Violenze in famiglia - Conseguenze sui minori
Autore: Emidio Tribulato
Per Ackerman[1]:
“Il modo in cui i genitori mostrano in modo caratteristico il loro amore reciproco e verso i figli è di grandissima importanza per determinare il clima emotivo della famiglia. Il conflitto genera una tensione ostile che, se non viene diminuita, minaccia la disorganizzazione della famiglia. Quando i genitori si amano reciprocamente, il bambino ama ambedue i genitori; quando i genitori si odiano, il bambino è costretto a prendere posizione per l’uno o per l’altro. Ciò suscita paura, giacché egli deve essere preparato a perdere l’amore del genitore che respinge in favore dell’altro”.
Molti genitori conflittuali frequentemente non riescono a collaborare e a coordinarsi tra loro nell’educazione dei figli. Spesso neanche provano a trovare un’intesa reciproca. Anzi, l’uno cerca di squalificare, limitare e bloccare la credibilità dell’altro, sminuendo ogni iniziativa, e ogni frase da questi pronunciata, quasi lieto di poter mettere in discussione e contrastare ogni direttiva e regola proposta o dettata dall’altro coniuge.
I figli, quando avvertono attorno a loro chiari ed evidenti segnali di conflitti o peggio, notano comportamenti violenti tra i genitori, non possono restare indifferenti. Il mondo dei bambini, almeno nei primi anni di vita, è limitato alla propria casa e ai propri genitori. Per tale motivo è diverso dal mondo degli adulti che è ampio, perché fatto di numerosi e complessi rapporti familiari, amicali, professionali. Pertanto quel piccolo ambiente, appunto “il nido” degli esseri umani, affinché permetta un sano sviluppo dei minori, è fondamentale che sia caldo e tenero, ma anche sicuro, sereno e tranquillo.
Quando ciò non avviene, per cui i piccoli dell’uomo avvertono attorno a loro frequenti conflitti, freddezza e aggressività, tutto il loro essere ne soffre, sconvolto dalla tensione che li circonda. Ciò impedisce o altera, a volte in modo lieve, ma più spesso in maniera grave, il loro normale sviluppo psichico. Non è facile, infatti, che un essere fragile, debole e insicuro, com’è un bambino, possa vivere e svilupparsi correttamente in mezzo ai sospetti, ai contrasti o in una famiglia nella quale ognuno va per la sua strada, cercando il proprio tornaconto, senza che vi sia quell’accordo e quell’indirizzo univoco, indispensabile ai piccoli per comprendere, adattarsi e saper affrontare le realtà interne ed esterne.
Alcuni minori pur di non ascoltare o in qualche modo sottrarsi alle urla e all’atmosfera insopportabilmente violenta presente in casa, si chiudono nella loro stanza; si mettono le cuffie nelle orecchie e alzano il livello della musica, nel tentativo di proteggersi, isolandosi. Altri escono da casa o preferiscono restare con i nonni. Altri ancora, gridando a loro volta, cercano in tal modo di coprire le urla dei genitori.
Le conseguenze delle quali soffriranno i minori sottoposti ad un ambiente conflittuale e violento sono in rapporto: all’età; al sesso; alla durata e gravità delle manifestazioni alle quali sono costretti ad assistere; alla loro maggiore o minore capacità di comprendere le cause del conflitto, ma anche alla loro preesistente situazione psicologica. Com’è facile capire, i figli più piccoli reagiscono peggio di quelli più grandi, giacché la loro minore età li rende più facilmente preda delle paure, delle ansie, delle insicurezze, ma anche dei sensi di colpa. Anche gli adolescenti reagiscono molto male ai conflitti genitoriali, poiché in questa fase evolutiva, particolarmente delicata e difficile da affrontare, tali nuove e importanti problematiche che si aggiungono nel loro percorso di crescita, già molto complicato, alterano il loro scarso e fragile equilibrio.
Assistere a dei modi non costruttivi di risoluzione degli scontri genitoriali può incrementare la possibilità di acquisire e generare, a loro volta, metodi inefficaci di risoluzione dei conflitti, sviluppando minori abilità sociali e credenze distorte circa la legittimità e la normalità dei comportamenti aggressivi. Tuttavia, quando i genitori riescono a discutere serenamente e a risolvere costruttivamente i conflitti, questo comportamento può aiutare i figli a imparare le adeguate strategie per la risoluzione dei problemi che si presentano nei rapporti affettivo - relazionali. Inoltre, la risoluzione costruttiva di un conflitto può servire alla coppia stessa per accrescere e per potenziare il proprio legame.
Oltre alla sofferenza causata del trauma di assistere agli scontri tra le persone a loro più care, i minori possono subire anche il danno dovuto alle carenze affettive ed educative. Il conflitto fa, infatti, diminuire la disponibilità fisica ed emotiva, ma anche l’attenzione e la cura verso i figli, poiché i genitori sono non solo occupati e impegnati in questa guerra intestina, ma sono anche psicologicamente sconvolti: pertanto non hanno il tempo, la serenità e la disponibilità necessaria ad occuparsi bene dei loro figli.
Inoltre, poiché spesso il loro stile educativo diventa più nervoso, aggressivo, severo e intollerante, aumentano i rimproveri e le punizioni nei confronti dei minori. In altri casi, al contrario, è possibile che uno dei genitori crei delle alleanze patologiche con i figli verso i quali egli avrà, di conseguenza, una serie di comportamenti permissivi e arrendevoli. Quando poi uno dei due genitori cerca di imporre il proprio stile educativo e formativo, mettendo da parte quello dell’altro, quest’ultimo, frustrato e stanco, si defila dai compiti formativi ed educativi, per spostare la sua attenzione, il suo affetto, la sua gratificazione ad altre attività o ad altre relazioni sentimentali e sessuali. In questi casi è evidente che i figli saranno deprivati delle attenzioni, del dialogo, delle tenerezze, dell’ascolto, di uno dei genitori.
Di solito questo genitore è il padre il quale, in base alle vigenti leggi, è marginalizzato nei compiti educativi. Tuttavia in alcune particolari situazioni i figli sono privati di entrambi gli apporti genitoriali, poiché anche le madri, emotivamente scosse e stressate, hanno notevoli difficoltà a relazionarsi con i figli in maniera serena ed equilibrata.
Un’altra grave problematica riguardante i figli dei genitori conflittuali è quella di essere costretti a scegliere il genitore da amare e quello da odiare e per tale motivo scacciare dal loro animo. Tutto ciò però a scapito dei loro più profondi bisogni e desideri, conformemente ai quali essi vorrebbero, invece, avere accanto, amare e rispettare entrambi i genitori. I figli si schierano e si associano in modo istintivo a volte alla persona violenta, contro quella ritenuta colpevole e quindi degna di subire le punizioni che le sono inflitte, altre volte, invece, si alleano e nel loro animo cercano di difendere, la vittima. In altri casi ancora, non sapendo per chi parteggiare e chi appoggiare e proteggere, preferiscono allontanarsi fisicamente o almeno psicologicamente da entrambi i genitori, pur di non essere coinvolti in una situazione che non riescono a definire, capire e tantomeno gestire.
Vi sono per fortuna dei genitori che cercano di non bisticciare davanti ai loro figli, in modo tale da proteggerli dall’esposizione al conflitto. Quest’accorgimento è senza dubbio positivo ed è un segnale di grande responsabilità, tuttavia non sempre è efficace, a causa delle capacità istintive che i minori hanno di comprendere con facilità le emozioni, anche se queste non sono espresse apertamente.
Sappiamo che i conflitti molto intensi e violenti portano frequentemente alla separazione della coppia. Tuttavia questa soluzione non sempre è efficace, poiché dopo circa un anno e mezzo dalla separazione, almeno un terzo delle coppie esaminate continua a scontrarsi e un quarto dei soggetti continua a farlo anche nei quattro anni successivi. Per tale motivo sia quando i genitori sono in regime di separazione o di divorzio, sia quando riescono a coabitare, nonostante i conflitti, è frequente che i figli subiscano delle notevoli sofferenze[2].
Queste sofferenze si possono manifestare in svariati modi.
- Minori capacità nella gestione dei conflitti con facili esplosioni di rabbia.
- Maggiore sensibilità ai conflitti stessi.
- Minore capacità di autoregolazione nei rapporti con se stessi e con gli altri, con conseguente scarso adattamento sociale e difficoltà anche gravi nel campo relazionale.
- Sintomi regressivi, con un ritorno a fasi di sviluppo superate.
- Presenza di numerose e gravi paure: del buio, degli animali, della morte o della perdita di uno o di entrambi i genitori e così via.
- Presenza d’incubi notturni, disturbi alimentari, insicurezza emotiva.
- Credenze distorte circa la legittimità e la normalità dei comportamenti aggressivi.
- Presenza di disturbi depressivi che si possono manifestare con apatia, abulia, sensazione d’indifferenza e distacco, chiusura, sensi di colpa e di indegnità.
- Minore benessere psicofisico globale.
- Disturbi del comportamento: diffidenza, irritabilità, aggressività, facili accessi di rabbia, comportamenti oppositivi provocatori, abuso di alcool e/o droghe, promiscuità sessuale.
- Disturbi nell’area cognitiva: difficoltà nell’apprendimento, nell’attenzione e nella memorizzazione, minori capacità nell’elaborazione di quanto letto o ascoltato, ma anche minori capacità nel ragionamento logico.
Queste alterazioni affettive ed emotive dei figli, se non sono rapidamente e prontamente risolte, tenderanno a perdurare nel tempo, trasformandosi in disturbi psicologici dell’adulto. Questi disturbi, a loro volta, con facilità si trasferiranno alle nuove generazioni, accentuando il disagio sociale. Molti genitori cercano di difendersi dai sensi di colpa rifiutando d’accettare che le problematiche dei figli siano dovute ai loro comportamenti conflittuali. Pertanto in tutti i modi cercano di attribuire i sintomi di disagio dei figli a fattori congeniti o a una loro congenita cattiveria. Di conseguenza tenderanno ad allontanarsi ancor più da essi, lasciando all’altro coniuge ogni responsabilità[3].
Se la sofferenza subita è uguale in entrami i sessi, si possono tuttavia avere modi diversi di viverla: nei figli maschi sono maggiormente presenti i comportamenti esternalizzanti. Cioè comportamenti in cui il disagio del bambino si riversa verso l’esterno, provocando disturbo nell’ambiente circostante. Ad esempio, il bambino insiste fino allo sfinimento per avere quanto desidera, ha degli atteggiamenti oppositivi nei confronti delle richieste degli adulti, aggredisce gli altri per avere ciò che desidera. Nelle bambine, invece, sono più frequenti i comportamenti internalizzanti. Cioè comportamenti nei quali le femminucce tendono a mantenere dentro di sé i loro stati emotivi, senza manifestarli apertamente, specialmente quando temono di essere in qualche modo responsabili dei conflitti dei genitori. In questi casi le bambine possono manifestare ansia, depressione, ritiro sociale e disturbi psicosomatici.
Tuttavia, così come i figli sono sensibili al conflitto presente nei genitori, allo stesso modo la relazione tra i genitori può essere influenzata negativamente del comportamento dei figli. Per cui: “L’identità psicologica della coppia coniugale modella il bambino, ma anche il bambino, secondo i suoi bisogni, modella la coppia coniugale”[4].
In questi casi si può instaurare un circolo vizioso: i problemi e i conflitti dei genitori possono provocare delle problematiche psicologiche nei figli, con sintomi di tipo comportamentale e oppositivo provocatorio; tali sintomi, a loro volta, possono accentuare i conflitti nella coppia, sia per l’aumentato stress, sia a causa del nascere di accuse reciproche: “È colpa tua: non hai saputo educare bene nostro figlio, sei stata troppo permissiva”. Oppure: “Sei stato troppo severo”; “Lavori troppo, non sei mai presente”; “Non ti occupi mai di lui”. O ancora: “Il tuo caratteraccio si è trasferito in nostro figlio”.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.
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[1] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 32.
[2] Ahrons C. (1981), The continuing coparental relationship between divorced spouses, in “American Journal Orthopsychiatry”, p. 51.
[3] Ackerman N. W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 226 – 227.
[4] Ackerman N. W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 34.