La scuola nei racconti dei bambini

La scuola nei racconti dei bambini

Non vi è alcun dubbio sulla utilità della scuola, per le funzioni che questa benemerita istituzione esplica nella crescita culturale, educativa, formativa e socializzante dei minori. Avere un luogo specifico, con del personale appositamente preparato per svolgere tutti questi importanti compiti è essenziale nelle nostre moderne società.

 Tuttavia, non tutti i minori riescono a vivere bene la realtà scolastica. Spesso i bambini che presentano delle disabilità, difficoltà nell’apprendimento o delle peculiarità fisiche o psichiche sono irrisi, esclusi ed emarginati dal gruppo classe o, ancor peggio, sono attuati nei loro confronti comportamenti di ostracismo e bullismo.

Per quanto riguarda poi i bambini che presentano problematiche psicologiche con ansia, paure, irritabilità, instabilità, chiusura, disturbi del comportamento, questi hanno notevoli difficoltà ad accettare gli orari, il ritmo, le norme e le regole presenti nell’ambiente scolastico.

 

 

 

In questo disegno di Gabriella, che è anche un racconto, la bambina manifesta la sua insofferenza e il rifiuto per la scuola: “Non voglio andare a scuola” dice la bambina alla mamma. Quest’ultima ribatte quasi in modo automatico: “Ma ci devi andare”. In queste due battute è sintetizzato il frequente scontro che avviene tra i bambini che, per motivi vari, soffrono nel frequentare questa istituzione e vorrebbero sfuggire all’obbligo istituzionale.  

Da notare nel disegno le finestre della scuola, chiuse come da inferriate, per indicare che per la bambina la scuola è come un carcere, dal quale è difficile evadere. Anche nei due personaggi si possono evidenziare dei particolari rivelatori: sul viso della bambina che non vuole andare a scuola vi è una traccia di colore rosso per indicare la sua rabbia, mentre sulle sue spalle sono presenti due macchie nere, ad indicare la presenza della costrizione materna. La madre, dal canto suo, ha un’evidente espressione perplessa. Come se si interrogasse: “Perché questa mia figlia rifiuta di andare a scuola?” Ma anche: “Cosa posso fare io per convincerla?”

 

A scuola bisogna impegnarsi

C’era una volta un bambino che andava a scuola, ed era arrabbiato perché non prendeva buoni voti, poi si è messo d’impegno e ha avuto buoni voti, così la madre era contenta. Un giorno qualcuno lo prendeva in giro, perché studiava e il bambino ha cercato di fargli capire che lo studio era più importante che prendere in giro. Poi quel ragazzo ha capito quello che gli voleva dire e non l’ha preso più in giro.

 Francesco, un ragazzino di dieci anni che presentava ritardo mentale di tipo lieve, con conseguenti difficoltà nell’apprendimento delle materie curriculari e nell’integrazione con i compagni di classe, manifesta in questo racconto sia la sua rabbia per le difficoltà incontrate nelle attività scolastiche (C’era una volta un bambino che andava a scuola ed era arrabbiato perché non prendeva buoni voti), sia le sue difficoltà nell’integrarsi con i coetanei.

Questi ultimi, se in un primo tempo lo prendevano in giro perché non era in grado di seguire i programmi scolastici, in un periodo successivo, piuttosto che esprimere la loro ammirazione per l’impegno che il loro compagno metteva nello studio, lo beffeggiavano per la sua eccessiva diligenza (Un giorno qualcuno lo prendeva in giro perché studiava).

Un’ultima notazione riguarda i rapporti tra i genitori e la scuola. In molti bambini con problemi psicologici o ritardo mentale, il fare di tutto per prendere buoni voti è finalizzato a far contenti i propri genitori. Nel caso di Francesco, è alla propria madre che il bambino vuole far piacere (poi si è messo d’impegno e ha avuto buoni voti, così la madre era contenta).

 

 

Una nota di demerito

Io stavo andando a scuola, e, con il mio compagno Cristian, stavamo studiando. La maestra ha rimproverato Cristian, perché si era portato le figurine e gli hanno fatto una nota.

Io e Cristian abbiamo fatto un disegno e poi siamo usciti, e la maestra ha parlato con la mamma di Cristian e di Dennis.

Danilo invece ricorda la nota di demerito assegnata dalla maestra al suo compagno Cristian, per aver portato a scuola delle figurine. Forse avrebbe dovuto dire, in modo più sincero, che la maestra aveva messo la nota di demerito per aver visto Cristian trastullarsi con le figurine!

