Ogni elemento della coppia e ogni genitore dovrebbe possedere delle qualità indispensabili per il proprio ruolo di marito e moglie, padre e madre come:
- · Una buona maturità.
- · Buone capacità nella comunicazione.
- · Buone capacità nel dare risposte coerenti, stabili, complete e soddisfacenti.
- · Buon equilibrio psichico.
- · Atteggiamento altruistico e generoso.
- · Buone capacità educative e di cura.
- · Età fisiologicamente adeguata.
Una buona maturità.
Un genitore maturo:
- · Ha piena e solida fiducia in se stesso ma anche negli altri, soprattutto nei figli, nell’altro coniuge e nel mondo.
- · Sa affrontare prontamente e adeguatamente con serenità, chiarezza interiore e determinazione anche le situazione più difficili.
- · E’ in grado di selezionare correttamente i messaggi che provengono dall’ambiente sociale, senza farsi eccessivamente influenzare.
- · E’ capace di vivere i suoi bisogni individuali limitandoli, se necessario, per fare gioiosamente dono agli altri familiari del suo impegno, della sua presenza, della sua abnegazione.
- · Sa mettere in primo piano il valore della maternità e della paternità, della coppia e della famiglia rispetto al valore del lavoro, dell’attività professionale e sociale.
- · E’ in grado di inserirsi, alimentare e mantenere viva e attiva una larga e ricca rete familiare, inserendo e collegando adeguatamente la propria famiglia con le famiglie di origine.
- · Ha una mentalità elastica che gli permette di adattarsi alle varie realtà e ai cambiamenti sociali, pur tenendo in gran conto tutti i preziosi apporti della cultura tradizionale.
- · Sa essere tenero e comprensivo, ma non permissivo. Pertanto sa affrontare con decisione ed autorevolezza i bisogni educativi dei figli.
- · Riesce a trarre soddisfazione, gratificazione e gioia dai suoi compiti di cura ed educazione.
- · Riesce a considerare la sua casa come un luogo sacro da rendere caldo e accogliente con l’amore, da illuminare con il sorriso, da rendere vivo e palpitante con la sua presenza.
- · Sa essere per il suo uomo o per la sua donna l’altra parte di sé, un porto sicuro, caldo e accogliente in cui l’altro può rifugiarsi sentendosi protetto.
- · Sa gestire le finanze della casa in modo intelligente ed attento, senza farsi influenzare dalle mode e dalle sirene del consumismo.
Buone capacità nella comunicazione.
Accanto ad una buona maturità i genitori dovrebbero possedere buone capacità nella comunicazione verbale e non. Già il dialogo madre - bambino inizia nella fase embrionale. E’ una comunicazione biochimica, ormonale, immunologica che poi, gradualmente, con lo sviluppo delle capacità percettive, diventa piena e completa.[1]
Una buona capacità nella comunicazione necessita non solo di saper ascoltare e capire le necessità del bambino che si tiene tra le braccia, ma soprattutto comporta un adeguarsi alle sue esigenze di base fornendo risposte corrette, coerenti e valide.
Per Winnicott “Molte donne, infatti, temono questo stato e hanno paura di diventare dei vegetali, con la conseguenza che si aggrappano alle vestigia di una carriera come a una vita preziosa e non si concedono neppure temporaneamente a un coinvolgimento totale. E’ probabile che in questo stato le madri imparino a mettersi nei panni del loro bambino, cioè a perdersi quasi in una identificazione con il bambino, in modo tale che sanno (genericamente se non proprio in modo specifico) di che cosa ha bisogno il bambino in quel dato momento.”[2]
Per ottenere ciò è necessario possedere buone capacità di ascolto.
Vi sono persone che hanno grandi capacità linguistiche, sanno dissertare su tutto, hanno una cultura enciclopedica, riescono a dire la propria su ogni argomento, ma non riescono a porsi correttamente in ascolto dell’altro, specie se si tratta di un bambino o peggio di un neonato, che utilizza nella comunicazione soprattutto messaggi non verbali. A volte è proprio l’eloquio eccessivo la causa delle loro difficoltà nella comprensione la quale “comporta un processo di empatia, di identificazione e di proiezione”.[3] Queste persone non sono in grado di creare nel proprio animo il silenzio, che è presupposto indispensabile sia per la corretta decodifica dei messaggi, sia per programmare ed attuare la o le risposte più consone ed adeguate.
La difficoltà nell’ascolto la ritroviamo, a volte, in persone che hanno un Io ipertrofico. Queste persone non sono in grado di ascoltare in quanto pensano erroneamente di avere già tutte le informazioni che servono a prendere delle decisioni. Inoltre, la loro eccessiva sicurezza, impedisce di soffermarsi a controllare la corrispondenza o non, l’utilità o non delle risposte date e quindi hanno difficoltà ad accorgersi degli errori a cui vanno incontro.
In altri casi si tratta di difficoltà legate all’ansia, allo stress e alle preoccupazioni.
L’ansia e lo stress creano, nell’animo umano, come un rumore assordante dal quale è difficile, non solo isolare i messaggi esterni, ma anche rispondere adeguatamente.
In altri genitori la difficoltà a mettersi in ascolto è causata dalla presenza nel loro animo di problematiche psicologiche. Queste possono essere acute, e quindi essere limitate ad un certo periodo della vita, come possono essere croniche, e quindi possono perdurare nel tempo. In ogni caso, le conseguenze sono quelle di un notevole disturbo nella vita di relazione.
Succede allora che il bambino lanci dei segnali, con il pianto, i mugugni, le vocalizzazioni, i movimenti del corpo, ma questi non vengono ricevuti in quanto i problemi interiori dei genitori, le loro ansie, le paure, la depressione, impediscono un ascolto corretto, mentre nel contempo rendono estremamente difficili risposte efficaci e coerenti.
Questi genitori sono vittime, quindi, di una congerie di emozioni, sentimenti e pensieri che impedisce un sereno ascolto ma impedisce anche delle risposte efficaci.
Accanto al non ascolto vi possono essere difficoltà nella decodifica dei messaggi.Questa difficoltà non sempre è causata dalla presenza di un ritardo intellettivo e cognitivo. Spesso chi non sa decodificare i messaggi presenta ai test intellettivi dei punteggi normali.
Si tratta allora di persone apparentemente intelligenti, a volte con una o due lauree, che hanno buone capacità nel comprendere le richieste esplicite, mentre hanno difficoltà, più o meno gravi, a comprendere i messaggi meno evidenti ed impliciti, in quanto mancano della necessaria sensibilità e degli strumenti adeguati per tradurli correttamente.
Questi genitori, quando il loro bambino esprime verbalmente in modo chiaro il bisogno, la sofferenza ed il malessere, comprendono il messaggio e vi si adeguano. Portano il bambino dal medico, evitano di dare cibi non adatti o somministrano i farmaci più opportuni, ma se il bambino piange e si dispera senza però riuscire a comunicare il suo problema in modo esplicito, non riescono a comprendere il messaggio o lo interpretano in modo errato: “Questo bambino è capriccioso, viziato; vuole focalizzare l’attenzione sempre su di sé; ci vuole fare disperare; ci vuole punire perché non l’abbiamo accontentato nei suoi capricci; è un monello.” I genitori che presentano questi problemi riescono spesso a fare mille ipotesi ma non sono in grado di scegliere quella corretta.
Le cause di questa difficoltà nella comprensione dei messaggi possono essere fatte risalire a difficoltà congenite; il più spesso, però, questo handicap nasce dalla presenza di un afflusso massiccio di messaggi disturbanti. Una buona comprensione necessita di un sufficiente tempo per la pausa e per la riflessione. Cosa molto difficile da ottenere quando nella mente i pensieri e le emozioni vorticosamente si rincorrono, si incrociano, a causa dell’ansia o dello stress nati a sua volta dai tanti impegni ai quali i genitori non riescono a fare fronte con serenità ed equilibrio.
In altri casi il problema è dovuto a difficoltà ad utilizzare una chiave corretta di lettura. Nelle comunicazioni criptate, utilizzate dalle spie, sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, se il nemico non ha i codici appropriati non riesce a comprendere i messaggi.
In questo caso è come se questi genitori non fossero in possesso, per vari motivi, dei codici corretti. A volte la mancanza è già nel patrimonio genetico. Altre volte la causa va ricercata in un deficit educativo. E’ quello che succede oggi, nelle moderne società occidentali, nelle donne di nuova generazione nelle quali, non viene educato e adeguatamente valorizzato ed esaltato l’istinto materno, caratteristico dell’essere femminile. In queste società, giacché non viene accettato il tradizionale ruolo femminile, non vengono trasmesse o vengono perdute le specifiche peculiarità istintive fatte di intuizione e immediato contatto con l’animo degli altri esseri umani, specie se bambini. Queste peculiarità, indispensabili per un corretto e sano rapporto educativo e di cura, sono sminuite o sovvertite da un’educazione che da molti anni esalta le qualità tecniche o quelle manageriali e professionali. Tale difficoltà si aggrava anche per la mancanza di un lungo e corretto tirocinio da effettuare con i fratelli più piccoli, e dall’assenza di un valido, continuo ed efficiente tutoraggio materno. La difficoltà di utilizzare le chiavi di lettura corrette può essere causata, inoltre, dalla presenza di chiari disturbi psichici. L’ansia, la depressione, l’irrequietezza interiore provocano, come un rumore assordante a livello mentale, impedendo il sereno ed attento esame della realtà. In tutti questi casi vi potrà essere una più o meno grave difficoltà nella comprensione dei messaggi.
Buone capacità nel dare risposte coerenti, stabili, complete e soddisfacenti.
Non basta ascoltare un messaggio, non basta interpretarlo correttamente, bisogna anche riuscire a dare delle risposte stabili, coerenti, complete e soddisfacenti.
Dare risposte coerenti significa fare in modo che le azioni successive siano coerentemente collegate al messaggio: “Capisco che il mio bambino ha freddo e gli metto il cappottino.” Risposta coerente. Al contrario: “Capisco che il bambino sente freddo e gli tolgo anche la maglietta.” Risposta incoerente.
Le risposte incoerenti possono nascere da presupposti errati o eccessivi: “Io penso (erroneamente) che è giusto che egli si abitui al freddo in quanto questo lo farà diventare più forte e robusto e quindi gli tolgo anche la maglietta.” Oppure: “I cappotti non devono mai essere messi ai bambini perché li impacciano.”
Questo tipo di risposte incoerenti è proprio degli uomini che vorrebbero per i propri figli il massimo dei comportamenti spartani.
Le risposte incoerenti possono essere causate anche da un parallelismo non corretto: “Io sento caldo, quindi anche il mio bambino deve avvertire caldo.” Questo vedere la realtà con i propri occhi e con il proprio sentire e non con i sensi degli altri, fa accettare con difficoltà altri modi di essere ed altri vissuti, pertanto il comportamento del bambino viene visto in modo difforme dalla realtà.
A volte la risposta non è coerente con la richiesta in quanto non si ha né la forza, né la voglia di soddisfarla: “Capisco ciò di cui lui ha bisogno, ad esempio del cappottino, ma non glielo posso dare, perché dovrei prenderlo a casa ma ho fretta, non ho tempo, non ho né la serenità, né la pazienza, né la capacità di sacrificio necessaria.” In questo caso la risposta errata nasce da una richiesta avvertita come eccessiva da parte di un Io immaturo, pigro o disturbato. “Io sono stanco, non ho voglia di prendere il cappottino,” pertanto mi convinco e cerco di convincere lui che il cappottino non serva.
“Nel mondo economico”, dice Bill Gates, “è fondamentale ascoltare i clienti e accogliere le loro brutte notizie come un’opportunità per trasformare i propri errori nei miglioramenti concreti che essi desiderano.”[1] Purtroppo, molto spesso non si fa lo stesso nel mondo affettivo. Pochi di noi sono disposti a chiedere ai propri “clienti”: marito, moglie, figli, familiari, amici, se sono o no soddisfatti del nostro comportamento e dove stiamo sbagliando, per poter correggere gli errori fatti. Preferiamo, al contrario, trovare mille giustificazioni alle nostre deficienze.
D’altronde, buona parte di queste giustificazioni ce la fornisce il mondo dell’economia e dei servizi, proprio per evitare di pensare troppo e di correggerci. Se un bambino piange perché insoddisfatto delle nostre attenzioni e della nostra presenza distratta da una trasmissione televisiva interessante, il mondo economico ci dirà che, molto probabilmente, questo pianto o lamento è dovuto ad un problema digestivo o ai dentini che stanno nascendo e irritano le gengive; pertanto la nostra risposta può essere molto rapida e sbrigativa magari col dargli soltanto un digestivo o un nuovo tipo di ciuccio che gli massaggi le gengive. Questi interventi ci fanno sentire la coscienza a posto anche se il bambino continua a piangere insoddisfatto.
Se il bambino strilla, vomita o si rifiuta di alzarsi tutti i giorni per andare all’asilo nido o alla scuola materna, è perché non si è ancora abituato al nuovo ambiente e quindi non bisogna recedere ma insistere nel proprio comportamento, senza approfondire le cause del suo malessere. Se una moglie è triste e depressa, è perché le donne ne hanno sempre una e non si accontentano mai. Se lo stesso succede ad un marito, la moglie si difenderà dicendo che gli uomini non hanno capito che i tempi sono cambiati e che devono adattarsi al nuovo modo di vivere. Se poi è il vecchio padre che lamenta che i figli non vengono mai a trovarlo, è facile che questi figli gli tengano anche il muso perché lui “non capisce” il nuovo stile di vita che porta i giovani ad avere una miriade di impegni improrogabili che impediscono di occuparsi troppo dei genitori.
Se un bambino è arrivato alla scuola media ma ancora legge e scrive male, sarà sicuramente vittima della dislessia e della disgrafia, mentre vengono ampiamente trascurate molte altre cause, come gli errori nelle tecniche per l’apprendimento della lettura e della scrittura, da parte della scuola, la mancanza di aiuto e di sostegno nelle varie fasi dell’apprendimento, da parte dei genitori, il grave disagio nel quale vive a causa della conflittualità in famiglia.
Per quanto riguarda la stabilità nei comportamenti, ciò significa continuare ad avere, nel tempo, lo stesso tipo di comportamento: “Capisco che il mio bambino ha questa necessità, gli metto sia oggi che domani quello che lui mi ha chiesto, quello di cui lui ha bisogno, senza che me lo richieda ogni volta. Non lo vesto un giorno con il cappotto ed il giorno successivo con la maglietta.”
I comportamenti instabili spesso nascono da un Io insicuro che non sa vedere correttamente ed in modo chiaro la realtà, ma soprattutto non sa prendere delle decisioni durature nel tempo: “Faccio bene o faccio male?” “Devo ascoltare il mio istinto o la mia ragione?” “Quello che dicono i medici o quello che mi suggerisce mia madre?” “Quello che dice mio marito o la vicina di casa? Devo fare ciò che è giusto o ciò che più mi aggrada?” L’indecisione può portare ad un blocco dell’azione stessa o ad azioni imprevedibili e mutevoli, spesso in contrasto l’una con l’altra.
Si è constatato che nelle famiglie dove sono presenti entrambi i genitori che si relazionano in maniera armonica, i bambini hanno un maggior numero di risposte coerenti ed adatte ai loro bisogni, mentre quando i genitori sono in disaccordo tra loro o è presente un solo genitore, il numero delle risposte incoerenti aumenta sensibilmente.
