L'evoluzione nel tempo dei racconti

L'evoluzione nel tempo dei racconti

Quanto i bambini sono aiutati con interventi che riescono ad apportar loro un maggior benessere psichico, ad esempio quando si riesce a modificare il loro ambiente di vita in modo tale da renderlo più attento e vicino ai loro bisogni o anche quando si effettua una psicoterapia individuale, familiare o di coppia, questi minori molto disturbati riescono a recuperare una buona efficienza a livello emotivo e quindi mentale. Ciò permette loro di controllare e coordinare molto meglio i pensieri e le idee. All’opposto, quando per motivi vari l’ambiente di vita dei minori peggiora o quando sono costretti a subire traumi o stress eccessivi, le parole e le frasi dei loro racconti e le immagini presenti nei disegni da loro eseguiti, evidenziano in maniera evidente un peggioramento della loro condizione psicologica.

In definitiva possiamo avere nel tempo dei miglioramenti o dei peggioramenti anche notevoli, che si riflettono nei loro racconti e nei loro disegni. 

Alberto – Primo racconto

Un esempio di miglioramento nella condizione psichica l’abbiamo in Alberto, un bambino di sette anni con sindrome di Asperger.

Un cavallo di nome Ferrari

C’era una volta un cow- boy che voleva un bel cavallo. Il venditore aveva un cavallo omaggio e gli piaceva: era suo. Lo vide e lo prese. Era un cavallo rosso, di nome Ferrari. Decise di partecipare a una gara di equitazione e partecipò. Partì e vinse. E tutti furono felici e scoppiò una pioggia di asciugamani e il cavallo fece un balletto. 

Alberto – Secondo racconto

Un altro racconto poco coerente dello stesso bambino:

Pinocchio e il mal di pancia

C’era Pinocchio che è salito sull’albero, ha raccolto altre mele con un cestino. Le ha mangiate, è scoppiato e non era più il figlio di Geppetto; era arrabbiato e l’ha buttato via. Pinocchio era triste perché dormiva fuori della sua casa, da solo. Il giorno dopo Geppetto gli diede da mangiare. La pancia di Pinocchio era quanto un pallone; ha avuto mal di pancia. Voleva il bagno. 

Alberto – Terzo racconto

Tuttavia, lo stesso bambino, in un periodo nel quale la sua condizione psicologica era migliorata e, pertanto, era più sereno e rilassato, anche perché era appena ritornato dalle vacanze estive, dettò questo racconto, molto più lineare e coerente.

Marco e il suo primo giorno di scuola

C’era una volta un bambino che si chiamava Marco. Era il suo primo giorno di scuola. Per prima iniziò la matematica. Era intelligente, buono e sapeva le tabelline. Ha mandato un messaggio al suo amico Luigi per dirgli: “Le vacanze sono finite”. La maestra stava per iniziare la matematica. Come si faceva il 120. “Semplice” dice Marco, “1 centinaio, 2 decine e 0 unità”. Marco era super felice di aver meritato quel nove. L’ha detto alla mamma e a papà e tutti l’abbracciarono e gli dissero: “Sei stato bravissimo”.

 

Le capacità nella comunicazione e nel linguaggio sono strettamente connesse alla serenità interiore e quindi alla presenza o meno di ansie e paure. Un esempio di ciò l’abbiamo nei due racconti effettuati da Donato, un bambino di nove anni con sindrome di Asperger.

 

Donato circonda il suo pupazzo, al quale dà il nome di Apollo, di scarabocchi e di punti, non sappiamo se con l’intento di proteggerlo o colpirlo. Da notare che a questo pupazzo, molto semplice e povero, mancano le braccia, il che può indicarci la paura che aveva il bambino di incontrare gli altri e il mondo fuori di lui.[1]

 

 

Donato – Primo racconto

L’elefante e il pappagallo.

