delle frustrazioni femminili, nello stesso tempo è diventato una controparte alla quale chiedere e dalla quale pretendere sempre di più e sempre con maggiore veemenza e arroganza. Accuse e richieste non solo sono aumentate all’infinito ma spesso sono anche contraddittorie, se non proprio pretestuose, giacché molte volte nascono da evidenti conflitti, insoddisfazioni e contraddizioni interiori.

Le conseguenze per entrambi i sessi

Per entrambi i sessi una delle conseguenze più gravi è stato l’estraniamento. Nonostante in tutte le scuole di ogni ordine e grado, a partite dall’asilo nido, fino all’università e al dottorato di ricerca, uomini e donne stiano insieme, uno accanto all’altra, … “per meglio socializzare e capirsi”, viene affermato con sicurezza dagli insegnanti, mai come oggi i due sessi si sentono divisi da un abisso, fatto di incomunicabilità, incomprensione, sospetto, diffidenza, paura e rancore reciproco.

Anche se il nostro desiderio di amore ci porterebbe ad una situazione d’attaccamento e legame con l’altro, il nostro esagerato ed esasperato orgoglio creato dalla nuova condizione e dai nuovi ruoli ci fa sentire, questo lasciarsi andare tra le braccia dell’altro, come rischioso, pericoloso e lesivo della nostra autonomia e dignità. Quest’ambivalenza ci blocca e ci rende incapaci di accogliere pienamente e senza timore l’altro nella nostra vita.

 Insomma in questo periodo storico è veramente difficile, agli occhi e al cuore degli uomini, trovare una donna che abbia, se non tutte, almeno qualcuna delle caratteristiche femminili indispensabili per creare una buona famiglia: una donna quindi capace di tenerezza e dolcezza, una donna capace di cura e accoglienza. Allo stesso modo agli occhi delle giovani sembrano scomparsi gli uomini capaci di assumersi le responsabilità di una famiglia e quindi, sicuri di sé, forti, decisi e fedeli, ma anche capaci di sapersi relazionare bene con le loro compagne. Oltre a ciò, ogni membro della coppia non sa più come rapportarsi con l’altro, in quanto non vi sono più dei metri di giudizio che indichino quali virtù dovrebbe avere “una “brava ragazza” o come dovrebbe essere “un buon ragazzo”. Tutto è diventato confuso, disordinato, ambiguo e instabile.

Per tali motivi una grossa fetta dei due sessi, ormai rifugge dall’idea di un rapporto stabile e duraturo, serio e costruttivo non dico di una famiglia, ma anche soltanto di una parvenza di stabile convivenza, preferendo, a questi rapporti, un continuo alternarsi di piccole, insignificanti “storie” sentimentali e sessuali, senza alcun costrutto, senza alcuna prospettiva futura, senza alcuna programmazione di vita. È come se ogni sesso, agli occhi e al cuore dell’altro, avesse perduto le caratteristiche più importanti e utili per creare un’unione di coppia stabile e quindi una nuova, funzionale famiglia.

 

 



[1] Slepoj V. (2005), (Milano), Le ferite degli uomini, Arnaldo Mondadori Editore, p. 151.

[2] Slepoj V. (2005), (Milano), Le ferite degli uomini, Arnaldo Mondadori Editore, p. 134.

[3] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri. P. 150.

[4] Slepoj V. (2005), (Milano), Le ferite degli uomini, Arnaldo Mondadori Editore, p. 140.

[5] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 152.

[6] Harding E., (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 25.

[7] Slepoj V. (2005), (Milano), Le ferite degli uomini, Arnaldo Mondadori Editore, p. 210.

[8] Slepoj V. (2005), (Milano), Le ferite degli uomini, Arnaldo Mondadori Editore, p. 137.

[9] Harding E., (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio.

[10] Harding E., (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 92.

[11] Harding E., (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 84.

[12] Harding E. (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 86.

[13] Harding E. (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 242.

[14] Bonanate M. “Le nonne parlano alle donne di oggi”,Madre, novembre 2011, p. 47.

[15] Bonanate M. “Le nonne parlano alle donne di oggi”, Madre, novembre 2011, p.21.

[16] Morandi F. (1994), “L’identità del femminile: per una nuova storia della donna”, La famiglia, anno XXVIII, Maggio – Giugno  p.23.

[17] Magna P. (2004) “Alla ricerca di un rapporto riconciliato uomo – donna e marito e moglie” Tredimensioni 1, 59-76

[18] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, 104.

Le cause dei disturbi psicologici

Le cause dei disturbi psicologici

 

Autore: Emidio Tribulato

 

 

Famiglie sane e funzionali

Buona parte della serenità ed equilibrio interiore risiede nell’ambiente di vita del bambino e quindi, soprattutto nella sua famiglia. Se questa presenta delle buone caratteristiche riuscirà ad adoperarsi efficacemente nella strutturazione della personalità dell’Io dei minori presenti in essa e a lei affidati, giacché sarà capace di educare le nuove generazioni utilizzando un ambiente affettivo - relazionale ricco di serenità, stabilità, ascolto, dialogo e comprensione reciproca.

Nelle famiglie sane e funzionali l’amore caldo, gioioso e sicuro, presente nei genitori e negli altri adulti, facilita questa funzione, permettendo di offrire alle nuove generazioni la fiducia, la sicurezza, la serenità e la continuità che queste ricercano e si aspettano. Gli apporti di una famiglia sana e funzionale sono in grado di sviluppare e far crescere persone umane con un’armonica personalità e una ricca identità: persone quindi, non solo intelligenti e capaci, ma anche equilibrate, serene, mature e responsabili.

Una famiglia con caratteristiche adeguate ai suoi compiti riesce, mediante l’educazione e l’esempio, a far maturare nei minori le capacità necessarie per una buona ed efficace integrazione e socializzazione, poiché in quest’ambiente affettivamente sano ed equilibrato i minori sono profondamente rispettati, ma sono anche educati a rispettare gli altri. Accettando e rispettando le idee, i pensieri e i desideri degli adulti, le nuove generazioni hanno la possibilità di saper ben comunicare e dialogare. Queste qualità a loro volta faciliteranno molto tutti i processi e i livelli d’integrazione: inizialmente con i genitori, poi con gli altri familiari e infine con gli estranei.

Giacché all’interno di una famiglia sana e funzionale è attuato il miglior tirocinio verso la comunità, i minori sono stimolati ad essere responsabili e a limitare i propri desideri, imparando a confrontarli con i bisogni altrui e sono altresì capaci di riconoscere nei propri comportamenti le conseguenze positive o negative che da questi potrebbero scaturire nei confronti degli altri familiari, ma anche nei confronti dell’umanità in generale. In definitiva, in questo tipo di famiglia le nuove generazioni riescono a comprendere che la vera libertà si nutre di responsabilità e rispetto nei confronti di se stessi e degli altri.

Inoltre, questo tipo di famiglia è in grado di offrire a tutti i suoi membri, protezione e riparo dai pericoli esterni, così da essere porto sicuro nei confronti dei fattori negativi presenti nell’ambiente sociale. Inoltre riesce a costruire e tener viva una rete affettiva ricca, attiva, partecipe, collaborante: una rete in grado di supportare i genitori e che, nello stesso tempo, sa adoperarsi con delicatezza e attenzione nell’educazione dei minori in essa presenti.

Una famiglia sana e funzionale è in grado di sostenere e aiutare ogni suo membro nei momenti più difficili e delicati della propria esistenza: nelle inevitabili fasi di transizione della vita, negli eventi stressanti, nei casi di disabilità, nelle malattie, nella vecchiaia, in caso di lutto o in presenza di gravi difficoltà. In definitiva questo tipo di famiglia è in grado di assistere e curare, mediante la presenza amorevole e attenta degli adulti responsabili, non solo i minori, ma anche gli anziani, le persone sole, i disabili e gli ammalati che ne fanno parte.

Una famiglia con le caratteristiche che abbiamo descritto è capace, inoltre, di procurarsi i necessari beni materiali indispensabili alla sua vita personale e sociale, senza trascurare le funzioni affettive e relazionali. Inoltre, poiché almeno un terzo dell’identità e dei ruoli sessuali sono affidati all’ambiente affettivo relazionale nel quale il bambino vive, la famiglia sana e funzionale è in grado di sviluppare nelle nuove generazioni delle corrette identità e ruoli sessuali: identità e ruoli sessuali che sono indispensabili per instaurare con l’altro sesso dei sani e sereni rapporti amorosi.

In definitiva, se un maschio acquisterà piena e completa identità e ruolo sessuale, così da poter offrire alla donna amata e poi ai figli, gli importanti e ricchi doni della mascolinità come la forza e il coraggio, la determinazione e la comprensione, la coerenza e la linearità, sarà soprattutto merito della famiglia nella quale questi è vissuto è si è formato come uomo. Allo stesso modo, se una donna acquisterà piena e completa identità e ruolo sessuale, così da poter offrire all’uomo amato, ai figli e alla società le sue doti di femminilità come la dolcezza e la capacità di ascolto, la comprensione e la tenerezza, le capacità di cura e l’accoglienza, sarà soprattutto merito della famiglia nella quale è vissuta e si è formata come donna.

 In definitiva una famiglia sana e funzionale riesce a dare ad ogni suo membro ciò di cui ha bisogno e ciò di cui necessita, sia in campo materiale, sia in campo educativo e affettivo. Pertanto se le future generazioni saranno forti, ricche di beni materiali, culturali, spirituali e materiali, sarà soprattutto merito di questo tipo di famiglie.

La famiglie malate o disfunzionali

Al contrario, le famiglie malate o disfunzionali non sono capaci di svolgere una o più delle essenziali funzioni appena descritte.

 Poiché nei genitori ma anche negli altri familiari sono presenti ruoli confusi, contraddittori e spesso conflittuali e vi è scarsa attenzione e coinvolgimento nei bisogni degli altri, in questo tipo di famiglie sono frequenti le esplosioni di aggressività; le fughe dalle responsabilità e dagli impegni intrafamiliari; le difficoltà ad instaurare una comunicazione efficace e indifferenza o scarsa attenzione ai bisogni, soprattutto di tipo affettivo relazionale verso alcuni o nei confronti di tutti i suoi componenti.

Mancano in queste famiglie malate e disfunzionali la disponibilità all’accoglienza, il necessario calore emotivo, la possibilità di soddisfare i bisogni affettivi mediante un dialogo vero e profondo. Così come manca il piacere dello stare insieme e del gioco. Sono frequenti gli atteggiamenti e i comportamenti educativi errati, quali le punizioni e rimproveri eccessivi o troppo frequenti o al contrario sono attuati troppi comportamenti permissivi, che non danno la possibilità all’individuo d’introiettare i giusti valori e le sane regole del vivere sociale.  Queste famiglie presentano in definitiva importanti e costanti carenze affettive. Pertanto i vari soggetti presenti in esse non si sentono accettati, valorizzati, amati.

In queste famiglie i minori spesso sono costretti ad assistere e vivere delle relazioni poco serene, fatte di prolungati e frequenti conflitti tra i propri genitori oppure sono costretti a subire gli stress e i traumi dovuti a separazioni, divorzi o precoce inserimento fuori dalla famiglia, in asili nido pubblici o privati. Queste relazioni e situazioni familiari non felici apportano un grave disagio ai soggetti in età evolutiva, nei quali le paure della perdita affettiva, dell’abbandono, della non cura, della solitudine, si sviluppano e accentuano quando attorno ad essi non è presente la necessaria stabilità. Si sottovaluta ampiamente in questi casi la complessità dello sviluppo umano che richiede per molti, molti anni, degli armoniosi, precisi, intensi e continui punti di riferimenti affettivo - relazionali.

Nelle famiglie disfunzionali troviamo inoltre la presenza di persone che presentano disturbi psichici importanti, dai quali è difficile non essere influenzati. Queste persone non lasciano ai minori quel sufficiente spazio vitale che possa permettere al loro Io di esprimersi e affermarsi, a causa della loro ansia che si può manifestare nella vita d’ogni giorno con immotivate paure e per una molteplicità di eventi e situazioni. Ansia che si può diffondere su tutta la loro famiglia, sconvolgendo, come un vento impetuoso, l’animo delle persone coinvolte. I soggetti che soffrono di importanti disturbi psichici con facilità possono trasmettere nell’ambiente la loro malinconia, la loro tristezza, nonché l’apatia e l’astenia della quale possono soffrire. Questi sintomi depressivi possono diffondersi, come un fiume nero e vischioso, in ogni relazione affettiva da loro intrapresa. E ancora, come non soffrire a causa dell’aggressività, della disforia, dell’irritabilità o della grande variabilità d’umore, presente nei soggetti con turbe psichiche, quando queste rendono difficile, se non impossibile, il dialogo, l’ascolto e la relazione?

In definitiva quando un bambino vive accanto a dei familiari, soprattutto a dei genitori, che presentano disturbi ansiosi, depressivi, difficoltà di comunicazione e altre patologie importanti, con facilità la loro psiche potrà essere turbata da quest’ambiente non fisiologico al suo sviluppo. Per tali motivi è limitativa e parzialmente reale l’immagine che frequentemente viene diffusa dei genitori di un bambino o di un adulto aggressivo, e cioè quella di un genitore che malmena fisicamente o abusa sessualmente del figlio. Queste dolorose realtà, per fortuna, sono presenti solo in pochi casi. La sofferenza che frequentemente subiscono questi bambini è fatta di un male più sottile e meno visibile, del quale i genitori non sono coscienti e che è difficilmente rilevabile dall’esterno.

I segnali della disintegrazione e della scarsa funzionalità presenti nelle famiglie malate o disfunzionali coprono un ampio e variegato ventaglio di patologie psichiatriche e sociali. Frequenti sono nei suoi membri, soprattutto nei più piccoli, le paure, i disturbi del sonno e delle condotte alimentari, le lamentele per i disturbi fisici (cefalea, dolori addominali, vomito), le crisi di rabbia, le esplosioni emotive improvvise di aggressività verso gli adulti, i coetanei, gli oggetti e gli animali, o anche contro se stessi (autolesionismo). Sono inoltre evidenti nei minori le difficoltà nella comunicazione e nella socializzazione, i problemi nell’apprendimento, gli atteggiamenti oppositivi – provocatori, le fughe ma anche i comportamenti immaturi o le regressioni a delle fasi evolutive precedenti.

Anche nei giovani la presenza di una famiglia disfunzionale provoca numerose e gravi manifestazioni: chiusura in se stessi o nel branco; profitto scolastico scadente; condotte asociali o antisociali; fenomeni autodistruttivi e di sballo mediante l’abuso di alcool o droghe; una vita sessuale ed affettiva senza una reale progettualità e senza alcuna responsabilità sia verso gli altri che verso se stessi; disturbi del comportamento, delle condotte alimentari o dell’identità e del ruolo di genere. E ancora presenza di fughe, randagismo, sciatteria e aggressività, senza alcuna evidente motivazione; scarsa progettualità, anche solo di tipo lavorativo; diminuzione delle ore di sonno o perdita del sonno ristoratore; minore capacità d’attenzione e concentrazione; tentativi di suicidio; euforia alternata alla depressione; sensi di colpa o sentimenti d’indifferenza verso gli altri e verso i propri comportamenti; noia, apatia, astenia. Queste problematiche, trasferite nel contesto sociale, creano un danno economico e di funzionalità del sistema tanto più grave quanto più numerosi e importanti sono i problemi di questi giovani.

Le famiglie malate e disfunzionali, infine, non sono in grado di sviluppare adulti con identità sane e corretti ruoli sessuali, indispensabili per i rapporti d’amore da vivere con l’altro sesso ma anche nelle relazioni con i futuri figli. Per tale motivo gli uomini che si svilupperanno rischiano di essere deboli, insicuri, immaturi, fragili, scarsamente determinati o al contrario eccessivamente aggressivi e violenti, mentre le donne frequentemente saranno irritabili, ansiose, nervose, aspre, dure, incapaci di cura, tenerezza, accoglienza e ascolto.

Tutte le problematiche psichiche sono in netto aumento nell’attuale ambiente sociale, a causa delle notevoli carenze educative e a motivo del mancato rispetto della fisiologia del bambino durante la sua crescita.

 

Queste problematiche psicologiche sono soprattutto in aumento nelle coppie che intraprendono un cammino amoroso e sessuale poiché, quando si formano delle unioni affettive, manca qualsiasi filtro familiare o sociale che impedisca ai soggetti affetti da problematiche psichiche di legarsi con altre persone mediante il vincolo coniugale o semplicemente mediante una convivenza dalla quale possono nascere dei bambini, i quali, inevitabilmente, saranno influenzati dai disturbi psichici presenti in uno o in entrambi i genitori. Per tutti i motivi che abbiamo sopra elencato, quando era proposto un legame amoroso, il primo e più importante impegno della famiglia e della società era quello di scegliere per questo scopo dei giovani con scarse o assenti problematiche psicologiche, che avrebbero potuto rendere complesso non solo il rapporto tra i coniugi ma anche alterare e sconvolgere il dialogo e il rapporto educativo con i figli e la famiglia allargata.

In passato faceva da filtro la voce popolare che, conoscendo le caratteristiche di personalità dei giovani, sapeva suggerire e indicare quale ragazzo o ragazza aveva le qualità indispensabili per gestire una famiglia e un rapporto di coppia e chi invece non era in grado di fare ciò. Fungevano da filtro i genitori e i parenti dei due giovani i quali, essendo ritenuti responsabili della riuscita del legame e delle caratteristiche dei figli che proponevano in matrimonio, erano stimolati a selezionare chi era in grado di sposarsi e chi non era conveniente che facesse questo passo importante. Questi due filtri, quello sociale e quello familiare sono oggi totalmente assenti, in quanto sono i giovani che si cercano, si scelgono, decidono se avere o non avere rapporti sessuali, se avere o non avere figli, ma anche quale tipo d’unione stabilire tra loro: se di convivenza, di matrimonio o di semplice affettuosa amicizia. In definitiva, la piena e completa libertà sentimentale e sessuale presente nelle moderne società occidentali concede a tutti, anche alle persone più disturbate psicologicamente, di iniziare e portare avanti delle relazioni amorose e sessuali chiaramente patologiche, con conseguenze devastanti per i singoli elementi della coppia, per i figli, per le famiglie interessate e per la società nel suo complesso.

A volte si spera che la vita di coppia curi l’immaturità o i disturbi psicologici. Ciò è vero, ma solo in parte. Un buon rapporto amoroso può migliorare un lieve problema psicologico ma certamente non lo elimina, né lo risolve.

La supervalutazione delle nostre possibilità e capacità

Frequenti cause di stress e frustrazione vanno anche ricercate nella scarsa consapevolezza dei nostri limiti fisici e psicologici e nella contemporanea supervalutazione delle nostre possibilità e capacità.

Molti di noi, se non proprio tutti noi, desidereremmo avere qualità e capacità speciali ed eccezionali. Pertanto i video-giochi, i fumetti, i film e i telefilm, dov’è presente qualche super eroe, sono seguiti e amati non solo dai bambini ma anche dagli adulti, i quali rimangono estasiati nell’assistere alle incredibili performance di donne e uomini che compiono imprese strabilianti, identificandosi con essi,. Donne e uomini più simili agli dei, che non ai comuni mortali. Se poi dai mezzi di comunicazione di massa ci viene frequentemente suggerito che le nostre potenzialità sono molto superiori rispetto a quelle normalmente utilizzate nella vita di ogni giorno, il gioco è fatto: noi siamo certi di poter fare sempre di più e sempre meglio. E guai a chi cerca di ridimensionare i nostri sogni e le nostre aspirazioni suggerendoci ad esempio di fare “poche cose bene, piuttosto che tante cose male”!

Ciò vale per entrambi i sessi, ma da qualche decennio in questo bagno d’illusioni sono state immerse fino al collo le donne. Queste, secondo tante persone anche colte, come giornalisti, sacerdoti e studiosi della psiche umana, avrebbero tante e tali qualità da permettersi di affrontare una moltitudine d’incombenze quotidiane senza alcun problema. Il cosiddetto “genio femminile” e le strabilianti capacità “multitasking”, consentirebbero alle donne di affrontare con la stessa grinta, con lo stesso successo e senza particolari difficoltà, una molteplicità d’interessi, attività ed impegni.

Ogni donna potrebbe tranquillamente occuparsi dei propri figli, seguendoli attentamente nei vari momenti della vita. Potrebbe quindi allattarli con amore quando sono piccoli, educarli negli anni della loro crescita, seguirli negli apprendimenti scolastici, aiutarli nei momenti di difficoltà della loro esistenza. Ma ciò non basta. Le stesse donne, contemporaneamente, sarebbero però anche in grado di essere figlie attente ed affettuose verso gli anziani genitori, nonché consorti, compagne o fidanzate appassionate nei confronti dei loro uomini, così da offrire a questi non solo l’ascolto e le attenzioni necessarie ma anche l’amicizia e l’instancabile sostegno per affrontare le avversità della vita. Inoltre, sempre le stesse donne, se ben motivate, fuori dalle loro case e dalle loro famiglie, sarebbero in grado di dedicarsi in maniera efficiente, con intelligenza e capacità a qualunque tipo di lavoro da loro scelto, così da offrire alla società il proprio prezioso apporto.

Se, ad esempio sono chiamate a svolgere in una scuola la preziosa attività di docenti, saranno sicuramente pronte ad ascoltare, insegnare e seguire per molte ore ogni giorno con amore, pazienza e dedizione gli alunni a loro affidati. Se invece vorranno dedicare il loro impegno alla produzione di beni e servizi, presso qualche fabbrica o presso un ufficio pubblico o privato, non mancheranno certo di offrire alle ditte e alla società il prodotto delle loro mani e del loro ingegno. Se poi vorranno svolgere dei compiti ancora più ardui, stressanti e fisicamente impegnativi, compiti che un tempo erano eseguiti solo dal sesso forte, come pilotare un aereo o condurre, da militari, qualche importante, ardua e pericolosa missione all’estero, non si tireranno certamente indietro e utilizzeranno tutte le loro personali doti fisiche e psichiche per portare a buon fine ogni compito ad esse affidato. Insomma a ogni donna tutto dovrebbe essere possibile e tutto potrebbero far bene, se solo venissero a lei concessi, da parte della società, la necessaria disponibilità, fiducia e sostegno.

Lo stesso discorso potrebbe valere per gli uomini, se questi riuscissero a scrollarsi di dosso una certa innata pigrizia ma anche la nostalgia del bel tempo antico. Vizi questi che tendono a legarli e restringerli a vecchi e sorpassati ruoli. Anche loro, come le donne, potrebbero contemporaneamente essere in grado di allevare ed educare i bambini anche piccoli; cucinare e attivarsi in tutti i lavori di casa; essere entusiasti, divertenti e ottimi compagni per le loro donne, e certamente non mancherebbero di assistere amorevolmente i propri genitori, oltre ad offrire, naturalmente, il loro ingegno anche nel campo del lavoro, nell’agone politico, nel sindacato. Infine perché no? nel tempo libero potrebbero impegnarsi anche nel volontariato!

I benefici immaginati e sognati che, almeno in teoria, si potrebbero ricevere da una molteplicità d’impegni sono tanti:

  • Si potrebbero ottenere maggiori gratificazioni.
  • Si avrebbe la possibilità di produrre maggiore ricchezza, così da offrire alla società e alle nuove generazioni migliori possibilità culturali, sociali ed economiche.
  • Utilizzando le varie esperienze offerte dalle attività intraprese, ci si potrebbe arricchire sia materialmente che culturalmente.

Nonostante questi benefici sembrino a prima vista concreti e a portata di mano, tuttavia non sempre le cose procedono come desiderato, cercato e sperato. I motivi sono tanti.

  1. Innanzi tutto il tempo necessario per fare tutto quanto si vorrebbe e si è stimolati a fare, spesso non c’è e quando si riesce a ritagliarlo, si ha spesso la netta sensazione che si tratti appunto di “ritagli”, che ci si affanna a dedicare a se stessi, ai figli, ai vecchi genitori, al lavoro, alla politica, alle amicizie, agli amori ecc. E con i ritagli, lo sanno bene le sarte, è difficile confezionare un vestito che si rispetti, tranne che non si voglia cucire un ridicolo abito d’Arlecchino, buono soltanto a far ridere gli amici durante le feste di carnevale.
  2. Spesso, quando le nostre occupazioni e i nostri impegni sono numerosi ed eccessivi e rincorriamo il tempo che tuttavia avvertiamo sfuggirci di mano, ci rattristiamo e disperiamo, notando che le nostre azioni mancano dell’entusiasmo, dello spessore e della ricchezza necessari. Insomma, avvertiamo chiaramente di non riuscire ad andare oltre la superficie delle cose e delle relazioni.  Ciò è più evidente e pregnante quando siamo costretti a occuparci più di persone che non di oggetti. In questi casi siamo ben consapevoli di non avere il tempo necessario per tessere amori e relazioni profonde, attenzioni e legami solidi e proficui. In questi casi siamo costretti a constatare che la stanchezza e lo stress accumulati, giorno dopo giorno, ci impediscono di dialogare e ascoltare gli altri con la serenità e la disponibilità necessarie. Stress, stanchezza e fretta ci rendono inoltre difficile approfondire i problemi che di volta in volta dovremmo saper affrontare e risolvere. In definitiva ci accorgiamo con sgomento che queste relazioni sono carenti non solo nella quantità ma anche nella qualità.
  3. Quando siamo impegnati oltre le nostre possibilità psichiche e fisiche, ci accorgiamo ben presto con sgomento che le gratificazioni sperate vanno in fumo, mentre aumentano sia gli insuccessi che le frustrazioni. Anche perché, prima o poi, gli altri ci faranno notare o ci rinfacceranno in maniera brutale più le nostre carenze che i nostri successi. Ad esempio, ci rinfacceranno l’ansia con la quale ci relazioniamo, la fretta eccessiva e la superficialità con la quale cerchiamo di affrontare i vari impegni. Ce lo faranno notare i nostri figli: “Perché, mamma, corri sempre anche quando sei a casa e non parli e giochi mai con me?” “Perché papà è sempre in ufficio fino a tardi e non lo vedo se non la sera, per il bacio della buona notte?” “Perché quando la mattina dobbiamo alzarci dal letto gridate sempre e ci fate tanta premura?” Ce lo rinfacciano i nostri partner, il marito, la moglie, il nostro compagno, la nostra compagna, la fidanzata, il fidanzato: “Non ti vedo mai e quando sei con me, sei sempre di fretta e hai la testa tra le nuvole”. “Perché tieni sempre tra le mani questo tuo maledetto Smart fon? Non ti accorgi di accarezzare più lui che me?”. “ Perché pensi sempre al tuo lavoro, anche quando siamo insieme?”. Si lamentano anche i nostri anziani genitori che ci supplicano con le lagrime agli occhi di essere un po’ più presenti, così da poter alleviare la loro solitudine. Ce lo faranno notare in ufficio i nostri superiori quando ci scoprono disattenti, stanchi, ansiosi o con la mente che vaga lontana dal lavoro da svolgere e per cui siamo pagati, tanto che sono costretti a riprenderci: “Cos’ha, ragioniere? Perché mi guarda e non sembra ascoltare quanto le dico? Come mai ha commesso tanti imperdonabili errori per i quali meriterebbe il licenziamento?” Gli alunni descrivono in questi termini ai loro genitori i comportamenti della loro insegnante che ama fare mille cose: “Anche oggi, mamma, la maestra era nervosissima e sgridava tutti, non capisco perché? Anch’io ho pianto sentendola gridare come una pazza”. Se siamo medici, ce lo fanno notare i nostri pazienti. “Io le parlo dei miei malanni e lei, dottore, non mi visita affatto, anzi non mi guarda neppure e pensa solo a scrivere ricette!”
  4. D’altra parte, le speranze e i sogni di maggiori entrate economiche spesso vanno in fumo, poiché per i datori di lavoro, avendo a disposizione una marea di richieste, piuttosto che dare dei buoni stipendi a pochi, è fin troppo facile diminuire gli stipendi e offrire retribuzioni da fame a molti.

La realtà che non riusciamo ad affrontare è che la possibilità di moltiplicare le nostre energie tra casa, figli, lavoro, impegni sociali, attività ludiche, in modo tale che nessuno ne soffra, è più un’illusione che qualcosa di concreto e reale.

 La realtà che non vogliamo assolutamente prendere in considerazione e non accettiamo è che le nostre energie fisiche e psichiche sono limitate. Pertanto quando abusiamo di esse e cerchiamo di strafare negli impegni, è molto difficile se non impossibile fare tutto e bene, poiché la fatica e l’ansia che dobbiamo gestire ci limitano e bloccano in modo inesorabile.

Sono numerose le difese che spesso mettiamo in atto pur di non accettare che ci stiamo impegnando al di sopra delle nostre possibilità e dei nostri limiti.

La prima difesa, che oggi è molto utilizzata, anche se pochi sono disposti ad ammetterlo, è quella di fingere, prima davanti a noi stessi e poi di fronte agli altri, di poterci e saperci occupare di tutto, quando invece riusciamo a fare male anche le cose più semplici.

In questi casi simuliamo di impegnarci in mille occupazioni, mentre in realtà, consciamente o inconsciamente abbiamo fatto delle precise scelte. Scelte delle quali però ci vergogniamo e che non siamo disposti ad ammettere neanche sotto tortura. Pertanto utilizziamo buona parte delle nostre energie fisiche e psichiche per affrontare alcune attività, ad esempio il lavoro, mentre consciamente o inconsciamente abbiamo deciso di trascurare la famiglia o, al contrario, dedichiamo le nostre migliori energie alla famiglia, mentre trascuriamo il lavoro o gli altri impegni.

Spesso utilizziamo il sistema delle deleghe: siamo padri e madri ma i nostri figli sono curati, ascoltati, assistiti ed educati da altri: dalle baby sitter, dal personale dell’asilo nido, della scuola materna, dall’insegnante di doposcuola e così via. Siamo figli che dovrebbero occuparsi dei loro anziani genitori, ma affidiamo l’assistenza e la cura di questi alle badanti o a qualche casa di riposo. Dovremmo cucinare per la famiglia, ma non abbiamo tempo e compriamo i cibi surgelati, già preparati o addirittura già cotti. Siamo impiegati dello stato, ma cerchiamo in tutti i modi di non andare al lavoro utilizzando mille espedienti. Siamo impiegati in una qualche ditta privata, ma sappiamo come far impegnare al nostro posto qualche novellino trimestrale che darebbe l’anima per essere assunto, mentre noi ci distendiamo giocando e chattando al computer o con lo Smart - fon.

Un’altra difesa consiste nel colpevolizzare gli altri delle nostre mancanze e delle nostre responsabilità. In questi casi i più bersagliati sono le persone che ci stanno vicine: la moglie o il marito; la compagna o il compagno; i figli o i genitori, i colleghi di lavoro o i superiori. Tutti questi, biasimiamo ingiustamente per essere indolenti, pigri e poco avvezzi a mettersi in gioco nelle mille occupazioni quotidiane e li critichiamo accusandoli di essere poco disponibili nel sostenerci, aiutarci o sostituirci, quando serve e quando riteniamo sia necessario.

Pertanto se siamo sposati o conviventi, la frase più frequente è: “Io potrei fare tutto e bene se soltanto lui o lei collaborasse con me di più”. Se si è separati, questa difesa è ancora più facile: ”Non riesco a fare tutto e bene a causa del mio ex, che pensa solo a divertirsi con la sua nuova fiamma e non si occupa per nulla dei nostri figli”. In altri casi la responsabilità è accollata ai figli, che non collaborano con il necessario impegno e l’indispensabile sollecitudine; ovvero ai figli che non ubbidiscono, sono indolenti e ci costringono a rallentare ogni attività che vorremmo intraprendere. L’accusa può essere rivolta anche ai propri genitori, che non s’impegnano sufficientemente nella cura dei nipoti o che sono sempre troppo permissivi o incapaci di ben educare i piccoli a loro affidati o che si lamentano di tante malattie immaginarie pur di farci perdere tempo.

Se proprio non vogliamo accusare nessuno, utilizziamo uno strumento di difesa più sottile, che in questo periodo storico è molto in auge. Si può tranquillamente adoperare l’avallo della scienza, anzi della “pseudoscienza”. Questa negli ultimi decenni viene generosamente in soccorso alle singole persone o alle famiglie molto problematiche, con mille studi e ricerche poco credibili, se non proprio palesemente false. Se, ad esempio, qualcuno ci fa notare che i nostri figli sono trascurati, se non imparano a leggere e scrivere bene, se crescono con comportamenti da bulli, se le paure, le ansie, la depressione e l’angoscia li fanno stare male, se sono diagnosticati bambini con disturbo oppositivo – provocatorio, dislessici, autistici, depressi, con la sindrome ADHD o soggetti con disagio adolescenziale, la difesa più frequente è quella di spostare l’origine del problema ad altre cause che escludono noi, la nostra stanchezza, il nostro tempo limitato, le nostre mancanze o il nostro inadatto impegno. In tutti questi casi la pseudo – scienza ci aiuta a scovare, come cause dei problemi, qualche gene specifico che potrebbe aver causato il disturbo o le patologie dei nostri figli. La stessa pseudoscienza ci rassicura sul nostro mancato o inadatto impegno suggerendo che probabilmente vi sarà un’area cerebrale che per qualche microlesione non rilevabile agli esami clinici e strumentali, non fa il proprio dovere come dovrebbe. Oppure che la patologia è dovuta a qualche strano collegamento con l’indiscutibile inquinamento dell’aria e del mare. Per non parlare delle possibili influenze negative dei vaccini o di qualche alimento verso il quale i nostri figli sarebbero intolleranti.

Purtroppo però, nonostante tutte le difese psicologiche messe in atto, la verità tende a fare capolino nella nostra mente, creandoci malessere e frustrazione.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Ti odio!", Conflitto, aggressività e violenza tra i sessi.  Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

Gli impegni eccessivi e le supervalutazioni delle nostre possibilità e capacità

Gli impegni eccessivi

e le supervalutazioni delle nostre possibilità e capacità

 

Molti di noi, se non proprio tutti noi, desidereremmo avere qualità e capacità speciali ed eccezionali. È difficile accettare i nostri limiti fisici e psicologici. Pertanto i video-giochi, i fumetti, i film e i telefilm dov’è presente qualche super eroe sono seguitissimi non solo dai bambini ma anche dagli adulti che rimangono estasiati nel vedere le incredibili performance di queste donne e questi uomini più vicini e simili agli dei che non ai comuni mortali. Per lo stesso motivo il bisogno di avere qualità “super” non fa disdegnare a molti, soprattutto se giovani, di indossare qualche maglietta con immagini di Batman, Superman,Wonder Woman Spiderman, forse sperando che qualcosa del loro eroe preferito passi sul loro corpo. 

Se poi dai mezzi di comunicazione di massa ci viene suggerito quotidianamente che le nostre potenzialità sono molto ma molto maggiori di quelle che normalmente utilizziamo nella vita di ogni giorno, il gioco è fatto: noi siamo certi di poter fare sempre di più e sempre meglio e guai a chi cerca di ridimensionare i nostri sogni e le nostre aspirazioni suggerendoci di fare “poche cose e bene, piuttosto che tante cose e male”.

Ciò vale per entrambi i sessi ma da qualche decennio vale soprattutto per le donne, le quali per tanti giornalisti e commentatori della tv, avrebbero tante e tali qualità da permettere loro di affrontare una moltitudine d’incombenze quotidiane senza alcun problema. Il cosiddetto “genio femminile” a dire di questi consentirebbe loro di affrontare con la stessa grinta e naturalmente con loso e senza particolari difficoltà, una molteplicità di attività, impegni e interessi.  

A dire di questi giornalisti e commentatori ogni donna potrebbe tranquillamente occuparsi dei propri figli seguendoli attentamente nei vari momenti della loro vita: allattandoli con amore quando sono piccoli; educandoli negli anni della loro crescita; seguendoli negli apprendimenti scolastici; aiutandoli nei momenti di difficoltà della loro esistenza.

Le stesse donne, contemporaneamente, sarebbero anche in grado di essere figlie attente e affettuose verso gli anziani genitori, nonché consorti, compagne o fidanzate appassionate nei confronti dei loro uomini, così da offrire a questi ultimi non solo l’ascolto e le attenzioni necessarie ma anche l’amicizia e l’instancabile sostegno per affrontare insieme le avversità della vita. Inoltre, sempre le stesse donne, se ben motivate, fuori dalle loro case e dalle loro famiglie, sarebbero in grado di dedicarsi in maniera instancabile, con intelligenza e capacità a qualunque tipo di lavoro da loro scelto, così da offrire alla società il proprio prezioso apporto.

Se, ad esempio saranno chiamate a svolgere in una scuola il lavoro di docenti saranno sicuramente pronte ad ascoltare, insegnare e seguire per molte ore al giorno con amore, pazienza e dedizione gli alunni a loro affidati. Se invece il loro impegno lo vorranno dedicare alla produzione o a qualche ufficio pubblico o privato, non mancheranno certo di offrire alla società il prodotto delle loro mani e del proprio ingegno. Se poi vorranno svolgere dei compiti ancora più ardui, stressanti e fisicamente impegnativi, compiti che un tempo erano assegnati solo al sesso forte, come pilotare un aereo, o condurre da militari qualche importante, pericolosa missione, non si tireranno certamente indietro e utilizzeranno tutte le loro personali doti fisiche e psichiche per portare a buon fine ogni missione ad esse affidata. Insomma a ogni donna tutto sarebbe possibile e tutto potrebbe far bene, se solo da parte della società  venisse loro concesse disponibilità, fiducia e sostegno.

Lo stesso discorso potrebbe valere per gli uomini, se solo questi riuscissero a scrollarsi di dosso una certa innata pigrizia e la nostalgia del bel tempo antico che tenderebbe a legarli e restringerli ad antichi e sorpassati ruoli.

 

Anche loro, come le donne, potrebbero contemporaneamente essere in grado di allevare ed educare i bambini anche piccoli; cucinare e attivarsi in tutti i lavori di casa; essere entusiasti e ottimi compagni per le loro donne; non mancherebbero di assistere amorevolmente i propri genitori oltre ad offrire, naturalmente il loro ingegno anche nel campo del lavoro, nell’agone politico,  nel sindacato e perché no anche nel volontariato.  

Le aspettative

I benefici dovuti a una molteplicità d’impegni dovrebbero essere molti:

  • dalle tante e diverse occupazioni tutti noi potremmo attingere maggiori gratificazioni ;
  • si potrebbe produrre maggiore ricchezza così da offrire alla società e alle nuove generazioni migliori possibilità culturali, sociali ed economiche;
  • dai numerosi incontri offerti dalla varie attività intraprese, ci si potrebbe maggiormente arricchire umanamente e culturalmente

La realtà

Nonostante questi benefici sembrino, a prima vista, concreti e a portata di mano, tuttavia non sempre le cose procedono come desiderato, cercato e sperato. I motivi sono tantiInnanzi tutto il tempo necessario per fare tutto quanto si vorrebbe e si è stimolati a fare, spesso non c’è e quando si riesce a ritagliarlo, si ha spesso la netta sensazione che si tratti appunto di “ritagli”, che ci si affanna a dedicare a volte a se stessi, altre volte ai figli, ai vecchi genitori, al lavoro, alla politica, alle amicizie, agli amori ecc. E con i ritagli, lo sanno bene le sarte, è difficile confezionare un vestito che si rispetti, tranne che non si voglia fare un ridicolo abito di arlecchino, buono soltanto a far ridere durante le feste di carnevale.

Inoltre spesso, quando le nostre occupazione e i nostri impegni sono numerosi ed eccessivi, quando rincorriamo il tempo che tuttavia avvertiamo sfuggirci di mano, notiamo, e dentro di noi ci disperiamo, accorgendoci che le nostre azioni mancano di entusiasmo, spessore e ricchezza, così che non riusciamo ad andare oltre la superficie delle cose e elle relazioni. Questo è più evidente quando siamo costretti ad occuparci più di persone che non di oggetti.

In questi casi non è raro essere ben consapevoli di non avere il tempo necessario per tessere relazioni profonde, dialoghi veri, attenzioni proficue, giacché la stanchezza e lo stress accumulato giorno per giorno ci impediscono di ascoltare con la necessaria chiarezza e pazienza. Stress e stanchezza e fretta ci rendono inoltre difficile  approfondire e meditare sui problemi che di volta in volta dovremmo saper affrontare e risolvere.  

Ci accorgiamo ben presto che le gratificazioni sperate vanno frequentemente in fumo, giacché gli altri, prima o poi, ci faranno notare le nostre carenze: l’ansia, la fretta eccessiva  e la superficialità con la quale cerchiamo di affrontare i vari impegni. C’è lo fanno notare i nostri figli: “Perché mamma corri sempre anche quando sei a casa  e non parli e giochi mai con me?” “Perché papà è sempre in ufficio fino a tardi e non lo vedo se non la sera per il bacio della buona notte?” “Perché quando la mattina ci alziamo gridate sempre e ci fate tanta premura?” C’è lo fanno notare i nostri partner: il marito, la moglie, il nostro compagno, la nostra compagna, la fidanzata, il fidanzato: “Non ti vedo mai e quando sei con me sei sempre di fretta e hai la testa ad altre cose. Perché tieni sempre tra le mani questo tuo maledetto Smart fon? Non vedi che accarezzi più lui che me! Perché pensi sempre al tuo lavoro, anche quando siamo insieme?”.

Si lamentano anche i nostri anziani genitori che ci supplicano con le lacrime agli occhi di essere un po’ più presenti così da alleviare la loro solitudine. C’è lo fanno notare in ufficio i nostri superiori che ci scoprono spesso disattenti, stanchi, ansiosi o con la mente che vaga lontana dal lavoro che dovremmo svolgere e per cui siamo pagati. Tanto che sono costretti a riprenderci: “Cos’ha? Perché mi guarda e non ascolta quanto le dico? Come mai ha commesso tanti imperdonabili errori per i quali meriterebbe il licenziamento?” Se insegnanti gli alunni lo fanno notare ai loro genitori: “Oggi mamma, la maestra era nervosissima e sgridava tutti. Non capisco perché. Anch’io ho pianto tanto sentendola gridare come una pazza”. Se medici c’è lo fanno notare i nostri pazienti. “Io le parlo dei miei malanni e lei dottore non mi visita, non mi guarda neppure e pensa solo a scrivere ricette”.  

D’altra parte la speranza e il sogno di maggiori entrate economiche spesso va in fumo in quanto per i datori di lavoro, avendo a disposizione una marea di richieste di lavoro, è fin troppo facile diminuire gli stipendi e offrire retribuzioni da fame.

La realtà che non vogliamo prendere in considerazione e non accettiamo, è che le nostre energie fisiche e psichiche sono limitate. Pertanto quando abusiamo di esse e cerchiamo di strafare negli impegni, è molto difficile se non impossibile fare tutto e bene, in quanto lo stress, la fatica e l’ansia che dobbiamo gestire ci blocca e limita in modo inesorabile. Molto spesso fingiamo, prima di tutto davanti a noi stessi e poi di fronte agli altri, di saperci occupare di tutto, quando invece riusciamo a fare male anche le cose più semplici.

Le difese

Sono numerose le difese che spesso mettiamo in atto pur di non accettare che ci stiamo impegnando al di sopra delle nostre possibilità e dei nostri limiti.

La prima difesa, per altro molto utilizzata anche se pochi sono disposti ad ammetterlo, è quella di fingere di occuparsi di tante cose e persone, mentre in realtà, consciamente o inconsciamente abbiamo fatto delle precise scelte, delle quali però ci vergogniamo e che non siamo disposti ad ammettere. Per tale motivo utilizziamo buona parte delle nostre energie fisiche e psichiche per affrontare alcune situazioni, ad esempio il lavoro, mentre trascuriamo la famiglia o, al contrario, dedichiamo le nostre migliori energie alla famiglia mentre trascuriamo il lavoro o gli altri impegni.  In questi casi spesso utilizziamo il sistema delle deleghe.

Noi siamo padri e madri ma i nostri figli sono curati, ascoltati, assistiti ed educati da altri: dalle baby sitter, dal personale dell’asilo nido, della scuola materna e poi dall’insegnante di doposcuola ecc.  Noi siamo figli che dovrebbero occuparsi dei loro anziani genitori ma affidiamo alle badanti l’assistenza e le cure di questi. Dovremmo cucinare ma non abbiamo tempo e compriamo i cibi già cotti. Oppure al contrario siamo anche impiegati dello stato ma cerchiamo in tutti i modi di non andare al lavoro utilizzando mille espedienti.

Siamo impiegati in un qualche ditta privata ma sappiamo come far fare il lavoro a qualche novellino trimestrale che darebbe l’anima per essere riassunto mentre noi ci distendiamo giocando e chattando al computer o con lo Smart - fon.  

La seconda difesa consiste nel colpevolizzare gli altri delle nostre carenze e delle nostre responsabilità. In questi casi i più bersagliati sono le persone che ci stanno accanto: moglie o marito; compagna o compagno, figli o genitori, colleghi di lavoro o superiori. Tutti questi, accusiamo ingiustamente di essere indolenti, pigri e poco avvezzi a mettersi in gioco nelle mille occupazioni quotidiane, ma anche poco disponibili a sostenerci, aiutarci o sostituirci quando serve e quando riteniamo sia necessario.

Pertanto se siamo sposati o conviventi la frase più frequente è: “Io potrei fare tutto e bene se soltanto lui o lei mi collaborasse di più”. Se si è separati questa difesa è ancora più facile: ”Non riesco a fare tutto e bene a causa del mio ex o della mia ex che pensa solo a divertirsi con la sua nuova compagna e non si occupa affatto dei nostri figli”. In altri casi la responsabilità è accollata a questi ultimi: ai propri figli, che non collaborano con il necessario impegno e l’indispensabile sollecitudine, figli che non ubbidiscono, sono indolenti, ci costringono a rallentare ogni attività che vorremmo intraprendere. L’accusa può essere rivolta anche ai propri genitori, in quanto è risaputo che “i nonni sono sempre troppo permissivi ma anche incapaci di ben educare i nipoti che sono loro affidati”.

Se proprio non si vuole accusare nessuno, si può utilizzare una difesa più sottile, che attualmente è molto in auge.  Si può tranquillamente utilizzare l’avvallo della scienza, anzi della “pseudo scienza”. Questa negli ultimi decenni viene generosamente in soccorso alle singole persone o alle famiglie molto problematiche. Se, ad esempio qualcuno ci fa notare che i nostri figli sono trascurati; se non imparano a leggere e scrivere bene; se crescono come bulli; se le paure, le ansie, la depressione e l’angoscia li fanno stare male; se sono diagnosticati bambini con disturbo oppositivo – provocatorio, dislessici, autistici, depressi, con la sindrome ADHD o soggetti con disagio adolescenziale, la difesa più frequente è quella di spostare l’origine del problema ad altre cause che escludono noi, la nostra stanchezza, il nostro tempo molto limitato, le nostre carenze o il nostro inadatto impegno. In tutti questi casi la pseudo – scienza ci aiuta immancabilmente a trovare, come cause del problema, qualche gene specifico o mancante che causa il disturbo o le patologie dei nostri figli.

La stessa pseudo scienza ci rassicura sul nostro mancato o inadatto impegno dicendo che probabilmente vi sarà un’area cerebrale che per qualche motivo non rilevabile, non fa il proprio dovere come dovrebbe. Oppure che la patologia rilevata è dovuta a qualche strano collegamento con l’indiscutibile inquinamento dell’aria e del mare. Per non parlare delle possibili influenze delle vaccinazioni o di qualche alimento verso il quale i nostri figli sarebbero intolleranti che con molta probabilità causerebbe questi disturbi!  

L’inganno

Non è difficile trovare gli autori dell’inganno, cioè le persone che ci spingono a impegnarci sempre più in tante svariate occupazioni. Il maggior interesse a questo tipo di comportamento c’è l’hanno sicuramente chi spera di aumentare a dismisura gli introiti derivanti da un maggior consumo dei beni da loro prodotti. E ciò, sia a causa delle maggiori possibilità economiche degli utenti, sia per l’aumento dell’ansia e dall’inquietudine delle persone sottoposte a un maggior stress che li spingerà inevitabilmente a cercare maggiori gratificazioni materiali per compensare l’ansia derivata sia dalle conseguenze del super lavoro e dalle maggiori frustrazioni alle quali sono sottoposte le persone.

Quello a cui non pensano però questi operatori economici è che, a lunga andare, i conti non torneranno, giacché le persone che stanno male hanno bisogno, da parte dello stato, di maggiore assistenza e aiuto e pertanto sono necessarie una quantità di risorse sanitarie e assistenziali sempre crescenti che faranno inevitabilmente aumentare il prelievo fiscale a carico dei singoli ma anche a carico delle aziende. Insomma è il classico caso del cane che si morde la coda.   

Le illusioni e gli inganni

Le illusioni e gli inganni

 

Quando pensiamo alle illusioni, un’intensa luce si accende e brilla nei nostri occhi, qualcosa scuote il nostro animo e la mente. Questa parola è così impastata di suggestioni e ricordi che è impossibile evocarla senza piangere o ridere, senza che il cuore batta forte o senza arrossire di vergogna e rabbia.

Sono tante le immagini che sbocciano nella mente. Vi sono certamente le luminose magiche fantasie fatte da bambini quando, guardando in cielo i cumuli di bianche e colorate nuvole, vedevamo, nel candido vapore scolpito dal vento, illuminato e colorato dai raggi del sole morente, tutte le forme che la nostra fervida fantasia infantile riusciva a immaginare e a creare.  Con stupore da piccoli abbiamo visto veleggiare incantati castelli di fate, cavalli imbizzarriti, draghi, cavalieri e mostri alati i quali, come dal nulla si componevano e scompongono nell’aria, rincorrendosi, mentre si modificavano e sostituivano l’uno nell'altro all’infinito.   

Non sempre nell’età infantile ci accorgevamo dell’assurdità dei nostri pensieri: “Sono certo che correndo forte forte e aprendo le braccia al vento potrei volare”. Oppure: “Se riuscirò a portare le braccia in alto - in alto potrò alzarmi da terra e riuscirò sicuramente a salire dolcemente nell’aria fino a raggiungere la luna e le stelle, sospinto soltanto dal soffio del vento”.

A volte, la parola “illusione” fa ricordare invece i tanti pensieri e sogni fatti ad occhi aperti nell’età  adolescenziale: “Quando sarò grande faro…”  “Quando avrò finito gli studi, andrò…”.   “Quando sarò alto e forte come mio padre sono certo che il sorriso di una donna, anzi di un angelo con il volto di donna, illuminerà e riscalderà per sempre la mia vita”.  “Quando sarò alto e forte, con la potenza dei miei muscoli potrò difendere la mia città e il mio popolo, che non potrà non accogliermi come suo cavaliere, salvatore e protettore”.  “Quando sarò grande, sicuramente la fama delle mie capacità si diffonderà nel mondo intero”.

 

In altri momenti questa parola evoca la magia delle mani e delle menti dei professionisti dell’illusione: gli illusionisti, i quali, come se nulla fosse, riescono a stupire il loro pubblico facendo sbocciare dal nulla, solo con il tocco della loro bacchetta magica, delle splendide rose; mentre, subito dopo, sono pronti a far apparire  o scomparire magicamente non solo mazzi di fiore, candite tortorelle e timidi coniglietti, ma anche persone e oggetti molto più voluminosi e ingombranti, come grosse moto e auto rombanti. Gli stessi professionisti riescono anche a far uscire da uno scatolone, sorridenti e felici, vive e tutte intere, delle procaci e splendide fanciulle,  nonostante siano state poco prima ben -bene tagliate  ma anche infilzate con spade scintillanti e lame taglienti. Fanciulle queste che poi ritornano a volteggiare sul palcoscenico prima di aprire le braccia in un inchino, così da godersi il meritato applauso da parte di un pubblico che aveva trattenuto il fiato e chiuso gli occhi davanti a tanta apparente crudeltà.  

Le illusioni sono da sempre e in modo sistematico presenti nell’esistenza umana. Pertanto non è necessario recarsi in un teatro per assistere o essere partecipe a molte di esse. Tutti noi, fin da piccoli, siamo stati immersi e abbiamo fatto non una ma mille esperienze di questo genere. Quante volte da bambini, tristi o frustrati per i rimproveri dei nostri genitori, abbiamo guardato alla luna scoprendo in quei crateri e nelle montagne un viso e un volto materno pronto a comprenderci e consolarci.

Quante volte guardando un giornale o meglio ancora assistendo alle mille interruzioni pubblicitarie presenti in tutti i canali tv, ci siamo decisi a comprare quei meravigliosi apparecchi proposti dai bravi imbonitori. Apparecchi descritti sempre come rivoluzionari e offerti “quasi gratuitamente” capaci di fare proprio tutto. Se il problema era dipingere una stanza ecco a disposizione un marchingegno che senza fatica, senza sporcare e in pochi minuti faceva ridiventare come nuova e splendente una vecchia e scrostata parete. Se poi era necessario uno strumento che facesse di tutto in cucina, ecco pronto offerto alle massaie un robot capace di frullare, spezzettare, amalgamare, impastare, grattugiare e cuocere gli alimenti, così da preparare in un batter d’occhio biscotti, torte, panettoni, gelati, frullati, polpette, pizze e altre infinite ghiottonerie da noi tanto amate e desiderate. E tutto ciò senza alcuna fatica e in un tempo brevissimo, così da permetterci di utilizzare il tempo risparmiato a favore dei nostri cari o di noi stessi che, a detta del presentatore, ci meritiamo più svaghi, cure e attenzioni. Quando poi, dopo essere stati pagati profumatamente, finalmente, questi apparecchi prodigiosi arrivano nella nostra casa, scopriamo una realtà molto più modesta e scontata. Cosicché, dopo le prime entusiasmanti prove, li abbandoniamo da qualche parte, mentre recuperiamo, per dipingere il vecchio rullo sfilacciato e per la cucina guardiamo con tenerezza e rimettiamo al suo posto d’onore il vecchio frullatore che faceva le stesse operazioni ma era molto più pratico e veloce da montare, smontare e pulire. 

Lo stesso discorso vale per quelle pozioni miracolose che spalmate sulla testa dovrebbero far ricrescere i capelli da tempo scomparsi, mentre applicate sull’addome e sulle gambe, a detta dall’imbonitore della Tv, in men che non si dica dovevano  far sparire il grasso del girovita, rendendo nel contempo le nostre cosce  toniche e snelle come quelle che avevamo da giovani.

Nelle illusioni riesce ad ammaliarci anche il politico di turno che ci promette mari e monti pur di ottenere il nostro voto, per poi sparire occupandosi degli affari suoi, fino alla prossima tornata elettorale. Per non parlare di quello che ci accade quando ci innamoriamo e scorgiamo, in un volto incontrato per caso, l’amore della nostra vita, ricco di tutte quelle qualità da noi sempre desiderate e ricercate.

Non è facile accettare il fatto che siamo in ogni momento immersi nelle illusioni e che viviamo buona parte della nostra vita illudendoci di qualche cosa o di qualcuno. E così, quando gli astronauti mettono piede sulla luna e ci dicono che questa è fatta di crateri, pietre e sabbia grigiastra, ci rimaniamo molto male e avremmo voluto che questi viaggiatori dello spazio restassero a casa a innaffiare il prato davanti alla bianca villetta, con il patio di legno e le colonne di finto marmo, pur di non vederli distruggere i sogni e le illusioni che per anni il pallido astro aveva accompagnato le nostre notti.

Allo stesso modo si rimane delusi e amareggiati per essersi scoperti sciocchi creduloni quando ci viene svelato il trucco che sta dietro le mirabolanti performance dei prestigiatore o dei venditori.  Anche se l’esperienza ci mette in guardia tanto che  “Due cose stanno di rado sotto lo stesso cappello: esperienza ed illusione”, siamo tutti, a qualunque età, anche se ricchi di esperienza, un po’creduloni, anche se non siano affatto sciocchi. 

Siamo semplicemente persone umane che possiedono un cervello capace di fare moltissime cose intelligenti ma che è anche conformato con delle caratteristiche tali da cadere facilmente preda delle illusioni.  Questo ci può pertanto consolare, giacché il problema non è solo di qualche persona particolarmente ingenua ma riguarda tutti noi che viviamo e condividiamo la stessa natura umana.

Ma accanto alle immagini di bravura e fantasia questa parola: illusione, può far nascere nel nostro animo altri ricordi neri come la pece, amari come il veleno, graffianti come le spine dei rovi. Come potremo impedire al nostro cuore di bruciare ancora della delusione e della rabbia, provate quando ci siamo lasciati trascinare dalla tentazione di vincere in un gioco solo apparentemente facile, scoprendo che la carta da noi ritenuta sicuramente vincente, mossa dalle svelte mani dell’uomo che spiega e rispiega il gioco delle tre carte, proprio sicura non era.  Allo stesso modo delusione e rabbia squassano il nostro animo scoprendo che quell’angelica fanciulla, della quale ci eravamo innamorati, mirava più al nostro portafoglio che al nostro cuore.   

Sono numerosissime le persone e le organizzazioni che, ben conoscendo le fragilità dell’animo umano, con un gioco delicato ma crudele, utilizzando mille sotterfugi ed espedienti, riescono a far nascere, coltivare e moltiplicare all’infinito le nostre illusioni, senza che noi ne abbiamo alcun sospetto, mentre loro ci guadagnano in denaro, potere e gloria. La storia di ogni epoca è piena di questi uomini capaci di illudere e raggirare. In questi casi, quando capiamo l’inganno, ci arrabbiamo non solo contro chi ha messo in opera il raggiro, ma anche e soprattutto verso noi stessi, colpevoli di essersi fatti abbindolare come degli allocchi. 

Il termine illusione che viene al latino illusio, (deridere, farsi beffe), indica ogni errore dei sensi e della mente che falsa la realtà. Illudersi significa vedere, avvertire, guardare, immaginare, ciò che sembra ma non è. Quando siamo preda di questa, la realtà è sì ben presente, tuttavia il soggetto per vari motivi la confonde e altera tanto da percepirla, sentirla e viverla in modo molto diverso.

Dal punto di vista percettivo l’illusione è una distorsione delle percezione sensoriale e tutti i sensi possono essere coinvolti. Possiamo essere pertanto preda delle illusioni visive, uditive, olfattive, gustative, cenestesiche ecc.

Nelle illusioni visive è il nostro occhio, o meglio le nostre aree deputate all’esame e all’interpretazione degli stimoli che arrivano nella corteccia che si ingannano e interpretano male la realtà, prendendo degli abbagli. Ad esempio di fronte a figure particolari si verifica una distorsione visiva e percettiva per cui vediamo oggetti che non esistono, figure distorte, (metamorfopsia),  figure che se guardate a lungo sembrano muoversi, deformarsi o riescono ad alterare altre immagini guardate subito dopo.

Nelle illusioni mentali sono i nostri bisogni interiori, i nostri desideri le nostre aspirazioni  che alterano la realtà e condizionano pensieri e azioni. Tra queste vi sono le illusioni del passato. Per cui immaginiamo amicizie, amori e avvenimenti del passato, in realtà inesistenti, almeno così come noi li ricordiamo.

Le illusioni possono riguardare non solo gli avvenimenti del passato, gli oggetti e i sentimenti ma anche la politica, l’economia, la finanza, il fisco.

I motivi che possono portare a un’alterazione della realtà possono essere di vario tipo:

1)      Intanto la disattenzione. Le illusioni possono essere causate da un modo poco attento e scrupoloso con il quale esaminiamo e valutiamo la realtà che ci circonda. Quante volte ci rimproveriamo per non aver guardato bene le clausole scritte in caratteri microscopici nei “contratti” che a casa, in banca o per strada ci hanno fatto firmare. Quante volte incontrando un uomo o una ragazza affascinante e gentile, pensiamo che siano molto ben disposti a riempire d’amore il nostro cuore,  mentre in realtà sono intenzionati a svuotare il nostro portafoglio!   

2)      L’errato completamento “Pareidolia”. In questi casi il soggetto, di fronte a una realtà poco definita, incompleta e poco chiara, nota alcuni elementi e poi, partendo da questi e utilizzando la sua immaginazione o la sua fantasia vede o  li completa in modo improprio o chiaramente errato. Ciò avviene quando, ad esempio, ascoltiamo qualcuno che parla e, da qualche sua parola o gesto, pensiamo di aver capito tutto il suo discorso. In questo caso la nostra tendenza a completare quanto ascoltato ci porta facilmente a degli errori grossolani. Allo stesso modo per quanto riguarda la vista. Da qualche elemento ad esempio, dalla forma della roccia o delle nuvole oppure nelle macchie sul muro,  scopriamo immagini e volti di animali o di essere umani ma anche elementi religiosi o divini come la figura di Gesù, della Madonna o di qualche Santo.

3)      La presenza di elementi affettivi ed emotivi. In questi casi i nostri sogni, i nostri bisogni e desideri alterano la visione della realtà sia presente che del passato. Ad esempio il desiderio di qualcosa che elimini  o diminuisca la nostra fatica ci fa comprare l’apparecchio miracoloso “tuttofare”; la spinta di una o di una molteplicità di emozioni : come l’innamoramento, la paura, la gelosia, il desiderio sessuale, riesce a procurare un’alterazione, a volte anche notevole, delle realtà sentimentali che viviamo.  Le nostre paure di bambino ci faranno scorgere dei mostri nelle ombre della stanza da letto o durante la notte nei boschi. La nostra intensa gelosia ci fa scoprire, in segni assolutamente innocenti, le prove del tradimento del partner. Ci innamoriamo di donne o uomini assolutamente indegni, immaginandoli invece perfettamente rispondenti ai nostri bisogni e desideri. E mille altri errori ancora.

4)      L’inganno. Altre volte le suggestioni nascono all’esterno. Sono gli altri  che per raggiungere i loro obiettivi ci suggeriscono idee, pensieri e fanno emergere desideri ed emozioni che alterano la realtà ma che noi accettiamo e accogliamo. Si tratta di veri e propri inganni attuati da persone, partiti, gruppi  sociali e organizzazioni che, illudendoci, riescono spesso a  raggiungere dei loro particolari, precisi obiettivi. L’esempio che abbiamo fatto del gioco delle tre carte con il quale si illude il malcapitato di turno che si può vincere facilmente, mentre non è affatto così, anzi perdere è quasi un obbligo, è solo uno dei tanti inganni perpetrati nei nostri confronti da persone senza o con pochi scrupoli.

Clima culturale e sociale

CLIMA CULTURALE E SOCIALE E CONFLITTUALITA'

 La reversibilità delle scelte.

Nelle società occidentali è valutata positivamente, e quindi come valore sociale, la reversibilità delle scelte, cioè la libertà di tornare sui propri passi quando una decisione si mostra troppo vincolante per un soggetto che si vuole e si pensa come assolutamente libero nelle sue relazioni sociali. Da ciò si deduce che ogni comportamento, per essere desiderato, deve essere revocabile e pertanto si deve poter tornare alla situazione di partenza.1

Inoltre, lo stesso ambiente sociale è assolutamente incurante delle conseguenze: perché i due giovani debbono legare due famiglie con obblighi morali, a motivo del proprio rapporto amoroso, mediante il fidanzamento? Molto meglio restare liberi nelle proprie scelte presentando ai familiari e alla società la persona con la quale si è intrapreso un cammino affettivo e spesso anche di completa sessualità, come “il mio ragazzo o la mia ragazza” o come “la persona con cui sto”. Perché sposarsi quando vi sono altre scelte più facilmente reversibili come le affettuose amicizie o al massimo la convivenza? Perché procreare e quindi rimanere legati per decenni agli obblighi educativi, di cura e d’assistenza? Molto meglio non avere figli e vivere spensieratamente la propria vita sessuale o amorosa.

 L’esempio genitoriale ed il clima familiare.

L’esempio dei genitori ed il clima familiare che si respira all’interno d’una casa, sono importanti nella riuscita o meno d’una futura relazione sentimentale. L’importanza aumenta se si instaura un rapporto matrimoniale. E ciò per vari motivi.

Un clima familiare teso o disturbato da frequenti e pesanti conflitti non è l’ambiente più idoneo per la crescita sana d’un bambino. La tensione e l’aggressività espresse in modo più o meno eclatante dai genitori comportano frequenti e spesso gravi sintomi psicologici di varia gravità che, inevitabilmente, si ripercuoteranno sulle future relazioni affettive dei figli rendendole più fragili, più dipendenti, più disturbate.

D’altra parte gli esempi negativi sono anche dei modelli ai quali il bambino prima e il giovane e l’adulto poi, si confanno istintivamente: “Se i miei genitori erano soliti litigare e aggredirsi è naturale ed è normale che tra coniugi i rapporti siano improntati a litigi ed aggressioni reciproche”.

Il terzo motivo riguarda l’aiuto ed il supporto da parte dei genitori nella vita matrimoniale. Questo aiuto e questo supporto sarà difficile che vengano offerti da parte di genitori che hanno condotto la loro vita in modo conflittuale. E’ molto più facile che i suggerimenti ed i consigli dati alla giovane coppia siano più di tipo distruttivo che non costruttivo.

 La differenziazione tra sfera pubblica e privata.

La nostra società tende a differenziare le sfere d’azione private come l’amore, l’amicizia, la famiglia, la scelta d’uno stile di vita, da quelle pubbliche, come il lavoro, lo studio, la partecipazione politica, l’appartenenza alla Chiesa, creando norme e valori assolutamente distinti che trovano difficoltà ad integrarsi tra loro.2

Questa differenziazione dovrebbe servire a proteggere la libertà dell’individuo dalle ingerenze esterne. In realtà, una comunità che non dà alcuna indicazione etica nella sfera delle azioni private ma si limita a gestirne solo le conseguenze, è una comunità povera e monca. Per Donati “La tendenza (da parte della società) a far prevalere un diritto liberatorio anziché sanzionatorio ha, ovviamente, come effetto un’ulteriore privatizzazione della coppia che è riconosciuta e anche incentivata nel seguire le sue proprie aspirazioni e desideri”.3

La privatizzazione delle scelte.

Privatizzazione delle scelte significa che per la società tutte le scelte individuali, di coppia e familiari sono allo stesso livello. L’unico limite è dato dall’osservanza o non delle leggi e dei regolamenti. Come dire: “Comportati come vuoi, fai le scelte che vuoi, basta che non commetta dei reati e delle infrazioni alle leggi”. La nostra società, nelle sue varie istituzioni, è diretta da un codice culturale che si rifiuta di prendere una posizione morale (questo è socialmente un bene, questo è socialmente un male), rispetto alle decisioni che riguardano la vita privata dell’individuo. Come dire “Nel pubblico prendi le decisioni seguendo le leggi imposte dalla maggioranza; nel privato comportati come vuoi”.4

Sono azioni socialmente indifferenti: avere o non rapporti prematrimoniali o mercenari; optare per il matrimonio o per la convivenza; per l’affettuosa amicizia o per il sesso libero; per la separazione o il divorzio. Queste azioni, essendo comportamenti considerati come scelte private, di individui adulti e consenzienti, si è pienamente legittimati a compierle. La nostra è una società che giudica, quindi, irrilevante ed indifferente il prendersi la responsabilità di coppia, il decidersi per il matrimonio, il costruire una famiglia pubblicamente legittimata. Che ci si sposi o non è un fatto di gusti e valori personali.5

Così come non esistono dilemmi morali per tutto ciò che riguarda la sfera privata dell’individuo, la stessa società è sempre più invasiva rispetto alle conseguenze delle stesse decisioni.

Pertanto se due ragazzi, anche giovanissimi, hanno tra loro rapporti sessuali, per lo Stato non ha alcuna importanza: “fatti loro”, ma se vogliono sposarsi o se la ragazza rimane incinta e vuole abortire, allora deve sottostare alle leggi dello Stato e dei servizi offerti dallo Stato.

E’ difficile però immaginare un consesso di cittadini che sia indifferente al danno personale che questo tipo di comportamento può avere sul futuro di questi giovani, ma soprattutto è difficile accettare che uno Stato resti indifferente alla morte d’un futuro cittadino.

Se una giovane o un giovane si lega ad un uomo o una donna sposata non ha alcuna rilevanza sociale ma se questo comportamento porta allo sfascio d’una famiglia con le consequenziali richieste di separazione o di divorzio, allora lo Stato interviene per regolamentare sia l’una che l’altra richiesta. Ma siamo certi che sia indifferente per una comunità il danno procurato alla società dalla rottura d’una famiglia?

Da un lato generare figli non è un valore socialmente condiviso, dall’altro il problema della mancanza delle nascite diventa un argomento di discussione pubblica per le gravi conseguenze sociali che questo comportamento arreca.6

Ancora una volta alcuni Stati moderni per un’errata idea di libertà hanno scelto di avere un comportamento miope e schizofrenico nei confronti del benessere degli individui, delle coppie come delle famiglie.

La quantità e la qualità del lavoro.

Tra i tanti fattori che impediscono oggi di vivere bene l’intimità ed il dialogo tra un uomo e una donna, vi è la quantità e la qualità del lavoro. In quanto il lavoro può creare un notevole coinvolgimento emotivo.7

Per Albisetti, infatti, il carrierismo, la competizione, l’ambizione personale, il desiderio di possesso e di prestigio, non hanno fatto avanzare d’un millimetro la comprensione tra le persone men che meno aiutano i rapporti d’amore,8 sia a causa dello stress dovuto alle enormi quantità d’energie utilizzate per raggiungere un posto elevato, sia per i litigi con il coniuge, privato di quel dialogo e di quelle attenzioni dei quali avrebbe diritto.

S’instaura un circolo vizioso che allontana sempre di più l’individuo da se stesso, dagli altri, dalla società.9 In particolare, nel dialogo di coppia, che dovrebbe essere un incontro, fonte di piacere, gioia, calore, le persone eccessivamente dedite al lavoro tenderanno a portare, in uno scontro distruttivo ed alienante, la stanchezza, le frustrazioni, lo svilimento, i pensieri e le ansie accumulate nella giornata.

Anche se uomini e donne hanno sempre lavorato, è il tipo di lavoro e la sua qualità che rendono difficile il dialogo e la comunione profonda. Come avere la giusta serenità per dialogare quando il lavoro non è da te gestito ma è esso che ti gestisce?

Come avere il tempo per dialogare quando il pensiero è rivolto frequentemente al tuo datore di lavoro che ha minacciato di licenziarti se non rendi abbastanza e pertanto sei costretto a portarti a casa il lavoro per terminarlo entro i termini tassativamente stabiliti?

Come dialogare serenamente con l’amore della tua vita, quando il tuo capo ti fa capire in modo chiaro e deciso che non potrai far carriera se non accetti i suoi inviti a cena, o non dimostri di essere felice quando ti propone di andare con lui in trasferta per presenziare ad un convegno che si svolge dall’altra parte della nazione?

Come dialogare serenamente quando il pensiero è rivolto ai colleghi che ti circondano di sorrisi e frasi apparentemente affettuose, mentre sottobanco sono occupati a trovare il modo per svilirti agli occhi del capo o fanno di tutto per farsi raccomandare da persone potenti per scavalcarti o prendere il posto faticosamente da te conquistato?

Come vivere bene il rapporto di coppia quando sei costretto a lottare contro la concorrenza, inseguito dagli appuntamenti, dalle riunioni che si prolungano nella notte e dalle improvvise trasferte in Italia e all’estero?

E’ difficile essere marito o moglie sorridente, madre e padre sempre disponibile e allo stesso tempo competere in carriera. Sempre alla ricerca di posizioni sociali le più gratificanti possibili e di stipendi sempre più alti.

E’ fondamentale, quindi, per la persona, ma anche per la comunità civile, una qualità di lavoro notevolmente diversa da quella attualmente presente nella nostra società. Abbiamo bisogno d’una qualità di lavoro molto più attenta ai bisogni personali e al benessere della coppia e della famiglia.

Nella scelta e nella conduzione del lavoro dovremmo assolutamente evitare di lasciare per la comunione, l’incontro e lo scambio con la persona che amiamo, i rimasugli del nostro tempo e delle nostre energie. Dovremmo, invece, ritagliare nella nostra vita d’ogni giorno o nella nostra settimana, delle ore e dei giorni da dedicare, con serenità, disponibilità ed il massimo delle nostre capacità, al dialogo e allo scambio affettivo, amoroso e sessuale.



1 PRANDINI, R., (1998), “La cultura dell’amore giovanile”, in La famiglia,187, gennaio – febbraio, p.7.

 

2 PRANDINI R., La cultura dell’amore giovanile, in La famiglia, 187, 1998, p.7.

3 DONATI P., (1995), La dinamica di coppia oggi: un approccio relazionale, in La famiglia, 170, marzo-aprile, p.13.

 

4 DONATI P., (1995), La dinamica di coppia oggi: un approccio relazionale, in La famiglia, 170, marzo-aprile, p.13.

5 PRANDINI R., La cultura dell’amore giovanile, in La famiglia, 187, 1998, p.13.

 

6 PRANDINI R., La cultura dell’amore giovanile, in La famiglia, 187, 1998, p.14.

 

7 TRIBULATO E., (2005), L’educazione negata, EDAS, Messina, p.72.

8 ALBISETTI, V., (1994), Terapia dell’amore coniugale, Paoline, Milano, p181.

 

9TRIBULATO E., (2005), L’educazione negata, EDAS, Messina, p.73.

Tratto da "Uomini e donne al bivio - Quali strade per l'amore?" di E. Tribulato

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Il mondo degli affetti e quello dell'economia e della finanza

 

Il mondo degli affetti e quello dell'economia e della finanza

 

 I MONDI IN CUI VIVIAMO

 

Quando la mattina restiamo come ipnotizzati ed incantati dalla dolce musichetta della sveglia elettronica, senza saperlo, senza farci caso, dentro di noi e accanto a noi viaggiano e si muovono due mondi. Due realtà nelle quali la nostra vita, il nostro corpo, il nostro cuore e la nostra mente, sono totalmente immersi. Il primo è il mondo degli affetti, dei sentimenti e delle relazioni: il secondo è il mondo dell’economia, dei commerci, dei servizi. Mentre sbadigliando cerchiamo di aprire il cuore e la mente ai piaceri, agli affanni e ai doveri della vita, che lo vogliamo o non, che ne abbiamo o non consapevolezza, queste due realtà ci accompagneranno, non solo per tutta la giornata, ma per tutta la vita.

Se siamo fortunati ad avere accanto una o più persone con le quali abbiamo instaurato una buona relazione ed un solido legame affettivo, persone insomma a cui voler bene e che ci vogliono bene, come possono essere i nostri genitori o un altro familiare: un nonno, una zia, un fratello, una sorella, una moglie o un marito, il nostro risveglio coinciderà con un bacio, una carezza o un semplice saluto da parte di questi.

Ma, accanto a queste manifestazioni legate al mondo affettivo, vi saranno sicuramente e si imporranno altre realtà forse meno tenere, dolci e affettuose ma sicuramente altrettanto pressanti e coinvolgenti.

Già quando sorseggiamo il primo caffè della giornata faranno capolino i pensieri e le realtà del lavoro al di fuori della famiglia, le normali faccende domestiche da affrontare, i servizi da utilizzare, le bollette e tasse da pagare. E così, durante tutta la giornata, queste due realtà ci faranno compagnia, a volte l’una, a volte l’altra, a volte insieme. In alcuni casi saranno realtà gioiose, in altri saranno realtà tristi o angoscianti.

Non sempre saremo in grado di distinguerle. Non sempre saremo in grado di sceglierle.

In molte situazioni vedremo i due mondi come fusi insieme, tanto da essere difficilmente separabili. Ad esempio, quando arriviamo in ufficio, il saluto ai colleghi può essere freddo e distaccato, perché solo di colleghi d’ufficio si tratta, oppure caldo e affettuoso, in quanto con questi si è anche stabilita un’amicizia sincera che va oltre i rapporti di lavoro. Un’amicizia che può prendere corpo nei fine settimana e nel tempo libero mediante il dialogo, le confidenze, le gite fatte insieme, i problemi condivisi.

Queste due realtà che accompagnano la nostra esistenza, a volte le distinguiamo chiaramente: come confondere un affettuoso incontro amoroso con il lavoro fatto al computer per far quadrare i conti della società in cui lavoriamo? Come confondere l’abbraccio e il bacio di nostra figlia sulla porta di casa al ritorno dal lavoro, con il saluto formale del commercialista che ci aspetta con la cartella delle tasse in mano?

Altre volte, invece, con difficoltà, riusciamo a capire se il nostro impegno, i nostri sacrifici, il nostro tempo, il nostro lavoro, è dedicato all’una o all’altra realtà. Quando facciamo un radioso sorriso al capo, di cui tutti parlano male, siamo certi dello scopo del nostro gesto? Quel sorriso serve a rendere il capoufficio più benevolo nei nostri confronti, affinché ci aiuti nella promozione tanto sperata, oppure il nostro caldo saluto è solo un modo gentile per far sentire noi e lui a proprio agio, rassicurandolo nel contempo della nostra disponibilità ed amicizia?

Confusione che si crea anche quando un’occhialuta collega ci regala uno sguardo malizioso e delle confidenze intime, e restiamo perplessi ed in dubbio se queste manifestazioni hanno lo scopo di conquistare il nostro interesse e il nostro cuore o sono soltanto un mezzo mediante il quale, la gentile donzella mira ad approfittare di un passaggio per ritornare a casa con la nostra macchina.

Come le due corsie dell’autostrada, questi due mondi a volte corrono paralleli l’uno all’altro, altre volte si allontanano, per poi incrociarsi e sovrapporsi, tanto che sembrano scambiarsi e confondersi.

In realtà sono sempre distaccati e divisi perché fondamentalmente molto diversi. Capiamo però che l’uno, il mondo affettivo e delle relazioni, si rivolge soprattutto al nostro cuore, ai nostri sentimenti, alle emozioni e sogni, ci consola e scalda, ci fa piangere e ridere, ci commuove ed esalta, ci rende felici e tristi.

Avvertiamo invece che il mondo economico e dei servizi si rivolge soprattutto alla nostra ragione ed al nostro portafoglio: ci fa comprare le azioni piuttosto che i BOT, ci fa scegliere la lavatrice che è in offerta piuttosto che il forno a microonde; ci fa propendere per Giovanna, ricca ereditiera, piuttosto che per Francesca bella ma senza un soldo; ci fa trovare mille stratagemmi per pagare meno tasse o per non pagarle proprio; ci fa utilizzare gli ospedali più affidabili, i mezzi di trasporto più veloci ed efficienti, le strutture scolastiche più all’avanguardia.

Uomini e donne siamo entrambi immersi nell’uno e nell’altro. Entrambi lavoriamo, gioiamo e soffriamo per l’uno o per l’altro, anche se l’educazione, la preparazione e la gestione del mondo affettivo era affidata prevalentemente alla donna, mentre incontrastato re nell’educazione, preparazione e gestione del mondo economico e dei servizi era l’uomo. 

Se dovessimo dare un colore a questi due mondi non vi è dubbio che daremmo il colore rosso come il fuoco dell’amore al mondo degli affetti e giallo come il colore dell’oro al mondo dell’economia.

Se poi dovessimo dargli una sede nel nostro corpo metteremmo il mondo degli affetti vicino e dentro il nostro cuore, mentre il mondo dell’economia, dei servizi e della politica lo inseriremmo nella nostra corteccia.

Queste due realtà, come bravi fratelli, a volte sembrano collaborare ed andare a braccetto, altre volte invece, come avviene oggi, li osserviamo litigare e scontrarsi violentemente cercando l’uno di prevalere sull’altro, quando invece sarebbe necessaria un'intenso legame e collaborazione. 

 

La prima difficoltà che dobbiamo affrontare nel capire queste due realtà è, intanto, quella di stabilire che cosa fa parte del mondo affettivo e cosa fa parte del mondo economico.

Chi e che cosa possiamo includere nella realtà dell’anima, del cuore, delle emozioni, dei sentimenti, del dialogo intimo, delle gioie profonde e chi e che cosa, invece, fa parte del prosaico ma altrettanto appetitoso, eccitante, attraente e coinvolgente mondo economico.

La vita familiare, i figli, l’impegno educativo e di cura, il rapporto con la rete affettiva, la vita di coppia, la famiglia, i rapporti amicali, ma anche l’amore per un qualunque essere vivente, che sia un essere umano, un animale o un vegetale, istintivamente li poniamo nel mondo affettivo, mentre nel mondo economico inseriamo il lavoro, il denaro, i servizi sociali, i rapporti con i colleghi, la politica, l’economia, la difesa, i commerci.

In linea di massima, possiamo constatare che il mondo affettivo è fatto prevalentemente di rapporti e relazioni profonde con esseri viventi, soprattutto con esseri umani, mentre il mondo economico, al contrario, è ricco soprattutto di oggetti, di beni materiali e di numeri[1], mentre i rapporti con e tra le persone sono finalizzati alla produzione, al commercio e alla gestione di imprese e servizi.

Ma le cose non sono così semplici e schematiche come appaiono. L’infermiera che passa facendo frusciare il bianco vestito inamidato tra i letti di un ospedale e il burbero maestro che si sgola dalla cattedra, dove inserirli?

La risposta non è difficile, né per gli ammalati né per i giovani discenti. Questi riconoscono subito se i due operatori riescono a stabilire, oltre ad un buon rapporto professionale, anche un caldo contatto umano verso gli utenti, oppure no. La risposta è facile anche per gli operatori stessi i quali sanno, o dovrebbero sapere, cosa e quanto della propria ragione o del proprio animo e del proprio cuore stanno mettendo nel loro lavoro. In teoria, ma solo in teoria, nei servizi potrebbero convivere entrambe le due realtà. In pratica spesso prevale l’apporto tecnico e professionale, mentre è marginale quello affettivo – relazionale. E’ per questo motivo che abbiamo inserito i servizi nel mondo economico.

E la sessualità?

Anche in questo caso la risposta non è difficile per le persone che la vivono. Se quello che scambiamo con l’altro è solo piacere o se, addirittura, questo piacere lo stiamo barattando, lo stiamo vendendo o in qualche modo comprando, non c’è dubbio che siamo nel mondo economico. Se la sessualità è dialogo, ascolto, dono o manifestazione d’amore verso l’altro, siamo sicuramente nel mondo degli affetti e delle relazioni.

Per quanto riguarda gli oggetti anche loro possono rientrare nel mondo degli affetti, se riescono a comunicare qualcosa al nostro animo. Non regaliamo forse un anello, meglio se con un brillante sopra, quando vogliamo far capire alla persona amata che il nostro cuore è tutto per lei? Non ci leghiamo forse anche a delle realtà non viventi quando queste sono simbolo o messaggeri di ricordi che ci portano con la loro presenza emozioni e sensazioni che fanno vibrare la nostra anima? La casa della nostra infanzia, le cui stanze ci hanno visti bambini; il ricordo di parole, giochi, rimproveri e baci, non fa emergere forse intense emozioni nella nostra anima? L’auto in cui ci accompagnavamo con l’amore della nostra vita, non emana ancora il suo profumo? La bomboniera del battesimo di nostra figlia, non ci commuove ancora mentre la guardiamo?

E d’altra parte dove inserire il mondo dell’arte, che è sicuramente una merce, perché ogni opera ha un prezzo e un costo, mentre il suo contenuto spesso ha una grande valenza emotiva ed affettiva?

