Problematiche psicoaffettive

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La Pet Therapy o terapia assistita dagli animali

 

L’essere umano è sempre stato in contatto con gli animali: piccoli o grandi che siano. I bambini si rapportano prima con i piccoli animali: farfalle, chioccioline, bruchi, formiche, coccinelle e poi con animali di più grossa taglia, come uccelli, cani, conigli, agnelli, caprette, cavalli. Pertanto sono noti fin dall’antichità i benefici che la loro presenza offre allo sviluppo psicoaffettivo dei minori: compagnia, gioco, comunicazione, conforto. Questi benefici sono dovuti alla pazienza di molti animali da compagnia, e alla loro disponibilità ad accogliere, non solo le carezze dei piccoli esseri umani, ma anche i loro contatti corporei, più rudi e improvvisati.

La Pet Therapy o terapia assistita da animali non è un semplice giocare con uno o più animali: essa è, invece, un’attività terapeutica vera e propria, finalizzata a migliorare le condizioni fisiche e psichiche dei pazienti, mediante la compagnia di un animale. Questa terapia ha lo scopo di creare un rapporto di tipo socio-affettivo-relazionale tra il bambino e l’animale, simile a quello che potrebbe nascere tra due esseri umani che hanno la possibilità di costruire un’amicizia e un’intesa reciproca. È necessario però considerarla sempre come una terapia di supporto agli altri interventi terapeutici e, quindi, non può sostituirsi ad essi.

 

La Pet Therapy può migliorare la qualità della vita dei bambini che presentano problematiche di tipo affettivo-relazionale, in quanto l’animale, essere capace di relazione, affetto e comunicazione, è in grado di creare nel bambino delle emozioni positive e rilassanti di compagnia e gioco, in quanto, per sua natura, ha la capacità di stabilire con gli esseri umani delle relazioni molto semplici ed essenziali. L’animale, a differenza dei coetanei, ma anche di alcuni adulti più irritanti, non fa domande che possono mettere in imbarazzo il bambino, non lo rimprovera, non lo giudica, non lo prende in giro, non lo emargina. Accetta incondizionatamente e si lega a chi ha di fronte, qualsiasi sia la sua patologia o problematica psicologica. Pertanto facilita la crescita affettiva del bambino, rafforza i suoi comportamenti emotivamente più adeguati, lo aiuta a sviluppare un’immagine positiva di sé, riduce nel contempo la sua ansia e collabora a migliorare il suo tono dell’umore. Di conseguenza il bambino diventa più capace di affrontare le situazioni di stress, i traumi e le frustrazioni.

Gli animali più frequentemente utilizzati nella Pet Therapy sono i gatti, i cani, i cavalli, gli asini, gli uccelli, i delfini, i pesci, i conigli, le tartarughe, i pulcini.

Ogni animale viene associato ad un certo tipo di disturbo.

Il cane, data la sua vivacità e affettuosità, è utile per i bambini più apatici, chiusi, tristi o depressi. L’osservazione dei pesci nell’acquario, che si muovono lentamente e silenziosamente nel loro mondo liquido, aiuta a diminuire l’ansia e quindi rilassa notevolmente. Gli uccellini, in quanto piccoli e morbidi, stimolano tenerezza e amore anche nei soggetti aggressivi, mentre il cavallo, simbolo di forza, eleganza e virilità, facilita i rapporti sociali, aumenta l’autostima e la fiducia in se stessi, pertanto è più utile ai soggetti timidi e complessati. Il delfino, dato il suo naturale desiderio di giocare e comunicare con gli esseri umani, è indicato per i bambini colpiti da turbe dell’apprendimento, dell’affettività, della relazione, del comportamento, della coordinazione muscolare e del linguaggio. Questo cetaceo aiuta a migliorare la fiducia in se stessi e stimola le capacità motorie e comunicative dei bambini. La delfinoterapia è utile anche perché l’elemento animale si combina e si somma alla piacevolezza dell’elemento liquido, che è sicuramente capace di ridurre lo stress e la tensione, riportando il bambino ad una condizione di primitiva felicità.

Tutti gli animali poi, dati i loro bisogni di accudimento, pulizia, alimentazione e cura, stimolano la presa a carico di un altro essere vivente e apportano gratificazione, mentre aiutano il soggetto ad uscire dalle sue problematiche.

 

Come tutte le terapie anche questa, se non ben valutata, presenta dei rischi.

Un primo rischio da evitare è quello di non migliorare, ma di peggiorare l’ambiente di vita del bambino.

Ricordo Mario, un bambino autistico il cui papà alla ricerca di “un qualcosa” che risolvesse i problemi del figlio, aveva inopinatamente accolto in casa un cane, in quanto aveva letto dei “miracoli” della terapia assistita dagli animali. Questo papà non aveva tenuto nella giusta considerazione il fatto che ospitare un animale comporta dei doveri e dei compiti. Doveri e compiti impossibili da adempiere non solo da parte di Mario, in quanto eccessivamente disturbato, ma anche dai suoi genitori, che avvertivano questi compiti come troppo gravosi. Pertanto il comportamento di papà e mamma, a causa dello stress conseguente a questi nuovi impegni ai quali li costringeva la presenza del cane, peggiorò notevolmente. Ma anche il bambino a causa delle sue numerose e intense fobie, non riuscì ad accettare la presenza ingombrante dell’ animale. In definitiva le problematiche del figlio peggiorarono notevolmente.

Pertanto, prima di decidere se prendere o non un animale in casa, è bene valutare sia il grado di accettazione da parte del bambino, sia la propria disponibilità ad accogliere un altro essere vivente, il quale necessita di numerose attenzioni e cure. In definitiva l’animale può essere utile, se questa presenza, all’interno della famiglia, è capace di migliorare tutto il clima familiare.

 

Un altro rischio di questa terapia è quello di pensare che un animale possa sostituire il rapporto interpersonale con gli esseri umani: ciò è impossibile. Un animale non può sostituire un genitore assente, né è in grado di prestare l’attenzione, la cura e il calore affettivo che solo degli esseri umani possono e dovrebbero dare. Pertanto, quando in un bambino sono presenti delle problematiche affettivo-relazionali di un certo rilievo, bisogna innanzitutto riuscire a curare le difficoltà ed i limiti delle persone che vivono accanto a lui, piuttosto che “affidare”, in modo semplicistico, il bambino ad uno o più animali, immaginando che questi possano sopperire alle deficienze degli umani: siano essi genitori, familiari o insegnanti. 

Le attività espressive nei bambini con disturbi psicologici

 

Tutte le attività espressive: uso della creta, della plastilina, il disegno, la pittura, la musica, il racconto, l’arte drammatica, sono utili al benessere psicologico del bambino, in quanto questi, quando ha la possibilità di esprimersi liberamente, ha anche l’occasione di rivelare a se stesso, prima che agli altri, il suo mondo interiore, fatto di pensieri, sentimenti, emozioni e, contemporaneamente, ha l’opportunità di elaborare le sue profonde emozioni, mentre commenta e fantastica sull’opera effettuata.

L’espressione simbolica ha essenzialmente la funzione di evidenziare, mediante la produzione immaginativa, i propri conflitti e le proprie problematiche, mentre, contemporaneamente, dà la possibilità di liberarsene. In questo senso tutte le attività espressive sono anche terapeutiche, in quanto riescono gradualmente a modificare il comportamento di chi le attua, prima nella finzione e poi nella realtà.

 

Il disegno e il racconto libero

Con questa tecnica si invita il bambino ad effettuare un disegno, utilizzando soltanto una matita, un foglio di carta e una serie di colori. Si chiede al bambino di disegnare quello che lui desidera e si aggiunge che, se vuole, può colorare il disegno che effettuerà. Si lascia quindi a lui la scelta del soggetto da disegnare e, se desidera colorarlo, si lascia alla sua discrezione la scelta dei colori. Quando il bambino ha completato il disegno gli si chiede qual è il soggetto rappresentato e quale racconto egli vorrebbe costruire, partendo da quanto ha disegnato. Si può aiutare il piccolo a meglio chiarire e sviluppare il contenuto di quanto esposto, mediante alcune domande, ma senza mai intervenire sui contenuti. Per ampliare il racconto e fare emergere i contenuti più interessanti si può chiedere, ad esempio: “Un giorno cosa successe?”.

Questa tecnica che è in genere ben accetta in un’età variabile tra i cinque e i dieci anni, permette un approccio dolce e rispettoso nei confronti del mondo interiore del minore, così da conoscere direttamente quali sono i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue emozioni, le sue paure, mentre, contemporaneamente, permette al piccolo di liberarsi dai turbamenti e conflitti che scuotono il suo animo, comunicandoli ad una persona amica. Una persona amica e degna di fiducia non solo perché il suo intento è quello di dare aiuto a lui, ma anche perché gli dimostra il suo affetto ascoltandolo, senza nulla chiedere, senza nulla pretendere.

