Autismo

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Una madre racconta i progressi della figlia, mediante l'uso della tecnica del Gioco Libero Autogestito

 

Sono molto emozionata, sto scrivendo una relazione che riguarda i progressi di mia figlia e, guardandomi indietro, non riesco a credere alla strada incredibile che abbiamo fatto.

Mia figlia adesso ha 5 anni, fino a due anni non c’era stato alcun problema, poi pian piano abbiamo notato dei comportamenti strani, non in linea con la sua età. Probabilmente una serie di cose hanno contribuito a far chiudere in sé stessa mia figlia, tra cui la fine dell’allattamento a due anni compiuti (mi rendo conto che lei, col senno di poi, questa cosa l’ha vissuta come un trauma), l’inizio dell’asilo nello stesso mese (no, non era pronta), lo “spannolinamento” in un periodo sbagliato, nell’estate in cui aveva quasi tre anni. Purtroppo, si impara ad essere genitori strada facendo, e a conoscere i propri figli man mano che crescono. Mia figlia è una bambina molto sensibile, e certi approcci sono stati sbagliati. Non è detto che tutti i bambini siano pronti per andare all’asilo a due anni. Spinta dai consigli di amiche e pediatra, dovendo lavorare, e pensando si sbloccasse prima col linguaggio, abbiamo ottenuto l’effetto contrario, ovvero una chiusura progressiva della bambina.

Nei mesi successivi abbiamo cercato di darle il tempo di crescere, maturare, siamo andati anche da una pedagogista che ci ha indirizzati da un neuropsichiatra. Il neuropsichiatra ci ha, come da protocollo, indirizzati verso la psicomotricità, in quanto mia figlia non era in linea con la sua età.

A tre anni e mezzo parlava poco, socializzava poco con i coetanei. Nel frattempo, abbiamo cambiato asilo, un bellissimo asilo in cui la bambina si trova ancora molto bene. Ma nonostante il cambio di asilo e la terapia, non abbiamo visto miglioramenti significativi nel comportamento della bambina.

Un giorno, durante una seduta di terapia, sento mia figlia urlare, era una bella giornata di ottobre, si sentivano gli uccellini cantare e il cielo era sereno.

Mi sono detta cosa ci facevo lì. Perché avessi portato mia figlia in una stanzina con un’estranea per farle fare un gioco che a lei non piaceva.

Forse avrei fatto meglio, quel giorno, a portarla alla villetta.

Mi sono imbattuta nel libro del dott. Tribulato. Dopo tante ricerche, consulti e conversazioni con altri genitori che hanno problemi simili ai nostri.

Ho parlato tanto con genitori che seguono un approccio diverso, un approccio che segue le linee di pensiero del dottor Tribulato o del dottor Benedetti, dottori che mettono in risalto l’ambiente del bambino.

Abbiamo deciso, noi genitori, di lasciar perdere la psicomotricità. Mai decisione fu più giusta.

Nel frattempo, dopo aver mollato la terapia, abbiamo preso appuntamento col dottore, che ci ha spiegato come approcciarci a nostra figlia.

Niente di più facile e spontaneo. Attraverso il gioco libero autogestito, siamo risusciti a entrare in contatto con lei che, nel frattempo, nel corso di questi mesi è migliorata tantissimo.

Mia figlia comunica molto di più, parla di più, ci chiama sempre per giocare, è serena, è felice.

Il dottore la vede allineata. Noi non potremmo essere più felici.

Quando siamo soli mia figlia è molto loquace, ancora, se siamo con altre persone, non esattamente al 100%, ma ci stiamo lavorando.

In ogni caso i progressi sono tangibili per noi. Piano piano verrà meno la sua “ansia sociale”, la sua paura di mostrarsi agli altri per quello che è veramente: una bambina dolcissima, molto intelligente e, finalmente, felice.

Non potevamo prendere una decisione più giusta. I progressi del gioco libero autogestito sono stati immediati, come dice il dottore è vero che non dovremmo insegnare ai bambini piccoli, ma dar loro lo spazio per potersi esprimere e riuscire a cercare di trascorrere del tempo di qualità con loro.

Siamo cambiati tanto noi genitori, siamo più spontanei con lei, meno ansiosi e, non facendo più richieste, mia figlia è spinta ad aprirsi a parlare di più, rispetto a prima. Un anno di psicomotricità purtroppo non è servito a niente.

Abbiamo perso tempo seguendo un approccio sbagliato. Ci siamo resi conto che i veri progressi avvengono quando i bimbi sono sereni, non facendo loro continue richieste o cercando di metterli alla prova.

Il rapporto, per essere sano, deve essere spontaneo e sereno.

Adesso mia figlia parla, sorride, esprime le emozioni e anche all’asilo se ne sono resi conto. È addirittura monella, a volte dà botte agli altri bambini, ma sono modi di relazionarsi, no?

Mia figlia comincia a raccontare, prova a fare frasi sempre più lunghe, a condividere, finalmente balla all’asilo e la musica non la spaventa più. Direi che possiamo parlare come di una rinascita, di una continua evoluzione.

A settembre comincerà la scuola. L’abbiamo iscritta senza sostegno. Speriamo possa fare sempre continui progressi e che si trovi bene.

Nel frattempo, ci godiamo nostra figlia. Una bimba che finalmente non è sfuggente, ci risponde, parla, condivide. E di tutto questo dobbiamo ringraziare il dottore e la sua visione illuminata rispetto agli standard di oggi.

Una madre.

Diario relazionale

 

Questo diario ha lo scopo di aiutarvi nell'utilizzo della tecnica del Gioco Libero Autogestito con il bambino o la bambina che avete in cura.

Lo scrivere alla fine di ogni giorno i vostri vissuti e quelli del vostro bambino/a vi permette di riflettere sulla tipologia dei giochi che vi sono stati chiesti, come egli/ lei sta rispondendo al vostro approccio e infine su come voi state vivendo questo particolare tipo di relazione.  

Ricordate che:

1) Non è importante il tipo di gioco che farete insieme al bambino ma la relazione piacevole, allegra, dialogante che riuscirete a costruire.

2) Anche giochi molto semplici e ripetitivi possono essere utili e importanti.

3) Parlate poco, ma mettetevi in ascolto di quello che lui vorrebbe che faceste e che potrebbe far piacere al vostro bambino.

4) Sostenete,  incoraggiate e partecipate, divertendovi insieme al bambino, nel gioco o nell'attività che egli ha scelto di effettuare.

5) Non stimolatelo a fare o a non fare una determinata azione o comportamento.

6) L'impegno e il coinvolgimento di entrambi i genitori in questa attività è fondamentale.

 

Diario relazionale di ……… ………….

Data………………………….

Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

Giochi o attività effettuate:

 

Per quanto tempo? 

Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

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Genitore o familiare che attua il gioco (mamma- papà- nonno – nonna – zio - zia)

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Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

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Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

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Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori o familiari?

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Giochi o attività effettuate:

 

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Come sono stati vissuti dal bambino le attività o i giochi effettuati?

 

 

Come sono stati vissuti dai genitori e familiari?

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Come sono stati vissuti dai genitori e familiari?

 

 

 

 

 

 

 

Il tatto nell'autismo

Autore: Emidio Tribulato

La nostra pelle e le nostre mucose hanno la possibilità di registrare una quantità incredibile d’informazioni provenienti dal mondo esterno: dal lieve, piacevole tocco di una carezza, al dolore di uno schiaffo; dal tiepido calore del latte succhiato dal seno materno, al bruciante dolore di una scottatura. Attraverso il tatto, oltre la temperatura, comprendiamo l’intensità della pressione esercitata sul nostro corpo, la presenza nell’ambiente di vibrazioni, capiamo la consistenza degli oggetti, avvertiamo la differenza tra i vari tipi di superfici: lisce, ruvide, scivolose e così via.

Le sensazioni tattili sono collegate in maniera molto intima alle emozioni più primitive: molti piccoli di animali avvertono, mediante il tatto, il calore della madre, insieme alla sua presenza tenera e rassicurante. Attraverso il contatto corporeo i gesti materni, fatti di leccamenti, carezze e abbracci, fanno acquisire ai cuccioli l’amore e la sicurezza del mondo che li circonda. È soprattutto mediante il tatto che il piccolo essere umano si bea del piacere di succhiare, insieme al tiepido latte che proviene dal morbido seno materno, che offre nutrimento al suo corpo, anche l’affetto, l’accettazione e l’amore della madre che plasmano e arricchiscono il suo Io, rendendolo sempre più maturo, sano e forte. È attraverso il tatto che il bambino avverte dalle forti braccia del padre, la rassicurante presenza e protezione che questi è disposto a offrirgli.

Tuttavia è anche attraverso il tatto che i piccoli degli animali e dell’uomo notano la fredda atmosfera che si crea quando la madre o il padre, per svariati motivi, non hanno verso di loro le giuste attenzioni e cure o quando i genitori non hanno tempo o voglia di giocare con loro e non li abbracciano e baciano con il calore e la tenerezza che essi si aspettano. Ed è infine soprattutto attraverso il tatto che tutti i piccoli degli animali e dell’uomo avvertono l’aggressività e la violenza dell’ambiente nel quale vivono.

Sono tanti i bambini piccoli che non amano e provano intenso fastidio per alcuni contatti intimi, come l’essere baciati e accarezzati, non solo dalle persone estranee ma a volte anche da qualche familiare, come dagli zii o dai nonni.

D’altra parte come dice Benedetti (2020):

La reazione all’estraneo è una manifestazione fisiologica nello sviluppo dei bambini, utile filogeneticamente alla difesa della specie, con l’attaccamento alle persone conosciute e la diffidenza e l’allontanamento da quelle sconosciute.[1]

 

Questo comportamento si accentua nei minori che presentano anche solo modesti disturbi psicologici. Anche loro si ritraggono non solo dai baci e dalle carezze, ma a volte non accettano neppure di essere toccati dagli altri. Possiamo allora ben dire che i comportamenti di evitamento, nei confronti delle persone, non solo estranee ma anche familiari, sono collegati sia all’immaturità dei soggetti, sia alla presenza di qualche problematica psicologica.

Il massimo grado di reattività lo ritroviamo, senza dubbio, nei bambini che presentano disturbi autistici, i quali spesso si ritraggono e non accettano di essere abbracciati, baciati, accarezzati o semplicemente toccati, non solo dagli estranei ma anche dai loro stessi genitori, tanto da reagire con crisi di angoscia, aggressività o agitazione psicomotoria quando ciò avviene. In questi casi le loro reazioni sono inusuali e particolari, giacché quello che essi provano, non viene mediato da una personalità matura, complessa, integrata e serena come avviene in un bambino normale della loro età.[2]

La Williams, riferendosi ai suoi genitori ricorda: ‹‹Non li ho mai abbracciati, né mai fui abbracciata da loro. Non mi piaceva che qualcuno mi venisse troppo vicino, né tantomeno che mi toccasse. Sentivo che ogni tocco era dolore e avevo paura!››.[3]

Inoltre, poiché la sensibilità generale dei bambini con disturbi autistici, a causa della notevole tensione interiore, è notevole, essi possono odiare il contatto con alcune sostanze e amarne altre. Pertanto molti di essi, pur odiando il contatto con un altro corpo umano, amano strusciare il viso e il corpo sul pavimento, sulle tende, sui mobili, sul rivestimento delle sedie e su altri oggetti.

Come afferma De Rosa: ‹‹Un’altra caratteristica del mio autismo, di cui mi sembra di essere diventato consapevole in quegli anni, è la grande sensibilità tattile che sfocia nel vero e proprio piacere di toccare certe cose come nel fastidio di toccarne altre››.[4]

Ricorda la Williams:

Ma un giorno mi ritrovai su un sedile accanto a una grossa ragazzina di nome Elisabeth. Stava creando una persona umana con un cono di cartone e della carta. Mi attiravano i suoi capelli, tirati indietro in una lunga treccia: passavo la mano su quella treccia. Si girò per guardarmi, io mi spaventai per come il suo viso era unito ai capelli. Volevo toccare i suoi capelli, non lei.[5]

Nei bambini con sintomi di autismo, oltre che nei confronti delle persone, il rapporto della loro pelle con gli oggetti, le stoffe, i liquidi si presenta in modo particolare: molti di loro, come i bambini piccoli, non amano lavarsi i capelli, soprattutto non amano lo shampoo, perché brucia gli occhi e confonde; non accettano alcuni capi di biancheria intima e dei vestiti nuovi e stretti; provano fastidio per le cerniere lampo e per le etichette dei vestiti e dei maglioni; spesso non sopportano gli elastici, le guarnizioni presenti nelle stoffe e gli abiti scomodi.

 

 

 

Molti bambini con sintomi di autismo si divincolano disperatamente e sfuggono quando i genitori o peggio i barbieri o i parrucchieri vogliono tagliare loro i capelli. Lo stesso può avvenire quando la madre cerca di spazzolare loro i denti o tagliare le unghie. Inoltre le attività come la pittura con le dita e i giochi con la sabbia possono produrre in loro più stress che divertimento.[6] Alcuni di loro, come i neonati, sembrano non avvertire le sensazioni di caldo o di freddo, per cui i loro vestiti spesso non si accordano con la stagione e con la temperatura presente.[7] In questi casi la scelta degli indumenti e il bisogno di coprirsi molto o di scoprirsi si collegano più a loro intime esigenze psicologiche che non alla temperatura da essi percepita.

Tuttavia, anche in questo settore, come in tanti altri campi, non vi sono caratteristiche costanti: ogni bambino con sintomi di autismo ha le sue fobie e le sue intolleranze, ma anche le sue preferenze, dovute alcune volte a precedenti esperienze negative o positive, altre volte a particolari percorsi psicologici assolutamente personali, per cui queste intolleranze o preferenze nascono da confuse e instabili esigenze e problematiche interiori, che si manifestano in un determinato momento e con particolari persone.

Per tali motivi, anche se questi bambini, come normalmente viene descritto, non amano alcuna carezza, altri invece, desiderano e vogliono essere abbracciati e sono felici quando si fa loro il solletico. A questo riguardo è da notare come alcuni genitori non solo non sono freddi con i loro figli ma anzi amano coccolarli, baciarli e accarezzarli a lungo e questi ultimi sembrano accogliere con piacere i baci e le coccole. Tuttavia, in alcuni casi, la sensazione che si ha guardando le loro coccole è che questi genitori abbiano stabilito con questi figli un rapporto simbiotico e pertanto non si attivino nel far maturare la personalità del loro bambino, mediante una relazione più profonda, varia e stimolante. Altri bambini con sintomi di autismo amano partecipare a dei giochi corpo a corpo con gli adulti, soprattutto con il padre, anche se lo attuano in maniera aggressiva.[8] Ciò non sempre è accettato dai genitori, soprattutto dalle madri, che giudicano in modo negativo questi comportamenti.

Per alcuni di loro inoltre l’essere toccati in un certo modo e solo da certe persone diventa, in qualche modo, una coazione rilassante o psicologicamente necessaria al benessere interiore ma scarsamente comprensibile da parte di chi osserva questi strani e inusuali comportamenti. Ad esempio per De Rosa la sensazione che faceva diminuire la sua ansia e gli permetteva di esprimere con la scrittura, mediante il computer, i suoi pensieri, le sue idee, era data dal contatto della mano del padre sulla sua spalla.[9]

 Per la Grandin, una sensazione che faceva diminuire la sua ansia era invece quella offerta da una macchina che lei chiamava “stringitrice”. Gli effetti di questo strumento da lei inventato, sono così descritti:

Per avere sensazioni di delicatezza, è necessario sperimentare il delicato benessere fisico. Quando il mio sistema nervoso imparò a tollerare la rilassante pressione della mia macchina stringitrice, scoprii che questa sensazione di benessere mi rendeva una persona più gentile e tenera. [10]

L’autrice riferisce inoltre come anche altri bambini autistici avevano dei benefici quando venivano stretti da qualcosa. Molti genitori raccontavano all’autrice che i loro figli con disturbi autistici amavano infilarsi sotto i materassi, avvolgersi nelle coperte o incunearsi in luoghi molto stretti quando volevano ricercare una maggiore serenità.[11]

Quest’accorgimento scoperto dalla Grandin, la quale non accettava di essere stretta fra le braccia della madre ma a queste preferiva le pale di un marchingegno meccanico e freddo,[12]ci fa ben capire come il problema dei bambini con sintomi di autismo che non accettano di essere abbracciati, coccolati o semplicemente toccati, non sia di tipo neurologico e non riguardi l’intensità della sensazione, ma le qualità e le caratteristiche delle persone con le quali essi si relazionano in quel momento. Nel caso della dott.ssa Grandin l’abbraccio che proveniva da una persona, la madre, verso la quale lei non nutriva sentimenti positivi, le provocava paura; invece la stessa sensazione che proveniva da un oggetto affettivamente neutro, come poteva essere la “stringitrice”, poteva essere ben accetta, anzi le provocava delle emozioni piacevoli e rilassanti.

Per quanto riguarda la pulizia, anche in questo campo, in bambini con la stessa diagnosi, possono coesistere situazioni opposte, per cui in alcuni o in alcuni periodi si può avere un’indifferenza pressoché totale per la pulizia, mentre in altri o in altri periodi questi bambini possono presentare una cura maniacale della propria persona.



[1] Benedetti G. (2020), La Bolla dell’Autismo, Self- Publishing, pp. 60-61.

[2] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti,p. 13.

[3] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 15.

[4] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 29.

[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 26.

[6] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 52.

[7] Brauner A., Brauner F. (2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 86.

[8] Ajuriaguerra J. (De), Marcelli, D.,(1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 765.

[9] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 80.

[10] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 91.

[11] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 69.

[12] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 100.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

 

 

 

 

 

 

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I disturbi motori nell'autismo

 

Molti bambini con sintomi di autismo, oltre a presentare nei loro movimenti evidenti stereotipie, hanno spesso vari altri disturbi motori. Ad esempio, possono saltare la fase del gattonare o gattonano in forma poco coordinata. Quando camminano, l’andatura può apparire strana, incerta, pesante. A volte tendono a camminare sulla punta dei piedi, sono ansiosi quando devono correre, inciampano facilmente e hanno difficoltà a salire le scale, a un’età nella quale i loro coetanei le salgono facilmente. Molti di loro imparano con difficoltà ad andare in bicicletta, cadono dalle sedie, non riescono a ben usare le posate, le matite e gli altri strumenti che richiedono una buona motricità fine, perdono l’equilibrio quando chiudono gli occhi, rompono gli oggetti sbattendovi contro e non amano gli sport.

Nello stesso tempo però alcuni bambini con la stessa patologia manifestano capacità motorie sorprendenti, come salire sugli alberi senza affatto cadere; sgusciare veloci e rapidi da una parte all’altra di una stanza o di un appartamento, senza rompere nulla, senza cadere o farsi alcun male. Altri bambini con sintomi di autismo riescono a far girare mediante le dita più trottoline contemporaneamente e con più efficacia dei loro coetanei oppure fanno scivolare dei cubi da una mano all’altra con una tecnica da prestigiatore.[1]

In alcuni casi sono evidenti dei tic nervosi, in altri momenti può essere presente un comportamento motorio eccessivo (ipermotricità), apparentemente senza alcuno scopo: il bambino va avanti e indietro, gira come una trottola nella stanza o corre da una parte all’altra della casa, senza che se ne comprenda il motivo. Ricorda la Williams: ‹‹Non mi è mai piaciuto star seduta sulle sedie; le mie gambe non riuscivano a star ferme e mi rendevano impossibile star seduta immobile››.[2]

 

In altri casi invece si può evidenziare una scarsissima attività fisica (ipomotricità): il bambino resta seduto immobile per diverso tempo. Questi due opposti comportamenti manifestano entrambi un’inquietudine e una sofferenza interiore. Nel primo caso l’ipermotricità: il soggetto, se da una parte si sente come costretto a muoversi, d’altra parte, mediante il movimento, cerca di scaricare e diminuire la sua notevole ansia interiore. Nel secondo caso l’ipomotricità: il limitare o bloccare il proprio corpo diventa una modalità per tentare di controllare o arrestare la confusa e penosa realtà interiore. Di solito lo stato di blocco motorio o l’ipomotricità manifesta delle problematiche interiori più gravi rispetto a quelle presenti nell’ipermotricità.

Le cause di queste anomalie nel comportamento motorio non sono difficili da comprendere se solo si pone attenzione al legame inscindibile che esiste tra mente e corpo. Una mente eccitata notevolmente spinge anche il corpo a muoversi, allo scopo di scaricare, attraverso il movimento, la tensione e l’ansia che l’opprime. Allo stesso modo uno stato mentale nel quale predomina una chiusura totale o la tristezza, non può che agire sul corpo, diminuendo la sua vivacità e la sua dinamicità, come succede tra l’altro negli stadi depressivi. D’altra parte una mente che si muove nel mondo che la circonda in modo incerto, tra paure e ansie, mentre teme che da ogni cosa possano provenire degli eventi negativi, coinvolgerà anche il corpo che si sposterà con timore e incertezza.

Per Bettelheim:

Dal momento che il loro sistema nervoso centrale è perfettamente integro e ben sviluppato, alcune azioni e reazioni o l’assenza di esse non derivano da una mancanza delle capacità potenziali, ma dal fatto che, per una ragione o per l’altra, ciò che era allo stato potenziale non è arrivato a realizzarsi. [3]

Per tale motivo è necessario attivarsi per offrire a questi bambini insieme a un ambiente sereno, una relazione genitoriale efficace, ricca di ascolto, gioia e comprensione.[4]

Per quanto riguarda le attività sportive, le quali spesso sono consigliate a tutti i bambini che hanno problematiche psicologiche, queste spesso non sono accettate dai soggetti con sintomi di autismo, giacché contrastano nettamente con i loro bisogni e desideri: restare in un luogo tranquillo, privo di chiasso e tensione, un luogo nel quale non vi siano richieste o peggio imposizioni. Ricorda la Williams: ‹‹Lo sport, in particolare, fu una brutta novità. Odiavo appartenere a una squadra, partecipare per qualcuno o farmi dare degli ordini››.[5]



[1] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 91.

[2] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 26.

[3] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 13.

[4] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 40.

