La difficile relazione educativa.
Una delle principali conseguenze di un ambiente familiare disgregato è la nascita o l’aggravarsi dei problemi di tipo educativo. Affinché un rapporto pedagogico sia efficace, sono necessarie alcune qualità essenziali: la stabilità, la serenità, l’autorevolezza, un dialogo efficace, chiari ruoli ed infine un lavoro di squadra tra tutti gli adulti e i minori interessati. Al buon esito del processo educativo partecipano, infatti, non solo gli adulti ma anche l’educando, il quale deve collaborare con altrettanta disponibilità ed impegno.
Nel caso di genitori separati o peggio divorziati, spesso non vi è alcuna di queste condizioni.
Non vi è stabilità, perché le relazioni precedenti sono sconvolte dalle decisioni dei giudici e dagli accordi dei genitori, ma anche perché ognuno dei genitori è spesso impegnato a ricercare e a vivere altre amicizie, altri amori, altre passioni.
Non vi è serenità in quanto i genitori e, spesso, anche gli altri parenti e amici, sono coinvolti su come, quando e con quali armi potranno far del male alla controparte o sul come, con quali mezzi e strumenti possono privare l’altro di qualcosa a cui tiene, piuttosto che su come ben educare il minore. Spesso, inoltre, le maggiori difficoltà economiche dovute all’incremento delle spese necessarie a mantenere due famiglie, nonché gli esborsi per spese legali, impegnano i genitori nella ricerca di nuove e più sostanziose entrate che permettano di vivere decentemente o almeno di sopravvivere.
Non vi è autorevolezza, in quanto con i loro comportamenti, spesso incongrui e contraddittori, l’immagine genitoriale scade agli occhi dei figli.
Non vi è collaborazione da parte dell’educando, poiché questi, investito da profonde e conflittuali dinamiche relazionali, difficilmente ha la serenità necessaria per aderire ad un processo educativo proposto da un genitore che giudica egoista, evanescente, contraddittorio, ma anche colpevole del proprio personale disagio.
Non vi è lavoro di squadra, poiché se i figli hanno deicomportamenti ansiosi, instabili, aggressivi, non trovano nei genitori inquieti una sponda capace di comprenderli, correggerli e indirizzarli adeguatamente. Spesso i due coniugi sono in concorrenza per avere rispettivamente tutto per sé l’affetto e l’attenzione dei figli. Se vi è qualche problema psicologico questo o viene negato, per evitare di essere emotivamente coinvolti o viene aggravato, in modo tale da dare all’ex coniuge la responsabilità di quanto accade: ‹‹Necessariamente Luigi si comporta così, in quanto ha un padre che l’accontenta in tutto ciò che chiede quando sta con lui. Quando poi io, madre, devo negargli qualcosa, egli mi giudica cattiva e si ribella››. ‹‹Francesco è capriccioso poiché sua madre lo sta allevando nella bambagia, come d’altronde è stata educata anche lei dai suoi genitori››. E ancora: ‹‹Mio figlio ha questi gravi problemi psicologici perché mio marito non si trattiene e lo fa assistere alle effusioni che ha con la nuova amica›› ‹‹Questo ragazzo ha il carattere capriccioso, caparbio, egoista di suo padre››. Poiché queste difficoltà educative si accentuano nel periodo adolescenziale, è in questo periodo che esplodono in modo più virulento i contrasti tra il genitore affidatario e i figli, specie se questo genitore è la madre, in quanto per la donna è più difficile e complessa la gestione educativa del figlio adolescente.
Inoltre manca spesso, in queste situazioni, un dialogo efficace. Questo dovrebbe essere sereno e costruttivo. Ciò è difficile che avvenga in quanto, se il bambino nei fine settimana lascia la madre affidataria per andare a casa del padre, questi, piuttosto che impegnarsi in un sano e rispettoso dialogo, costretto spesso dalla guerra interminabile con l’ex coniuge, cercherà di sapere dal bambino elementi che possono mettere in cattiva luce la madre: ‹‹Cosa fa? Con chi esce? Ti accompagna a scuola?
Lo stesso fa la madre quando il bambino, trascorsi il sabato e la domenica con il padre, ritorna da lei. ‹‹Dove siete stati? Con chi siete stati? Cosa faceva tuo padre con quella donna che sta con lui?›› Prevalgono nel dialogo i motivi di sospetto, diffidenza e ricerca di comportamenti o atteggiamenti colpevoli dell’altro. Pertanto, il rapporto genitori – figli si deteriora rapidamente, e molto spesso anche definitivamente.
Nell’educazione dei bambini di genitori separati o divorziati incidono pesantemente la mancanza di linearità e di un chiaro ruolo educativo. Il genitore affidatario o comunque il genitore con il quale il bambino resta durante tutta la settimana, che è in genere la madre, ha difficoltà ad assumere contemporaneamente il doppio ruolo di padre e di madre, maschile e femminile. A sua volta il padre, che vede il bambino solo durante i fine settimana, non riesce ad avere con lui un ruolo autorevole di tipo paterno, per evitare che il bambino si irriti e rifiuti quel minimo di rapporto che si è instaurato tra di loro. Per tale motivo mette da parte il suo fondamentale compito per assumere una più comoda mansione di “padre- amico e complice”.
Inoltre, per accaparrarsi l’amore del figlio conteso, è frequente la tendenza, in entrambi gli ex coniugi, ad essere più permissivi di quanto si sarebbe voluto e si dovrebbe. Come conseguenza di ciò si ha, nei figli dei divorziati, una frequente presenza di comportamenti capricciosi ed infantili.
Le conseguenze sui minori causate da un ambiente disgregato sono tanto più gravi quanto più il bambino è piccolo al momento della separazione, quanto maggiore è il grado di conflittualità e quanto più le visite dell’altro genitore sono irregolari ed imprevedibili.[1] Tra le tante conseguenze si registrano nei minori:
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Disturbi psicoaffettivi.
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Il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto.
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L’assunzione di eccessive responsabilità.
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La perdita di stima nei confronti dei suoi genitori.
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La perdita della stabilità, della sicurezza e della chiarezza.
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La scarsa fiducia e le maggiori difficoltà nei futuri legami affettivi ed amorosi.
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Problemi di identità e identificazione.
1. Disturbi psicoaffettivi.
I minori di famiglie separate o divorziate sono spesso colpiti da ansie, paure, sensi di colpa, depressione ed altri disturbi psicoaffettivi, dovuti alla perdita di uno dei genitori o di entrambi se questi sono immersi nel conflitto, nell’offesa o nella difesa, piuttosto che nella relazione con il bambino. La sofferenza provata può spingere i minori a dei comportamenti incongrui come quelli attuati mediante l’uso di sostanze stupefacenti o atteggiamenti asociali o antisociali. Inoltre, poiché è la famiglia il luogo privilegiato della formazione emotiva, quando la famiglia si rompe, si interrompe o si altera questo tipo di formazione.
Il confronto tra i bambini che crescono con una madre vedova rispetto a quelli che crescono con una madre divorziata è nettamente sfavorevole per questi ultimi, nei quali vi è un maggior grado di alterazione, a livello cognitivo, emotivo e sociale.
I sensi di colpa di cui possono soffrire i figli dei separati e dei divorziati possono nascere dalla consapevolezza di non essere stati in grado di tenere uniti papà e mamma, o peggio di essere stati causa dei loro diverbi con i loro comportamenti non corretti. Altri sensi di colpa possono nascere dai giudizi negativi che essi hanno formulato in cuor loro verso uno o verso entrambi i genitori: ‹‹La mamma è una poco di buono, come dice papà. Lui, a sua volta, è uno sfaticato ed un incapace come dice la mamma››. Il bambino, inoltre, può vivere dei sensi di colpa difficilmente superabili per il riacutizzarsi di problematiche edipiche in quanto ‹‹Vedere i genitori opporsi, litigare, separarsi, può costituire la realizzazione di un desiderio fantasmatico incestuoso: togliere di mezzo uno dei genitori per poter possedere l’altro››.[2]
2. Il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto.
Uno dei rischi più gravi, ma per fortuna non frequente, è il rischio di comportamenti promiscui, nonché di violenze sessuali o incesti all’interno delle famiglie ricostruite. Questi rischi sono dovuti alla compresenza di persone non legate da vincoli di sangue, che possono, tra l’altro facilmente già presentare, sintomi di disagio o chiari disturbi psicologici.
