Dott.ssa Linda Fonti ( Laurea in scienze dell’educazione)
Analizzando il complicato mondo dei rapporti fra gli attori della “scena educativa” (Educatore, bambino, genitori), ciò che risulta complicato, è riuscire a gestire la relazione d’aiuto con le persone che ruotano attorno al mondo dei bambini che prendiamo in carico noi Educatori.
Per quanto mi riguarda, ogni volta che prendo in carico un bambino e la sua famiglia, è come trovarmi davanti uno scenario variegato, dipinto con tante tonalità, diversi modi di vivere e gestire la vita che non sempre sono immediatamente comprensibili. Lo scenario però, cambia a seconda di chi lo guarda, di chi agisce e della situazione particolare che in quel momento, io stessa, attraverso. Come dicevo, gli attori principali della situazione educativa sono tre: l'educatore, il bambino, la coppia genitoriale.
Questi attori interagiscono tra di loro, ciascuno portandosi dietro il proprio mondo emotivo, affettivo, la propria esperienza, i propri valori, le proprie conoscenze, i propri “spettri”, le proprie idee, caratteristiche, modalità di reazione di fronte alle situazioni, ciascuno portandosi dietro, insomma quello che si è.
L'interazione che avviene determina delle modificazioni in ciascuno di questi attori. Non si deve trascurare il fatto che ciascuno ha un'influenza sull’altro, inconsapevolmente e consapevolmente, modificando lo scenario. Queste modificazioni sono dei processi di identificazione reciproca, ossia ciò che io prendo dall'altro e quello che all'altro do, e se non gestiti adeguatamente diventano “pericolosi”, inficiando il rapporto educativo.
Ad esempio, ciò che io educatore propongo come consigli, usando però un tono di voce impertinente rischio, di farli sembrare delle imposizioni e di farli rifiutare a priori.
Per cui, bisogna sempre soffermarsi a riflettere sul proprio operato, a scandagliare il proprio animo, cercando di mettere in luce le cose positive che provengono dagli attori a contatto tra di loro; scartando le influenze negative, correggendole pian piano, senza porgerle come imposizioni.
Da quando ho intrapreso questo lavoro, ossia da 3 anni, mi sono resa conto che alcuni genitori di bambini con problematiche di varia natura, talvolta si rifiutano di affrontare certe difficoltà dei propri figli, allontanandole da sé e negando l’evidenza, finché vengono risvegliati dal loro torpore da qualche insegnante che evidenzia anomalie comportamentali o di apprendimento nell’ambito scolastico. Infatti, è durante l’iter scolastico che “i nodi vengono al pettine” e comincia l’affannosa ricerca di soluzioni, “pseudo-soluzioni” e persino, lo “scaricabarile” di responsabilità tra i coniugi e tra i coniugi e le istituzioni.
Sono pochi, secondo la mia modesta esperienza, i genitori consapevoli dei limiti del proprio figlioli disposti a tentare la programmazione educativa, giusto percorso anche se lento e tortuoso, che noi Educatori proponiamo.
Il fatto è che i genitori che hanno un bambino disabile, si trovano ad elaborare un lutto, ossia la morte del loro bambino ideale, che si erano costruiti nella propria fantasia.
È dunque difficile riconoscere il bambino con handicap come figlio proprio e che ci assomiglia. È difficile riuscire a tirare fuori attraverso quello che si ha davanti, il bambino ideale che si ha dentro e accettare la diversità.
Questo è facilmente comprensibile se si pensa quanto sia a volte difficile o impossibile per ciascuno di noi vedere dentro di sé, ammettere in sé delle caratteristiche poco piacevoli o che non ci piacciono.
Allora, come fa un genitore di un ragazzino disabile a identificarsi con le caratteristiche che non si erano immaginate?
Talvolta non ci riesce! Pertanto, uno dei due coniugi può vivere la situazione come una disgrazia, con un senso di colpa incessante, pensando che abbia fatto qualcosa di male per “meritarsi un figlio handicappato”.
Fortunatamente ci sono anche quei genitori che possedendo una buona intesa di coppia ed equilibrio personale riescono ad accettare il proprio figlio così come Dio lo ha mandato e capire per tempo cosa sia meglio fare agendo di comune accordo.
Però, quando i genitori non condividono lo stesso parere e anzi, litigano sul da farsi e si ritrovano su binari opposti, ne conseguono solo danni per il bambino, che disorientato si crea sensi di colpa per aver scatenato disaccordo e discussioni tra mamma e papà, aggravando i suoi problemi.
