Psicologia

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Nascita e primi giorni di vita

 

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 Così come per la madre, anche per il bambino il momento della nascita è un momento difficile, anzi, per alcuni versi, può essere vissuto come un momento traumatico. Per la donna, soprattutto se primipara, questo evento tanto sognato, ma anche tanto temuto, può rappresentare uno dei momenti fisicamente più dolorosi e impegnativi della propria vita. È una fase di svolta nella propria esistenza, in quanto è anche un momento importante per verificare varie capacità e qualità: di mettere al mondo un figlio, di saper ben gestire il dolore e la sofferenza fisica, di provare a controllare le ansie e le paure, di saper ben accogliere una nuova vita umana ed infine di riuscire a fare accettare questo bambino al proprio partner, ai propri genitori o al proprio marito.

 

Ma anche per il bambino è un momento difficile. Per questi è sicuramente penoso lasciare qualcosa di molto morbido e caldo per un ambiente sgradevole e freddo. È faticoso abbandonare un ambiente sereno, tranquillo e ovattato, per entrare in un ambiente rumoroso e caotico come il mondo. Non è agevole iniziare ad assumere ossigeno e cibo dall'esterno. È complicato comunicare con gli altri esseri umani essendo forniti soltanto di rudimentali mezzi di dialogo. Tuttavia, sia la madre sia il bambino, se rientrano in quella fascia molto ampia che noi chiamiamo “normalità” sono pronti e preparati ad affrontare tutto ciò. Anche perché la natura e l'ambiente dovrebbero aver fornito all'uno e all'altra gli strumenti idonei per fronteggiare e superare queste e tante altre difficoltà che si presenteranno inevitabilmente nel futuro.

 

Le sensazioni del neonato

 

Alla nascita i sensi del neonato sono sviluppati quasi completamente, anche se egli non è ancora in grado di riconoscere gli oggetti e le persone in quanto tali, né ha la coscienza di sé come entità distinta dall’altro. Per il PIAGET inizia con la nascita una rivoluzione copernicana. ‹‹Mentre al punto di partenza di questo sviluppo il neonato riferisce ogni cosa a sé, o meglio al proprio corpo, al punto di arrivo, cioè quando hanno inizio il pensiero ed il linguaggio, si colloca praticamente come elemento o corpo fra gli altri, in un universo che ha costruito a poco a poco, e che sente ormai come esterno a sé.››[1] Pur non potendo conoscere direttamente la vita psichica di un neonato, possiamo verosimilmente immaginarla come un susseguirsi di sensazioni ed impressioni che si sovrappongono le une alle altre in modo caotico e confuso, a causa delle scarse capacità del sistema nervoso di recepire, selezionare, comprendere e gestire al meglio le informazioni in arrivo.

 

Alcune di queste sensazioni, come quelle tattili, termiche, uditive, olfattive, provengono dal mondo esterno a lui.

 

Procurano sensazioni tattili i suoi vestitini, la stoffa della culla, l’acqua del bagnetto, il corpo della madre e delle persone che hanno cura di lui e così via. Pertanto il dialogo tonico – emozionale, già presente nella fase prenatale, prosegue dopo la nascita. Queste sensazioni possono essere piacevoli, nel momento in cui il bambino si sente accolto, accarezzato, baciato, oppure sgradevoli se le mani e le braccia che lo manipolano sono tese, rigide, tremanti, incerte, scarsamente accoglienti e morbide, o peggio rifiutanti, violente o aggressive.

 

Il bambino riceve sensazioni termiche dal  tepore del seno o del corpo della madre e delle persone che hanno cura di lui, ma anche dall’acqua del bagnetto e dall’ambiente dove vive.

 

Avverte sensazioni uditive ascoltando il battito del cuore della mamma mentre viene allattato, le parole di lei, i rumori e i suoni dell’ambiente.

 

 Percepisce sensazioni olfattive dall’odore della madre, dei familiari, del latte, dei prodotti per la pulizia sua e della stanza.

 

Avverte sensazioni cenestesiche quando viene cullato, manipolato, spostato, o quando, chi è vicino a lui, gioca con le sue manine e con i suoi arti.

 

Le sensazioni interne provengono, invece, dal suo organismo: dalla pelle irritata, dal suo respiro, dai borbottii o dalle altre contrazioni dell’addome, dal battito del suo cuore.

 

Certe percezioni sono dolorose o sgradevoli e provocano tensione e bisogno che qualcuno provveda ad eliminarle, mentre altre sono piacevoli e gradevoli ed il neonato vorrebbe che non finissero mai in quanto gli danno un senso di benessere. Tutte queste sensazioni non sono però nette e chiare ma confuse ed incerte. Il neonato ancora non sa, non capisce da dove vengono e perché vengono, in quanto non le ha ancora interpretate, definite e catalogate. L’adualismo nel quale egli vive, descritto dal Piaget, gli rende impossibile distinguere il suo mondo interiore da quello esterno, l’Io dal non Io. Allo stesso modo ancora non esistono, a livello di coscienza, il tempo e lo spazio, né vi è causa ed effetto o relazioni di qualsiasi genere. Per il neonato esiste soltanto una specie di adesso, indifferenziato al quale il bambino non si può sottrarre.[2]

 

Quando dorme, e il bambino neonato dorme per la maggior parte del suo tempo, le sue impressioni sono ancora più vaghe e confuse.[3] Ciò può spiegare, almeno in parte, i suoi trasalimenti, le sue precoci paure, i suoi scoppi di pianto improvvisi e per noi immotivati.

 

 Inizio delle relazioni

 

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Pur tuttavia, ben presto, dopo questo primo momento indifferenziato, inconsistente e fluttuante, la ripetizione frequente di un certo numero di situazioni identiche: bisogno di nutrizione, pulizia, rumori e odori specifici come quelli preparatori alla poppata, alla pulizia o al bagnetto, sensazioni uditive come le costanti parole della madre e degli altri familiari al suo cospetto, nonché le carezze, i baci e le coccole rivolte a lui, tutte queste situazioni che si ripetono nel tempo innestano rapidamente un inizio di organizzazione per cui, da quel momento in poi, la vita extra-uterina si alimenta, si costruisce e vive nelle e delle relazioni. La relazione con l'ambiente esterno a lui è fondamentale non solo per accrescere esperienze e cultura ma è indispensabile per la formazione stessa dell'Io e per la crescita sana ed equilibrata del futuro uomo o donna.

 

Elemento base della relazione è la comunicazione, tra lui e la madre-mondo. DE PINTO L. (2004) ‹‹Quando il bambino scopre che esistono altre menti oltre la sua, costruisce il campo della relazione intersoggettiva che include, oltre alla presenza fisica, anche stati soggettivi di emozioni, sentimenti, motivazioni ed interazioni. In questo campo intersoggettivo si sviluppa la capacità di leggere gli stati mentali dell’altro, di conformarsi, di allinearsi, sintonizzarsi con essi (o il contrario).››[4]

 

Poiché il neonato è solo un candidato alla condizione umana: il bambino ancora “incompiuto” procederà nella propria formazione psichica e corporea e andrà provvedendosi dei mezzi di adattamento a contatto dell’universo sociale e materiale nel quale si trova prematuramente immesso, rispondendo a condizioni necessariamente incerte e variabili. Non disponendo di meccanismi belli e fatti, è costretto a fabbricarseli.[5] Il suo tirocinio per diventare adulto è lungo, in quanto il livello da conseguire da adulto è notevolmente complesso ed evoluto.

 

L'infanzia è allora il periodo necessario al “divenire umano” dell’individuo. E' l’apprendistato che porta alla piena maturità umana. Da qui la necessità, per l’essere umano che ha la caratteristica di essere molto complesso, di una lunga infanzia; da qui la sua debolezza ma anche la sua ricchezza e le possibilità quasi infinite di adattamento.[6]

 

Il bambino è dunque un "animal educandum", un essere che reclama l'educazione, come ha giustamente sottolineato LANGEVELD, poiché senza di essa non può divenire adulto.

 

Pertanto non si prenderà mai troppo seriamente l'infanzia, e quindi l'educazione.[7]

 

 La relazione con la madre

 

 

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La relazione più importante è sicuramente quella che il neonato instaura con la madre. Nella fase nella quale non vi è soltanto un “Io” ma qualcosa al di fuori di lui, fase del dualismo, il suo mondo esteriore è fatto quasi esclusivamente di questa figura, con la quale il neonato stabilisce dei rapporti tattili, termici, propriocettivi, cenestesici, sonori, olfattivi, ma anche e soprattutto instaura delle particolari relazioni affettivo - emotive. Pertanto la qualità e la ricchezza della comunicazione tra la madre ed il bambino hanno un’enorme importanza per lo sviluppo psicoaffettivo del neonato.[8] Levy ha definito la dipendenza del bambino dalla madre con l’espressione:“fame primaria d’amore” in quanto soddisfa i bisogni biologici fondamentali [9] e si attiva ad alleviare tutti i vari squilibri ricorrenti.

 

Inizialmente la madre è qualcosa di molto vago, ma ciò non toglie che ben presto questa diventi sicuramente più di un seno che lo nutre o delle braccia che lo cullano. Per il neonato la sua mamma diventa qualcosa che conforta, rassicura, fa stare bene, accarezza e procura sensazioni gradevoli ma, a volte, anche sgradevoli. Per cui è alla madre che egli chiede cibo, pulizia, benessere fisico e psichico. Ed è con la madre che cerca di adattarsi e di instaurare un legame e un dialogo profondo, intenso e proficuo per entrambi. Ed è a lei che per prima, dopo la quinta settimana, offre i suoi sorrisi. Tutta la sua prima iniziazione avviene dunque nella tonalità della sicurezza familiare che si sprigiona dalla persona della madre, in quell’atmosfera di tenerezza e di affetto che oggi sappiamo quanto sia indispensabile al bambino, perché essa determina il suo personale sentimento di sicurezza, condizione di ogni successivo progresso.[10]

 

Il periodo dell’allattamento

 

Simbolo di questa intimità fisica madre - bambino è il periodo dell’allattamento. ‹‹È intorno all’atto della nutrizione che si forma la prima relazione. Il neonato dipende in tutto e per tutto dalla sua nutrice, con la quale stabilisce un legame molto intimo, intenso e significativo. Fin dalle prime poppate, l’alimentazione avviene in un contesto sociale ricco di sensazioni. Sono interessati non solo il gusto e l’olfatto, ma anche il tatto: le labbra del neonato si attaccano al capezzolo, il bambino tocca e stringe il seno materno, la madre sostiene il piccolo. Questo contatto ravvicinato crea un clima emotivo al cui interno la suzione, la deglutizione, la digestione e in seguito la masticazione, assumono delle valenze psicologiche che vanno ben al di là del fatto alimentare in sé. Il latte si fonde con il corpo della mamma. Non è solo buono da succhiare, ma anche da immaginare e da sognare. Il suo profumo e il suo gusto si associano a sensazioni di benessere, serenità e affetto.››[11]

 

Con la madre, quindi, il bambino entra inizialmente in contatto intimo soprattutto con la bocca. Quest’organo non è solamente un mezzo per nutrirsi o provare piacere, ma è uno strumento che gli permette di mettersi in contatto con il mondo esterno per fare le sue prime esperienze.[12] Ciò capiamo dal comportamento del bambino. La ISAAC così descrive un momento dell’allattamento: ‹‹Ma se la mamma ritrae il seno come cambia velocemente il suo atteggiamento! Il viso del neonato si rabbuia, e arrossisce, strilla per il dolore e per la rabbia, agita i pugni e tutto il corpo esprime dimenandosi la sua protesta. Se gli si restituisce il capezzolo, il suo corpo si rilassa, il viso si distende, il bimbo sospira o borbotta di sollievo e la bocca ricomincia a soddisfare la sua fame di nutrimento e di affetto. Offrire il seno al bambino, nei suoi primi momenti di vita, vuol dire offrigli amore, ritirare o rifiutare il seno vuol dire ritirare o rifiutare l’amore .››[13] Pertanto il tardare nel dare da mangiare al bambino non significa soltanto lasciarlo per qualche tempo con un po' di fame ma, altresì, disturbare il fluire delle sue gratificazioni affettive. Egli non piange e protesta solo perché ha fame, ma anche perché si sente privo d’affetto e non gode del piacere di succhiare. 

 

Per quanto riguarda il tipo di allattamento non vi è dubbio che l’allattamento al seno sia da preferire nettamente non solo per motivi biologici ma soprattutto per motivi psicologici in quanto come dice WINNICOTT: ‹‹L’offerta del biberon in luogo del seno o la sostituzione del seno con il biberon durante le prime settimane dell’allattamento rappresenta, in una qualche misura, una barriera che divide il piccolo e la madre piuttosto che un legame che li unisce. Nel complesso il biberon non può sostituire adeguatamente il seno.››[14]

 

Tuttavia, dopo le prime settimane, il bambino comincia ad abituarsi alla regolarità nella nutrizione e al resto delle cure che gli sono prestate per cui, certo dell’affetto costante e stabile, non ha motivo di abbandonarsi immediatamente all’ansia e alla solitudine.[15] Le madri si accorgono di questa iniziale crescita del bambino in quanto avvertono che egli ora sa attendere di più la soddisfazione dei suoi bisogni. ‹‹È  più paziente ›› - dicono.

 

Anche le braccia della madre non sono solo delle braccia. Se queste sanno sorreggerlo e accoglierlo con morbidezza e disponibilità, sono fonte di sensazioni piacevoli e rassicuranti. Offrono al bambino qualcosa di molto simile ad un utero o a un nido morbido, caldo e accogliente. Tutte queste sensazioni piacevoli e serene gli permettono di mantenere e far crescere la fiducia in se stesso, ma anche nel mondo nel quale si sta gradualmente inserendo. E ciò permetterà al piccolo essere umano di percorrere la strada che lo porterà alla crescita affettiva e all’indipendenza.

 

Le attese del neonato

 

Il bambino riconosce la situazione dell’allattamento e si calma appena la madre lo solleva per nutrirlo, in quanto ha rapidamente imparato a collegare le varie sensazioni interne ed esterne. Quando ha fame si aspetta che la madre lo allatti, così come quando è sporco o prova fastidio ha fiducia che la mamma lo pulisca. Quando è stanco di trovarsi nella stessa posizione egli sa che la madre accorrerà per sistemarlo in una posizione più comoda e più idonea al suo riposo. Quando la troppa luce disturba i suoi occhi egli si aspetta che la madre abbassi le tapparelle. Se i comportamenti della madre si modellano in maniera sufficientemente attenta e precisa ai suoi bisogni, aumenta la sua fiducia in lei e quindi nel mondo esterno a lui, mentre contemporaneamente aumenta la stima nelle sue capacità di stabilire relazioni efficaci. Se invece non accade quanto si aspetta, rimane disorientato e angosciato[16] e coltiva sfiducia e stizza sia verso gli altri, in quanto incapaci di ascolto, sia verso se stesso, sentendosi vittima impotente.

 

 ‹‹Alla nascita il bambino non è una tabula rasa. Tra un bambino e l’altro vi sono differenze significative di carattere ereditario e congenito. I bambini variano per il tipo fisico, il potenziale intellettuale, il temperamento, il metabolismo, l’affettività, l’attività motoria, le reazioni nervose. Nonostante ciò, l’influenza dell’ambiente nel plasmare in modo definitivo l’espressione di queste potenzialità è enorme...››[17] Pertanto le capacità adattative della madre alle diverse qualità e realtà del bambino sono fondamentali. Per BOWLBY: ‹‹Oltre che dalla comprensione intellettuale, che non voglio certo criticare, il modo giusto di allevare un bambino nasce dalla sensibilità della madre alle reazioni del figlio e dalla sua capacità di adeguare intuitivamente il proprio comportamento alle necessità del bambino.››[18]

 

Le “madri sufficientemente buone” nel momento in cui hanno un bambino tra le braccia, per capirlo meglio, per entrare meglio in sintonia con lui, per Winnicott regrediscono e si fanno piccole come il loro bambino. Altre invece, soprattutto oggi, coinvolte negli impegni lavorativi e professionali, spaventate da questa condivisione totale con il loro bambino ‹‹… temono questo stato e hanno paura di diventare dei vegetali, con la conseguenza che si aggrappano alle vestigia di una carriera come a una vita preziosa e non si concedono neppure temporaneamente a un coinvolgimento totale.›› [19]

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1]  J. PIAGET , Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964, p. 17.

[2]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 48.

[3]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 49.

[4]  DE PINTO L. (2004), “Conversare tra noi lungo il cammino”, in Consultori familiari oggi, numeri 2-3, anno 12, p. 13.

[5]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 28.

[6]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 28.

[7]  Cfr. LANGEVELD in P., A., OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 29

[8]  Cfr. M. DE NEGRI M. e altri, Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, 1970, p. 126

[9]  Cfr. LEVY in DE NEGRI M. e altri (1970), Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, p. 127.

[10]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 58.

[11]  A. O. FERRARIS, “Il ricatto della pappa”, in Mente e cervello n. 19, gennaio – febbraio 2006, p. 40.

[12]  S. ISAACS S. (1995), La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni e Figli e genitori, Roma, Newton, p. 32.

[13]  S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 33.

[14]  D. W. WINNICOTT, Il bambino e la famiglia, Giunti e Barbera, Firenze, 1973, p. 156.

[15]  S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 40.

[16]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 50.

[17]  N.W. ACKERMAN, Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 69.

[18]  J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982,  p. 18

[19]  D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Cortina Raffaello, Milano, 1987, p.93.

 

 

 

La gravidanza: condizioni facilitanti il futuro benessere o malessere del bambino

 

 

Prima della nascita

L'essere umano, quando sboccia nel ventre materno, è già in relazione con l’ambiente esterno, in quanto l’utero non è solo culla ma è anche il primo mondo con il quale egli entra in contatto. Ed è questo mondo esterno che contribuisce a costruire il suo mondo interiore. Già, verso i cinque mesi di gravidanza, la madre si accorge, dai suoi movimenti del piccolo, se egli dorme tranquillo, oppure è sveglio o è inquieto. Già verso la metà della gravidanza, il bambino che si sta formando, sente i suoni, prende dal sangue della madre gli alimenti che gli servono, avverte il dolore. Già egli condiziona, senza volerlo e senza averne coscienza, il corpo ma anche la psiche della madre, per adattare l'uno e l'altra ai suoi bisogni essenziali.

A sua volta però, questo piccolo essere umano che sta crescendo è capace di dare al mondo che lo circonda, ed in primis alla madre, al padre e agli altri familiari ma anche alla società in cui vive, qualcosa che, se a volte è causa di ansia e inquietudine, il più spesso viene vissuto come un regalo prezioso, desiderato e bramato. Ai suoi genitori può dare ancora, senza saperlo e senza volerlo, la realizzazione dei loro sogni; il piacere e l’orgoglio della maternità e della paternità realizzate; la gioia immensa di partecipare, inizialmente con il loro corpo e poi con le loro cure, con le loro parole, con l’affetto, con le attenzioni e sacrifici, alla formazione del più importante e complesso essere vivente da noi conosciuto.

 

Quando mamma e papà, che accarezzano insieme il pancione, si ritrovano più uniti, più solidali, più vicini, ma anche più forti e decisi ad affrontare il mondo  per modificarlo in senso positivo per loro, ma soprattutto per il loro bambino, essi, di fronte al mistero della vita che hanno contribuito a creare, si sentono più desiderosi e disponibili alle tenerezze, più pronti all’accoglienza, più sicuri nelle sfide. Ai nonni e agli altri familiari, il piccolo che deve nascere può dare il piacere di sapere che fra qualche mese potranno avere tra le loro braccia una nuova gioiosa vita; un piccolo caldo, allegro, cucciolo d’uomo con cui dialogare, comunicare e scambiare. Alla comunità e società degli umani, sicuramente il piccolo si offre come un nuovo mattone indispensabile per l’edificazione e la stessa esistenza della società, ma anche per il suo progresso e la sua espansione.

Non vi è pertanto un solo momento nel quale il bambino prenda dall’esterno e non dia; come non vi è un solo attimo in cui il nuovo essere umano dia e non prenda dal mondo esterno. Pertanto, sia nel bene sia nel male, egli modifica in senso positivo o negativo il mondo che lo circonda e, a sua volta, è da questo modificato. Il bambino, come tutti gli esseri viventi cerca di adattarsi ed adattare ai suoi bisogni l’ambiente circostante. La riuscita o il fallimento di questi tentativi dipendono dal particolare intreccio tra le caratteristiche ambientali e le possibilità che l’individuo ha di mettere in atto le strategie più opportune.

Abbiamo detto che il primo contatto dell’essere umano con il mondo esterno è rappresentato dal corpo, dal sangue, ma anche dagli umori della madre. Non sappiamo esattamente cosa avverte della vita psichica della madre l’embrione e poi il feto. Certamente non i suoi pensieri e le sue riflessioni. Sicuramente non può aver contezza se questa donna ha, accanto a sé, un uomo e una famiglia che sa accoglierla e proteggerla, rassicurarla e confortarla, ascoltarla e consigliarla, o se, al contrario, ella è sola ad affrontare questo meraviglioso ma impervio cammino.

Il nascituro sicuramente  non ha ancora la possibilità di avvertire pienamente se la madre è preda degli impegni del lavoro e delle angosce del vivere quotidiano, che la inseguono e sommergono, oppure se, serenamente e coerentemente con il suo impegno di madre, sta costruendo per il suo bambino, rilassandosi, un ambiente sicuro, caldo e confortevole come un nido.

Sappiamo però che prima della nascita il bambino già avverte le conseguenze che i vissuti della madre hanno sul corpo di lui, in quanto il benessere della madre diventa ben presto il suo benessere, come il malessere della madre rischia di diventare il suo malessere. Sappiamo che all’inizio della sua avventura umana la comunicazione è solo biochimica, ormonale, immunologica, ma questa poi, gradualmente, con lo sviluppo delle capacità logico-percettive, diventa piena e completa.

Pertanto, ogni variazione della fisiologia, come dell’assetto biochimico e ormonale della donna influenza, oltre il corpo e la mente di questa, anche il corpo e poi, nel momento in cui si è formata, anche la mente del bambino, che la donna stessa porta in seno.

Già dal battito del cuore della madre, dalla tensione del suo addome e da altri segnali biologici, il nascituro avverte se la madre si sta spendendo con ansia per tante, troppe incombenze oppure si sta concentrando sul suo mondo interiore, cercando, per il suo bambino, tutte quelle caratteristiche materne che a questi servono.  

A sua volta il bambino che si sta formando nel ventre materno, modifica l’ambiente circostante. Ancor prima che la madre sappia di aspettare un figlio, quest'ultimo ha iniziato a modificare il corpo di lei, ma anche alcuni aspetti del modo di vivere e sentire se stessa ed il mondo. Uno dei segnali principali che la madre riconosce facilmente è la scomparsa delle mestruazioni e quindi la mancanza di una nuova ovulazione. Il sospetto, che con gli appositi esami diventa certezza, che un essere umano si stia formando nel suo ventre, non passa sicuramente inosservato; anzi, per tante donne, è l’evento clou della loro vita e della loro esistenza.

D’altra parte i sentimenti della madre, prima e durante la gravidanza, possono influenzare profondamente il suo atteggiamento nei riguardi del bambino che nascerà, così come possono condizionare il modo con il quale lo accoglierà e si comporterà nei suoi confronti.[1]

Allo stesso modo i sentimenti materni, prima e durante la gravidanza, condizioneranno la sua vita futura. Necessariamente subiranno una qualche modifica i rapporti con il padre del bambino, il lavoro e gli altri impegni, la famiglia e gli amici. Nulla sarà come prima! Aspettare un bambino può significare che un sogno si è realizzato. Un sogno nato in un momento lontano della sua vita. Un sogno sbocciato quando da bambina ha iniziato a giocare con la sua prima bambola “che voleva sempre la pappa e lei doveva continuamente preparagliela se no quella piangeva, cosicché doveva cullarla a lungo prima che, finalmente, si addormentasse tranquilla”. Oppure quel sogno era sgorgato quando, per la prima volta, la mamma le aveva dato il permesso di toccare, ma solo per un momento e molto delicatamente, le manine o il corpicino del fratellino appena nato; o quando, avendo più fiducia in lei, le aveva permesso di poggiarlo un attimo sul suo piccolo grembo; o ancora quando, fidandosi delle sue capacità, aveva affidato a lei le cure del fratellino per qualche minuto e la bambina, in quei momenti, si era orgogliosamente sentita una mammina amorevole.

Aspettare un bambino può significare il completamento di un rapporto di coppia nato molti anni prima tra i banchi di scuola e condotto con impegno, coerenza, fedeltà e fiducia per molto tempo, prima di essere coronato dalla cerimonia del matrimonio e poi, finalmente, dall’attesa di un figlio.

Per una coppia ritenuta sterile, il sapere di aspettare un bambino è già qualcosa di diverso. Dopo mille sacrifici, dopo tante attese, dopo infinite delusioni, la gioia inaspettata può avere caratteristiche sconvolgenti che, a volte, proprio per questi motivi e per la paura che questa nuova vita svanisca fugacemente, non si riesce a gustare fino in fondo.

Aspettare un bambino può significare, purtroppo, ben altro, quando questo evento è solo il frutto di un incontro occasionale, della passione di una notte, o è solo la conseguenza di un errore commesso in due. In tutti questi casi una nuova vita umana può accendere nell'animo dei genitori tinte fosche e drammatiche.

In una famiglia estremamente povera e disagiata, una nuova gravidanza  può significare la necessità di dover affrontare nuovi sacrifici, nuove rinunce, nuovi e più pesanti impegni.

Queste ed altre mille situazioni diverse hanno la capacità di avvolgere il nuovo germoglio dell’umanità in un caleidoscopio di sentimenti ed emozioni, che possono comportare notevoli conseguenze materiali, psicologiche e sociali le quali, a loro volta, influiranno, sia in senso positivo che negativo, sulla qualità della relazione, non solo tra genitori e figlio, ma anche tra familiari e nuovo nato, tra società e novello cittadino.

Condizioni facilitanti il benessere del feto e del bambino

 

Giacché le variabili sono tante, numerose e complesse, non è possibile definire, con buona approssimazione, le conseguenze che le molteplici situazioni avranno sul futuro benessere del nuovo essere umano. Possiamo soltanto ipotizzare, utilizzando alcuni elementi di studio e le esperienze personali, solo alcuni fra i tanti scenari possibili.

Le condizioni che possono facilitare un buon percorso educativo e relazionale sono numerose:

a)      Un’età adeguata.

b)      La maturità personale dei genitori.

c)      La serenità dell’ambiente.

d)     La disponibilità ad adattarsi ai bisogni del nascituro e quindi la positiva e costante comunione con questi.

e)      La capacità di avvertire il bambino come un dono.

f)       Una realtà di coppia stabile.

 

a)      Un’età adeguata

Per quanto riguarda l’età è difficile indicarne una ideale, in quanto si può essere maturi e capaci di educare bene un bambino quando ancora, per le leggi degli Stati, non ci si può sposare; come, d’altra parte, si può essere affettivamente e psicologicamente immaturi ad un’età nettamente avanzata. Ciò in quanto la maturità di una persona è solo in parte legata all’età cronologica. È noto però che fisiologicamente l’età troppo giovane, al di sotto dei diciotto anni comporta, oltre che possibili problemi di natura organica, difficoltà educative dovute ad una scarsa autorevolezza e alla presenza di comportamenti eccessivamente amichevoli e poco consoni al ruolo genitoriale.[2] Di contro, nell’età troppo avanzata, al di sopra dei trentacinque – quarant’anni, nella relazione e nell’educazione di un bambino vi è il rischio che possano concorrere negativamente, oltre l’ampio divario generazionale, la più intensa emotività, la maggiore fragilità psicologica, la minore elasticità mentale. Pertanto, tra i genitori attempati ed i loro figli potrebbero essere più frequenti i legami ansiosi e patologici. Come lasciare, ad esempio, che il figlio scelga liberamente la strada da percorrere nella vita quando, vivendo una situazione di fragilità e malinconia, lo si vorrebbe più intensamente e per un tempo più lungo legato a sé?

Non è da sottovalutare, inoltre, una più intensa inquietudine presente nei figli di genitori attempati, dovuta alle più gravi e frequenti malattie presenti in questi ultimi e ai maggiori timori per la loro possibile scomparsa.

Oggi che le cause delle maternità precoci sono dovute essenzialmente alla estrema libertà sessuale di cui godono gli adolescenti, gli interventi di prevenzione non possono che essere di tipo educativo. Non dovrebbe mancare, nei confronti degli adolescenti e dei giovani, una costante guida autorevole e morale da parte dei genitori e dei familiari. D’altra parte le istituzioni pubbliche dovrebbero farsi garanti delle immagini e dei contenuti che sono proposti quotidianamente ai minori e ai giovani, in modo tale da valorizzare e stimolare in questi un uso attento e responsabile della sessualità, evitando di farla apparire, come spesso avviene in numerosi film e spettacoli, come un piacevole gioco, un divertente passatempo o soltanto uno dei tanti modi con i quali si possono esprimere i sentimenti amorosi.

b)     La maturità personale dei genitori

 I genitori affettivamente e psicologicamente maturi  sono molto favoriti nell’accettazione e nella relazione con un figlio, a causa della migliore resistenza agli stress, per la maggiore vivacità e serenità interiore e per un migliore controllo delle pulsioni. Inoltre, i genitori maturi hanno la possibilità di applicare più facilmente uno stile educativo più lineare ed equilibrato. Pertanto, questi genitori saranno capaci di affrontare e vivere meglio tutte le esperienze di vita: non solo quelle facili e gioiose, ma anche quelle difficili e tristi. Essi, più facilmente, sapranno selezionare e oculatamente scegliere quanto può essere utile al nascituro e all’intera famiglia, senza farsi influenzare eccessivamente dalle mode del momento. I genitori maturi hanno, inoltre, le capacità necessarie per riuscire a limitare i loro bisogni individuali. Pertanto saranno lieti di donare il proprio tempo, le proprie energie, le loro attenzioni, la loro presenza, la loro disponibilità, al figlio che nascerà limitando, quando è necessario e per il tempo necessario, tutte le altre attività ludiche o lavorative, senza nulla rimpiangere: né la tenera e comoda dipendenza dai genitori d’origine, né gli effimeri divertimenti e passatempi dell’età adolescenziale, né il gratificante lavoro. Essi, inoltre, saranno capaci di creare attorno al figlio che nascerà l’ambiente a lui più favorevole, allontanando sia gli inquinanti fisici, come i farmaci, i cibi adulterati e le radiazioni pericolose, sia gli inquinanti psicologici: come l’ansia, la fatica, la tensione interiore, la conflittualità e lo stress, in quanto sanno che questi rappresentano dei potenziali rischi per il nascituro.

È facile, inoltre, che questi genitori che abbiano maggiori capacità nello scegliere con attenzione ed oculatezza il momento più idoneo in cui aspettare un figlio. Essi vorranno essere e sentirsi pronti ad accoglierlo bene. Pronti dal punto di vista fisico, in quanto persone adulte ma non troppo avanti con gli anni. Pronti dal punto di vista economico, in quanto capaci di mantenere ed educare il figlio dandogli il necessario anche se non il superfluo. Pronti dal punto di vista sociale, in quanto coppia unita in modo stabile e duraturo, mediante un vincolo responsabilizzante come quello del matrimonio.

c)      La serenità dell’ambiente

Il fragile essere umano che si sta formando nel ventre materno, ha la necessità di crescere e svilupparsi in un ambiente sereno. E poiché prima della nascita l’ambiente del bambino è dato soprattutto dalla madre, il piccolo ha bisogno che questa donna viva l’esperienza della maternità con distensione, gioia e ottimismo, in quanto queste condizioni facilitano molto gli aspetti biologici della gravidanza e l’instaurarsi di un positivo e intenso rapporto madre – figlio.

Una madre psicologicamente equilibrata e serena, riesce ad affrontare molto meglio gli eventuali malesseri e problemi che si dovessero presentare durante i nove mesi di attesa, senza paure eccessive e senza andare facilmente e inutilmente in ansia. Ansia e paure che, se durevoli o troppo intense, rischiano di compromettere e danneggiare il fisiologico decorso della gravidanza.

Se è vero che l’equilibrio e la serenità della madre sono dati soprattutto dalle sue caratteristiche psicologiche, è altrettanto vero che l’aiuto ed il sostegno che può ricevere dalle persone che le sono vicine e con le quali è in contatto, sono fondamentali. In molte culture viene prestata un’enorme attenzione alle donne in attesa, verso le quali viene attuata una notevole protezione da parte non solo delle loro famiglie ma anche di tutta la comunità nella quale vivono, al fine di evitare loro ogni trauma: sia fisico sia psicologico.

Intanto è molto importante l’apporto del marito, o comunque del padre del bambino. Questi, durante tutto il periodo della gestazione e dell’allevamento del piccolo, ha il compito di creare attorno alla madre e nella famiglia, un ambiente il più tranquillo, caldo e confortevole possibile, in modo tale da permettere alla sua donna di lasciarsi andare, nei confronti del figlio, a quell’atmosfera particolare e a quell’intimità speciale, che è indispensabile al fine di intraprendere il fondamentale rapporto empatico con la loro creatura. Compito del padre è anche quello di mettere la donna al riparo, con il suo lavoro e le sue attenzioni e il suo comportamento, da attività faticose e da ambienti inquinanti o stressanti che potrebbero danneggiare il prodotto del concepimento.

Per Wenner[3] una buona madre “…ha un rapporto stretto con il marito ed è desiderosa e felice di far conto del suo aiuto. A sua volta è capace di dare spontaneamente agli altri, compreso il proprio bambino. Al contrario una donna che ha grosse difficoltà emotive, durante la gravidanza e il puerperio ha grosse difficoltà nel fare affidamento sugli altri. Essa è incapace di manifestare il suo desiderio di sostegno, oppure lo fa richiedendolo in modo aggressivo, riflettendo in ambedue i casi la sua mancanza di fiducia che ciò possa verificarsi”.

Altrettanto importante è l’apporto degli altri familiari, i quali hanno anche il compito di offrire con la loro presenza, con le loro parole ed i loro comportamenti, segnali inequivocabili di sostegno, disponibilità e supporto alla coppia, così che questa possa meglio capire, vivere e affrontare, gli eventi sia positivi sia negativi di questa fase particolare della vita della madre e del bambino.

Fondamentale è il compito delle donne della famiglia: madre, suocera, zie, cugine più anziane. Queste dovrebbero essere in grado di sostenere, aiutare, consigliare la neo-mamma soprattutto nelle prime settimane del suo rientro a casa dopo il parto. Compito che dovrebbero svolgere con dolcezza, serenità e affetto, rispettando i bisogni della puerpera, senza per altro essere eccessivamente invadenti ed opprimenti. In molti paesi ed in molte culture questo supporto è costante e stabile. Ciò purtroppo non sempre avviene nei moderni paesi occidentali nei quali, per motivi vari: impegni lavorativi eccessivi, chiusura della coppia nei confronti della rete parentale, notevoli distanze fisiche tra l’abitazione della madre in attesa ed i suoi familiari, la neo-mamma rimane sola, in balia dei suoi dubbi, insicurezze e scarse conoscenze sulla migliore gestione sia della gravidanza sia, in un momento successivo, del neonato. Le conoscenze ottenute dalla lettura di articoli nella rete Internet, sui libri e riviste sull’argomento, non riescono a fornire loro un sufficiente supporto, per un compito molto complesso e variegato, che necessita di notevoli esperienze pratiche.

I medici, d’altra parte, non si dovrebbero sottrarre all’obbligo di costruire, coltivare e mantenere con le loro parole e con i loro comportamenti nell’animo della madre e della famiglia della gestante un buon equilibrio e benessere psichico, evitando di consigliare tutte quelle visite, terapie ed esami inutili o superflui che potrebbero provocare stress sia alla madre sia al suo piccolo.

d)     La positiva e costante comunione con il nascituro

In condizioni di normalità il legame con il figlio spesso precede, almeno nella fantasia e nel cuore dei genitori più maturi, l’evento stesso della gravidanza. Questo legame dovrebbe diventare più solido e tangibile quando la nuova vita bussa alla porta dell’esistenza e chiede di svilupparsi e crescere, non solo come elemento organico e materiale, ma anche e soprattutto come essere umano ricco di capacità intellettive, affettive, relazionali e morali.

Quando questo legame è solido, continuo ed emotivamente gioioso, il cuore dei genitori e dei familiari diventa ampio, caldo e accogliente, per cui hanno scarsa importanza tutti quegli esami che tendono ad evidenziare una possibile disabilità, al solo scopo di mettere poi la coppia nella tremenda alternativa di effettuare o no un aborto terapeutico o eugenetico. Se i genitori hanno fiducia nelle capacità e possibilità della natura, non accetteranno neanche di praticare quell’eccesso di esami clinici e visite ginecologiche, che fanno soffrire sia la donna sia il nascituro, ma si atterranno soltanto a quelle ritenute utili ed indispensabili. E non importa, come invece oggi viene suggerito, che la madre senta il dovere di fare ascoltare una tenue e distensiva musica sinfonica al bambino che vive nel suo ventre: il battito calmo del suo cuore che vive e gusta ogni momento dell’attesa con serenità e gioia e il suo canto spontaneo, mentre attende alle normali occupazioni quotidiane, saranno, per il figlio che deve nascere, le migliori melodie. E non importa che la madre sia obbligata o spinta a raccontargli delle favolette. C’è tempo per le favole. Le voci serene, provenienti da una casa in cui regna l’armonia, saranno, nei mesi dell’attesa, le sue favole preferite.

e)      La capacità di avvertire il bambino come dono

Quando l’essere umano che si sta formando ha la fortuna di essere accolto da genitori e da una famiglia aperta alla vita, generosa nei confronti di se stessi e degli altri, l’attesa di un bambino può dare molto in quanto, quel nuovo cucciolo d’uomo, assolutamente unico e irripetibile, è avvertito come un dono. Un dono al piccolo che nascerà. Un dono a se stessi, alla propria famiglia e alla società. Un dono per il mondo. E se i genitori e gli altri familiari sapranno costantemente comunicargli in ogni momento della sua vita questa disponibilità interiore, il bambino sentirà, dentro di sé e attorno a sé, questa splendida realtà: essere per tutti un dono e mai un peso. Ciò sarà per lui fonte di sicurezza, calore e gratitudine. Servirà a rafforzare la sua autostima. Sarà utile nel creare un legame solido, stabile e ricco di fiducia, con i suoi genitori e con la realtà che lo circonda.

Ma i doni vanno accettati così come sono. Se, invece, i genitori hanno delle attese e un’immagine irrealistica del figlio che dovrà nascere, se si aspettano solo delle qualità positive: “Sarà, intelligentissimo, bellissimo, sempre e assolutamente sano, incapace di fare capricci; sarà sicuramente in grado di rispondere ad ogni nostra esigenza e aspirazione conscia e inconscia”. In tutti questi casi la delusione e la frustrazione non potranno che essere pesanti ed invalidanti nei riguardi della relazione genitori - figlio. Così come saranno dolorosi i risvolti nei confronti del piccolo, il quale avvertirà se stesso come incapace di dare piacere e gioia ai suoi genitori, così come ogni bambino vorrebbe[4]. D’altra parte, se il figlio si conforma a questa eccessiva ed irrealistica idealizzazione, da parte dei genitori vi sarà il rischio di contribuire ad un’ipertrofia del proprio Io, con segni di onnipotenza che potrebbero portarlo a vivere in maniera eccessiva ogni frustrazione, nel momento in cui, nel corso della vita, sarà costretto a confrontarsi con i suoi limiti e con i suoi errori[5].

 

f)       Una realtà di coppia stabile

La presenza di una coppia stabile, costituita da due persone di sesso diverso, unite da un saldo legame sociale, è elemento essenziale sia per vivere bene la gravidanza, sia per la futura educazione ed allevamento del bambino. La presenza di un saldo legame sociale, come può essere quello del matrimonio, in tutti i popoli ed in tutte le epoche è consequenziale a questa necessità. I motivi che rendono importante una condizione di coppia stabile e quindi di famiglia solida e duratura, sia durante la gravidanza che dopo, sono numerosi:

  1. l’essere umano è estremamente complesso per essere educato da un solo genitore;
  2. in due si affrontano meglio i momenti difficili;
  3. la vita interiore del bambino necessita di due figure genitoriali;
  4. i possibili motivi di crisi o malessere possono essere più facilmente superati se, accanto al bambino, sono presenti due genitori;
  5. due genitori di sesso opposto permettono di introitare più facilmente una corretta identità e ruolo sessuale;
  6. la funzione educativa risulta più semplice quando sono presenti due genitori;
  7. un genitore solo ha maggiori problemi economici;
  8. la coppia è essenziale per una buona socializzazione del minore.

 

1)      L’essere umano è estremamente complesso per essere educato da un solo genitore

L’uomo è l’organismo più complesso da noi conosciuto. Le sue notevoli possibilità nel linguaggio, nell’intelligenza, la sua ricca e variegata vita sociale e relazionale, la sua cultura, non possono essere sviluppate e realizzate senza l’intervento di più esseri umani, ognuno con un suo compito specifico. La madre, proprio perché portatrice di qualità particolari di tipo femminili, ha la possibilità di far crescere nel bambino, maschio o femmina che sia, quelle qualità comunicative, affettive, emotive e relazionali, proprie del genio femminile, che sono indispensabili al nuovo essere umano. Mentre un padre, se è educato e si adopera in senso maschile, così come dovrebbe, può aggiungere al patrimonio materno le sue caratteristiche virili: la forza, il coraggio, la razionalità, la coerenza, la linearità e la fermezza. Qualità che sono altrettanto utili sia ai maschietti sia alle femminucce.

2)      In due si affrontano meglio i momenti difficili

Il periodo della gravidanza, e poi del parto, è spesso contrassegnato da momenti difficili, per cause organiche e psicologiche, in quanto il corpo e la mente della donna sono messi a dura prova dai numerosi e complessi adattamenti, indispensabili per ben accogliere la nuova vita che si sta formando. Soprattutto l’equilibrio interiore della madre può essere turbato a causa della maggiore fragilità emotiva, dall’ansia e dalle paure che possono sorgere nel suo animo, nel momento in cui è costretta ad affrontare questa nuova, sconvolgente esperienza e le varie difficoltà e problemi che possono sopravvenire nel corso dei nove mesi. Le sue ansie, su come procederà la gravidanza e le sue paure: di un bambino malformato, di un parto prematuro, della morte del feto, della sua morte, risulteranno notevolmente attenuate se, accanto a questa donna, vi è un uomo, padre del bambino, legato a lei da stabili vincoli sociali e di amore, capace di esserle vicino e di rassicurarla. La certezza di non essere sola in quei momenti e nei possibili frangenti che potrebbero coinvolgerla, rende la donna più serena e sicura. E questa serenità e sicurezza inevitabilmente sarà trasmessa al bambino che porta in seno. Ma anche dopo il parto, una eventuale sindrome depressiva può meglio essere prevenuta, affrontata e superata, se vi è la presenza di un uomo che sappia sostenere e confortare. Anche successivamente, quando bisognerà affrontare i tanti problemi materiali, sociali ed educativi la presenza di due genitori stabilmente uniti da un vincolo sociale e affettivo è fondamentale. Ci accorgiamo di ciò soprattutto quando questo legame non esiste. In questi casi è frequente osservare sia l’uomo sia la donna annaspare insicuri e scoraggiati, ogni volta che sono costretti ad affrontare un nuovo difficile evento o problema.

