Relazione su mio figlio Francesco

Relazione su mio figlio Francesco

 

Mi chiamo Ylenia e sono la mamma di Francesco che oggi ha 2 anni e 8 mesi. Sono sempre stata una mamma molto apprensiva, una di quelle a cui "non sfugge nulla" …a volte anche troppo. Fin dalla nascita Francesco è sempre stato un bambino che piangeva molto. Il primo mese non faceva altro. Ma, a parte questo, era un bel bambino, sano. Non ha mai gattonato ed ha iniziato a camminare piuttosto tardi…aveva 16 mesi all’incirca. Lo vedevo piuttosto goffo. Anche quando andavamo al parco vedevo gli altri bambini "più avanti" rispetto a lui, ma non me ne facevo un problema. Credevo fosse solo più lento. Arrivato all’età di 18 mesi ancora non parlava, o meglio, diceva solo 2 parole: "mamma" e "babba". Ma anche di questo non me ne preoccupavo molto, poiché la comunicazione non verbale era presente. Francesco indicava e si faceva capire. Inoltre eseguiva piccoli comandi, come “prendi la palla” o “chiudi il cassetto”. Ciò che invece mi lasciava un pò perplessa era il fatto che Francesco ogni volta che vedeva qualche oggetto roteare: le ruote di una macchina o semplicemente qualche oggetto muoversi, faceva delle espressioni facciali strane e contorceva le mani. Francesco fino ai 18 mesi ha fatto uso di video sul telefono, dove vi erano soprattutto trattori con ruote che giravano e canzoncine super stimolanti. Inizialmente la cosa mi faceva anche sorridere perché, se vado con il pensiero indietro nel tempo, ricordo che già a 10 mesi faceva delle facce di eccitazione e muoveva le manine di fronte a oggetti roteanti. Non me ne preoccupai molto, fino a quando, per puro caso, mi imbatto in un commento di una mamma sui social media. Questa era preoccupata perché alla figlia di 2 anni e mezzo era stata fatta diagnosi di spettro autistico, semplicemente perché ancora non parlava...non c’erano altri segni. Solo non parlava. Spettro autistico? E che cosa è?

Non so il perché ma vado a cercare questa definizione su Google e mi si apre un mondo, o meglio, mi crolla il mondo. Perché parte di quei sintomi che racchiudevano lo spettro autistico io li vedevo in mio figlio.

  • Assenza di linguaggio.
  • Ossessione per gli oggetti che girano.
  • Goffaggine.
  • Paura dei posti nuovi.
  • Notevoli difficoltà ad accettare le frustrazioni.
  • Assenza di gioco simbolico.

Tutte cose che Francesco presentava.

Un’altra cosa che iniziai a notare fu che quando andavamo a casa della nonna, dove c’era una stufa, lui la guardava da ogni angolazione e accompagnava questo comportamento con la contorsione delle mani e della bocca. Mi accorsi anche che delegava i suoi giochi a noi adulti: se aveva una macchinina, pretendeva che fossimo noi a spingerla, per il puro gusto di guardare girare le ruote. Oppure, quando gli facevamo la doccia il suo unico godimento era quello di veder l’acqua scorrere e girare nella piletta. Ero davvero preoccupata, anche se d’altro canto c’erano cose rassicuranti: Francesco ha sempre indicato, spesso si girava se lo chiamavi, reggeva molto lo sguardo ed era presente. Non ricordo che sia mai stato assente, rispetto alla realtà che aveva attorno a lui.

Questo però non mi bastava, e proprio perché, come dicevo all’inizio, sono una mamma molto apprensiva, decisi di portarlo da una neuropsichiatra a pagamento. Mio marito non era molto d’accordo, diceva che ero esagerata, in quanto lui non riscontrava in suo figlio nessuna disabilità.

Arriva il giorno della visita. Siamo nello studio della dottoressa, la quale propone dei giochi a Francesco. Ovviamente adeguati ai suoi 18 mesi. Francesco non è molto interessato a infilare i cerchietti in un tubo, né a fare una torre, ma piuttosto vede una macchinina e inizia a spingerla a calci. La dottoressa lo riprende e gli dice che la macchina si spinge con le mani e non con i piedi. Alla fine della visita io espongo la mia paura, ovvero quella dello spettro autistico, ma lei molto pacatamente mi risponde che era troppo presto per saperlo, ma era abbastanza tranquilla perché Francesco reggeva lo sguardo e aveva instaurato con lei una sorta di relazione, anche se lei era un’estranea.

La cosa che invece la preoccupava un po’ era l’assenza del gioco funzionale. Decide comunque che vuole rivederlo dopo una settimana insieme alla neuropsicomotricista. Io passo quella settimana un po’ in ansia, ma mi ripeto che la dottoressa aveva detto che era piuttosto tranquilla sul “tema autismo” e mi faccio coraggio, aggrappandomi a quella frase.

Arriva la seconda visita. Stavolta sono in due a giudicarlo, neuropsichiatra e neuropsicomotricista. Quest’ultima propone una serie di giochi, mentre la dottoressa scriveva qualcosa su un foglio. Sinceramente non mi era sembrato che Francesco avesse fatto niente di diverso rispetto alla prima visita, anzi credevo fosse andato anche meglio.

Dopo questa visita la neuropsichiatra vuole parlarci e ci fa attendere nuovamente una settimana. Quel colloquio ha cambiato letteralmente la mia vita per i sei mesi successivi. Iniziò a dirci che Francesco non presentava “triangolazione dello sguardo”; che invece di scoppiare le bolle di sapone (cosa che a 18 mesi doveva fare) le guardava, facendo espressioni strane; che il linguaggio era in lieve ritardo; che indicava a volte con la mano, invece che con il dito; ma che seguiva abbastanza gli oggetti. Conclusione: Francesco era un bambino a rischio e che l’intervento precoce sarebbe stato necessario ed immediato. Ci liquida prescrivendo due volte a settimana psicomotricità. Esco da quella stanza distrutta. Avevo quindi ragione a vedere in mio figlio dei problemi? Mio marito continuava a dire che a lui non sembrava cosi, ma decidiamo di fare questa famosa psicomotricità. Abbiamo fatto in tutto tre sedute dopodiché sono scappata capendo che era soltanto un grande business. Ricordo ancora che nella terza ed ultima seduta la psicomotricista mi chiese di sbattere un martello davanti a Francesco, per vedere che reazione avesse lui. Io sbatto il martelletto più volte ma Francesco non ha reazioni (non gli hanno mai dato noia i rumori forti). Avevo capito che lei voleva vedere questo. Le domando del perché di questo esercizio e lei mi rispose con una frase che non dimenticherò: “Ho visto che a Francesco non ha dato fastidio il rumore, però quando hai sbattuto il martello ha chiuso gli occhi”. Allibita da ciò che avevo appena sentito (chi è che in presenza di un rumore forte non chiude gli occhi un attimo?) capisco che in quello studio volevano trovare a tutti costi dei difetti, affinché continuassimo le terapie…ovviamente a pagamento.

Me ne vado a gambe levate, anche perché quelle tre sedute non avevano fatto che peggiorare l’umore di Francesco, che piangeva ogni volta che doveva andare a farle. Anche se avevo capito che quello non era ciò che serviva a mio figlio continuava la mia angoscia. Inizio a passare le serate a leggere in Internet tutto ciò che riguarda l’autismo. Mi inizio ad estraniare. Litigo spesso con mio marito. Avevo paura di portare mio figlio al parco per le sue stereotipie. Lo guardo come lo guardano gli altri bambini e continuo a vedere solo i suoi difetti. Vedevo mio figlio come un disabile, pensavo già a quanto disastroso sarebbe stato il suo futuro. Ero entrata in un loop da cui era difficile uscire.

Un pomeriggio però mi arrivò una piccola luce di speranza. Francesco e mio marito stavano dormendo ed io, come ero solita fare, stavo cercando notizie in Internet sull’autismo (ormai non facevo altro). Leggo di un neuropsichiatra, un certo Gianmaria Benedetti, il quale aveva un’altra visione del problema e, soprattutto, raccontava di come ormai ogni minimo difetto dei bambini veniva medicalizzato. Il dottore faceva consulenze online. Bene. Mi sentivo già più sollevata. Fissiamo una videochiamata, nella quale osserva il bambino per circa un’ora e la sua conclusione fu che Francesco aveva un lieve ritardo neuropsichico e motorio, ma nulla di grave e che con l’autismo non centrava proprio nulla. Ci dà dei consigli da attuare: come quello di non insegnare nulla al bambino, né forzarlo a parlare, di giocare come voleva lui. Se voleva spingere la macchinina con i piedi di farglielo fare ed attuare il famoso metodo Montessori e, piano piano, sarebbe arrivato il resto.

Dopo quella videochiamata mi sono sentita meglio e per i due mesi successivi ho seguito i consigli. Tuttavia, passato quel periodo, sono ricaduta nel baratro: perché Francesco ancora non parlava; ancora non sapeva alzarsi in piedi, se era seduto a terra e, soprattutto, le sue stereotipie erano sempre presenti. Ricordo bene una sera d’estate, quando con mio marito decidemmo di portarlo ai gonfiabili vicino casa. Aveva quasi due anni, c’erano tanti bambini. Francesco entusiasta entrò e iniziò a giocare, ma a un certo punto notò una motoretta e dopo esserci andato la capovolse e iniziò a girare le ruote e fare le sue strane espressioni facciali. Per un senso di inadeguatezza lo portai via. Capii in quell’istante che mi vergognavo di mio figlio, di come gli altri lo potevano giudicare e che la consulenza fatta mesi prima mi era stata molto utile, ma era come se, nella mia testa, fosse svanita. Mi sentivo sola, soprattutto perché avevo intorno persone che minimizzavano le mie preoccupazioni, prendendomi quasi per pazza.

Avevo bisogno di qualcuno che mi stesse vicino e seguisse l’evoluzione di Francesco per più tempo.

E fu così che mentre leggevo l’ennesimo forum del dottor Benedetti (sapevo a memoria ogni storia che lui trattava), trovai un altro nome, un suo collega, un neuropsichiatra, che aveva la sua stessa visione sul “tema autismo”: il dottor Emidio Tribulato. Francesco aveva appena compiuto due anni, era l’agosto del 2022 e decisi di contattarlo.

All’inizio devo dire ero un po’ scettica, soprattutto perché tutte le prestazioni online del dottor Tribulato erano completamente gratuite.

Il dottore ci fissò un primo colloquio in videochiamata, dove raccolse un’anamnesi della storia di Francesco, dopodiché ci chiese se volevamo essere seguiti da lui e la sua associazione ed ovviamente dissi di sì.

Dalla seconda videochiamata abbiamo iniziato a parlare più dettagliatamente di ciò che faceva e non faceva mio figlio. Secondo il dottore non era nulla di così preoccupante. Francesco aveva una lieve, cosi come la definisce lui, “chiusura autistica”, ma lavorandoci e stando vicino al bambino, nel giro di un anno al massimo, si sarebbe risolta. Ciò che lui diceva di fare era il “Gioco Libero Autogestito”. Ovvero giocare insieme al bambino, facendo in modo che fosse lui a dirigere il gioco, qualunque esso fosse. Noi dovevamo semplicemente assecondarlo ed accompagnarlo in questo. Ci disse anche di fare dei video settimanali e un diario relazionale, dove annotare giorno per giorno: i giochi che facevamo con Francesco; come ci sentivamo quando stavamo insieme al bambino e, cosa importante, come si sentiva lui. In sostanza ciò che ci disse il dottor Tribulato fu esattamente l’opposto di ciò che ci consigliò la neuropsichiatra a pagamento. Secondo il dottore, il bambino non andava stimolato a fare nulla che non volesse. Disse che le terapie applicate su questi bambini sono spesso deleterie, (io me ne ero già accorta solo dopo tre sedute), di evitare i “no” il più possibile; di assecondarlo nei suoi giochi, anche se a noi potevano sembrare bizzarri e senza senso. “Tutto ha un senso” mi diceva il dottore. La cosa importante è assecondare vostro figlio, stargli vicino, farlo sentire coccolato, portarlo all’aria aperta, evitare assolutamente i video sui telefonini e la televisione, in quanto questi strumenti fanno estraniare i bambini dalla realtà, evitare almeno fino a quando il bambino non fosse uscito da questa condizione gli asili, poiché in questi luoghi ci sono le maestre che, in un certo senso, dettano regole, e a questi bambini le regole stanno strette, ma, soprattutto, disse di vederlo come un “bambino” e non come un “diverso”. Diceva il dottore che Francesco aveva dell’ansia interiore e quell’ansia doveva essere debellata. Come? Con l’amore di mamma e papà. Inizialmente ero un po’ scettica. Non comprendevo come, stando accanto a mio figlio, questo potesse bastare a risolvere le sue problematiche. Iniziai comunque a seguire i consigli del dottor Tribulato.

Iniziai soprattutto ad attuare il Gioco Libero Autogestito, anche se mi costava un po’, visto che le sue attività preferite all’epoca erano i travasi con la polvere del caffè, farmi spazzare tutta casa, mentre lui guardava la scopa o fare andare suo padre nella sua macchinina elettrica, perché lui doveva guardare le ruote in movimento. Ma lo facemmo. Giocavamo con un po’ di tutto: io facevo delle torri e lui si divertiva a distruggerle; voleva che fossi io a disegnare con i pennarelli, perché a lui piaceva vederli scorrere sul foglio e io lo assecondavo; amava vedere scorrere l’acqua del lavandino e giocarci con le mani e, mentre prima non volevo che lo facesse perché mi bagnava tutto il bagno, iniziai a farglielo fare e lo accompagnavo porgendoli dei contenitori per poterla versare. Abbiamo anche fatto dei travasi con le lenticchie, che puntualmente poi buttava in terra, ma ci divertivamo e non mi pesava affatto. Aveva anche un piccolo cagnolino con ruote e guinzaglio e voleva che fossi io a trascinarlo per poter guardare le ruote. Allora io mi inventai un gioco: io scappavo con il cagnolino e lui doveva rincorrermi e ad ogni partenza, era lui a darmi il via. Quando giocava con le macchinine e le capovolgeva per girarne le ruote io facevo lo stesso: prendevo un’altra macchinina e giravo le ruote, poi però la capovolgevo di nuovo e la tiravo verso di lui. Se all’inizio era poco interessato a ripassarmela, con il passare dei giorni, facendo la stessa cosa, abbiamo iniziato a condividere e a passarci la macchinina a vicenda! Aveva anche una palla, e non voleva che nessuno lo ostacolasse quando la tirava, perché amava vederla girare. Anche in quel caso cercai qualcosa che mi potesse coinvolgere e visto che non voleva che io gli togliessi la palla, per fare dei passaggi, feci finta di essere un portiere, cosicché lui potesse tirare la palla senza nessun ostacolo. Ad ogni passaggio gridavo “goal”! Questo gioco a lui piaceva e lo rifaceva. Con il padre, invece, la sera, amava fare giochi più fisici. Gli piaceva fare “l’aereo”, oppure essere buttato sul letto e anche se lo richiedeva dieci volte noi lo facevamo. Quando uscivamo, poiché Francesco è sempre stato restio a dare la mano e invece di camminare ha sempre corso, ho fatto sì che anche questo diventasse un gioco. Dato che correva, io facevo finta di rincorrerlo e lui rideva a crepapelle, correndo ancora più veloce! Se vedeva le ruote di un camion e iniziava a saltarellare e aprire la bocca, noi sottolineavamo la cosa assecondandolo, magari dicendo “ma è bellissimo “!

Dopo qualche settimana dall’attuazione di questa metodica, vedo che Francesco non va più in frustrazione, aveva ciò che voleva e questo lo rendeva felice. Ricordo che fino al mese prima ogni volta che mettevamo piede in casa, al rientro dal lavoro, Francesco andava in frustrazione. Sembrava che nulla gli andasse bene. Evidentemente voleva essere assecondato e capito; e noi non riuscivamo a farlo. Talvolta, per la stanchezza fisica, ma soprattutto mentale, ci arrabbiavamo. Ancora non parlava, ma aveva ampliato il suo vocabolario con delle paroline nuove. All’età di due anni e un mese diceva circa dieci paroline.

Iniziammo a portarlo fuori spesso, soprattutto al parco e ci accorgemmo che Francesco cercava gli altri bambini e che gli piaceva soprattutto rincorrere ed essere rincorso.

Prima di iniziare questo percorso, per noi il parco era sempre stato un tabù, perché le poche volte che ci andavamo Francesco faceva solo un po’ di altalena e poi scappava all’uscita. Piano piano, invece, ha iniziato ad aprirsi a tutti i giochi. Faceva un po’ di tutto, tendeva ad imitare gli altri e se vedeva qualche bambino in un gioco ci andava pure lui, anche solo per condividerne lo spazio. Altri giorni, invece, preferiva spingere il passeggino e guardare girare le ruote.

I primi mesi dall’inizio del percorso con il dottore sono stati un po’ altalenanti: c’erano giorni in cui Francesco sembrava migliorare e anche le stereotipie diminuire notevolmente, ed altri invece che mi sembrava essere tornata al punto di partenza. Ogni settimana esprimevo al dottore i miglioramenti e quelli che invece erano i miei dubbi, ma lui mi ha sempre detto di essere forte, di non demordere, poiché, anche se all’apparenza poteva sembrare un percorso facile, non lo era affatto. Questo era vero: non è stato facile stare con mio figlio tutto il giorno anche quando andava in frustrazione spesso ed assecondarlo nei suoi giochi; non è stato facile continuare a vedere gli altri bambini che parlavano e facevano giochi funzionali mentre il mio ancora no; non è stato facile sentire le altre mamme elogiare i propri figli di quanto, già a due anni, sapevano fare, mentre il mio no. Ma mi sono fatta coraggio e ho iniziato a vedere Francesco in un altro modo. Ero stanca di vedere sempre e solo i difetti di mio figlio. Iniziai a cambiare nei confronti di mio figlio, smisi di vederlo come un malato e, appena cambiai io, cambiò anche lui. Iniziai a godere dei piccoli ma significativi miglioramenti: la pronuncia di una nuova parola…vedere che ci provava per me era già una grande conquista.

Il vero cambiamento iniziò dopo tre - quattro mesi dall’inizio del percorso con il dottore. Verso novembre - dicembre Francesco all’età di due anni e quattro mesi iniziò a cambiare notevolmente. Innanzitutto, iniziò a “parlicchiare”. Non faceva discorsi ma iniziò ad associare più parole insieme. Iniziò a giocare in maniera funzionale: faceva finta di parlare al telefono, faceva finta di cucinare e mi porgeva il piatto ed io gli dicevo quanto era buono, faceva finta di preparare il caffè e me lo portava per assaggiarlo. Ricordo ancora che per Natale voleva che la nonna chiamasse Babbo Natale affinché gli portasse la “puppa blu” (ruspa blu). Probabilmente faceva delle cose che normalmente si fanno a diciotto mesi, ma per noi era già un grande traguardo. Francesco interagiva sia con gli adulti che con i bambini, non aveva più paura di andare nei posti nuovi. Certo un po’ di timore c’era ma io ero sempre pronta a rassicurarlo e se lui si sentiva protetto andava tranquillo. Ho iniziato a non preoccuparmi più se, dinnanzi alle ruote, saltellava e apriva la bocca, perché avevo capito che Francesco era un bambino come tutti gli altri e che la sua stereotipia non lo faceva essere meno di nessun altro. Cosa che purtroppo per sei mesi avevo pensato.

Sembrerà una stregoneria, ma è stato proprio cosi. Nel giro di poco tempo le cose sono iniziate a cambiare radicalmente. Questo non significa che Francesco non presenta più stereotipie o ha perso l’amore nei confronti delle cose che girano, queste cose sono presenti a tutt’oggi, anche se in maniera meno ossessiva, significa che, assecondando mio figlio, nei limiti del possibile, facendo con lui dei giochi talvolta anche bizzarri, cercando di non arrabbiarmi più, togliendo definitivamente i video ed il telefono, incoraggiandolo a fare cose nuove e diverse, coinvolgendolo il più possibile, stando con lui, facendolo sentire come un bambino “normale”, tutto ciò ha avuto un grande impatto sul suo cambiamento.

Ricordo ancora quando ero disperata perché ancora a due anni non parlava ed esposi il problema al dottore e lui mi disse: “non si preoccupi, ci sono bambini che possono parlare anche molto tardi, lei attui ciò che le ho detto, non forzi niente e vedrà che quando meno se lo aspetta le parole inizieranno ad uscire da sole”. Ed è stato proprio cosi. Oggi Francesco ha due anni e otto mesi e sono passati esattamente otto mesi dall’inizio del percorso con il dottor Tribulato e ciò che mi aveva preannunciato all’inizio, ovvero che nel giro di un anno Francesco avrebbe recuperato tutte le sue lacune si sta avverando.

Se ripenso da dove siamo partiti e a dove stiamo arrivando mi sembra un miracolo. Oggi Francesco è un bambino felice. Non ha perso completamente i suoi momenti di frustrazione ma, mentre otto mesi fa non accettava categoricamente i “no” oggi ne tollera qualcuno in più. O meglio. Com’è giusto fare con tutti i bambini, facciamo dei compromessi! Francesco parla ed è anche molto furbo. Ha un caratterino per cui la vuole sempre vinta lui. Le ruote non sono più un’ossessione, anche se ne è sempre attratto. Alterna periodi in cui si fissa con qualcosa per esempio la lavatrice che gira e periodi che questa cosa non gli interessa minimamente. Continua a salterellare, soprattutto quando è felice. I giochi che facciamo adesso sono di gran lunga diversi dai precedenti: disegniamo insieme e quando scarabocchia mi dice che quel disegno rappresenta o “babbo” o il “gatto”; ma è lui che disegna, finalmente, e non più solo io. A volte quando gioca con le sue amate macchinine, mi dice che dentro c’è mamma e babbo. Mi viene a mostrare tutto ciò che fa. Ama essere spinto forte sull’altalena dal padre e poi mi guarda tutto soddisfatto dicendomi: ”guarda come vado forte!” Ha voglia di stare fuori, di giocare, di scoprire il mondo. Quando inizia a fare “uhhhhh” di fronte alle cose che girano e apre la bocca io gli domando ridendo: “Ma perché lo fai?” e lui mi risponde: ”Perché voglio fare uhhhhh” ...” e allora scoppiamo entrambi in una gran risata. Capisce perfettamente tutto e a volte ti vorrebbe prendere per i “fondelli”. Ha iniziato a farmi anche delle domande e mi ripete le cose cento volte!! Sa contare fino a otto! Finalmente si è aperto anche con il padre. Mentre prima per lui esistevo solo io, adesso coinvolge il padre nei suoi giochi e di questo ne sono molto felice. Insomma...ad oggi vedo Francesco come un bambino normale finalmente! Con qualche diversità sì, ma questo non ha il minimo impatto sul suo livello cognitivo. Con gli altri si rapporta e se gli danno modo di interagire non vorrebbe più staccarsene. Quando gli chiedo se vuole andare al parco, mi chiede se ci sono gli altri bimbi. E se non c’è nessuno non è molto interessato ad andare. Ciò è indice che cerca gli altri bambini. La sua figura di riferimento rimango io, ma finalmente Francesco ha capito che al di fuori c’è un mondo e lui ha tutta la voglia di scoprirlo. Ancora il nostro percorso non è terminato, ci saranno giorni più bui, altri di nuovi miglioramenti, ma continueremo a lavorarci, a divertirci con nostro figlio e godere di tutti i suoi progressi che ad oggi sono stati enormi!

Ringrazio il dottor Tribulato che mi ha fatto finalmente uscire dal tunnel dell’autismo e mi ha insegnato a vedere le cose diversamente. Lo ringrazio soprattutto per non averci lasciato e per averci fatto conoscere il Gioco Libero Autogestito che per me è stato di grande aiuto. È importante non sentirsi soli in questa “lotta”. È importante che qualcuno ci dica dove stiamo sbagliando, ma che possiamo recuperare. Delle volte basta solo cambiare approccio. Per finire vorrei fare una riflessione su quello che è stato per noi l’ultimo anno. Esattamente un anno fa ero una mamma che stava sfiorando la depressione perché convinta che il proprio figlio fosse “anormale”. Ho vissuto dei periodi davvero bui, ma oggi ho capito che ogni bambino è diverso e speciale a modo suo. Che i paragoni sono inutili e dannosi e che purtroppo oggi ogni minimo difetto di un bambino viene subito definito come un comportamento problema. Ricordo che quando ero piccola avevo tantissimi tic. Ne cambiavo uno al mese. Ed inoltre avevo delle fissazioni. Beh, probabilmente con i tempi di oggi sarei stata certificata pure io! Eppure, eccomi qua. È proprio vero che il ruolo della famiglia fa tanto per i bambini. Noi ci stiamo impegnando davvero tanto per nostro figlio e continueremo a farlo affinché questi grandi progressi continuino nel tempo. A tutti un grande grazie.

Ylenia&Francesco

Centro Studi Logos

Diamo ai bambini un grande impulso all'apprendimento, per tutta la vita!

Entra a far parte del nostro Centro per dare sostegno ai bambini e le loro famiglie.
© 2024 Centro Studi Logos. Tutti i diritti riservati. Realizzato da IWS

Seguici

Image