[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 53.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

 

 

 

 

 

 

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Il controllo degli sfinteri nell'autismo

 

Spesso, nei bambini con autismo sono presenti disturbi nel controllo degli sfinteri, con emissione completa e incontrollata di urina (enuresi) o di feci (encopresi), anche dopo che sia trascorso il periodo nel quale dovrebbero avere acquisito questo tipo di autonomia (tre - quattro anni). Il controllo delle feci e delle urine, nei bambini con sintomi di autismo, avviene a un’età nettamente superiore, rispetto a quanto avviene sia nei bambini normali sia nei bambini che presentano lievi disturbi psicologici. Per quanto riguarda le cause, è noto quanta influenza abbia su questi disturbi il benessere o il malessere interiore. Ciò conferma la presenza di un notevole stato di tensione interiore, ma anche d’immaturità, che rallenta, altera o rende difficili queste importanti funzioni.

L’enuresi e l’encopresi possono essere primarie quando questo controllo non si acquisisce all’età fisiologica oppure secondarie quando questo controllo, che si era già conquistato, si perde in un momento successivo. Poiché i problemi del bambino con sintomi di autismo sono precoci, molto spesso entrambe queste incontinenze sono primarie. In alcuni casi, sia l’enuresi sia l’encopresi sono attuati volontariamente, quando il bambino vuole manifestare il suo disappunto nei confronti dei genitori o degli adulti dai quali non si sente capito e accettato. In questi casi egli può presentare anche un atteggiamento provocatorio, per cui esibisce la biancheria sporca, mostrandosi insensibile alle osservazioni e ai rimproveri.

 Questi comportamenti sono notevolmente invalidanti, poiché spesso allontanano sia i coetanei sia gli adulti dal contatto e dal rapporto con questi bambini, a causa del cattivo odore che da essi emana. Possono altresì peggiorare il rapporto con i genitori, poiché questi, soprattutto la madre, sono costretti a impegnarsi frequentemente nella pulizia sia del bambino sia dei suoi indumenti. Ciò, a lungo andare, può accentuare il distacco e i conflitti tra i genitori e il loro figlio, a causa delle continue sgradevoli incombenze che questi procura loro. Il bambino diventa agli occhi dei suoi genitori sempre più un bambino “brutto e cattivo”, poiché fa i suoi bisogni fisiologici nei modi e nei tempi meno opportuni, che costringono i genitori a continue operazioni poco piacevoli e laboriose.

È evidente come i bambini con sintomi di autismo che continuano a presentare enuresi ed encopresi, essendo investiti da sentimenti e reazioni negative da parte dei familiari e dei compagni, tenderanno a vivere questa loro condizione con ansia, paura, senso di colpa e d’indegnità. La qual cosa non potrà che peggiorare il quadro clinico generale.

In alcuni casi, invece, l’urina o le feci possono essere trattenute per molto tempo a causa della paura o di altre particolari istanze interiori. Come racconta la Williams: ‹‹In quel periodo avevo molta paura di andarci: trattenevo l’urina per quella che mi sembrava un’eternità e poi andavo, un attimo prima di farla dov’ero. Talvolta la trattenevo per cinque giornate intere, fino ad essere così gonfia da vomitare bile››.[1]

Poiché il bambino con disturbi dello spettro autistico, così come i bambini piccoli, non è psicologicamente maturo per essere educato a questa funzione, spesso le tecniche normalmente utilizzate per i bambini normali non sono adeguate. Pertanto il nostro impegno dovrà essere rivolto a migliorare il mondo interiore di questi bambini e ad aiutare la loro crescita affettivo-relazionale mediante degli interventi psicologici rivolti sia alla famiglia che ad essi.  



[1] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 12.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

 

 

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Il rapporto con gli animali nell'autismo

Il rapporto con gli animali è certamente più complesso e difficile ma anche più gratificante e maturante, rispetto a quello che i bambini con sintomi di autismo possono ottenere dagli oggetti, poiché gli animali sono capaci di attenzione e possono comunicare segnali di affetto e amicizia. Per quanto riguarda poi alcuni animali dotati di socievolezza, oltre che di buone capacità affettive e relazionali verso gli esseri umani, come i delfini, i cani, i gatti o i cavalli, il rapporto di questi animali con i bambini con sintomi di autismo può sicuramente essere molto positivo e ricco di stimoli.

Tuttavia bisogna sempre tener presente che è solo la presenza costante di un rapporto caldo, pieno, gratificante, gioioso, soddisfacente con degli esseri umani e soprattutto con i propri genitori, l’humus indispensabile, capace di far crescere e maturare l’Io di questi bambini.

Inoltre questo rapporto con gli animali è utile e si può instaurare efficacemente soltanto quando questi bambini hanno effettuato un percorso maturativo, che li ha aiutati non solo a non avere paura di quello specifico animale, ma anche a sapersi ben relazionare con essi. In caso contrario vi è il rischio di accentuare i loro angosciosi timori oppure si rischia di provocare nell’animale dei traumi che potrebbero provocargli una maggiore irrequietezza e aggressività.

Infine è bene non pretendere troppo da questi bambini: come immaginare che debbano prendersi cura del grazioso e morbido gattino o dell’affettuosissimo cagnolino comprati per loro. Spesso questi comportamenti responsabili non li assumono neanche i bambini che rientrano nella norma, pertanto è difficile che lo facciano i bambini con disturbi dello spettro autistico. Evitiamo quindi di aspettarci troppo, poiché rischiamo di comunicare loro la nostra delusione e la nostra irritazione.

 

L’episodio che riportiamo ne è un esempio.

Il papà di Salvatore era sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che guarisse il figlio che presentava sintomi di autismo, per cui rivolse la sua attenzione anche agli animali, in particolare ai cani, descritti come apportatori di benefìci, per le loro capacità di stimolare in questi soggetti le capacità sociali e relazionali.

E così questo papà arrivò a casa portando un bel cane, sicuro dell’effetto curativo che avrebbe procurato sul figlio. Purtroppo le cose non andarono come previsto. Il padre scoprì ben presto che il bambino aveva il terrore di quest’animale invadente e latrante, per cui cercava in ogni modo di starne lontano, chiudendosi nella sua stanza. Inoltre per cercare di non sentire il suo frequente abbaiare, ancor più si sentì costretto a mettere le mani nelle orecchie, nel tentativo di proteggersi. E poiché la moglie non aveva alcuna intenzione di portare l’animale più volte al giorno fuori per fargli fare i bisognini, né intendeva pulire quando questi, essendo piccolino, sporcava il pavimento della casa, il nervosismo dei genitori e i loro conflitti aumentarono ogni giorno di più. Insomma la situazione per tutta la famiglia, ma anche per Francesco, non solo non migliorò affatto ma peggiorò di molto, tanto che dopo appena un mese il cane fu riportato nel negozio di animali dal quale il padre lo aveva comprato.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

 

 

 

 

 

 

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Sessualità e rapporti amorosi nei soggetti con disturbi autistici

 

I giovani con sintomi di autismo possono avere, e in realtà hanno, desideri sessuali e amorosi. Essi s’innamorano, hanno interesse nei confronti dell’altro sesso, si eccitano davanti a foto o disegni erotici, praticano la masturbazione. Tuttavia quando cercano di instaurare dei rapporti con l’altro sesso, nascono numerose e importanti difficoltà. Infatti, quando l’incontro sentimentale o sessuale avviene con i soggetti normali, a causa dei numerosi limiti e necessità di questi giovani, uno stabile rapporto amoroso è difficili e spesso impossibile, poiché la loro insicurezza, le loro stereotipie, le loro paure e ansie, i loro strani e inusuali comportamenti raramente possono essere compresi ed accettati dall’altro.[1]

Ricorda De Rosa:

Fin dalla mia prima adolescenza ho amato in modo struggente la femminilità, una dimensione da cui ero intimamente attratto, ma verso cui non avevo alcuna strategia di avvicinamento e di relazione, strategia che come già detto mi mancava in realtà verso tutto il mondo.[2]

Lo stesso autore descrive in maniera sintetica con queste parole le caratteristiche dei suoi desideri amorosi: ‹‹ Credo si possa paragonare alla condizione di un uomo innamorato e chiuso nella cella di un carcere mentre la donna amata vive fuori libera››.[3]

 Ancora De Rosa:

Durante l’adolescenza ho avuto come tutti le mie cotte, i miei amori non corrisposti ma con la sofferenza in più del non potermi relazionare con la persona amata, se non nelle mie limitatissime forme di persona autistica, forme non solo limitate ma non sempre comprensibili e a tratti inquietanti››.[4]

Morello inserisce le fantasie amorose tra le poche cose che gli procuravano gioia: ‹‹Lampi di gioia sono lo smontare manie di sequenze per anni seguite; permettere che la mia oasi chiusa sia invasa da regole altrui; sognare a occhi aperti le tante ragazze che vedo nei corridoi, nelle aule nelle strade››.[5]Tuttavia lo stesso autore  non può che ammettere le notevoli difficoltà presenti nei rapporti amorosi: ‹‹Donne e ragazze rimangono un enigma per me. Se la moneta di scambio nell’amore è il contatto emotivo molto difficile per me sarà innamorarmi››.[6]

I rifiuti che essi sono costretti a subire, quando si espongono a esprimere il loro amore oppure l’accettazione di rapporti sessuali psicologicamente dolorosi, procurano a questi giovani molta sofferenza. La Williams , ad esempio, per rendere possibili i rapporti sessuali che il suo partner richiedeva, era costretta a estraniarsi dal suo corpo, così da sentirlo totalmente separato e insensibile, mentre gli occhi fissavano il nulla e la sua mente era a migliaia di miglia da lì.[7]

Difficoltà altrettanto importanti nascono quando le profferte amorose vanno verso un soggetto con un problema diverso dall’autismo. Ad esempio, quando si vuole instaurare un rapporto amoroso con un soggetto che presenta ritardo mentale.

Può essere indicativa di queste situazioni l’esperienza di Giulia, una donna con autismo ad alto funzionamento. Questa donna, frequentando un centro nel quale erano presenti altri soggetti disabili, pur di avere una storia amorosa e una vita familiare indipendente aveva cercato una relazione e si era fidanzata con un giovane che presentava un ritardo mentale di tipo medio. La donna, desiderosa di crearsi una famiglia, non sapeva darsi pace del fatto che l’uomo del quale si sentiva fidanzata si fosse bruscamente allontanato da lei, nel momento in cui gli aveva chiesto di avere dei bambini, sposarsi e formare una famiglia. Non capiva e non riusciva ad accettare i reali motivi che il suo ragazzo cercava di farle intendere e cioè che era impossibile creare una famiglia non avendo un lavoro e un minimo di entrate economiche. In quel caso, il desiderio della donna, istintivamente molto forte ma anche irrazionale, superava di molto il buon senso del fidanzato.

Purtroppo sono incompatibili e spesso votati al fallimento, anche gli approcci e le “storie” che questi ragazzi hanno nei confronti di altre persone con le stesse problematiche. La causa più frequente di questi fallimenti riguarda la comunicazione e la gestione delle emozioni. Soprattutto riguarda la gestione della paura del contatto fisico, per non parlare di quello sessuale. Poiché i rapporti amorosi sono fatti di complessi e numerosi contatti, che coinvolgono inevitabilmente la comunicazione, i sentimenti, le emozioni e i corpi, in molti soggetti con autismo tali contatti sono difficili da accettare, ma soprattutto sono ancora più difficili da esprimere. La Williams, nella sua autobiografia, parla con dovizia di particolari dei suoi disastrosi rapporti amorosi e sessuali, che intraprendeva a volte per la necessità di avere accanto qualcuno che potesse darle assistenza e protezione, cosa che i suoi genitori non erano in grado di fare.

 L’autrice ricorda:

Durante l’anno in cui mi ero così avvicinata a Bryn (un altro giovane con autismo) non avevo mai superato la paura e il terribile senso di nervosismo che mi assaliva nel vederlo. Talvolta ciò aveva reso l’incontrarlo una tortura impossibile da tollerare. [8]

Per i due innamorati, entrambi con sintomi di autismo, era difficile anche solo guardarsi negli occhi:

Cominciai a spazzolare i capelli di Bryn. Lui comprava il pranzo e dividevamo il cibo sull’erba, sotto un albero speciale. Entrambi trovavamo estremamente difficile guardarci negli occhi e quando lo facevamo tornava la spaventosa sensazione di perdere noi stessi.[9]

La stessa difficoltà esprime Morello: ‹‹Ma la sicurezza di dover passare nel materno tocco di mani estranei mi terrorizza, così sono costretto nel mio zitto autistico vaso di Pandora››. [10]

Poiché questi giovani potranno instaurare e mantenere dei solidi legami sentimentali e sessuali o anche crearsi una famiglia, soltanto quando avranno conquistato la libertà dalle ansie e dalle paure e buone capacità sociali e relazionali, è preferibile che i genitori e la società s’impegnino a diminuire e se possibile eliminare il loro grave malessere interiore, utilizzando una terapia affettivo - relazionale mediante la tecnica del Gioco Libero Autogestito, piuttosto che cercare di dar loro la possibilità d’incontri sentimentali o sessuali con il rischio di provocare soltanto altre frustrazioni e sofferenze.

 
 
 


[1] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 77.

[2] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 61.

[3] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 62.

[4] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 62

[5] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 145.

[6] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 177

[7] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore,

[8] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 118.

[9] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 118.

[10] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 160.

Disturbi dell’attenzione e ricerca dell'immutabilità e dell'ordine nei bambini con sintomi di autismo

L'attenzione è la capacità di:

  • focalizzare il proprio pensiero su un determinato argomento o oggetto;
  • mantenere questa focalizzazione per il tempo necessario;
  • riuscire a dividere l’attenzione tra vari oggetti o argomenti e non confinarla su un unico oggetto o tema.

L’attenzione implica processi quali l’attivazione, il controllo dell’inibizione, la ricerca e l’assestamento.[1]

Dagli studi effettuati nel settore delle neuroscienze, sappiamo che questa capacità dipende in gran parte dall’entrata in gioco della corteccia frontale. Essa è in grado di facilitare o bloccare tutte quelle informazioni che riguardano il compito che, per quella determinata persona, è prevalente in quel momento.[2]

In tutte le persone di ogni età è presente il fenomeno della mente vagante (mind wandering), che consiste nello spostare l’attenzione dall’attività che si sta svolgendo a sensazioni interne, pensieri e preoccupazioni personali. Questo fenomeno caratterizza il 25% - 50% dell’attività della nostra mente durante la veglia.[3]

Il perdersi nei propri pensieri è ciò che fa disperare i genitori e gli insegnanti i quali vorrebbero invece che i figli e gli alunni fossero sempre presenti e attenti a ogni loro parola o richiesta.

Questo distrarsi dall’attività che si sta svolgendo lasciandosi coinvolgere dai pensieri e dalle emozioni interne può avvenire con varia intensità, durata e a diversi livelli di profondità. Pertanto può andare dai sogni ad occhi aperti, al fantasticare su eventi futuri, al fare delle considerazioni personali sul compito che si sta svolgendo, ad analizzare più volte lo stesso problema. Il vagare con la mente può riguardare realtà attuali o del passato, che sono state o sono ancora difficili da affrontare o risolvere. Realtà che possono essere molto liete ed eccitanti, come ad esempio, un innamoramento, una vittoria, una promozione, ma possono riguardare anche delle situazioni tristi e angosciose, come l’essere vittime di un lutto, un abbandono o un’offesa subita.

In questi e in tanti altri casi la mente, a volte per pochi secondi, altre volte per ore e giorni, tende a rimuginare senza sosta sugli stessi fatti, sui medesimi pensieri ed emozioni provate. È evidente che ciò comporti il distrarsi dal compito che si sta svolgendo in quel momento. Non sempre quest’attività è controllabile da parte della volontà. Anzi spesso la persona coinvolta non riesce, se non per breve tempo, a sostituire questi pensieri con altri meno ripetitivi e, alla fine penosi, se i pensieri preminenti sono tristi o angoscianti.

L’utilità di questo vagare con la mente, quando il fenomeno non è persistente ed eccessivo è innegabile: la mente in quei momenti, ruminando pensieri, ricordi, emozioni e sensazioni, cerca in alcuni casi di capire i comportamenti degli altri, altre volte prova a trovare i migliori possibili rimedi e le strategie più opportune da mettere in campo per affrontare alcune situazioni difficili o problematiche.

Questo fenomeno è nettamente più frequente nei periodi di stress e stanchezza e si manifesta maggiormente nelle persone tristi, preoccupate, ansiose o depresse,[4] pertanto lo ritroviamo in modo accentuato nelle persone con sintomi di autismo, le quali spesso non riescono a seguire il pensiero o l’attività del momento, sui quali viene richiamata o vorrebbero porre la loro attenzione, così come non riescono a seguire il pensiero e il ragionamento degli altri, poiché, nella loro mente s’inseriscono, senza dar loro tregua, continue immagini, riflessioni e pensieri parassiti, difficili da eliminare e mettere da parte, così da lasciare la mente libera d’impegnarsi nelle attività richieste o desiderate.

 

Per tale motivo, spesso è molto difficile indurre i bambini o adulti con sintomi di autismo a porre attenzione su un determinato oggetto, argomento o azione da compiere o non compiere, anche se questa richiesta è molto semplice e banale: ‹‹Per piacere, vuoi chiudere la porta?››; ‹‹Per cortesia, siediti nel tuo banco››; ‹‹Cosa ti piacerebbe mangiare oggi?››; ‹‹Quale vestito vuoi metterti per andare a scuola?››.

Per tali soggetti è inoltre difficile, tra i vari stimoli che provengono dall’ambiente interno ed esterno, riuscire a selezionare quello più importante e utile in un determinato momento. Pertanto, ad esempio, un bambino con sintomi di autismo, che viene interrogato, s’impegna a mettere in ordine in modo meticoloso i suoi colori nel loro astuccio e sembra non ascoltare le richieste della maestra, poiché in quel momento è predominante in lui il bisogno di sistemare ciò che è disordinato, piuttosto che ascoltare quello che chiede l’insegnante.

I bambini con sintomi di autismo hanno difficoltà nel condividere l’attenzione con gli altri in tutte le situazioni, anche solo di gioco. È invece spesso presente un’attenzione rigida e fissa su alcuni oggetti o su alcuni argomenti (attenzione iperselettiva), per cui la loro attenzione si attiva solo su determinati stimoli, mentre vengono trascurati tutti gli altri. Ciò facilità molto l’apprendimento o lo studio di un determinato argomento, il che fa di alcuni di questi bambini dei particolari e settoriali geni, ma nello stesso tempo sono trascurati tanti altri settori altrettanto importanti per la loro vita scolastica, relazionale e sociale.

 La causa più importante dei disturbi dell’attenzione nei soggetti con sintomi di autismo va ricercata nella costante presenza di svariate e coinvolgenti emozioni interne, come le paure, le fobie, l’angoscia e la sofferenza. Queste emozioni negative costringono questi bambini a ricercare vari espedienti per ottenere, mediante la chiusura verso il mondo esterno, qualche momento di serenità e pace. Oltre a ciò è spesso presente un’istintiva notevole ostilità e diffidenza verso tutte le richieste che provengono dalle altre persone, giacché per esperienza i soggetti con sintomi di autismo sanno che queste tendono a chiedere loro di fare o non fare determinate azioni o comportamenti, di dire o non dire determinate parole o frasi, senza tenere in alcun conto i loro gravi e immediati bisogni.

Purtroppo i bambini con disturbi autistici vedono gli altri in modo negativo: spesso ogni iniziativa degli altri che in qualche modo li può riguardare è vista con sospetto ed è interpretata come dannosa, giacché può cambiare lo stato di uniformità e d’immobilità che, per questi bambini, è indispensabile per avere un minimo di tranquillità e sicurezza. In tali situazioni, tutti i tentativi che gli adulti mettono in atto sia con dolcezza, sia con minacce, per attirare la loro attenzione, sono vani e tendono a peggiorare il loro mondo interiore e il già cattivo rapporto che essi hanno con gli esseri umani.

D’altra parte sappiamo che anche i bambini normali sono attenti alle richieste dei genitori e degli insegnanti quando questi assumono nel loro cuore delle valenze positive e hanno stabilito con loro una buona e profonda relazione, mentre non amano ascoltare e ubbidire a quei genitori o a quegli insegnanti che li rimproverano eccessivamente, li puniscono o non li fanno sentire a loro agio.

Poiché il nostro compito non sarà quello di indurli a fare o non fare determinati gesti, attività o comportamenti ma consisterà nel lavorare giorno per giorno, momento per momento per rasserenare l’animo di questi bambini, così da renderli più sereni, forti e maturi, scopriremo presto che insieme a tutti gli altri sintomi migliorerà o scomparirà anche questa loro difficoltà nel porre attenzione e nell’accettare le richieste degli altri: adulti o coetanei che siano.

 

 

Fabio, un nostro piccolo paziente di sei anni con sindrome di Asperger, che sembrava conoscere a meraviglia le autostrade non solo della Sicilia ma anche di tutta l’Italia, delle quali riusciva a disegnare ogni entrata, ogni uscita, ma anche le stazioni di servizio conosceva anche ogni strada che la madre aveva percorso la prima volta per recarsi al nostro centro. Questo bambino, che nei nostri confronti era sempre stato sorridente, educato e gentile, un giorno diventò furioso, tanto da augurare, di fronte a noi, alla propria madre i dolori più lancinanti e la morte più violenta e disumana, solo perché questa, venendo nel nostro centro, non solo non aveva percorso la stessa strada che faceva sempre, ma, peggio ancora, non aveva seguito le precise indicazioni che lui le aveva dato: su dove svoltare, su dove fermarsi e infine dove sostare.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

 

 

 

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[1] Silieri L., Lorenzoni L., Tasso D. (1997-1998), “Il problema dell’attenzione nella scuola media”, in Psicologia e Scuola, dicembre – gennaio, p. 9.

[2] Oliverio A, (2013), “Effetto cocktail party”, in Mente e cervello, novembre, p. 18.

[3] Zavagnini M. et De Beni R. (2016), “La mente che vaga”, in Psicologia contemporanea, maggio- giugno, p. 29.

[4] Zavagnini M. et De Beni R. (2016), “La mente che vaga”, in Psicologia contemporanea, maggio- giugno.

[5] Militerni R- Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 255.

[6] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erickson, p. 53.

[7] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 44.

[8] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 29.

[9] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 75.

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