3)      La vita interiore del bambino necessita di due figure genitoriali

Il bambino ha, nei confronti dei genitori ma anche del mondo che lo circonda, sentimenti contrastanti fin dalla nascita. Se ottiene dalla persona che lo cura e che gli sta accanto quanto desiderato in quel momento: costante attenzione, tenerezza, piacere e soddisfacimento dei suoi bisogni, egli prova amore verso questa persona. Egli è lieto di quest’amore e gode di questo sentimento positivo che appaga il suo animo e riempie il suo cuore di serenità e sicurezza. Ma se quella stessa persona, in un dato momento, per un motivo qualunque: malattie fisiche, disturbi psichici, problemi lavorativi o sociali, non è più in sintonia con lui, per cui lo rimprovera, lo contrasta nei suoi desideri o non l’accontenta, così come dovrebbe, questa persona assume l’aspetto di un essere cattivo, per cui nei suoi confronti è facile che egli provi risentimento e, a volte, desiderio di morte e distruzione. Ciò lo spinge a cercare comprensione e attenzione altrove. Se accanto alla sua mamma vi è un padre, in quel momento verso di lui disponibile e capace di accoglienza e cura, la sua tristezza si placa, la sua fame di gioia si sazia, il suo cuore si rasserena ed è più facile, per questo bambino, recuperare l’equilibrio interiore che è andato momentaneamente in crisi. Cosicché permane in lui una buona fiducia, apertura e vitalità interiore che lo incoraggia ad aprirsi agli altri e al mondo. Ma se ciò non gli è possibile, in quanto accanto alla madre non vi è un padre, non vi è un uomo legato a lui da vincoli di sangue e di amore, che possa accogliere e soddisfare i suoi bisogni, rimane intrappolato nei suoi desideri e pensieri negativi e conflittuali. Distruggere o odiare consciamente o inconsciamente la persona che in quel momento gli appare cattiva, è come distruggere e odiare l’unica fonte di amore, piacere e cure a sua disposizione, per cui è come distruggere e odiare se stesso ed il mondo. In tali condizioni il bambino proverà a trovare, all’esterno della famiglia o nel proprio Io, l’elemento “buono”.

I limiti di questa possibile strategia e difesa sono evidenti in quanto non sempre, all’esterno della sua famiglia, vi sono persone affidabili, costantemente disponibili, presenti e a lui strettamente legate da vincoli d’amore. Pertanto vi è il reale rischio di avere altre delusioni che accentueranno la sua rabbia ed il suo pessimismo. Tra l’altro può essere contemporaneamente invischiato dai sensi di colpa verso il proprio genitore in quanto, la ricerca di un amore al di fuori della sua famiglia può essere vissuta come un tradimento verso la persona che, fino a quel momento, ha avuto cura di lui. L’altra possibilità: il chiudersi in se stesso, cercando nell’intimità del proprio Io l’elemento consolatore buono, lo costringe a rinunciare al sentimento di fiducia e apertura verso gli esseri umani e verso il mondo;  ciò, inevitabilmente, porterà una notevole riduzione della spinta vitale e sociale e quindi lo costringerà alla chiusura e alla solitudine che non potrà che accentuare il suo malessere.

Per Bettelheim[6] : “Questo dimostra, ancora una volta, come sia importante per il bambino avere vicino i due genitori, in modo che, quando i rapporti con l’uno sono turbati, egli possa trovare conforto nelle reazioni, fondamentalmente diverse, dell’altro, così da controbilanciare la negatività del primo genitore”.

 

4)      I possibili momenti di crisi o malessere possono essere più facilmente superati se accanto al bambino sono presenti due genitori.

Sappiamo che la vita di una persona, anche la più sana ed equilibrata, subisce dei momenti di crisi per cause organiche o psicologiche. Non sono rare le malattie che possono impedire o mettere in difficoltà le capacità di cura e di attenzione di uno dei genitori, come non sono rare le problematiche psicologiche, anche momentanee o reattive a qualche evento difficile o luttuoso, che possono impedire il sereno e costruttivo rapporto con i figli. Tali malesseri fanno parte della condizione umana. La possibilità che in tali frangenti vi sia un’altra persona che sostituisca, in tutto o in parte, il genitore in difficoltà, permette al bambino quella continuità educativa e di cure di cui egli non può fare a meno.

5)      Due genitori di sesso opposto permettono di introitare più facilmente una corretta identità e ruolo sessuale.

Se accanto al bambino vi sono costantemente due figure genitoriali di sesso opposto, è possibile garantire al bambino una corretta identità e un adeguato ruolo sessuale. Qualità queste importanti per un buon equilibrio psichico, che gli potranno permettere di vivere serenamente i rapporti affettivi ed amorosi con l’altro sesso e, nello stesso tempo, gli daranno in futuro la possibilità di offrire alla propria donna e ai propri figli le specifiche caratteristiche maschili: forza, determinazione, coerenza, linearità; e quelle femminili: dolcezza, capacità di ascolto e di cure, comprensione, tenerezza, accoglienza.

6)      La funzione educativa risulta più semplice quando sono presenti due genitori.

Quando sono presenti due genitori è più facile che nelle funzioni educative si stabilisca un gioco di squadra nel quale ognuno dei due assume su di sé un compito specifico, sostenuto e aiutato dal compagno. Sapere di poter contare su un altro dà sicurezza e serenità, allontana i dubbi, le perplessità e le paure, per cui il risultato sarà sicuramente migliore, che non pensando o pretendendo di assumere su di sé tutti i ruoli e tutti i compiti.

Oggi purtroppo questa esigenza viene sempre di più sottovalutata a causa della falsa, maggiore sicurezza sulle proprie capacità economiche, fisiche e psichiche, ma anche a motivo dell’eccessiva e mal riposta fiducia nei confronti dei servizi sociali, i quali dovrebbero accompagnare la persona sola lungo il corso della sua esistenza. “Perché preoccuparsi di avere accanto a sé un uomo, il padre del bambino, quando io guadagno benissimo per cui posso tranquillamente fare a meno dell’apporto materiale di quest’uomo?” “Perché preoccuparsi di avere accanto un uomo quando io possiedo un carattere forte e deciso per cui non avrò problemi nell’affrontare con grinta e determinazione tutte le possibili difficoltà che la vita potrà presentarmi?” “Perché chiedere l’aiuto di un uomo quando sono certa che lo stato mi assisterà con i suoi servizi sociali, con i suoi medici e con le sue istituzioni, sia durante sia dopo la gravidanza?”

Abbiamo detto che i servizi danno una falsa sicurezza, in quanto non hanno, per loro natura, nessuna delle caratteristiche necessarie ad un compito educativo primario. Compito educativo che necessita di essere sostenuto da un legame affettivo stabile, responsabile e continuo nel tempo.

Pertanto, un genitore solo rischia di oscillare, nella quotidiana attività educativa, da un comportamento troppo rigido ad uno troppo permissivo, senza riuscire a trovare il giusto equilibrio in quanto è attanagliato dal dubbio e dall'incertezza di non fare ciò che più e meglio serve nei confronti del figlio. Un genitore solo spesso non sa e non capisce quale sia il comportamento educativo più corretto, in quanto non ha la possibilità di confrontarsi e di dialogare con l’altro. La mancanza d’aiuto e di sostegno lo rende facilmente ansioso, timoroso ed insicuro. Il genitore solo è privo, inoltre, della possibilità di mediazione nei confronti dei figli.

Spesso, un genitore che svolge il suo difficile compito in solitudine, rischia di essere coinvolto in un rapporto con i figli eccessivamente inglobante, con conseguente attaccamento ansioso o morboso. A sua volta questo patologico attaccamento, nonché la gelosia del proprio primato e del riconoscimento affettivo, potrà nel tempo limitare o impedire alla prole i normali investimenti affettivi ed amorosi al di fuori della sua famiglia.

Quando a guidare una famiglia è solo una madre, sono frequenti nella donna il senso di solitudine, l’insicurezza e la paura di non farcela, di non riuscire, di non saper bene educare il figlio, con conseguente ansia e sensi di colpa. La madre single si chiede se davvero è in grado di dare al figlio tutto ciò che gli serve. Pesa eccessivamente ogni decisione, avendo continuamente paura di sbagliare; tende ad oscillare tra atteggiamenti permissivi e autoritari, senza mai trovare un equilibrio stabile, una linea di condotta coerente[7]. Accanto a queste paure vi sono il timore ed il sospetto di trasmettere ai figli le proprie insicurezze ed ansie, tanto da impedire loro di raggiungere un sano equilibrio. Vi è inoltre il rischio di instaurare un rapporto simbiotico con i figli, che possono assumere di volta in volta il ruolo di amici e amiche, così da sostituire l’amore per un uomo. In tal modo viene ad essere limitata la loro crescita affettiva e sociale.

Ma anche il padre single ha i suoi problemi. L’uomo, non essendo geneticamente predisposto per le cure intime e personali, nel vivere quotidianamente con i figli, fa fatica ad assumere un rapporto flessibile, caldo, delicato ed accogliente, in quanto con difficoltà egli vede e sente le sfumature emotive nei dialoghi e nelle situazioni, pertanto è più propenso a dare risposte immediate ai problemi della famiglia, piuttosto che a far rivivere e far sedimentare le emozioni dei figli.

7)      Un genitore solo ha maggiori problemi economici

Quando è solo un genitore a guidare una famiglia, spesso le condizioni economiche sono più ristrette e precarie in quanto, pur restando quasi invariate le spese generali, le entrate economiche risultano dimezzate.

8)      La coppia è essenziale come strumento di socializzazione

È la coppia che dà concreto e vivente esempio di come si gestisce un rapporto interpersonale, fatto di accettazione dell’altro per quello che è, e non per quello che si pretende che sia, mentre, nello stesso tempo permette di evidenziare la bellezza del servizio reciproco tra i coniugi. È il vivere in coppia che può permettere di dimostrare al bambino come si possa condurre una vita comunitaria, organizzata non su supporti gerarchici ma su una parità integrativa. È la coppia che abitua il bambino ad uscire dall’io per costruire il noi.[8] È, infine, la coppia che aiuta e supporta il superamento della fase edipica.

Condizioni che possono compromettere il benessere del feto e del bambino

Il benessere del bambino che deve nascere può essere, al contrario, compromesso quando sono presenti:

a)      una scarsa maturità personale;

b)      una modesta capacità di mettersi in comunione con il nascituro;

c)      un ambiente ansioso;

d)     una visione distorta o alterata della gravidanza;

 

a)      La scarsa maturità personale

La scarsa maturità può essere dovuta ad un’età troppo precoce dei genitori, ma, il più spesso oggi, più che la giovane età, la causa della scarsa maturità va ricercata in un’educazione poco efficace ed attenta nello stimolare e sviluppare tutte quelle qualità che concorrono alla formazione di un uomo e di una donna maturi, attenti e responsabili.

b)     La scarsa capacità di entrare in comunione con il nascituro

Per alcuni genitori è difficile entrare in comunione con il nascituro.

Alcuni, soprattutto i padri, avvertono la presenza del figlio solo dopo la nascita. Mentre quest’ultimo si trova nel ventre materno, lo sentono come qualcosa di cui occuparsi, piuttosto che come un essere umano con il quale cominciare ad entrare in comunione e in confidenza. Per entrambi i genitori è difficile mettersi in sintonia con il figlio che deve nascere quando i loro disturbi psicologici sovrastano e alterano la comunicazione e l’empatia necessarie. La loro mancanza rende difficile se non impossibile comprendere gli stati mentali del piccolo, in quanto non si riesce a percepire i suoi più intimi aspetti emozionali.

 

c)      La presenza di un ambiente ansioso

Una madre ansiosa è già in allarme prima ancora di decidere di avere un figlio, per cui si chiede continuamente se sia o non sia un bene per lei e per la sua famiglia affrontare una gravidanza e una maternità. La preoccupano i mille ipotetici rischi. L’età, ad esempio: “Ho l’età giusta per avere un bambino?” “Sono forse troppo immatura?” O al contrario: “Sono forse troppo anziana per cui vi possono essere dei rischi per me e per il nascituro?” L’angosciano i rischi di tipo medico, ginecologico ma anche quelli ereditari: “Come sarà il futuro di questo figlio, se sua nonna soffre di diabete?” “Se io, da anni, soffro di allergie e insonnia; se sua zia è morta di tumore, cosa sarà di questo bambino?” La preoccupano le proprie capacità gestionali ed educative: “Saprò essere per lui una buona madre?” “Saprò educarlo nel modo giusto?” “Riuscirò a difenderlo da tutti i pericoli presenti nella nostra sciagurata società?”

Questo stato di tensione ed indecisione può durare per anni, sconvolgendo anche la vita del partner e degli altri familiari più sereni, ai quali la madre ansiosa chiede mille consigli e mille suggerimenti per fugare i suoi dubbi. D'altra parte, quando questi consigli e questi suggerimenti le sono offerti non riesce a farli propri e attuarli se non per brevi periodi.

Nel momento in cui la tanto sospirata decisione è stata presa e quindi lei si ritrova in attesa di un figlio, per placare tutte le preoccupazioni che aveva e continua ad avere, le sono necessarie numerose e frequenti visite ed esami medici che, se placano per qualche ora la sua ansia, le fanno sorgere, già il giorno dopo, ulteriori perplessità e paure che la spingono ad effettuare ulteriori accertamenti alla ricerca di un’assoluta sicurezza, impossibile da raggiungere.

Questa continua ed incessante tensione materna non può non riflettersi sul figlio in grembo il quale, non solo sente il battito eccessivamente frequente della madre e la tensione del suo addome, ma è invaso, a sua volta, dagli ormoni adrenalinici che lei rilascia abbondantemente in circolo. Ormoni che mettono in allarme anche il corpo e la mente del nascituro, stressandolo inutilmente. Se poi la madre ansiosa percepisce qualche segnale di rischio per il figlio, la situazione di allarme si accresce notevolmente. In questi casi il nascituro può diventare agli occhi della donna, ma anche dell’intera famiglia, un peso difficile da sostenere, sia economicamente sia psicologicamente. E da ciò, a considerarlo un bambino che provoca guai già prima ancora di venire al mondo, il passo è breve! In definitiva è come se un’orchestra iniziasse la sua ouverture con qualche nota stonata. Gli ascoltatori ne trarranno una sensazione negativa per tutto il tempo dell’esecuzione dell’opera.

Durante la gravidanza anche le madri normali hanno dei momenti di ansia, a causa di una situazione di maggiore fragilità e vulnerabilità psichica. Questi momenti di ansia diventano più frequenti e l’emozione provata diventa più intensa, quando la persona, per sua natura presenta una fragile emotività. In questi casi, se la madre del piccolo ha accanto a sé per sostenerla, aiutarla e confortarla, un marito sereno, tranquillo ed equilibrato, che vede la vita e gli avvenimenti in modo obiettivo e positivo, il problema, almeno in parte, si ridimensionerà. Le parole rassicuranti, i baci, i suggerimenti, le attenzioni particolari del coniuge, saranno capaci di diminuire di molto lo stato di tensione della consorte. Se invece anche il padre lamenta gli stessi problemi, sarà difficile che possa essere quella sponda serena, stabile e sicura, su cui la madre potrà far conto e appoggiarsi per placare i suoi dubbi, le sue perplessità o anche le sue crisi d’ansia. In questi casi, nei confronti del nascituro, le problematiche causate dalla condizione di allarme saranno nettamente più gravi. Lo stesso dicasi per le altre persone che stanno accanto alla madre: genitori, nonni, zii, cugini. Anche loro hanno, nei confronti dell’ambiente del bambino, un ruolo attivo e importante in quanto possono incidere positivamente o negativamente sul benessere della donna in gravidanza. Notevoli stimoli ansiosi possono provenire inoltre, da parte dei pediatri o dei familiari, i quali, a volte, sommergono di eccessivi consigli, suggerimenti e attenzioni la neo-mamma.

d)     Una visione distorta e alterata della gravidanza

Anche una visione distorta della gravidanza può compromettere il futuro benessere del feto e poi del bambino. Questa può essere vista come:

  • ricatto e costrizione;
  • intrusione;
  • rischio;
  • motivo di ansia e angoscia;
  • elemento disturbante il rapporto di coppia.

 

La gravidanza come ricatto e costrizione   

Non sono rari i casi nei quali la gravidanza diventa uno strumento di ricatto e costrizione nei confronti degli altri. Per motivi biologici facilmente comprensibili, in genere è la donna che attua questo tipo di ricatto nei confronti dell’uomo e della famiglia di quest’ultimo: “Tu non mi chiedi di sposarti. Tu vuoi liberarti di me. Ebbene io ti costringo, rimanendo incinta, a sposarmi o, se proprio insisti a non legarti a me, dovrai mantenere per decine d’anni questo bambino”. “I tuoi non mi vogliono. Ai tuoi non piaccio, ebbene io, sposandoti, li costringerò ad accettarmi”.

L’aggressività e la violenza che sottostanno al ricatto hanno frequentemente, come contropartita, una ricaduta negativa sia nei confronti della donna che lo attua, sia nei confronti del figlio. Nell’uomo che subisce il ricatto possono nascere pensieri di questo genere: “Ebbene sì, tu mi hai costretto a sposarti ma io...io non ti rispetterò, io ti tradirò con la prima venuta, io non contribuirò all’educazione e alla formazione di questo bambino, in quanto strumento del tuo ricatto, anzi, quando meno te l’aspetti mi vendicherò su di te e sul tuo bambino”. In questi casi il rifiuto colpisce il figlio ma anche la madre. Non è difficile immaginare quanto possa essere teso e distruttivo un ambiente pregno di costrizioni, ripicche, vendette e rifiuti.

La gravidanza come intrusione

Quando, ad esempio, la relazione tra i due partner è fatta solo di scambi affettivi e sessuali o peggio, solo di questi ultimi, senza un grande, impegnativo progetto comune, quel bambino che si sta formando nel ventre materno è facile che sia avvertito come un elemento estraneo ai sentimenti e ai desideri della coppia in quel momento e, di conseguenza, può nascere il rifiuto. In queste circostanze, quando l’amore è considerato solo un gioco piacevole da fare in due, non vi è posto per la responsabilità, l’impegno, la cura, l’educazione e la crescita di un nuovo essere umano, pertanto emerge ed è prevalente il rifiutodella maternità (reiezione materna).

Può essere avvertito come un intruso anche il bambino di quei coniugi nei quali è presente una disarmonia affettiva. Questi vivono il loro rapporto senza quell’unione di anime e quel dialogo profondo che dovrebbero sempre permeare un rapporto di coppia.

Il rifiuto della maternità può essere causato dalla difficoltà ad accettare un ruolo di adulto da parte di genitori immaturi o nei quali è ancora evidente il legame edipico. Infine, altri motivi di difficoltà possono scaturire da ristrettezze economiche o da eccessivi coinvolgenti ed impegni professionali o di carriera.

A volte, solo uno dei due partner, soprattutto la donna, ricerca istintivamente o anche razionalmente la gravidanza, senza il consenso dell’altro. In questi casi solo uno dei due genitori avverte come estraneo il bambino inseritosi nell’ambito della famiglia e della coppia, mentre per l’altro, il figlio che deve nascere è fonte di gratificazioni e risponde all’espressione di un desiderio. Se questa situazione permane anche dopo la nascita è facile che il figlio avverta un solido legame affettivo solo nei confronti di chi l’ha desiderato e accettato, mentre verso chi non l’ha voluto e apertamente lo rifiuta, non vi sarà un vero legame, oppure la relazione sarà vissuta con molta diffidenza, se non con aperta ostilità.

Il rifiuto dei genitori può essere consapevole o inconsapevole, transitorio o durevole[9]. È evidente che il bambino subirà un maggior danno psicologico quando più il rifiuto persisterà nel tempo. Inoltre, il sentimento di rifiuto potrà essere intenso, modico o lieve. Pertanto anche le conseguenze potranno essere più o meno gravi. I sentimenti di rifiuto possono provocare una maggiore aggressività e conflittualità tra i genitori ed il figlio. A volte compare, invece, un atteggiamento educativo eccessivamente perfezionista, ma anche un iperprotezionismo e una ipersollecitudine compensatoria a causa proprio dell’intimo rifiuto avvertito con senso di colpa[10].

La gravidanza come rischio

La gravidanza può essere vissuta come rischio in quelle società che condannano, come atto di grave immoralità, ogni rapporto sessuale al di fuori del matrimonio. In queste società i rapporti sessuali, evidenziati dall’avvenuta gravidanza, sono puniti severamente sia dai genitori sia dall’ambiente sociale e giudiziario. Altrettanto rischiosa appare la gravidanza quando le condizioni ambientali ed economiche non sono adeguate al sereno accoglimento e sostentamento del bambino, o quando le condizioni psicologiche, anatomiche o mediche della madre non sono in grado di ben accogliere un nuovo essere umano.

È difficile, in questi casi, definire a priori il vissuto dei genitori e quindi le conseguenze sul figlio, in quanto gli elementi in gioco sono molteplici. Vi è la possibilità che verso questo bambino si avvertano sentimenti di rifiuto e per cui sia percepito come fonte di problemi, guai e pericoli, ma è anche possibile che queste madri o questi genitori si leghino ancora di più all’infante che hanno concepito con coraggio e in una situazione di difficoltà e rischio.

La gravidanza come motivo di ansia e angoscia

Quando le condizioni psicologiche della madre o del padre sono tali da vivere ogni cambiamento della realtà preesistente con apprensione ed eccessiva preoccupazione, l’elemento gratificante e piacevole dell’attesa è sostituito da pensieri angoscianti su cosa fare, come farlo, a chi chiedere aiuto, e così via.

La gravidanza come elemento disturbante il rapporto di coppia

La gravidanza, per il suo notevole impatto sulla coppia, costringe a modificare i precedenti schemi relazionali, in quanto il rapporto a due diventa, necessariamente, un rapporto a tre. L’inserimento di un altro elemento: il nascituro, può essere gestito correttamente solo se i genitori possiedono quella maturità, sensibilità, duttilità e disponibilità, necessarie per condividere questa esperienza. La condivisione però non significa scambio o confusione di ruoli, ma dovrebbe impegnare ogni elemento della coppia ad attivarsi per affrontare, nel modo più opportuno, questo evento, mettendo in campo le qualità specifiche del proprio sesso. Negli ultimi decenni, invece, la condivisione si è focalizzata su aspetti marginali, trascurando gli elementi basilari. Si costringe il futuro padre a partecipare agli esercizi di preparazione al parto, ma non lo si stimola ad attuare quegli atteggiamenti di presenza, sostegno, protezione e rassicurazione, necessari nei confronti della donna in attesa, la quale spesso, essendo in questo periodo più fragile psicologicamente, può essere facile preda di paure, insicurezze e ansie. Altrettanto dicasi della partecipazione al parto. Mentre si lasciano in sala d’attesa le donne, come le madri e le suocere, che per cultura, per qualità specifiche di tipo femminile e per esperienza personale, potrebbero dare alla donna un’assistenza più qualificata e serena, si costringe il marito a restare accanto alla moglie nel momento del parto. In questi casi non si tiene in alcun conto che questo evento, naturale e fisiologico quanto si vuole, è quasi sempre associato a notevole ansia e ad immagini, gesti e odori sgradevoli, se non nettamente cruenti e angoscianti per chi vi assiste per le prime volte, soprattutto se chi assiste è il marito della donna e padre del bambino. Questa coatta partecipazione, più che unire la coppia, può lasciare sfavorevoli o addirittura sconvolgenti residuati nell’animo dell'uomo, con sensi di risentimento sia nei confronti della moglie, che lo ha costretto a questo tipo di partecipazione, sia nei confronti del bambino che, per venire al mondo, ha avuto bisogno di coinvolgere la sua donna in situazione così drammatiche e dolorose.

In conclusione, se come abbiamo detto i sentimenti della madre, ma non solo di questa, prima e durante la gravidanza, possono influenzare profondamente il suo atteggiamento nei riguardi del bambino che nascerà, non vi è dubbio che una corretta prevenzione, sia a livello sociale che familiare, dovrebbe impegnare gli operatori ad affrontare non soltanto gli aspetti medici ma soprattutto gli aspetti psicologici e relazionali legati a questo evento.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 45.

[2] In Italia oltre 4700 mamme hanno meno di 19 anni. La maggiore concentrazione è al sud: Sicilia 780, Campania (644) Puglia (441). Dati Adnkronos Salute 2008

[3] Wenner, in Bowlby  J., (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 111.

[4] Gillini G., Zattoni M., (1994), Ben-essere in famiglia, Brescia, Editrice Gueriniana, p. 19.

[5] Gillini G.,   Zattoni M., (1994), Ben-essere in famiglia, Brescia, Editrice Gueriniana, p. 20.

[6] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p.204.

[7] Stefani J., (2006), “Donne al timone”,  Psicologia contemporanea,  195, p. 15.

[8] Moro A. C., (1994), “Diritti del minore e diritti degli adulti: uno scontro insolubile?”, La famiglia, n° 166, anno XXVIII, luglio –agosto, p. 22.

[9] De Negri M. et al., (1970), Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi Editori, p- 130.

[10] De Negri M. et al., (1970), Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi Editori, p. 130.

 

 

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