Quando a guidare una famiglia è solo una madre (famiglia madrecentrica) a parte le condizioni economiche più ristrette o precarie, è frequente il senso di solitudine, l’insicurezza, la paura di non farcela, di non riuscire. La paura di non saper bene educare il figlio e quindi il senso di colpa. E poi il sospetto di trasmettergli questa insicurezza e queste ansie, tanto da impedirgli di raggiungere un sano equilibrio. Vi è inoltre il rischio di un rapporto simbiotico con il figlio o con la figlia che possono assumere di volta in volta il ruolo di amici e amiche o sostituire l’amore per un uomo. Questi rapporti simbiotici rischiano di limitare nel figlio la crescita affettiva e sociale. La madre single si chiede se davvero è in grado di dare al figlio tutto ciò che gli serve. Pesa eccessivamente ogni decisione, avendo continuamente paura di sbagliare, tende ad oscillare tra atteggiamenti permissivi e autoritari senza mai trovare un equilibrio stabile, una linea di condotta coerente. [2]
Ma anche il padre single ( famiglia padrecentrica) ha i suoi problemi. L’uomo non essendo geneticamente predisposto per le cure più personali fa fatica, nel vivere quotidianamente con i propri figli, ad assumere un rapporto flessibile, caldo, delicato ed accogliente. Egli tende ad irreggimentare la famiglia con una serie di regole e norme che rendono soffocante e rigida la relazione con i figli. Giacché con difficoltà egli vede e sente le sfumature emotive nei dialoghi e nelle situazioni è più propenso a dare risposte immediate ai problemi, piuttosto che a far rivivere e far sedimentare le emozioni.
Lo stesso avviene nelle famiglie nelle quali i genitori sono presi dalla fretta o da mille impegni.
In questi ed in molti altri casi il bambino, in realtà, si ritrova a relazionarsi con persone che, per immaturità, per una non corretta o carente educazione al ruolo genitoriale, per problematiche psicologiche, sociali o relazionali, o per un non corretto appoggio e sostegno esterno, non sono in grado di dare ciò di cui lui ha bisogno.
Una delle cause più frequenti, che porta a risposte non corrette o incoerenti è spesso l’ansia. Se il genitore è divorato dall’ansia o dallo stress comincia a dare delle risposte corrette e coerenti ma poi, non avendo sufficiente e stabile energia psichica per proseguire nel suo impegno, tralascia i bisogni del bambino offrendo a lui risposte incoerenti o non corrette. Tutto ciò porta ad una deprivazione del soddisfacimento dei bisogni, che può essere più o meno grave, più o meno duratura.
A volte vi è difficoltà a dare delle risposte complete e soddisfacenti. Le risposte ci sono, sono coerenti, ma sono insufficienti. Pertanto i bisogni del bambino vengono soddisfatti, ma solo in parte. Questi genitori sono come dei poveri ai quali si chiede troppo. Essi sono consapevoli della richiesta e dei bisogni del figlio ma non hanno capacità sufficienti per rispondervi adeguatamente. E’ una situazione oggi molto frequente. La società dei consumi spinge molti genitori ad attivarsi in modo eccessivo nel lavoro per avere il denaro atto a soddisfare dei bisogni, richieste ed esigenze sempre maggiori, il più delle volte assolutamente superflui, ma che sono proposti da parte della pubblicità come bisogni essenziali. Pertanto, anche se è presente una buona consapevolezza delle necessità affettive dei figli, queste non possono essere adeguatamente saziate in quanto si ha la necessità di soddisfare altri bisogni che erroneamente vengono giudicati come bisogni primari.
A questo proposito, mi viene in mente la conversazione tra un padre bancario ed un altro genitore sindacalista. Il primo confessava che il suo stipendio non gli permetteva di soddisfare alcuni bisogni che lui riteneva importanti, come scarpe, magliette e zaini firmati che tutti i bambini avevano ma che non si poteva permettere di comprare ai suoi figlioletti. Pertanto, temendo che questa privazione li potesse traumatizzare e far sentire inferiori agli altri, cercava disperatamente, con l’aiuto dell’amico sindacalista, un secondo lavoro per il sabato e la domenica. In tal modo si sarebbe sentito un buon padre e si sarebbe messo in pace la coscienza.
L’aspetto tragico di questo modo di sentire il lavoro e il soddisfacimento dei bisogni della famiglia è che il povero bancario era disposto a sacrificare gli unici due giorni di riposo e di possibile sereno dialogo con i figli e con la moglie, per comprare gli zaini ed i vestiti firmati per i propri figli; l’aspetto comico è che i dirigenti di quella banca che avevano convinto questo padre a mettere in primo piano come beni essenziali vestiti e zaini firmati erano gli stessi che fra qualche mese si sarebbero lamentati del calo della produttività del povero impiegato costretto a lavorare sette giorni su sette, ed erano forse gli stessi che già borbottavano di non trovare più nei giovani nuovi assunti quella maturità, quell’educazione e quella serietà e serenità che c’era nei giovani dei buoni tempi andati.
Quando i genitori hanno problemi nella comunicazione o non danno risposte coerenti, le conseguenze sono notevolmente gravi. Il bambino avverte che è inutile parlare o comunicare se non si è ascoltati; che non è utile comunicare quando le proprie richieste non sono esaudite;[3] che è dannoso comunicare se la comunicazione ha sugli altri dei risvolti negativi. Ad esempio, se fa aumentare la loro ansia o se li porta a scontrarsi.
Il bambino impara a non fidarsi delle possibilità insite nella comunicazione. Impara a non fidarsi dei genitori, ma anche degli adulti e poi degli esseri umani in generale. Quando persistono gravi difetti nella comunicazione la sfiducia verso gli altri può ampliarsi a tutta la realtà esterna e, conseguentemente, si può instaurare una chiusura (autismo) verso il mondo reale. Il bambino in questi casi rimane solo e prigioniero delle sue fantasie ed elaborazioni mentali.[4]
Anche il padre deve possedere buone capacità nella comunicazione verbale e non. Ma le differenze sono sostanziali. Mentre la comunicazione materna[5] ha lo scopo di accogliere, confortare, dialogare, coccolare, dar sfogo e lenire le sofferenze, la comunicazione paterna è più indirizzata alla conquista, all’azione, alla scoperta, all’impegno. Se la prima consola, quella paterna stimola ed indirizza, provoca, attiva al massimo le capacità del figlio indirizzandole e finalizzandole all’azione. Se la comunicazione materna lancia segnali di prudenza, quella paterna lancia segnali di coraggio, che spingono il bambino ad osare, senza però mai oltrepassare i limiti imposti dalla prudenza e dal buon senso. Se la comunicazione materna è consolatoria, quella paterna è più attivante e sferzante.
Se la comunicazione materna insegna a comprendere i bisogni individuali e quelli del ristretto gruppo di appartenenza familiare, quella paterna insegna a comprendere i bisogni della società più ampia di cui si fa parte, fino ad arrivare ai bisogni dell’umanità in senso lato.
Se la comunicazione materna mette in primo piano il cuore ed i sentimenti, quella paterna mette in primo piano la ragione. Se la comunicazione materna ha lo scopo di sviluppare e confortare l’Io del bambino, quella paterna ha lo scopo di dare slancio, forza, determinazione, coraggio, sicurezza a questo Io.
E’ per questo motivo che la comunicazione paterna è più razionale, stringata, lineare, diretta, priva di fronzoli, priva di inutili aggettivi, più tagliente e apparentemente più fredda.
Anche la comunicazione paterna serve a sviluppare buone capacità di ascolto per rispondere esattamente ai bisogni degli altri, per evitare di chiedere troppo, di far osare troppo, per amalgamare i bisogni del cuore con quelli della ragione.
Per quanto riguarda la stabilità nei comportamenti e la coerenza delle risposte, queste qualità dovrebbero essere maggiori nella comunicazione paterna rispetto a quella materna, la quale può permettersi di essere più flessibile, volubile e legata alle mode del momento.
Buon equilibrio.
Avere dei genitori che possiedano un buon equilibrio non significa avere dei genitori psicologicamente perfetti, maturi e saggi, senza alcun disagio o problema psicologico. La razza umana si è evoluta e ha raggiunto dei progressi mirabili pur avendo molti limiti.
Fin dal suo primo esordio nel paradiso terrestre sia la madre di tutti noi (Eva), che il rappresentante del sesso forte (Adamo), non hanno proprio manifestato né saggezza, né equilibrio, né coerenza davanti al buon Dio!
Ma anche successivamente la storia è piena di stragi, guerre e lotte intestine nelle quali il buon senso, la saggezza e l’equilibrio, sembravano scomparsi dalla mente umana.
Un buon equilibrio psichico significa possedere una realtà interiore non particolarmente disturbata. Significa avere un Io normalmente e armonicamente formato e sviluppato, che non sia preda di gravi conflitti interiori non risolti.
Un Io armonicamente sviluppato non è in preda all’ansia; si relaziona con serenità, facilmente e bene con se stesso e con gli altri; sa osservare la realtà con obiettività; riesce a mantenere buone capacità di giudizio e di critica anche nelle situazioni difficili.
Un Io ansioso, depresso, confuso, è come una persona nella tempesta o su una zattera in preda alle rapide vorticose di un fiume. Anche se non riesce a capire il motivo della sua ansia, vive molti momenti della sua vita con apprensione e angoscia. Ha difficoltà a vedere la realtà con serenità ed obiettività; le sue azioni sono spesso dettate dall’impulso del momento, piuttosto che da una razionale analisi dei fatti.
Ciò comporta frequenti e facili errori. Basta un nonnulla affinché queste persone si irritino o si crei in loro apprensione, inquietudine, insicurezza, aggressività, che con facilità trasmettono all’altro coniuge e ai figli.
Una madre, con un bambino affetto da autismo, confessava di essere la migliore cliente del pronto soccorso in quanto, per eventi che lei giudicava importanti, ma che obiettivamente non lo erano, quasi due – tre volte la settimana era nella sala d’attesa dell’ospedale per far controllare il figlio per problemi che solo la sua ansia patologica le faceva giudicare particolarmente gravi e importanti. Un colpo di tosse, un aumento della temperatura, un suo aspetto “strano”, bastavano per farla correre in ospedale.
L’ansia altera i comportamenti, impedisce o rende incoerenti le decisioni. Crea attorno a sé, nella casa e nei figli, un clima di allarme ingiustificato che innesca un circolo vizioso: ansia > malessere e ansia nel bambino > accentuazione dei disturbi su base ansiosa nel figlio > accentuazione della situazione di allarme nei genitori…
Nel caso che abbiamo riferito le immotivate paure creavano ansia incontrollata, alla quale il bambino reagiva con angoscia, fuga dalla realtà, sintomi di tipo psicotico e psicosomatico. Questi ultimi non facevano che aumentare l’ansia della donna, con conseguente richiesta di nuovi interventi medici i quali, a loro volta, traumatizzavano ulteriormente il bambino, causando un aggravamento della sua situazione fisica, ma soprattutto psichica.
In definitiva l’ansia non solo crea problemi dove non esistono, ma rende difficile anche affrontarli e risolverli correttamente e coerentemente.
Altrettanto problematica è la vita con quei soggetti che focalizzano le loro paure in uno o più oggetti appunto chiamati “fobici”. Gli oggetti fobici possono essere numerosissimi e possono cambiare con il passare degli anni. Gli insetti, i roditori, l’ascensore, gli spazi aperti, gli spazi chiusi, gli aerei, lo sporco, la scarsa presenza di persone o la loro eccessiva presenza, la sessualità ecc., possono causare un’ansia notevole, che limita la vita di queste persone e quella di chi li circonda.
Qualche anno fa venne alla nostra osservazione un bambino il quale aveva la strana abitudine di dormire nel balcone di casa sua. Questa decisione era la conseguenza di una intensa fobia per i ladri: ”Io ho terrore dei ladri, pertanto è meglio dormire nel balcone in modo tale che, se dei malintenzionati dovessero entrare in casa, posso sempre fuggire dal balcone in strada e chiedere aiuto.” Ma la cosa non è affatto strana se si pensa che anche la madre del bambino non era esente da paure. Questa confessò che anche lei aveva la stessa paura dei ladri, tanto che, tutte le sere, prima di andare a letto, aveva l’abitudine di guardare dentro gli armadi e sotto i letti per accertarsi che qualche malintenzionato non vi si nascondesse.
Le ansie, sia che abbiano un oggetto fobico o no, si trasmettono non solo per quella parte di ereditarietà sempre presente anche nei disturbi psicologici, ma soprattutto per il clima angoscioso e limitante che questi comportamenti creano nei minori.
Diverso anche se altrettanto grave è il discorso sulla depressione.
Se nella forma depressiva grave non si ha neanche la forza di chiedere aiuto, mentre si ha la sensazione di andare sempre di più verso il precipizio, anche quando questa patologia non si manifesta in modo grave, essa è capace di limitare notevolmente le possibilità relazionali, sia nei confronti del coniuge che dei figli.
Giacché la realtà interiore ed esterna viene avvertita in modo notevolmente alterato, il mondo del depresso è colorato a tinte fosche. Le ombre sono notevolmente più diffuse e ampie delle luci. Il pessimismo e la tristezza non riescono a far godere neanche gli eventi più lieti e deformano in modo sgradevole ogni realtà anche la più piacevole. L’apatia e l’astenia impediscono o rendono estremamente gravoso anche il minimo impegno. I sensi di colpa e d’indegnità lacerano l’anima di chi li prova. Pertanto questi pazienti avvertono la vita, gli altri, se stessi, il mondo, con nero pessimismo, chiusura e tristezza.
Com’è facile comprendere, questi genitori, immersi nel lutto e nella tristezza, non riescono a dare ai figli quella gioia, quell’apertura al mondo e agli altri indispensabile in ogni momento della vita ma soprattutto nella fase evolutiva. D’altra parte anche per il partner, stare accanto a una persona che vive ogni momento della sua giornata senza speranza, senza piacere, senza gioia, senza desideri, è estremamente doloroso.
Se, a volte, gli eventi depressivi hanno una causa nelle situazioni difficili, traumatiche o sgradevoli e luttuose della vita, altre volte queste patologie sono provocate dalle variazioni ormonali, dall’età o da altre condizioni organiche e genetiche. In tutti i casi però, se queste sintomatologie sono frequenti o perdurano nel tempo, le conseguenze negative sullo sviluppo psicologico dei minori sono rilevanti.
Quando Maria si presentò a noi per parlare del figlio Giovanni ci colpì il medaglione dorato che aveva al collo. Nel centro di quel medaglione spiccava la foto a colori di un bel giovane sorridente. Quel sorriso contrastava nettamente con il volto scavato e triste di quella donna dai lineamenti fini ma che sembrava prematuramente ingrigita e invecchiata. Ci parlò di Giovanni, il figlio più piccolo, delle sue paure e fobie: della scuola, dei rumori, dei pagliacci, della morte della madre. Paure e fobie che limitavano notevolmente la sua vita sociale e scolastica, tanto che da mesi rifiutava di andare a scuola. Quando le chiedemmo del medaglione, parlando del figlio perduto in giovane età, uno dei tanti giovani morti per incidente stradale, non riuscì a trattenere le lagrime. Ci parlò di come la sua vita, da quel giorno, fosse radicalmente cambiata: non più sorrisi, non più gioia, non più feste. Quell’evento l’aveva fatta rintanare nella casa, dalla quale non usciva se non per effettuare la spesa nei negozi vicini. Giovanni, nato dopo quell’evento e che portava lo stesso nome del figlio morto, era il frutto dei consigli dei familiari ma anche di alcuni medici che, vedendola in quello stato pietoso, le avevano suggerito di combattere la morte, e la conseguente depressione, regalandosi una nuova vita. Ma questa istintiva terapia non era servita a nulla e la donna da anni aveva rinunciato a combattere contro il lutto e la depressione che, con le sue ali nere, aveva coinvolto in maniera massiccia Giovanni fin dalla nascita.
Se si tiene presente che in prevalenza sono le donne che soffrono di depressione e se è vero che le cause della depressione reattiva nelle donne sono da ricercarsi soprattutto nei problemi legati all’ambito familiare e affettivo: solitudine, delusioni amorose, tradimenti, abbandoni, non vi è dubbio allora che la tanto sbandierata libertà sessuale rappresenta, in definitiva, un pesante fardello proprio per il sesso femminile.
Un altro tipo di patologia è rappresentato dalle sindromi di tipo ossessivo - compulsivo. Le persone affette da tali problematiche, per diminuire la loro ansia angosciante si sentono “costrette” a compiere ripetutamente, a volte fino allo sfinimento, una o più azioni fisiche o mentali, i “rituali ossessivi”. La vita di questi soggetti è notevolmente limitata da queste operazioni che devono effettuare, in quanto questi rituali, nel tempo, si fanno sempre più complessi, elaborati e lunghi.
La paura dello sporco li può portare, ad esempio, a lavarsi le mani continuamente, a sterilizzare la casa con una miriade di detersivi. La paura di disgrazie li può spingere a ripetere determinate formule mentali, o gesti scaramantici. Il non sopportare il minimo disordine, li costringe a sistemare con pignoleria ogni oggetto della casa, mentre non sopportano che altri possano spostare quanto da loro ordinato.
Non è difficile immaginare quanto sia penosa la vita di un minore affidato alle cure di questi genitori. Il bambino inevitabilmente sarà afflitto da continui rimbrotti per aver toccato, sporcato o spostato gli oggetti, oppure per aver eseguito o no determinate azioni. “Togliti i vestiti, lavati le mani, mettiti composto, non sporcare, non disordinare”, sono le continue rimostranze che questi bambini devono subire. Così come questi genitori si trovano in una situazione di costrizione interna da cui non riescono ad evadere, se non per brevi momenti, essi fanno altrettanto nei confronti dei figli, i quali sono costretti a vivere legati da mille divieti o obblighi in un clima di continue frustrazioni.
Altre volte i conflitti interiori si evidenziano mediante atteggiamenti irritanti, scontrosi o chiaramente aggressivi, che non tengono in alcun conto la sensibilità di chi vive vicino a queste persone. Le aggressioni sono il più delle volte verbali nelle donne, mentre nei maschi possono sfociare anche in violenze di tipo fisico, ma il risultato non cambia di molto in quanto, in ogni caso, a chi sta attorno a loro vengono imposte continue umiliazioni e sofferenze.
Per comprendere le conseguenze dei vissuti psicologici, bisogna tener presente che i sentimenti, sia positivi che negativi, tendono a generalizzarsi, ampliarsi ed allargarsi, sia nello spazio che nel tempo. Così come un sentimento di gioia, di amore o di fiducia si allarga ed espande anche a persone sconosciute, un sentimento di tristezza e di poca attenzione o di ansia, porta al risentimento e all’aggressività verso tutto e tutti. Lo stesso avviene per quanto riguarda il tempo. Se oggi, la mia fiducia negli altri è stata ben accetta, riconosciuta e ricompensata è facile che lo stesso avverrà domani e domani ancora. Al contrario, se i miei comportamenti sono stati frustrati e mi hanno portato disillusione e sofferenza, mi aspetto che la stessa cosa avvenga anche nel futuro.
Un buon equilibrio psichico è fondamentale in entrambi i genitori ma, se la donna può senza alcun problema per la prole avere una vita emotiva intensa e varia anche se non patologica, lo stesso non si può dire per l’uomo. Questi deve avere un’emotività più controllata e stabile, sia per poter svolgere correttamente il suo ruolo di guida uniforme e lineare, sia per permettere alla sua compagna di vivere con i figli un rapporto affettivo più tenero, delicato e coinvolgente, cosa che non sarebbe possibile se anche l’uomo avesse e vivesse con la stessa emotività realtà ed avvenimenti.
Atteggiamento altruistico e generoso.
Una qualità che non può mancare nelle persone che vogliono costruire una famiglia, e quindi nei genitori, è una propensione all’altruismo e alla generosità. Impegnare buona parte del proprio tempo e delle proprie energie nell’ascoltare, allevare, curare, assistere, aiutare e sostenere dei figli, presuppone grande disponibilità al dono di sé in favore di un altro.
Il darsi per l’altro comporta sacrifici e rinunce del proprio tempo, delle proprie personali aspirazioni e desideri. Queste rinunce potranno essere attuate facilmente solo se sono vissute con piacere e gioia, mentre al contrario, difficilmente ciò che viene avvertito come una sofferenza e perdita del sé, può essere offerto ad un altro.
Presupposti di una personalità generosa e altruista sono la maturità e serenità interiore. Il bambino tende a chiedere e a ricevere più che a dare, solo l’adulto maturo e sereno si sente pienamente gratificato e felice nel dare. Solo l’adulto maturo riesce a vivere con gioia il dono anche in situazioni molto difficili che, agli occhi delle persone egocentriche ed individualiste, sono viste come grandi, impossibili sacrifici. Altro presupposto di una personalità generosa e altruista è l’avere ricevuto, a loro volta, molto dai propri genitori. L’essere ricco di affetti prepara al dare. Chi ha ricevuto poco o male dal mondo affettivo difficilmente potrà dimostrarsi generoso nei confronti degli altri.
Le gravi carenze presenti nel mondo affettivo si ripercuoteranno inevitabilmente nelle generazioni successive creando una valanga di atteggiamenti negativi e sterili nei confronti della vita e dell’amore.
Ma vi è anche un’altra condizione che prepara all’altruismo ed al dono di sé ed è lo stile educativo. Vi è uno stile educativo che premia e gratifica il potere, l’efficienza, le capacità culturali ed intellettive, la grinta nell’affrontare gli altri e la vita, e vi è un o stile educativo che premia e gratifica le capacità di aprirsi agli altri e di donare, sopportare, accettare. Vi è uno stile educativo consumistico che spinge a chiedere per sé sempre di più e vi è uno stile educativo che insegna ad accontentarsi ed essere felici anche del poco. Vi è uno stile educativo che tende a gonfiare oltre misura il proprio Io, e vi è uno stile educativo che tende a valorizzare l’Io degli altri.
In una società nella quale predominano i valori del mondo economico vi è poco spazio per l’altruismo e per la generosità.
Per Fiorentino, nelle moderne civiltà occidentali “In primo piano vi è quello che ognuno guadagna, la gratificazione del sé, i danni e i fastidi che un bambino può dare. Il baricentro si è spostato sulla gratificazione e sulla conservazione, anziché in avanti, in rapporto ad un progetto di vita impegnato, personale o di coppia. L’atteggiamento consumistico è maggiore di quello di investimento in avanti, di rischio fiducioso. Le forze che governano ciò che si fa sono prevalentemente autocentrate, spesso difensive, anziché di dono a lungo respiro.”[6] Quando i giovani vanno incontro l’uno verso l’altro con le valigie vuote, le carenze affettive dell’infanzia e della giovinezza si ripercuotono con effetti disastrosi sul legame di coppia e familiare.
Buone capacità educative e di cura.
La cura non è un’emozione, non è un sentimento. Di questa parola si parla pochissimo, anzi oggi è quasi sconosciuta insieme all’altra parola negletta: “sacrificio”, tranne che nelle corsie dell’ospedale o negli ambulatori medici.
La cura è un impegno, è un lavoro, è un’attività rivolta verso l’altro.
Può comportare, anzi comporta sicuramente fatica e limitazioni notevoli, ma anche intensa gioia, piacere e gratificazione. Presuppone disponibilità e dedizione verso gli altri. Richiede costanza, continuità e pazienza.
Quest’argomento mi riporta alla mente alcune scene alle quali da bambino assistevo quasi giornalmente.
All’imbrunire, che era anche l’ora del nostro ritorno a casa, dopo aver scorrazzato per vie e cortili, improvvisamente iniziava la processione dei carri. Prima quelli piccoli, tirati dai cavalli, poi quelli più lenti ma grandi, con le loro alte ruote, che un po’ ci spaventavano, tirati da una pariglia di buoi e, sopra i carri, una montagna di fili d’erba e, sopra o accanto alla montagna verde, gli uomini, con i cappelli di paglia sotto i quali si intravedevano i volti stanchi, avvampati dal sole e dalla calura estiva. Carri da cui rubare con perizia e astuzia i teneri fili d’erba con i quali fare tremule e fragili zampogne dal buon sapore d’erba e di campagna. Carri sotto cui appendersi per dimostrare coraggio, bravura e agilità. Carri da odorare per avvertire il profumo dei prati e dell’erba appena tagliata.