C’era una volta un elefante che era stato abbandonato da un ragazzo giovane. Era senza genitori e decise di andare da un padrone che non c’era. Si chiamava Bernardo. “Questa casa è davvero in disordine” pensò il piccolo elefante. Bernardo era a caccia, ma l’elefantino non lo sapeva; va a vedere e camminava e non lo trova. Torna e non lo trova. “Chissà dove sarà? È a caccia. È meglio che bisognerebbe tornare” disse l’elefantino. I genitori non c’erano. L’elefantino va di nuovo per tutta la città, ma non trova nessuno. Torna a casa, aspetta, aspetta, ma Bernardo non torna. L’elefantino si sta annoiando. Sente l’orologio ma Bernardo non torna. “Quanto ci metterà?”. Va di nuovo a controllare per tutta la città. Va dove vendono gli elefanti e gli chiedono se vuole essere comprato per fare la pelle di tamburo.

Elefantino: ‹‹Non c’è mio padre?››.

Venditore: ‹‹Dov’è?››.

Elefantino: ‹‹Non saprei!››.

Venditore: ‹‹Allora devi essere venduto perché non hai i genitori; sarai costretto…››.

Elefantino: ‹‹Quando tornerò a casa?››. (Vuole tornare, poverino!).

Mentre aspetta, un pappagallo gli chiede: ‹‹Perché sei qui?››.

Elefantino: ‹‹I miei mi volevano vendere››.

Pappagallo: ‹‹Sono intelligente››.

Elefantino: ‹‹Perché?››.

Pappagallo: ‹‹Perché ti devono vendere››.

Elefantino: ‹‹Voglio andare via, non mi piace››.

Pappagallo: ‹‹È bello››.

Elefantino: ‹‹No, chiudi il becco, brutto pappagallo, se no ti frusto; te l’ho detto un miliardo di volte! Vuoi stare zitto?››.

Pappagallo: ‹‹Non posso››.

Elefantino: ‹‹Posso uscire?››.

Pappagallo: ‹‹Devi andare lì. Se vuoi andare via, chiedi al giudice. Ti dobbiamo addestrare››.

Elefantino: ‹‹Quando torno a casa?››.

Pappagallo: ‹‹Mai più, perché c’è una sbarra››.

Elefantino: ‹‹Ma mi aspetta mio padre!››.

Pappagallo: ‹‹Perché non lo hai detto prima? Dobbiamo addestrarti e portarti allo zoo››.

Elefantino: ‹‹Che significa?››.

Pappagallo: ‹‹Ti dobbiamo frustare e mandare al circo. Ma visto che sei un elefante, perché sei qui? Non puoi scappare. Manette e via per sempre. Ti tapperemo la bocca, così non potrai più parlare››.

Elefantino: ‹‹Voglio andare via, testa di rapa! Perché non posso andare?››,

Pappagallo: ‹‹C’è il segnale››.

Elefantino: ‹‹Non c’è. Quanto vorrei tornare a casa! Cosa faremo?››,

Pappagallo: ‹‹Non ti faremo mangiare e visto che sei un brutto elefante, dovremo addestrarti››,

Elefantino: ‹‹Che farò? Devo tornare a casa, devo bere››.

Pappagallo: ‹‹Allora bevi la minestra››.

Elefantino: ‹‹Non bevo la minestra››.

Pappagallo: ‹‹E acqua?››.

Elefantino: ‹‹È il mio cibo preferito››.

Pappagallo: ‹‹Non è un cibo, è bevanda››.

Elefantino: ‹‹Perché non c’è gente?››.

Pappagallo: ‹‹Sono stati portati via e questa è la tragedia››.

Elefantino: ‹‹Quando tornerò?››.

Pappagallo: ‹‹Tutta la gente e i bambini sono andati via››.

Elefantino: ‹‹Perché?››.

Pappagallo: ‹‹Se lo chiedi alla polizia lo saprai. Sai cosa c’è qui? Accalappia animali e tu lì verrai spedito. È vero, non scherziamo. Non possiamo scherzare. Se vorrai andrai in prigione. Lì c’è un uomo, e la polizia che ha le manette per arrestarti. Fai meglio a nasconderti. Gravi conseguenze››.

Elefantino: ‹‹Che faremo?››.

Pappagallo: ‹‹Scappa. Dovrai aspettare che ti arresta››.

Il racconto continua ancora a lungo ma con le stesse caratteristiche.

 Come si può ben vedere da questo racconto, quando l’ansia era notevole il linguaggio del bambino appariva spezzato, frenetico, confuso e molto ripetitivo.

 

Donato – Secondo racconto

Diversa appare, invece, la struttura del racconto un anno dopo, quando la condizione psicologica di Donato era nettamente migliorata. La tematica che il bambino sviluppa è molto truce e carica di paure e aggressività. Sono ancora presenti alcune ripetizioni ma il miglioramento globale delle sue condizioni psichiche gli permette di organizzare una narrazione molto più agile, comprensibile, coerente e lineare.

Il fantasma spaventoso

C’era una volta un fantasma che era molto spaventoso e ogni notte veniva a spaventare le persone Queste persone non riuscivano a dormire e facevano brutti incubi. Loro pensano a cosa bisogna fare con questo fantasma: bisogna ucciderlo o mandarlo via? Poi la mattina le persone vanno a parlare col giudice e gli chiedono di far stare lontano il fantasma e far stare tranquille le persone. E lui dice: ‹‹Va bene, lo manderò via e così non tornerà mai più››. E finalmente le persone potranno dormire in santa pace. Però il postino suona una notte e dice che questo fantasma non se ne andrà più via. Un giorno sentono gli scricchiolii; poi sentono il fruscio del vento e sentono molti temporali. A un certo punto il fantasma arriva e va sopra le scale e le persone sentono dei passi e si spaventano e si nascondono sotto il letto in preda al terrore. Allora il fantasma bussa e le persone tremano dalla paura. Lui entra e fa una risata molto spaventosa. Poi lui sente i rumori sotto il letto, arriva e apre la porta e prende le persone per il collo e le fa soffocare. Poi li porta via, prende un coltello con la sua mano e lo infilza dentro la testa delle persone.

Poi attacca sul muro le teste con i chiodi e un martello. Dopo un po’ il fantasma se ne va nel villaggio per spaventare altre persone. Poi bussa alla porta e vede che non c’è nessuno, allora se ne va e vede qualcuno avvicinarsi, come un’ombra scura e si spaventa, ma non c’è più tempo di scappare e allora il fantasma, in preda al terrore, cerca di scappare, ma ha le gambe deboli e non riesce a scappare. L’ombra si avvicina, lo prende con lui e lo porta a casa sua e lo chiude in un baule con un lucchetto. Poi il fantasma non riesce più a liberarsi, ma vuole uscire perché sta soffocando, perché dentro il baule non si respira. E allora riesce a liberarsi e va a casa di quel diavolo e mette un coltello dentro una lettera con una scritta. Poi se ne va e ritorna a casa sua, ma non riesce ad aprire la porta, perché è chiusa. A un certo punto inizia una tempesta con temporali e fulmini che distruggono alberi, che poi vengono infuocati, ma non riesce più ad entrare e non sa più cosa fare. Sbatte cento volte la porta ma non riesce ad aprire. Poi però gli viene l’idea di sfondare il vetro, così potrà entrare dentro la casa. Poi va a dormire, però vede qualcuno in lontananza dalla finestra, allora si nasconde sotto il letto, perché potrebbe anche essere una creatura mostruosa. Allora lui sigilla tutte le finestre e chiude tutte le tapparelle con un lucchetto, per non farlo entrare. Mette i chiodi e poi sigilla tutto con un martello. Adesso è al sicuro. Poi il mostro ribussa, però non riesce a entrare. Poi se ne va dopo un po’ e dice: ‹‹Per fortuna che se n’è andato››. Poi va a dormire. Poi la mattina fa colazione e si accorge di qualcosa che non c’è più: le sue teste sono scomparse. Allora corre subito a vedere dove sono, ma non le trova. Allora fa colazione e poi va da qualche parte.

 

Lo stesso percorso di miglioramento nella gestione delle idee e dei pensieri, per cui il bambino passa da una situazione mentale gravemente deficitaria a un’altra, nella quale gli è possibile ordinare le idee in maniera più lineare e coerente, lo ritroviamo in Francesco, un altro minore con disturbo dello spettro autistico.

Inizialmente, quando il suo mondo interiore era gravemente disturbato, le sue capacità di organizzare i pensieri erano minime.[2]

Francesco – Primo racconto

Paolone e

quello

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

un tanto giorno

di fa pensavo z

che qualcuno come noi

chiamavanoo’ il

loro mondo

polo sei un

brutto e di male

un fannullone

un imbroglione

un bruttissimo

codardo d’

imbranato

impastore.

Commedia

Teadraleritornell

O scrittura.

In un periodo successivo, con il miglioramento dei suoi vissuti interiori, le frasi diventarono meglio organizzate e strutturate, ma riportavano, senza molta immaginazione, alcuni episodi di film che vedeva e rivedeva spesso alla tv.

Francesco – Secondo racconto

Pina, la nonna di Cappuccetto Rosso

C’ERA UNA VOLTA CAPPUCCETTO ROSSO CHE

VENDEVA LA FRUTTA NEL BOSCO DOVE C’ERA LA SUA

NONNA DI NOME PINA.

TOTO’ ERA UN PRINCPE E SUO PADRE ERA UN DUCA

POI PAOLO VILLAGGIO NON RIUSCIVA A USCIRE DALLO

SPORTELLO MA USCIVA DAL COFANO.

ANDO’ IN UFFICIO PER ENTRARE E FARE LE SUE

FACCENDE E POI HA VISTO SUPERMAN E SI E’TRASFORMATO IB SUPERMAN.

POI VEDE CHE C’E’ UN ORSO IN ASCENDORE E SI SPAVENTA POI L’ORSO LO PRENDE CON TUTTA LA FORZA SI CHIUDE L’ASCENSORE E GLI STRAPPAI VESTITI E POI ESCE CON I VESTITI TUTTI QUANTI STRAPPATI

 

Lo stesso bambino, tre anni dopo, in un periodo nel quale il suo mondo interiore aveva acquisito una maggiore serenità, riusciva a costruire racconti come questo:

Francesco – Terzo racconto

Desiderio di una casa

Io ero vicino e mentre sentii quel fischio, quel suono che veniva da lontano, che sembrava che qualcuno mi chiamasse, girai la testa ma non lo vidi, allora cercai la casa e la trovai; e volevo entrare ma in mezzo c’era un tronco grandissimo di albero, tutto pieno di neve. Cercai di levarlo con tutta la mia forza, ma non ci riuscii, allora presi un albero piccolo, ma un pochino altino. Cercai di togliere l’albero ma era troppo faticoso, così gettai quell’albero e mi avvicinai un’altra volta per toglierlo con tutta la mia forza, ma questa volta ci stavo quasi riuscendo, mentre inizialmente non ci stavo riuscendo. Poi ci riuscii ma stavo cadendo giù. Mi tenni e mi stava arrivando qualcosa sulla testa; mi spostai e mi arrivò di colpo; lo tenni fermo perché mi stava quasi prendendo nel sedere. Ma poi lo tenni fermo, vidi che sotto c’era un burrone e lo gettai e poi salii, vidi che era chiuso e lo aprii e vidi che era caduta pure la sporcizia dal letto. Vidi anche un po’ di disordine, così feci un salto in mezzo alla sporcizia. Vidi qualcosa per pulire tutto e passai la spazzola. Dopo, quando finii, mi accorsi che era una spazzola; andai e la posai e mi venne fame.

 

Riccardo

Riccardo, un bambino di sette anni che presentava disturbo dello spettro autistico, durante il periodo di maggiore gravità, i i suoi racconti non solo erano molto scuciti, poco logici e scarsamente lineari ma tendeva ad utilizzare dei termini molto rudi e a volte volgari. 

Un mostro che faceva paura

C’era una volta un mostro che faceva paura e poi ci mangia.

Riccardo, un bambino con disturbi autistici, a commento di un suo incomprensibile disegno (figura 55), manifesta una delle sue paure. Questo bambino, come tutti i minori che soffrono di sintomi di autismo, quando questa sintomatologia era grave, si sentiva invaso da paure che non riusciva a comunicare verbalmente ai suoi genitori. Riuscì a fare ciò solo quando gli fu data la possibilità di disegnare e commentare i contenuti dei suoi disegni. Queste due attività diventarono nei suoi confronti degli ottimi strumenti terapeutici.

Due bambini mangiati da un mostro

C’era un mostro che ha mangiato due bambini e sono morti.

Questo secondo disegno di Riccardo è più comprensibile (figura 56), ma la paura è la stessa!

Due mamme

È un bambino che è nato con il corpo così e si chiama Memme e tifa per la Juventus. Gli manca una gamba. La mamma gioca con lui. Ha due mamme: una si chiama Cacca e una si chiama Memme.

La mamma ride davanti al figlio morto

Un bambino si è rotto due braccia e i piedi che sono piccoli. È senza compagni. La casa si è rotta. L’ambulanza lo porta all’ospedale. Il bambino si chiama Luca e fa la cacca addosso. Luca morì; era pazzo, lo portano al cimitero. Arriva la mamma e fa: “Ha! Ha! Ha! Ha!”. (ride), Arrivano i bambini piccoli per guardare Luca ed erano tristi perché avevano sangue che poteva uscire da lui.

Il mare si è rotto

C’era una volta il mare che si è rotto perché c’erano tanti pesci. C’era un bambino gigante che gli ha fatto male la medusa ed esce sangue. Il bambino piangeva, poi ha fatto la pipì addosso al mare. Poi andò sott’acqua, arrivò la balena e se lo mangiò. Nella bocca della balena il bambino stava male, perché la balena lo masticava. Poi l’ha sputato. Al bambino usciva sangue da tutto il corpo ed è morto.

Davide e il cane

È Davide che ha fatto il monello e un cane gli ha tirato un amo nell’occhio. Si è fatto male e gli è uscito tanto sangue. Aveva la pancia rotta. Sua mamma è morta e lui è contento e se ne è andato a ballare.

 

Solo dopo alcuni anni durante i quali si è cercato di migliorare il suo mondo interiore, i suoi racconti si modificarono gradualmente ma in maniera sostanziale, diventando più ottimistici, privi di paure e di angoscia.

Tre bambini

Il bambino disegna in modo molto schematico tre personaggi ai quali dà il nome di Matteo, Giovanni e Marco.

Alla domanda: ‹‹Cosa fanno queste persone?›› Così risponde:

‹‹Giocano, ridono, vanno a scuola dove studiano, poi vanno a casa e dormono. Fanno brutti sogni, sognano di mostri. Si spaventano. Chiamano la mamma e papà che riposano››.

Domanda: ‹‹Vanno nel letto di Papà e mamma?›› ‹‹No non ci vanno. Papà e mamma gli fanno una carezzina. Il bambino è contento. La mattina sono contenti di andare a scuola. Vanno da soli a scuola. Bisticciano con i compagni. Sono monelli loro (i compagni). Lo raccontano a mamma e papà. I loro genitori mettono in punizione i compagnetti. Loro (si riferisce ai compagni) piangono››.

Pierino

‹‹C’era una volta un bambino che si chiamava Pierino che era buono e intelligente. Giocava a palla con i suoi amici, poi giocavano a nascondino: Pierino e il lupo. Un giorno giocava e mentre giocava andava a scuola. Studiava e andava a casa. A casa c’era sua mamma, suo papà, i suoi fratelli e basta. Sua mamma era buona e papà era buono e pure i fratelli che gli davano i bacetti. Poi giocava a nascondino. A casa mangiava, dormiva e faceva bei sogni››.

**

‹‹C’era una volta un bambino che si chiamava Luigi. Che aveva quattro anni e che giocava al pallone con gli altri compagni. Poi si è fatto male al ginocchio, si era graffiato, e poi gli è passato. Poi Luigi ha giocato con lo scivolo e con l’altalena con gli altri bambini che avevano uno cinque anni e si chiamava Marco e l’altro non lo so. Questi bambini erano buoni e giocavano tutti insieme, Un giorno hanno organizzato di giocare a nascondino e vinse Luigi che è buono, anche se gli altri si sono seccati. I genitori di Luigi erano buoni, bravi e gli volevano bene››.

 


[1] Crotti E. Magni A. (2006), Come interpretare gli scarabocchi, Milano Edizioni Red, p. 75.

[2] In questi tre racconti abbiamo cercato di mantenere la stessa grandezza dei caratteri usati dal bambino e la stessa impostazione presente nella pagina.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

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