L’educazione umana
L’educazione umana è sicuramente la più lunga e complessa che conosciamo. Possiamo facilmente comprendere la durata della fase educativa se pensiamo alla gran quantità di tempo durante il quale il cucciolo dell’uomo ha bisogno di essere seguito, assistito, curato educato dai genitori e dalla società. Non si tratta né di pochi giorni, come negli uccelli, né di pochi mesi, come in molti mammiferi, ma di molti anni.
La complessità nasce dalla grandi potenzialità umane che, per essere adeguatamente stimolate e sviluppate, necessitano di numerosissimi stimoli di tipo percettivo, motorio, linguistico, affettivo, sociale, spirituale, culturale. Questo significa che non è possibile un fisiologico e completo sviluppo umano senza numerosi anni d’impegno costante e massiccio.
L’educazione umana ha, fondamentalmente, tre scopi:
1. il primo è di fare in modo che il cucciolo d’uomo che si presenta nudo alla nascita, inerme, bisognoso di tutto, ma con grandi potenzialità iscritte nel proprio codice genetico, possa agevolmente sviluppare, accrescere e far diventare realtà vive e palpitanti queste capacità di base;
2. il secondo è di stimolare ed aiutare quel bambino che sta crescendo, affinché diventi una persona adulta, matura e responsabile.
Che significa persona adulta e matura?
La persona adulta non è solo quell’individuo umano che ha raggiunto una certa età. La maturità anagrafica non sempre purtroppo corrisponde alla maturità psicologica.
La persona adulta e matura è quella che:
- · ha sviluppato in sé tutte le capacità che le possono permettere di vivere in maniera autonoma, responsabile, non dipendente nell’ambito della società e quindi è capace di procurare per sé e per la propria famiglia, se ne ha una, cibo e mezzi di sostentamento necessari;
- · ha una solida fiducia di base che le permette di vedere se stessa, il mondo e gli altri, come cosa buona, come qualcosa di positivo; quindi si accetta, sa sdrammatizzare i suoi insuccessi e valorizzare le cose che fa;[1]
- · ha conquistato la libertà interiore che le permette di controbattere validamente le sollecitazioni negative che provengono dalla società;
- · è capace di analizzare con oggettività la realtà, in modo tale da risolvere i problemi che si dovessero presentare, nel modo più efficace possibile;
- · sa fare valere i propri diritti ma sa riconoscere e accettare quelli altrui. Non accetta soprusi ma non li fa agli altri;
- · sa rispettare ogni persona, per quella parte di umanità che porta con sé, per le sue caratteristiche sessuali, individuali, per il ruolo che ricopre, per le funzioni che assume nell’ambito della famiglia, nella coppia e nella società;
- · sa cogliere l’essenza delle cose e il loro valore senza lasciarsi fuorviare da immagini edulcorate e fondamentalmente false della realtà;
- · evita gli eccessi, gli sbandamenti e la collera irrazionale;
- · ha una mentalità elastica che le permette di adattarsi alle varie realtà e ai cambiamenti sociali, ma tiene in gran conto tutti i preziosi elementi della cultura tradizionale;
- · sa essere creativa, cioè in grado di trovare delle soluzioni ai problemi che si dovessero presentare, sia nella sua vita sociale che familiare;[2]
- · è sicura di sé. Riesce a vivere serenamente con se stesso e con gli altri, non è turbata da ansie, paure immotivate, da nevrosi o, peggio, da psicosi;
- · ammette i propri sbagli, ma non per questo si delegittima;[3]
- · è capace di una coscienza matura. E’ capace cioè di vedere chiaramente il confine tra il bene ed il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il buono e il cattivo, il bello ed il brutto, la verità e la falsità;[4]
- · sa sviluppare dentro di sé l’amore per se stessa, per i propri familiari, per gli altri esseri umani, per il mondo in cui vive e per tutte le altre creature. Sviluppare l’amore significa anche scoprire la propria coscienza, acquistare responsabilità, aprirsi agli altri, generosamente;
- · è capace di coraggio. E’ capace, cioè, di affrontare le responsabilità caratteristiche della propria condizione: le responsabilità di uomo o di donna, di madre o di padre; quelle insite nel tessuto sociale in cui è inserita; le responsabilità lavorative, politiche e professionali;
- · sarà a sua volta capace di educare, e quindi sarà capace di trasmettere alle future generazioni i principi e i valori umani fondamentali;
- · è libera e sa capire i limiti della libertà. Per P. Le Moine: “ Il vero educatore è colui che aiuta il minore ad aprirsi con gioia agli altri; a prendere coscienza della sua condizione umana; a diventare, insomma, un individuo libero, in grado di comportarsi secondo coscienza, di capire quali siano i limiti della libertà individuale nell’interesse del singolo e della collettività, accettandone con serenità i relativi doveri.”[5]
3. Il terzo scopo dell’educazione è quello di aiutare l’adulto che si è formato, ad integrarsi ed impegnarsi in maniera armonica, attiva, critica, solidale, nella società e nell’ambiente in cui vive.
Si può fare a meno dell’educazione?
Certamente si può fare a meno dell’educazione, ma il risultato non solo non sarà garantito, ma quasi certamente sarà disastroso, sia sul piano fisico che, soprattutto, sul piano affettivo, psicologico e sociale. Ciò perché gli elementi genetici, anche se nettamente positivi e le scelte autonome individuali, non sono capaci, da soli, di portare un essere umano ad un completo sviluppo intellettivo, fisico, affettivo, morale e psicologico. Ciò potrà avvenire solo se avrà, accanto a se, degli adulti, maturi, responsabili, attenti, impegnati nel campo educativo che riescono a seguirlo in maniera costante e corretta e se, l’ambiente sociale in cui vivrà, sarà capace di completare, ampliare ed assecondare il compito degli educatori: genitori, familiari ed insegnanti.
[1] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 156
[2] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 157
[3] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 158.
[4] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 148.
[5] P. Le Moine, Educare il grande mestiere, San Paolo, 1995, p. 28.
Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui.