Il fiorellino Gelsomino
C’era una volta un piccolo fiorellino che si chiamava Gelsomino. Un giorno lui non si fa avvicinare da nessun insetto: ape, farfalla, perché se succhiano il suo polline ha paura che appassisce. Ma un giorno il piccolo fiorellino si svegliò e si accorse che stava sempre rimpicciolendo e si dice a sé che gli avranno succhiato il polline e allora dice a sé stesso: è la vita dei fiori, può succedere questo, può non succedere. E così appassì. Così imparò che nei fiori non c’è una gara a chi sta di più e a chi sta di meno. Alcuni fiori appassiscono prima degli altri e imparò anche che i fiori non servono a resistere di più, ma servono a rendere profumata una casa, una stanza, un albergo.
Daniela pone la sua attenzione sulla caducità della bellezza e della stessa vita, quando racconta di un fiorellino che, svegliandosi, si era accorto di diventare sempre più piccolo, (il piccolo fiorellino si svegliò e si accorse che stava sempre rimpicciolendo). Probabilmente la bambina si riferisce alla regressione psicologica che lei aveva subito.
Il fiorellino pensava che la causa di ciò risiedesse in qualcuno: un’ape, una farfalla, che avesse succhiato i suoi elementi vitali (Un giorno lui non si fa avvicinare da nessun insetto: ape, farfalla, perché se succhiano il suo polline ha paura che appassisce). Solo successivamente teme che non ci sia una vera causa (è la vita dei fiori, può succedere questo, può non succedere). Come dire: “La nostra vita è in balia del destino, per cui, come il fiore dopo aver dato il suo profumo e la bellezza alle persone appassisce, allo stesso modo noi, dopo aver dato qualcosa agli altri, moriremo”.
Dalle sue parole è difficile non notare la difficoltà, e la conseguente tristezza della bambina nell’accettare la caducità dell’esistenza: “Si è giovani, si è belli, si fa qualcosa nella vita, ma poi si invecchia e si muore”.
Per quanto riguarda le cause della perdita di vitalità e poi della morte del fiorellino, il disegno, sembra contraddire il racconto poiché la bambina non collega la morte del fiore agli insetti o alla natura delle cose ma alle intemperie che sferzano la piantina.
Daniela, infatti, rappresenta (figura 60) molto bene la pioggia che cade da una grossa nuvola nera sul fiore con grossi goccioloni, e disegna anche il vento che sembra soffiare impetuoso, così da danneggiare e maltrattare il fiore. In sostanza, almeno nel disegno, la bambina teme che i problemi del fiore, e quindi i suoi problemi, derivino sostanzialmente da un avverso e difficile ambiente di vita.
Un pallone preso a calci
C’era una volta un pallone che era di tutte le squadre e non era affatto contento di essere preso a calci. Quindi un giorno scoppiò e nessuno poté giocare a pallone. Il pallone morì e fu gettato nella spazzatura con la cassa da morto. Un altro pallone fece la stessa fine.
La morte, con il suo corollario di disperazione e tristezza, è presente anche in questo racconto. Roberto descrive i suoi vissuti nell’ambito della sua famiglia, della scuola e, in generale, dell’ambiente che egli frequentava, usando la metafora di un pallone. Un pallone preso a calci da tutti (un pallone che era di tutte le squadre), come probabilmente egli si sentiva: disprezzato e aggredito da chiunque ne avesse voglia.
Pur di evitare questa continua, insopportabile sofferenza, il bambino vede un’unica via di uscita: scoppiare, morire e scomparire sottoterra (Il pallone morì e fu gettato nella spazzatura, con la cassa da morto). Solo in questo modo nessuno potrà più maltrattarlo!
Il racconto di Roberto non si ferma a questa sua tragica fine e va oltre, con una frase intrisa ancor più di nero pessimismo. Il desiderare di morire, di scomparire, perché tutti ti prendono a calci, non è qualcosa che riguarda solo lui, questa terribile condizione può benissimo accadere anche ad altre persone (un altro pallone fece la sua stessa fine).
Guardare il mare per darsi coraggio
C’era una volta una ragazza che guardava il mare: era triste e pensava che stava bene in quel momento lì. Era triste, ma non lo sapeva neanche lei (il perché). Per lei ogni cosa che faceva non andava mai bene. Le cose gli andavano male, anche per colpa sua. Voleva stare al mare, solo per stare bene. Si era stancata. Lei ha capito che le cose non possono andare sempre bene e che nella vita bisognava lottare e andare avanti.
In questo racconto di Luisa vi sono due elementi interessanti. Il primo riguarda la tristezza che provava: lei non sa capirne le cause. L’ipotesi che la bambina fa è che lei, almeno in parte, ne sia responsabile (Le cose gli andavano male, anche per colpa sua). Tuttavia, la scienza psicologica ci dice che le responsabilità personali dei bambini, rispetto a quelle degli adulti che li dovrebbero proteggere e curare, sono sempre molto limitate. Nonostante ciò, quando i minori sono molto turbati, tanto da non riuscire a vivere bene con sé stessi e con gli altri, il senso di colpa pervade lo stesso il loro animo.
Luisa si sforza di combattere il suo malessere, guardando il mare. Solo ammirando questo magnifico spettacolo della natura riesce a trovare la forza e la serenità necessaria per continuare a lottare e ad affrontare le difficoltà della vita (Lei ha capito che le cose non possono andare sempre bene e che nella vita bisognava lottare e andare avanti).
La vita è un alternarsi di momenti belli e brutti
C’erano una volta un bosco, le montagne, il sole, il cielo azzurro. Si fece il tempo brutto, si mise a piovere, rovinò le piante, le montagne, le frane. Poi si calmò la pioggia e uscì di nuovo il sole!
Diverso ancora lo stato d’animo di Patrizia, una bambina adottata, che riesce a vedere con obiettività gli eventi della vita, nelle quali vi è un alternarsi di momenti belli (C’erano una volta un bosco, montagne, il sole, il cielo azzurro) e di momenti difficili e tristi (si mise a piovere, rovinò le piante, le montagne, le frane). A questi periodi difficili, per fortuna, possono seguire altri momenti belli (Poi si calmò la pioggia e uscì di nuovo il sole!).
Un cuore in cielo
C’era una volta un cuore che stava in cielo. Era grande e bello e rosso d’amore. Questo cuore era di una persona femmina, piccola, che aveva due anni, era una bambina e si chiamava Alessia, che si era fidanzata con Gesù e gli aveva dato il suo cuore. Alessia aveva una famiglia e i suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù. Gesù era contento e la mamma Maria e i discepoli gli buttavano fiori sul cuore e a lui gli faceva piacere stare con loro, era contento…I suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù.
Questa ragazzina di dieci anni che, a causa di gravi carenze affettive ed educative da parte di entrambi i genitori, viveva in un istituto di suore, insieme ad un fratello e a una sorella, vede soltanto in Gesù, nella Madonna e nei Santi la possibilità di avere cure, amore e attenzioni.
Certamente il vivere in un istituto di suore ha avuto la sua influenza nel racconto della ragazza che sceglie di fidanzarsi con Gesù. Tuttavia, ciò che ci ha colpito in questo racconto è l’essersi identificata con una bambina molto piccola: due anni (Questo cuore era di una persona femmina, piccola, che aveva due anni) mentre la ragazza ne aveva dieci. È come se la ragazza desiderasse regredire ad un’età nella quale la sua famiglia era ancora unita e, in qualche modo, era abbastanza unita e serena.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione