Le manifestazioni aggressive del bambino
L’aggressività è sempre presente nell’essere umano e assume le più varie forme in base all’età. È presente nel neonato, come nell’adolescente o nell’adulto, anche se variano le modalità e gli strumenti con i quali viene manifestata ed espressa.
Già nei primi mesi di vita, soprattutto quando le sequenze abituali non sono rispettate o le consuete gratificazioni non compaiono al momento giusto, il neonato, se irritato o insoddisfatto, dimostra la sua aggressività mordendo il capezzolo della madre, stringendo i pugnetti, rigurgitando o rifiutando il cibo.
Nel bambino di due – quattro anni, la collera e l’aggressività si manifestano quando egli è frenato, contrastato, frustrato, nelle sue aspettative in modo eccessivo.[1] A quest’età, quando la madre, per fare le pulizie o perché stanca di vederlo correre in giro per la casa, lo isola per qualche momento nel box o nel suo lettino egli, come un adirato prigioniero, manifesta la sua indignazione sbattendo i giocattoli sul lettino o sul box. Altri bambini, nel desiderio e nella ricerca di far del male, si attaccano, strappandoli, ai capelli della madre o della sorella. Tuttavia, con la maturazione affettivo-relazionale vi è una graduale diminuzione nell’uso dell’aggressività o un suo utilizzo prevalente nel gioco simbolico. Come dice Spok[2]:
“Un bambino normale impara a controllarsi a poco a poco, crescendo, attraverso le manifestazioni delle propria natura e i buoni rapporti con i genitori. A uno-due anni, quando è arrabbiato con un altro bimbo, è capace di morsicagli un braccio senza un attimo di esitazione. Ma a tre-quattro anni ha già imparato che l’aggressività violenta è una brutta cosa, però gli piace fingere di uccidere sparando ad un ipotetico indiano”.
Per Bollea[3] lo sviluppo della pulsione aggressiva passa per tre stadi:
a) In una prima fase il bambino non si rende conto del male che i suoi atti ostili possono fare ad un’altra persona.
b) In una seconda fase il bambino percepisce che l’altro riceve un danno a causa della sua attività, ma non gliene importa niente e, semmai, è contento di aver esercitato un potere;
c) In una terza fase il bambino si identifica con quello che l’altro prova, percepisce che l’altro sente dolore come lui e prevede il giudizio negativo della madre sulla propria attività aggressiva.
Nella prima e nella seconda infanzia prevale l’aggressività motoria, per cui, nel periodo scolastico, i bambini tempestano di pugni la persona da cui hanno ricevuto delle frustrazioni. Spesso però aggrediscono anche i più piccoli e i più deboli: come i fratellini, le sorelline o i compagni di scuola più fragili e meno agguerriti. Verso la fine della seconda infanzia si aggiunge all’aggressività fisica anche l’aggressività verbale.
Tuttavia, globalmente, a mano a mano che procede la maturazione affettivo-relazionale, tutte le manifestazioni aggressive, sia verbali sia fisiche tendono a diminuire in quanto il minore è sempre di più capace di un maggior controllo emotivo e razionale.
I vari tipi di aggressività
Aggressività fisiologica, patologica e apparente
Così come l’adulto più pacifico e disponibile può diventare, se provocato, aggressivo, allo stesso modo anche il bambino più soddisfatto e felice può avere i suoi momenti di rabbia e di sfida e la sua voglia di distruggere e di far del male[4]. Vi è pertanto anche nel bambino un’aggressività fisiologica, usata per difendere il proprio corpo, la propria vita, i propri diritti, i propri bisogni e vi è un’aggressività patologica.
