Un lupo mannaro
C’era una volta un lupo mannaro che è andato nelle case delle persone e ogni giorno li spaventava. Era il cinque giugno e il lupo mannaro arriva a casa di qualcuno. Sale piano, piano le scale e poi ruba la persona e la porta via. La mattina le persone hanno parlato che una creatura mostruosa è entrata in casa di qualcuno e li ha disturbati. Hanno parlato con la polizia e hanno detto che rintracciavano questa creatura mostruosa e non devono preoccuparsi. Andarono a cercarla alle cinque di notte: vedono due occhi gialli e una felpa fatta di nero e poi dopo guardano e vedono che è sparito. Dicono tra sé: “Dov’è finito?”. Scendono le scale, guardano da tutte le parti, ma non lo trovano. Significa che è fuggito a rubare le altre persone. La polizia va a caccia del lupo mannaro e continua la ricerca. Arriva a un indirizzo (numero) 69, bussano, la persona dice che ha sentito una voce strana: “Hai una voce molto strana!” E lui risponde: “Perché ho preso le medicine. Entrano ed è una donna con i denti così aguzzi: “Hai il vestito sporco, tu non sei una donna!” Lo spogliano e vedono che è un lupo mannaro.
Il lupo mannaro entra nella casa di qualcuno e ruba cinque persone. La polizia sta arrivando, il lupo mannaro scappa via e si nasconde in un nascondiglio in una casa di qualcuno e chiude la porta a chiave, sigilla le finestre. La polizia batte la porta ma il lupo mannaro sa che è in pericolo e deve fuggire. È tardi, si nasconde sotto il letto, la polizia sfonda la porta, guarda da tutte le parti e vedono dei denti aguzzi, capiscono che è lui, lui fugge.
Donato, un bambino di dieci anni con sindrome di Asperger, costruisce questa storia del lupo mannaro che spaventa e rapisce le persone. Questo racconto rivela forse qualcuno dei suoi timori ma, essendo migliorato il suo mondo interiore, questa emozione possiede una carica di angoscia tanto modesta da permettergli di affrontarla mediante le parole. Questo modo di affrontare le paure somiglia molto a ciò che fanno spesso i bambini quando sono tra loro e raccontano di mostri e lupi mannari, per il gusto di provare un lieve brivido di timore e nient’altro.
Il racconto, tra l’altro, è ben strutturato, sono poche le ripetizioni e le alterazioni. Entrambi gli elementi ci fanno capire che il bambino, nel momento in cui ha dettato i suoi pensieri, si trovava in una situazione psichica certamente non grave.
Il cane e i ladri
C’era una volta un cane che si faceva la passeggiata ed era molto felice, ma si accorse che non era da solo e scesero da una macchina due persone che volevano rapirlo, pensando che era un cane randagio. Il povero cane diede un morso molto forte a uno dei due ladri. Poi si mise ad abbaiare e andarono in suo soccorso (altri cani) mordendo i due ladri alle braccia, ai piedi. Alla fine, il padrone vide i due ladri per terra e li portò dalla polizia e così il cane e i suoi vissero felici e contenti con il loro padrone.
Giulio, spesso vittima di irrisioni da parte dei suoi compagni di classe, si identifica con un cane che rischia di essere aggredito e rapito dai ladri, mentre passeggia felice per la sua strada (C’era una volta un cane che si faceva la passeggiata ed era molto felice ma si accorse che non era da solo e scesero da una macchina due persone che volevano rapirlo).
Le sue parole esprimono anche la nascosta aspirazione di saper reagire alle sopraffazioni, aggredendo a sua volta chi, senza alcun motivo, vuole fargli del male (Il povero cane diede un morso molto forte a uno dei due ladri).
Nel racconto egli esprime anche il desiderio che qualcuno, forse i suoi genitori o gli insegnanti, intervenga a suo favore quando, come succedeva spesso, i compagni di classe avevano nei suoi confronti atteggiamenti di dileggio (Alla fine, il padrone vide i due ladri per terra e li portò dalla polizia e così il cane e i suoi vissero felici e contenti con il loro padrone).
Questo racconto, molto strano e in alcune parti contraddittorio e confuso, è stato immaginato da Mattia, un bambino di sette anni. I genitori del bambino, nonostante fossero separati, continuavano a litigare tra loro e si accusavano a vicenda di mille angherie. Mattia presentava disturbi psicologici che si manifestano con vari sintomi: irrequietezza, nervosismo, comportamenti oppositivi, disturbi del sonno, paure e linguaggio infantile.
Le mani del ladro
C’era una volta, una mano destra che ha incontrato una mano sinistra, e hanno battuto le mani, perché hanno fatto amicizia, poi hanno toccato qualcosa: oggetti che erano in mare, perché la mano destra e la mano sinistra si trovavano in una barchetta. Nel mare c’erano rametti, un bastone e una lattina. Dopo che li hanno toccati hanno sentito gli oggetti e da quel giorno hanno preso altri oggetti e li hanno toccati.
D. Come mai gli oggetti erano finiti in mare?
R. Gli oggetti erano finiti in mare, perché qualcuno li aveva buttati, poi hanno trovato dei sassi e li hanno toccati. I sassi erano stati lanciati dai bambini, gli oggetti erano stati lanciati dai ladri. I ladri avevano buttato gli oggetti perché avevano un sacco di cose che avevano rubato: alcune cose le hanno tenute, altre le hanno buttate.
Dopo i ladri hanno continuato a buttare altri oggetti in mare, le mani li hanno presi e li hanno messi in barca in modo da poterli toccare. Le mani amavano toccare in particolare gli oggetti, tutto quello che si buttava.
D. Di chi erano queste mani?
R. Le mani erano di nessuno. Erano di una persona, di un ladro, e le mani hanno lasciato gli oggetti nel fiume, ma da quel giorno hanno lasciato il ladro, perché non volevano diventare ladre. Il ladro, dal giorno in cui le mani si sono staccate, è diventato buono, e anche le mani sono diventate buone.
D. Il ladro aveva una famiglia?
R. Il ladro non aveva nessuno: era nato solo. Quando era ladro era contento, perché con le mani poteva rubare e gettare gli oggetti, ma poi quando le mani si sono staccate non è stato più contento.
È come se le emozioni dovute alla sofferenza interiore di questo bambino, non più contenute e controllate, costringessero la sua mente a focalizzare l’attenzione solo su una parte del corpo: le mani. Questa tendenza, non è frequente e, di solito, si collega alla presenza di una notevole angoscia, che impedisce, ai bambini che ne soffrono, di soffermarsi sull’unità dell’essere umano e non su un particolare organo.
Questo fenomeno somiglia a ciò che avviene nei soggetti con disturbi autistici. Anche questi, a causa della presenza nella loro mente di un confuso mondo interiore, ricco di notevole ansia e di numerose fobie, hanno difficoltà a vedere la globalità degli oggetti e delle persone. Racconta la Williams: “A tavola guardavo un piatto pieno di colori, un coltello e una forchetta stretti nelle mani. Guardai attraverso il piatto pieno di colori e tutto si dissolse. Un paio di mani disturbarono la mia visione: un coltello d’argento, una forchetta d’argento stavano tagliando i miei colori. C’era un pezzo di qualcosa all’estremità della forchetta d’argento. Stava lì seduto, immobile. Il mio sguardo seguì quel pezzetto di colore attraverso la forchetta, fino a una mano. Spaventata, lasciai che i miei occhi seguissero la mano fino ad un braccio, congiunto ad un viso. Infine, il mio sguardo cadde sugli occhi, che me lo restituirono con infinita disperazione. Era mio padre”.[1]
Vi è poi un altro elemento che accomuna la patologia di questo bambino a quella presente nei soggetti con sintomi di autismo: le mani, per ritrovare sé stesse e un po’ di serenità ed equilibrio interiore, amano toccare alcuni particolari oggetti (Le mani amavano toccare in particolare gli oggetti, tutto quello che si buttava).
La gravità della patologia è infine confermata dalla struttura del racconto, scarsamente lineare e coerente.
Una rapina in banca
C’era una volta due ragazzi, Franklin e Michel e avevano venti anni. Un giorno hanno deciso di rapinare una banca e hanno guadagnato un sacco di soldi. È scattata l’allarme ed è arrivata la polizia. Hanno preso una macchina e se ne sono scappati. La polizia li ha inseguiti ma non sono riusciti a prenderli. Questi due ragazzi sono tornati a casa e hanno fatto un drink.
Giovanni sembra esaltare due giovani personaggi negativi (Franklin e Michel e avevano venti anni. Un giorno hanno deciso di rapinare una banca e hanno guadagnato un sacco di soldi). Questi rapinatori riescono a sfuggire alla polizia e, dopo essere tornati a casa, festeggiano con un drink.
Che i ragazzi si identifichino con dei personaggi negativi non è strano, è sempre successo anche in passato. Tuttavia, in questo periodo storico, tale tendenza si è accentuata a causa dei tanti cartoni animati e soprattutto del frequente utilizzo di videogiochi, nei quali dei personaggi negativi, come possono essere dei ladri o degli assassini, sono premiati con un maggior punteggio se riescono a raggiungere determinati obiettivi: come rapinare, rubare e uccidere, riuscendo a sfuggire ai tutori della legge.
[1] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 56.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione