Dott. Emidio Tribulato
Le difficoltà sono il pane quotidiano e sembrano accompagnare tutta la vita di questi bambini.
Si capisce benissimo lo scoraggiamento a cui queste difficoltà possono portare, come si comprende il desiderio, a volte, di gettare la spugna non solo da parte della persona e della famiglia interessata ma anche, e questo è molto più grave, da parte degli operatori e della società.
Tuttavia queste stesse difficoltà possono e devono essere lette anche come una sfida alla persona colpita, alla sua famiglia e anche a tutti noi. Sfida alla nostra capacità di accettazione, alla nostra apertura mentale, alla nostra duttilità e intelligenza; sfida inoltre, io credo, tanto più interessante quanto più difficile da affrontare e risolvere.
Ebbene, anche la sua vita affettiva e sessuale è una sfida: al nostro buon senso, al nostro perbenismo e al nostro moralismo che si può e si deve combattere e vincere.
Per affrontare questo problema dobbiamo prima comprendere che cosa spinge l’essere umano a un rapporto affettivo e sessuale di coppia.
Un ragazzo si avvicina a una ragazza, un uomo a una donna spinto da varie pulsioni interiori: una di queste è la paura della solitudine.
Nessun essere vivente è fatto per essere solo. La solitudine intristisce e fa rinsecchire e morire lentamente un uomo o una donna, così come un qualunque altro essere vivente, che ha bisogno dell’altro per iniziare a vivere, per aprirsi al mondo, ma anche per camminare nel mondo.
Accanto a questo elemento c’è il bisogno di protezione, di aiuto, di conforto, di sicurezza. C’è il bisogno di un dialogo intimo con un altro essere umano a cui aprire il nostro cuore quando capiamo che quello saprà accoglierlo e accettarlo.
Ma ancora più importante ci appare il bisogno del piacere e della gioia che caratterizzano e sono così abbondanti nello scambio affettivo e sessuale; pulsioni che sono fondamentali per la crescita fisica e della personalità.
Da non dimenticare, poi, il desiderio di far fiorire altre vite umane, il desiderio di costruire una nuova famiglia e di esprimere se stessi, abbandonando il ruolo filiale, per diventare marito o moglie, padre o madre.
Ma anche fattori inconsci ci spingono l’uno nelle braccia dell’altro. Ritroviamo questi fattori inconsci nella ricerca di quella parte di noi che non abbiamo o non conosciamo, perché di un altro sesso, perché assente nella nostra personalità o perché non accettata o rifiutata da una parte del nostro io.
Questa perdita di una parte di sé e questo bisogno di unione con quella parte inconscia e nascosta della propria anima, è stata ben simbolizzata nella Bibbia con la perdita della costola di Adamo e con il suo bisogno di unirsi a Eva.
Da quanto abbiamo detto ci appare difficile pensare che una persona, solo perché deficitaria in una o più funzioni possa fare a meno, rinunciare o cancellare da sé questi bisogni umani fondamentali.
Dobbiamo quindi, e questa è la sfida, annotare le difficoltà allo stesso modo con cui dobbiamo studiare le possibilità, in modo tale da diminuire le prime e rendere sempre più concrete le seconde, fino a far diventare attuale e concreta anche per queste persone una vita relazionale, affettiva e sessuale la più ricca e umana possibile.
Vi sono sicuramente dei limiti. Molti di essi derivano dalla disabilità stessa che rende difficile un impegno così pieno di responsabilità, di implicazioni e coinvolgimenti emotivi.
Altri limiti nascono dalle ridotte possibilità di scelta che ha il disabile rispetto al giovane normale, quando sboccia in lui e si manifesta impetuoso il bisogno di amare e di essere amato.
Ma ci sono limitazioni che nascono dal legame particolare che spesso si stabilisce tra i genitori e il figlio con problemi. Molti di questi genitori, infatti, vedono il figlio come qualcuno che chiede e ha continuamente bisogno degli altri e non come qualcuno che è capace di dare e di staccarsi pienamente dal legame affettivo con i propri genitori e la famiglia di origine per intraprendere una vita affettivo - relazionale autonoma.
Questa possibilità, da parte dei genitori, ma anche degli operatori, non solo non viene vista come obiettivo possibile, ma anzi viene negata o rifiutata quando nasce o si manifesta.
Molte altre restrizioni provengono sicuramente dall’ambiente sociale. In questo, specie nelle persone cosiddette “benpensanti”, è spesso presente e serpeggia un immotivato o eccessivo senso di sfiducia, ogni volta che un giovane disabile parla, sogna, si avvicina o intraprende un cammino affettivo sentimentale o peggio sessuale con un’altra persona normale o no.
C’è in questa sfiducia la paura ancestrale di tutto ciò che è diverso o che esce dai classici canoni di “normalità”. Tale distruttivo e castrante atteggiamento viene giustificato con la possibilità, che è sicuramente reale in alcuni casi, ma non in molti altri, di conseguenze genetiche negative per la prole, oppure con la difficoltà che questi giovani riescano a gestire un rapporto così complesso come quello sentimentale, coniugale o familiare.
Pur tenendo conto di queste e altre limitazioni che sicuramente esistono e che non devono essere sottovalutate, i genitori, i familiari e gli educatori, devono riuscire però a porsi come obiettivo il graduale superamento dei reali problemi presenti e la conquista da parte del minore di relazioni affettive sempre più valide, complete e coinvolgenti.
Essi devono inoltre impegnarsi, giorno dopo giorno, fin dall’infanzia ad educare il giovane disabile in questi aspetti così importanti della realtà umana, in modo da renderlo pronto ad affrontarli e viverli con pienezza nel momento in cui si presenteranno o saranno richiesti.
Nasceranno infatti sicuramente, e molto presto, sentimenti d’amicizia che hanno bisogno, per essere vissuti pienamente, di buone capacità di dialogo e di ascolto, ma anche di disponibilità al sostegno, alla comprensione e all’aiuto della persona che ci è vicina.
A questi seguiranno i rapporti sentimentali veri e propri, per i quali è necessario aver sviluppato nel giovane o nella ragazza disabile una grande capacità di amare e di donare. Dovrà essere inoltre maturo in questi giovani, come in tutti, il rispetto per la vita, accanto alla capacità di sacrificio.
Infine, dovrà essere ben sviluppato il giusto senso di responsabilità.
Responsabilità verso se stessi e gli altri, tanto più grande quando si manifestano i primi impulsi sessuali, che non vanno sicuramente repressi ma educati ed indirizzati in modo tale che diventino non solo fonte di gioia e di piacere, ma anche strumento di dialogo, unione e crescita reciproca.
Per tale motivo, educare al senso di responsabilità significa anche saper accettare dei limiti, se ci sono, oppure riuscire ad affrontarli e superarli insieme, mano nella mano, se possibile.