Nel bambino l’aggressività è patologica:
- quando per la sua età dovrebbe avere una buona consapevolezza dell’eventuale sofferenza inflitta agli altri;
- quando aggredisce persone o cose che non gli hanno procurato alcun male, né hanno minacciato la sua integrità fisica e/o morale, né hanno cercato di impossessarsi dei suoi beni;
- quando la reazione ai negativi comportamenti altrui è eccessiva e sproporzionata;
- quando tende ad interpretare come aggressivi dei comportamenti e degli atteggiamenti che aggressivi non sono;
Vi è poi un’ aggressività apparente che si manifesta, ad esempio, quando i bambini utilizzano i piccoli animali, soprattutto gli insetti, i vermi, le lumache ma, in alcuni casi, anche gli animali più grandi, come i pulcini, i gatti ed i cani, per giocare, ma anche per soddisfare la loro curiosità e il loro desiderio di possesso. Ad esempio, quando i bambini piccoli tolgono le ali alle mosche, schiacciano i vermi, smembrano le farfalle, tormentano i gattini o i cagnolini, tirando loro la coda, facendoli rotolare, portandoli da una parte all’altra della casa o del giardino, come fossero fatti di pelouche, non è affatto detto che queste siano manifestazioni di aggressività o crudeltà. Potrebbero essere dei comportamenti che hanno solo lo scopo di giocare, conoscere, capire o possedere. Aggressività apparente è anche quella dei fratelli che si azzuffano quando in casa non hanno nulla da fare o quella dei maschietti che nell’intervallo delle lezioni scolastiche guerreggiano, lottano e si rincorrono per giocare e per provare la loro forza, la loro virilità e destrezza, ma anche per sfogare l’energia repressa. Anche in questi casi “l’apparenza inganna”, per cui è molto meglio evitare di intervenire, punire ma anche preoccuparsi eccessivamente.
Le manifestazioni aggressive
Il bambino può manifestare la sua aggressività mediante attività motorie: mordendo, colpendo, schiaffeggiando, dando calci e pugni, lanciando sputi verso le persone, gli animali o gli oggetti .
Se il minore ha la possibilità del linguaggio l’aggressività può esprimersi verbalmente, anche mediante l’uso di parole e frasi che possono offendere, insultare o ferire chi gli sta di fronte. In alcuni casi, al contrario, il bambino ottiene lo stesso scopo ignorando, a volte per ore e giorni, la o le persone che vuole far soffrire.
Naturalmente maggiore è l’aggressività, più frequenti sono le situazioni conflittuali sia con gli adulti: familiari e insegnanti, sia con i coetanei. Pertanto i processi d’integrazione e di socializzazione sono molto compromessi e limitati.
Altre manifestazioni di aggressività sono legate ai comportamenti oppositivi e negativisti. I bambini che utilizzano questo tipo di comportamenti si ostinano a rifiutare in modo sistematico e categorico qualsiasi richiesta venga loro rivolta, anche se, a volte, sono proposte che dovrebbero essere per loro piacevoli e congeniali. Con tali condotte il bambino riesce a rallentare o boicottare le esigenze ed i bisogni di chi, in quel momento, vuole far soffrire.
Se il bambino aggressivo è inserito a scuola, il suo comportamento spesso crea scompiglio nel gruppo classe e, a volte, anche negli altri ambienti dell’istituto. La scuola diventa per lui luogo di minacce, insulti, aggressioni, danneggiamenti e provocazioni. Gli atteggiamenti impulsivi e violenti lo portano a reagire in modo collerico e rabbioso di fronte a contrarietà anche minime, così come lo inducono a picchiare i compagni e gli adulti e a rompere gli oggetti propri e altrui. A volte, e oggi ciò accade sempre più frequentemente, questi bambini riescono a coinvolgere nei loro comportamenti disfunzionali anche i propri genitori, i quali sono sollecitati ad agire contro gli insegnanti o i loro compagni, minando e distruggendo in tal modo l’alleanza che dovrebbe sempre sussistere tra la scuola e la famiglia, nonché tra le varie famiglie degli alunni.
Differenze di genere
Per quanto riguarda le differenze di genere, i diverbi delle bambine e quelli dei bambini sono gestiti in maniera nettamente diversa. Mentre le prime per colpire gli altri utilizzano soprattutto le parole, i ricatti morali ed i comportamenti di rifiuto affettivo e di dialogo, l’aggressività dei maschi è espressa in maniera diretta, per cui tendono a difendersi ed aggredirsi fisicamente più che verbalmente. Se i maschietti aggrediscono i loro compagni soprattutto con pugni, schiaffi e calci, le femminucce preferiscono utilizzare il linguaggio e le cattive allusioni, per colpire gli avversari e, soprattutto, le “avversarie”. Inoltre, nell’uso delle parolacce, i maschi prevalgono nettamente sulle femmine. Questo comportamento induce i genitori e gli insegnanti a punire maggiormente e più duramente i maschietti rispetto alle femminucce.