Per quanto riguarda invece la religione, è possibile inserire nell’uno o nell’altro mondo solo alcuni aspetti, i più esteriori di questa, mentre gli elementi più profondi e specifici che legano la nostra anima ad un essere trascendente costituiscono una realtà a parte della nostra esistenza.

Anche se, come abbiamo visto, non sempre è possibile fare una netta distinzione tra queste due realtà, giacché sia nel mondo affettivo sia nel mondo dell’economia e dei servizi si muovono persone e con le persone si muovono affetti, legami, desideri, passioni ma anche più prosaici interessi, pur tuttavia dobbiamo riuscire a capire dove finisce l’uno e comincia l’altro. Quando siamo impegnati e coinvolti per l’uno e quando stiamo lavorando per l’altro. Che cosa diamo all’uno e che cosa diamo all’altro. Quali apporti riceviamo dall’uno e quali apporti riceviamo dall’altro.

Perché è da questa consapevolezza che dipende la ricchezza o povertà del nostro Io e molti dei nostri comportamenti presenti e futuri.

Infatti, numerose nostre scelte personali, familiari, politiche, giuridiche e religiose, vengono ogni giorno indirizzate dalla consapevolezza e poi dal valore che diamo a queste due realtà.

E’ per questo che dobbiamo riuscire a capire come alimentare e far crescere l’uno e l’altro. I limiti che dobbiamo dare all’espansione dell’uno o dell’altro affinché l’una realtà non fagociti l’altra, l’una realtà non faccia soffrire l’altra, l’una realtà non sottometta l’altra.

Lo scopo finale non è quindi il capire se l’uno è più importante dell’altro, né il cercare di far prevalere l’uno sull’altro, ma la gestione corretta di questi due mondi, affinché nessuno dei due venga sacrificato, trascurato o limitato.

Questa comprensione e questa gestione non sono state mai facili.

Già gli eroi omerici: come il furbo Ulisse, il grande Ettore ed il Pelide Achille, si ponevano questo problema ogni volta che anteponevano l’una realtà all’altra o nel momento in cui restavano coinvolti o impegnavano le loro vite e le loro esistenze per l’una o per l’altra. Ulisse, sicuramente, si sarà chiesto se era più importante andare in guerra per difendere la patria e l’onore del popolo acheo o restare nella propria isola accanto alla fedele moglie e al figlioletto Telemaco. E nel ritorno a Itaca, quante volte la scelta ed il conflitto avranno turbato la sua anima: se era più importante lasciarsi trasportare dallo spirito d’avventura e scoprire nuove terre, nuovi mari e nuova gente o tornare al più presto nella propria casa, tra i propri cari. Ma anche Achille, mentre combatteva sotto le mura troiane, si sarà chiesto se era il suo dovere di soldato, l’amor di patria o il desiderio di vendetta per la morte dell’amico Patroclo, a dargli veemenza, decisione e forza. Ma anche lo stesso Ettore, non ha forse dovuto scegliere tra la difesa della patria e i doveri di marito e padre?

Nella moderna società occidentale il problema si è ingigantito tanto che la gestione di queste due fondamentali realtà della nostra vita personale e sociale, in molti campi ci sta sfuggendo di mano.

 A



[1] “Il lato commerciale di ogni società inizia e finisce con un’analisi intransigente dei propri numeri”

B. GATES, Business alla velocità del pensiero, Mondadori, Milano, 1999, p.203.

 

Tratto dal libro: "MONDO AFFETTIVO E MONDO ECONOMICO" DI Emidio Tribulato

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Politica e raccomandazione

POLITICA E RACCOMANDAZIONE

Emidio Tribulato - LA POLITICA E LA RACCOMANDAZIONE


LA POLITICA

Se la religione è stata sempre uno dei pilastri delle società umane più evolute, l'altro elemento fondamentale è stato sempre rappresentato dalla politica. La storia umana ci conferma che le società diventano tanto più evolute e civili quanto più questi due elementi tra loro collaborano, si armonizzano, si completano, si aiutano a vicenda. Il vivere sociale, al contrario, tende a degradare quando uno delle due prevale, ignora, sottomette o annulla l'altra; quando vi è, cioè, il prevalere della politica sulla religione o viceversa. Ciò sta avvenendo nelle società occidentali le quali hanno gradualmente emarginato le religioni, relegandole, nella vita civile, a delle funzioni puramente personali ed intime, disconoscendo e perdendo ad un tempo, in questo modo, buona parte dei preziosi apporti sociali di cui esse sono tributarie.

Se, infatti, la religione affonda le sue radici nell'elemento spirituale dell'uomo, la politica si lega all'elemento più pragmatico dell'umanità. Se la religione conferisce ai comportamenti e allo sviluppo umano un grande apporto nella continuità, la politica, che si base sull'attualità, permette di affrontare i problemi del particolare momento storico. Pertanto a questa non si può chiedere, come alla religione che sia immutabile, anzi si deve chiedere che si adatti continuamente alla situazione ambientale in cui l'essere umano deve vivere e confrontarsi. Se alla religione non si può chiedere di scendere a compromessi, la politica è per definizione l'arte del compromesso e della mediazione.

Se i comportamenti morali dei sacerdoti devono essere necessariamente esemplari, la stessa perfezione non si può chiedere ai comportamenti dei politici. Se ai religiosi si chiede una grande linearità e coerenza lo stesso non si può fare con i politici.

Pur tuttavia vi sono dei limiti che questi non possono e non devono travalicare pena il degrado della società civile.

Abbiamo detto che la politica deve necessariamente guardare e tenere conto della realtà attuale. Ciò non significa, però, che essa debba dimenticare la storia e la realtà del passato, in quanto è la storia dell'umanità che può impedirle di commettere errori irreparabili e gravidi di conseguenze.

Abbiamo anche ricordato che non si può chiedere ai politici la stessa dirittura morale che si chiede ai sacerdoti, pur tuttavia un buon politico dovrebbe avere dei solidi principi morali in quanto la sua immagine ed i suoi comportamenti hanno una grande influenza sugli atteggiamenti dei cittadini elettori.

Ciò è vero soprattutto per quanto riguarda l'onestà. Poiché i politici utilizzano denaro pubblico, hanno il preciso dovere di spenderlo in maniera corretta, senza mai trarne profitto personale, né mai utilizzarlo per favorire “amici “ personali o di partito. In caso contrario, ogni cittadino si sentirà derubato del poco o molto che avrà versato con le tasse e reagirà istintivamente cercando di evadere il fisco il più possibile. Dentro di sé è come se dicesse: " Se il politico ruba o sperpera, non vedo il motivo per il quale debba dargli i soldi che con tanta fatica, con tanto sacrificio io ho guadagnato. E' molto meglio che lo stesso denaro lo utilizzi io per la mia famiglia e per i miei figli, piuttosto che affidarlo a mani disoneste o spendaccione.”

Inoltre, poiché inoltre l'uomo politico è ritenuto da alcuni come modello cui attenersi, è facile che i suoi comportamenti, poco onesti, perdano nel tempo ogni connotazione negativa, fino al punto di essere visti come "normali", in pratica corretti, dalla maggior parte della gente.

Purtroppo l'onestà, nei politici attuali, è una caratteristica non usuale, se non proprio rara. Per cui, è come se dai palazzi del potere giungessero ai cittadini, giorno dopo giorno, una valanga di messaggi negativi, con conseguenze devastanti sui valori cui credere e sui comportamenti più corretti da tenere.

In particolare, un fatto inerente al comportamento e alla mentalità che tende a perdere le sue connotazioni negative, a causa della frequenza con cui viene attuato dai politici e non solo da questi, ma da chiunque detenga un minimo di potere, è la cosiddetta raccomandazione.

LA RACCOMANDAZIONE

Per raccomandazione s’intende un comportamento che tende a favorire una o più persone appunto "raccomandate", a scapito di altre che non hanno questo privilegio. L'ambito delle raccomandazioni è vastissimo. Specialmente nell'ambiente meridionale ci si fa raccomandare dal politico o “dall'amico potente" per una miriade di cose: per ottenere un posto di lavoro per sè o per i propri figli, per il disbrigo solerte di una pratica, per essere promossi o per ottenere buoni voti, a volte solo per evitare la fila in un ufficio. Nella raccomandazione, a differenza che nella corruzione, non vi è passaggio di denaro. Quest’elemento la rende moralmente più accetta, tanto che i politici, o altre persone che gestiscono un certo potere, spesso hanno già pronto un modulario su cui basta scrivere il nome del raccomandato ed il motivo della raccomandazione.

In genere si accetta la raccomandazione per ottenere in contraccambio qualche altro favore o per "rispetto" ad un collega, un parente, un amico, una persona potente, che un giorno potrebbe esserci utile; in altri casi, come nell’ambiente politico, è attuata come voto di scambio, “Io ti sistemo il figlio e tu mi darai i tuoi voti e quelli della tua famiglia.”

La raccomandazione è diversa dalla segnalazione, fatta ad un datore di lavoro, di una persona che ha delle qualità o dei bisogni reali per ricoprire un determinato posto o lavoro. In quest'ultimo caso il datore di lavoro ha il diritto di scegliere la persona più bisognosa per il compito da assegnare o comunque ha il diritto di scegliere la persona più preparata o che gli dia più affidamento per le sue qualità morali e civili. In questo caso però la persona segnalata non viene scelta per favorire un potente o per ottenere qualcosa in cambio ma per le sue caratteristiche intrinseche.

Nonostante la raccomandazione, come abbiamo detto, forse a causa della sua diffusione, sia moralmente ben accetta, è notevole il danno che essa reca alla comunità civile.

La persona che si fa raccomandare può vivere questa in vari modi: come esercizio di un potere superiore agli altri: "Io posso fare questo, voi no”, sentendosi titolare di diritti la cui legittimazione è molto opinabile. Ciò è pericoloso soprattutto se proiettato nel futuro, in quanto questa stessa persona è stimolata ad utilizzare gli stessi mezzi per fini più gravi. Altre volte la raccomandazione è vissuta con un senso di colpa che turba per molto tempo l'animo: "Io ho ottenuto qualcosa che non meritavo, a scapito di altri migliori di me e di questo mi vergogno.”

Anche la persona che accetta la raccomandazione la può vivere con modalità diverse; a volte è il senso del potere che predomina: " Solo le persone che valgano possono fare ciò che vogliono.” Altre volte è prevalente la mortificazione per essere stati "costretti" ad attivarsi per qualcosa che non si voleva e che la propria coscienza non accettava di fare e perciò l'aggressività verso la persona che lo ha "spinto" verso questo comportamento ingiusto ed illegale; ma anche aggressività verso sè stesso e la propria debolezza.

Per quanto riguarda invece, le persone che sono state scavalcate o escluse, i sentimenti predominanti assumono le connotazioni della rabbia, della collera, della delusione, dello sconcerto e sconforto.

Rabbia per l'ingiustizia subita. Collera verso le persone da cui hanno subito il torto. Delusione per il modo in cui la società "civile" affronta il problema della giustizia: per la quale, in teoria, siamo tutti uguali di fronte alle leggi ed ai regolamenti ma poi si scopre che c'è sempre qualcuno che è "più uguale" di noi, per meriti sconosciuti.

Lo sconforto è naturale e frequente, ma è il modo con cui l'individuo "scartato" esce da questo stato d'animo negativo che è preoccupante. Alcuni cercheranno e riproveranno ad affrontare lo stesso problema sperando nell'onestà del resto della popolazione. Altri rinunceranno definitivamente a cercare od ottenere quel lavoro o quanto dovuto. Altri ancora, imparata la lezione, cercheranno, dal giorno dopo, non di prepararsi meglio per affrontare gli esami o le prove di selezione, ma si attiveranno, a loro volta, alla ricerca di un padrino "potente" che possa permettere loro di ottenere quello che non erano riusciti ad ottenere in modo legale. Si viene così a diffondere un sistema perverso, fatto di tante piccole e grandi illegalità, che inquinano profondamente ogni ganglio della società.

Oltre al danno morale vi è un grave danno nella funzionalità dei servizi. Con gli anni negli uffici ed enti pubblici, ma anche in settori fondamentali come la sanità, vengono a selezionarsi non le persone più preparate, meritevoli, capaci e motivate, ma una valanga d’ignoranti pelandroni capaci soltanto di accettare mille compromessi con la propria coscienza pur di fare carriera e quindi il degrado nella funzionalità è inevitabile. Anche perché, la persona “potente”, continuando a proteggere il suo raccomandato farà di tutto affinchè questi lavori il meno possibile nel posto più comodo possibile. A questo degrado, per una provvidenziale legge del contrappasso, spesso non riescono a sottrarsi neanche le persone che lo hanno provocato le quali sono costrette, loro malgrado, a subire l’inefficienza di un personale non preparato e motivato.

 Tratto dal libro di E. Tribulato"L'educazione negata" Edizioni E.D.A.S.

Disagio e malessere sociale 2

DISAGIO E MALESSERE SOCIALE 2

 

Emidio Tribulato - LA SOCIETA’ DEL MALESSERE

 


AUMENTANO I COMPORTAMENTI GIOVANILI ABNORMI


In Inghilterra la soglia della non punibilità è stata abbassata a dieci anni.

 Negli Stati Uniti si vorrebbe applicare il codice penale anche ai minori.

In Italia si vuole abbassare l’età della punibilità, attualmente a 14 anni, ad almeno 12 anni.

“ L’associazione di insegnanti e lettori, il più importante sindacato scolastico inglese, ha dichiarato che i suoi uffici hanno ricevuto 125 proteste di professori picchiati letteralmente dagli alunni e dai genitori negli ultimi dodici mesi, quattro volte la cifra del 1998”. 

In molte scuole americane i ragazzi sono controllati uno ad uno con il metal detector per evitare che portino all’interno della classe pistole o altre armi.

Durante la stagione calcistica 2002- 2003, si sono avuti 858 incidenti:  scontri tra tifosi, scontri tra tifosi e forze dell’ordine e vandalismi ( il 28% in più rispetto all’anno precedente), con  612 feriti tra le forze dell’ordine, 238 feriti tra i tifosi. Gli incidenti hanno portato alla denuncia di 818 persone. 

Nelle scuole, come nei cortili delle case, sui muretti come nelle piazzette di periferia, gli atti di prevaricazione e di piccola violenza soprattutto psicologica ci sono sempre stati. Con tali comportamenti, sia i maschietti che le femminucce scaricavano parte dell’aggressività repressa, mettendo a confronto la propria forza, prestanza e capacità con quella degli altri. Ma il tutto si riduceva a qualche scherzo più o meno pesante soprattutto a carico dei compagni più sempliciotti, mentre restava integro un rispetto di base che, come una legge non scritta, impediva al gruppo di andare oltre e tendeva ad isolare i più facinorosi.

Ciò che, invece, sta succedendo nelle nostre scuole, ma anche nei numerosi quartieri e non solo in quelli socialmente più degradati, è qualcosa di diverso e di molto più grave: gruppi di ragazzi, chiaramente disturbati e allo sbando, si coalizzano per ricattare, aggredire, intimidire, dominare e, a volte, violentare numerose vittime in maniera sistematica e continua, senza alcun rispetto per la loro dignità ed integrità fisica e psicologica. La vittima: un ragazzo, una ragazza, un vecchio, un disabile, a volte è scelta a caso, altre volte vi è una ricerca scientificamente perfida che permette ai violenti di attuare l’aggressione certi dell’impunità.

Il danno per la vittima, costretta a subire e tacere, se non sono provocati anche dei danni fisici, si traduce in paura, ansia, desiderio di vendetta, frustrazione e quindi impotenza e svalutazione del proprio Io. Anche il carnefice ne ha un danno, non solo in quanto il senso di colpa e d’indegnità spesso lo perseguiterà per tutta la vita, ma anche per il rischio di essere inserito, come manovalanza, in un percorso criminale vero e proprio, da parte delle organizzazioni a delinquere sempre alla ricerca di piccoli balordi per i loro traffici. Le soluzioni proposte sono diverse: punire i genitori dei piccoli delinquenti, abbassare l’età della punibilità, attuare il coprifuoco notturno per i minorenni delle città, aumentare di molto la sorveglianza e la repressione durante la notte nelle città a rischio.

Sono questi, segnali di paura da parte della comunità civile, ma anche segnali di cocente sconfitta per la società e le famiglie che non riescono a seguire ed educare i giovani rampolli.

Anche gli stadi di calcio e le città che ospitano partite importanti sono diventate delle arene in cui le tifoserie, sistematicamente, si scontrano e si lasciano andare alla violenza più brutale, tanto che da parte delle autorità sempre più preoccupate di queste continue e gratuite esplosioni di aggressività e distruttività, si propone di far gareggiare le squadre a stadi vuoti, senza, quindi, spettatori sugli spalti. 

Aumentano inoltre tutti quei giochi in cui, per l’ebbrezza di un momento, si rischia la vita: le gare in auto contromano; le prove di resistenza sui binari o sulle strade: da abbandonare un attimo prima di essere travolti dal treno o dalle auto in corsa; oppure sul tetto degli ascensori: da fermare qualche centimetro prima di essere schiacciati contro il muro; o correndo sulle auto: da bloccare prima dello schianto.

Il valore della propria e altrui vita si avvicina allo zero, perciò, come alla roulette russa, si può giocare per il piacere del brivido o per scacciare, per un momento, la noia.

 

I GIOVANI BARBONI

Aumentano i giovani “barboni.”

E’ in notevole aumento anche il numero dei giovani che, piuttosto che reagire aggredendo e distruggendo si ripiegano su se stessi, si chiudono alla famiglia, alla vita attiva, alla società, per vivere da barboni o, come sono chiamati con un termine burocratico, senza fissa dimora.

 “ Una grossissima fetta dei senza fissa dimora è rappresentata dai giovani. L’età media dei clochard è, infatti, sempre più bassa: non supera i 25 anni.”   

Se si tiene presente che dei giovani, nel fiore degli anni, con alle spalle quasi sempre una famiglia, spesso agiata, sostituiscono quei poveri vecchi, sporchi, con i vestiti a brandelli, con la barba lunga, appunto i barboni che, non avendo di che vivere o una famiglia con cui abitare, fino a qualche decennio fa stazionavano sui cartoni, attorno alle stazioni, forse capiamo che qualcosa di grave sta succedendo nella nostra società. L’autrice dell’articolo citato sopra, riporta il pensiero dello psicanalista Paolo Crepet, esperto di disagio giovanile, su questo fenomeno: “Ci sono genitori che con il denaro credono di potere comprare tutto, anche l’amore dei figli. Così molti dei ragazzi che troviamo per strada non scappano dalla miseria ma dall’aridità degli affetti, altri cercano di vincere così la noia di una vita troppo facile.” 

 


DIPENDENZE

FUMO

 Aumentano le donne fumatrici.

 

 

Il consumo delle sigarette, che era diminuito a metà degli anni ’80, è di nuovo in crescita. Secondo l’ISTAT fumano nel nostro paese 14 milioni di persone. “ Così, oggi, fuma il 27,6% della popolazione, il 33,2% degli uomini italiani e il 22,5% di donne.”

Sono in notevole aumento le donne fumatrici. Come conseguenza di ciò, in Europa, il numero delle donne morte a causa del fumo di sigarette è raddoppiato: erano 49.203 nel 1975, è stato di 113.000 nel 1995.   

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L’aumento delle donne che fumano sigarette comporta, oltre ad un aumento nel numero dei tumori polmonari, un sicuro danno al feto, una maggiore frequenza d’aborti spontanei e di parti prematuri. Le donne che fumano partoriscono bambini con un peso inferiore alla media, ed una mortalità che è superiore del 25% rispetto ai bambini di donne non fumatrici.

Inoltre il fumo dei genitori fa aumentare il rischio per malattie respiratorie e allergiche nei bambini.

Aumenta la tossicodipendenza.

L’aumento del consumo di droga, è evidente se si tiene conto che il numero dei decessi nel 1985 era di mille casi l’anno, mentre la media dei decessi nell’unione europea è stata nel 1999 di 7000-8000 casi l’anno (Dati Oedt).

       

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Diego Motta, in un suo articolo sull’Avvenire, riporta e commenta i risultati di una ricerca, mediante un questionario anonimo, fatta a Milano dall’università Vita-Salute del San Raffaele, su 2362 studenti di quindici istituti di scuola media superiore. Da questa ricerca si evidenzia che:“…il 42% degli intervistati ha usato la droga almeno una volta e il primo contatto con sostanze stupefacenti illegali è individuabile a circa 14 anni e mezzo, anche se c’è chi anticipa addirittura a tredici anni.”

Si evidenzia la tendenza ad unire più di una droga “policonsumatori” e ad accompagnare l’uso delle droga con l’abuso di alcool.

L’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Oedt) nella sua relazione riferita all’anno 1999, sull’evoluzione del fenomeno della droga nell’Unione europea, evidenzia che “il consumo di stupefacenti si conferma, inoltre, concentrato in gruppi precisi della popolazione: i giovani (tra i 15 e i 34 anni) e gli adulti maschi della città. Tra i giovani, in particolare, le percentuali di consumo sono sempre il doppio di quelle della popolazione adulta.” 

Gli studenti europei sono assai meno inclini al consumo di droghe di quelli americani, tra i quali il consumo occasionale di cannabis è del 41% contro il 20-25% dei paesi europei.

Se le droghe hanno accompagnato l’uomo fin dalla preistoria, anche il pericolo riguardante il loro uso ed abuso è da tempo conosciuto e temuto.

I rischi delle droghe, di tutte le droghe, sono tali da minare alla radice le caratteristiche più specifiche dell’uomo: la sua mente, i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue capacità di giudizio e critica. Le droghe, tutte le droghe, alterano sia il controllo su se stessi, che sulla realtà che ci circonda.  Per tale motivo le droghe, tutte le droghe, rodono o rubano, chi più, chi meno, chi subito chi dopo un certo tempo, la nostra stessa umanità, la nostra libertà, la nostra autonomia di giudizio.

Il vuoto esistenziale, che si cerca di colmare, diventa ben presto baratro. La noia, che si cerca di sconfiggere, si tinge in breve del colore tetro della depressione. L’ansia, che si cerca di attutire, diventa angoscia.

L’uso di droghe favorisce, inoltre, comportamenti a rischio per l’AIDS e per le altre malattie trasmissibili sessualmente non solo per l’uso di siringhe infette, ma anche perché vengono meno i freni inibitori che controllano e rendono responsabile e attento l’uso della sessualità.

E ancora, nella ricerca del denaro che permette l’acquisto delle droghe è spesso calpestata ogni dignità personale: si mente, si ruba, ci si prostituisce, si aggredisce, si rapina “per la dose.” Diventa gravemente conflittuale il rapporto con se stessi, con la propria famiglia e con la società.

Le ragazze tendono a copiare i maschi sia nell’uso delle droghe che dell’alcool.

Si pensava inizialmente che l’uso della droga fosse causato da una mancanza di informazione, ma ci si è accorti ben presto, che non è l’informazione che manca: buona parte dei ragazzi sa a che cosa va incontro; mancano in realtà altre cose di cui parleremo più avanti.

Poiché il tema di questo libro è l’educazione, parleremo solo per sommi capi dell’alcool e delle droghe più in uso, in modo tale da permettere ai lettori di avere le idee un po’ più chiare sul danno causato da queste sostanze e sulla loro frequenza nella popolazione in generale e in quella giovanile in particolare.

ALCOOL

La curva del consumo del vino e delle altre bevande alcoliche come la birra ed i superalcolici è in aumento. In Italia sono stimati in un milione e mezzo gli alcoolisti e tre milioni quelli che eccedono nel bere .

I giovanissimi quindicenni bevono soprattutto la birra la quale è vista più come una fresca bevanda che non come un veicolo di alcool. G. Isola su l’Avvenire riporta i dati di una ricerca effettuata dall’ESPAD 2002, su un campione Italiano di 20 mila studenti di 300 scuole superiori e dice:

“Allarmante la situazione relativa all’alcool, che “si conferma la sostanza maggiormente usata dai giovani”: lo consumava l’86% nel 1999, valore salito l’anno scorso di ben tre punti percentuali. In aumento sensibile anche le “intossicazioni alcoliche”; se nel 1999 era il 53% degli intervistati a dichiarare di “essersi ubriacata almeno una volta”, la percentuale è ora (2002) al 55%.- 

G.Brizzolati su l’Avvenire: “I giovani italiani fra i 14 e i 17 anni, con forte prevalenza maschile – 300mila a fronte di 160mila ragazze- fanno un eccessivo uso di sostanze alcoliche, soprattutto liquori e birra lontano dai pasti” 

In alcune divisioni di neurologia in quasi dieci anni si è avuto il raddoppio dei ricoveri per alcolismo.

“Il 95% dei soggetti che abusano di bevande alcoliche sviluppa, nell’arco di un anno, una sindrome da dipendenza.”

“Oggi negli Stati Uniti l’alcolismo rappresenta il terzo problema sanitario dopo le malattie cardiache ed il cancro.” 

Cosa comporta l’abuso di alcool?

Il vino ha accompagnato l’uomo nella sua storia e nella sua evoluzione. E’ quindi considerato a buon ragione, se consumato con moderazione, una bevanda utile all’organismo umano. Quando il bevitore non si adegua a norme di moderazione e di buon senso, per cui compaiono danni all’organismo, si è già in una situazione di abuso.

L’uso e l’abuso d’alcool sotto varie forme: vino, birra, spumante, superalcolici, è diventato un fenomeno comune tra i giovani. Le occasioni i cui “si beve”, sembrano moltiplicarsi all’infinito: il bar, il pub, le innumerevoli feste, le nottate in discoteca, gli incontri al campo sportivo, le partite di calcio davanti al televisore, i concerti giovanili, il muretto ecc.. La polizia e le persone di buon senso, trincerate nell’ultimo baluardo arrivano a chiedere ai giovani (ma questa somiglia più a una supplica che ad una richiesta) che per evitare le stragi del sabato sera, “almeno” il guidatore sia sobrio o che si beva non oltre le due del mattino. L’alcool è la causa più comune degli incidenti stradali.

Per quanto riguarda i giovani, così come riferisce Margherita Fronte su un corsivo di Corriere Salute del 24 marzo 1998, “ le ricerche del neuropsicologo Scott Swatzwelder e del suo gruppo del Duke University Medical Center dimostrano, infatti, che negli adolescenti, a causa del maggior numero di recettori presenti nel cervello, il consumo di alcolici porta alla perdita della memoria e del controllo di sé in modo più grave di quanto non accada con gli adulti”; inoltre, “ La stanchezza sembra non colpire gli adolescenti che bevono alcool, che invece si sentono spavaldi e sono quindi più inclini a comportamenti aggressivi e imprudenti.“

Si tende a limitare il problema dell’abuso di alcool alle sue conseguenze più tragiche: alla morte, sfracellati o bruciati vivi tra le lamiere accartocciate di un’auto.

Se questa è giustamente la conseguenza che più colpisce, come un pugno nello stomaco, i genitori che alla TV vedono quasi tutte le sere le carcasse delle auto e le bare con i poveri resti degli occupanti portate via dai soccorritori, si dimenticano altre realtà forse non meno drammatiche. Ad esempio, si dimentica che, accanto ai trenta- quaranta morti settimanali,  vi sono centinaia di feriti più o meno gravi, molti dei quali avranno conseguenze invalidanti per tutta la vita: giovani nel fiore degli anni diventati zoppi, ciechi, paralitici, ritardati o in coma.

Poiché l’alcool è una sostanza psicoattiva, esso agisce sul sistema nervoso centrale producendo modificazioni di tipo affettivo, comportamentale e cognitivo.

A piccole dosi, nello stadio d’eccitazione, l’alcool provoca un’azione di depressione dei neuroni inibitori, con effetto stimolante ed euforizzante: maggiore loquacità fino alla logorrea, alterazioni di alcune funzioni sensitive e sensoriali, modica compromissione delle capacità intellettive e cognitive, deficit dell’attenzione, labilità emotiva e diminuzione dei freni inibitori.

Nello stadio d’ebbrezza si ha: incoordinazione motoria, compromissione della stazione eretta e della deambulazione, diplopia, incoerenza ideativa, aumento dei tempi di reazione.

Lo stadio d’ubriachezza porta ad alterazione quantitativa e qualitativa dello stato di coscienza, anestesia cutanea, disturbi della termoregolazione, alterazione della funzione cardiaca e respiratoria.

Nello stadio precomatoso e comatoso vi è una compromissione più o meno reversibile delle funzioni dei centri bulbari.

Quando dall’abuso saltuario di alcool si passa all’alcoolismo cronico vero e proprio, si possono avere:

•    lesioni all’apparato digerente (esofagiti, gastriti, enteriti, ulcere gastriche);

•    lesioni al fegato: le epatiti prima acute e poi croniche, le steatosi, le cirrosi;

•    malattie del pancreas: le pancreatiti;

•    malattie cardiache;

•    diminuzione nella capacità di coagulazione del sangue;

•    alterazioni e lesioni cerebrali: le encefalopatie; la compromissione delle capacità intellettive e cognitive, i disturbi del comportamento, le violenze ed i delitti in famiglia e nei luoghi di lavoro, la depressione,

•    i disturbi delle sfera sessuale: la diminuzione del desiderio sessuale, l’impotenza, l’infertilità.


Quando all’alcool si associano altre sostanze come ansiolitici o ipnotici che producono depressione centrale, l’azione delle due sostanze è notevolmente potenziata, per cui si ha: accentuata sonnolenza, diminuzione dei riflessi ed alterazione della coordinazione psicomotoria.

Quando invece si associa agli stimolanti ad azione centrale, come i derivati delle anfetamine, (ad esempio l’Ecstasy) o alla caffeina, l’azione di questi stimolanti non elimina la depressione dovuta all’uso d’alcool. L’Ecstasy o altre sostanze simili possono, al massimo, indurre un effetto temporaneo di maggiore vigilanza, ma non sono in grado di bloccare in modo specifico l’azione del depressore. Infatti, appena cessa l’effetto temporaneo di stimolazione, il soggetto entra in una situazione depressiva ancora più profonda.

Questo significa che la sonnolenza, e quindi il rischio di gravi incidenti stradali, aumenta quando all’alcool si associano altre sostanze che tendono a deprimere il sistema nervoso centrale. Significa anche che i tentativi di controbattere l’effetto dell’alcool con l’uso di droghe stimolanti, può non avere alcun effetto o avere un effetto solo momentaneo.

L’alcoolismo è più frequente nell’uomo rispetto alle donne, ma le donne reggono l’alcool meno dell’uomo per il loro metabolismo particolare e quindi le conseguenze sono più gravi e, quando sono incinte, coinvolgono nell’intossicazione anche il nascituro.

All’uso frequente di alcool sono imputabili molti suicidi e tentativi di suicidio (il tasso di suicidio negli alcolisti è da 6 a 20 volte più frequente che nella popolazione generale, con una maggiore incidenza di suicidio nelle donne rispetto agli uomini).

L’alcool si associa spesso all’uso del tabacco, i bevitori regolari fumano quasi il doppio rispetto agli astemi, per cui si moltiplicano i fattori di rischio.

Il giovane bevitore incallito, attualmente, ha un’età compresa tra i 20 e i 25 anni, risiede nelle regioni nord-orientali e lavora. Un alto tasso di persone con problemi di abuso sono stati trovati fra i parenti ed i conoscenti, ciò significa che l’abuso di alcool si trasmette alla prole, come esempio negativo nello stile di vita.

HASHISH E MARIJUANA

Lo spinello, come volgarmente è chiamato, è attualmente la droga più consumata nei paesi europei ed americani. L’esperienza occasionale di cannabis va dall’8% della Svezia e del Portogallo al 35% di Francia e Gran Bretagna, mentre in America il consumo occasionale di cannabis arriva al 41%.

Nella statistica riportata da A. de’ Micheli in Italia sarebbe usato occasionalmente dal 48% dei giovani. 

Sempre nel nostro paese il 33,5% degli studenti ha ammesso di avere fumato almeno una volta lo spinello. Il 7% lo aveva sperimentato già entro i 14 anni, il 18%  entro i 16 anni.

Nei giovani che si presentano alla visita di leva, il 51% risulta positivo al test delle urine che rileva la presenza nell’organismo di cannabis e suoi derivati.

 “Mamma – Papà, è solo uno spinello!”

Sono molti i genitori che si sentono rispondere in questo modo dai figli, apostrofati o rimproverati perché nello zaino o tra i libri è stata scoperta “dell’erba”. “E’ solo uno spinello!”, come dire che non è niente di male, né di pericoloso. “E’ solo uno spinello”, per affermare che tutti lo fumano, che male c’è.

Che siano tanti i consumatori di questa droga “leggera” non c’è alcun dubbio.

Che l’uso dell’Hashish e della Marijuana ma anche il piccolo spaccio, tra amici, non sia visto come trasgressivo è altrettanto vero, ma che l’uso di questa sostanza non rechi danno è un altro discorso.

Per ottenere l’effetto euforizzante e la sensazione d’abbandono, di rilassamento e di calma, dato dall’ ”erba” si rischia molto, molto di più di quanto a prima vista non appaia.   Vi è il rischio di:

•    sensazione di rallentamento del tempo;

•    deficit delle capacità critiche;

•    sonnolenza;

•    sensazione di secchezza alla bocca;

•    accentuazione della frequenza cardiaca;

•    caduta della potenza e dell’interesse sessuale;

•    peggioramento delle problematiche psicologiche che possono portare ad ansia, sospettosità, ideazione delirante, depressione. Con l’uso degli spinelli il rischio da parte degli adolescenti di cadere in una situazione d’ansia e di depressione aumenta di 5-6 volte.

•    demotivazione nei confronti delle attività e degli impegni giornalieri; apatia, indolenza;

•    alterazione delle capacità cognitive con difficoltà sia nell’imparare, sia nel ricordare: quindi difficoltà scolastiche e lavorative;

•    alterazione della percezione;

•    disturbi nella coordinazione motoria;

•    poiché detta droga contiene gli stessi principi del tabacco, il suo fumo può portare a bronchiti, tracheiti e tumori;

•    produce dipendenza psicologica, anche se minore di quella data dall’eroina;

•    infine se sono raggiunti livelli ematici molto alti, il soggetto può provare alcuni degli effetti allucinogeni delle droghe, come quelli della dietilamide dell’acido lisergico (LSD). 

 

ECSTASY

“Secondo l’ultima relazione sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, almeno 80000 giovani assumono ogni settimana droghe di tipo anfetaminico, soprattutto pillole di Ecstasy.” 

Nel 1990 furono sequestrate 1691 pillole, nel 1994 ne furono sequestrate 36.000.

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E’ usata dal 5,9 % dei giovani.            

L’Ecstasy appartiene alla grande famiglia delle amfetamine, è, quindi, uno stimolante del sistema nervoso centrale. “Le amfetamine sono farmaci che provocano dipendenza, anche se meno rispetto alla cocaina. Il loro uso sporadico spesso conduce all’abuso cronico, che può determinare gravi malattie fisiche e psicologiche.” 

Quando, nella seconda metà degli anni ‘80 questo tipo di sostanze si diffuse, insieme alla musica techno, nelle discoteche di ogni parte del mondo occidentale si pensò che i giovani avessero trovato il modo di sostituire, alle pericolose droghe derivate dall’oppio, come l’eroina, una sostanza diversa e molto meno rischiosa.

 Intanto l’Ecstasy e le sue consorelle erano usate sotto forma di pillole multicolori e quindi non vi era il pericolo di rimanere infettati dal temibile virus che porta all’AIDS; inoltre, la cosiddetta “pillola della felicità”, non deprimeva ma tirava su, eccitava, quindi era ottima per non addormentarsi ai margini della pista da ballo o mentre si era alla guida, ottima per eliminare ogni inibizione adolescenziale e quindi permettere di socializzare facilmente con l’altro sesso, l’ideale per sentirsi brillanti ed attivi.

Peccato che aumentandone la quantità, tra gli effetti secondari vi fosse un fastidioso batticuore non dovuto ad alcun innamoramento; un aumento marcato della pressione sanguigna, la sudorazione, i brividi, la nausea ed il vomito, la febbre ed il mal di testa e ancora difficoltà respiratorie e tremore.   Peccato che la perdita delle normali capacità sensoriali rendesse la guida meno sicura della normale sonnolenza e gli incidenti mortali aumentassero invece di diminuire, ma soprattutto che, finito lo “sballo”, si piombasse in uno stato di depressione, facile affaticabilità, umore disforico, agitazione psicomotoria,   e che per questi motivi, per giorni peggiorasse il comportamento e diminuisse, con la capacità di concentrazione, il rendimento. 

Ma i problemi causati dall’Ecstasy non finiscono qui. Nei test effettuati nell’Università di Toronto e dal Centro per i Disturbi da dipendenza della stessa città, si sono evidenziati dei deficit nelle capacità mnemoniche: “Lo scopo era quello di rilevare eventuali deficit in particolari settori della memoria visiva, percettiva e così via. E’ risultato che i consumatori di Ecstasy ricordavano circa la metà degli elementi rispetto a chi non l’assumeva.” 

Negli ultimi anni, l’Ecstasy è stata sospettata di provocare danni al fegato che possono portare, nei casi più gravi, ad un’insufficienza epatica fulminante all’uscita dalla discoteca.

L’uso può risultare fatale, inoltre, per collasso cardiocircolatorio o per shock da ipertermia   in quanto, queste sostanze, possono provocare un brusco aumento della frequenza del battito cardiaco e della pressione, restringimento delle coronarie e delle arterie cerebrali e quindi il rischio di una grave sofferenza cardiaca o cerebrale.

Queste pillole colorate danno ai giovani una falsa sicurezza: li fanno sentire non tossicodipendenti e quindi sono pochi quelli che chiedono aiuto ai centri specialistici, mentre sappiamo che sul banco degli imputati delle stragi del sabato sera, come delle violenze negli stadi “la pillola della felicità” ha un suo posto ben preciso. Come ha un posto ben preciso in tutti quei comportamenti d’uso facile della sessualità, con implicazioni anche di tipo omosessuale, da parte dei giovani che assumono queste pillole che, per loro caratteristica, diminuiscono notevolmente il controllo sulle pulsioni, con conseguenze anche a lungo termine (gravidanze indesiderate, aborti, dubbi sulla propria identità sessuale, inizio di relazioni sentimentali e sessuali con persone disturbate ecc.).

LSD

Era la droga degli artisti che vedevano in questa sostanza una possibilità di ampliamento della coscienza e un modo diverso e più profondo di osservare la realtà sia interna sia esterna. In realtà era, come per tutte le droghe, un modo per cercare in una sostanza che influenza ed altera la psiche, ciò che ci manca, ciò che abbiamo perduto. Anche se non dà dipendenza questa droga, oltre ai sintomi fisici: come la midriasi, la tachicardia, l’offuscamento della vista, i tremori, la sudorazione, la palpitazione, la scarsa coordinazione motoria, ha effetti devastanti sulla psiche che vanno dalle alterazioni dell’umore e del pensiero, alle allucinazioni visive, uditive, tattili; dalla distorsione nella percezione dello spazio e del tempo, al rischio di depersonalizzazione e di vero delirio.

EROINA

E’ l’oppiaceo di più largo abuso nel mondo, si stimano a dieci milioni i consumatori di eroina.

Negli Stati Uniti sono più di mezzo milione gli eroinomani e più di due milioni fanno uso occasionale di tale sostanza.

 Secondo la relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, nel 1998 sono stati non meno di 300.000 gli italiani tra i 15 e i 54 anni che hanno usato occasionalmente l’eroina; di questi, 137.657 sono da considerarsi veri tossicodipendenti in cura presso i Sert. 

In Italia i tossicodipendenti da eroina sarebbero 160.000, erano 70.000 nel 1979.  

I decessi nel 1995 sono stati 1200. nel 1996 erano 1400.  

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A questi bisogna aggiungere i morti per AIDS: sei malati su dieci hanno contratto il virus scambiandosi le siringhe.

Questa droga è molto diffusa nell’età giovanile anche se molti cominciano tardi anche tra i 30 e i 40 anni.


A questa terribile droga, che dà notevole dipendenza ed intensi sintomi di astinenza, si arriva attraverso varie strade di cui, la più comune, è quella dell’uso delle droghe “leggere”. Sebbene il passaggio dallo spinello all’eroina non sia per fortuna un fatto scontato, bisogna però notare che buona parte delle persone che arrivano all’eroina ha fumato erba. Questo passaggio dalle droghe “leggere” a quelle “pesanti” può essere dovuto al fatto che tutte le droghe, finito il loro effetto, fanno ripiombare il soggetto in una situazione psicologica peggiore di quella precedente al loro uso, perciò vi può essere, soprattutto nei soggetti con problematiche psicologiche come la depressione, l’ansia e l’insicurezza, il tentativo di cercare il benessere psicologico perduto, utilizzando una sostanza più potente ed incisiva.

Si può, inoltre, essere indotti a far uso di droghe pesanti da parte di altri tossicodipendenti che già si bucano, sia per un processo d’imitazione che per bisogno, da parte di questi, di procurarsi la dose giornaliera mediante un piccolo ma capillare spaccio.

Altre volte si può rimanere vittima della strategia attuata da parte dei grandi spacciatori che consiste nel far scomparire, per qualche tempo dal mercato, le droghe cosiddette “leggere”, che sono di poco costo, in modo da indurre i clienti a passare a delle sostanze per loro molto più redditizie.

I sintomi comportamentali e psichici dovuti all’uso d’eroina sono, com’è noto, drammatici:

•    disturbi del comportamento: euforia seguita da apatia o disforia;

•    alterazione dell’umore con frequente depressione e ansia notevole;

•    tentativi di suicidio;

•    rallentamento psicomotorio;

•    deficit nelle capacità di critica;

•    compromissione delle attività sociali e professionali. L’eroinomane è come se vivesse nella perenne ricerca dei mezzi per comprare la “roba”, per questo la sua vita di studio, quella sociale o lavorativa si riduce notevolmente sia in quantità, sia in qualità;

•    stato di sonnolenza;

•    deficit dell’attenzione e della memoria.


Nell’overdose si ha: rallentamento delle funzioni respiratorie, ipotermia, ipotensione, shock e bradicardia.

La morte spesso avviene per l’arresto della funzione respiratoria. 

A causa dell’uso di siringhe infette, della prostituzione per comprare le dosi e della promiscuità, i tossicodipendenti da eroina sono quelli maggiormente a rischio di epatite B. e di infezioni da virus HIV, che porta alla sindrome da immuno deficienza acquisita (AIDS).

Poiché richiede una spesa notevole ogni giorno, la maggior parte del denaro usato per “farsi una pera” è frutto di azioni criminali.

La crisi d’astinenza si manifesta con: ansia, insonnia, agitazione psicomotoria, diarrea, febbre, midriasi, piloerezione, nausea, vomito, ipertensione, tachicardia, crampi addominali.

Le madri eroinomani mettono al mondo dei bambini i quali, spesso, manifestano già alla nascita una sindrome d’astinenza per la quale necessitano di cure immediate.

COCAINA

Una  su tre che usano la cocaina ha un’età tra i 20 e i 24 anni.

Circa il 5% di studenti ammette di aver "sniffato" almeno una volta.

" Nel 2002 sono stati sequestrati 3.932 chili di cocaina, a fronte dei 1.809 del 2001, con un incremento del 117%." 

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L'aumento nell'uso di questa sostanza pare sia collegato al costo, che è notevolmente inferiore a quello dell'eroina.

"Oggi si conoscono appieno le capacità di assuefazione della cocaina e le gravi conseguenze del suo uso, molto più che negli anni '60 e '70, quando era erroneamente considerata una droga fondamentalmente innocua." 

La cocaina può essere considerata il simbolo di quanto avviene sistematicamente nel campo delle tossicodipendenze. Spesso, quando è scoperta e utilizzata tra i tossicodipendenti una nuova sostanza, si parla di droga leggera e di effetti trascurabili, ciò avviene per azione degli spacciatori che riescono ad influenzare anche alcuni cattivi maestri, con il tempo invece, e sulla pelle dei consumatori, si scoprono poi tutti gli effetti devastanti, sia sul fisico sia sulla psiche che attengono, chi più chi meno, a tutte le droghe.

Negli anni '60 la cocaina era la droga dei Vip che si tiravano su mentalmente e nell'umore sniffando la polvere bianca, oggi conosciamo meglio i suoi effetti deleteri sia sulla psiche sia sul corpo.

I sintomi dell'intossicazione sono numerosi.

a)    Sintomi psichici: intensa agitazione; irritabilità; alterazione del giudizio; aggressività; comportamenti sessuali impulsivi; eccitamento maniacale; aumento dell'attività psicomotoria; allucinazioni visive o tattili. L'uso frequente di cocaina può portare a sintomi psicotici con disturbi della percezione, deliri paranoidei, spesso di tipo persecutorio o di gelosia, impulsi omicidi.

d)    Sintomi organici: tachicardia; ipertensione; midriasi; sudorazione o brividi; nausea o vomito. Si può avere la morte in seguito a convulsioni, depressione del centro respiratorio bulbare,    o per lesioni cardiache, soprattutto quando, invece di sniffarla, è iniettata: in questo caso l'azione è devastante.


La cocaina dà facilmente dipendenza e gravi sintomi d'astinenza.

Quando gli effetti si esauriscono si presenta affaticabilità, insonnia, disforia, agitazione psicomotoria, ansia, irritabilità, senso di spossatezza.

Gioco d’azzardo.

Nel 1998 sono stati 14,5 milioni i giocatori abituali, mentre si stimavano a 150.000 i giocatori patologici.

Sempre nel 1998 sono stati spesi in lotterie 1.782 miliardi di lire.

Non potevamo chiudere queste brevi note sulle dipendenze senza parlare della dipendenza da gioco.

" Sono sempre di più i giovani "drogati" dal gioco. A vent'anni quasi un ragazzo su dieci è ad alto rischio di ammalarsi di "pathological gambling", l'ossessione della scommessa - al casinò, ai cavalli ma anche al Superenalotto - che diventa dipendenza, con crisi di astinenza del tutto simili a quelle dell'alcool o degli stupefacenti." 

I giocatori sono in maggioranza uomini, ma anche le donne spesso si fanno trascinare dalle carte o dal piacere della puntata.

All'aumento di questo particolare tipo di dipendenza che si registra in tutto il mondo occidentale, non è sicuramente estraneo il maggior benessere economico che permette il costoso brivido della scommessa, né sono senza macchia gli stati, come quello italiano, che utilizzano questo vizio o malattia a secondo di come si vuole intendere, per cercare di colmare i vuoti di bilancio provocati dagli sperperi nella pubblica amministrazione. Una quota consistente di questi ammalati da videopoker o da casinò rientrano tra i soggetti che cercano di sconfiggere o coprire il malessere personale, familiare o di coppia, mediante il brivido della scommessa.

I danni sono numerosi: vi è un danno materiale che porta molte famiglie al limite della sussistenza a causa di questa dispendiosissima dipendenza; vi è un danno nel rapporto di coppia, le liti diventano continue e violente; vi è un danno nell'educazione dei figli i quali, oltre che ad essere vittime della conflittualità dei genitori, soffrono per la mancanza di dialogo e per il pessimo esempio dato dal genitore allontanatosi dai suoi compiti educativi, a causa del gioco.

Quando è lo stato a rastrellare soldi mediante questi mezzi, la cosa è particolarmente grave in quanto la pubblica amministrazione non si accorge del fatto che “La farina del diavolo si trasforma sempre in crusca”. Mentre da una parte lo stato rimpingua le sue casse con i giochi e le scommesse, dall’altra poi lo stesso stato è costretto a spendere cifre considerevoli per curare sia le persone dipendente dal gioco sia i loro familiari coinvolti nello sfacelo economico e psicologico.

MALATTIE TRASMISSIBILI SESSUALMENTE

AIDS

Dall’inizio dell’epidemia al 31 dicembre 1997 in Italia sono stati notificati 40.950 casi di AIDS.

“Nel corso di pochi anni l’AIDS è diventata la più importante causa di morte tra i giovani adulti di sesso maschile e una delle principali nelle giovani donne. Nei maschi di età compresa tra i 25 e i 29 anni, dalla metà degli anni ottanta, l’AIDS ha determinato un’inversione della tendenza della mortalità generale tra i giovani, sino ad allora in costante diminuzione.” 

L’AIDS è una minaccia costante se si tiene conto che il 50% dei ragazzi ha avuto un’esperienza a rischio elevato.

A 19 anni il 56% dei maschi e il 42% delle femmine ha già avuto un’esperienza sessuale completa. Nei ragazzi fra i 18 e i 22 anni un terzo ha avuto un’esperienza con due donne in molti casi conosciute occasionalmente. L’aumento del numero dei contatti sessuali ha fatto diffondere l’infezione tra i soggetti eterosessuali i quali, molto spesso, sono dei portatori inconsapevoli. 

Fino al 1995 vi è stato un progressivo aumento dei casi di AIDS, successivamente è stata rilevata una diminuzione, con molta probabilità causata dall’uso precoce di farmaci antiretrovirali, particolarmente attivi su questi virus, che hanno impedito l’insorgere della malattia o ne hanno favorito il controllo. Per tale motivo, per alcuni autori, non vi sarebbe un vero e proprio declino dell’infezione da HIV ma un suo controllo farmacologico. 

E’ soprattutto durante le vacanze estive che, a causa di una maggiore libertà, di più tempo libero, e del clima più distensivo, insieme con nuovi amori o nuove avventure, si propagano le malattie a trasmissione sessuale.

Come è noto il virus HIV non uccide direttamente l’ospite ma, diminuendo le difese immunitarie, favorisce l’insorgere di malattie batteriche o virali che sono in grado di portare a morte i pazienti. Oltre ai problemi di natura organica, sono frequenti le problematiche psicologiche con: paura della morte, depressione, paura e senso di colpa per aver infettato le persone amate, paura di essere abbandonati dal coniuge, dai familiari, paura di abbandonare dei figli giovani, somatizzazioni dell’ansia.  

 

Tratto dal libro di E. Tribulato"L'educazione negata" Edizioni E.D.A.S.






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