Pensiero, comunicazione e linguaggio
nell'autismo
Autore: Emidio Tribulato
Il pensiero e l’ideazione
I gravi disturbi delle emozioni, dei sentimenti e delle sensazioni possono provocare nei bambini con disturbi autistici delle alterazioni a livello del pensiero e dell’ideazione. Per Franciosi: “Stati emotivi intensi che superano la finestra di tolleranza personale possono generare pensieri e comportamenti disorganizzati”.[1]
Quando l’ansia si presenta in maniera molto intensa e brutale, con frequenti attacchi di panico ed è accompagnata da paure irrazionali, da una sensazione di generico malessere e, a volte, da vertigini, sudorazioni e palpitazioni cardiache, essa ha degli effetti paralizzanti sui soggetti colpiti e produce confusione.[2]
In definitiva quando la nostra mente non è in grado di mettere ordine in un insieme coerente, i pensieri e le esperienze interne ed esterne, insorge un’alterazione più o meno grave della coscienza stessa,[3] che può comportare la perdita della linearità, delle logicità e della coordinazione armonica delle idee e dei pensieri. Il soggetto, in questa condizione, perde le capacità di ordinare in modo coerente i pensieri, le sensazioni e le emozioni e di conseguenza perde anche la capacità di capire anche le situazioni più semplici, ordinarie e quotidiane.[4]
I soggetti con sintomi di autismo che hanno vissuto per qualche momento o per un certo periodo queste alterazioni del pensiero, riportano nei seguenti termini questa dolorosa esperienza.
Scrive la Grandin: ‹‹Il mondo della persona autistica non verbale è caotico e le crea confusione››.[5] E ancora: ‹‹Si immagini uno stato di iperattivazione nel quale si è inseguiti da un pericoloso aggressore in un mondo di caos totale››.[6] E infine la stessa autrice: ‹‹Nelle persone con gravi deficit di elaborazione sensoriale, la vista, l’udito e gli altri sensi si mescolano, soprattutto quando la persona è stanca o turbata››.[7]
Therese Joliffe, citata dalla Grandin, afferma:
Per una persona autistica, la realtà è una massa interagente di eventi, persone, luoghi, suoni, e immagini che crea grande confusione. Sembra che nulla abbia confini definiti, ordine o significato. Passo buona parte del mio tempo semplicemente a cercare di capire quale sia la logica che sta dietro alle cose. Routine prestabilite, orari precisi e particolari percorsi e rituali sono tutte cose che mi aiutano a trovare ordine in una vita intollerabilmente caotica.[8]
Frith riporta il caso di Jerri, diagnosticato con autismo da Kanner quando aveva cinque anni. Secondo Jerri le sue esperienze infantili potrebbero essere riassunte sotto forma di due stati esperienziali predominanti: confusione e terrore. Il suo mondo interiore era un mondo minaccioso, denso di stimoli dolorosi che non potevano essere dominati, pieno di rumori insopportabili, di odori opprimenti. Un mondo in cui niente sembrava costante, tutto era imprevedibile e strano. Erano strani e terribili i cani, era un’esperienza terrificante la scuola elementare, perché ai suoi occhi era pervasa dalla confusione più totale, provava spesso la sensazione di finire in pezzi. In tutto questo terrifico caos questo giovane aveva un unico piacere: lavorare con i numeri.[9]
La Williams trovava il mondo del tutto incomprensibile e doveva sforzarsi continuamente per ottenere dei significati attraverso i suoi sensi. L’autrice racconta l’episodio del lavoro in una fabbrica di pellicce nella quale lei, appena assunta, si era molto impegnata. Il lavoro consisteva nell’inserire degli occhielli nelle pellicce. Purtroppo lei, a causa della confusa e alterata realtà interiore, questi occhielli li aveva inseriti dove capitava, in ogni parte delle pellicce: nelle maniche, nei colletti, nella schiena. Creando in tal modo al titolare un danno di milioni di dollari! [10]
Anche in molti soggetti con autismo di varie età che sono venuti alla nostra osservazione e che abbiamo seguito nel tempo, abbiamo osservato un pensiero instabile ed eccitato, che si smarrisce per strade laterali, nel quale gli elementi ideativi si dispongono l’uno accanto all’altro senza scopo per assonanza o per associazioni superficiali di rapporti puramente esteriori. Queste alterazioni nei nessi ideativi sono facilmente rilevabili nei racconti e nei disegni di molti bambini e ragazzi che presentano sintomi di autismo.
Un primo esempio di queste alterazioni del pensiero e dell’ideazione è presente in un racconto di Michele, un bambino di sette anni.
Un cavallo per il cow- boy
‹‹C’era una volta un cow-boy che voleva un bel cavallo. Il venditore aveva un cavallo omaggio e gli piaceva era suo. Lo vide e lo prese. Era un cavallo rosso di nome Ferrari. Decise di partecipare a una gara di equitazione e partecipò. Partì e vinse. E tutti furono felici e scoppiò una pioggia di asciugamani e il cavallo fece un balletto››.
Ancora un altro racconto poco coerente dello stesso bambino:
Pinocchio e l’albero di mele
‹‹C’era Pinocchio che è salito sull’albero, ha raccolto altre mele con un cestino. Le ha mangiate è scoppiato e non era più il figlio di Geppetto, era arrabbiato e l’ha buttato via. Pinocchio era triste perché dormiva fuori della sua casa da solo. Il giorno dopo Geppetto gli diede da mangiare. La pancia di Pinocchio era quanto un pallone, ha avuto mal di pancia. Voleva il bagno››.
Per fortuna questa condizione non è stabile. Nel momento in cui la grave tensione interiore diminuisce, la mente riesce a recuperare abbastanza rapidamente una buona efficienza, così da poter controllare, collegare e coordinare molto meglio i pensieri e le idee. Lo dimostra questo racconto molto più lineare e coerente eseguito dallo stesso Michele, in un periodo nel quale era più sereno e rilassato, poiché era appena ritornato dalle vacanze estive:
Marco e la matematica
‹‹C’era una volta un bambino che si chiamava Marco. Era il suo primo giorno di scuola. Per prima iniziò la matematica. Era intelligente, buono e sapeva le tabelline. Ha mandato un messaggio al suo amico Luigi per dirgli le vacanze sono finite. La maestra stava per iniziare la matematica. Come si faceva il 120. Semplice dice Marco: 1 centinaio, 2 decine, e 0 unità. Marco era superfelice di aver meritato quel nove. L’ha detto alla mamma e a papà e tutti l’abbracciarono. e gli dissero: “Sei stato bravissimo”››.
Una situazione ancora più evidente la troviamo in Salvatore di dieci anni, questo bambino con disturbi autistici, che possedeva un linguaggio verbale coprolalico, presentava inizialmente un mondo interiore gravemente disturbato, tanto che, scrivendo al computer, le sue capacità di organizzare i pensieri e le idee erano minime:
Pooloneeeee
quello
Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
un tanto giorno
di fa pensavo z
che qualcuno come noi
chiamavanoo’ il
loro mondo
paolo sei un
brutto e di male
un fannullone
un imbroglione
un bruttissimo
codardo d’
imbranato
impastore.
Commedia
Teadraleritornell
O scrittura.
Tuttavia le frasi spontanee che Salvatore, in un periodo successivo, con il miglioramento dei suoi vissuti interiori riusciva a scrivere, erano meno confuse e più strutturate. Tuttavia, non riuscendo a utilizzare la sua fantasia, egli riusciva solo a riportare alcuni episodi presenti nei cartoni animati e nei film che aveva visto più volte alla tv:
C’ERA UNA VOLTA CAPPUCCETTO ROSSO CHE
VENDEVA LA FRUTTA NEL BOSCO DOVE C’ERA LA SUA
NONNA DI NOME PINA.
TOTO’ ERA UN PRINCPE E SUO PADRE ERA UN DUCA
POI PAOLO VILLAGGIO NON RIUSCIVA A USCIRE DALLO
SPORTELLO MA USCIVA DAL COFANO.
ANDO’ IN UFFICIO PER ENTRARE E FARE LE SUE
FACCENDE E POI HA VISTO SUPERMAN E SI E’TRASFORMATO IB SUPERMAN.
POI VEDE CHE C’E’ UN ORSO IN ASCENDORE E SI SPAVENTA POI L’ORSO LO PRENDE CON TUTTA LA FORZA SI CHIUDE L’ASCENSORE E GLI STRAPPAI VESTITI E POI ESCE CON I VESTITI TUTTI QUANTI STRAPPATI
Lo stesso bambino, tre anni dopo l’inizio del trattamento, in un periodo nel quale il suo mondo interiore si era ancora più rasserenato, riusciva a scrivere racconti come questo:
Una casa da pulire
‹‹Io ero vicino e mentre sentii quel fischio, quel suono che veniva da lontano che sembrava che qualcuno mi chiamasse, girai la testa ma non lo vidi, allora cercai la casa e la trovai e volevo entrare ma in mezzo c’era un tronco grandissimo di albero tutto pieno di neve. Cercai di levarlo con tutta la mia forza ma non ci riuscii, allora presi un albero piccolo ma un pochino altino, cercai di togliere l’albero ma era troppo faticoso, così gettai quell’albero e mi avvicinai un’altra volta per toglierlo con tutta la mia forza ma questa volta ci stavo quasi riuscendo, mentre inizialmente non ci stavo riuscendo poi ci riuscii ma stavo cadendo giù. Mi tenni e mi stava arrivando qualcosa sulla testa, mi spostai e mi arrivò di colpo, lo tenni fermo perché mi stava quasi prendendo nel sedere, ma poi lo tenni fermo, vidi che sotto c’era un burrone e lo gettai e poi salii, vidi che era chiuso e lo aprii e vidi che era caduta pure la sporcizia dal letto. Vidi anche un po’ di disordine, così feci un salto in mezzo alla sporcizia, vidi qualcosa per pulire tutto e passai la spazzola. Dopo quando finii, mi accorsi che era una spazzola, andai e la posai e mi venne fame››.
Le differenze tra questi tre racconti scritti dallo stesso bambino in tempi, ma soprattutto in presenza di condizioni psichiche diverse, più gravi inizialmente, molto meno gravi durante il terzo racconto, evidenziano come le capacità nel mettere ordine nelle idee, nei pensieri e di utilizzare al meglio la fantasia e l’immaginazione siano strettamente correlate ai vissuti emotivi ed affettivi. L’iniziale notevole inquietudine interiore, presente nei primi scritti, si riflette mediante parole e frasi disordinate, incoerenti, scollegate tra loro, ricche di elementi aggressivi.
Nel secondo racconto il disordine ideativo diminuisce ma i contenuti riflettono la sua realtà immediata: i film che vedeva giornalmente, e pertanto Salvatore non riesce a utilizzare elementi personali frutto della sua fantasia. Cosa che invece ritroviamo nel terzo racconto, notevolmente più ricco, lineare e coerente.
Un altro esempio di racconto poco coerente lo troviamo in Lucia, una bambina di quasi cinque anni:
Il cane e la partita
‹‹Un giorno il cane era andato a vedere una partita, ma uno l’ha fermato. La foca era al mare e il coniglio era nel bosco. Il coniglietto va a cercare la foca e gli dice: ‹‹Tu eri andato a Gioia›› e lui risponde: “Tu eri andato a Colla”. Un giorno il cane va a vedere la partita. Il padre gli ha detto di non andare. Un giorno l’amico dell’orso è andato alla partita ma l’ha lasciato indietro. Una mamma aveva una bimba, era cresciuta, gli ha fatto il bagnetto. Un’altra mamma l’ha fatta mettere a letto. Dormiva sempre››.
La stessa bambina fece un altro racconto ancora più scucito, nel quale le idee sono ancora più scollegate tra loro:
Il monopattino e la barca d’argento
‹‹Un giorno un monopattino andò con la sua barca d’argento e s’imbarcò. Dopo un giro ritornò a casa e ritornò a giocare insieme alle campanelline. Ma un giorno il cappello malvagio di cristallo fece navigare a Los Angeles. Agitò la sua sfera e navigò. Fino a quando si sono imbarcati. C’era un piccolo problema: la neve era troppo forte. Ha deciso di farlo scomparire tuffandosi nel mare. Suonava una chitarra preziosissima. E la neve continuò a cadere. Suonò forte. Provò e provò e la neve scomparve. Il povero cappello scomparì e le campanelle suonarono››.
Altro esempio di racconto poco coerente è quello di Antonino, di sette anni:
Un palo a Messina Centro
‹‹C’era una volta un palo. Si trovava a Messina Centro. L’aveva messo un signore. Il palo era alto, con la lampadina piccola. Vicino al palo è successo che (qualcuno) ha preso a calci il palo e non è caduto. Lo stesso mese che è nato il mondo è nato il palo. Si metteva a sparare le bombette sul palo ma esso è rimasto intatto. Il palo vedeva tutto ciò che succedeva. Le persone che passavano lo vedevano bello e lo volevano disegnare››.
In questo bambino i suoi pensieri scarsamente lineari e coerenti si manifestavano anche nei disegni.
Altro esempio di disegno che rivela la disorganizzazione presente nella mente del bambino.
Un altro esempio di disegno con elementi incoerenti tra loro lo abbiamo in Luigi.
Esempio di scarse capacità critiche: le ciliegie nascono dal muro accanto all'albero!
Dopo che lo stesso giovane aveva eseguito questo strano e incomprensibile disegno libero, gli abbiamo chiesto il significato dei vari tratti. Le sue risposte mostrano in maniera evidente la confusione presente in quel momento nella sua mente.
Il più strano disegno di Luigi.
Così come nei racconti i miglioramenti nel mondo interiore dei soggetti con sintomi di autismo si riflettono anche nella loro produzione grafica.
La richiesta fatta a Luigi in questo caso era: “Disegna una casa”. Il giovane riesce a disegnare una casa alla quale aggiunge un albero. Anche se nella casa mancano le finestre e la porta, non vi sono elementi gravemente incoerenti.
Il miglioramento del mondo interiore del giovane si riflette in questo disegno.
Pertanto ci appare poco utile andare a cercare, individuare ed elencare gli elementi caratteristici dell’autismo, poiché i comportamenti, le capacità ideative, intellettive o motorie, i tanti deficit che possiamo ritrovare in questi bambini, sono sempre strettamente collegati non solo a un determinato soggetto ma soprattutto riflettono le loro condizioni psichiche in quel determinato momento e con quel particolare interlocutore. In definitiva sia gli elementi deficitari sia le caratteristiche positive che ritroviamo nei minori che presentano disturbi autistici sono correlati al loro status psicologico del momento.
Come dice la De Clercq:
La cosa difficile con i bambini con autismo è che non si può mai dire dove sia esattamente il problema. Non esiste una cosa come la caratteristica tipica. Prendiamo ad esempio l’aspetto dell’immaginazione e del gioco: ci sono bambini che non hanno fantasia né immaginazione, ma ci sono anche bambini che a stento riescono a staccarsi dal proprio mondo fantastico. [11]
Le conseguenze
Quando il pensiero è poco lineare e coerente, le conseguenze sono facili da immaginare: la possibilità di una vita fatta di studio, lavoro e normali relazioni sociali, diventa molto problematica e, nei casi più gravi, praticamente impossibile, anche perché questa condizione patologica tende ad allontanare i coetanei che rimangono perplessi e anche sconcertati non solo dai comportamenti dei bambini con sintomi di autismo ma anche dal loro modo di esprimere e collegare parole e pensieri.
Dice la Notbohm:
Immaginate di salire sulle montagne russe più adrenaliniche del mondo (…) Riuscireste a tenere una riunione, a insegnare a una classe, a cenare piacevolmente in compagnia, a scrivere la relazione e pulire la casa mentre dovete sopportare le vertigini, le urla degli altri occupanti, la spinta fortissima dell’aria, le goccioline inattese e i repentini cambi di direzione, la sensazione di avere i capelli in bocca e i moscerini fra i denti?[12]
[1] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 44.
[2] Sullivan H.S. (1962), Teoria interpersonale della psichiatria, Milano, Feltrinelli Editore, p. 27.
[3] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol. 1, p, 498.
[4] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 22.
[5] Grandin, T. Pensare in immagini, Trento, Erickson, 2006, p. 65.
[6] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erickson, 2006, p. 66.
[7] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 83.
[8] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 84.
[9] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Milano, Economica La terza, p. 214.
[10] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 74.
[11] De Clercq H. (2011), L’autismo da dentro, Trento, Erickson, p. 31.
[12] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, pp. 45-46.
Comunicazione e linguaggio
Le capacità comunicative sono fondamentali per gli esseri umani. Nella nostra società molto evoluta l’abilità nel comunicare, sia attraverso il linguaggio parlato sia mediante le immagini, i suoni, i segni o le tecnologie assistite, è fondamentale.[1] Il linguaggio e la comunicazione ci permettono di stabilisce un contatto emotivo con le persone con le quali ci rapportiamo. Mediante la trasmissione di bisogni, sensazioni ed emozioni sono molto facilitati buona interazione e scambio sociale. Le capacità comunicative aiutano inoltre, l’acquisizione delle nozioni e della cultura, indispensabili per il vivere civile e per il proprio lavoro, riuscendo a stimolare la crescita della personalità del soggetto e lo sviluppo armonico, pieno ed equilibrato delle sue capacità lavorative e sociali.
Quando vi è ritardo, mancanza o disabilità nel linguaggio e non si possiedono mezzi di espressione adeguati, per cui le necessità e i desideri restano insoddisfatti, sarà difficile imparare dagli altri e, conseguentemente, si dovranno subire le conseguenze di una povertà culturale che limita le conquiste sociali e l’integrazione. Uno dei tanti effetti negativi è che, sentendosi piccoli, incapaci, ma anche spesso emarginati, insorga rabbia e frustrazione.
Per tali motivi il sintomo che più di ogni altro mette in allarme i familiari di un bambino con sintomi di autismo, tanto da spingerli a chiedere l’aiuto degli specialisti, è certamente la mancanza o la scarsa presenza del linguaggio a un’età, due – tre anni, nella quale di solito i bambini sviluppano, anche se non pienamente e perfettamente, il linguaggio verbale. Sono molti i genitori di bambini con autismo che, al primo colloquio con lo specialista, riferiscono che il loro figlio “sembra sordo”, giacché non solo non parla e sembra non capire quello che gli viene detto, ma spesso non si accorge che qualcuno gli sta parlando o lo sta chiamando.[2]
Così come per tutti gli altri sintomi presenti nell’autismo, in questi bambini è presente un’estrema variabilità nella ricchezza e nella strutturazione del linguaggio e della comunicazione .[3] Pertanto il linguaggio verbale può mancare del tutto (mutismo totale); può essere presente in maniera rudimentale; può essere anche molto ricco, tanto da manifestarsi con frasi complesse, mediante l’uso di un ampio vocabolario.[4] Addirittura in alcuni bambini può essere presente un vocabolario più abbondante e ricercato di quello utilizzato normalmente dai coetanei. Nonostante ciò la comunicazione è sempre compromessa.
Come dice Vivanti:
Comunicare con una persona con Disturbo Autistico può essere difficile o impossibile per motivi diversi e apparentemente opposti. Ai due estremi del continuum ci sono da un lato soggetti che non hanno mai acquisito il linguaggio e non rispondono e non danno inizio ad alcuno scambio comunicativo, dall’altro soggetti che avviano continuamente conversazioni utilizzando un vocabolario ricco e formalmente appropriato, ma che non sono in grado di adeguare in modo flessibile la comunicazione al contesto interattivo, di mantenere la reciprocità e l’alternanza di turni nello scambio comunicativo e di interpretare correttamente tutti gli scambi comunicativi espressi dall’interlocutore.[5]
Il linguaggio che manca
Intanto il linguaggio verbale può mancare totalmente o essere ridotto soltanto a delle emissioni di brevi suoni, a volte striduli, altre volte cantilenanti. Una percentuale che varia tra il 20% e il 50%, di bambini con sintomi di autismo, non acquisisce alcun tipo di linguaggio verbale; un altro 25 % acquisisce alcune parole tra i 12 ed i 18 mesi e poi va incontro a una regressione associata alla perdita del linguaggio verbale.[6]
Ciò che caratterizza questi bambini, tanto da svelare il loro mondo interiore, notevolmente alterato, turbato, restio e diffidente, è che non vi è neanche il tentativo di compensare la mancanza del linguaggio verbale utilizzando delle modalità alternative di comunicazione, come avviene nel bambino sordo, mediante l’uso dei gesti o della mimica. Questi strumenti comunicativi, quando compaiono, sono eccessivi, inappropriati, non convenzionali, oltre che difficilmente interpretabili dall’interlocutore. In altri casi il linguaggio non verbale si presenta in forma banale, anche se funzionale, come quando questi bambini, avendo bisogno di qualcosa, portano semplicemente per mano la persona all’oggetto desiderato. Ad esempio, portano la mamma davanti al frigo per avere acqua, quando hanno sete o nel cassetto del pane, quando hanno fame (scopo strumentale della comunicazione non verbale).
A volte manca nei bambini con sintomi di autismo anche lo strumento principe della comunicazione infantile: il pianto. È questo un chiaro segnale di scarsa fiducia nei confronti degli esseri umani che la Williams chiama “il mondo”.[7] Ciò avviene giacché questi bambini non credono che il loro pianto possa sollecitare l’attenzione e la cura da parte di chi li circonda, per cui, quando piangono, il loro piangere nasce più da uno stimolo interno che non da un desiderio di comunicare agli altri la loro sofferenza.
In alcuni casi si può avere una regressione del linguaggio già acquisito. I genitori, in questi casi, notano che il bambino, che aveva già iniziato a utilizzare alcune parole o piccole frasi, perde questa capacità, cosicché le parole o le frasi pronunciate gradualmente diminuiscono, fino a scomparire del tutto (mutismo secondario). La perdita del linguaggio è strettamente collegata ai fattori emotivi. Come dicono Brauner A. e Brauner F.:
Ai fini della costituzione e della perdita del linguaggio, il ruolo dei fattori emotivi è molto più rilevante nel bambino autistico che nel bambino normale. L’arrivo di un’educatrice che il bambino accetta può stimolare l’inizio del linguaggio, mentre la sua partenza, e talora perfino quella di un bambino dello stesso gruppo, può arrestarne lo sviluppo e dare il via a una regressione.[8]
Il linguaggio presente
Anche quando la comunicazione verbale è presente, questa ha delle caratteristiche particolari:
Compare tardivamenteÈ compromessa la conversazione
È possibile evidenziare una marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri. In questi casi i soggetti con sintomi di autismo non riescono a tener conto delle intenzioni della persona con la quale parlano e del contesto del discorso.
Per Cottini:
Ancora una volta è l’incapacità dei soggetti autistici di cogliere ciò che gli altri hanno intenzione di comunicare e di apprezzare gli stati mentali degli altri, a condizionare la loro possibilità comunicativa e relazionale.[9]
Per la Williams la sua vera personalità, che lei chiama con il suo nome: “Donna”, neanche da adulta aveva imparato a comunicare. Tanto che tutte le sue emozioni immediate dovevano ancora essere negate o espresse sotto forma di un tipo di linguaggio non idoneo a una buona comunicazione. Linguaggio che gli altri definivano “ciance”, “balbettii” o “blablà”.[10]
Possono essere presenti delle anomalie nella melodia del linguaggio.
Ciò comporta una dizione strana e inusuale che può essere a volte cantilenante,[11] altre volte inespressiva,atona, monotona,[12] perché priva di tonalità emotive, oppure stridente. In altri casi ancora possono presentarsi dei manierismi del linguaggio, per cui il bambino utilizza nel parlare un tono di voce artificioso, non spontaneo, come se imitasse un personaggio reale di sua conoscenza o visto alla tv, nei video- giochi o semplicemente immaginato. A volte è un parlare con delle inflessioni e un tono non adeguati alla propria età, per cui ad esempio, pur essendo un bambino piccolo tende a usare il tono di voce di un adulto o, al contrario, pur essendo un adulto, usa un tono e delle espressioni di voce simili a quelle di un bambino piccolo.
Manca l’uso di un tono regolare.
I bambini con sintomi di autismo possono avere difficoltà a usare un tono regolare, per cui la loro voce può passare dal bisbiglio all’urlo, dai suoni bassi a quelli alti. In questi casi è come se non riuscissero a sapere quale sia il volume necessario per raggiungere l’ascoltatore e farsi capire.[13]
Mancano o possono non essere adeguate la mimica e le espressioni facciali.
Possono essere scarse o non adeguate a una buona comunicazione sia la mimica sia le espressioni facciali. Ad esempio, possono essere presenti degli scoppi immotivati di riso, che manifestano il loro disagio interiore in situazioni che invece dovrebbero preoccuparli. Ad esempio come quando vedono i genitori litigare. Ciò evidentemente non aiuta la comprensione da parte degli interlocutori ma anche l’entrare in sintonia con essi.
E' presente un uso inadeguato di parole e frasi.
Spesso questi bambini tendono a utilizzare parole e frasi in maniera inadeguata, ripetitiva, eccentrica, bizzarra otendono a inventare nuove parole (presenza di neolinguaggio).[14] Talvolta il termine utilizzato sta ad indicare soltanto una parte dell’oggetto designato. Inoltre la minima associazione, ne stravolge il significato originario.[15]
Come riferisce la Grandin:
Spesso il bambino autistico utilizza le parole in maniera inadeguata; a volte questi usi hanno un significato associativo logico, mentre altre volte no. Ad esempio, un bambino autistico potrebbe dire “cane” quando ha voglia di uscire. La parola “cane” è associata all’uscire di casa. Nel mio caso, ricordo sia l’uso logico che quello illogico di parole. Quando avevo sei anni, imparai a dire “incriminazione”. Non avevo la più pallida idea di cosa significasse, ma mi suonava bene quando lo dicevo, per cui utilizzavo questa parola come esclamazione ogni volta che il mio aquilone cadeva per terra.[16]
Pertanto, se a volte l’uso delle parole ha un significato logico, altre volte non è così. Fenomeno questo che non è tipico dei bambini con uno sviluppo normale, né di quelli con un disturbo specifico del linguaggio o di quelli con ritardo mentale. Ciò può indicare la difficoltà che ha la loro mente, sconvolta da incontrollabili e gravi emozioni, di riuscire a trovare la corretta parola o frase. In questi casi può anche essere presente una mancanza d’interesse o bisogno di condividere, con chi ascolta, un contesto più ampio di interazioni, in cui entrambi i soggetti, chi parla e chi ascolta, sono coinvolti in modo attivo.[17] È evidente che, anche in questi casi, viene a essere compromessa l’interazione comunicativa. [18]
Presenza di ecolalie e stereotipie verbali.
In molti casi è presente l’ecolalia (parlare facendo da eco), per cui i bambini con sintomi di autismo usano delle intere frasi o blocchi di parole che hanno udito dai genitori, dai personaggi della tv o da quelli dei video-giochi e le ripetono nella stessa forma verbale e con la medesima intonazione, senza un carattere comunicativo. L'ecolalia può essere immediata quando la ripetizione delle parole o delle frasi avviene subito dopo l'ascolto, oppure differita, quando la ripetizione delle parole o frasi avvengono a distanza di tempo.
Questo sintomo caratterizza non meno di tre quarti dei bambini autistici che parlano. Tuttavia è bene rilevare che manifestazioni di tipo ecolalico le ritroviamo anche nei bambini normali ma in un’età molto precoce, tra i 18 e i 36 mesi, quando i piccoli sono ancora nella fase della lallazione e hanno bisogno di esercitarsi con i suoni e le parole. L’ecolalia nei soggetti normali scompare nel momento in cui essi riescono a ripetere frasi più lunghe e sono capaci di utilizzare il pronome “Io”.
Questo fenomeno, nei bambini con sintomi di autismo, può essere spiegato dall’impossibilità di trovare delle parole appropriate; dalla non comprensione dell’uso delle parole e quindi dall’uso stereotipato del linguaggio, senza particolari intenti comunicativi; dalla presenza di un disagio interiore che essi cercano di affievolire mediante l’uso di parole ripetute[19] e infine dallo scarso desiderio di comunicare con l’altro.
Accanto alle ecolalie possono essere presenti delle stereotipie verbali, nelle quali il soggetto ripete frequentemente parole o frasi scollegate, rispetto al momento nelle quali sono pronunciate e all’argomento discusso in quel momento.
Presenza di errori grammaticali.
Un’altra caratteristica del linguaggio nei bambini con sintomi di autismo è data dal loro parlare in terza persona, il confondere il “Tu” con l’“Io”, l’evitare i pronomi “Mio” e “Me”. Questi bambini dicono ad esempio: ‹‹Vuoi un biscottino? Per dire: ‹‹Mi dai un biscottino?›› Oppure: ‹‹Mamma, che voglio io?›› Per dire: ‹‹Mamma dammi da mangiare quello che di solito io voglio››. Parlano di sé usando il loro nome e sono rari i “sì” di assenso.
Questo loro modo di parlare può nascere dalla confusa percezione della propria identità ma anche dalla presenza in loro di un Io ancora immaturo, come quello dei bambini piccoli, nei quali questi errori sono presenti normalmente.
Presenza di linguaggio non comunicativo.
Vi può essere nel bambino con sintomi di autismo difficoltà o impossibilità a strutturare una vera comunicazione (linguaggio non comunicativo), in quanto le parole e/o i gesti servono spesso solo ad ottenere quanto desiderato in quel momento o ad allontanare l’altro e fargli sapere di non essere gradito. In questi casi manca il piacere della conversazione con gli adulti e con i coetanei.
Il linguaggio nell’autismo ad alto funzionamento
Il linguaggio dei bambini con autismo ad alto funzionamento, invece, può essere fluente, grammaticalmente corretto e complesso, con un tono di voce adeguato. Anzi, spesso questi bambini usano delle frasi e delle espressioni particolarmente curate e ricercate, poiché amano la precisa definizione dei vocaboli.[20] La qual cosa irrita i loro compagni che usano un linguaggio più semplice, immediato e spesso anche di tipo gergale.
Tuttavia anche questi bambini hanno difficoltà nella comunicazione, poiché la loro comprensione del linguaggio è eccessivamente pignola e precisa, mentre il modo di capire e interpretare il linguaggio da parte dei coetanei è più flessibile.[21] Inoltre è per loro difficile determinare la giusta quantità d’informazione richiesta in un particolare scambio comunicativo. A volte ripetono lunghe liste di nomi di paesi, di capitali degli Stati, di presidenti delle varie nazioni, senza minimamente preoccuparsi se questi elenchi interessano la persona che li ascolta oppure no. Per tale motivo hanno difficoltà a mantenere gli scambi nella conversazione, giacché tendono a focalizzare la loro attenzione su particolari argomenti da loro in quel momento amati, il che annoia gli ascoltatori.
Inoltre il loro linguaggio è condizionato dalla tensione e ansia interiore.[22] Ciò li spinge a generare enunciati non comprensibili, perché troppo vaghi, oppure noiosi, perché eccessivamente ricchi di dettagli pedanti.[23]
Un’altra caratteristica descritta nei soggetti con sintomi di autismo ad alto funzionamento è che non riescono ad apprezzare l’ironia e tendono ad avere una comprensione letterale delle parole che ascoltano o leggono, senza riuscire a cogliere le varie sfumature del discorso. Anche il loro modo di esprimersi appare prolisso e pedante. Spesso fanno ricorso a frasi preconfezionate ed i loro commenti sono percepiti come inappropriati, rozzi o esageratamente educati.[24]
Per quanto riguarda l’immaginazione questa è poco presente nelle forme gravi di autismo ma è ben viva nelle forme lievi o quando vi è un miglioramento delle condizioni psichiche.
I disturbi nella comprensione
Uno dei giochi che più gratifica le madri, che è poi un modo per far conoscere agli altri le buone od ottime capacità di comprensione del loro piccolo, quando si va a far visita ad amici e parenti, è quello di mettere il figlioletto, che ha appena iniziato a reggersi in piedi, al centro del gruppo e chiedergli di indicare tutte le persone, ma anche tutti gli oggetti da lui conosciuti. Di solito, per incoraggiare il piccolo, le donne iniziano con le domande più facili: ‹‹Dov’è la mamma?››. Se il bambino la indica con il dito, scattano subito gli applausi, seguiti subito da altre domande, gradualmente più difficili: ‹‹Dov’è papà?››, ‹‹Dov’è la nonna?››, ‹‹Dov’è zia Adele››, e cosi via per tutte le persone che egli conosce. Quanto il bambino è più grandetto alle persone e agli animali si aggiungono le parti del corpo e poi gli oggetti: ‹‹Dov’è il tuo nasino?››, ‹‹Dove sono i tuoi occhietti?››, ‹‹Dov’è il ciuccio?››.
Questo indicare con il dito è un segnale di comunicazione ma anche di comprensione del nome degli oggetti e ciò, di norma, compare nel bambino tra i dodici e i diciotto mesi. Nei bambini con sintomi di autismo, purtroppo, questa capacità manca o compare tardivamente. Spesso questi bambini pur conoscendo il nome della persona o dell’oggetto che viene loro chiesto, non hanno alcuna voglia di indicarlo poiché sono limitati o totalmente bloccati dalle paure e ansie, tanto che, come tanti bambini molto timidi e introversi, volgono lo sguardo altrove o si nascondono da qualche parte, nel momento in cui sono avvicinati e interpellati. Oltre che essere presente una reale o in alcuni casi un’apparente mancanza d’interesse per le domande degli altri, vi è anche uno scarso coinvolgimento per gli effetti che possono avere sugli altri le loro risposte (linguaggio non comunicativo).[25]
Inoltre, poiché i bambini con disturbi autistici cercano d’ignorare tutti gli stimoli che provengono dal mondo esterno e non desiderano rapportarsi con gli esseri umani, quando sono chiamati per nome, rispondono molto più raramente degli altri coetanei e il numero dei contatti oculari e dei sorrisi ricchi di socievolezza è scarso.
Tra l’altro è molto difficile comunicare con i soggetti che presentano sintomi di autismo, anche se hanno una discreta competenza linguistica, poiché, anche quando desiderano il dialogo, elaborano troppo lentamente le informazioni che servono per comunicare e hanno difficoltà ad attribuire un significato corretto a quanto ascoltato.[26]
Inoltre questi soggetti hanno una difficile visione d’insieme della realtà. Tendono a vederne i dettagli e da questa cercano di ricostruire l’insieme, mentre i soggetti normali fanno esattamente l’opposto: prima vedono la globalità e poi i dettagli.[27]
Dice De Rosa:
Noi autistici, a cui l’immediatezza della visione d’insieme manca, siamo invece del tutto impegnati a processare mentalmente un gran numero di dettagli per capirci qualcosa e spesso con l’ansia di non fare in tempo, prima che capiti di dover agire senza aver capito delle vostre situazioni di vita neurotipica che sono spesso oscure misture di cascate di parole, di comunicazioni non verbali e di significati impliciti non detti.[28]
Conseguentemente non danno risposte adeguate alle persone che si rapportano con loro. Inoltre, poiché tendono ad interpretare le parole in maniera letterale, trovano assai difficile capire le ambiguità del linguaggio e le espressioni figurate, frequentemente usate nel linguaggio comune.[29] Le difficoltà nella comprensione si manifestano soprattutto nella lettura, sia che a leggere siano loro oppure gli altri, tanto che spesso non comprendono le favole della buona notte, lette dalla madre o dal padre. Allo stesso modo hanno molta difficoltà nel capire le spiegazioni degli insegnanti, sia per la velocità con la quale questi parlano, sia per la difficile comprensione di concetti astratti.[30]
Anche i bambini con autismo ad alto funzionamento spesso hanno difficoltà nel saper cogliere le sfumature, compresi l’umorismo, l’ironia e il sarcasmo, poiché queste capacità dipendono in modo determinante dalla capacità di comprendere le intenzioni e gli atteggiamenti degli altri, cosa per loro difficile. Poiché questi bambini hanno una capacità limitata nell’attribuire stati mentali agli altri, solo con un grande sforzo possono imparare a riconoscere i significati sottili o mutevoli che dipendono dagli atteggiamenti e dalle intenzioni delle persone con le quali parlano in quel momento.[31]
Ricorda De Rosa:
Tutta la storia della mia vita può essere vista anche come il percorso per sfuggire all’incomprensibile e strappare ogni giorno frammenti di significato da comporre in piccoli spezzoni di comprensione, per provare anch’io a partecipare un pochino e non essere solo una sorta di rottame in balia delle onde della vita.[32]
A questo proposito la Grandin scrive:
Io riuscii a imparare a parlare perché ero in grado di comprendere il linguaggio, mentre gli autistici con basso funzionamento possono non imparare mai a parlare perché il loro cervello non è capace di discriminare i suoni del linguaggio. [33]E ancora la stessa autrice: Quando gli adulti si rivolgevano direttamente a me, riuscivo a capire cosa dicevano. Ma quando parlavano tra loro io sentivo una serie di suoni senza senso.[34]
La Williams scrive:
Tutto ciò che capivo doveva essere decifrato, come se dovesse passare attraverso una complicata procedura di controllo. Talvolta la gente doveva ripetermi diverse volte una stessa frase perché io l’ascoltavo un pezzo per volta e il modo in cui la mia mente aveva spezzettato la loro frase in segmenti mi lasciava con uno strano e talvolta incomprensibile messaggio…Allo stesso modo la mia risposta a ciò che la gente mi diceva era spesso ritardata, perché la mia mente aveva bisogno di tempo per elaborare ciò che avevo sentito. Più ero sotto stress e più le cose peggioravano (…) Il mio mondo poteva anche essere colmo di solitudine, ma era sempre prevedibile e offriva garanzie.[35]
Le cause
Frith ricorda che il linguaggio richiede una vasta gamma di capacità: [36]
- la fonologia è relativa alla capacità di elaborare i suoni verbali;
- la sintassi si riferisce alla capacità di seguire le regole della grammatica;
- la semantica è legata alla capacità di creare e comprendere i significati;
- la pragmatica, relativa alla capacità di usare il linguaggio allo scopo di comunicare.
Tutte queste capacità per poter essere esplicate in maniera corretta richiedono una buona serenità e un buon equilibrio interiore, giacché tutte le problematiche psicologiche di una certa rilevanza, in qualche modo o con modalità diverse, limitano, alterano o bloccano una o più capacità comunicative. Ciò ritroviamo in molti disturbi del linguaggio: nel mutismo selettivo, nella balbuzie, nell’iperattività, nella timidezza eccessiva, nei disturbi della espressione e della ricezione del linguaggio, in molte nevrosi e soprattutto nelle psicosi. In questi e in tanti altri disturbi nei quali le componenti psicologiche sono importanti, è difficile saper ascoltare, comprendere ed interpretare in maniera corretta le parole e, soprattutto, il pensiero e le emozioni degli altri, così da mettersi in un’adeguata relazione dialogica. Dice Moro: “Ascoltare è difficile. Bisogna riuscire a far tacere se stessi, gli altri pensieri che ci distraggono, e le preoccupazioni”.[37] Non a caso, negli studi sui processi di sviluppo, la competenza linguistica viene strettamente associata ad un’efficace capacità di regolazione emotiva.[38]
Nell’autismo le difficoltà di comprensione sono notevoli a causa dell’ansia, della tensione e spesso della difficoltà di mettere ordine nei pensieri, presenti in questa patologia. Ciò rende difficili, fino a bloccarle, le capacità di rintracciare i significati di quanto ascoltato o letto. Contemporaneamente questi disturbi psichici rendono difficile rintracciare e organizzare le parole per pronunciare una frase compiuta. Le abnormi emozioni delle quali soffrono questi soggetti a volte non permettono che entri in azione il processo di articolazione, cosicché, in alcuni di loro, le parole riecheggiano nel cervello, senza poter essere pronunciate.[39] La frustrazione che ne deriva può portare alla rabbia e alle crisi nervose, oppure può rimanere inespressa.
Tutti i soggetti che hanno sofferto e soffrono di autismo come Williams, Morello, De Rosa, Grandin, confermano queste difficoltà comunicative, dovute al difficile rapporto che essi avevano con gli altri, con se stessi, con le proprie emozioni e con i propri pensieri strani e patologici che rendevano difficile, bloccavano, mortificavano o alteravano il loro linguaggio.
Dice la Williams:
Le parole non erano un problema, ma lo erano le aspettative degli altri che io rispondessi. Ciò richiedeva che io capissi ciò che era stato detto, ma io ero troppo felice di perdermi per accettare di essere riportata indietro da qualcosa di così “piatto” come la comprensione.[40]
Per Morello:
La prova più difficile era la parola. Potevo sentire, ma non parlare. Mio papà insisteva per giocare con me, ma io non avevo voglia. Lame d’irritazione mi pungevano sulla testa. Salivo macchiato di malumore in camera e la avversa catena si scioglieva. Solo. Stavo bene e non volevo altro. La parola era ansia. Preferivo chiudermi e non sentire. Le persone parlavano sulla mia testa e io mi rendevo invisibile. La loro voce era solo suono che mi dava fastidio. Mi veniva voglia di gridare: “LASCIATEMI IN PACE”. Invece tutti mi chiedevano di parlare e io ripetevo automaticamente le loro parole. La mamma si disperava. La nonna cercava di consolarla. Il papà non riusciva a capire e si irritava.[41]
E ancora lo stesso autore: ‹‹Dentro conoscevo parole ma solo come suoni o come effetti. Certe volte volevo dirle ma non trovavo il senso e il tempo giusto››.[42]
Morello si trovava molto meglio nello scrivere che nel parlare e ne espone i motivi: ‹‹La parola è emotiva. Scrivere scioglie il nodo della lenta parola, che piano piano si solleva dal vero pensiero autistico››.[43] Inoltre, per lo stesso autore il linguaggio richiede molta rapidità nell’elaborare parole e frasi, mentre la scrittura permette una maggiore lentezza; il linguaggio è supportato da molti elementi non verbali, come le espressioni del viso o il tono della voce, la scrittura si compone solo di parole; il dialogo suppone una relazione sottesa al dialogo stesso, la scrittura no, e quindi è meno ansiogena.[44]
De Rosa:
Comprendo il linguaggio, ma ho bisogno di più tempo di quello disponibile in un dialogo verbale, o forse sarebbe meglio dire di più calma, di non trovarmi in una condizione incalzante e un po’ ansiogena, spesso bloccante.[45]
Lo stesso autore:
Ovviamente, datemi la tastiera del mio computer, relazione con un oggetto infinitamente meno ansiogena, datemi anche la calma di poter scrivere lentamente con un dito solo e ritorno proprietario dell’uso del linguaggio. Il mio problema non è il linguaggio ma l’enorme complessità della relazione umana, fatta di una grande quantità di stimoli non verbali che ci si scambia a grande velocità e che per di più si influenzano a vicenda. Ma come fate a trovare al volo tutte le parole utili, e anche qualcuna inutile secondo me, all’interno di una tempesta relazionale così gigantesca?[46]
In sintesi se ci mettiamo in ascolto di chi presenta questa patologia, le cause dei disturbi del linguaggio e della comunicazione dobbiamo necessariamente collegarle a molti fattori:
All’immaturità di questi bambini.
Come spesso notato molti dei disturbi della comunicazione presenti nei bambini con sintomi di autismo sono simili a quelli presenti nei bambini piccoli: come l’ecolalia, alcuni tipi di stereotipie verbali, il parlare in terza persona e così via.
Alla presenza di rilevanti disturbi psicologici.
È impossibile capire le strane anomalie nel linguaggio e nella comunicazione se non si comprende e si accetta che i sintomi che il bambino con autismo presenta, non nascono da specifiche carenze di uno o più aree deputate al linguaggio, ma a causa di un mondo interiore particolarmente disturbato, nel quale spadroneggiano emozioni intense, sconvolgenti e contrastanti, che il loro Io fragile e immaturo spesso non riesce a gestire e controllare. Questi disturbi emotivi sono tanto intensi e gravi da disturbare, in maniera più o meno grave, anche le aree e le strutture deputate alla produzione e comprensione linguistica, rendendo deficitarie l’attenzione, le capacità di memorizzazione, l’analisi dei contenuti letti o ascoltati, l’apprendimento, il corretto utilizzo delle regole sintattiche e grammaticali, nonché tutte le altre funzioni indispensabili per permettere la comunicazione e il linguaggio.
Al cattivo rapporto che essi hanno con se stessi, con gli altri e il mondo che li circonda.
La presenza di una notevole sfiducia e scarsa stima, ma anche il notevole timore che essi provano nei confronti delle persone con le quali si rapportano e del mondo fuori di sé, li stimola a rifiutare, opporsi o ignorare, tutto ciò che viene dall’esterno, siano essi suoni, parole, idee, pensieri o emozioni, tanto che si può creare un blocco emotivo, ogni qualvolta che essi provano ad instaurare un dialogo con gli altri.
In definitiva le difficoltà del linguaggio e della comunicazione, se nascono da gravi difficoltà che questi soggetti, da piccoli, incontrano nelle prime relazioni con il mondo esterno, a sua volta tendono a peggiorare il rapporto che essi hanno con se stessi e con gli altri. Il non poter dialogare con qualcuno, non permette loro di accrescere l’esperienza, rende impossibile dare libero sfogo alle proprie sofferenze, alle tante paure, ai dubbi, ai desideri, comunicandoli a qualcuno capace di ascolto, interesse, comprensione, affetto e attenzione.
Per tali motivi i bambini con disturbi autistici non solo rimangono psicologicamente e affettivamente immaturi ma soprattutto è a loro impedita una sana ed equilibrata crescita della propria personalità, la quale rimane in balia delle peggiori emozioni.
Le conseguenze
L’impossibilità o la notevole difficoltà di attuare una comunicazione efficace può essere molto frustrante e dolorosa per questi bambini. Come dice De Rosa: ‹‹Io autistico per voi sarò strano, lo capisco bene, ma voi neurotipici per me siete inquietantemente complicati››.[47]
Scrive Bettelheim:
Tuttavia non dubitiamo che nel bambino destinato a diventare autistico, lo sviluppo del linguaggio renda la sua realtà psichica ancor più dolorosa e lo conduca quindi a volgersi in maniera distruttiva contro la sua capacità di pensiero verbalizzato. [48]
E la Grandin:
Ricordo bene la frustrazione, all’età di tre anni, di non riuscire a parlare. Questa fu la causa di molti scoppi di rabbia. Capivo quello che gli altri dicevano, ma non riuscivo a tirare fuori le mie parole.[49]
Ma anche l’impossibilità di esprimere con parole il proprio pensiero era per De Rosa qualcosa di molto doloroso:
In senso inverso la situazione era ancora più drammatica perché non trovavo alcun modo di far anche solo intravedere agli altri ciò che provavo, pensavo, desideravo. Potevo solo sperare che gli altri intuissero i miei bisogni e desideri e, autonomamente, li realizzassero.[50]
Alcuni suggerimenti
- Per quanto riguarda le modalità con le quali affrontare le problematiche così varie e complesse riguardanti il linguaggio e la comunicazione dei bambini con disturbi autistici, anche e soprattutto in questo ambito, crediamo sia inutile, se non controproducente, cercare di eliminare queste gravi carenze utilizzando gli strumenti educativi, come il parlare molto a questi bambini o il far praticare degli specifici esercizi logopedici, giacché, come abbiamo detto, molte di queste difficoltà nella comprensione e nella comunicazione nascono dal grave malessere psicologico del quale soffrono e nel quale sono costantemente immersi questi bambini e non da deficit uditivi o da problemi legati a un vero ritardo mentale.
- Poiché per riuscire ad analizzare, memorizzare e organizzare i pensieri e le parole è necessaria una buona serenità interiore, quando questa manca, poiché la mente e pervasa da gravi timori, angosce, irrequietezza, eccitazione e disorganizzazione nella gestione dei pensieri e delle emozioni, è innanzitutto necessario risolvere queste problematiche psichiche. Ciò al fine di mettere questi bambini in grado di ascoltare, elaborare, memorizzare e riprodurre suoni e parole nel modo e nel contesto più congruo e adeguato. Per tali motivi abbiamo il dovere di porre l’attenzione, più che sulla mancanza o sui difetti del linguaggio, sui problemi interiori del bambino e sull’ambiente familiare e sociale nel quale egli vive.
- Per sviluppare il linguaggio di questi bambini, è importante trovare qualcuno che ristabilisca nel loro cuore la fiducia, la stima e l’interesse nei confronti del mondo che li circonda, cosicché abbiano il desiderio di stabilire delle relazioni e quindi comunicare. Questo desiderio nasce nel bambino e si sviluppa solo se egli desidera organizzare le idee, scambiare i pensieri e le emozioni, liete o tristi che siano, con qualcuno del quale hanno fiducia, con qualcuno che li ama e che loro amano.[51]
- È necessario inoltre aiutare i genitori ad offrire a questi loro figli particolari ciò che cercano e di cui hanno bisogno: un ambiente sereno, affettuoso, caldo, ricco di intesa e comprensione dei loro bisogni emotivi. In definitiva quello che i genitori dovrebbero chiedersi ogni giorno, non è tanto se il figlio parla o quante parole dice o se le pronuncia bene o male ma piuttosto quanto è ricca, lieta, intensa e calda la relazione che c’è tra loro e il figlio con problemi, ma anche quanto è sereno, gioioso e accogliente l’ambiente di vita del bambino.
- Affidare il compito dello sviluppo del linguaggio e della comunicazione soltanto a degli strumenti educativi o riabilitativi, non solo non è sufficiente ma può accentuare e cronicizzare i problemi di questi particolari bambini poiché, quando non sono rispettati i bisogni di non ingerenza, di cui loro hanno assoluto bisogno, essi tendono a rifiutare e ad opporsi istintivamente a ogni indicazione o richiesta che proviene dall’esterno e non accettano e vivono come ingiusta e gratuita violenza l’essere stimolati a fare o non fare una determinata azione o a dire o non dire una determinata parola o frase.
La Grandin ci ricorda questa realtà:
Quando la mia logopedista mi prendeva il mento e mi girava la faccia perché la guardassi, riusciva a tirarmi fuori con forza dal mio mondo privato; per altre persone autistiche, tuttavia, un contatto oculare forzato può indurre la reazione contraria, cioè il sovraccarico cerebrale e la completa chiusura.[52]
Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".
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[1] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 26.
[2] Vivanti G, Sara C. (2009), “La comprensione del linguaggio nell’Autismo”, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, vol.76: 277-290.
[3] D’Odorico L., Fasolo M., Gatta V. (2010), “Lo sviluppo del linguaggio in bambini con disturbo pervasivo dello sviluppo e soggetti con disturbo specifico del linguaggio: indici predittivi e traiettorie evolutive”, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, vol. 77: 3-14.
[4] Surian L., Siegal M. (2009), “Acquisizione del linguaggio e sviluppo comunicativo nell’Autismo”, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, vol, 76: 251-265.
[5] G. Vivanti – S. Conghi, “La comprensione del linguaggio nell’Autismo”, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 2009, vol. 76, p. 277.
[6] Vivanti G., 2009,“La comprensione del linguaggio nell’Autismo”, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, vol. 76, p.278.
[7] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore,
[8] Brauner A., Brauner F. (2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 37.
[9] Cottini L. (2014), Che cos’è l’autismo, Roma, Carocci Faber, p. 68.
[10] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 51.
[11] De Ajuriaguerra J. Marcelli, D., (1986),Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 248.
[12] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Economica La terza, Milano, p. 138.
[13] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Economica La terza, Milano, p. 135.
[14] Ajuriaguerra De J., Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 248.
[15] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Giunti, Firenze, p. 31.
[16] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erickson, p. 37.
[17] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Milano, Economica La terza, p. 154.
[18] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 37.
[19] Cottini L. (2014), Che cos’è l’autismo, Roma, Carocci Faber, p. 65.
[20] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Economica La terza, Milano, p. 161.
[21] De Clercq H. (2011), L’autismo da dentro, Trento, Erickson, p. 74.
[22] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 45.
[23] Surian L., Siegal M. (2009), Acquisizione del linguaggio e sviluppo comunicativo, ”, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, vol, 76: 251-265.
[24] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Milano, Economica La terza, p. 167.
[25] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Milano, Economica La terza, p. 146.
[26] De Clercq H. (2011), L’autismo da dentro, Trento, Erickson, p. 67
[27] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 58.
[28] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 59.
[29] De Clercq H. (2011), L’autismo da dentro, Trento, Erickson, p. 100.
[30] De Clercq H. (2011), L’autismo da dentro, Trento, Erickson, p. 71.
[31] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Economica La terza, Milano, p. 161.
[32] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 72.
[33] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 59.
[34] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 62.
[35] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, pp. 64-65.
[36] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Economica La terza, Milano, p. 148.
[37] Moro A. ( 2011), “Ascoltare”, in Madre, Novembre 2011, p. 39.
[38] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 33.
[39] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 179.
[40] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 11 - 12.
[41]Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 17.
[42] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 13.
[43] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 82.
[44] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore,
[45] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 47.
[46] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 47.
[47] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 23.
[48] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 37.
[49] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 49.
[50] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 24
[51] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 63.
[52] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 59.