Queste differenze di genere erano maggiormente presenti in passato, quando era prevalente un’educazione diversa tra i due generi. Attualmente, sia per il tipo di educazione molto simile tra maschi e femmine, sia per la costante frequenza di un sesso con l’altro, queste differenze si sono alquanto ridotte. Si è notato come nelle classi miste, che sono in Italia nettamente prevalenti, l’uso delle parolacce, delle minacce esplicite, ma anche il menare le mani da parte delle ragazze, sia notevolmente aumentato, rispetto a quando le classi erano divise per sesso.
Le cause
Le cause delle manifestazioni aggressive possono essere molteplici.
1. Aggressività come bisogno di crescita.
2. Aggressività come segnale della sofferenza causata da un conflitto interiore profondo.
3. Aggressività come ricerca di dialogo.
4. Aggressività come difesa dei propri diritti.
5. Aggressività come bisogno di difendersi dai comportamenti altrui ritenuti lesivi.
6. Aggressività come bisogno di difendere le persone care.
7. Aggressività come gelosia.
8. Aggressività come competizione.
9. Aggressività come emulazione.
10. Aggressività come desiderio di possesso.
11. Aggressività come espressione del senso di colpa.
12. Aggressività come conseguenza di uno stile educativo non idoneo.
13. Aggressività come disponibilità e difesa di un genitore contro l’altro.
1. Aggressività come bisogno di crescita
Il bambino ha bisogno di far crescere ed affermare il proprio Io, la propria volontà, i propri desideri, la propria autonomia. È attraverso l’affermazione di sé che l’Io del bambino si distingue dall’Io dei genitori e da quello degli altri adulti o coetanei. La capacità di dire di “no” diventa uno strumento ed un mezzo di maturazione per lo sviluppo della sua identità e personalità. Affermare se stesso come individuo diverso e separato dagli altri è, quindi, del tutto normale, durante la fase della crescita. Il genitore o l’educatore deve necessariamente tener conto dei bisogni del bambino in questo particolare periodo: bisogno di scoprire e cercare nuovi oggetti e materiali diversi; bisogno di effettuare nuove esperienze; bisogno di provare gli oggetti e gli esseri viventi, ma anche bisogno di mettersi alla prova. Questi bisogni non possono essere soddisfatti dai soliti giocattoli, dei quali sono stracolme le nostre case: tutti dello stesso materiale, tutti costruiti dagli adulti per dei giochi specifici. Gli educatori dovrebbero accettare e fare propri questi bisogni, aiutando i minori nelle loro scoperte e ricerche, collaborando gioiosamente con loro, senza intralciarli con continui “no”, che nascono per lo più da pregiudizi e ansie ingiustificate. In questi casi le frasi più frequenti che si ascoltano sono: “Questo è pericoloso: non lo toccare”; “Questo non si fa”; “Questo non è adatto a te; “Questo è sporco”; e così via.
A causa di ciò il bambino si sente bloccato in ogni sua iniziativa, nella sua creatività, nella libertà di movimento e di scoperta del mondo e della realtà circostante. Questo essere bloccato e limitato gli crea frustrazione e ansia e da ciò possono nascere dei comportamenti aggressivi.
Quando i genitori e gli educatori notano che le espressioni dell’aggressività del bambino nascono dal suo desiderio di scoperta e dal bisogno di acquisire maggiore autonomia, hanno il dovere di insegnargli le modalità migliori per affermare i propri bisogni e la propria individualità, senza utilizzare dei comportamenti che peggiorano la relazione con lui.
D’altra parte anche il bambino deve gradualmente accettare che vi sono dei giochi e delle attività che può fare e altre che non può effettuare. Deve accettare che vi sono degli oggetti che mamma e papà possono permettergli di utilizzare a modo suo e se necessario anche rompere, come vi sono degli oggetti, notevolmente pericolosi o costosi, dei quali i genitori hanno il dovere di negargli l’utilizzo. Ma anche in questo caso il figlio ha bisogno di sentire che papà e mamma sono lieti del suo bisogno di scoprire nuovi oggetti e nuovi giochi e che partecipano con piacere alle sue avventure.
Il bambino ha il bisogno di constatare che i suoi genitori hanno un grande rispetto delle sue necessità per cui se dicono di “no” a un giocattolo, sono pronti a proporgliene degli altri in cambio; oppure sono pronti ad assisterlo nell’usare il giocattolo da lui scelto, nel modo migliore e nella maniera più sicura. Inoltre egli ha bisogno di avvertire che le persone che sono a lui vicine sono disponibili ad instaurare degli accordi; che i bisogni dell’uno non contrastano ma si possono benissimo sposare con i bisogni dell’altro; infine, che se le regole ed i divieti sono pochi e giusti, si possono tranquillamente accettare.
I contrasti dai quali può nascere l’aggressività come bisogno di crescita e autonomia, sono più frequenti quando il bambino è affidato prevalentemente o soprattutto alla madre o ad altre figure femminili. Queste, per loro natura, tendono a limitare e a proteggere eccessivamente i minori, piuttosto che stimolarli ad utilizzare nel modo migliore anche strumenti e materiali nuovi e diversi. Questo atteggiamento iperprotettivo e limitante si accentua quando il bambino è curato da persone che, vuoi per le loro problematiche psicologiche, vuoi per l’età o per il loro ruolo, tendono a vedere con facilità, in ogni comportamento del piccolo, pericoli inesistenti e disgrazie incombenti.
2. Aggressività come segnale della sofferenza causata da profondi conflitti interiori
Fin dai primi mesi di vita il bambino ha nei confronti del mondo, e quindi della madre e del padre e degli altri familiari, un doppio atteggiamento: da un parte vi è amore, quando essi lo sanno capire, accettare, consolare, difendere, manifestando rispetto, affetto, stima, considerazione e attenzione verso di lui, dall’altra egli può avvertire risentimento, rabbia e anche odio, quando la madre, il padre o gli altri familiari non comprendono o non soddisfano pienamente i suoi bisogni più profondi ed essenziali. Ciò può avvenire, ad esempio, quando non gratificano i suoi comportamenti, quando nell’educazione prevale un eccessivo rigore piuttosto che l’amore ed il rispetto. Risentimento, rabbia e odio, il bambino può manifestare anche quando è costretto a vivere in un clima frequentemente conflittuale: in un ambiente nel quale prevale la tensione, rispetto alla serenità, la discordia rispetto alla concordia, la insofferenza rispetto all’accettazione, la disistima rispetto alla stima reciproca.
Per Bollea[5]: “L’aggressività può dare comportamenti negativi e più tardi distruttivi solo ed essenzialmente come reazione ad un conflitto esterno o interno, conflitto che, a seconda del periodo evolutivo in cui è sorto, fissa, in parte, anche per i periodi successivi la modalità dell’aggressività propria di quel periodo.
Questi bambini spesso sono denominati “bambini suscettibili” in quanto, essendo estremamente sensibile al giudizio e ai comportamenti altrui, si offendono e si arrabbiano molto facilmente. Quando tutto ci va bene, quando il nostro animo è sereno e soddisfatto, accettiamo facilmente le frustrazioni che la vita inevitabilmente comporta. Ciò non avviene quando il nostro animo è turbato e la sofferenza scuote il nostro cuore. In questi casi anche la minima frustrazione diventa insopportabile, per cui la rifiutiamo energicamente, in quanto sconvolge il già precario equilibrio della nostra psiche. I bambini suscettibili diventano facilmente di cattivo umore, tendono ad essere molto critici verso gli altri, non accettano gli scherzi, si chiudono facilmente in se stessi. Poiché sono molto sensibili al tono della voce, agli atteggiamenti, alle espressioni, i loro rapporti sociali sono difficili.
In tutte le circostanze, nelle quali l’ambiente di vita del bambino non è consono ai suoi bisogni, l’aggressività manifestata segnala, oltre all’interiore sofferenza, anche la necessità di rivalsa per le sofferenze subite, le quali sono momentaneamente alleviate, mediante i comportamenti aggressivi.
Il distruggere, ad esempio, a scuola, ciò che è caro agli altri bambini, strappando i loro quaderni, rompendo le loro matite, scagliando su di loro le gomme, offre un momentaneo sollievo all’angoscia interiore di questi bambini. Abbiamo detto momentaneamente, in quanto questo tipo di manifestazioni innesca un circolo vizioso, fatto di rimproveri, note sul registro, allontanamenti dalla classe e dalla scuola, punizioni, manifestazioni di disistima da parte degli insegnanti e dei compagni. Tutto ciò, a sua volta, non fa che aumentare la sofferenza del minore e quindi, di conseguenza, vengono alimentati ulteriori comportamenti aggressivi e/o distruttivi.
In questi casi è necessario rompere questo circolo vizioso: eliminando tutto ciò che fa star male il minore e instaurando con lui un rapporto nuovo e diverso. Un rapporto che gli permetta di esprimere e manifestare, mediante il dialogo o il gioco il suo dolore, le delusioni, le sofferenze intime subite, i sensi di colpa, i pensieri aggressivi e distruttivi. In questi casi, in definitiva, è necessario instaurare un rapporto che gli permetta di avere fiducia negli altri, nella vita e nel mondo.
Infine, poiché tra i fattori delle turbe del comportamento primeggiano i fattori psico-ambientali e fra essi la “psicologia dei parenti, anzi, in alcuni casi, la psicopatologia, non solo delle figure parentali ma di tutto il nucleo familiare e il suo grado d’interazione nell’ambiente circostante”(Mastrangelo 1975 p. 249), è spesso indispensabile un aiuto psicologico a queste figure parentali mediante delle opportune psicoterapie.
3. Aggressività come ricerca di dialogo
Dietro alcuni comportamenti battaglieri e bellicosi dei bambini, si nasconde spesso il desiderio di attenzione e di ascolto. Il bambino, in questi casi, si comporta male per comunicare quei bisogni che sono stati trascurati o non presi nella giusta considerazione. Sono dei messaggi del tipo: “Sono stanco, ho bisogno di allontanarmi dagli altri e di essere portato nella mia stanza e nel mio lettino per riposare”. Oppure: “Ho bisogno di coccole da parte di mamma e papà, i quali, per tutta la serata, sono stati impegnati ad ascoltare gli altri e mi hanno trascurato”. O ancora: “Mi mancano i giochi con mamma e papà, troppo occupati nel lavoro. Mi manca il poter ascoltare le loro fiabe e parlare con loro, piuttosto che stare sempre davanti alla tv”.
In tutti questi casi, cosa consigliare ai genitori se non di ascoltare e soddisfare i bisogni dei loro figli?
4. Aggressività come difesa dei propri diritti
L’uomo, come tutti gli animali, possiede l’istinto di proteggere quanto è suo, quanto gli è caro, o ciò che è indispensabile alla sua salute fisica e psichica.
Attaccare chi ci minaccia, chi ci sottrae qualcosa di importante o non tiene conto dei nostri sentimenti e bisogni, è un comportamento istintivo fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Questo tipo di aggressività fisiologica cessa quando la minaccia viene a mancare o si attenua.
Ad esempio, l’aggressività del fratello maggiore verso il minore quando questi, approfittando della protezione dei genitori verso di lui, gli sottrae i giocattoli e scappa via o peggio li butta e rompe per dispetto.
Vi sono altri diritti che il bambino cerca di difendere. Ad esempio, il diritto di affrontare la vita e l’incontro con gli adulti ed i coetanei sconosciuti, con la giusta gradualità: “Mi avete portato alla scuola materna senza tener conto delle mie paure e della mia sofferenza: adesso tocca a me farvi soffrire”. Il diritto di vivere in un ambiente tranquillo: “Non sopporto le vostra grida, i vostri bisticci, le vostra urla, le vostre accuse reciproche”. Il diritto ad avere dei genitori adulti e responsabili: “Non accetto che mamma porti in casa i suoi fidanzati, imponendomi di rispettarli e accoglierli come fossero persone di famiglia o, addirittura, come fossero nuovi papà, mentre per me sono solo delle persone odiose che compaiono per qualche tempo, per poi scomparire, improvvisamente, senza alcun motivo apparente, lasciandomi sempre più solo e confuso”.
In queste situazioni è necessario saper ascoltare le ragioni del figlio, prima di decidersi a pensare che, in ogni caso, chi manifesta aggressività ha sempre torto e quindi merita rimproveri e castighi.
Questo non significa che bisogna accettare ogni atteggiamento aggressivo, ma che è dovere degli adulti capire se, e per quanto tempo, il bambino è stato privato di qualche suo diritto. Diritto che ora egli reclama con mezzi sicuramente eclatanti, ma comprensibili, data la sua età. Per fortuna, quando ci mettiamo in ascolto e ci sforziamo di comprendere le sue motivazioni, così da offrirgli o ridargli quanto gli era stato ingiustamente tolto o negato, molto spesso questi atteggiamenti negativi scompaiono come d’incanto.
5. Aggressività come bisogno di difendersi dai comportamenti altrui, ritenuti lesivi
Quando i bambini sono inseriti in comunità scolastiche e in gruppi sociali o sportivi nei quali i rapporti tra i coetanei sono caratterizzati da atteggiamenti prevaricatori e violenti, è facile che i minori si sentano costretti a utilizzare le stesse modalità negative degli altri coetanei, per difendersi o autotutelarsi. Questi comportamenti possono essere attuati anche dai bambini sereni e responsabili, che provengono da famiglie nelle quali è esclusa la violenza nei rapporti tra persone. Quando gli insegnanti ed educatori in genere si accorgono di ciò, a nulla valgono le punizioni e gli atteggiamenti repressivi individuali o di gruppo. In questi casi bisogna iniziare a ragionare sul perché si è creato questo clima di violenza, e su quali possono essere i migliori programmi educativi da attuare su tutto il gruppo interessato al problema. Vale sempre la pena raggiungere gli obiettivi di una sana e serena convivenza, anche se, per ottenere ciò, si dovesse impegnare una notevole quantità di tempo e di energie.
6. Aggressività come bisogno di difendere le persone care
Il bambino si trova spesso nella necessità di difendere delle persone care o per lui importanti, come possono essere mamma e papà, i propri fratelli, le proprie sorelle, gli amici, da chi cerca di infangare il loro nome o la loro dignità. Purtroppo, nei contrasti fra minori, sono frequenti gli insulti verso i genitori dell’altro: “Tua madre è…” “Tuo padre è…” “Sei figlio di …”, ai quali il bambino si sente costretto a rispondere con altri insulti, minacce o comportamenti maneschi. Meno evidente ed esplicita è la difesa che il bambino attua quando è un familiare ad offendere e parlar male di un altro familiare: la mamma contro il papà, la nonna contro il genero e viceversa. In questi casi non vi è, di solito, un’immediata risposta bellicosa contro chi infanga o accusa. Più spesso nasce un forte risentimento, che però viene tenuto celato. Risentimento che si manifesterà soltanto in altre occasioni, provocato, a volte, anche da banali e futili motivi, sotto forma di pseudo-capricci o espliciti comportamenti irritanti. Anche in questo caso, prima di reagire all’aggressività del bambino, con altrettanta violenza, è bene cercare di capire ciò che turba il suo animo e correggere i comportamenti propri o degli altri.