Questa processione di carri saliva snodandosi, dapprima ben ordinata, nelle strade che portavano al paese e poi, come ad un cenno, si apriva e disordinatamente si sparpagliava tra le vie e i cortili che sembravano inghiottire in un attimo buoi, cavalli, carri, erba e cavalieri.
Anche noi bambini seguivamo la sorte dei carri. Come ad un cenno il gruppo compatto, numeroso e vociante che li aveva accolti all’entrata del paese, si divideva in tanti rivoletti che correvano dietro il carro del padre, del nonno o dello zio per poi scomparire nelle piccole case bianche, interessati ad assistere alla seconda parte dello spettacolo serale.
Gli animali, liberati dai finimenti, venivano puliti, strigliati e asciugati dal sudore e amorevolmente condotti nelle stalle a riposare, con una pacca sul sedere, che era quasi una carezza, un grazie ed un arrivederci.
Mentre cavalli, buoi e asini, mangiavano esausti una parte della stessa erba che avevano portato, già noi correvamo dietro i padri, i nonni e gli zii per pescare, nelle capaci tasche delle giacche, i regali che avevano portato per noi bambini: la prima arancia o mandarino della stagione da odorare prima che assaporare; un uccellino quasi implume da accarezzare nella notte; una preziosa piccola biscia nera con la quale far spaventare l’indomani le bambine più paurose.
E poi vi era il momento del silenzio. Le donne della casa: madri, moglie e figlie grandi, comparivano come dal nulla per imporci, con il silenzio, la massima compostezza per il nuovo rito che stava per iniziare.
Mentre gli uomini sedevano in cerchio nel povero soggiorno con le mattonelle rosse d’argilla, le donne, anche loro come noi in silenzio, dopo aver indossato grandi grembiuli bianchi, entravano nelle cucine come per una cerimonia misteriosa. Da quelle stanze fumose uscivano in fila indiana, dopo un tempo che ci si sembrava lungo, portando nelle mani o sulle braccia, come nella messa si portano i doni all’altare, bacili smaltati, panni bianchi di cotone, asciugamani e per finire grandi brocche dalle quali uscivano volute di fumo bianco.
Lentamente si accovacciavano davanti agli uomini e, delicatamente ma con sicurezza, ripetevano gesti fatti mille volte. Scioglievano legacci, slacciavano bottoni, tiravano via giacche, cavavano scarponi, stivali e calze imbrattati di terra nera, fino a far immergere i piedi neri anch’essi di terra, nelle bacinelle piene d’acqua calda. Qualche minuto di attesa e poi giù a insaponare e lavare quei piedi immobili per la stanchezza e poi a massaggiarli, delicatamente, come cercando di far rivivere un dito dopo l’altro. E dopo i piedi, le mani; e dopo le mani, per finire, il volto. E solo dopo i sorrisi, qualche carezza e un piccolo bacio di sfuggita. E poi le parole, poche parole per comunicare gli avvenimenti della giornata.
Anche per noi bambini, solo dopo quel rituale, era concesso di abbracciare i nostri padri, zii e nonni e ricevere da loro le carezze, le parole o i meritati rimproveri.
Una scena come questa, che si ripeteva tutte le sere, se fosse stata filmata sarebbe potuta servire a dimostrare, nelle assemblee femministe, la passiva, rassegnata schiavitù delle donne di una volta. Ma ad una condizione: non far vedere il volto di quelle donne che, inginocchiate, lavavano i piedi, le mani ed il viso dei loro uomini. Perché io li ricordo quei volti come fosse ieri. Erano volti sereni, fieri e austeri, tutt’altro che di schiave. C’era in quei visi la netta consapevolezza ed il bisogno che quel rito andasse fatto e andasse fatto proprio in quel modo. Senza nulla togliere o modificare. Non il silenzio, non l’acqua calda ed il sapone, non le ginocchia piegate per terra, non i panni bianchi per asciugare, non le mani delicate ad accarezzare e massaggiare quei piedi doloranti sporchi di terra.
Nulla poteva essere diverso, perché solo in quel modo poteva e doveva essere dimostrata la gratitudine per quei corpi e per quegli uomini martoriati dal sole, dal sudore e dalla fatica. Nulla di quelle cure poteva essere tolto a quegli uomini sfiniti che, ancora una volta, avevano provveduto al benessere della famiglia lavorando, piegati sulla terra arida, dall’alba al tramonto.
Sempre a proposito di cure, ricordo la rivolta delle donne di famiglia contro una di loro, la zia Nunziata, la quale, nelle cure rivolte al suo marito e uomo, a loro giudizio, esagerava e quindi le metteva in ombra. Verso di lei, le altre donne, provavano una sorta di invidia e gelosia che non mancavano di far notare.
Quando ormai, da anni, tutte le donne della nostra famiglia si erano liberate dalla fatica del pane fatto in casa e lo comprovano direttamente dal fornaio, lei era l’unica che ancora si alzava all’alba, si legava attorno ai capelli color del rame un fazzoletto e poi giù ad impastare chili e chili di farina che lavorava a lungo con molta acqua, lievito naturale ed un filo d’olio, utilizzando i suoi grandi pugni chiusi. Dopodiché accendeva il forno a legna e quando questo era ben caldo vi metteva a cuocere le pagnotte, una accanto all’altra come tante grasse sorelline.
Ore di lavoro, pur di far mangiare a suo marito il pane fragrante fatto in casa, che lui preferiva e che aveva sempre mangiato fin da bambino. Ma le attenzioni verso il fortunato marito non finivano qui. Lei era anche l’unica che si scottava le dita per spellare i peperoni appena arrostiti, per farli mangiare ben caldi e conditi con ottimo olio, al suo uomo, perché così lui li preferiva: sottili, caldi e immersi nell’olio d’oliva.
Ed era solo lei che a pranzo e a cena, dopo aver ringraziato il Signore con una breve preghiera, mangiava insieme allo sposo in un’unica grande scodella, perché aveva scoperto anche questo modo, per dimostrare il suo legame ed il suo amore.
Quali tipi di cura conosciamo?
Vi sono delle cure di tipo materiale, che possono ad esempio riguardare tutte le attenzioni che un marito o una moglie può avere nei confronti del coniuge e dei figli. Nell’era preindustriale, da parte dell’uomo, queste cure erano tese a proteggere e tutelare la salute fisica della donna e della prole, ed era pertanto un prendersi carico del benessere di tutta la famiglia. L’uomo con il suo lavoro costruiva la casa dove abitare, procurava il cibo, l’acqua e gli strumenti necessari per il lavoro, si attivava nei trasporti e nei commerci, si impegnava nella ricerca dei luoghi e delle strategie necessarie per garantire il massimo della sicurezza e dell’accoglienza, costruendo le opportune difese o direttamente offrendo la propria vita contro i nemici in battaglia.
A sua volta la donna offriva le sue cure provvedendo a rendere ogni angolo della casa accogliente, pulito e ordinato; preparava i cibi; utilizzava con maestria e arte le sue dita per filare la lana e tessere le stoffe, indispensabili per gli indumenti e gli arredi; si impegnava nella pulizia non solo del proprio corpo ma anche di quello del proprio uomo e dei propri figli.
A queste cure aggiungeva le sue attenzioni per sanare o contrastare le malattie e le infezioni con i rimedi che la scienza medica dell’epoca o la tradizione popolare metteva a disposizione.
Vi sono poi delle cure di tipo affettivo-relazionale.
Queste cure, utilizzando il dialogo, la presenza, l’ascolto, le coccole, le tenerezze, la sessualità, mirano a soddisfare le più profonde ed intime necessità psicologiche, stimolando anche la crescita affettiva. Nel mentre viene sviluppato un caldo ed intenso legame con l’altro, si mira a renderlo più sicuro, forte, sereno, in modo tale da allontanare o diminuire ansia, depressione, tensione, stress, turbamento.
Accanto alle cure di tipo materiale e affettivo vi sono quelle di tipo sociale. A queste cure dovrebbe dedicarsi ed impegnarsi soprattutto il padre. Questi ha il dovere di accompagnare e guidare il bambino nella conoscenza e nell’integrazione con il più vasto mondo sociale e politico. Sempre il padre, mediante l’impegno educativo stimola, sostiene e sviluppa la volontà, la determinazione, il coraggio e la lealtà dei figli e poi, con una serie di interventi rivolti a collegare i minori alla realtà esterna alla famiglia, egli li aiuta, prima a scoprire e poi ad inserirsi nella vita sociale e politica della città e della nazione.
Dando ai suoi figli sicurezza e offrendo loro le istanze morali fondamentali per la formazione di una coscienza etico – sociale il padre riesce a mediare con la società, per la famiglia, e soprattutto per i figli, il migliore rapporto possibile. Inoltre egli si adopera affinché vi sia un buon equilibrio tra mondo del lavoro, dell’economia e dei servizi e mondo affettivo relazionale, in modo tale che nessuna delle due realtà ne abbia a soffrire.
Quando, per qualunque motivo non c’è un padre, le conseguenze per i figli sono spesso gravi e numerose. Aumentano i rischi di atteggiamenti delinquenziali, si hanno maggiori problemi nell’apprendimento e nell’inserimento nel mondo del lavoro, maggiori difficoltà di integrazione, minore equilibrio psicofisico.
Vi sono delle cure di tipo spirituale e morale.
Questo tipo di attenzioni, altrettanto importanti, aiutano le nuove generazioni a scoprire nel proprio cuore e nel mondo, i valori etici e morali delle proprie azioni, ma anche la presenza divina che sottostà a questi valori.
E’ bene però tener presente che molto spesso anche le cure materiali hanno dei risvolti affettivi. Come quelle affettive, relazionali e spirituali hanno dei risvolti materiali. La pulizia, le cure mediche, l’assistenza nelle malattie, la prevenzione dei disturbi organici e dei disordini alimentari hanno dei notevoli risvolti affettivi.
Un letto pulito non è soltanto un letto igienicamente perfetto. In un letto pulito è piacevole lasciarsi andare al sonno ristoratore. Un letto sporco o disordinato, non è soltanto igienicamente non confacente allo scopo, ma è soprattutto un letto nel quale è sgradevole addormentarsi e quindi è un oggetto che comunica le scarse attenzioni che la donna ha nei confronti del figlio, del marito o della casa. Una camicia pulita non è soltanto un indumento privo di microbi da indossare; essa comunica anche l’amore, l’impegno, l’attenzione e la dedizione della persona che ha lavato e stirato l’indumento. Questo oggetto, toccato dalle sue mani, è portatore del suo calore, del suo amore, della sua attenzione, della sua fatica, del suo sacrificio gioioso. La consapevolezza di ciò rasserena, dà sicurezza e gioia, dà calore e amore, e spinge a contraccambiare con altro calore, con altro amore, con altre cure e attenzioni rivolte non solo al genitore o coniuge che ha fatto questo ma anche alla società e agli altri.
Si allarga e si diffonde l’amore e la cura come si allarga e si diffonde la freddezza, l’egoismo e l’individualismo.
Capiamo meglio quanto siano importanti le cure, in rapporto alle persone che le offrono, quando pensiamo a quei bambini che vengono ingiustamente accusati di fare i capricci se vogliono che sia la mamma a preparare la zuppa di latte la mattina e non la nonna o, peggio, un altro estraneo.
Questi bambini hanno fame e piangono e si disperano, ma chiedono insistentemente che una determinata cura venga effettuata da una certa persona e non da altre.
Questo non significa che il bambino non ha fiducia nelle capacità della nonna nel riscaldare il latte ma evidenzia il bisogno che ha il bambino che nel cibo vi sia quel valore aggiunto dato dalle mani e dall’attenzione di una figura particolarmente a lui cara: la madre.
Questo collegamento tra l’azione di cura e la persona che la attua è ancora più evidente nei bambini che presentano gravi problematiche psicoaffettive. Questi bambini, pur avendo buone capacità fini-motorie, spesso chiedono che siano determinate persone (più spesso la madre, a volte il padre, la nonna o la tata) ad aver cura di loro. Ed è solo da una determinata persona che vogliono essere vestiti, imboccati o puliti. Essi hanno ancora molta fame, hanno fame di carezze, fame di attenzioni e cure e cercano di soddisfare questa fame facendosi toccare solo da alcune persone “speciali”.
Tale comportamento non è poi così strano se pensiamo che anche noi adulti avvertiamo o ricordiamo come molto più buona e gustosa la crostata, la pizza o un’altra pietanza fatta con le mani di nostra madre o di nostra moglie, piuttosto che quella comprata al supermercato o in rosticceria.
Queste realtà psicologiche, così profondamente scolpite nel nostro cuore, conoscono bene i pubblicitari che cercano, in tutti i modi, di associare agli oggetti e agli alimenti da vendere, non le macchine che le hanno prodotte o gli anonimi operai che hanno collaborato alla loro fattura, ma famiglie e figure umane affettivamente rilevanti, che possono far ricordare o far sgorgare sentimenti positivi. E allora, se è la pasta o dei biscotti che vogliono vendere, metteranno una nonna o una madre, o una famiglia ricca di sorrisi, calore, dolcezza e disponibilità. Se vogliono vendere un’auto, a questa accosteranno un grande corridore o una bella ragazza sexy, con atteggiamento disponibile e sorridente. Se vogliono vendere un detersivo, metteranno per invogliare le massaie un bel giovane, meglio se con poteri super, che offra il detergente come un amante offrirebbe un mazzo di rose rosse.
Da quanto abbiamo detto si deduce che non è indifferente per il bambino, come per l’adulto, il legame che si stabilisce tra il cibo, gli oggetti e le attività di cura a lui offerti e la persona o le persone che li offrono.
Allo stesso modo non è indifferente per i genitori, il piacere ed il legame di attaccamento che si instaura in tal modo con il figlio. Se questo manca, se sono altre braccia a cullarlo, consolarlo, altre mani ad asciugare le sue lagrime, altri occhi a rispondere al suo sorriso, altri cuori a dialogare con lui, qualcosa di importante si spezza, qualcosa di importante si altera o non si costruisce.
Il bambino si ritrova in uno stato d’animo simile a quello di un automobilista che, per sua disavventura, scopre che la strada che sta percorrendo è a vicolo cieco. Questo sfortunato automobilista dapprima, incredulo, guarda il muro o la siepe che gli sta di fronte, poi sbalordito, impaurito, si guarda intorno e solo dopo, arrabbiato, stizzito ed incollerito gira l’auto in cerca di un’altra strada.
Di queste basilari realtà psicologiche non sembra tener conto il mondo dell’economia e dei servizi, quando cerca, sempre di più, di ampliare il mercato degli oggetti, strumenti e servizi, offerti alle donne e alle madri, ammantandoli come un aiuto ed un sostegno alla donna e alla famiglia.
Perché perdere tempo e fatica, perché bruciacchiarsi le dita e le mani per preparare e cucinare dei cibi se questi possono essere già acquistati precotti, o già pronti per essere riscaldati e serviti?
Perché utilizzare il proprio tempo per impastare, amalgamare, lavorare farina, zucchero, uova e altro quando le torte o i biscotti sono già impacchettati nelle loro luccicanti confezioni sigillate?
Perché accompagnare i figli a scuola quando vi è un efficiente servizio di pulmini appositamente organizzati per fare questo?
Perché seguire i propri figli a casa quando vi sono gli asili nido pronti a soddisfare i bisogni dei bambini piccoli?
Perché perdere tempo e mettere a dura prova la pazienza nel far fare i compiti scolastici ai figli più grandetti quando abbondano insegnanti e laureati in lettere o pedagogia che, per qualche euro, possono dare meglio di noi questo aiuto scolastico?
Il numero e la qualità delle offerte è sempre più alta. “Per liberare la donna delle incombenze più sgradevoli e faticose, in modo tale che possa dedicarsi completamente e pienamente ai figli” viene detto dai Mass media. In realtà sappiamo benissimo che il mondo economico si propone esplicitamente di eliminare o sostituire quasi completamente il lavoro di moglie e di madre, in modo tale che questa dedichi sempre più tempo ed energie al lavoro esterno alla famiglia.
Viene sottaciuto inoltre quanto questa “liberazione” costi in termini di gratificazione, piacere e gioia, per i figli, per il marito, per la società e per la donna stessa.
Non viene detto che in realtà si sta attuando, nei confronti delle future generazioni, una chiara espropriazione della figura più importante per la loro crescita psicoaffettiva: la madre.
Viene sottaciuto che a questa donna sarà tolto, forse per sempre, il piacere e la gratificazione più importante e bella che avrebbe potuto avere nel sentirsi pienamente capace e integrata in un ruolo insostituibile.
Non viene comunicato che una persona che non cura sufficientemente l’altro non potrà mai con quest’ultimo avere un valido legame, come non sarà mai da questo amata e rispettata, che anzi verso quella persona nascerà livore, aggressività e risentimento. Sentimenti questi capaci di soffocare un amore nascente e di impedire la formazione o di distruggere per sempre, ogni futuro o preesistente profondo legame.
Non viene detto che quella donna perderà per sempre la sua immagine speciale nel cuore dei figli e del marito, per diventare, ai loro occhi, uno dei tanti ingranaggi presenti nella società atto a produrre ricchezza e denaro.
Età fisiologicamente adeguata.
Si può avere un bambino anche se non si è adulti, ad un’età molto giovane, però sappiamo che la maturità biologica rende più favorevole per la donna portare aventi la gravidanza ed il parto, mentre nel contempo la maturità psicologica risulta indispensabile per affrontare adeguatamente l’educazione e la cura del bambino.[7]
Sul versante opposto non è una madre adeguata, una donna troppo in là con gli anni,[8] per possibili patologie cromosomiche,[9] perché il suo corpo, non più giovane, non sempre è perfettamente in grado di portare avanti una gravidanza senza l’aiuto di sussidi medici e, soprattutto, perché l’età più avanzata rende l’essere umano, uomo o donna che sia, emotivamente più fragile, meno elastico, depresso e insicuro, mentre invece un bambino ha bisogno per molti anni di avere, accanto a sé, dei genitori psicologicamente gioiosi, forti, sereni e sani, che sappiano crescere insieme a lui.
Per quanto riguarda l’uomo non è importante la giovane maturità biologica ma la scarsa maturità psichica e le sue capacità lavorative. Le responsabilità che egli si deve assumere richiedono una buona maturazione personale e sociale, sia per mantenere la famiglia, sia per dare il giusto grado di sicurezza e stabilità al nucleo familiare.
Purtroppo l’età della prima gravidanza è sempre più alta e i motivi sono numerosi.
Gli anni di studio, obbligatori per uomini e donne, sono in aumento in quanto si vuole una preparazione di base maggiore e più ricca che in passato.[10]Anche gli anni di studio facoltativi sono in aumento. Molte famiglie possono oggi permettersi di far frequentare ai propri figli l’università per conseguire la laurea e poi la specializzazione. Sono inoltre in aumento il numero e gli anni trascorsi da fuori corso all’università.[11]
Molti, in seguito, decidono di continuare il loro periodo di studi con il master e con altri corsi sussidiari. A questi bisogna aggiungere gli anni in attesa di un lavoro e di un lavoro stabile.
L’indipendenza economica arriva sempre più tardi anche perché la società dei consumi, per ottenere la serenità economica necessaria ad affrontare il matrimonio, propone e richiede degli introiti sempre più alti. Non essendo considerato sufficiente lo stipendio di uno solo dei coniugi, le coppie aspettano che anche l’altro finisca gli studi ed abbia uno stipendio adeguato.
A volte l’attesa è causata dal diverso luogo di lavoro. Come sposarsi se lui lavora in una ditta di Milano e lei ha trovato impiego alle poste di Palermo?
Un doppio stipendio, anche se uno potrebbe essere sufficiente, viene oggi richiesto anche perché rappresenta una forma di assicurazione nel caso, molto frequente, di divorzio o separazione. “Se lei/lui ha già il suo stipendio non la/lo devo mantenere io”.
Vi sono poi una serie di motivi legati al difficile e conflittuale rapporto che si è creato tra uomini e donne che tende a peggiorare con gli anni. Soprattutto gli uomini ma anche le donne, sono sempre più dubbiosi e perplessi nell’affrontare il matrimonio in quanto questo istituto viene visto non più avvolto, come in passato, da leggiadre nuvole rosa ma, al contrario, lo avvertono sconvolto da minacciosi neri nuvoloni, presagio di futuri temporali con annessi fulmini e tuoni.
Alcune donne infine vengono sollecitate ad essere madri ad un’età in cui sarebbe più fisiologico essere nonne, da istituti per la fecondazione artificiale che si attivano pensando ai notevoli apporti economici e al desiderio egoistico della madre, senza tenere nel dovuto conto i bisogni del bambino e della società.
Per quanto riguarda i padri attempati,[12] dal punto di vista educativo e psicologico questi hanno gli stessi handicap delle madri in avanti con gli anni. I papà maturi hanno meno forza fisica e psicologica, meno energie da spendere dal punto di vista educativo, per non parlare della paura che avvertono i bambini di perdere presto i genitori avanti negli anni.
Sia per le madri che per i padri attempati, essendo sempre più lontane le distanze rispetto alla generazione dei figli, si possono accentuare il distacco e l’incomprensione.
Purtroppo, i padri italiani sono i più attempati del mondo.[13]
Tratto dal libro: "Mondo affettivo e mondo economico" Di Emidio Tribulato
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[1] B. GATES, Alla velocità del pensiero, Mondadori, Milano, 1999, p. 190.
[2] J. STEFANI, “Donne al timone”, in Psicologia contemporanea, 2006, 195, p.15.
[3] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, p.115.
[4] D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, p.7
[5] E. TRIBULATO, L’educazione negata, p.176-177.
[6] L. FIORENTINO, “Occuparsene? Solo se è povera e lo Stato liquida la famiglia”, in Rezzana notizie, 1997, 6, p. 1.
[7] E’la Gran Bretagna che, nell’Europa occidentale ha il più alto numero di bambini nati da adolescenti. Nel1997 in Inghilterra i bambini concepiti dalle adolescenti sono stati 90.000. Solo tre quinti di questi sono stati dati alla luce (56.000). Il 90% di essi erano figli di ragazze non sposate.
[8] L’età media alla nascita del primo figlio è passata da 24,7 anni del 1975 – 1976 ai 28,7 anni del 2001. Dati Istat – “Avere un figlio in Italia”, 32, 2006.
[9] Da una recente ricerca americana condotta dal prof. Nagy, le donne che aspettano di diventare madri oltre i trent’anni rischiano oltre alla sindrome di Down anche di avere figlie sterili. Sembra infatti che il danno genetico presente nelle madri attempate, possa essere ereditato dalle figlie.
[10] Attualmente gli anni di studio obbligatori sono dieci.
[11] Se la durata teorica dei corsi di laurea è di 4-6 anni, la durata reale è di 7,3 anni in media. Gli studenti fuori corso rappresentano il 38,6% della popolazione universitaria, mentre i fuori corso tra i laureati costituiscono l’88,4%.
[12] Mentre in quasi tutta Europa la maggioranza dei giovani a 25 anni ha già lasciato la casa dei genitori, in Italia, nella classe d’età tra i 25 e i 29 anni, la grande maggioranza coabita ancora con mamma e papà. Fonte: Istat comunicato stampa del 2005.
[13] L’età mediana al primo figlio per gli uomini nati nella prima metà degli anni ’60 supera i 33 anni ed è aumentata di circa 3,5 anni, rispetto ai nati all’inizio degli anni ’50. Fonte: Istat, comunicato stampa del 2005.