Intimità e dialogo

INTIMITA' E DIALOGO

 

Tutti i libri tendenti a suggerire, consigliare, aiutare la nascita e lo sviluppo d’un buon rapporto amoroso hanno un capitolo dedicato al dialogo. E così, anche fra i meno interessati a questi problemi, è comune dire che se qualcosa non funziona in una coppia “fra i due non c’è dialogo o non c’è un buon dialogo”.

Sappiamo che se la comunicazione è un elemento fondamentale per lo sviluppo e la vita relazionale di moltissimi animali, lo è ancor di più per l’uomo. 

Possiamo tranquillamente affermare che la nostra umanità genetica avrà il suo naturale sviluppo e acquisterà completezza solo e in quanto qualcuno comunicherà con noi in modo efficace. E’ la comunicazione, dapprima con la madre, poi con il padre e poi, progressivamente, con le altre figure umane significative con i quali il bambino entra in relazione che permette sia la nascita che il progressivo sviluppo dell’io del bambino.  Anche se, come avviene nei bambini sordi, la comunicazione verbale dovesse essere deficitaria, la presenza di altre fonti comunicative, soprattutto quelle gestuali ed espressive, riesce a supplire al deficit sensoriale.

  Quando i genitori, non riescono a fare questo. Quando non riescono a comunicare al bambino, attraverso i loro gesti e le parole, il senso caldo dell’accoglienza, dell’affetto e della disponibilità o non riescono a dare ascolto ai messaggi del figlio hanno il sopravvento la tristezza, l’ansia e la paura, che inevitabilmente lo costringeranno alla chiusura e alla depressione.

In un secondo tempo sarà sempre il dialogo che permetterà al cucciolo d’uomo, di crescere e maturare sia nel linguaggio, sia nelle capacità intellettive e cognitive. Sarà, inoltre, mediante un continuo scambio di esperienze e di valori che in lui si svilupperà il senso etico e morale.

Per tali motivi l’aprirsi alla vita e la sua piena crescita e maturazione umana, avverranno soltanto se avrà accanto a sé dei genitori o comunque degli esseri umani che si pongono nei suoi confronti in un rapporto dialogico sereno, affettuoso, stabile e continuo di maternità e paternità.

Così come per lo sviluppo dell’essere umano, il dialogo è fondamentale per la formazione, la conoscenza e lo sviluppo della coppia e quindi della famiglia.

GLI SCOPI DEL DIALOGO

Il dialogo porta alla conoscenza.    

Non v’è dubbio che la comunicazione e la comprensione l’uno dell’altro siano fondamentali nella vita a due.

E’ solo per mezzo del dialogo che due giovani, nonostante provengano da famiglie diverse, siano portatori di differenti tipi d’educazione e d’abitudini, abbiano diversa lingua, religione o estrazione sociale, provengano da diverse città e culture, riescono a raggiungere l’ambizioso obiettivo di formare quell’unità in due che noi chiamiamo coppia.

Ciò può avvenire soltanto se tra i due giovani vi è un continuo scambio di pensieri, idee, riflessioni, tendenti alla scoperta e alla conoscenza dell’altro, con l’obiettivo di arrivare, in seguito, alla sua accettazione.

Questa conoscenza non può essere limitata nel tempo, in quanto l’essere umano è in continuo divenire e quindi, anche la conoscenza dovrà essere continua. Non si può pensare di conoscere il proprio fidanzato o la propria fidanzata, ma anche il marito o la moglie in un certo momento e basta. Le esperienze positive o negative; i vissuti di piacere o le avversità; le gioie come le crisi e le tristezze; le malattie o l’impietoso trascorrere degli anni ci cambiano continuamente, costringendoci ad un continuo adattamento. Per tali motivi è necessario che questa conoscenza si applichi ad ogni momento presente e si proietti nel divenire.

Il dialogo ci permette di scegliere la persona giusta.

La conoscenza dell’altro è essenziale per scegliere bene la persona con la quale vogliamo intraprendere una strada insieme e programmare un progetto di vita comune. Ciò è tanto più importante oggi, giacché la scelta della persona da sposare e con la quale formare una famiglia, nel mondo occidentale, non è più, non dico imposta, ma neanche pilotata o suggerita dai genitori, parenti e amici.

I giovani, attualmente, sono costretti ad affidarsi solo alla conoscenza personale dell’altro se vogliono scegliere bene il compagno o la compagna della propria vita. Solo la conoscenza diretta permette loro oggi di conoscere il carattere dell’altro: i suoi desideri e i suoi bisogni; l’universo nel quale si muove; il senso dei suoi atteggiamenti e delle sue reazioni; la natura reale delle sue aspettative;  i motivi che lo fanno intristire o irritare e quelli che lo fanno sorridere, essere sereno e gioioso.

Il dialogo ci permette di scegliere le parole giuste.

Ma anche successivamente, quando si è deciso di costruire una vita insieme, è sempre il dialogo che permette di conoscere le parole che fanno male o che fanno bene all’altro e alla coppia.

Sono parole che fanno male quelle che toccano i nervi scoperti dell’animo dell’altro e quindi provocano aggressività, risentimento, delusione, amarezza, senso di solitudine, disistima. Per Frizzarin le parole da non dire alla persona che si ama sono quelle che mettono in dubbio le capacità e la dignità come: “sei come tua madre o come tuo padre; stai sragionando; è colpa tua; l’unica cosa che sai fare è lamentarti; sei un irresponsabile; sei una persona impossibile ecc...  Altre parole universalmente deleterie riguardano le capacità e le qualità dell’altro: “sei uno scemo, uno stupido, un’oca, una cretina”, “te ne freghi della casa, dei tuoi figli, pensi solo a te stesso / a te stessa”, “non t’importa di nulla”.

Ancora più offensive e pesanti sono le parole che riguardano la sfera sessuale: “Mi sembri un impotente”, “sei propria una donna frigida”.

Altrettanto offensive e deleterie, in quanto possono provocare nell’animo del partner gravi risentimenti, sono le frasi che coinvolgono i genitori o i parenti dell’uno o dell’altro: “Tua madre è una strega, le manca solo la scopa”. “Tuo padre vuole comandare anche nella nostra famiglia, si crede un generale o un piccolo Duce”. Vi sono poi una serie di parole o di riferimenti che, in alcune persone non inducono alcuna offesa o risentimento, mentre in altri possono comportare delle ferite laceranti che difficilmente si dimenticano in quanto sono capaci di provocare una stato di animosità che può perdurare nel tempo, a volte per decenni.

Con il dialogo e la comunicazione si dovrebbe riuscire ad individuare questi gesti e parole, di per se neutri, ma che l’esperienza, o meglio la conoscenza dell’altro, ci ha indicato come molto offensive per quella determinata persona. Alcune di queste parole o frasi riguardano il genere: maschile o femminile e pertanto sono molto più offensive per un sesso rispetto all’altro. Ad esempio dire ad un uomo “impotente” è molto più offensivo che dire ad una donna “frigida”. Dire ad una donna che veste male è molto più offensivo che dirlo ad un uomo.

Come vi sono le parole da evitare vi sono le parole che fanno piacere e quindi da dire spesso alla persona amata. Sono queste parole “magiche” capaci di aprire il cuore dell’altro alla benevolenza, alla gioia, al sorriso, al dono: “Ottimo lavoro; gustoso il pranzo che hai preparato; sei fantastica; sei grande! E' stato bellissimo; sto bene accanto a te; sono felice di averti sposato/a ecc.”.

Queste parole, o frasi come queste, aiutano l’altro ad aprirsi, lo stimolano ad amare ancora di più, lo incoraggiano ad impegnarsi con gioia nella costruzione sia del rapporto amoroso sia della vita familiare.

Anche in questo caso la conoscenza è fondamentale in quanto, se alcune parole o gesti positivi hanno una valenza universale, altre parole o altri gesti sono legati a specifiche qualità della persona che vogliamo amare, con la quale vogliamo o abbiamo già intrapreso un cammino di coppia.

Il dialogo ci permette di scegliere i gesti più giusti.

Altrettanto importanti delle parole sono i gesti. Vi sono dei comportamenti universalmente accettati e altri da tutti rifiutati. Nei libri dedicati ai fidanzati e agli sposi non si manca mai di consigliare agli uomini di ascoltare a lungo, con comprensione e partecipazione emotiva, gli sfoghi delle loro donne, ma anche di non far mancare ad esse regali e fiori nelle varie ricorrenze; mentre, per far felici gli uomini, si consiglia alle donne di soddisfare i loro bisogni sessuali ed alimentari, ma anche di avere verso di loro quegli atteggiamenti di ascolto e cura amorevole quando, stanchi e con i nervi a pezzi, tornano a casa.

Anche per i gesti vale quanto abbiamo detto per le parole: vi sono dei gesti di per sé neutri che però, a seconda delle caratteristiche individuali, possono essere graditi oppure possono provocare risentimento, collera e offesa.

Nel rapporto con gli altri spesso dimentichiamo che ognuno di noi ha una sua storia personale: per famiglia, esperienze, ambiente sociale o vissuti. Ognuno di noi, quindi, è portatore di diversità. La diversità non è l’eccezione ma è la regola. Se l’obiettivo è formare da un uomo e una donna una coppia unita e solidale, bisognerebbe allora imparare a convivere e a ben gestire la diversità non l’uniformità. Questo obiettivo è molto più difficile da raggiungere quando la società di massa tende ad imporre l’uguaglianza e la uniformità: nelle parole, nel modo di vestire e di pensare ma anche nel modo di essere uomini e donne, maschi e femmine, padri e madri, così come nel modo di gestire la famiglia e il lavoro. Questo cercare l’eguaglianza nei gesti, nelle parole o nei comportamenti a tutti i costi fa apparire strano ciò che è naturale, fa apparire abnorme ciò che è normale, fa giudicare negativamente anche gli apporti positivi, seppur diversi.

Il dialogo è un mezzo di scambio con l’altro.

Con l’altro si mettono in comune sentimenti, emozioni, paure. Si comunicano gli avvenimenti del giorno che ci hanno reso gioiosi o tristi, che ci hanno fatto sorridere o arrabbiare. Si fa partecipe l’altro dei fatti della vita e degli avvenimenti del passato che ci hanno reso felici o ci hanno intristito o peggio traumatizzato.

Con l’altro si scambiano informazioni ed esperienze sulla propria infanzia e sulla vita familiare pregressa; le emozioni gioiose o tristi; i sogni e le aspirazioni; gli ideali e le delusioni.

C’è sempre qualcosa che l’uno può dare al proprio compagno o alla propria compagna, come c’è sempre qualcosa che l’uno può e deve ricevere.

Lo scambio può riguardare le conoscenze, le idee, i modi di essere, le esperienze, ma può e deve riguardare anche il mondo degli affetti e dei sentimenti. E’ giusto e naturale far partecipe il partner delle paure e ansie delle quali soffriamo. Si mette a nudo il proprio cuore, non solo per avere un aiuto ma anche per migliorare e rendere più profonda l’intimità. Si danno all’altro suggerimenti e consigli per affrontare nel modo più opportuno le malattie, le limitazioni come anche le difficoltà della vita. E se nei suoi confronti a volte manifestiamo il nostro disappunto e la nostra stizza per parole e comportamenti che ci hanno rattristato, non dovrebbero mancare i nostri commenti positivi e di stima ogni volta che l'altro ci offre la sua disponibilità e capacità.

Vi è, infatti, uno scambio che rassicura e che fa stare bene l’altro e vi è, purtroppo, uno scambio che ferisce e pesa sul suo animo e sulla sua sensibilità, a volte fino a farlo stare male, fino a mettere in crisi l’immagine che ha di se stesso, della vita o di noi.

Gli scambi positivi sono fatti di sentimenti maturi e gradevoli come: l’amore e la stima; la tenerezza e l’accoglienza; la serenità e la gioia di vivere; l’ottimismo e l’entusiasmo. Gli scambi negativi sono fatti di sentimenti immaturi e sgradevoli:ì come: l’acredine e la disistima; l’invidia e la gelosia; la noia ed il disinteresse; la collera e l’aggressività; la tristezza e il rancore; il senso di inutilità e d’insicurezza; la delusione e l’amarezza.

Lo scambio di sentimenti ed emozioni positive è fonte di dinamismo ed è apportatore di gratificazione e appagamento, tanto che è molto ricercato da entrambi ma soprattutto dalle donne le quali, con la comunicazione dei loro crucci e problemi, ottengono di liberarsi delle tensioni ed emozioni negative che pesano e scuotono il loro animo. Quando la comunicazione viene a mancare o non è finalizzata a fare stare meglio l’altro ma anche la vita familiare e relazionale, ci impoveriamo ogni giorno di più. Ogni momento di più moriamo come singolo e come coppia.

Questo darsi reciprocamente è giusto che sia, in definitiva, paritario, ma non si può usare la bilancia del bottegaio per pesare quanto ognuno ha dato o è disposto a dare, giacché, la capacità di mettere in comunione con l’altro gli elementi intimi del proprio animo, non è legata solo alla nostra volontà ma è strettamente connessa alle possibilità e capacità di ognuno di noi in quel momento, in quella situazione ed è in rapporto alla propria realtà interiore. Per tale motivo è corretto affermare che dovrebbe essere paritario lo sforzo di scambiare, non il suo contenuto.

E’ doveroso, quindi, che ognuno cerchi di dare, nel rapporto di coppia, quanto più gli è possibile, com’è altrettanto importante accogliere con gioia e gratitudine quello che l’altro può elargire in quel momento, anche se ci sembra insufficiente e limitato rispetto ai nostri bisogni.

Tra l’altro questo scambio, come meglio vedremo in seguito, non può essere tecnicamente uguale, sia perché avviene tra persone che hanno una storia umana diversa, sia perché avviene tra un uomo ed una donna che hanno contenuti, modalità, interessi e bisogni notevolmente diversi e, a volte, contrastanti.

I problemi maggiori nascono oggi soprattutto dalle modalità e dal contenuto dello scambio. I nostri giovani, purtroppo, sono stati educati a dare libero sfogo alle parole, ma anche ai sentimenti, alle emozioni e ai comportamenti, senza filtrarli mediante il vaglio dell’amore, della razionalità e della sensibilità. La mancanza di questi filtri è dovuta ad un’educazione cosiddetta “libera e spontanea”, che impera ormai da oltre trent’anni. In questo periodo storico, nella ricerca del massimo della naturalezza e della libertà, si è lasciato che i bambini e poi i giovani vivessero, vestissero, si atteggiassero e si esprimessero con pochissime regole e norme o magari senza, quindi senza il necessario ed indispensabile controllo esercitato dalla razionalità, dal buon senso, dal buon gusto, se non dall’indispensabile rispetto verso il loro prossimo.

L’esempio più eclatante lo ritroviamo nelle strade ma anche, purtroppo, nelle scuole e nelle chiese delle nostre città. In questi luoghi, spesso circolano ragazzine ma anche donne non più giovanissime che indossano camicette e pantaloni cortissimi sia durante l’estate che durante i mesi invernali. Lasciando in questo modo scoperte gambe, pance, fianchi, seni e altro ancora. “perché la moda vuole così!”

I maschi, dal canto loro, sempre per adeguarsi alla moda del momento, non hanno alcun problema a mettere dei jeans talmente logori, sporchi e sdruciti che nessuno straccivendolo li degnerebbe d’uno sguardo.

Sia gli uni sia gli altri non si pongono alcun problema per l’eventuale impatto che hanno i loro indumenti con gli occhi, con i sensi e con il giudizio dei loro partner, dei coetanei più seri e responsabili o con gli occhi e con la sensibilità delle persone più mature e sagge. Tra l’altro non è neanche valutato se, dal punto di vista della propria salute, questo tenere gambe, addome e fianchi scoperti sia salutare oppure no.

In definitiva i problemi relazionali, morali, estetici, di buon senso, di buon gusto o di tipo medico, non solo sono tralasciati, ma spesso non sono neanche considerati e valutati. E’ la moda che pensa e decide. E’ la moda corrente che sostituisce totalmente il buon gusto ed il buon senso, la prudenza e la ragione, il pudore e le regole, le indicazioni mediche e quelle religiose.

Se i genitori, i fratelli o le sorelle maggiori hanno l’ardire di far notare gli effetti poco idonei di quell’abbigliamento, la conclusione di ogni discorso e d'osservazione è inevitabilmente di questo tenore: “Mi piacciono, si usano e me li metto, sono fatti miei non tuoi”.

Così come nel vestire si usa dire “Mi piacciono, me li metto, sono fatti miei e non tuoi”, anche nel parlare si usano frasi simili come: “Sentivo di dirlo e l’ho detto. Io sono una persona vera e spontanea”.

Ma le cose non dette, sia nel caso degli indumenti sia nel caso delle parole, sono però altre. Non si dice esplicitamente che l’ubbidire alla moda del momento è più importante che tenere conto della relazione con la persona che ci ama e che dovremmo amare. Non si dice che l’ubbidire alla moda del momento è più importante del rapporto con i genitori e con le altre persone che vivono e stanno accanto a noi, che si dovrebbero voler bene rispettando la loro sensibilità, il loro buon senso, il loro giudizio.

Non si dice esplicitamente che il comportarsi come si vuole e il dire quello che si vuole, quando si vuole, come si vuole, presuppone che gli altri, in questo caso l’uomo o la donna che ci stanno vicini e con i quali dovremmo comunicare e quindi scambiare in maniera costruttiva e positiva: “Se ci amano debbano accettare da noi tutto quello che abbiano da dire, tutti i nostri comportamenti, tutte le nostre scelte. In caso contrario non ci amano. In caso contrario sono monelli, brutti e cattivi e non meritano il nostro amore!”

E’, questo, un modo estremamente infantile di instaurare e vivere le relazioni. Comportamenti e atteggiamenti di questo tenore dovremmo fisiologicamente aspettarceli solo da bambini non ancora in grado di controllare e di capire gli effetti della comunicazione sugli altri, in quanto questi comportamenti, cosiddetti “veri”, sono un modo assolutamente inadatto per iniziare o far progredire un rapporto di coppia o instaurare e far maturare un impegno e una responsabilità di tipo genitoriale e familiare.

Si dimentica che gli indumenti, i gesti, i comportamenti o le parole sono mezzi di comunicazione. Questo significa che, volenti o nolenti, sono strumenti che ci mettono in relazione con gli altri. Non possiamo pertanto trascurare o non tener conto dei messaggi che agli altri arrivano.

Il filtro della razionalità poi esigerebbe che analizzassimo, prima di aprir bocca, l’obiettivo o gli obiettivi che ci proponiamo di ottenere.

Per finire, il filtro della sensibilità dovrebbe far scegliere le parole più delicate e più adeguate in un determinato momento e non quelle che escono liberamente dalla bocca.

Quando questi filtri non sono utilizzati o sono svalutati perché “bisogna essere sinceri e dire tutto quello che si ha dentro in modo spontaneo e libero, così come viene”, il rischio è quello di investire l’altro con una valanga di emozioni e sentimenti incontrollati che non solo non migliorano la comprensione nella coppia, ma limitano e a volte bloccano per mesi se non per anni, le possibilità future d’un dialogo costruttivo e produttivo.

Il rischio è che da parole e frasi “spontanee, sincere e vere” scaturisca e si instauri una schermaglia di frasi sempre più colorite e ricche di insulti, epiteti e aggressività, ma povere di ascolto, disponibilità e accoglienza. Il rischio è che da parte dell’altro, nel tentativo di difendersi, sia eretto un muro invalicabile non solo verso quel tipo di linguaggio ma anche verso la persona che lo usa. La conseguenza più prevedibile è che la persona “libera di dire ciò che sente” sia lasciata sola ad imprecare verso chi non capisce e non accetta “il massimo della sincerità e della spontaneità”.

Vi è poi il problema riguardante le capacità di assorbire le emozioni negative. L’altro non è uno psichiatra, uno psicologo, né tanto meno uno psicoterapeuta che ha il dovere, essendo pagato per questo, di ascoltare e metabolizzare le sofferenze e le pene dei clienti e pazienti. Il partner, anche se ha il dovere d’aiuto e supporto nei confronti della persona amata, ha dei limiti che non possiamo e non dobbiamo in alcun modo superare in quanto, non essendo una persona preparata a questo scopo, ha difficoltà a gestire una sofferenza eccessivamente intensa o duratura. In ultima analisi ed in parole povere, egli si è sposato per stare meglio di come stava prima, non per stare peggio.

In tutte le relazioni, l’impegno che ci assumiamo, anche se non dichiarato esplicitamente, è quello di fare in modo che il carico di gioia e piacere che diamo all’altro sia nettamente superiore alle tristezze e ai dispiaceri che gli procuriamo.

Per Frizzarin, bisognerebbe allora fin da piccoli essere educati: “ad esercitarsi al contenimento delle proprie emozioni e delle loro relative espressioni. Purtroppo oggi nelle famiglie non c’è un’adeguata educazione alla vita emotiva per cui molti giovani credono che sia un loro diritto non solo esprimere le proprie emozioni, ma anche manifestarle quando vogliono, dove e come vogliono”. 

Il dialogo è mezzo di coesione nella coppia.

La coesione indica il grado di condivisione e di vicinanza vissute nel rapporto e nelle decisioni che la coppia prende.

Il ridere insieme, il parlare insieme, l’impegnarsi e il lavorare insieme per degli obiettivi comuni, conducono ad uno stato d’animo particolare: l’altro è importante per noi; l’altro lo sentiamo vicino; dell’altro non potremmo fare a meno. L’altro ci fa sentire sicuri, l’altro è una solida spalla sulla quale appoggiarci nei momenti di crisi o di bisogno.

Quando il grado di coesione della coppia è notevole sono affrontati meglio, con più sicurezza e linearità, i problemi educativi come anche i rapporti con il mondo esterno: famiglie d’origine, amicizie, lavoro. La coesione svolge, quindi, un ruolo importante sul funzionamento della famiglia e della coppia.

Maggior coesione si ottiene quando le coppie o i coniugi parlano l’uno all’altro, rimanendo l’uno accanto all’altro. In parole povere, maggior coesione si ottiene quando pur discutendo ci si continua a rispettare, amare e comprendere. Sono invece inevitabili le fratture quando le coppie o i coniugi si confrontano con lo scopo di umiliare l’altro, di sottomettere l’altro o, peggio, di escludere l’altro.

Il dialogo è mezzo per trovare delle linee comuni.

La comunicazione efficace permette di trovare delle linee comuni in modo tale da affrontare con solidarietà e unità d’intenti le attività educative e lavorative, la gestione della casa e quella della rete familiare, i momenti lieti come quelli tristi, le occasioni ricche di entusiasmo ma anche gli episodi di crisi e di sconforto.

Nei fidanzati e nei coniugi la diversità d’opinione può essere frequente, in quanto spesso è necessario trovare delle soluzioni o delle linee utili per la coppia, per i figli e per la famiglia. In queste situazioni, tanto più frequenti quanto maggiori sono gli impegni familiari, il dialogo è prezioso. Ma a quali condizioni?

Su questo tema si sono sbizzarriti gli autori che si propongono di aiutare a far nascere e sviluppare all’interno delle coppia un clima di serena armonia se non di felicità.

Si cerca, naturalmente, di improntare questi consigli a principi egualitari, se non democratici, collegandoli poi a tanta buona volontà e alla grande forza di coesione data dal sentimento amoroso. Come dire che con molta democrazia, molto amore e tanta buona volontà, questo annoso problema si dovrebbe poter risolvere. Purtroppo non è così. Non basta la democrazia, non basta la buona volontà, non basta l’amore.

Per affrontare il problema di come decidere e di chi deve decidere, sono stati escogitati tutta una serie di metodi che però presentano numerosi e gravi inconvenienti. Per correttezza li elenchiamo:

1.    Ogni decisione, dalla più piccola alla più grande, sia presa in comune.

2.    E’ bene lasciare che le decisioni siano assunte a turno: una decisione la prende un coniuge, mentre la decisione successiva la prende l’altro coniuge.

3.    Fin quando è possibile è bene utilizzare il sistema delle scelte intermedie tra i desideri dell’uno e quelli dell’altro coniuge.

4.    E’ meglio dividere tutte le decisioni in due grandi gruppi affidandoli ai due coniugi. Pertanto, tutte le decisioni riguardanti certi settori familiari sono prese da un coniuge, mentre tutte le altre sono prese dall’altro coniuge.

5.    E’ bene lasciare che le decisioni siano prese a giorni o a settimane o a mesi alterni. Come dire: “Un giorno o una settimana o un mese decido io, il giorno dopo, la settimana dopo o il mese dopo decidi tu”.

6.    E’ stato proposto, inoltre, di scrivere su un bigliettino le proposte sulle quali la coppia ha divergenza di opinioni e lasciare poi la scelta alla dea bendata.

Le osservazioni che si potrebbero fare a questi sistemi di scelta proposti sono numerose.

Intanto il decidere insieme, trovando una linea comune su ogni problema che si presenta nella vita familiare, sfruttando il sentimento amoroso e la buona volontà, è di difficile realizzazione in quanto, il numero delle discussioni possibili, se si tiene conto sia delle scelte fondamentali che di quelle banali e minute, è praticamente infinito.

Si possono avere idee diverse e spesso contrastanti su tutto: dal colore delle tende da mettere nella stanza da letto o dal tipo di divano da comprare, a cosa mangiare a cena o a pranzo, a dove sistemare il cagnolino di maiolica regalato dalla zia Giuseppina per il matrimonio, al numero di figli, o a quanto sale mettere nella minestra. Non parliamo poi degli atteggiamenti educativi migliori da utilizzare in ogni circostanza, ad ogni età e per ogni figlio. Questo scegliere sempre insieme comporta un tempo e una pazienza infinita. Mentre la pazienza, la buona volontà, l’attenzione, le energie ma anche il sentimento amoroso di entrambi i coniugi, sono notevolmente più limitati.

Per quanto riguarda poi l’utilizzazione d’un sistema democratico, questo è improponibile nell’ambito delle normali famiglie. Essendo, infatti, la coppia formata da due persone, per giunta di sesso diverso, che provengono da famiglie diverse, con caratteri, gusti e principi diversi, molte votazioni del “parlamento familiare” si risolverebbero con un cinquanta cinquanta per cento di sì e un altro cinquanta per cento di no.

Prendere delle decisioni a turno: una decisione la prende un coniuge, mentre la decisione successiva la prende l’altro coniuge, è poco realistico in quanto le decisioni non hanno tutte la stessa valenza. Vi sono, inoltre, molte scelte nelle quali non è possibile utilizzare una soluzione intermedia in quanto proprio le scelte mediane potrebbe essere quelle peggiori. Per quanto riguarda poi il dividere le decisioni in due grandi gruppi, affidando la gestione di ogni gruppo in modo esclusivo ad un coniuge, ci sembra che questa metodica limiti troppo l’apporto del coniuge escluso. Lasciare poi che le decisioni siano prese a giorni o a settimane o a mesi alterni potrebbe comportare un andamento familiare molto irregolare e contraddittorio. Infine l’uso del sorteggio non ci sembra molto serio. Sarebbe come affidare la condotta della famiglia al caso.

Pur ammettendo, realisticamente, che non vi sono soluzioni ideali, crediamo che i sistemi escogitati e utilizzati per migliaia d’anni dalla maggioranza dei nostri progenitori siano, con tutti i loro limiti, probabilmente i migliori possibili, proprio perché ben collaudati. Per utilizzarli bisogna però avere il coraggio di accettare la diversità dei ruoli sessuali e quindi accogliere, come conseguenza, una specializzazione, se pur parziale, nell’ambito della coppia, e bisogna riuscire a dimenticarsi della cosiddetta “democrazia familiare”.

Se si accettano questi due principi è possibile, così com’è stato fatto per millenni in miliardi di famiglie del passato e così come si fa attualmente nella stragrande maggioranza della popolazione del globo, fare in modo che il numero e l’intensità dei conflitti familiari si riduca notevolmente.

Per fare ciò è indispensabile che un buon numero di scelte sia di appannaggio esclusivo o prevalente dell’uno o dell’altro coniuge. E’ necessario, quindi, preventivamente, dividere le scelte in cinque grandi gruppi.

Due di questi gruppi saranno di esclusiva responsabilità dei singoli coniugi. In pratica un gruppo di decisioni e scelte saranno effettuate solo dal coniuge che si occupa prevalentemente anche se non esclusivamente d’un settore, ad esempio del mondo affettivo-relazionale e della gestione della casa, mentre l’altro gruppo sarà effettuato dall’altro coniuge che si occupa prevalentemente anche se non esclusivamente del mondo economico e dei servizi. Queste scelte operate senza chiedere alcuna preventiva autorizzazione e senza operare alcuna discussione, saranno poi condivise con l’altro coniuge in modo tale che ognuno dei due sia sempre informato sull’operato del partner e sull’andamento familiare.

Le madri che si recano al mercato per fare la spesa giornaliera, i detersivi per la casa, le magliette per i figli, la rivista o il libro da leggere che ritengono interessante, non dovrebbero avere certo bisogno di essere autorizzate dai mariti per queste scelte. Lo stesso avverrà per i mariti, i quali dovrebbero essere totalmente liberi di effettuare le piccole spese legate al proprio benessere personale, alle attività lavorative o ai propri hobby.

Negli altri due gruppi, che sono sempre collegabili alla sfera d’influenza dei ruoli sessuali, saranno invece inserite le scelte che richiedono un certo impegno educativo, economico o familiare. In queste decisioni rientrano tutte le spese d’un certo rilievo economico, riguardanti però specifici settori di competenza. Penso ad esempio al lettino, alla culla e al passeggino del bambino piccolo, alle spese per il corredo delle figlie più grandi o all’acquisto d’una nuova auto, d’un nuovo computer o la decisione riguardante le persone da invitare nelle varie feste e occasioni. Sono queste spese e decisioni di una certa importanza che però ricadono rispettivamente nella sfera di responsabilità femminile o maschile. Queste decisioni dovrebbero sicuramente avere bisogno di un approfondito confronto con l’altro, in quanto l’impegno, sia di tipo economico che familiare, può essere notevole, ma la decisione finale dovrebbe essere tranquillamente affidata al coniuge più competente o più responsabile in quel settore.

Rimane un terzo gruppo di scelte, che possono e devono essere poco numerose. Rientrano in queste scelte le decisioni riguardanti le linee fondamentali, la direzione e la rotta sulla quale è bene che viaggi e si muova la famiglia nel suo complesso. Queste decisioni di base, non possono essere affidate alla sorte, né possono essere fatte alternativamente tra i due coniugi. L’unica soluzione realistica che vediamo è quella di affidarle, dopo un’approfondita discussione e confronto preventivo, ad uno solo dei coniugi: al capo famiglia. Solo lui o lei, che rappresenta e ha la responsabilità della conduzione generale della famiglia e della sua unità, ha il diritto-dovere di esercitare la scelta migliore. Pertanto l’altro coniuge ha il compito di accettarla serenamente, senza contestarla, senza continuamente rimetterla in discussione e senza eccessivi mugugni. Rientrano in queste decisioni: la residenza della casa coniugale; le ore e i momenti nei quali è giusto che la famiglia sia riunita; la quantità di tempo e di energie da utilizzare per l’armonico sviluppo del mondo affettivo-relazionale e quelle da utilizzare per il mondo economico e dei servizi; le fondamentali grandi linee educative; nonché il modo più opportuno per gestire al meglio gli impegni economici più onerosi e gravosi.

Tratto da "Uomini e donne al bivio - Quali strade per l'amore?" di E. Tribulato

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