 

Tutti gli stratagemmi per sfuggire alla scuola

C’era una volta un bambino che si chiamava Francesco; aveva una sorella e un fratello. Una volta è andato a scuola, ha cominciato a fare i compiti e si è annoiato. Allora si nascose e non andò più a scuola. Mamma e papà così, lo trascinarono a scuola mentre stava dormendo. Ma Francesco ha trovato una via di fuga al polo nord. Babbo natale lo riportò dai genitori e, quindi, di nuovo a scuola. Francesco allora pensa: “La vita è così”. Ma poi pensa: “Aspetta, posso farmi venire una malattia!”. (Anche questo espediente non funzionò per cui…) Francesco un giorno porta il suo computer a scuola, le maestre così lo hanno mandato all’asilo per punizione, (un luogo questo) dove si gioca, non si studia. Così Francesco è felice.

In questo gustoso racconto possiamo comprendere come, da alcuni bambini, la scuola sia vissuta come un luogo di noia e tormento, dal quale si cerca di sfuggire utilizzando ogni espediente: nascondendosi, fuggendo al polo nord oppure portando il proprio computer a scuola, per fare in modo che l’insegnante, come punizione, li retroceda, nella scuola materna, (dove si gioca, non si studia). 

La paura delle interrogazioni

C’era una volta un ragazzino di nome Carlo il quale, prima di essere interrogato, era molto spaventato perché temeva che il professore gli avrebbe messo due, se non avesse fatto bene. La mattina Carlo cercò in tutti i modi di non andare a scuola, fingendo di sentirsi male. Però non riuscì: doveva solo affrontare il professore. Quando lo chiamò alla lavagna, nessuno capiva perché lui scriveva tremolante. Appena il professore disse di disegnare un parallelogramma lui riuscì a farlo perfettamente.

Questo professore, di cui tutti avevano paura, era diventato amico perché appena finita la lezione lo portò fuori con lui, dicendogli di continuare così, con buona volontà. Il bambino passò alle classi superiori e fece notare a tutti di essere un piccolo, grande genio.

Ivan inserisce un altro tema sui rapporti tra gli alunni e la scuola: la paura delle interrogazioni. (C’era una volta un ragazzino il quale, prima di essere interrogato, era molto spaventato perché temeva che il professore gli avrebbe messo due se non avesse fatto bene). A questa paura spesso si collega l’ansia di prestazione (Quando lo chiamò alla lavagna, nessuno capiva perché lui scriveva tremolante). Anche questo ragazzino fa di tutto, fingendosi malato, per non entrare in classe (La mattina Carlo cercò in tutti i modi di non andare a scuola, fingendo di sentirsi male). Tuttavia, nonostante la paura delle interrogazioni, a questo bravo professore è bastato poco per far sentire Carlo a proprio agio (Questo professore, di cui tutti avevano paura, era diventato amico perché appena finita la lezione lo portò fuori con lui dicendogli di continuare così con buona volontà).

Da notare, nel disegno, la scritta tremolante alla lavagna e i colori scuri usati per l’alunno insicuro. E ciò allo scopo di far comprendere la tristezza e la paura presente in lui.

 

Un invito pressante per la madre

Cara mamma di Debora, ti comunico che a paura della sqcuola e gentirmente non parlare con le maeste domani non vuole andare a sqcuola.

Debora, di sette anni, che frequentava la seconda elementare, aveva scritto direttamente su un foglio, utilizzando grandi lettere maiuscole, la sua supplica nei confronti della madre, affinché questa potesse capire la sua paura della scuola. Come si può leggere, questa bambina non era molto brava nella scrittura! Per cui si può comprendere il motivo che spingeva la madre a portarla ogni giorno in classe, nonostante la figlia manifestasse la sua insofferenza per la scuola, lamentando sintomi somatici, come malessere generale, cefalea e vomito.

Tuttavia, in questi casi bisogna sempre chiedersi non se il bambino ha bisogno di imparare a leggere e scrivere bene, ma che cosa impedisce al bambino di imparare a leggere e scrivere bene. Non è la frequenza scolastica a tutti i costi che può risolvere i problemi d’apprendimento, ma un attento esame delle necessità del bambino. Nel caso di Debora, ad esempio, le sue capacità nell’apprendimento erano compromesse da numerosi problemi di natura psicologica: la bambina soffriva di intense paure, difficoltà relazionali con i coetanei e con il fratello, oltre che di disturbi del comportamento. Inoltre, era anche evidente lo scarso impegno dei genitori nel seguire la bambina nei compiti scolastici a casa, tanto che essi, troppo coinvolti e impegnati nel lavoro, avevano lasciato solo agli insegnanti il compito degli apprendimenti scolastici.

In questi casi è facile che si inneschi un circolo vizioso: i genitori trascurano la bambina sia affettivamente sia nel seguirla nelle attività scolastiche > la figlia va male a scuola > i suoi problemi psicologici aumentano > i genitori accentuano le loro pressioni perché non perda giorni di scuola > la sua sofferenza psicologica si aggrava > il rendimento scolastico peggiora.

 

 

 

 

 

 

Figura 118

Un viaggio per sfuggire alla scuola

C’era una volta un ragazzo che viveva ogni giorno allo stesso modo e non aveva molti divertimenti per passare il tempo e l’unica cosa che scandiva le sue giornate era lo studio e, ormai stanco di quel vivere, chiese ai suoi genitori un consiglio su come continuare. Loro gli risposero che studiare è noioso, ma serviva e che lui avrebbe dovuto continuare (a studiare) per ottenere qualcosa. Allora un giorno, dopo anni passati a scuola, passeggiando sulla spiaggia, decise che quello che doveva fare era intraprendere un viaggio. Allora, lasciando un biglietto ai suoi genitori, prese la barca del padre e iniziò a navigare, fin quando non fu felice di ciò che aveva fatto.

Alcuni genitori, troppo impegnati nel lavoro e nelle tante attività quotidiane, non hanno né voglia né tempo a disposizione per vivere con i loro figli dei momenti di gioia, svago e dialogo. Essi tendono a concentrare tutto il loro impegno educativo sul tema della scuola e dei compiti scolastici (un ragazzo che viveva ogni giorno allo stesso modo e non aveva molti divertimenti per passare il tempo e l’unica cosa che scandiva le sue giornate era lo studio).

In questi bambini, il bisogno di fuggire e di vivere una vita diversa e meno opprimente, che li allontani dai compiti e dallo stress delle interrogazioni, è frequente ed è anche comprensibile. Massimo, nel suo racconto, sogna di acquistare felicità e gioia abbandonando i noiosi compiti scolastici e navigando con la barca del padre (Allora, lasciando un biglietto ai suoi genitori, prese la barca del padre e iniziò a navigare, fin quando non fu felice di ciò che aveva fatto).

Molte volte si innesca un altro tipo di circolo vizioso altrettanto deleterio per il benessere del minore: il bambino non va bene a scuola > gli insegnanti pressano i genitori per far studiare maggiormente il figlio > questi lo impegnano nel fare i compiti per un numero maggiore di ore, limitando al massimo i momenti di gioco e svago > il bambino stressato non impara poiché l’attenzione e le capacità di memorizzazione diminuiscono > il suo rendimento scolastico peggiora > gli insegnanti sentono il dover di stimolare ancor più i genitori ad impegnare il bambino per un maggior tempo nei compiti scolastici. E così via. [1]

Quando queste problematiche sono poste alla nostra attenzione, invitiamo i genitori a fare esattamente il contrario di quello che normalmente viene consigliato. Raccomandiamo ai genitori di diminuire il tempo dedicato allo studio e di aumentare le ore di gioco libero all’aria aperta con i coetanei e i genitori stessi. I risultati che si ottengono, con l’apparentemente strano intervento che abbiamo descritto, stupiscono sia i genitori sia gli insegnanti.

 

Andare a scuola per evitare il carcere alla madre

C’era una volta un bambino di nome Francesco, di otto anni, che non voleva andare a scuola. Disse alla mamma che non voleva andare a scuola. La mamma gli disse che doveva andare per forza, che era obbligatorio, altrimenti arrivavano i carabinieri. Un giorno il bambino decise di non andare a scuola e andò a giocare con lo skateboard. Dopo cinque giorni, arrivarono i carabinieri. Quando il bambino tornò a casa la madre lo rimproverò, che non era andato a scuola. Quindi gli levò la playstation per una settimana. Il bambino allora il lunedì decise di andare a scuola, e lì lo rimproverò pure la maestra, quindi si mise a studiare.

Ritornò a casa, non aveva voglia di studiare. La madre decise di accompagnarlo con la macchina, per sapere dove andava, però dopo pochi giorni la macchina si è rotta. Il bambino andò di nuovo a scuola. Siccome non ci voleva andare decise di nuovo di infrangere le regole. Il meccanico era malato e non aggiustò la macchina (della madre). I carabinieri di nuovo, dopo cinque giorni, arrivarono a casa, perché li aveva chiamati la maestra. I carabinieri dissero alla madre che se fossero andati di nuovo l’avrebbero messa “dentro” (il carcere). Il bambino decise di nuovo di studiare di più, così la madre gli avrebbe ridato la play e non sarebbe finita “dentro” (il carcere).

È triste pensare che questo bambino si sia deciso ad andare a scuola solo per poter ritornare a giocare con la playstation ed evitare il carcere alla madre!



[1] Tribulato E. (2017), Il bambino e l’ambiente, Messina, Centro Studi Logos, P.119.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

 

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