Autismo

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I disturbi della socializzazione e del gioco

I disturbi della socializzazione e del gioco

 

Per quanto riguarda l’interazione sociale, cioè la capacità di entrare in relazione con l’altro, questa richiede dei vissuti interiori adeguati. L’altro non mi deve creare né disagio, né paura, anzi, l’altro, lo devo avvertire come amico, vicino, disponibile, attento e accettante. Ciò mi spingerà ad aprirmi a lui. Ciò mi stimolerà a cercare con lui un confronto ed un dialogo. Se ciò non avviene, se l’altro è avvertito come distante e freddo, se l’altro viene ravvisato come apportatore di ansie, paure, insicurezze e frustrazioni, l’interazione sociale sarà deficitaria o non avverrà affatto.

 

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

 

Il sorriso, lo sguardo e l’apparente socievolezza di Giacomo mascherano una sindrome autistica.  

 Dott.ssa Simona Cardile - Psicologa.

 

Giacomo, un  bambino affetto da Disturbo dello spettro dell’Autismo, viene accompagnato presso il Centro Studi Logos per la prima volta all’età di tre anni e mezzo. La sua storia è la dimostrazione di come non esista un “Autismo” ma molteplici forme di tale sindrome.

Abbiamo conosciuto Giacomo solo dopo che la madre, durante le sedute di riabilitazione logico-cognitiva della sua secondogenita, raccontava che il terzo dei suoi figli non aveva ancora sviluppato l’uso del linguaggio, non presentava il controllo sfinterico, era irritabile ed aggressivo.  Nonostante questi segni la donna non evidenziava particolari problemi nel figlio. Il terapeuta consigliò alla signora di portare il bambino in visita per poter effettuare un’adeguata osservazione e, in caso di problemi, poter intervenire il più precocemente possibile.

Dall’anamnesi fornita dai genitori si evidenziava che il bambino era nato dieci giorni prima del termine dopo una gravidanza regolare e non aveva manifestato alcuna problematica in età neonatale. Lo sviluppo motorio e la produzione dei primi fonemi erano avvenuti in epoca regolare. Durante la frequenza della scuola materna, avvenuta all’età di tre anni, le insegnanti avevano però fatto notare ai genitori che il bambino presentava ritardo nel linguaggio, notevole irrequietezza e pianto, in particolare quando l’ambiente classe diventava troppo caotico. Le insegnanti evidenziavano che Giacomo tendeva a svolgere i giochi e le attività in maniera solitaria.

La madre riferiva, invece, che il figlio, nell’ambiente domestico, giocava con le sorelle, era eccessivamente dipendente da lei che chiamava “gioia” e “cucciola” e della quale ricercava spesso delle coccole.

Giacomo veniva, quindi, descritto dai genitori  come un bambino eccessivamente legato alla madre, troppo vivace e nervoso <<Se non viene accontentato nelle sue richieste manifesta crisi di nervosismo>>. I rapporti con i familiari erano descritti come buoni, veniva però rimproverato a causa del suo comportamento disubbidiente e per la sua irrequietezza motoria. Con gli estranei,  invece, si mostrava molto diffidente soprattutto all’inizio del rapporto. La madre affermava, inoltre, che il figlio era consapevole dei sentimenti altrui e che quando viveva dei momenti di disagio voleva essere consolato.

Nella prima osservazione effettuata si evidenziava che Giacomo presentava comportamenti aggressivi e irritabili, non accettava le frustrazioni e le piccole regole. Era evidente il suo ritardo nel linguaggio. Questo si manifestava con la produzione di vocalizzi  incomprensibili. Era presente anche ritardo nel controllo degli sfinteri. Con i familiari, e in particolare con la madre, il bambino si mostrava affettuoso e presentava un’adeguata espressione delle emozioni, larghi sorrisi e contatto oculare.

 

Questi  ultimi elementi avevano portato in un primo momento ad escludere la possibilità che Giacomo fosse affetto da Disturbo dello Spettro dell’Autismo, per cui era stata effettuata una diagnosi di Ritardo Mentale. Per aiutare Giacomo a sviluppare le abilità deficitarie si era deciso di utilizzare il programma base per lo sviluppo logico e cognitivo “Voglia di Cresce”.

Tuttavia, nei successivi incontri,  era stato possibile notare nel bambino la presenza di sintomi caratteristici dell’autismo: notevoli stereotipie, in particolare nel gioco, che spesso risultava ripetitivo e stereotipato; estraniamento dalla realtà con isolamento rispetto all’ambiente attorno a lui; scarsa interazione  sia con il terapeuta  che con le tirocinanti;  timore del contatto fisico. Inoltre, a ben vedere, il sorriso del bambino era stereotipato e privo di vera comunicazione. Questi elementi avevano dato l’input per effettuare una nuova diagnosi “Disturbo dello Spettro dell’Autismo”. Veniva allora proposto ai genitori di aiutare il figlio mediante delle sedute di psicoterapia  con utilizzazione  del Gioco Libero Autogestito.                                                                                                                 Questa tipo di terapia permette al bambino di scegliere l’attività da compiere, il luogo in cui compierla e con chi. Il bambino può quindi richiedere la partecipazione di qualcuno durante le sue attività, come può, al contrario, decidere di svolgerle in solitudine. Il terapeuta è presente in ogni momento senza forzare il bambino nella scelta del gioco e nel modo di svolgerlo pur essendo pronto ad aiutare, sostenere e incoraggiare il piccolo nei momenti di bisogno. Nello stesso tempo ci si propone di  aiutare la madre a meglio gestire i comportamenti irrequieti, aggressivi e prepotenti di Giacomo.

La Psicoterapia del minore della durata di dieci mesi (da Settembre a Giugno) è stata svolta individualmente. Tuttavia veniva accettata la partecipazione della madre e delle sorelline ogni volta il queste ultime o il bambino lo richiedevano. Le sedute si sono svolte in media una volta alla settimana nei primi mesi di terapia, e successivamente, quando i miglioramenti di Giacomo  sono risultati più evidenti, ogni quindici giorni. Ogni seduta aveva una durata di circa 45 minuti e si svolgeva in presenta del terapeuta e di uno psicologo osservatore. Al fine di poter meglio evidenziare i cambiamenti   e lo sviluppo di Giacomo nelle diverse aree, l’intero periodo di psicoterapia è stato diviso in cinque sotto-periodi della durata di due mesi.

Area emotiva e relazionale

 

 

 

 

Periodo Settembre-Ottobre. Per quanto riguarda l’area emotiva e relazionale Giacomo si mostra aggressivo nei confronti della madre, della quale però, allo stesso tempo, ricerca il contatto fisico e verso la quale si mostra eccessivamente legato. In sua presenza il bambino si mostra molto teso, nervoso e irritabile; tra madre e figlio sembra presente un rapporto di amore ed odio.                        La sorellina si mostra, invece, molto protettiva nei confronti del bambino. Verso di lei Giacomo è più accondiscendente: accetta  i giochi da lei proposti e la segue in un’altra stanza prendendola per mano.    Con il terapeuta invece Giacomo mostra pochissimi e molto brevi momenti di scambio, ignorando ogni sua proposta  e ogni tentativo di interazione. Solo verso la fine dei primi due mesi il bambino sembra accettare, anche se marginalmente e per un tempo esiguo,  le interazioni del terapeuta.                                                                                                                                         Sul piano emotivo Giacomo si mostra nervoso, irrequieto, emette dei gridolini quando lo svolgimento del gioco non procede come lui vorrebbe. Ogni volta che il terapeuta prende un oggetto poco prima utilizzato dal bambino, Giacomo in maniera decisa difende l’oggetto dicendo “E’ mio!”. Manifesta maggiore aggressività nei confronti della madre soprattutto quando,  terminata la seduta, la madre cerca di far uscire il figlio il quale, invece, vorrebbe rimanere a giocare. È  possibile notare sul volto di Giacomo la presenza di sorrisi stereotipati che non manifestano il suo mondo interiore ma sono emessi solo per far piacere ai presenti. Questi sorrisi appaiono come una maschera che il bambino indossa per evitare di manifestare agli altri dei quali non ha alcuna fiducia, il suo reale stato d’animo.

Periodo Novembre-Dicembre. Per quanto riguarda la capacità di relazionare con gli altri, Giacomo si mostra molto legato alla sorellina che trattiene dal braccio quando provano ad allontanarsi dalla stanza in cui si svolge la psicoterapia.                                                                                                Con il terapeuta l’interazione è migliorata, il bambino durante, lo svolgimento delle sue attività, ricerca anche se non costantemente l’aiuto in caso di bisogno e le gratificazioni quando riesce a portare a termine un gioco. È anche possibile notare un leggero disappunto quando alla fine delle sedute il terapeuta si allontana dalla stanza lasciandolo da solo a giocare. Disappunto espresso attraverso la produzione di piccoli lamenti simili a un pianto.                                                               Sul piano emotivo la madre riferisce che Giacomo è più calmo, lo stesso comportamento è possibile notarlo durante lo svolgimento della Terapia. Il bambino mostra infatti un numero maggiore di sorrisi soprattutto quando il terapeuta lo gratifica durante lo svolgimento delle sue attività.

Periodo Gennaio-Febbraio. In questi due mesi si evidenziano in Giacomo diversi cambiamenti. Intanto la relazione con il terapeuta è diventata sempre più intensa. Diversamente dal periodo precedente in cui il bambino mostrava leggero disappunto quando il terapeuta si allontanava dalla stanza della psicoterapia per poi dedicarsi nuovamente alla sua attività come se nulla fosse, in  questo periodo invece non appena termina la seduta, Giacomo segue il terapeuta nel suo studio abbandonando il gioco che sta svolgendo. Prima di lasciare il Centro Studi Logos il bambino si lascia accompagnare per mano nella stanza della terapia così da poter scegliere un gioco da portare con sé. Anche l’espressione delle emozioni si è lievemente modificata, Giacomo mostra un volto più rilassato ed ampi sorrisi durante lo svolgimento delle attività, sorrisi che alle volte, come detto in precedenza, sono stereotipati, altre volte invece si mostrano reali e coerenti col momento vissuto. Nonostante non sia visibile dalle espressione facciali del bambino, Giacomo vive uno stato di sofferenza interiore e rabbia che è possibile osservare nella sua continua tendenza a creare scompiglio nella stanza vuotando tutti i giochi sul pavimento, per poi riordinarli. Questa attività l’abbiamo interpretata come un modo per liberarsi dai pensieri e dai sentimenti negativi e aggressivi che prova scaraventando a terra i giocattoli, per poi poter fare di nuovo ordine sia nella stanza che nel suo animo.

Periodo Marzo-Aprile. Prendendo in considerazione l’area relazionale Giacomo mostra ulteriori cambiamenti: in particolare la relazione con il terapeuta diventa sempre più solida. In un’occasione ad esempio, mentre la madre sta parlando nello studio con il terapeuta, il bambino li raggiunge, apre la porta, e scambiando uno sguardo e un grande sorriso con il terapeuta la richiude aspettando dietro la porta che lui lo raggiunga. Non appena il terapeuta esce nel corridoio Giacomo si lascia rincorrere sino alla stanza della psicoterapia, sorridendo in un gioco ricco di complicità. Anche durante lo svolgimento del gioco il bambino richiede la partecipazione del terapeuta ma, al contrario delle sedute precedenti, non per ottenere un aiuto, ma per condividere un’attività piacevole da fare insieme.         La relazione con la madre è migliorata, la donna descrive il figlio infatti come “più calmo”. Il bambino si intrattiene piacevolmente anche con le tirocinanti mentre aspetta che il terapeuta lo raggiunga. Le emozioni espresse sono principalmente di gioia: Giacomo mostra grandi sorrisi e un volto sereno. Nonostante ciò continua a sfogare la sua aggressività attraverso il gioco dapprima disordinando i giocattoli, per poi successivamente riordinarli.

Periodo Maggio-Giugno. Giacomo è riuscito ad istaurare un’adeguata relazione con il terapeuta, ricerca attivamente la sua presenza per condividere interessi, giochi, attività ed emozioni piacevoli provati. Nel corso dell’ultima seduta è stato possibile per la prima volta udire il bambino ridere in maniera spensierata, coerente e complice insieme al terapeuta mentre, sistemando dei birilli in un apposito scaffale, questi continuavano a cadere. Sempre per la prima volta è stato possibile osservare il vero volto di Giacomo libero dal sorriso stereotipato che mostrava per compiacere e difendersi dagli altri. Il bambino, ad un tratto, ha interrotto il suo gioco si è mostrato serio in volto, come assente e perso nei suoi pensieri. Il percorso psicoterapeutico ha migliorato in maniera evidente la relazione tra madre e figlio: Giacomo spesso, svolge la sua terapia in sala d’attesa dove, battendo su una stufa, ed utilizzando la sua fantasia finge di suonare un tamburo così da inscenare un intero spettacolo apposta per lei. La madre riferisce inoltre che a casa il bambino ricerca la sua presenza per giocare insieme ad esempio al gioco del nascondino.

Linguaggio e comunicazione

Periodo Settembre-Ottobre. Il bambino accompagna le sua attività emettendo delle vocalizzazioni incomprensibili e continue. Sembra che Giacomo parli da solo, a voce alta, utilizzando una lingua a noi sconosciuta. Solo rare volte pronuncia qualche parola che ripete diverse volte e in modo non coerente con il contesto. Quando invece il bambino si arrabbia emette grida di fastidio.

Periodo  Novembre-Dicembre. Le capacità comunicative di Giacomo sono ancora molto scarse, continua a produrre le sue vocalizzazioni costanti ed incomprensibili. Solo raramente pronuncia qualche parola ripetuta in maniera monotona. Per quanto riguarda la comunicazione non verbale è possibile notare come il bambino riesca a farsi comprendere quando necessita dell’aiuto di un’altra persona. Ad esempio, se ha bisogno di aiuto nell’effettuare un gioco, lo porge al suo interlocutore rendendo chiaramente comprensibile ciò di cui ha bisogno.

Periodo  Gennaio-Febbraio. Nel corso di questi due mesi è possibile notare in Giacomo dei cambiamenti nelle sue capacità comunicative. Mentre a Gennaio il bambino produceva ancora vocalizzazioni incomprensibili, attualmente  si possono udire parole e frasi come “no”, “ecco”, “ci siamo quasi”, pronunciate coerentemente col contesto.  Verso la fine di febbraio abbiamo notato che una progressiva diminuzione delle vocalizzazioni che sono poi del tutto scomparse. Giacomo, infatti, ora svolge le sue attività senza produrre alcun suono inusuale. In questa fase aumenta l’utilizzo della comunicazione non verbale, il bambino porge i giocattoli al terapeuta quando desidera essere aiutato nello svolgimento delle sue attività, o indica gli oggetti che vuole far vedere agli altri.

Periodo Marzo-Aprile. Giacomo ha sviluppato adeguate capacità comunicative. Il bambino ripete più volte le stesse parole e frasi coerenti con l’attività che sta svolgendo (“Apre” facendo capire al terapeuta che vuole essere aiutato ad aprire una scatola; “abbraccio” mentre prende in braccio dei bambolotti; “pronti, partenza” quando spinge velocemente un passeggino giocattolo come se fosse una macchinina con cui effettuare una gara; “dov’è?” rivolto verso il terapeuta quando insieme cercano la tessera mancante per completare il puzzle con cui stanno giocando). Altre volte invece Giacomo ripete le parole appena udite dal terapeuta, come per allenarsi nella pronuncia dei vocaboli per lui nuovi. La comunicazione non verbale è sempre più utilizzata dal bambino.  Giacomo infatti indica gli oggetti, li mostra e li porge all’interlocutore facendo capire di cosa ha bisogno.

Periodo Maggio-Giugno. Negli ultimi due mesi è possibile notare come la comunicazione e il linguaggio di Giacomo siano molto migliorati rispetto all’inizio della terapia. La produzione inusuale di vocalizzazioni ha lasciato il posto alla produzione prima di parole, poi di piccole frasi pronunciate in maniera coerente ed adeguata al contesto (ad esempio:  “che bel disegno” mentre osserva il puzzle che ha terminato di costruire). In alcune occasioni è ancora possibile notare l’uso della terza persona anche se la frase è rivolta a se stesso “mette a posto!” mentre sta riordinando dei giochi in uno scaffale.  Anche la comunicazione non verbale è molto presente Giacomo indica ciò di cui ha bisogno al fine di rendere partecipe il terapeuta.

Contatto fisico e oculare

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo presenta fin dalla prima seduta contatto oculare anche se non per un tempo prolungato. Per quanto riguarda il contatto fisico, il bambino non accetta invece un’eccessiva vicinanza con il terapeuta. Giacomo infatti si allontana o irrigidisce il corpo quando qualcuno prova ad avvicinarsi. Con il trascorrere delle sedute però il bambino accetta sempre più il contatto fisico con il  terapeuta.                                                                                                        Il contatto fisico con la madre e le sorelline è invece presente, il bambino ad esempio si siede sulle gambe della madre, o si lascia accompagnare,  tenuto per mano, dalla sorellina nella stanza dove si svolge la Psicoterapia.

Periodo Novembre-Dicembre. Il contatto oculare è sempre più prolungato nel tempo, in particolare quando Giacomo vuole condividere la gioia di essere riuscito a svolgere l’attività che sta effettuando (il bambino ad esempio guarda il terapeuta in maniera prolungata non appena inserisce l’ultima tessera del puzzle che sta completando attendendo da lui un gesto di gratificazione). Non accetta però ancora pienamente il contatto fisico con il terapeuta anche se si avvicina sempre più durante i momenti di gioco.  Il bambino richiede invece la vicinanza della sorella durante lo svolgimento delle sue attività.

Periodo Gennaio-Febbraio. Lo sguardo di Giacomo diventa sempre più agganciabile, il bambino guarda molte volte il terapeuta durante il gioco, sia per ricercare il suo aiuto che per condividere con lui momenti di gioia e piacere. Anche il contatto fisico è aumentato rispetto ai mesi precedenti, il bambino svolge i suoi giochi avvicinandosi sempre più al terapeuta o sedendosi accanto a questi sul divano. È ancora possibile notare la presenza di una postura rigida quando si trova seduto vicino al terapeuta, il bambino infatti sfugge ai suoi gesti d’affetto.

Periodo Marzo-Aprile. Come detto all’inizio Giacomo ha sempre presentato il contatto oculare col terapeuta, anche se nel corso delle sedute è evidente un aumento degli sguardi sia nel numero che nella durata. In questo periodo però il bambino rende partecipe delle proprie gioie anche lo psicologo tirocinante che segue le sue sedute, sostenendo per lungo tempo lo sguardo. Attende le consuete gratificazioni fatte di sorrisi e parole d’affettuose, quando riesce nelle sue attività. Inoltre bisogna sottolineare come lo sguardo che Giacomo scambia con il terapeuta stia diventando uno sguardo di complicità. Per quanto riguarda il contatto fisico il bambino accetta maggiormente le coccole da parte del terapeuta, soprattutto nei momenti in cui appare più sereno (ad esempio mentre ascolta la dolce musica proveniente da un carillon).

Periodo Maggio-Giugno. Giacomo presenta contatto oculare sostenuto nel tempo, utilizza molto lo sguardo per comunicare sentimenti ed emozioni. Per quanto riguarda il contatto fisico  il bambino accetta la vicinanza sia con il terapeuta che con l’osservatrice lasciandosi coccolare, ma mostrandosi intimidito e vergognato. Anche durante le attività di gioco Giacomo si avvicina al terapeuta sedendosi accanto o appoggiandosi alle sue gambe per giocare.

Giochi ed attività

 

 

 

 

 

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo nei primi due mesi di terapia ha svolto un esiguo numero di giochi; in particolare impiega gran parte della seduta a costruire il puzzle di “Toy Story” contenente 10 tessere. Il bambino però non riesce ad incastrare i pezzi adeguatamente e spesso prova a caso ogni tessera da posizionare senza seguire una logica precisa. Giacomo solitamente si lascia aiutare dalle sorelle e dal terapeuta, ma non permette però una vera partecipazione dell’altro nella propria attività. Al contrario decide lui sempre quale pezzo dovrà essere inserito nell’apposito spazio per poi porgerlo al suo “terapeuta aiutante”. Un altro gioco che il bambino svolge spesso è l’utilizzo della tavoletta e dei chiodini che vanno inseriti negli appositi buchi. Il bambino però non utilizza il gioco con lo scopo per cui è stato costruito, ma si limita a porgere al terapeuta i singoli chiodini, uno per volta, per poi tornare nuovamente a posizionarli nell’apposito contenitore. I giochi che Giacomo svolge appaiono adeguati al sesso ma non all’età, essi sono ripetitivi e stereotipati. Inoltre le rarissime volte che prendendo la palla in mano decide di giocare con il terapeuta i suoi movimenti appaiono goffi e poco coordinati.

Periodo Novembre-Dicembre. Il numero di giochi che Giacomo svolge è lievemente aumentato rispetto ai due mesi precedenti, inoltre risulta più prolungato nel tempo.  La composizione del puzzle di “Toy Story” rimane la sua attività preferita, Giacomo compone il puzzle e subito dopo staccandone qualche tessera ricomincia a montarlo. Questo gioco si ripete durante tutte le sedute per un elevato numero di volte, Giacomo infatti sa che non appena inserita l’ultima tessera riceverà dal terapeuta una lode per l’attività svolta. Per questo motivo il bambino non scompone mai l’intera puzzle in quanto è consapevole che non riuscirebbe nuovamente a montarlo, si limita allora a staccare solo qualche tessera. Nonostante il gioco sia quindi stereotipato e ripetitivo, è possibile notare come sia finalizzato al raggiungimento di uno scopo : “ottenere delle gratificazione dal terapeuta”.

Periodo Gennaio-Febbraio. In questo periodo è possibile osservare dei miglioramenti nei giochi che il bambino svolge. Per prima cosa il numero di attività effettuate è molto aumentato. Giacomo mostra di preferire ancora il gioco del puzzle, non si limita più a completare solo quello di “Toy Story”, ma ne completa anche altri in particolare quello di “Winnie the Pooh” composto da 40 tessere. Inizia, quindi, ad impegnarsi nello svolgimento di attività più complesse. È possibile anche notare come al contrario dei mesi precedenti il bambino permette al terapeuta di avere un ruolo più attivo  durante lo svolgimento del gioco, lasciandogli inserire delle tessere, ricercando nell’altro oltre che un aiuto anche la condivisione dell’attività a lui piacevole.  L’altra attività che il bambino svolge per una buona parte della seduta è quella di vuotare piccoli oggetti (pedine della scacchiera, tessere dei puzzle, lego) sul pavimento, per poi raccoglierli uno alla volta, e una volta raccolti vuotare il contenitore nuovamente sul pavimento. Tale attività svolta in maniera stereotipata e ripetitiva sembra essere un modo per creare scompiglio nella stanza e successivamente rimettere ordine al caos creato. È possibile immaginare che lo stesso disordine che il bambino crea nella stanza sia presente in lui, e in quel modo Giacomo possa liberarsi dal caos che l’opprime per poi mettere ordine  nella sua interiorità.

Periodo Marzo-Aprile. Le attività ripetitive e stereotipate che Giacomo attuava nei mesi precedenti stanno scomparendo per lasciare spazio ad attività più complete e complesse. Il bambino ha quasi abbandonato il gioco del puzzle, che svolge rare volte, mentre ora preferisce dedicarsi ad altri giochi. Anche il suo creare disordine nella stanza sta scomparendo, solo per pochi minuti nel mezzo delle sedute Giacomo vuota sul pavimento piccoli oggetti, per poi tornare a dedicarsi ad altre attività giocando in maniera tranquilla. Il bambino si mostra attratto dai giochi adeguati al suo sesso e all’età:  gioca con delle macchinine lasciandole correre sul pavimento; utilizza un cane giocattolo al quale fa trasportare sul dorso dei pupazzi; gioca con la palla insieme al terapeuta. Giacomo mentre svolge queste attività osserva attentamente i giocattoli utilizzati, in particolare ne guarda girare le ruote quasi a voler comprendere il funzionamento. Da sottolineare come il bambino svolga le attività insieme al terapeuta per il piacere di condividere il gioco con lui.

Periodo Maggio-Giugno. È possibile notare come il gioco di Giacomo sia molto cambiato: In questo periodo il bambino non svolge giochi stereotipati, ma al contrario effettua attività sempre più complesse. Il numero di giochi è diminuito, per cui ogni gioco viene svolto  in maniera prolungata, ma con molte variazioni.   Importante sottolineare che come tutti Giacomo, come tutti i bambini della sua età, non utilizza, se non per poco, il giocattolo  con la funzione per cui è stato ideato, ma svolge con questo svariate attività provando tutte le possibilità insite nel giocattolo stesso. Il gioco è  per lui un modo per sviluppare le capacità cognitive e relazionali. In quasi tutti i giochi infatti Giacomo richiede la presenza del terapeuta e se questi non è presente nella stanza richiede la partecipazione dello Psicologo tirocinante utilizzando la comunicazione non verbale e verbale (ad esempio durante la realizzazione di un puzzle, Giacomo, rivolgendosi al terapeuta ha affermato “Mi aiuti?”, chiedendo quindi esplicitamente la sua partecipazione).

 

Accettazione delle frustrazioni

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo non accetta le frustrazioni, si arrabbia quando durante il gioco non riesce a svolgere questo in maniera corretta, per cui, ad esempio, non riuscendo a comporre il puzzle, lo distrugge allontanandosi bruscamente. Inoltre il bambino non accetta volentieri i consigli degli altri durante  le attività. È infatti Giacomo a voler decidere quale sarà la tessera del puzzle da inserire nonostante non sia quella corretta. Il bambino non accetta  alcuna imposizione  o regola neanche dalla madre. Ad esempio quando alla fine della seduta Giacomo deve lasciare il Centro Studi Logos, il bambino fa i capricci, per cui si assiste in questa occasione a una disputa tra madre e figlio, Giacomo da una parte urla e si irrigidisce, la madre dall’altra lo sgrida animatamente trascinandolo fuori dal centro.

Periodo Novembre-Dicembre. Come previsto dalla tecnica del Gioco Libero Autogestito, sono pochi i divieti e le regole che vengono imposti al bambino; è raro quindi che durante la seduta di psicoterapia Giacomo viva delle occasioni e delle situazioni difficili da gestire che provocano frustrazione. A detta della madre il bambino si mostra più calmo e meno aggressivo, da sottolineare il comportamento di Giacomo alla fine della seduta, il bambino infatti si allontana dal Centro con maggiore facilità, contrariamente a quanto avveniva nei mesi precedenti.                                                                              

Periodo Gennaio-Febbraio. Non è possibile osservare particolari differenze rispetto alle sedute precedenti; è possibile infatti notare come il bambino si mostri ancora infastidito se l’altro prende l’ iniziativa durante lo svolgimento del gioco. È infatti Giacomo a decidere quale gioco effettuare e in che modo. Nel caso in cui  il terapeuta prende anche solo una piccola iniziativa il bambino si mostra infastidito ed abbandona subito l’attività.

Periodo Marzo-Aprile. Giacomo al contrario che nei mesi precedenti è maggiormente capace di accettare le frustrazioni e le piccole regole che gli vengono imposte. Il bambino permette al terapeuta di aiutarlo nell’attività ed accetta che gli sia spiegato il funzionamento di alcuni giocattoli. Alla fine della terapia lascia la stanza ubbidendo alla madre che gli chiede di salutare l’osservatrice con un gesto della mano.

Periodo Maggio-Giugno. Giacomo adesso accetta e rispetta piccole regole e i divieti che gli vengono imposti. Come detto sopra si lascia aiutare e consigliare durante lo svolgimento delle attività. Inoltre si mostra ubbidiente verso la madre anche se la donna riferisce che Giacomo a casa è meno passivo, si impone e fa valere di più i propri desideri, insistendo fino ad ottenere ciò che desidera.

Attenzione e Concentrazione

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo si mostra attento e concentrato durante lo svolgimento delle sue attività. La sua attenzione sul compito è eccessivamente presente e porta il bambino ad isolarsi e a non mostrare interesse o ad avere reazioni verso ciò che avviene nella stanza: ad esempio non si gira a guardare chi entra nella stanza. Mostra inoltre poca attenzione verso l’ambiente e i vari giochi presenti  limitandosi ad utilizzare sempre gli stessi materiali in maniera stereotipata.

Periodo Novembre-Dicembre. Il bambino presenta ancora eccessiva concentrazione ed attenzione selettiva verso l’utilizzo di determinati giochi, ignorando gli altri a sua disposizione. Sono però diminuiti i periodi di isolamento durante i quali Giacomo svolgeva la sua attività preferita (comporre un puzzle)ignorando i presenti nella stanza. È infatti possibile notare come dopo qualche tempo nel quale il bambino completa il puzzle in maniera solitaria, in un secondo momento coinvolge il terapeuta nel suo gioco uscendo dal suo isolamento.

Periodo Gennaio-Febbraio. Giacomo è sempre molto attento alle attività da lui svolte ma, nonostante questo, è possibile notare come la sua attenzione verso l’ambiente stia aumentando: durante una seduta, ad esempio, udendo lo squillo del telefono Giacomo si è voltato verso il terapeuta che si era allontanato dalla stanza. In tale occasione il bambino ha mostrato un atteggiamento di risentimento e tristezza per essere rimasto da solo. Atteggiamento che non era stato notato nelle sedute precedenti durante le quali invece Giacomo era completamente assorto nelle sue attività e non si girava neanche se chiamato per nome.

Periodo Marzo-Aprile. Giacomo mostra elevati livelli di attenzione nei confronti dell’attività svolta e dell’ambiente in cui si trova: Non si osservano momenti di isolamento, ma al contrario il bambino coinvolge fin dall’inizio della terapia i presenti nei suoi giochi. È possibile anche notare come Giacomo si mostri attento nei momenti in cui il terapeuta gli spiega il funzionamento di alcuni giocattoli per poi poterli utilizzare subito dopo seguendo le istruzioni avute.

Periodo Maggio-Giugno. I livelli di attenzione del bambino sono sempre elevati verso il gioco e l’ambiente. Al contrario che nelle sedute precedenti Giacomo mostra particolare attenzione a non ferire se stesso e gli altri durante i suoi giochi, pone maggiore attenzione all’ambiente e in particolare a non calpestare gli oggetti presente sul pavimento. In passato invece Giacomo abbandonava i giochi appena effettuati in terra per poi calpestarli durante i suoi spostamenti nella stanza rischiando più volte di cadere.

Stereotipie fisiche e verbali

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo non presenta stereotipie fisiche e motorie, al contrario invece presenta stereotipie verbali in particolare produce vocalizzazioni inusuali e continue per l’intera durata della seduta. il bambino manifesta, inoltre , interessi ristretti e stereotipati per giochi ed attività come la composizione del puzzle di “Toy story” e il gioco con la tavoletta e i chiodini.

Periodo Novembre-Dicembre. Non è possibile notare evidenti cambiamenti rispetto al periodo precedente, Giacomo infatti completa per gran parte della seduta lo stesso puzzle probabilmente perché è l’unico che conosce e riesce a completare ottenendo gratificazioni da parte del terapeuta e diminuendo così il suo stato di malessere interiore. lo svolgersi ripetitivo di questo gioco può quindi essere considerato, al pari di una stereotipia, come un modo per ridurre l’ansia e la tensione interiore. Per quanto riguarda le stereotipie verbali queste sono ancora presenti e costanti durante tutta la seduta di terapia.

Periodo Gennaio-Febbraio.  Le vocalizzazioni prodotte da Giacomo sono quasi del tutto scomparse, lasciando il posto alla produzione di piccole parole spesso ripetute in maniera ecolalica. Il suo gioco stereotipato è invece ancora presente, il bambino svolge diversi giochi ma quasi sempre il fine è quello di vuotare gli oggetti sul pavimento per poi sistemarli negli appositi contenitori e subito dopo ricominciare tale attività.

Periodo Marzo-Aprile. Le stereotipie di Giacomo sono quasi del tutto scomparse. Il bambino non produce più vocalizzazioni, ma parole che ripete solo raramente. Anche i suoi interessi stereotipati sono scomparsi, il bambino infatti svolge durante la seduta svariati giochi per una sola volta.

Periodo Maggio-Giugno. Come nel periodo precedente le vocalizzazioni stereotipate sono del tutto scomparse lasciando il posto alla produzione di parole e brevi frasi pronunciate in maniera comprensibile e coerentemente con il contesto. Durante il gioco nonostante Giacomo utilizzi per l’intera seduta lo stesso giocattolo, a differenza che nei periodi precedenti è possibile notare come l’uso che fa dell’oggetto è sempre diverso, le sue attività sono sempre nuove e maggiormente complesse ad ogni nuova prova.

 

Conclusione

L’esperienza effettuata con Giacomo ci ha permesso, come detto all’inizio, di osservare le diverse manifestazioni con cui una stessa patologia può presentarsi. Il contatto oculare, ma soprattutto i grandi sorrisi e l’attaccamento alle volte morboso che il bambino presentava nei confronti della madre hanno reso difficoltoso diagnosticare il disturbo che Giacomo presentava, in quanto si è soliti ritenere che questi elementi siano assenti in bambini affetti da Autismo. Nonostante i cambiamenti avvenuti durante i  primi quattro mesi della terapia sono stati qualitativamente e quantitativamente esigui, nei mesi successivi il bambino ha mostrato  uno sviluppo rapido e visibili in ogni seduta effettuata. Ad ogni incontro Giacomo era diverso, più libero da ciò che lo opprimeva, dalle ansie e paure, più libero di esprimere le sue vere emozioni e di condividere attività ed esperienze piacevoli con gli altri.                                                                                                   In particolare il bambino ha mostrato evidenti miglioramenti sul piano affettivo, relazionale e linguistico. I suoi giochi costantemente accompagnati da vocalizzazioni inusuali e non pronunciati con lo scopo di ravvivare le proprie attività, hanno lasciato, con il trascorrere dei mesi, il posto a giochi più complessi e sempre nuovi accompagnati dalla pronuncia di frasi coerenti che animavano l’attività svolta dal bambino.  È cresciuta in Giacomo la voglia di comunicare con l’altro, di esprimersi ed entrare in relazione oltre che utilizzando la comunicazione non verbale, soprattutto attraverso la comunicazione verbale nonostante la terapia non si sia mai dedicata allo sviluppo di tale abilità. Il bambino quindi non presentava un disturbo linguistico da riabilitare, ma un rifiuto a comunicare con l’altro che probabilmente in occasioni passate era stato per lui fonte di paura ed ansia, dalla quale bisognava difendersi per non soccombere.                                                          Per quanto riguarda la capacità emotiva Giacomo  riesce a manifestare e controllare le proprie emozioni.     I suoi atteggiamenti aggressivi sono diminuiti, il bambino accetta piccole regole e frustrazioni mostrandosi più ubbidiente. I cambiamenti in Giacomo hanno portato cambiamenti nella madre, nel suo umore e carattere. La signora si mostra infatti meno screditante nei confronti dei figli e più serena, il suo volto appare rilassato, vive le marachelle di Giacomo con tranquillità raccontandole al terapeuta con un sorriso sul volto, quasi come se quelle fossero piccole conquiste del figlio. Si è stabilita tra madre e figlio una relazione sicuramente migliore di quella esistente in precedenza. Il bambino infatti raggiunge spesso, durante la terapia, la madre nella sala d’ attesa interagendo con lei, rendendola partecipe di ogni gioco che effettua, mentre attende  da parte sua una parola di plauso dolce e affettuosa.

 

Per maggiori informazioni sulla terapia del Gioco Libero Autogestito si consiglia di consultare il libro del Dott. E. Tribulato

"Autismo e gioco libero autogestito"

(Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico) - Franco Angeli Editore.

 Autismo e gioco libero autogestito. Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico

 

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L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

 

“L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito”

 AUTRICI: Simona Cardile e Sara De Giorgio

Matteo arriva al Centro Studi Logos per la prima volta all’età di due anni e mezzo. I genitori riferiscono di aver avuto dal reparto di neuropsichiatra infantile del Policlinico Universitario G. Martino di Messina la diagnosi di “Alto rischio di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo” in quanto  presenta  interesse rivolto prevalentemente agli oggetti più che alle persone, con i quali spontaneamente non condivide il gioco. È  inoltre presente un deficitario contatto oculare e la mancanza di risposta quando chiamato per nome. Il linguaggio è caratterizzato da suoni, nenie e vocalizzazioni continue e stereotipate. Matteo fa capire ciò che desidera indicando gli oggetti o portando fisicamente i genitori verso quanto desiderato in quel momento. Quando è molto preso dal gioco appare assente anche se presenta uno stato di attivazione  elevato (arousal) soprattutto verso i rumori esterni ed improvvisi. I genitori lo descrivono come un bambino apparentemente calmo, in quanto in realtà evidenzia una facile irritabile, comportamento testardo e pigro. Viene descritto dai genitori come “affettuoso” in quanto, a volte, ricerca attivamente il contatto fisico con la madre, ma,  nonostante questi saltuari contatti, tende ad allontanarsi facilmente da entrambi i genitori. Lo sviluppo linguistico appare assente. Manca il controllo degli sfinteri sia per le feci sia per le urine. Inoltre il bambino non presenta alcuna reazione emotiva quando si bagna o sporca. Matteo presenta, inoltre, instabilità emotiva per cui piange durante la visione di alcuni cartoni animati anche se le scene appaiano neutre, mentre non mostra alcuna reazione emotiva quando gli altri bambini lo privano di un gioco da lui al momento utilizzato. La madre ha notato un peggioramento delle condizioni psichiche del figlio in seguito al ricovero ospedaliero finalizzato all’accertamento delle problematiche riscontrate dai genitori. Matteo, infatti, dopo il ricovero appariva più apatico e timoroso verso gli estranei.

Quando il bambino aveva tre mesi di vita ha sofferto di episodi di Broncospasmo e infiammazione alle tonsille e alle adenoidi. Lo sviluppo motorio è avvenuto con ritardo: il bambino ha iniziato a deambulare autonomamente verso i ventidue mesi.

Dall’anamnesi familiare ed ambientale si evince che la relazione tra i coniugi è caratterizzata da intensi conflitti, iniziati al momento della convivenza avvenuta successivamente alla nascita della prima figlia. Dopo tale nascita la madre ha iniziato a lamentare  una sindrome depressiva, tutt’ora presente, che in alcuni periodi si accentua, mentre in altri si attenua. La rete familiare è globalmente scarsamente strutturata e molto conflittuale. La famiglia di Matteo non intrattiene, infatti, rapporti con i nonni paterni.

Dopo la diagnosi presso il Policlinico universitario di Messina sono stati consigliati:

  • Psicomotricità (4-5 volte alla settimana) con attività finalizzate a stimolare l’intersoggettività e lo sviluppo psicomotorio
  • Psico-educazione e counseling per i genitori.

Nella prima osservazione effettuata presso il Centro Studi Logos si evidenzia:

  • Assenza del linguaggio, costituito unicamente da nenie e da continui suoni cantilenanti che aumentano di intensità nel momento in cui il bambino mostra maggiore frustrazione mentre diminuiscono quando svolge un’attività a lui piacevole.
  • Il contatto fisico è ricercato solo in determinati momenti e si attua solamente con la madre  e solo quando necessita di qualcosa. Il contatto oculare è assente. Lo sguardo appare triste e perso nel vuoto. Solo in rari momenti, quando Matteo  svolge un’attività piacevole rivolge un breve sguardo verso il terapeuta.
  • Il bambino appare indifferente alle proposte di gioco. Durante l’intera osservazione non intraprende alcuna vera attività, ma si limita a manipolare in maniera afinalistica e per pochissimi secondi i vari oggetti per poi abbandonarli subito dopo.
  • Le relazioni appaiono diverse con le varie persone presenti nella stanza: con il terapeuta la relazione è quasi nulla. Le uniche interazioni sono finalizzate al soddisfacimento di alcuni bisogni. Con la madre si può osservare una maggiore relazione, il bambino si rivolge a lei quando è spaventato e  vuole la sua presenza quando si sposta in una diversa stanza del centro anche se  poi la ignora.
  • L’aspetto emotivo principale è l’indifferenza e la presenza di malinconia: solo in alcune occasioni la sua emotività varia in relazione all’evento, ma questa appare sproporzionata rispetto alla reale situazione. Si può notare la presenza di emozioni positive solo in presenza di un oggetto preferito.
  • Non è presente accettazione delle frustrazioni: Matteo infatti mostra, in alcuni momenti, di essere infastidito dalla situazione, e dal non poter svolgere le attività da lui desiderate. Appare, ad esempio, insofferente alla presenza dei numerosi giocattoli proposti dal terapeuta, al punto di scalciarli per poi trattarli con indifferenza.
  • Non sono presenti stereotipie fisiche, al contrario si osservano stereotipie verbali consistenti in nenie e ripetizioni di suoni monotoni. Vi è, inoltre,  la presenza di un interesse stereotipato verso un determinato stimolo (un video per bambini che visiona frequentemente, che si trova nel telefono della madre).
  • Manca l’attenzione e la concentrazione per quasi tutti gli stimoli proposti: Matteo dimostra di avere una sufficiente attenzione solo durante la visione del video. Il suo sguardo non è agganciabile e si mostra indifferente  alle persone presenti nella stanza.

Si programmano per lui quattro tipi di interventi:

  • Sulla coppia genitoriale al fine di ridurre i conflitti presenti e migliorare il clima familiare .
  • Sul rapporto genitore-figlio, in modo tale da aiutare i genitori a comprendere gli stati d’animo ed i bisogni di Matteo, per meglio relazionarsi con il bambino.
  • Sulla sorella al fine di migliorare  la  capacità di relazionarsi e di collaborare assieme durante le attività di gioco.
  • Per stimolare al massimo la libera espressione emotiva e relazionale del bambino si è pensato di effettuare un percorso psicoterapeutico affettivo-relazionale mediante l’utilizzo del Gioco Libero Autogestito.

 Il gioco è un’attività che accomuna molti esseri viventi, in quanto permette ai cuccioli di molte specie di animali di fare nuove esperienze e sviluppare tutte le capacità dell’individuo: motorie, intellettive, affettive, sociali, creative. Il gioco permette anche di entrare in contatto con le proprie emozioni imparando a controllarle e gestirle. I bambini possono svolgere diverse tipologie di gioco (rappresentativi, simbolici, sociale, di abilità ed altri). Questi giochi possono essere “guidati”: in questo caso gli adulti, in relazione agli obiettivi che si propongono, guidano il gioco del bambino al fine di ottenere determinati risultati; “Liberi” quando i bambini sono indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono  invece delle regole che loro stessi decidono; “Autogestiti” nei quali è il bambino a condurre il gioco, mentre il Terapeuta o l’adulto fungono da aiuto.

Con l’utilizzo della tecnica del Gioco Libero Autogestito il bambino ha la possibilità di spostarsi liberamente all’interno dei luoghi nei quali si trova e scegliere di giocare nel modo e con le persone che preferisce per il tempo voluto. Questo tipo di gioco gli permette di acquisire maggiore serenità e fiducia,  in quanto, essendo libero di scegliere l’attività da svolgere eviterà di provare continue frustrazioni. In tal modo diminuiranno le sue ansie e paure, per cui, col tempo,  aumenterà la fiducia nei confronti del mondo e di se stesso.

La difficoltà di attuare la tecnica del Gioco Libero Autogestito sta nell’accettare di rendersi gregario del bambino, così da far svolgere ciò che lui desidera, anche se i suoi giochi possono apparire noiosi e ripetitivi. Allo stesso tempo il terapeuta o l’adulto dovrà essere in grado di far percepire al bambino di essere lì con lui e per lui, senza essere allo stesso tempo invadente.

La psicoterapia di Matteo, della durata complessiva di quattordici mesi viene effettuata  individualmente ma sono accettate le presenze sia dei genitori che della sorella se richieste dal bambino. Le sedute si svolgono in media una volta alla settimana ed hanno una durata di quarantacinque minuti. Tutte le sedute sono registrate su carta dallo psicologo osservatore, mentre ogni tre mesi circa sono videoregistrate.

Riportiamo qui di seguito quattro sedute effettuate a distanza di tre-quattro mesi l’una dall’altra.

Area linguistica e comunicativa:

  • 13ª seduta. Il bambino produce continue ed incessanti nenie, che si accentuano nei momenti in cui appare infastidito da qualcosa: raramente si nota la comparsa di vocalizzazioni coerenti all’attività svolta.
  • 24ª seduta. sono ancora presenti le nenie lamentose, ma solo quando Matteo  si mostra annoiato e/o infastidito.  In altri momenti si evidenziano delle vocalizzazioni che sembrano imitare il suono di alcune parole (come se tentasse di commentare le sue azioni). Sono presenti, inoltre, alcune forme di comunicazione non verbale, come indicare ciò di cui il bambino ha bisogno.
  • 31ª seduta. Rispetto alle sedute precedenti il bambino presenta una graduale diminuzione delle nenie, mentre sono in aumento numerose vocalizzazioni, insieme a suoni sillabati, ad esempio “pa-ppa”, coerenti e finalizzati alle attività svolte. È presente una maggiore comunicazione non verbale con la quale Matteo fa capire, quando ha bisogno di aiuto durante la seduta.
  • 36ª seduta. Dopo un anno di terapia il linguaggio di Matteo è ora caratterizzato da una notevole diminuzione delle nenie e delle vocalizzazioni afinalistiche  che erano presenti, nei primi incontri, durante l’intera seduta. Si nota invece l’imitazione di suoni  durante lo svolgimento dei giochi: ad esempio: “Brum-brum” mentre fa’ volare un aeroplanino. Sono comparse alcune parole espresse ancora in maniera non del tutto corretta  ( “mamma”, “scarpa”, “cioccolato”, “Giulia”, “forchetta”, “qua”, “verde”, “papà”, “acqua”, “bravo”, “bella” ed altre).  La comunicazione non verbale è ormai ampiamente utilizzata per farsi capire e per farsi aiutare allo scopo di ottenere quanto desiderato.

Contatto fisico e oculare:

  • 13ª seduta. Matteo presenta una lieve accettazione della vicinanza fisica che varia in relazione al suo stato emotivo. Tale contatto è ricercato maggiormente con la madre, sporadicamente con il terapeuta (ad esempio lo prende per mano per farsi accompagnare nella stanza adiacente). Il contatto oculare è scarso verso il terapeuta e gli osservatori, mentre risulta completamente assente nei confronti della sorella che  ignora totalmente.
  • 24ª seduta. Per quanto riguarda la vicinanza fisica non vi sono particolari differenze rispetto all’osservazione precedente. Il contatto oculare è maggiormente presente, soprattutto quando ha bisogno di essere aiutato nello svolgere le attività da lui desiderate, anche se spesso tende ancora ad estraniarsi.
  • 31ª seduta. Inizialmente il bambino si mostra diffidente verso il terapeuta, tuttavia si può notare come, durante la seduta, aumentino i momenti di contatto fisico: si lascia coccolare o prendere in braccio quando ha bisogno di aiuto per raggiungere un oggetto posto in alto. Sembra comunque, che Matteo non ricerchi spontaneamente il contatto fisico. Per quanto concerne il contatto oculare, questo è maggiormente presente: sia verso il terapeuta che verso l’osservatrice.
  • 36ª seduta. Possiamo notare come, dopo un anno di terapia, i comportamenti di Matteo siano finalizzati alla ricerca di contatto fisico con i familiari ma anche con il terapeuta. Il bambino infatti si avvicina spontaneamente a quest’ultimo e si lascia coccolare da lui per un tempo prolungato. Il contatto oculare è notevolmente aumentato, ricerca con lo sguardo la presenza materna, ed interagisce girandosi quando viene chiamato o quando vuole condividere un particolare avvenimento con le persone presenti.

Giochi:

  • 13ª seduta. Attualmente Matteo svolge un maggior numero di giochi, questi appaiono finalizzati ed adeguati al suo sesso. Alcuni di questi sono di tipo simbolico (fa finta di piantare un fiorellino, imita il parlare al telefono). Alcuni dei giochi proposti dal terapeuta sono accettati dal bambino, anche se tende a metterli in atto da solo in un momento successivo. Notiamo che quando Matteo inizia ad annoiarsi o ad infastidirsi le sue attività assumono le caratteristiche di manipolazioni afinalistiche e sono maggiormente presenti nel gioco comportamenti stereotipati.
  • 24ª seduta. Non vi sono significativi cambiamenti rispetto alla seduta precedente; tuttavia  il bambino sembra accettare maggiormente le proposte di gioco da parte del terapeuta. Proposte che mette subito in atto, sia partecipandovi attivamente, sia facendosi aiutare dal terapeuta.
  • 31ª seduta. Matteo svolge un minor numero di giochi (di rappresentazione, di imitazione, giochi ludici), ma questi risultano essere meglio finalizzati, prolungati nel tempo ed adeguati all’età. Nella maggior parte dei momenti il gioco risulta essere condiviso con il terapeuta. Appaiono, pertanto diminuiti i suoi momenti di isolamento. Sono però ancora presenti delle stereotipie: sia nel modo di utilizzare gli oggetti, che nella preferenza data ad alcuni tipi di gioco.
  • 36ª seduta. In questa seduta il bambino è più propenso alla condivisione delle attività di gioco, sia con i familiari che con il terapeuta. Gli oggetti sono utilizzati in modo adeguato (ad esempio corre per la stanza con un aereoplanino in mano imitandone il volo ed il suono). Spontaneamente Matteo si avvicina al terapeuta ed alla sorellina per partecipare e condividere il gioco da loro intrapreso 

Area Affettivo-Relazionale:

  • 13ª seduta. Matteo si mostra all’inizio della seduta diffidente nei confronti del terapeuta: si divincola quando viene preso in braccio, gira il capo o si allontana quando il terapeuta cerca di interagire con lui. Questi comportamenti tendono a diminuire gradualmente durante la seduta, nel momento in cui il bambino ha acquisito una maggiore fiducia nei confronti del terapeuta. Con la madre è presente un rapporto finalizzato ad essere consolato quando è spaventato da qualcosa o quando vuole estraniarsi mediante l’uso stereotipato del telefono cellulare. È  invece assente il rapporto tra il bambino e la sorellina.
  • 24ª seduta. Si notano dei cambiamenti rispetto alla seduta precedente: il bambino mostra maggiore fiducia nei confronti del terapeuta, accettando i suoi suggerimenti e ricercandolo per svolgere le sue attività preferite. Diminuiscono i momenti di isolamento in quanto quando gli viene data maggiore attenzione Matteo è più partecipe, invece se la sua relazione non viene ricercata attivamente tende ad isolarsi. Si inizia ad intravedere un desiderio di relazionarsi con la sorella. Tuttavia, quando si vede rifiutato o non accettato nel gioco, il bambino non insiste, la ignora e si isola.
  • 31ª seduta. Non vi sono particolari cambiamenti, Matteo appare più sereno riuscendo ad accettare maggiormente la vicinanza del terapeuta e le sue manifestazioni d’affetto, nonostante ancora non vi sia la tranquillità necessaria per poter vivere appieno la relazione.
  • 36ª seduta. La relazione risulta notevolmente migliorata sia col terapeuta che con le persone significative: genitori e sorella, con le quali gioca attivamente. Il rapporto con la sorella è notevolmente migliorato: il bambino la cerca spontaneamente e ne imita i comportamenti ed i giochi.

Area  emotiva:

  •    13ª  seduta.Matteo mostra un umore prevalentemente malinconico, annoiato e, a volte, notevolmente triste. È  poco partecipe alle attività proposte, queste ultime vengono accettate passivamente o ignorate.
  •    24ª seduta. E’ presente una marcata tristezza che gli impedisce di giocare serenamente e per un tempo prolungato. La sua passività è lievemente diminuita in quanto possiamo riscontrare dei rari tentativi di portare avanti delle attività che lo interessano particolarmente. In questi casi i suoi lamenti malinconici cessano, lasciando il posto a vocalizzazioni finalizzate. Nei confronti della sorella comincia a reagire quando subisce dei dispetti.
  •    31ª seduta. Nonostante sia ancora presente e manifesti la sua sofferenza interiore, Matteo, a tratti, durante lo svolgimento di alcune delle sue attività preferite, mostra attraverso la mimica facciale, un certo piacere. Piacere che condivide con lo sguardo. Il bambino appare, inoltre, meno passivo.
  •    36ª seduta. Diversamente dalle sedute precedenti il bambino è più sereno. La maggiore serenità si evince dalla mimica facciale che appare rilassata, svagata, sorridente e congruente al contesto. Inoltre Matteo mostra degli atteggiamenti positivi durante il gioco. Nel momento in cui non viene coinvolto dalla sorella nei giochi da lei intrapresi mostra chiaramente disappunto, risentimento e tristezza.

Accettazione delle frustrazioni:

  •    13ª seduta. La tecnica del “Gioco Libero Autogestito” non prevede alcuna regola da imporre al bambino, non è, quindi, possibile riscontrare chiare occasioni frustranti per Matteo. Tuttavia, si può notare come lo stato di sofferenza interiore presente nel bambino non gli permetta di accettare neanche le piccole frustrazioni ed i suggerimenti dati dal terapeuta.
  •    24ª seduta. In questa seduta Matteo comincia ad accettare maggiormente le proposte del terapeuta anche se non riesce ad attuarle pienamente.
  •    31ª seduta : Il bambino, essendo più sereno, riesce ad accettare delle piccole frustrazioni e la partecipazione dell’altro nelle sue attività. Tuttavia, quando Matteo percepisce tali interazioni come eccessive, tende ancora ad allontanarsi e/o ad abbandonare l’attività.
  •    36ª seduta. Rispetto alle precedenti osservazioni ,vi è una migliore accettazione delle frustrazione e manifesta chiaramente le emozioni provate in quel particolare momento.

 Stereotipie fisiche e verbali: 

  •    13ª seduta. Nonostante il bambino non presenti stereotipie fisiche, è possibile notare la presenza di stereotipie verbali che si intensificano nei momenti in cui è maggiormente infastidito da situazioni o persone presenti.
  •    24ª seduta. Rispetto all’osservazione precedente sono ancora presenti le nenie e le stereotipie verbali, ma queste diminuiscono soprattutto quando il bambino svolge attività per lui piacevoli. Durante le sedute si è potuto notare un interesse stereotipato nella scelta, nella modalità di utilizzo dei giochi..
  •    31ª seduta. Matteo non mostra significative differenze rispetto alla seduta precedente, in quanto, nonostante le stereotipie verbali e negli interessi, siano diminuite, tuttavia permangono soprattutto nei momenti in cui è infastidito.
  •    36ª seduta. Le stereotipie verbali sono notevolmente diminuite. Le nenie e le vocalizzazioni inusuali sono state sostituite da vocalizzazioni contestualizzate. Visto l’evidente miglioramento nelle aree sopra citate e visto l’interesse di Matteo nel condividere maggiormente le sue attività con le persone presenti, i suoi atteggiamenti stereotipati verso le attività di gioco sono ridotti.

Attenzione  e concentrazione:

  • 13ª seduta. L’attenzione di Matteo è estremamente labile, il bambino tende ad isolarsi e a chiudersi. Raramente partecipa alle attività proposte o si gira se chiamato per nome. Nella seconda parte della seduta l’attenzione e la concentrazione si riducono ancora di più, e le attività sono svolte in maniera afinalistica e con indifferenza.
  • 24ª seduta. Nonostante l’attenzione sia ancora molto labile, il tempo dedicato alle singole attività è maggiore. Possiamo notare come la sua concentrazione sia altalenante, passando da momenti in cui Matteo presta attenzione a ciò che gli viene mostrato dal terapeuta, a momenti in cui si isola, ignorando l’ambiente circostante.
  • 31ªseduta. Matteo presta attenzione in maniera più prolungata sia verso le attività da lui scelte, sia verso quelle proposte dal terapeuta. Risulta altresì maggiormente concentrato durante lo svolgimento delle attività da lui scelte, anche se la durata totale di queste rimane breve.
  • 36ª seduta. Rispetto alle sedute precedenti si evidenzia, in questa, una migliore capacità di attenzione condivisa, sia verso gli oggetti sia verso i giochi svolti da altri. I momenti di estraniamento dalla realtà sono significativamente ridotti e la concentrazione è maggiormente prolungata e finalizzata all’attività da svolgere.

Conclusioni:

In conclusione, considerando il percorso di terapia cha Matteo ha svolto  presso il nostro Centro, è possibile riscontrare numerosi miglioramenti nelle aree sopra descritte ma anche nella qualità dei rapporti con i propri familiari. Per quanto concerne la comunicazione Matteo ad oggi riesce a comunicare agli altri i propri desideri e bisogni utilizzando piccole parole e soprattutto il linguaggio non verbale, per cui riesce ad indicare e  mostrare gli oggetti da lui desiderati. Il bambino cerca i vari interlocutori sia fisicamente che mediante lo sguardo, condividendo i suoi momenti di gioco e le nuove esperienze fatte.

I giochi che il bambino  attualmente svolge non sono più semplici rituali stereotipati, ma attività organizzate, complesse e complete. Matteo ha trasformato tali attività afinalistiche in modi per imparare ed apprendere nuove conoscenze (durante i suoi giochi con l’acqua ad esempio ha imparato che la carta gettata al suo interno si deteriora, o che versando l’acqua in un imbuto questa non rimane nel contenitore in cui è stata versata ma scende nel recipiente sottostante). Matteo ha inoltre imparato ad accettare piccole regole e frustrazioni. Le sue capacità attentive e di concentrazione sono aumentate permettendo al bambino di svolgere le attività per un tempo prolungato. La psicoterapia condotta con Matteo ha permesso, inoltre, l’instaurarsi di un circolo virtuoso che ha apportato dei cambiamento non soltanto nel bambino ma anche nelle relazioni tra i membri del nucleo familiare, Il bambino, ad esempio, quando svolge i suoi giochi nella stanza dove si trovano la madre ed il padre, ricerca questi e si attiva per condividere le sue esperienze e per avere un contatto affettivo. Il miglioramento del bambino è andato di pari passo con il miglioramento della relazione tra i suoi genitori e tra questi e l’altra figlia.  

 

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Efficacia del Gioco Libero Autogestito nel bambino con Disturbo Autistico

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L’utilizzo della tecnica del “Gioco Libero Autogestito”  ha la possibilità di modificare, in maniera sostanziale, il nostro modo di vedere e di relazionarci con i bambini con Disturbo Autistico.

Intanto viene ad essere corretto il modo di definire questi bambini come “inaccessibili”, mentre inaccessibili non lo sono affatto. Utilizzando questa tecnica ci si accorge, in breve tempo, che il contatto ed il rapporto con questi bambini non solo è possibile ma è relativamente facile attuarlo, se soltanto si accetta il loro modo di comunicare e di relazionarsi. Infatti, ai loro occhi, e soprattutto al loro cuore, gli adulti non sono tutti uguali. La loro estrema sensibilità e reattività li fa rifuggire da tutte quelle persone che hanno difficoltà ad accettarli e a sapersi ben relazionare con loro. Al contrario si legano rapidamente, si aprono e diventano attenti, disponibili ed affettuosi, verso tutti quegli adulti che dimostrano verso di loro pazienza, disponibilità e rispetto del loro mondo interiore.

Essi acquistano fiducia e hanno grande stima e affetto verso gli adulti che comprendono la loro necessità di mettere in atto tutte quelle difese atte a evitare di essere travolti dall’ansia che proviene dal mondo interno e da quello esterno, quest’ultimo da loro vissuto come cattivo e pericoloso. Adulti, quindi, che non attuano forzature al fine di eliminare le difese messe in atto, ma che sanno aspettare che siano i bambini stessi a rompere tutte le difese da loro utilizzate per proteggersi.

 

Essi si legano facilmente agli adulti che riescono a relazionarsi con loro come una “madre buona”. Una madre che sa entrare in empatia con il loro mondo, così da permettere al loro Io difeso, rattrappito e lacerato, di sviluppare tutte le sue potenzialità.

Essi hanno fiducia verso gli adulti che evitano di stimolarli a fare o a non fare determinati gesti e attività, ad avere o non avere determinati comportamenti, ma li lasciano liberi di percorrere la loro personale strada verso la normalità, aiutandoli soltanto con una presenza e con un sostegno affettuoso, gioioso, attento, vicino e disponibile.

Essi amano gli adulti che sanno accogliere tutte le espressioni della loro sofferenza, anche quelle che possono sembrare strane e inusuali.

 

 

L’utilizzo del “Gioco Libero Autogestito” ci ha permesso di scoprire che questi bambini hanno la capacità di costruire un loro percorso terapeutico personalizzato, diverso da ogni altro, ma perfettamente aderente ai loro specifici bisogni, così da ottenere dei miglioramenti di tipo armonico in tutte le aree interessate dal disturbo.

Purtroppo, non sempre il desiderio che hanno questi bambini di ben relazionarsi con le persone che li sanno accogliere, si traduce automaticamente in una possibilità. Ciò in quanto le sofferenze subite lasciano nella loro mente e nel loro cuore dei residui che, come delle ferite, impediscono loro di tradurre in realtà il loro desiderio. Per ottenere il risultato voluto è necessario, allora, curare con pazienza e amore queste ferite fatte di ansie, inquietudine, eccessiva reattività, difficoltà ad accettare le frustrazioni.

Queste lacerazioni sono meno profonde e meno stabili quanto più il bambino è piccolo, mentre sono più solide e difficili da guarire quanto più grande è il minore. Non è un caso, infatti, che i bambini che presentiamo in questo lavoro abbiano tutti iniziato la terapia del “Gioco Libero Autogestito”  ad un’età non superiore ai dieci anni!

L’utilizzo di questa tecnica terapeutica ci ha permesso di scoprire, inoltre, che è altrettanto facile giocare con loro se sono accolti e valorizzati i loro giochi e le modalità con le quali essi li vogliono condurre, senza mai metterne in discussione l’utilità o la bontà. In tali occasioni di gioco abbiamo notato che le attività da loro intraprese  diventano notevolmente numerose, ricche, varie e mutevoli nel tempo, nel momento in cui diminuisce la loro ansia e sono un po’ più liberi dall’angoscia che li pervade. Allo stesso modo abbiamo potuto constatare come la tipologia dei giochi sia perfettamente aderente al loro sviluppo psicoaffettivo, per cui quando l’adulto riesce a porsi come un compagno gioioso e disponibile nei loro confronti, insieme alla serenità e alla fiducia negli altri, in se stessi e nel mondo, migliorano, di pari passo, le caratteristiche dei giochi utilizzati e delle attività intraprese.

Abbiamo inoltre potuto constatare che, se da una parte l’abnorme eccitazione neurale causata dalle ansie e dalle paure rende notevolmente difficile l’interazione con i coetanei e con gli adulti anche quando il bambino desidererebbe intraprendere una relazione con loro, dall’altra l’acquisizione di una maggiore serenità interiore permette loro un’interazione sociale e una comunicazione più duttile ed efficace.

 

 

L’utilizzazione della terapia del “Gioco Libero Autogestito” ci ha permesso, inoltre, di evidenziare come le stereotipie e gli atteggiamenti ripetitivi di qualunque tipo: verbali, motori e nei comportamenti, siano gradualmente ma sistematicamente abbandonati, nel momento in cui il bambino acquista maggiore serenità, mentre si stabilizzano o aumentano se si cerca di reprimerli o si ha verso il piccolo che li attua, degli atteggiamenti di riprovazione o di fastidio. Pertanto è inutile, anzi controproducente, continuare a farli rilevare o peggio punirli, nella speranza che possa decidersi ad estinguerle, in quanto il loro non è un problema di volontà, ma di possibilità.

Tale tecnica terapeutica ci ha permesso di chiarire anche le cause di questa patologia. Cause che possono essere numerose, ma che sono in buona parte riconducibili all’ambiente nel quale è vissuto e vive il bambino. Cause che, pur potendo essere diverse, tutte, in definitiva, provocano al piccolo una grave, precoce sofferenza dalla quale nascono tutti i sintomi che sconvolgono il suo Io. Pertanto, se questo ambiente è ancora, per qualunque motivo, patogeno, è indispensabile provare a modificarlo in senso positivo. Ma ciò, abbiamo constatato, non basta. Accanto alla modifica d’ambiente, è necessaria anche una psicoterapia individuale, mediante la quale il bambino possa vivere con il terapeuta quel rapporto totalmente accettante, comprensivo e libero, simile a quello vissuto dal neonato che ha accanto una madre particolarmente buona, sensibile ed empaticamente accogliente.

Abbiamo, infine, potuto notare come i miglioramenti ottenuti con questo tipo di psicoterapia individuale, siano capaci di innescare una maggiore accettazione e una migliore accoglienza da parte dell’ambiente dove vive il bambino: famiglia, scuola, gruppo dei pari. Il che innesca un circolo virtuoso che si traduce in una più rapida conquista di maggiore benessere. 

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato

 

"Autismo e gioco libero autogestito"

 

 

 

(Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico) - Franco Angeli Editore.

 

 

 

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La gestione del bambino autistico a scuola

 

Autismo e famiglia

 

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

 

L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

 

Esperienza di una madre con un figlio autistico ad alto funzionamento durante la terapia del gioco libero autogestito

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 1

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 2

 

Autismo trattato con il gioco libero autogestito

 

Autismo e scuola

 

 

L'immagine del bambino con Disturbo Autistico

 

L'IMMAGINE DEL BAMBINO CON DISTURBO AUTISTICO

 

Sul Disturbo Autistico, negli ultimi anni, si sono scritte diverse decine di migliaia di pagine tra libri ed articoli. Pagine dedicate a descrivere puntigliosamente ogni caratteristica di questa patologia, pagine per sviluppare tutte le possibili ipotesi patogenetiche, pagine per comprenderne lo sviluppo e per esporre le numerose proposte terapeutiche.

In ciò non vediamo nulla di male, anzi. La scienza, fin dai suoi primi albori, e durante tutto il suo sviluppo, non ha mai avuto e forse non avrà mai un pensiero unico. Essa progredisce proprio in quanto ogni studioso mette a disposizione di tutti le proprie osservazioni, le proprie esperienze, i propri studi e le proprie riflessioni e, quindi, mette a disposizione di tutti una sua verità.

A volte questa sua verità è originale e, quindi, appare in contrapposizione o in alternativa a quella degli altri, mentre in altri casi, i propri studi e le proprie ricerche servono soltanto ad aiutare e a meglio definire, chiarire e completare, le idee e le rilevazioni già presenti nell’ambito scientifico.

Purtroppo però, in questa nostra attuale società, caratterizzata spesso da atteggiamenti intolleranti in tutti i settori della vita civile, su questi disturbi si sono scatenati violenti contrasti tra i vari studiosi e tra le varie scuole, al fine di far prevalere, nell’ambito scientifico, una teoria rispetto ad un’altra, un piano terapeutico rispetto ad un altro. Ciò comporta per i giovani studiosi, ma soprattutto per le famiglie di questi bambini e per l’opinione pubblica in generale, un pessimo esempio di come la scienza non dovrebbe essere e di come gli studiosi non dovrebbero comportarsi.

A nostro parere le battaglie, tutte le battaglie, quando assumono l’aspetto di violenti scontri ideologici non servono ad una migliore comprensione e, quindi, non sono affatto utili al progresso della scienza, in quanto tendono a creare schieramenti contrapposti che confondono e scoraggiano, in quanto possono provocare un senso di impotenza, di fronte a una malattia ritenuta, a torto, incomprensibile.

Pertanto le nostre considerazioni, che scaturiscono dalle esperienze effettuate nella nostra vita professionale, non vogliono mettere in forse, né tanto meno tendono a smentire o sminuire le idee e le esperienze degli altri esimi studiosi della materia. Desideriamo soltanto offrire a tutti i lettori, ed in particolare ai genitori e agli operatori, alcune osservazioni e suggerimenti atti a meglio capire e, quindi, meglio affrontare, questa grave patologia. Insomma vorremmo che queste note fossero soltanto una piccola luce che, unita alle altre, potesse maggiormente illuminare il cammino della scienza, per meglio far riflettere, per meglio far capire e quindi per meglio far operare.

Ci siamo chiesti allora chi: è il bambino con Disturbo Autistico? Cosa prova dentro il suo animo? Cosa ci chiede? Cosa cerca da noi adulti “normali”?

L’immagine che si ha dell’altro è, infatti, fondamentale in ogni tipo di relazione, in quanto condiziona in maniera notevole ogni nostro comportamento.

Ebbene, se del bambino con Disturbo Autistico abbiamo l’immagine che, attualmente, è quella prevalente, di un soggetto con una grave, gravissima disabilità il quale, per motivi genetici, per malattie intercorrenti, a causa di un deficit a livello neurologico o per un’altra delle tante cause neurobiologiche ipotizzate, ha una serie di deficit che condizionano la sua interazione sociale, la comunicazione ed il comportamento, per cui ha bisogno di particolari stimoli e strumenti atti a migliorare questi suoi limiti, allora ci attiveremo e comporteremo di conseguenza: insisteremo nei tentativi di educarlo, fino allo sfinimento, nostro e suo, affinché impari a parlare e a comunicare con noi e con i suoi coetanei; ci impegneremo affinché apprenda le buone maniere, e, soprattutto, cercheremo di fargli comprendere che vi è un tempo per ogni cosa, così che capisca che non bisogna fare capricci nel vestirsi, nel lavarsi, nell’andare a scuola, perché i capricci non pagano; gli insegneremo, naturalmente, che è assolutamente da evitare che egli si faccia del male o che faccia del male a qualcuno. Insomma, impegneremo il nostro tempo e le nostre migliori energie affinché impari a diventare un bambino buono, bravo, colto e intelligente come dovrebbe essere ogni bambino, così da dare le giuste e meritate soddisfazioni ai suoi genitori e ai suoi insegnanti.

Se invece, come noi pensiamo, quello che abbiamo di fronte è un bambino il quale, soprattutto per motivi vari legati alla sua storia personale, ha un animo lacerato e ferito, se riusciamo, almeno in parte, a comprendere cosa significa per questo bambino vivere, giorno dopo giorno, notte dopo notte, immerso in una realtà spaventosa, truce e insicura, che gli procura sofferenze indicibili, fatte da ansie e angosce insopprimibili, fatte di rabbia e aggressività verso se stesso ed il mondo che lo circonda, se riusciamo ad immaginarlo e avvertirlo come un piccolo essere umano, preda di conflitti interiori difficilmente risolvibili e controllabili, allora, ne siamo certi, capiremo di più e meglio. E, capendo, il nostro atteggiamento nei suoi confronti non potrà che essere diverso, molto diverso rispetto a quello consueto e, attualmente suggerito da parte di molti studiosi.

Questo atteggiamento differente non potrà che stimolarci ad un impegno personale e sociale nel cercare le migliori strategie possibili, al fine di prevenire questa patologia e, nei casi nei quali non siamo riusciti a fare ciò, ci impegnerà ad intervenire per diminuire la sua angosciosa sofferenza.

È da queste considerazioni che è nata la terapia del Gioco Libero Autogestito che proponiamo. Una terapia che mette al centro del problema non i sintomi del bambino ma le sue ansie e le sue sofferenze. Ed è ad esse che si rivolge questo approccio terapeutico, con lo scopo di diminuirle progressivamente fino ad ottenere una piena liberazione, che permetta al bambino di intraprendere un sereno cammino di crescita e maturazione.

 

La tecnica del Gioco Libero Autogestito nel Disturbo Autistico

LA TECNICA DEL “GIOCO LIBERO AUTOGESTITO” NEL DISTURBO AUTISTICO

 

 

Uno degli elementi fondamentali per un'infanzia soddisfacente e ricca è la possibilità di giocare. Il gioco è forse l'elemento comune, più importante e frequente, tra gli animali superiori. Vi è, inoltre, un rapporto diretto tra sviluppo psicoaffettivo, intellettivo e cognitivo dell'essere vivente e l'attitudine a giocare. Gli animali inferiori, che hanno istinti ereditari già prefissati, non giocano affatto. I loro piccoli si comportano come gli adulti fin dall’inizio della loro esistenza e, pertanto, il patrimonio della specie non ha ulteriori sviluppi.

LE FUNZIONI DEL GIOCO PER IL BAMBINO

 

 

Le capacità degli animali superiori sono in relazione alla quantità e alla durata che essi dedicano al gioco. In quanto è attraverso questa attività che essi acquisiscono sempre di più esperienze. Il piccolo agnello gioca poco, il gattino molto di più, gli scimpanzé giocano anche da adulti, ma nessuno ha la capacità di giocare con tanta continuità ed assiduità come il piccolo dell’uomo.[1]  Ma anche l'adulto, uomo o donna che sia, non riesce a fare a meno del gioco in alcuni momenti della giornata. Quest’attività gli permette alcuni necessari e indispensabili momenti di scambio, evasione, rilassamento, piacere e gioia. Per il bambino il gioco rappresenta la strada maestra per la sua crescita, in quanto quest’attività è:

•       Piacere. Il bambino gode di tutte le esperienze fisiche e affettive vissute durante il gioco.

•       Strumento di esplorazione e conoscenza. Del proprio corpo e del corpo degli altri, degli oggetti inanimati, del mondo che lo circonda e della natura. Il gioco è anche esplorazione e conoscenza delle emozioni e dei sentimenti.

•       Stimolo allo sviluppo motorio e intellettivo. Mediante il gioco il bambino stimola e sviluppa il pensiero, il linguaggio, la progettualità, l’agilità, la forza, la memoria, la coordinazione occhio - mano, la spazialità.

•       Veicolo privilegiato di comunicazione e socializzazione. Con il gioco i piccoli ampliano i contesti delle loro relazioni e  apprendono a comunicare più efficacemente con gli altri. Comprendendo il punto di vista di chi hanno di fronte diventano consapevoli dei loro sentimenti e bisogni. Mediante il gioco imparano l’importanza delle regole e la loro accettazione,  ampliano i primi scambi sociali con gli adulti.

•       Mezzo per lo sviluppo della creatività e della fantasia. Mediante oggetti semplicissimi: qualche legnetto, poche pietre, un po’ di fango, oppure mediante una matita e qualche foglio uniti a tanta immaginazione e inventiva, il bambino riesce a costruire mille favole e infinite storie, nelle quali si muovono eroi e principesse, draghi e macchine volanti, robot e armi spaziali.

•       Mezzo per il contatto e il controllo delle proprie emozioni. Giocando con gli altri coetanei e adulti il bambino riconosce la gioia della vittoria, il sapore bruciante della sconfitta, il calore dell’amicizia, dell’affetto e dell’amore. Impara ad affrontare i piccoli contrasti e le tensioni che si avvertano nel rapporto con se stessi e con il prossimo. L’attività ludica ‹‹allorché assume la veste di gioco simbolico, drammatico, di ruolo e di finzione assolve, attraverso rituali iterativi e meccanismi di identificazione e di proiezione, ad una preziosa funzione liberatoria e terapeutica, esorcizzando paure e angosce liquidando impulsi aggressivi, distruttivi e vissuti di ostilità››.[2] 

•       Palestra per l’autonomia personale e sociale. È anche mediante il gioco che il bambino acquista fiducia in se stesso e negli altri. Impara, quindi, a fare a meno dell’aiuto e del supporto continuo dei genitori nei suoi bisogni quotidiani.

•       Occasione per la sua formazione morale e civile. Nel gioco di gruppo, governato da regole fisse e cogenti, il soggetto impara a osservare le norme e a improntare il proprio comportamento a principi di lealtà, correttezza e rispetto per l’avversario; apprende a testimoniare atteggiamenti di fedeltà al proprio gruppo o banda; riconosce l’importanza dell’avvicendamento, della cooperazione, della distribuzione dei compiti e della turnazione. Tutte queste acquisizioni confluiscono alla sua formazione di uomo e di cittadino.

•       Occasione per rafforzare la sua volontà. Molti giochi di pazienza, di costruzione, competitivi, di squadra, rafforzano la volontà, plasmano il carattere, servono anche ad instaurare un progressivo controllo sulle proprie emozioni e pulsioni.

•       Opportunità per mettersi in contatto con la natura. Il rapporto diretto con la natura è fondamentale nello sviluppo dei minori, come degli adulti. Per milioni di anni l’essere umano si è sviluppato attraverso il contatto con i fiori e i frutti delle piante, con la vivacità e l’amore degli animali, con le acque dei fiumi e dei ruscelli.

 I vari tipi di giochi

I primi giochi del bambino, che sono poi giochi di esplorazione della realtà nella quale si trova immerso, sono instaurati con la madre e con il proprio corpo. Quando la mamma lo nutre egli tocca e stringe il seno di lei e, successivamente, il viso e i capelli. Più tardi egli giocherà con le proprie mani e con i propri piedi.

Mediante i giochi sensomotori o giochi – esercizio, il bambino perfeziona i movimenti, i gesti, costruisce gli schemi motori.

Mediante l’imitazione dei suoni, della mimica facciale, e poi delle parole, impara a riconoscere e ad esprimere le emozioni. Gli aspetti presenti nel gioco possono essere quindi di vario tipo.

Diffusissimi i giochi nei quali i bambini sono stimolati a costruire qualcosa (giochi di costruzione) o quelli nei quali si cimentano e si confrontano con i loro coetanei ma anche con i genitori e gli adulti. Giochi, questi, nei quali bisogna utilizzare l'attenzione, la bravura, l'agilità e le conoscenze (giochi di abilità).

Quando imitano la mamma ed il papà nei loro lavori di casa o nelle loro attività professionali, siamo in presenza di un gioco imitativo o di un gioco sociale. In questi giochi i bambini sperimentano azioni, emozioni e comportamenti di persone, situazioni e ruoli. Pensiamo ad una bambina che chiede alla mamma una pezzuola per spolverare la casa o a un bambino che apre la scatola degli attrezzi di papà per aggiustare le porte di casa. È un gioco sociale anche quello effettuato da due amichette che si ritrovano insieme per vestire i loro “figli” e poi preparano a questi un buon pranzetto, prima di  portarli a passeggio o a letto dopo averli cullati a lungo. Con tali giochi il bambino sviluppa le capacità sociali ed empatiche che gli permettono di mettersi nella prospettiva dell’altro. In quei momenti egli sente come propri il potere degli adulti e le loro numerose doti, mentre nel contempo acquisisce e perfeziona le norme che regolano la condotta umana.

 

 

Se dopo aver visto un film o un cartone animato un bambino si arma di spada e scudo spaziale ed è pronto a lottare con il suo amichetto per salvare il mondo, siamo, invece, in presenza di un gioco rappresentativo.

Quando un bambino piccolo e fragile si finge un forte adulto, così da correggere la realtà, modificandola in funzione dei suoi desideri, siamo in presenza di un gioco compensativo. Vi sono poi i giochi che hanno la funzione di eliminare le esperienze penose o inquietanti, di compensare le frustrazioni rivivendole per mezzo della finzione (giochi funzionali).

Nei giochi il bambino può attuare tutto quello che non può fare nella realtà, ed il mondo dei giochi diventa una specie di rifugio dalla continue esigenze del mondo esterno, al quale potrà tornare più disteso.[3]  Ma i giochi non sono soltanto imitazione. Quando copia la mamma che cucina, cuce, fa la spesa, cura i piccoli, non solo imita la propria madre o le madri in generale, ma sperimenta nuove modalità di comportamenti ed atteggiamenti filtrati dalla sua personalità e dai bisogni individuali del momento che sta vivendo. In altri giochi è la fantasia ad essere utilizzata e messa in primo piano per costruire fortezze e castelli nei quali vivono fate, re, regine e draghi, ma anche eroi pronti a salvare i più deboli e indifesi (giochi immaginativi). Per finire, i bambini sono attratti anche dai giochi didattici nei quali è predominante il piacere di imparare.

Nello spazio di due ore il bambino di due anni e mezzo partecipa in media a sei-sette situazioni immaginarie.

 Importanza del “Gioco Libero Autogestito”

I giochi, come sappiamo, possono essere:

1.     Guidati. In questo caso i genitori, gli insegnanti o altri  adulti, in base agli obiettivi che si propongono, utilizzando strumenti e metodologie particolari guidano il gioco dei bambini così da ottenere determinati risultati.

2.     Liberi. In questo caso i bambini sono totalmente indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono soltanto delle norme e delle regole che essi stessi si danno giorno per giorno, momento per momento.

 

 

gioco libero

3.     Autogestiti. I giochi possono essere gestiti da tutti i partecipanti all’attività o da uno solo di essi (gioco autogestito). In quest’ultima modalità è solo il bambino interessato alla terapia a condurre il gioco. Pertanto, quando egli coinvolge l’adulto o il terapeuta, compito di questi è solo quello di comprensione, aiuto e supporto ai suoi bisogni del momento.

Per quanto riguarda i bambini con Disturbo Autistico sono nettamente da preferire i giochi liberi  e autogestiti, in quanto solo questo tipo di giochi  permette loro di utilizzare questo primario strumento formativo, tenendo conto delle personali preferenze e degli individuali bisogni del momento. Bisogni che il terapeuta non dovrà mai criticare o mettere in discussione, tranne che non comportino un reale pericolo per l’incolumità del bambino o di altre persone. In definitiva, nella tecnica del “Gioco Libero Autogestito” è lui, il bambino gravemente disturbato, il vero leader, mentre il terapeuta assume il difficile ruolo di gregario.

GIOCO LIBERO AUTOGESTITO

Ciò ci permette di raggiungere  due fondamentali obiettivi:

  1. una maggiore serenità interiore;
  2. una maggiore fiducia negli altri, nel mondo e in se stessi.

Nel momento in cui saremo riusciti a raggiungere, anche solo in parte, questi due obiettivi vedremo migliorare nettamente tutto il corollario di sintomi presenti nel bambino con Disturbo Autistico.

Per poter fare ciò  è necessario mettere il piccolo al riparo da ogni intrusione. Ogni intervento esterno rischia, infatti, di accentuare o stabilizzare la sua ansia interiore ed il suo malessere, piuttosto che alleviarlo, in quanto, come abbiamo detto, i bambini con Disturbo Autistico sono estremamente sensibili alle frustrazioni e spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno, verso il quale nutrono una notevole diffidenza e reattività.

 

Pertanto ogni iniziativa del terapeuta, anche la più lodevole, che però non è stata da questi bambini richiesta e voluta in quel momento, viene vista come un’ulteriore violenza da parte del mondo esterno e ciò non fa altro che riacutizzare le loro paure e ansie, con conseguente accentuazione della diffidenza e conseguente messa in atto di ulteriori difese nei confronti degli altri e del mondo. 

Inoltre se è il terapeuta a scegliere l’attività da proporre al bambino, data l’estrema varietà e complessità dei vissuti interiori presenti nella psiche di lui, è molto facile che sbagli e, sbagliando, non solo non migliorerà la condizione del bambino, ma correrà il rischio di accentuarla. Se, invece, lasciamo a quest’ultimo la scelta dell’attività o del gioco da effettuare, la possibilità di commettere questi errori si annulla e, nel contempo, si mette il bambino in una condizione di piena autonomia e libertà, condizione, questa, che gli permette di essere soggetto attivo del suo cambiamento e non più soggetto passivo.

Per evitare, quindi, di peggiorare questo loro mondo interiore e il difficile rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani, il terapeuta si limiterà soltanto a collaborare alle attività del bambino e ai suoi giochi, anche se questi possono sembrare ripetitivi, inutili, sciocchi o peggio crudeli.

 Le difficoltà nell’attuare il “Gioco Libero Autogestito”

Le maggiori difficoltà nell’attuare la terapia del “Gioco Libero Autogestito” non risiedono nel bambino ma nell’adulto: non importa se genitore, insegnante, psicologo o medico.

È l’adulto, purtroppo, che tende a giudicare il bambino come un essere il quale, essendo per definizione immaturo e con scarse conoscenze, non solo non è in grado di capire il suo stato fisico e psichico ed i suoi problemi, ma soprattutto non è in grado di aiutare se stesso, mentre la persona adulta, essendo più ricca di cultura e conoscenze, sa cosa va bene per ogni bambino, in ogni momento della vita di lui. L’adulto pensa di sapere sempre cosa è utile al bambino e cosa gli è dannoso, per cui erroneamente desume che il suo compito e ruolo non possono prescindere dall’indirizzare ed educare ogni minore con il quale si rapporta. Se poi il bambino è gravemente disturbato non vi è alcun dubbio: solo un adulto e per giunta molto colto e preparato, può conoscere ciò che al bambino è utile, ciò che lo farà stare bene, ciò che risolverà i suoi problemi.

Nei rapporti con i bambini che presentano Disturbo Autistico questo atteggiamento e questa presunzione sono assolutamente errati, in quanto le conoscenze che ha l’adulto, anche se molto preparato, della vita intima di un bambino sono molto scarse e incomplete. Già per l’adulto è difficile conoscere le emozioni, le paure ed i bisogni che si agitano, in alcuni momenti e periodi della vita dentro l’animo di un bambino “normale”, in quanto le capacità dei piccoli di tradurre in parole i loro stati d’animo sono molto scarse e limitate. A maggior ragione è estremamente difficile e quasi impossibile, per l’adulto conoscere quello che si agita dentro l’animo di un bambino affetto da un grave disturbo psichico.

E ciò per vari motivi:

1.     La sua visione di adulto, le sue informazioni, ma anche i suoi bisogni personali del momento, collaborano a deformare l’immagine della realtà presente nella vita intima di questi bambini, impedendogli di vedere al di là delle proprie conoscenze razionali e dei propri canoni.

2.     Le numerose emozioni presenti in ogni momento nella psiche di questi bambini sono talmente lontane dalla realtà vissuta quotidianamente dagli adulti, sono tanto intense, mutevoli e spesso anche tanto confuse e contraddittorie, da risultare, per gli adulti, come dei rebus di difficile, se non impossibile soluzione.

3.     Non è infrequente, inoltre, constatare che gli adulti vogliono vedere nel bambino ciò che preferiscono o ciò che in quel momento è per loro più conveniente. Per cui, ad esempio, un bambino che soffre, in quanto ha dovuto subire giornalmente le influenze negative dei disturbi psicologici dei genitori, la loro scarsa e saltuaria presenza affettiva e relazionale o peggio i loro conflitti, le aggressioni reciproche, il loro allontanamento,  diventa un bambino aggressivo, capriccioso o scioccamente geloso, bisognoso soltanto di essere messo in riga con sacrosanti rimproveri e castighi. Per non parlare dell’altro escamotage, oggi così diffuso nel mondo degli adulti, che è quello di vedere, nei bambini che presentano dei disturbi psicoaffettivi, una serie di deficit da correggere, piuttosto che da capire. Pertanto se il bambino manifesta instabilità, tristezza, disturbi del comportamento, chiusura, difficoltà nella comunicazione, la causa è sicuramente da ricercarsi in qualche gene difettoso o in un misterioso disturbo psico-neuro-biologico. Di conseguenza, questo bambino ha bisogno solo di assistenza, educazione o “rieducazione" da parte di qualche servizio, generosamente reso disponibile dalle ASP o dai privati.

Facciamo qualche esempio di quanto abbiamo detto:

Lui non ci guarda direttamente negli occhi, non accetta la nostra vicinanza fisica, né tantomeno sopporta l’essere abbracciato. Questo suo comportamento ci umilia, ci confonde, ce lo fa sentire lontano, per cui cerchiamo di fare la cosa che ci sembra più giusta e corretta: ci impegniamo a farci guardare interpellandolo continuamente o mettendoci davanti a lui chiedendogli direttamente di guardarci negli occhi quando desidera qualcosa. Allo steso modo cerchiamo di superare le sue ritrosie nell’abbracciarci, stringendolo di più a noi.

Per l’adulto che si pone in funzione educativa è difficile capire ed è ancora più difficile accettare che il bambino con Disturbo  Autistico non ci guarda in quanto il suo animo è sconvolto da infernali emozioni, da ansie, paure e tensioni inaudite. È difficile capire e accettare che dentro di lui vi è l’angosciosa sensazione che il mondo, le persone che lo popolano, ma anche gli oggetti siano la causa del suo malessere e siano là, ancora pronti a continuare a fargli del male. Per cui a questo bambino, pervaso e scosso dall’angoscia e dalle paure, è impossibile guardare negli occhi, sorridere ed abbracciare chi ritiene gli abbia fatto e gli continua a fare dei torti gravissimi.

Lui non parla, ma noi vogliamo che comunichi e dialoghi con noi e questo ci spinge a fare di tutto per insegnargli il linguaggio. Lo stimoliamo a ripetere le nostre parole, non gli diamo qualcosa a cui lui tiene se non lo chiede verbalmente, lo portiamo due,  tre volte la settimana ad effettuare logoterapia, ma abbiamo difficoltà a pensare, a capire e ad accettare che in realtà lui non ha alcun bisogno che qualcuno gli insegni a parlare. Se potesse esprimere i propri desideri, ci chiederebbe soltanto di allontanare dalla sua mente e dal suo animo le nere, paurose angosce che lo disturbano. Ci chiederebbe soltanto di fargli avere un pizzico di serenità in più, un po’ più di gioia, maggiore senso di sicurezza e fiducia nel mondo ed in se stesso, maggiore equilibrio e chiarezza interiore. Perché solo dopo queste premesse, le sue parole sarebbero pronte a sgorgare dalle sue labbra e dal suo cuore.

Se parla, ma ripete in modo sgrammaticato le frasi che ha udito dalla mamma o da altri adulti, come trattenersi dal correggerlo e dal cercare di fargli pronunziare le frasi in modo corretto? Anche in questo caso è difficile accettare che quel suo strano modo di parlare in terza persona è uno dei tanti segnali che evidenziano la presenza in lui di un Io ancora molto immaturo e notevolmente disturbato.

Se ride quando non dovrebbe e in modo improprio, come non cercare di correggerlo affinché manifesti la sua allegria nei modi corretti e nei momenti opportuni? certamente gli adulti si comporterebbero diversamente se capissero che quel suo atteggiare i muscoli facciali al riso e al sorriso, indipendentemente dalle situazioni esterne ed interne, è il modo migliore che il bambino ha trovato per diminuire, almeno momentaneamente e parzialmente, la sua ansia e, nello stesso tempo, farsi più facilmente accettare dagli altri.

Noi non vogliamo che faccia gesti e comportamenti ripetitivi, che ci mettono in imbarazzo ed in difficoltà davanti agli amici ed ai parenti e allora lo preghiamo, lo minacciamo, lo puniamo, lo blocchiamo, affinché smetta di compiere quei movimenti inutili, sempre uguali che ci esasperano come operatori e che ci umiliano come genitori. Eppure, almeno in questo caso, non dovrebbe essere difficile capire che questi movimenti ripetuti sono, in fondo, il miglior sistema che egli è riuscito a trovare per non essere sommerso dall’angoscia e per proteggersi dalle paure, così da trovare un minimo di serenità interiore.

Noi non vogliamo che faccia del male e tantomeno possiamo tollerare che si faccia del male. Quale genitore, quale insegnante o adulto può rimanere indifferente davanti ad un bambino che sbatte la testa sul muro, che si dà pugni sul viso o sul corpo, che si lacera la pelle con le unghie, che si morde le dita. In questi casi cosa c’è di più logico e umano che intervenire in tutti i modi possibili, anche bloccandolo fisicamente, affinché smetta questo suo comportamento, togliendogli le mani dal viso o dalle braccia per evitare che si graffi o allontanandolo dalla parete su cui sbatte il capo? Allo stesso modo non vogliamo che si comporti in modo sadico e crudele verso le povere, innocenti bambole sbattendole a terra, così come inorridiamo quando aggredisce gli altri bambini e gli altri adulti, anche per futili motivi. In tutti questi casi ci sembra logico e naturale rimproverarlo aspramente e punirlo severamente, oppure nel momento in cui riusciamo a contenere la sua e la nostra rabbia, dirgli e fargli capire in maniera dolce e delicata che questi gesti non si fanno, che non è bello, che non è giusto, che i bambini buoni ed educati non fanno queste cose. Purtroppo, però, l’aggressività continuerà a persistere o si accentuerà, fino a quando non troverà qualcuno che, rispettando fino in fondo i suoi stati d’animo ed i suoi bisogni interiori, gli permetterà di esprimere sotto forma di gioco l’aggressività che come un fuoco interiore lo pervade e lo sconvolge.

Noi vogliamo che socializzi con gli altri bambini della sua età. È così bello vedere dei bambini che giocano e ridono insieme! È così bello vedere dei bambini che imparano dal rapporto con altri coetanei il rispetto reciproco. È così triste vedere il nostro bambino seduto in un angolo della casa in compagnia soltanto di una rotellina da far girare per ore! E allora il più presto possibile, anche prima dei tre-quattro anni lo inseriamo  in un asilo nella speranza che il rapporto con altri suoi coetanei lo stimoli ad aprirsi al gioco e alla relazione. Per quanto riguarda, poi, i bambini affetti da problematiche psicoaffettive essi, già provati e affettivamente traumatizzati, rischiano di aggravare la loro condizione in quanto, il legame difficile, patologico, scarso o assente con i loro genitori può peggiorare a causa dell’ulteriore sofferenza e frustrazione dovuta all’inserimento in un asilo nido.

Purtroppo i risultati sono raramente positivi in quanto questo ambiente troppo rumoroso e ricco di stimoli piuttosto che rasserenarlo spaventa il bambino e lo sconvolge ancora di più. Ed inoltre si rischia di aggiungere alle esperienze negative che abbiamo descritto precedentemente: di non essere ben capito, accettato e curato da parte dei suoi genitori o della sua famiglia, una nuova e traumatizzante esperienza. Infatti, per un bambino che già vive tormentato dalle ansie, dalle paure, dai conflitti e dalle tristezze, acquista un significato ben preciso di segno negativo, l’essere allontanato dal suo ambiente naturale, dalla casa, dalla stanza e dagli oggetti che gli procurano un minimo di serenità, per essere inserito, senza tener assolutamente conto dei suoi bisogni, in un luogo sconosciuto, con altri bambini e altri adulti altrettanto sconosciuti, i quali non sono in grado di mitigare i suoi problemi, le sue ansie e le sue paure. Ai suoi occhi e al suo cuore questo comportamento dei genitori conferma la sensazione di non essere un bambino buono, bravo, desiderato e degno di amore. Pertanto la necessità di allontanarlo dalla sua famiglia può assurgere ai suoi occhi al valore di una punizione per i suoi pensieri negativi o i suoi comportamenti di bambino “cattivo”.

Per non parlare delle attività didattiche. Se ha tre  quattro anni il nostro impegno didattico si concentrerà su tutte le attività che possono preparare le sue mani e la sua mente al grafismo, alla lettura, alle quantità e numeri, alle relazioni spazio temporali e così via. Se ha compiuto cinque – sei anni, ci sentiamo responsabilmente impegnati affinché apprenda la tecnica della lettura, della scrittura e dell’aritmetica. Così come ci sembra importante che conosca alcuni degli argomenti studiati nella sua classe di appartenenza.  In questo caso siamo molto lontani dal capire che i suoi problemi veri non stanno in un libro da leggere o in un quaderno su cui scrivere. I suoi problemi veri sono dentro il suo animo sconvolto. Per cui il saper leggere, scrivere e far di conto, non solo non gli è di alcuna utilità, ma lo stress dovuto alla necessità di affrontare gli apprendimenti, per giunta in un luogo sconosciuto, come la scuola, troppo ricco di stimoli da fronteggiare ma anche troppo frustrante per un bambino che ha notevoli difficoltà a rapportarsi con gli altri, non farà altro che accentuare il suo malessere.

Come operare in un setting di “Gioco Libero Autogestito”

1.     Approfondiamo la sua storia personale e familiare.

Spesso l’esame di un bambino affetto da autismo appare più un elenco di comportamenti strani e inusuali che non un esame della realtà di questi piccoli esseri umani e dell’ambiente dove essi hanno vissuto e vivono. L’esame della sua realtà interiore e dell’ambiente di vita è, invece, essenziale, in quanto ci permette di approfondire tutti gli aspetti della sua vita familiare, personale e relazionale. Solo conoscendo tutto ciò sarà possibile capire che cosa ha contribuito al suo grave malessere psicologico attuale, che cosa lo tiene ancora attivo e quali modifiche è possibile apportare a questo ambiente, così da renderlo adeguato ai suoi bisogni.

2.     Cerchiamo di rendere consapevoli i familiari, gli insegnanti ed i vari operatori, che il bambino che hanno di fronte a loro è un bambino che soffre notevolmente.

Abbiamo detto più volte che la sofferenza del bambino, anche se nascosta, pervade il suo animo fin nelle più intime fibre. È una sofferenza fatta di paure, di ansie, di conflitti, di insicurezze, di impulsi contrastanti a volte aggressivi altre volte teneri e passivi. È una sofferenza fatta di rabbia, sospetto, sfiducia negli altri e nel mondo e in se stessi. È, pertanto, indispensabile che gli adulti che per qualunque motivo si rapportano con lui abbiano la consapevolezza di questa sua sofferenza così che ogni loro azione si prefigga lo scopo di diminuirla e mai di accentuarla o esacerbarla.

3.     Aiutiamo i genitori a superare i sensi di colpa

Questo approccio terapeutico inevitabilmente presuppone la consapevolezza che in qualche momento della vita del bambino le persone a lui più vicine hanno assunto dei comportamenti e degli atteggiamenti non idonei al suo benessere interiore. Accettare di aver commesso degli errori non deve però comportare sensi di colpa, i quali possono bloccare e limitare il nuovo approccio relazionale che i genitori ed i familiari saranno stimolati ed aiutati ad avere nei confronti del bambino.

Per limitare o diminuire i sensi di colpa può essere importante la consapevolezza e la certezza che quasi tutti gli errori dei genitori e dei familiari non sono quasi mai voluti, in quanto è raro che un genitore voglia coscientemente far del male al proprio bambino. Buona parte di questi errori sono dovuti a caratteristiche di personalità che, volente o nolente, hanno la capacità di influenzare in modo negativo l’approccio nei confronti del piccolo. D’altra parte bisogna anche considerare la difficoltà di essere genitori in un ambiente sociale, come quello odierno, che confonde al posto di chiarire, che influenza negativamente al posto di aiutare, che provoca contrasti e disunione al posto di creare armonia e unione.

4.     Riscopriamo il bambino che è in noi.

Riscoprire il bambino che vive dentro l’animo di ogni adulto, ci aiuterà a capire meglio la realtà infantile. Il ricordare ed il ripensare alle piccole gioie della nostra infanzia, al piacere che provavamo per le piccole conquiste e per i gesti degli adulti che arricchivano di serenità, sicurezza e gioia il nostro cuore, così come il riscoprire le nostre paure infantili, le tante delusioni subìte, gli insoliti dispiaceri, i facili momenti di collera e rabbia, tutti questi ricordi saranno importanti nel suggerirci, durante la terapia, gli atteggiamenti più giusti e le parole più adatte dà usare con il nostro piccolo paziente.

5.     Rispettiamo il suo spazio.

Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, abbiamo il dovere di limitare al minimo l’impatto che potrebbe avere nel loro animo la presenza fisica del terapeuta, che non deve in nessun momento essere avvertita come invasiva o coartante.

Inizialmente il posto migliore che possiamo scegliere è quello più lontano da lui. E lì, con animo sereno, disponibile e fiducioso, aspettare. Nel momento in cui noteremo che ha meno paura, meno diffidenza, più fiducia, potremo diminuire questa distanza iniziale avvicinandoci a lui per collaborare ai suoi giochi del momento. Se però temiamo di essere inopportuni, possiamo aspettare che sia lui ad avvicinarsi a noi. Abbiamo notato che, almeno inizialmente, questi bambini fanno ciò mediante dei contatti apparentemente casuali o mediati da un oggetto o da un gioco, mentre successivamente, il desiderio di una maggiore vicinanza fisica e di un contatto, sarà espresso più direttamente.

6.     Parliamo poco.

Questi bambini non amano le parole, ma una vicinanza affettuosa e rispettosa. Evitiamo quindi di sommergerli di parole nella speranza che, ascoltando le nostre parole e frasi ripetute più volte possano imparare a parlare bene o a parlare,  se ancora non hanno acquisito il linguaggio verbale.

Il bambino con Disturbo Autistico non ha bisogno che qualcuno gli insegni a parlare ma di qualcuno che gli faccia avere fiducia negli altri così da indurlo a volere comunicare. Egli ha bisogno anche di qualcuno che lo liberi dalle gravi paure e dall’intensa ansia interiore così che abbia la possibilità di elaborare suoni, immagini e parole che gli permettano di dialogare.

7.     Giochiamo ai suoi giochi.

Mettiamoci nella condizione d’animo di assistere e accompagnare con piacere e gioia il bambino di cui ci occupiamo nel gioco da lui voluto e scelto in quel momento, per il tempo che lui desidera e con le modalità da lui scelte. Impariamo, quindi, a partecipare ai suoi giochi essendo noi terapeuti i gregari e lui, il piccolo paziente, l’incontrastato leader. Il motivo di questo inusuale approccio sta nel fatto che questi bambini spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno, in quanto sono estremamente diffidenti e reattivi nei confronti degli altri esseri umani. Pertanto ogni nostra iniziativa li blocca, li disturba, li mette in ansia o peggio fa aumentare di molto la loro ansia e le loro paure che già sono a livelli altissimi. Per evitare, quindi, di aggravare il loro mondo interiore e il difficile rapporto che essi hanno nei confronti degli altri, limitiamoci soltanto a collaborare attivamente ai loro giochi, anche se possono sembrarci ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio, crudeli e perversi.

 Nel Gioco Libero Autogestito

 

 

 

 

Evitiamo, quindi, di proporre le nostre attività e  i nostri giochi, anche se questi, a nostro parere, ci sembrano più intelligenti, più utili, più ricchi di valenze educative e costruttive, più interessanti e vari. Purtroppo la nostra esperienza continuamente ci conferma che all’animo e alla sensibilità di questi bambini, le nostre proposte di gioco, se non esplicitamente richieste, rischiano di confermare la nostra incapacità di essere rispettosi verso di loro e la nostra difficoltà nel capirli e accettarli pienamente.

Per essere ancora più espliciti e chiari, se il gioco del bambino che stiamo seguendo in quel momento consiste nel lanciare in aria i giocattoli, per poi calpestarli quando sono a terra, aiutiamolo con gioia e piacere reciproco a sfogare così la sua rabbia e il suo bisogno aggressivo e distruttivo, porgendogli i giocattoli da buttare in aria e calpestare e, perché no, facciamolo anche noi ridendo insieme a lui.

Se il suo gioco del momento è quello di mettere in ordine uno accanto all’altro tutti i giocattoli che trova, aiutiamolo porgendoglieli con gioia senza provare e tantomeno far trapelare il nostro disappunto per quell’attività così noiosa, ripetitiva e coattiva.

Se vediamo che egli colpisce con forza una bambola con una racchetta da tennis, non solo dobbiamo riuscire a non scandalizzarci per l’apparente crudeltà, ma dobbiamo aiutarlo ad esprimere al meglio la sua aggressività fornendogli, se possibile, altre bambole da colpire, così che possa pienamente sfogare la sua collera repressa. Se le vittime della sua aggressività e distruttività sono le scatole da infilzare con un tagliacarte forniamogli molti “nemici scatole” da infilzare.

In definitiva nel nostro rapporto con lui vi devono essere moltissimi “sì” e pochissimi “no”, in quanto questi bambini, almeno inizialmente, fino a quando non la fiducia negli altri e nel mondo non si è ristabilita, non sono bambini da educare ma da liberare. Liberare dalle loro paure, dalle loro angosce, liberare dall’aggressività, liberare dalla rabbia repressa e dai sensi di colpa.

8.     Mettiamo pochissimi limiti ai suoi giochi.

Spesso ci viene posta la domanda se vi devono essere dei limiti alla loro espressioni del “Gioco Libero Autogestito”. In realtà, nella nostra esperienza sono stati veramente pochi i “no” che abbiamo dovuto pronunciare e hanno riguardato soltanto l’uso di Internet mediante il quale alcuni bambini tendevano a visionare all’infinito gli stessi filmati estraniandosi, quindi, dalla relazione con il terapeuta, così come abbiamo dovuto bloccare ogni approccio di tipo chiaramente sessuale verso di noi o verso gli psicologi osservatori e, naturalmente, abbiamo evitato che qualche bambino ingerisse delle sostanze sicuramente dannose. Raramente siamo dovuti intervenire per scoraggiare un tipo di gioco o di attività che avrebbe comportato un reale e importante rischio per il bambino e per gli altri. Anche perché i comportamenti auto ed etero aggressivi scompaiono rapidamente, appena il bambino avverte una migliore comprensione dei suoi bisogni.

9.     Accettiamolo in maniera incondizionata.

 Per tale motivo non è importante quello che il bambino fa o non fa, ma come egli vive la realtà che lo circonda. Se la realtà attorno a lui è stressante e poco rispettosa dei suoi desideri si accentueranno i comportamenti di chiusura, l’auto ed etero aggressività e le stereotipie. Se egli invece vivrà con gioia l’ambiente e le persone attorno a lui e se avvertirà da queste persone un’accettazione incondizionata di ogni sua parola e di ogni suo gesto, si noterà un rapido instaurarsi di un legame affettivo solido e duraturo con il terapeuta e, contemporaneamente, saranno evidenti, come abbiamo potuto osservare in tutti i casi che abbiamo seguito nel tempo, le sue maggiori capacità comunicative, relazionali e comportamentali, non solo con il terapeuta ma anche nell’ambito familiare, sociale e scolastico. L’ipotesi che abbiamo fatto per spiegare questa realtà è che il legame forte e intenso che si stabilisce in questi casi con il terapeuta che utilizza questa metodologia, stimola il bambino che presenta DSA ad aprire una breccia nel muro di diffidenza e di sospetto che era stato costretto a costruire attorno a lui come difesa, e ciò gli permette di liberare, finalmente, tutte le energie dell’Io, indirizzandole verso la crescita affettivo – relazionale. 

10.   Rispettiamo i suoi tempi.

I bambini affetti da Disturbo Autistico sono diversi l’uno dall’altro per età, per composizione genetica, per i vissuti traumatici trascorsi. Sono diversi per il loro retroterra familiare, per la maggiore o minore gravità dei problemi presenti nella loro psiche. Non possiamo allora immaginare dei tempi che siano uguali per tutti. A ognuno di loro dobbiamo permettere che segua una sua strada, senza mai forzare, senza mai avere fretta di arrivare ad una meta da noi prefissata e programmata. Anche in questo caso essi hanno bisogno del nostro rispetto, più che della nostre conoscenze.

1.     Comunichiamo in modo efficace.

Se riusciamo ad attuare quanto abbiamo detto sopra, ci accorgeremo molto presto del grande desiderio, presente in questi bambini, di comunicare e di relazionare. Ma, anche in questo caso dobbiamo riuscire ad accettare in modo pieno ed incondizionato il loro modo di comunicare, senza cercare di imporre loro il nostro. Quest’accettazione non è così semplice come sembra. Per rispettare il loro modo di comunicare dobbiamo necessariamente accettare il fatto che il loro sviluppo psicoaffettivo e relazionale è gravemente limitato e/o disturbato per cui, nei casi più gravi, questo sviluppo si avvicina a quello di un neonato. E se lo sviluppo psicoaffettivo e relazionale del bambino è come quello di un neonato, egli si comporterà come tale: un neonato non guarda ancora sua madre, né le persone che gli stanno vicino; un neonato non parla; un neonato non esegue quanto gli si chiede; un neonato ha gravi carenze nella comunicazione. Egli strilla quando qualcosa non va per il verso giusto e si arrabbia se non ottiene quanto voluto e desiderato in quel momento. Un neonato è emotivamente molto fragile: ride per un nonnulla come piange e si dispera per niente. Per farlo crescere rapidamente e bene comunichiamo con lui allo stesso modo con il quale una buona madre comunica con un bambino appena nato, cioè con grande ascolto ed empatia. Se riusciamo a fare questo siamo già sulla buona strada. Se riusciamo a non imporgli, anzi a non chiedergli nulla o quasi nulla, ma nello stesso tempo ci mettiamo umilmente, ma anche gioiosamente, in ascolto ed in comunione con lui, dopo qualche settimana ci accorgeremo con stupore di quanto egli sia desideroso di dialogare con noi. 

Rispettiamo il suo spazio psicologico e fisico.

Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, limitiamo al minimo l’impatto che potrebbe avere sul suo animo la nostra presenza fisica, in modo tale che non l’avverta mai e in nessun momento come invasiva. Inizialmente il posto migliore che possiamo scegliere è quello più lontano da lui.  E li aspettiamo. Aspettiamo con animo sereno, gioioso, disponibile e fiducioso. Aspettiamo che sia lui, dopo qualche ora o qualche giorno a diminuire questa distanza fisica. Nel momento in cui avrà più sicurezza in sé stesso, più fiducia in noi, più stima di noi, meno paura, sicuramente lo farà. Si avvicinerà a noi, all’inizio con dei contatti apparentemente casuali, o mediati da un oggetto o da un gioco, per poi gradualmente farci capire che desidera un contatto fisico più prolungato e coinvolgente.

Anche questo nostro atteggiamento e comportamento non è facile attuarlo in quanto vorremmo che egli capisca subito o comunque rapidamente che noi gli siamo amici, che gli vogliamo bene, che non abbiamo nessuna intenzione di fargli del male, per cui, per ottenere ciò, il modo migliore ci sembra quello di avvicinarci il più presto possibile a lui così che avverta meglio i nostri sentimenti ma ripetiamo in questi casi questo è un errore in quanto dall’altra parte vi è tanta paura e tanta diffidenza.  

[1] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 21.

 

[2] A. NOBILE, Gioco e famiglia, in “La famiglia”, anno XXVIII, luglio – agosto, 1994, p. 52.

 

[3] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 71.

 

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Le cause ambientali nell'autismo

Le cause ambientali nell’autismo

 Negli ultimi anni si è posto sempre più l’accento sulle possibili cause organiche o genetiche dell’autismo, trascurando gli aspetti affettivo-relazionali e ambientali che, a nostro parere, hanno un’importanza prevalente, sia nel comprendere le cause di questa patologia, che nel prevenirla ed affrontarla in modo coerente ai bisogni e alle necessità dei soggetti che ne soffrono.

Ci sembra, quindi, doveroso far conoscere i motivi che ci hanno spinto a far nostre le cause ambientali, poiché è su queste e sulla sofferenza che da esse proviene, che è possibile intervenire, sia per prevenire questa patologia, sia per migliorare in maniera sostanziale le condizioni di questi minori, aiutandoli ad uscire dalla loro condizione di precoce e deleteria chiusura.

 

I disturbi delle funzioni cognitive nel bambino con Disturbo Autistico

I DISTURBI DELLE FUNZIONI COGNITIVE NEL BAMBINO CON DISTURBO AUTISTICO

 

 

Per disturbo delle funzioni cognitive si intende l’incapacità del bambino di fornire prestazioni scolastiche: lettura, scrittura, calcolo, rispondenti alla sua età e alla classe frequentata. Non vi è dubbio che questo disturbo sia notevolmente più frequente nei soggetti che presentano problematiche psicologiche.

La chiave dell’intelligenza e dello sviluppo mentale sta nelle prime relazioni e nelle prime esperienze emotive vissute con la madre e con chi ha cura del bambino. Le funzioni cognitive, infatti,  non sono isolate dal contesto affettivo-relazionale. GREENSPAN S. e LIEFF BENDERLY B. affermano: ‹‹Abbiamo scoperto che le capacità più elevate della mente umana, come l’intelligenza, la moralità e il senso di sé, hanno inaspettate origini comuni››.[1] 

Gli stessi autori aggiungono che, analizzando i primi stadi dello sviluppo della mente, ‹‹si è visto che ciascuno stadio richiede una serie di esperienze fondamentali e specifiche  e sottili scambi emotivi››.[2] Non è, pertanto, l’intelletto a dominare la passione ed i sentimenti ma al contrario, sono i sentimenti e le passioni a dominare l’intelletto.

‹‹L’esperienza clinica dimostra quanto sia artificiale separare il cosiddetto stato affettivo dalle funzioni cognitive, dato che perturbazioni in un ambito finiscono, d’abitudine, per influire sull’altro: così alcune gravi alterazioni affettive si accompagnano sempre, a lungo andare, ad alterazioni cognitive. Parimenti, è eccezionale che l’insufficienza mentale non sia complicata da una qualche difficoltà affettiva, tanto più grave quanto più profonda sia la deficienza››.[3] Così esordiscono AJURIAGUERRA J. e MARCELLI, D. nel capitolo riguardante la psicopatologia delle funzioni cognitive. Questo non significa, però, che ogni disturbo psicoaffettivo abbia un’influenza negativa sull’apprendimento e che ogni bambino con ritardo mentale avrà anche delle problematiche psicoaffettive, ma che tra l’uno e l’altra funzione vi sono delle frequenti, possibili influenze.

Una buona serenità interiore permette:

•       una maggiore capacità di concentrazione e attenzione;

•       maggiori capacità di analisi e di sintesi;

•       una memorizzazione più ampia e armonica;

•       un più valido rapporto con i docenti;

•   un interesse più vivo nei confronti dei vari temi proposti per l’apprendimento;

•       una migliore resistenza alle frustrazioni;

•       una più facile concettualizzazione, utilizzazione ed esposizione di quanto letto o imparato;

•       una maggiore duttilità nel passare da un argomento all’altro.

In definitiva tutti gli apprendimenti, scolastici e non, sono notevolmente facilitati quando è presente una buona serenità interiore che permetta al bambino di vivere in armonia con se stesso e con gli altri. Tutti gli apprendimenti, compreso l’apprendimento del linguaggio, non avvengono o avvengono in maniera limitata o abnorme, quando il minore è in preda alla tensione, all’ansia e alle paure, o presenta una personalità affettivamente povera.

Una riprova di quanto detto si ha da parte degli insegnanti ed dei genitori, i quali notano sistematicamente un vistoso ed improvviso calo nel rendimento scolastico dei bambini quando qualcosa di importante turba il loro animo: conflittualità e/o separazione dei genitori, cambio di residenza, nascita di un fratellino, lutto di qualche familiare ecc.. Gli stessi insegnanti e genitori notano poi una successiva ripresa delle capacità scolastiche quando le problematiche che affliggevano il bambino si sono felicemente risolte o il bambino ha trovato sufficienti modalità compensative. La stessa cosa avviene per il linguaggio, che può regredire o scomparire del tutto quando il bambino è sottoposto a notevoli frustrazioni da parte dell’ambiente esterno, così come può essere riacquistato quando le condizioni ambientali si fanno più serene e accoglienti.

I disturbi delle funzioni cognitive sono, quindi, presenti in tutte quelle situazioni di sofferenza infantile che determinano ansia, disturbo dell’umore, vissuti di inadeguatezza, bassa autostima, disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività ecc..[4] 

 I problemi delle funzioni cognitive nei bambini con Disturbo Autistico

 

In questi bambini vi può essere una riduzione grave delle capacità di acquisire nozioni e/o informazioni soprattutto di tipo scolastico. Nonostante ciò, alcuni bambini, quando riescono a controllare e ad incanalare l’ansia e la tensione che li pervade, hanno delle ottime prestazioni, ma solo in alcune materie ed in alcuni ambiti particolari. Alcuni di essi, ad esempio, presentano particolari abilità nella discriminazione di particolari stimoli visivi e nella memoria, altri bambini hanno notevoli capacità nell’aritmetica, nel ricordare delle date o nel leggere e recitare interi brani.[5]  Appare evidente, pertanto, in alcuni di loro o in alcuni particolari momenti e situazioni, una capacità istintiva ad afferrare empaticamente il senso delle cose e degli accadimenti.

Nelle risposte ai test è stata notata una notevole dispersione. Per cui, a domande semplici, il bambino può non rispondere o rispondere in maniera errata, mentre, a domande complesse, può rispondere bene. Inoltre vi è uno scarto tra il livello verbale e quello di performance. Quello verbale può essere notevolmente superiore a quello di performance, mentre possono esserci delle risposte positive in maniera strabiliante in alcuni settori, ad esempio nel calcolo o nella memoria.

Questi dati confermano la presenza, in questi bambini, di una notevole sofferenza interiore. Sofferenza che, in molti casi ed in molte situazioni limita di molto le loro possibilità di attenzione e quindi di memorizzazione e apprendimento, mentre in alcuni casi lo stato di eccitazione dovuto all’ansia, può esaltare alcune capacità. Essi sono costretti a comportarsi come quei popoli che vivono in zone vulcaniche i quali, se in molte situazioni devono subire e soccombere alla furia degli elementi naturali, in altri momenti e per alcune attività riescono ad utilizzare e sfruttare le enormi energie prestate dalla natura. D’altra parte questa situazione di genialità settoriale era stata già evidenziata in soggetti che soffrono di disturbi psicologici più o meno gravi, tanto da suggerire nel pensiero popolare l’errata equazione: genio = persona gravemente disturbata.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Autismo e Gioco Libero autogestito"

 

 

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[1] S.GREENSPAN, B. LIEFF BENDERLY, L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori, 1998,  p. 3.

[2] S.GREENSPAN, B. LIEFF BENDERLY, L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori, 1998, p. 3.

[3] AJURIAGUERRA J. (DE), MARCELLI, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 135.

[4] R. MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 108.

[5] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 257.

 

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