3. L’assunzione di precoci ed eccessive responsabilità.
I figli dei separati e dei divorziati sono spesso costretti a farsi carico di responsabilità precoci in quanto il genitore rimasto solo non ha né il tempo, né le energie necessarie per occuparsi della cura della famiglia e dei figli. Inoltre, questo genitore solo si ritrova spesso in una precaria situazione economica ed in continuo conflitto con l’ex coniuge e con la sua famiglia.
Rimasto privo dell’apporto affettivo e materiale della rete amicale e parentale, è costretto a barcamenarsi tra lavoro, avvocati, giudici e assistenti sociali. Quando poi è anche invischiato in nuove impegnative relazioni amorose, non riesce a gestire in maniera piena, efficace e serena il rapporto con i figli per cui avverte il bisogno d’appoggiarsi all’affetto e al consiglio di questi per far fronte ad un futuro incerto ed oscuro. Questo bisogno di far partecipi i figli delle responsabilità della famiglia lo spinge a trattarli come avessero una maturità e delle capacità superiori alla loro età, ma anche come fossero dei sostituti dell’ex coniuge. Ciò spinge i minori ad assumere dei ruoli non propri e non adeguati alla loro età e maturità. [3] Per LIDZ ‹‹I genitori possono, anzi devono, dipendere l’uno dall’altro, ma non dal bambino – ancora immaturo – che ha bisogno della sicurezza derivante dal suo stato di dipendenza per dedicare ogni energia al proprio sviluppo. Tale sviluppo può arrestarsi se il fanciullo deve sostenere emotivamente i genitori, quando invece è proprio da loro che deve ricevere sicurezza››.[4]
4. La perdita di stima dei genitori.
Abbiamo detto che spesso i figli sono usati dai genitori come strumento di offesa, spionaggio, scambio, ricatto. Questi comportamenti fanno scemare o perdere totalmente nei piccoli la stima verso i genitori, che non sono più percepiti come adulti responsabili, forti, equilibrati; fonte di sicurezza, serenità e amore ma, al contrario, come individui irresponsabili, deboli, scarsamente stabili, dai quali è possibile attendersi solo ansie, problemi e frustrazioni. L’immagine che il bambino ha dei genitori è, infatti, quella che questi ultimi trasmettono loro direttamente o indirettamente. Quando una madre parla male del marito, inevitabilmente trasmette ai figli un’immagine negativa del padre. Se poi le sue osservazioni riguardano gli uomini in generale, riesce a trasmettere anche un’immagine negativa del sesso maschile in generale. A sua volta però, il bambino diminuirà la stima verso se stesso in quanto come dice WOLFF: ‹‹…noi stessi siamo i nostri genitori, la stima e la fiducia in noi stessi dipendono dalla nostra capacità di pensar bene dei nostri genitori nell’infanzia.[5]
5. Perdita della stabilità, della sicurezza e della chiarezza.
Se vi sono degli elementi di cui i bambini non possono fare a meno, questi sono la stabilità, la chiarezza e la sicurezza. Quando questi tre capisaldi mancano nell’ambiente nel quale i minori vivono, il loro sviluppo, se non regredisce, certamente si arresta o si altera. Purtroppo queste tre componenti spesso mancano nelle famiglie di separati e divorziati.
Manca la stabilità in quanto da un momento all’altro possono modificarsi le condizioni dei minori. Si può stare con la mamma tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, ma se il giudice modifica la sentenza di separazione o di divorzio, la situazione può, da un momento all’altro, ribaltarsi. Sono necessari, allora, dei continui stressanti tentativi di adattamento: ad una nuova casa, a nuovi fratellastri, a nuovi amici e familiari, ad una nuova scuola, ad un genitore diverso, ma anche ad una diversa fidanzata o convivente. Questa, a sua volta, è portatrice di diversi valori, modalità di approccio e stile educativo. Se poi questa nuova unione fallisce, e non è raro che ciò succeda, vi è il rischio di dover modificare ancora una volta i propri rapporti affettivi ed i propri punti di riferimento.
Manca la chiarezza in quanto, a volte per anni, i genitori naturali, nella ricerca di una persona che vada bene per sé e per i propri figli, instaurano delle “storie” più o meno lunghe, più o meno profonde, con persone diverse presentate al figlio: a volte come amici, altre volte come fidanzati, altre volte ancora come conviventi o come qualcuno ‹‹che per te sarà come un nuovo papà o una nuova mamma››. Amici, fidanzati, conviventi o nuovi papà e mamma, che però, da un momento all’altro, possono ridiventare degli odiati estranei da non salutare nemmeno, in base a come evolve il rapporto amoroso.
Lo stesso dicasi con i figli di questi con i quali il minore viene invitato a socializzare. Questi possono essere presentati come ‹‹i figli di Mario con cui giocare›› o come ‹‹nuovi amichetti o nuovi fratelli e sorelle››, che però, da un momento all’altro, possono ridiventare degli estranei in base a come va avanti la relazione con la loro madre o con il loro padre. Altrettanto dicasi degli altri familiari: nonni zii, cugini ecc.. Pertanto, nelle famiglie ricostruite i punti di riferimento affettivo per i figli spesso diventano vaghi, insicuri, imprecisi, altalenanti.
6. La scarsa fiducia e le maggiori difficoltà nei futuri legami affettivi e amorosi.
Se da una parte la conflittualità all’interno delle coppie si traduce, inevitabilmente, in un maggior numero di separazioni e di divorzi, dall’altra le separazioni e i divorzi producono nella prole atteggiamenti di sospetto e di rifiuto verso tutti i tipi di unione stabile. Non solo, ma anche quando questo sospetto e questo rifiuto siano stati superati, nel momento in cui i figli dei divorziati decidono di unirsi stabilmente mediante il matrimonio o una convivenza, è facile che si crei una maggiore conflittualità coniugale. Il motivo è facilmente comprensibile: l’aumento della sofferenza nei figli provoca adulti più fragili, immaturi, o con chiari disturbi psichici. Questi, a sua volta, avranno più difficoltà a relazionarsi in maniera efficace e stabile, nel momento in cui decideranno di formare una famiglia.
7. Problemi di identità e di identificazione.
L’identità caratterizza in modo inconfondibile ciascuno di noi come individuo singolo. L’identità oggettiva è data da quanto gli altri vedono in noi: non solo il nostro viso, il nostro carattere, il nostro modo di vestire ma anche la nostra collocazione familiare e sociale. L’identità soggettiva è l’insieme delle nostre caratteristiche così come noi le vediamo e le descriviamo. Per una corretta e costante identità soggettiva e oggettiva, è necessario che i punti di riferimento siano costanti e solidi; ogni alterazione o cambiamento, sia del mondo interiore come del mondo esterno la può, pertanto, mettere in discussione o alterare.
Per quanto riguarda l’identificazione, la scarsa presenza, la scomparsa o la modifica dell’immagine di uno o di entrambi i genitori, può alterare o impedire l’identificazione con il genitore dello stesso sesso. Per il maschietto: ‹‹Perché dovrei desiderare di essere come papà se la mamma lo descrive come una persona spregevole e inaffidabile, così come sono tutti gli uomini?›› Per le femminucce: ‹‹Perché dovrei desiderare di essere donna come mia madre e quindi assumere le sue caratteristiche, se ha fatto soffrire il papà che amavo tanto e lo ha allontanato da me e dalla famiglia?››.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente"
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[1] J. DE, AJURIAGUERRA – D. MARCELLI, Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 374.
[2] J. DE, AJURIAGUERRA – D. MARCELLI, Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 373.
[3] P. LOMBARDO, Crescere per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 94-95.
[4] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, Torino, Editore Boringhieri, 1977, p. 71..
[5] S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando Armando Editore, 1970, p.137
Tratto da "Il bambino e il suo ambiente" di Emidio Tribulato
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