Violenze sulle donne e sugli uomini

Violenze sulle donne e sugli uomini

 

 

 

 

 

 

 

Autore: Emidio Tribulato

 

Per violenza s’intende ogni azione di sopraffazione esercitata su individui con mezzi fisici o psicologici. Rientrano negli atti violenti tutti gli atteggiamenti e le azioni di chi con la forza o con la minaccia costringe qualcuno, un gruppo o una comunità a fare qualcosa o gli impedisce di fare qualcosa, in modo tale da determinare una privazione, un cattivo sviluppo, un danno psicologico. Oppure procura una lesione fisica o anche la morte dell’individuo o degli individui verso i quali l’atto violento si esercita. La violenza può nascere da uno stimolo conscio o inconscio e può essere quindi sia volontaria che involontaria.  

“Violenza” è termine analogo a “violare” nel senso di profanare, andare contro, trasgredire [1]. Per Hacker [2] la violenza è in fondo la forma cruda, volgare e primitiva dell’aggressività. Per quest’autore la violenza è sempre aggressività, ma non sempre l’aggressività è violenza. Tuttavia qualsiasi manifestazione dell’aggressività è preferibile alla violenza. 

Certe forme di violenza sono provocate da un sentimento d’ingiustizia. “Se io ho sofferto, è giusto che anche chi ha provocato il mio malessere soffra”. Tuttavia come dice Hacker[3]: “Solo se l’aggressività nel suo complesso e in tutte le sue sfumature e manifestazioni è stata riconosciuta e accettata essa non ha più bisogno di camuffarsi. Solo se l’aggressività non deve cambiare etichetta, non deve più nascondersi né negare la propria esistenza, potrà scegliere per manifestarsi delle alternative al servizio della vita e della felicità, non sarà più costretta a regredire alla violenza, diventando portatrice di distruzione e morte”.

Il termine di violenza domestica indica ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda i soggetti che hanno avuto o si propongono di intrattenere una relazione intima di coppia. Questo termine si riferisce anche alle persone che vivono all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato e a quelli che hanno una relazione di carattere parentale o affettivo. Purtroppo è proprio il legame affettivo e di sangue a rendere la casa e la famiglia nella sua accezione più ampia, il luogo privilegiato in cui la violenza si esercita più frequentemente, tanto che la violenza domestica raggiunge il 75% dei soprusi e colpisce soprattutto coniugati e conviventi. Per quanto riguarda questi soggetti uno dei periodi più pericolosi è quello nel quale si decide o si va incontro alla separazione. Il motivo è facilmente comprensibile. Quei periodi sono, dal punto di vista psicologico, sicuramente i più laceranti e carichi di tensione, risentimento e odio, nei confronti dell’altro coniuge, convivente, o fidanzato/a che sia.

 

Per quanto riguarda il termine violenza di genere, si vorrebbe limitare questo termine agli atti violenti che comportano o è probabile che comportino una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi forma di sofferenza alla donna. Questa limitazione al sesso femminile non è affatto corretta, poiché la violenza è un fenomeno trasversale, pertanto non è assolutamente riconducibile al solo genere femminile. È del tutto evidente che vittime di violenza possono essere non solo i maschi, ma anche i portatori di altri generi sessuali: come gli omosessuali maschi e femmine, i bisessuali, i transessuali, gli ermafroditi e così via.

 

Violenza fisica (Vis absoluta)

Questa è data dall’azione violenta estemporanea o prolungata nel tempo rivolta al corpo dell’altro con intenzione di fargli male o addirittura di danneggiarlo in modo permanente, se non di ucciderlo. La violenza fisica può essere attuata mediante il corpo con schiaffi, pugni, calci ecc. oppure mediante l’uso di veleni, armi o altri oggetti che sono capaci di provocare dolore o di ledere fino a uccidere il corpo dell’altro.

Violenza psicologica (vis compulsiva)

È l’azione rivolta non a far del male al corpo dell’altro ma alla sua psiche, cercando di danneggiare o distruggere il suo benessere psicologico, la sua serenità interiore, la sua autostima, l’immagine sociale, amicale o familiare. In questi casi vi è il desiderio di sottomettere e condizionare in modo pesante la vita dell’altro.  La violenza psicologica è difficilmente visibile e diagnosticabile; i suoi confini sono poco netti e definiti; la gradualità è molto varia e le cause che possono determinarla sono molteplici. Per tali motivi la sua valutazione, in sede legale ma anche su basi etiche e morali, è particolarmente complessa e sfuggente e si presta a svariate interpretazioni e a molti distinguo. Inoltre varia molto nel tempo ed è diversa nei vari stati e nelle varie comunità umane e religiose.

Per quanto riguarda i comportamenti, la violenza psicologica può essere realizzata mediante:

  • Minacce. Ad esempio: “Se non fai quello che ti dico ti tolgo i figli e non li vedrai più”; “Se esci da casa, ti tolgo tutti i soldi e ti lascio in mutande”; “Se non mi permetti di fare quanto ti ho chiesto ti ammazzo, ti distruggo socialmente, dirò a tutti di che pasta sei fatto/a”. Tra le minacce vi può essere anche quella del suicidio. Questa minaccia, come si può ben comprendere, è di estrema gravità, giacché può innescare intensi sentimenti di colpa nella vittima.
  • Divieti eccessivi o assurdi. Ad esempio: “Non ti permettere più di uscire da casa senza il mio permesso”; “Se vai dai tuoi ti lascio”; “Guai a te se frequenti quei tuoi amici”.
  • Colpevolizzazioni eccessive senza un valido riscontro nella realtà. Ad esempio:E’ colpa tua se siamo rimasti in bolletta”; “È colpa tua se nostro figlio si droga”; “Tu sei responsabile dell’infarto che ho subito”.
  • Denigrazione e svalutazione. In questi casi si attacca verbalmente l’altro con frasi dispregiative, cercando di sminuire la sua dignità personale, il suo lavoro, la sua psiche, il suo corpo, le sue capacità e il suo ruolo come madre o padre, come marito o moglie: “Sei un poco di buono”; “Sei una nullità”; “Sei un deficiente/ un cretino”; “Non sei un vero uomo”; “Non hai nulla di una vera donna”; “Sei una matta”. Altre volte si usano i figli per aggredire e umiliare l’altro, istigandoli a rifiutare ogni contatto con il proprio genitore. In alcuni casi si utilizza il sarcasmo per criticare l’altro così da denigrarlo agli occhi dei figli, degli amici e degli altri familiari. In questi casi si utilizzano, alla presenza di altri, delle battute pungenti, solo apparentemente spiritose. Tuttavia lo scopo è chiaro ed evidente: per fare più male si punzecchia il partner davanti a tutti, anche con la speranza di avere dagli altri man forte contro chi si vuole aggredire. Naturalmente questi comportamenti possono comportare la perdita dell’autostima della vittima.
  • Controllo sull’altro. Per avere un maggior controllo sull’altro si può cercare in tutti i modi di scoraggiare ogni sua iniziativa, con l’intenzione di sottometterlo a sé. In questi casi uno dei due prende il sopravvento e decide che cosa il partner “deve” indossare, le persone che può o non può frequentare, e così via.
  • Isolamento. Questa violenza consiste nel cercare di rendere l’altro dipendente da sé cercando di isolarlo. Ad esempio, gli viene impedito di lavorare, di accedere alle finanze personali o comuni, di vedere o di mantenere rapporti con gli amici e la propria famiglia.
  • Indifferenza. Può provocare molta sofferenza anche il trattare l’altro come se non esistesse: non parlandogli; non facendolo partecipe della vita della famiglia; ignorando i suoi bisogni; rifiutando di dialogare con lui.
  • Ricatti affettivi e sessuali. Ad esempio: “Se non mi compri la pelliccia di visone, ti puoi dimenticare di toccarmi anche solo con un dito”. “Se non vuoi che io compri una macchina nuova io non ti pago l’intervento chirurgico che dovresti effettuare”.
  • Violenza economica. In questi casi la persona violenta cerca di diminuire l’indipendenza economica dell’altro in modo tale che questi non abbia beni e mezzi finanziari sufficienti per vivere dignitosamente. Ad esempio, si cerca di sottrargli lo stipendio; lo si esclude da ogni decisione in merito alla gestione economica della famiglia; oppure si costringe l’altro a firmare qualche documento a suo sfavore, così da appropriarsi dei suoi beni; o ancora si effettuano degli acquisti importanti senza consultare l’altro.
  • Violenza culturale e religiosa. Si effettua questo tipo di violenza quando non si rispetta la cultura o le convinzioni religiose e morali dell’altro.
  • Violenze sessuali. Si commette violenza sessuale in varie situazioni. Ad esempio quando si molesta sessualmente l’altro; quando lo si costringe a comportamenti sessuali umilianti, dolorosi o assolutamente non desiderati; quando si gode nel fare delle battute e prese in giro di tipo sessuale; quando si impongono all’altro delle gravidanze, degli aborti o lo si costringe a prostituirsi; quando si interrompe un atto sessuale senza un valido motivo.
  • Violenza con l’uso di modalità di contatto intense e asfissianti (stalking). Questo tipo di violenza si avvale di telefonate, lettere anonime, pedinamenti, messaggi scritti o audiovisivi effettuati sui social. Lo scopo più frequente è quello di cercare, mediante le minacce, di convincere l’altro a tornare sui suoi passi, in modo tale che possa nuovamente essere disposto a riprendere una relazione sentimentale o sessuale che è stata interrotta, in modo ritenuto ingiusto e ingiustificato, almeno nella visione di chi pratica lo stalking. Con tali mezzi il molestatore cerca di mettere soggezione, paura e ansia alla persona presa di mira, al fine di raggiungere il suo scopo o i suoi obiettivi. Nello stalking si può arrivare fino a vere e proprie condotte aggressive, con danni materiali ai beni della vittima[4]. Questa persona, desiderata o detestata dal molestatore, può appartenere al microcosmo affettivo – relazionale del soggetto e quindi può essere un ex: coniuge, fidanzato, convivente, amante, amico, ma può essere anche un vicino di casa con il quale non vi è stato mai alcun rapporto importante, un professionista o anche qualche personaggio famoso della Tv, del cinema o della canzone, come un attore, un’attrice, una modella, uno sportivo, un politico. In Italia, per stalking, vi sono circa 547 denunce ogni mese e diciotto arresti ogni giorno [5]. Lo stalking o molestia può essere attuato per vari motivi: difficoltà ad accettare un rifiuto; incapacità nel saper affrontare le conseguenze psicologiche dell’abbandono; uno stato d’inaccettabile solitudine che stimola a cercare una persona da amare, con la quale avere rapporti sentimentali o sessuali. In sintesi la persona insoddisfatta della propria richiesta, sente forte il bisogno di insistere in maniera abnorme ed eccessiva, con la speranza che i suoi bisogni siano esauditi. In alcuni casi invece, chi attua questo tipo di comportamento cerca con vari mezzi di punire la persona che rifiuta i suoi approcci o desidera vendicarsi, a causa di qualche torto subito o immaginato.
  • L’incuria e la negligenza. In questi casi il soggetto compie violenza non curando sufficientemente la persona che ha bisogno del suo apporto.
  • Lo sfruttamento. Questa violenza si attua quando ad esempio, si costringono degli adulti a prostituirsi oppure si costringono dei minori a impegnarsi in modo eccessivo nella moda, nella pubblicità o nei concorsi, con conseguenze negative sul loro sviluppo fisico o psichico.
  • Il mobbing familiare. Così come esiste un mobbing nel campo lavorativo, nel quale i datori di lavoro o altri colleghi, in modo ostile e prolungato, vessano qualche impiegato, allo stesso modo può esserci un mobbing all’interno della famiglia, con la costruzione di alleanze patologiche. Ad esempio quando uno dei coniugi si allea contro l’altro, utilizzando verso quest’ultimo particolari forme di violenza morale: non rivolgendogli la parola, ridicolizzando ogni suo comportamento, parola o gesto e così via. In altri casi il mobbing si può attuare privando l’altro di qualsiasi possibilità di esprimersi; ci si beffa dei suoi punti deboli; nei suoi confronti si fanno allusioni scortesi, senza mai esplicitarle; si mettono in dubbio le sue capacità di giudizio e di decisione ecc. “… per cui alla fine, chi subisce questa particolare forma di crudeltà mentale vede spegnersi la luce, la sua anima diviene sempre più buia, lacerata, devastata”[6].
  • La gelosia eccessiva. Anche la gelosia, se eccessiva e quindi patologica, comporta una limitazione importante della libertà dell’altro, il quale avrà difficoltà a muoversi, agire e anche lavorare.

Tutti gli atti di violenza psicologica sono in fondo un surrogato dell’aggressione fisica, poiché riescono lo stesso a far del male all’altro, senza sentirsi colpevoli o poter essere accusati di aver provocato un danno organico facilmente rilevabile.

In alcuni casi la violenza può alternarsi a periodi, più o meno lunghi, nei quali, dopo il pentimento e l’accettazione delle scuse da parte della vittima, predomina nella coppia la riappacificazione, la riconciliazione, la dolcezza e l’accondiscendenza. Tuttavia, dopo qualche tempo può seguire una nuova fase di tensione e il riesplodere di un nuovo conflitto, con ulteriori espressioni di violenza ed aggressività. A causa della violenza si possono avere tutta una serie di conseguenze psicologiche come: ansia, paura, confusione, difficoltà di concentrazione, vergogna, perdita dell’autostima con autocolpevolizzazione, senso di fallimento e di impotenza, depressione, isolamento sociale, perdita del lavoro, difficoltà nelle relazioni con l’esterno, perdita dei contatti amichevoli e così via[7].

Non sempre la frequenza e la gravità degli atti violenti sono in relazione con la gravità del conflitto o della contrarietà che incontrano. Può essere presente una carenza conflittuale, intesa come una mancanza di quelle componenti personali e sociali che ci consentono di percepire il contesto critico come sostenibile e non come una minaccia o un pericolo [8]”. La persona con grave carenza conflittuale manifesta un comportamento violento anche in assenza di particolari tensioni e senza seguire la logica dell’escalation. In genere basta molto poco, anche un accenno limitato e parziale di contrarietà – una parola o un atteggiamento fraintesi – per accendere reazioni che appaiono totalmente fuori misura rispetto alle norme sociali, ma che risultano perfettamente compatibili con i suoi deficit, le sue fragilità [9].

 

La violenza nei due sessi

È questo un tema particolarmente difficile ma anche controverso. Negli ultimi anni le accuse di violenza sono quasi sempre state applicate agli uomini, mentre le donne sono state viste quasi sempre come vittime. In realtà, come vedremo esaminando i dati in nostro possesso, le cose sono più complesse.

La violenza sulle donne

 Nella ricerca ISTAT del 2014 per quanto riguarda la violenza sulle donne sono riportati i seguenti dati:

 Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).

Ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione.

Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro.

Lo scorso anno sono state 134 uno ogni 64 ore, le morti delle donne per mano degli uomini. (Cattaneo M., 2014)

La violenza sugli uomini

 Macrì et al., in un’indagine svolta nel 2012 su 1058 soggetti maschili dai 18 ai 70 anni, hanno riportato numerose tipologie di violenze, esercitate su di loro da parte delle donne.

Violenze fisiche

  • Violenza fisica messa in atto con modalità tipicamente femminili con graffi, morsi, capelli strappati: 60,5%  degli intervistati.
  • Lancio di oggetti: 51,2% degli intervistati.
  • Percosse con calci e pugni: 58,1% degli intervistati.
  • Aggressione alla propria incolumità personale che avrebbero potuto portare al decesso: 8,4% degli intervistati.
  • Utilizzo di armi proprie e improprie: 23,5% degli intervistati.

Violenze psicologiche

La percentuale di donne che globalmente insultano, umiliano e provocano sofferenza con le parole è alta: 75,4% degli intervistati. In particolare:

  • Minaccia di esercitare violenza fisica: 61,1% degli intervistati.
  • Disprezzo/derisione: 30,5%   degli intervistati.
  • Paragoni irridenti: 20,1%  degli intervistati.
  • Umiliazioni per quanto riguarda l’aspetto economico e critiche a causa di un impiego poco remunerativo: 50,8% degli intervistati.
  • Umiliazioni ed offese in pubblico: 66,1% degli intervistati.
  • Critiche ed offese ai parenti: 72,4% degli intervistati.
  • Critiche per difetti fisici: 29,3% degli intervistati.
  • Critiche per abbigliamento ed aspetto in generale: 49,1% degli intervistati.
  • Critiche per la gestione della casa e dei figli: 61,4% degli intervistati.

Violenze sessuali

  • Per quanto riguarda le violenze sessuali, solo il 2,2% degli uomini dichiarava di non aver mai subìto alcun tipo di violenza sessuale. La percentuale maggiore di questo tipo di violenza riportato dagli uomini che è stata del 48,7% degli intervistati, riguardava il rapporto intimo avviato, ma poi interrotto dalla partner senza motivi comprensibili. Questo comportamento li faceva sentire umiliati e depressi per cui: “La gamma di turbamenti riferiti andava dal malessere fisico, all’insonnia, dalla mortificazione nel sentirsi rifiutato, al dubbio di non essere più desiderato; dal timore di non essere in grado di soddisfare la partner, al dubbio che in precedenza la stessa avesse simulato un desiderio ed un piacere che non aveva mai provato; dal dubbio del tradimento, alla sensazione di inadeguatezza; dal timore per la stabilità della coppia, al calo dell’autostima, etc”. Un’ampia gamma di conseguenze che non sempre sono state risolte in autonomia, ma che in alcuni casi hanno necessitato di cure specialistiche, sostegno ed analisi.

Gli intervistati denunziavano inoltre altri tipi di violenze sessuali, in percentuali minori, come:

  • l’utilizzo della costrizione, attraverso la forza o la minaccia: 8,6%.
  • rapporti sessuali in forme a loro non gradite (es. rapporti sado-maso, rapporti nel periodo mestruale, rapporti sessuali con altre persone, incluso sesso di gruppo o scambi di coppia): 4,1%.

Per gli autori [10] Macrì et al.,: “Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano tale comportamento deviante e che vengono proposti con continuità a livello istituzionale e mediatico da diversi decenni, sono soliti prendere in considerazione solo l’eventualità che la vittima della violenza di genere sia donna e che l’autore di reato sia uomo. Tale informazione, distorta alla sua origine, passa tramite canali ufficiali (dai media alle campagne di prevenzione) determinando una conseguente sensibilizzazione unidirezionale che relega ad eccezioni - spesso non prese neppure in considerazione – le ipotesi che la violenza possa essere subita e/o agita da appartenenti ad entrambi i sessi”.

Le violenze sugli uomini sono particolarmente difficili da rilevare, poiché sono inficiate anche dalla maggiore o minore propensione di questi a evidenziare le violenze subite, a causa delle caratteristiche sessuali, ma anche a causa della maggiore o minore propensione ad aprirsi su contenuti relazionali particolarmente delicati e intimi. Da ciò derivano i limiti dell’analisi di un fenomeno che, per sua natura, è spesso sommerso[11] (Macrì et al., 2012, p.32). Nonostante l’impegno costante dei media, delle istituzioni e di larga parte del privato sociale nel condannare la violenza, la stessa viene etichettata come violenza di genere, dell’uomo quindi nei confronti della donna, dimenticando l’assunto che la violenza è un costrutto ampio e complesso che non prevede affatto distinzioni quantitative in ordine al sesso ma soltanto qualitative. Per molti giornalisti l’agito violento non ha caratteristiche proprie, oggettive ma sembra divenga biasimevole in funzione di chi lo compie. Viene pertanto trasmesso il messaggio che la violenza femminile non esiste, e se esiste è “lieve” e in ogni caso non suscita allarme, ed è legittimata, normalizzata, positivizzata, in quanto dovuta a reazioni della donna a causa di angherie maschili. Spesso l’uomo che subisce la violenza femminile non ottiene alcuna comprensione da parte di entrambi i sessi, anzi viene irriso e colpevolizzato come debole e incapace, per non essersi saputo difendere adeguatamente.

 Le variabili ambientali e personali

La reattività a uno stimolo non è mai uguale. Il soggetto quando è sereno e soddisfatto può reagire bene a intensi stimoli negativi. Al contrario, in certi momenti e in particolari condizioni di stanchezza, stress, ansia e frustrazione, può reagire male anche a uno stimolo minimo. Ad esempio, è più facile che reagisca male l’individuo che ha vissuto una giornata nella quale non sono stati rispettati i suoi bisogni fisiologici primari: sonno, riposo, alimentazione che la persona privata da molto tempo di quelle minime gratificazioni e soddisfazioni normalmente presenti nella vita di ogni uomo.

La facilità o meno di reagire con eclatanti e a volte pericolose reazioni di collera dipende molto anche dalla reattività individuale. Alcune persone più serene, equilibrate e più capaci di razionalità e controllo emotivo, accettano e sopportano stimoli anche molto intensi e reagiscono in maniera graduale e proporzionale alle provocazioni, altri invece reagiscono in maniera più frequente e/o eccessiva anche a banali stimoli irritanti. Queste persone trovano nelle parole e nei gesti degli altri sempre qualcosa che li colpisce ingiustamente. Sono chiamati “permalosi”, giacché facilmente e frequentemente si sentono feriti e percossi per motivi, a volte lievi, se non proprio insignificanti, ai quali reagiscono con acredine, ruminando rancore e vendette. Questa facile irritabilità dipende dalla storia personale e familiare del soggetto. Una maggiore reattività è presente nelle persone che hanno subìto, per lungo tempo un ambiente familiare frequentemente conflittuale oppure gravemente ansioso, depresso, irritante, essenzialmente poco adatto allo sviluppo di un minore.

 Non è da sottovalutare lo stato di debilitazione provocato da fragilità e debolezza fisica che si trasforma in uno stato di debolezza e fragilità psichica. Sono pertanto fattori predisponenti alle crisi di rabbia: le malattie, specie se croniche; gli interventi chirurgici subìti, particolarmente dolorosi, difficili e dagli esiti incerti; i ricoveri; l’assunzione di alcuni farmaci che aumentano notevolmente l’irritabilità e l’eccitabilità del soggetto come gli antistaminici, i cortisonici, gli antidepressivi e altri.

Le reazione colleriche diminuiscono con l’età e hanno minore impatto nelle persone più istruite, che cercano di vivere in maniera più razionale i contrasti. Sono più frequenti nei primi anni di matrimonio e diminuiscono nel tempo.

I comportamenti delle vittime

Nonostante, almeno in teoria, tutti gli atti di violenza debbano essere perseguiti in sede giudiziaria, non sempre questi sono denunciati dalle vittime. Ciò avviene per vari motivi:

  • Un certo numero di persone che non riescono a metabolizzare i conflitti,  non hanno la capacità di perdonare e sono certe della lentezza della giustizia e della scarsa obiettività delle sentenze dei giudici, tendono a preparare e attuare una loro giustizia, mediante una personale vendetta. In questi casi il rancore è tenuto e alimentato dentro l’animo, in attesa del momento propizio per farlo esplodere. La vittima, a volte per giorni, altre volte per mesi e anni, prepara, organizza e studia ogni punto debole dell’avversario, per rispondere “pan per focaccia” a chi le ha fatto del male. Ciò può fare in modo diretto, oppure utilizzando amici, parenti o altre persone estranee. Il momento propizio può verificarsi anche dopo anni, ma la persona vendicativa non ha fretta giacché “la vendetta è un piatto che si mangia freddo”. Inoltre, il male prima immaginato e poi attuato nei confronti del colpevole, è ricambiato “con gli interessi” poiché, rispetto a quello ricevuto, è maggiorato, accentuato e aggravato dalla collera contenuta. Tuttavia, nonostante il bisogno di rivalsa sia naturale, poiché è presente nell’uomo ma anche negli animali, non fa certamente stare meglio. Anzi fa l’effetto di un acido corrosivo e può portare alla depressione, allo stress, al malessere e ad una permanente tensione[12]. Come dice Losacco[13]: “La difesa a oltranza di se stessi porta ad un progressivo distacco emotivo e a continue azioni distruttive contro l’altro/a. Sfiducia e sofferenza portano all’irrigidimento e ad una tale inflessibilità da impedire a entrambi i partner di trovare un accordo. Il conflitto in questi casi diventa distruttivo: l’intimità, la relazione affettiva, l’autostima e la sicurezza vengono soffocate fino a svanire”.
  • Alcuni invece si astengono dal vendicare quanto subìto poiché temono che lo svelamento della violenza subìta possa mettere in pericolo la propria sicurezza e quella dei figli;
  • In altri casi vi è la paura di qualche ritorsione o di essere abbandonati dal partner;
  • Frequente negli uomini è la vergogna o il timore di subire umiliazioni da parte degli altri, soprattutto dagli altri maschi. Come dire: “Possibile che tu, grande e grosso come sei, non riesci a difenderti da una femminuccia?”
  • In altri casi si temono la derisione e le accuse da parte degli amici e soprattutto da parte dei familiari, per aver effettuato delle scelte sbagliate: “Ma guarda un po’! Il meraviglioso grande amore della tua vita si è rivelato un disastro? Quanto sei stata stupida ad avere scelto di stare con quel tale che noi tutti ti sconsigliavamo di frequentare! E ora, peggio per te! Arrangiati!”
  • Altre volte, a causa del forte legame che può arrivare fino alla dipendenza psicologica nei confronti della persona che ha effettuato la violenza, si preferisce soprassedere e perdonare in attesa di tempi migliori: “Speriamo che in futuro il suo comportamento possa migliorare”; oppure sono messe in evidenza le proprie responsabilità: “Anch’io ho le mie colpe, forse per evitare che succedano queste cose dovrei comportarmi meglio. Mi merito le botte che mi ha dato. Non dovevo fare la scema con i suoi amici.
  • Per senso d’impotenza e incapacità di chiedere aiuto;
  • Perché il comportamento violento dell’altro viene considerato normale. “Non poteva fare diversamente, dato che con le mie parole e il mio comportamento l’ho umiliata di fronte ai suoi amici”.
  • Per salvaguardare l’onorabilità della famiglia e dei figli.
  • Per scarsa conoscenza dei propri diritti.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 9.

[2] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 115.

[3] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 118.

[4] Lorettu L. et al., (2004), “Molestatore segugio assillante”, Quaderni italiani di psichiatria, Quip XXIII, 62- 68.

[5] Biffi R., (2011), “Quando l’amore si trasforma in odio”, Famiglia cristiana, n-16.

[6] Di Maria F.,  Formica I, (2006), Psicologia contemporanea, 197, settembre – ottobre.

[7] Roberto R., (2016), “La violenza intrafamiliare”, Il consulente familiare, aprile – giugno.

[8] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo, p. 38.

[9] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo, p. 38.

[10] Macrì  P. G.  et al.,  (2012), “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza , Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 32, p. 30.

[11] Macrì  P. G.  et al.,  (2012), “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza , Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 32, p. 32

[12] Mullet E. (2015), “La vendetta” Mente e Cervello, n. 126, giugno.

[13] Losacco V. L. (2010), “Crisi di coppia, origine e conseguenze”, Previdenza 9, p. 34.

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