7. Aggressività come gelosia
La gelosia, e quindi la rivalità, possono evidenziarsi sia nei confronti degli altri bambini sia nei confronti degli adulti. Si può essere gelosi del fratellino appena nato o di quello particolarmente benvoluto da parte di uno o di entrambi i genitori. Si teme infatti, che il fratellino possa usurpare il proprio ruolo predominante. Si può essereei compagni di classe, in quanto più bravi o più benvoluti dagli insegnanti. Si può essere gelosi anche di uno o di entrambi i genitori quando, come avviene oggi sempre più spesso, dopo la separazione o il divorzio, papà e mamma iniziano delle altre “storie” con nuovi “amici e amiche”, “fidanzati o fidanzate”, “mariti o mogli”.
La gelosia patologica colpisce frequentemente i bambini insicuri: insicuri delle loro qualità, insicuri dell’amore e della presenza dei loro genitori, insicuri della bontà degli altri, ma anche del mondo che li circonda. In questi casi bisogna raggiungere l’obiettivo di ristabilire nel minore una buona autostima e ricostruire la fiducia nei propri genitori e negli altri.
8. Aggressività come competizione
Sappiamo che la contesa ed il confronto in ambito familiare, scolastico o sportivo, tende a far emergere notevoli atteggiamenti violenti. Frequentemente, purtroppo, la competizione viene provocata ad arte, in famiglia da parte dei genitori, a scuola ad opera degli insegnanti, nello sport dagli allenatori. Essere il più bravo dei compagni di classe, prendere il voto più alto, essere il migliore della scuola, vincere e umiliare gli avversari nelle gare sportive, sono considerati dagli adulti come il modo migliore per stimolare al massimo le capacità dei minori. Per ottenere dai bambini il massimo della grinta e della motivazione, così da raggiungere gli obiettivi prefissati, gli adulti non lesinano l’utilizzo di un linguaggio nettamente aggressivo. Quest’atteggiamento infantile da parte degli educatori non tiene in alcuna considerazione il fatto che le capacità e la maturità di un bambino non si misurano in voti o in vittorie sportive! D’altra parte non crediamo sia il caso di aggiungere ulteriori stimoli aggressivi, rispetto a quelli già abbondantemente presenti nei programmi televisivi, nei film e nei videogiochi!
9. Aggressività come emulazione
Il bambino apprende e poi imita gli atteggiamenti ed i comportamenti che scorge nel suo ambiente di vita. Non è difficile quindi che riproduca anche i comportamenti violenti che osserva attorno a sé. In questi casi l’aggressività nasce dal modellarsi allo stile comportamentale di chi gli è più vicino o della persona con il quale egli si identifica. Per tale motivo gli adulti hanno il dovere di dare costantemente il buon esempio nel ben controllare la propria impetuosità.
Lo stesso avviene negli adolescenti inseriti tra i giovani del “branco”, i quali, condizionati dalle regole presenti nel gruppo, hanno notevoli difficoltà a controllare i propri comportamenti e atteggiamenti violenti. In questi casi il singolo individuo si sente come sollevato e deresponsabilizzato dalle decisioni personali, in quanto avverte il dovere di accettare le decisioni prese dai capi o dalla maggioranza dei coetanei. Per tali motivi il minore non agisce aggressivamente per frustrazione o per scaricare l’ansia eccessiva, ma per aderire ad una logica di gruppo, che vede la violenza come necessaria e coerente con i bisogni del gruppo stesso.
L’emulazione non si limita, purtroppo, alla visione dei comportamenti degli altri adulti o dei coetanei presenti nella sua vita reale, ma può riguardare anche gli atteggiamenti osservati nella tv, nei film e nei video giochi. Spesso, senza che i genitori, troppo impegnati o assenti, riescano a fare da filtro, i minori sono in contatto con delle rappresentazioni nei quali l’aggressività e l’arbitrio la fanno da padroni. In molte trasmissioni della tv da molti anni prevalgono modelli di eroi senza paura ma anche senza pietà e senza alcuna disponibilità all’ascolto e alla comprensione dell’altro. L’adulto da imitare è veloce, forte, sicuro di sé, ma molto spesso è anche decisamente violento e privo di ogni sentimento di pietà nei confronti dei “nemici”. Agli spettacoli della tv e dei film si aggiungono i videogiochi, dove distruggere l’altro, con tutte le armi a disposizione, è quasi sempre la regola base del gioco, per cui alla lunga l’aggredire e il distruggere diventano atteggiamenti “normali”, piacevoli e divertenti nella vita dei minori. Questo tipo di violenza riduce le inibizioni e non educa sicuramente alla necessità di ricercare e trovare soluzioni alternative ai problemi e ai conflitti tra esseri umani.
Com’è facilmente comprensibile, l’influenza negativa di questi strumenti di comunicazione è tanto maggiore quanto più il bambino è piccolo, in quanto, data la sua immaturità, non ha la possibilità di elaborare criticamente i messaggi che riceve, così come non è in grado di discriminare correttamente le differenze esistenti tra vita reale e fantasia. La suggestione è nettamente maggiore anche nei bambini, negli adolescenti e nei giovani che presentano problematiche psicoaffettive, che li rendono più fragili e suggestionabili.
La prevenzione di questo tipo di violenza va attuata certamente nelle scuole ed in famiglia ma, le maggiori responsabilità sono a livello sociale. È lo Stato che ha i mezzi normativi per evitare che la violenza rappresentata entri in ogni ora del giorno e della notte nelle case, nelle stanze e negli animi dei minori ma anche degli adulti.
10. Aggressività come desiderio di possesso
Il movente del possesso è originato dall’impellente desiderio infantile di esercitare un potere e di pretendere per sé una posizione di maggior controllo sugli altri, o di possedere, in modo esclusivo, un oggetto o un ruolo.
Il bambino che strappa la palla al fratellino più debole e indifeso, tende ad esercitare su di esso un potere, in quanto si sente più grande e più forte. Allo stesso modo però, un bambino piccolo, mediante il pianto, il lamento e gli strilli, fa in modo che la madre, pur di assecondarlo, tolga, per darlo a lui, l’oggetto desiderato che appartiene al fratello maggiore. Anche in questo caso, pur se indirettamente, il bambino più piccolo utilizza, mediante la madre, un potere sul fratello maggiore.
Controllare ed educare questo desiderio di potere è possibile, non solo mediante le parole, ma anche con l’esempio degli adulti.
11. Aggressività da senso di colpa
Quando il bambino avverte un forte senso di colpa e di vergogna, tende ad aggredire non solo colui che ha generato questo sentimento, ma anche chi, innocentemente, si trova in quel momento sulla sua strada. Quando i genitori ma anche gli insegnanti o altri adulti, con le parole o con i comportamenti inducono nel bambino dei sensi di colpa, questi avverte il senso di colpa come una ferita, la quale ha bisogno di un comportamento vendicativo ed aggressivo per essere in qualche modo risanata.
12. Aggressività come conseguenza di uno stile educativo non idoneo
Vi sono degli stili educativi nei quali ai minori sono trasmessi i valori dell’accoglienza, della fratellanza, dell’amore, dell’accettazione e del dono, ma vi sono purtroppo anche degli stili educativi nei quali sono trasmessi disvalori: come la violenza, la prepotenza, la protervia e lo sfruttamento dell’altro ai propri fini. In questi casi è costantemente sottolineato l’errato principio del rispondere “occhio per occhio e dente per dente” a quanto subìto. Vi sono, inoltre, stili educativi nei quali i genitori utilizzano costantemente e frequentemente le punizioni psicologiche, morali o fisiche. Questi stili educativi errati sollecitano ad accettare e utilizzare l’uso della forza e della violenza in molte, troppe occasioni della propria vita. Se questi sono i motivi dell’aggressività del bambino in oggetto, si impone un cambiamento radicale dello stile educativo dei genitori, anche mediante un lungo e costante training familiare.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente"
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[1] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 62.
[2] Spok B., (1957), Il bambino, Milano, Editore Longanesi e C., p. 423.
[3] Bollea G., (1985), “L’aggressività nell’età evolutiva”, Federazione medica, XXXVIII – 3, p. 267.
[4] Isaacs S., (1995), La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, p.75.
[5] Bollea G., (1985), “L’aggressività nell’età evolutiva”, Federazione medica, XXXVIII – 3, p. 267.