Ovvio che quando le premesse sono queste il cammino per aiutare il bambino si fa molto più tortuoso per l’educatore che deve fronteggiare e tentare di appianare le divergenze tra i coniugi in merito alla strada da intraprendere per il figlio e optare soluzioni che uniscano la famiglia e non la dividano.
Di solito, quando i genitori approdano al Centro Studi Logos, hanno già avuto molteplici esperienze con altre istituzioni e tentano altre strade perché gli manca un sostegno assiduo. Qui entriamo in scena noi Educatori, disponibili ad aiutare il loro figlio anche a domicilio ed entrando così intimamente, più di quanto faccia la struttura pubblica, nelle loro dinamiche familiari.
Tenendo un contatto diretto e continuo con i membri della famiglia dell’utente, forniamo orientamenti e consigli educativi, per attuare il Programma Educativo o rieducativo del figlio.
Il bambino, perno della relazione, è il soggetto-oggetto principale intorno al quale ruota tutto lo scenario. Evolve con le sue modalità di ragazzino in difficoltà, con problemi, passa attraverso le tappe evolutive con i tempi e i modi che gli sono propri; attraversa una serie di tappe ed evoluzioni che da una situazione di dipendenza pressoché totale, di indifferenziazione, indeterminatezza e completa dipendenza, giunge fino all’individuazione, cioè a sapere chi è, anche se per sommi capi. Evolve comunque verso l'autonomia. E' quindi un ragazzino che attraversa una serie di processi lenti, faticosi, per alcuni versi più difficili, per altri meno, comunque sta crescendo e va rispettato così com’è senza pretendere di volerlo per forza uguale a noi.
Proprio in riferimento al bambino “problematico”, dobbiamo ricordare, sia nel nostro lavoro col bambino, sia nel lavoro nei confronti dei genitori, che il processo di crescita, per tutti i bambini, non avviene per linea retta, ma è un processo che ha un andamento altalenante.
È indispensabile tenere presente questo, per non cadere in depressione o nella frustrazione, per non rimandare la frustrazione ai genitori, non essere quindi in grado di sostenerli adeguatamente di fronte a comportamenti che potrebbero essere visti e considerati come fallimenti dei piani di lavoro, come regressioni. La regressione è qualche cosa che fa parte della crescita e che quindi non ci deve spaventare.
Anche il programma “Voglia di crescere” non è da utilizzare o proporre come una sorta di bacchetta magica, che fa miracoli. È un processo lento, costante, che ha bisogno del contributo di tanti ingredienti, primo fra tutti il rispetto dei tempi del bambino, va applicato con metodo e senza mai approfittare dell’entusiasmo dimostrato dal bimbo, interrompendo prima che lui si stanchi e mostri disinteresse, lasciando sempre un margine di curiosità e voglia.
A tal proposito, esaminando il ruolo dell'educatore, è chiaro che è un ruolo diverso rispetto a quello dei genitori, e questo può essere un vantaggio, in quanto c'è un maggiore distacco.
C'è la possibilità di stabilire una relazione col bambino avendo come punto di partenza l’eliminazione di tutti quegli errori educativi fatti dai genitori e sappiamo che verremo ascoltati proprio perché “non siamo i genitori”. Se esaminiamo quindi l'educatore sotto l'ottica della formalità, del ruolo, ci sono delle differenze; ma ci sono anche tante analogie che derivano dal fatto che al di là del ruolo, siamo delle persone, con la propria storia, esperienza, pregi e difetti.
In quanto persone vale quello che si diceva prima per i genitori: anche noi siamo stati bambini, adolescenti e ci portiamo dietro la nostra storia, le emozioni che vengono messe in ballo, volenti o nolenti. Anche per noi ci sono le fantasie sul bambino che prendiamo in carico, su come sarà e su quello che riusciremo a fare, su come ci accoglierà e come diventerà dopo il nostro intervento. Le identificazioni che potremo metteremo in atto, nei confronti del bambino, sono simili a quelle che mettono in atto i genitori, ma sono in ogni caso da evitare.
Alcune di queste convergenze e analogie sono comunque quelle che ci permettono di cucire e allacciare il rapporto col bambino.
Teniamo anche presente che nel rapporto tra l’Educatore e i genitori possono emergere in itinere tutta una serie di divergenze di metodo.
• La competizione: - Io sono il genitore e non posso essere meno bravo di te-. Sta nella capacità riparativa che ciascuno di noi mette a fuoco, il trovare una motivazione al proprio lavoro, nonostante ci mettano i bastoni fra le ruote.
• L'ambiguità dettata da tutta una serie di questioni contrassegnate da rabbia o dolore, amore ed odio che, talvolta inducono uno dei genitori a versartelo addosso quasi inconsapevolmente. È qui che veniamo messi a dura prova, non accettando le provocazioni, ma comprendendo che si tratta di una fase, in cui il genitore sperimenta l’autenticità del rapporto con l’Educatore.
• La sfiducia: "Io genitore non mi fido di te, credo di essere l’unica persona in grado di occuparsi di mio figlio, penso che non ci sia qualcuno capace di fare meglio”.
• Il bisogno di controllo, come quel genitore che tende a spiare il nostro operato.
• L'aggressività verbale nel momento in cui vorrebbero interrompere il rapporto, ma non sanno come farlo ed allora adottano comportamenti anomali sperando che siamo noi a stancarci.
È chiaro che per questione deontologica non dovremo essere noi a mollare il caso
• I sensi di colpa: sono sentimenti onnipresenti nel processo educativo, con i quali abbiamo a che fare quasi quotidianamente, che troviamo abbastanza presto nel ragazzino stesso che si dispiace perchè pensa di aver fatto star male la mamma, il papà ecc. D'altra parte è anche sul senso di colpa che cresciamo, impariamo quello che dobbiamo e non dobbiamo fare, quello che si può o non si può fare; è sul senso di colpa che facciamo leva quando diciamo di si o di no ai bambini.
Tutti questi sentimenti arricchiscono i nostri rapporti con i genitori, oltre che con i bambini; complicano e rendono faticosa la relazione, fanno si che spesso questo rapporto ci sfugga dalle mani e ci metta in situazioni in cui non sappiamo più che pesci pigliare, proprio per tutte le connotazioni emotive che ci pervadono e delle quali spesso non ci rendiamo conto.
E' quindi durante l’osservazione interpretativa di un paio di giorni, che possiamo cercare di prevenire o capire sviluppi futuri. L'osservazione fatta nella vita quotidiana in ambito familiare, non implica nessun intervento attivo da parte nostra; che stiamo ad ascoltare e ad osservare ciò che accade, prima d’intervenire. E credo, inoltre, quanto sia importante nel nostro mestiere, l'umore con il quale andiamo a lavorare, come sia importante essere soddisfatti o no, la modalità con la quale gestiamo la frustrazione e capire perchè uno è arrabbiato in quel momento.
Nel nostro mestiere gioca molto l'emotività, considerando che spesso e volentieri il fare è estremamente limitato, ripetitivo, fatto di piccolissimi passi avanti e riempito di sentimenti che ci passano per la testa, mentre magari siamo lì che, per l'ennesima volta, cerchiamo di fare scrivere bene quel bambino a cui non importa nulla di scrivere bene, ma che vorrebbe solo l’attenzione di mamma e papà e di essere accettato per quello che è.
In una situazione nella quale con il genitore si può mediare poco con il racconto di ciò che è stato fatto, perchè spesso e volentieri "il fatto" è sempre lo stesso, è facile rendersi conto di come possiamo raccontarlo al genitore evidenziandone, oggi, domani, dopodomani, le differenze importanti, determinate dalla situazione emotiva nostra e dalla situazione emotiva del bambino.
Quello che non dobbiamo dimenticare è che abbiamo a che fare con un genitore di un bambino handicappato, che ha lui stesso un handicap nel non accettare certe situazioni.
Ciò significa che spesso la coloritura dei sentimenti e dei messaggi che passano è una coloritura intensa, forte, densa di emotività. Allora devo pesare le parole, facendo attenzione a non dire né troppo, né troppo poco, per non essere percepiti come freddi e distaccati.
Comprendere dunque, mettendosi nei panni dell'altro, rendendosi disponibile a provare quello che prova l'altro in una determinata situazione, senza sostituire l'altro, senza fondersi con l'altro, ma mantenendo l’identità che ci permette di ritornare ad essere noi stessi, perchè se ci “mischiamo” entriamo in confusione e perdiamo la professionalità.
In conclusione mettersi in gioco come persone, capire quello che sta succedendo nella relazione educativa con il bambino e i genitori implica una grossa capacità di usarsi che non deriva dalla disponibilità e basta, ma dalle esperienze, soprattutto negative che abbiamo sperimentato, mettendo a dura prova il nostro autocontrollo e la nostra fermezza, senza perdere di vista il fatto che bisogna far capire ai genitori di avere pazienza e rendergli amabile quel figlio di cui non sanno apprezzare i progressi.
I fallimenti ci sono. Bisogna tenerli in conto anche se poi è difficile rimettersi in posizione attiva.