Pertanto, proprio per rispettare fino in fondo i desideri e la volontà del minore, nel caso in cui questi non desideri effettuare alcun disegno o non voglia raccontare una storia, si accetta serenamente questa sua scelta.

La musicoterapia

“La musica è ovunque. Senza musica la nostra vita sarebbe come un mondo privo di colori. Fin dalla nascita reagiamo con dei micro-movimenti in risposta ai ritmi, alle cadenze, al succedersi armonico dei suoni. La musica è fuori e dentro di noi. Passa attraverso il corpo e non ci lascia indifferenti. Il nostro organismo è fatto per recepirla, risponderle e capirla (Oliverio Ferraris, 2008)”.

La musica nasce con l’uomo: il bambino, quando inizia a camminare, se ascolta della musica, muove il suo corpo seguendo il ritmo di questa. È innato nell’uomo il piacere di ascoltare, ma anche di fare musica, con gli oggetti più strani e inconsueti. Tanto che sono numerosissimi gli strumenti musicali inventati e poi utilizzati dagli esseri umani, nelle varie epoche e presso i vari popoli.

 

La musica è un ottimo strumento di comunicazione atto a rinsaldare i legami sui quali si basano le società umane; facilita l’interazione fra i sessi; influenza positivamente l’umore; ha il potere di rilassare o stimolare; procura emozioni ed eccitazione. Pertanto, da sempre, le attività musicali sono state usate in molti momenti della vita umana. La musica è essenziale quando si vuole creare gioia, eccitazione e complicità nei momenti dell’incontro amoroso, come durante il corteggiamento e il matrimonio. Allo stesso modo risulta essenziale nei riti religiosi o per aiutare il dialogo e la comunione con Dio. La musica serve a festeggiare gli avvenimenti più importanti, come gli onomastici, i compleanni, i matrimoni, la raccolta dei frutti della terra. Allo stesso modo tutti i popoli utilizzano, per consolare gli animi, i canti e la musica nelle cerimonie funebri. La musica viene eseguita in guerra per infondere coraggio ai propri soldati e per impaurire gli avversari, ma anche per festeggiare la pace.

D’altra parte tutte le mamme, di ogni epoca e di ogni popolo, hanno utilizzato e utilizzano il canto e la musica, mediante le ninne-nanne, per calmare il pianto del loro piccolo e per favorire il suo addormentamento. Allo stesso modo tutte le mamme di ogni cultura ed epoca hanno utilizzato e utilizzano per i loro bambini i canti e le filastrocche, allo scopo di far ridere o facilitare l’apprendimento.

Fare musica migliora le capacità intellettive. Scrive la Bonfranceschi[1] (2013, p. 21): “I risultati hanno dimostrato come i musicisti precoci, oltre a essere più abili negli esercizi di coordinazione psicomotoria, avevano anche una maggiore quantità di materia bianca nella regione del corpo calloso, un’area che permette ai due emisferi – zone motorie comprese – di collaborare, connettendoli attraverso le fibre nervose”.

 Quasi tutti i bambini, pertanto, hanno interesse per la musica. Non è da oggi, quindi, che la musica viene utilizzata come mezzo terapeutico: per rilassare o stimolare; per sviluppare la creatività o per permettere un miglior dialogo con il corpo; per aiutare a liberarsi dalle tristezze e dalle tensioni ma anche per dare gioia, forza, determinazione; per incoraggiare la meditazione e l’introspezione ma anche per permettere una migliore socializzazione ed integrazione con il gruppo dei pari.

Gli scopi delle musicoterapia possono, quindi essere mirati a:

  •   risvegliare la sensibilità;
  •   affinare le percezioni sensoriali[2] (Wagner, 2010, p. 26);
  •   migliorare le capacità intellettive;
  •   migliorare le capacità di movimento e la coordinazione[3] (Wagner, 2010, p. 28);
  •   rendere l’attività fisica più divertente e quindi più accetta;
  •   sviluppare l’abilità dei gesti;
  •   insegnare al bambino a sentire e ad ascoltare in modo attivo e consapevole;
  •   esternare i vissuti difficilmente traducibili nel linguaggio verbale;[4]
  •   evadere dai pensieri più truci e tristi della vita quotidiana;
  •   stimolare l’immaginazione e la creatività;
  •   sviluppare lo spirito di gruppo;
  •   sviluppare il senso dell’ordine e della disciplina;
  •   ridurre la tensione psichica;[5]
  •   abbassare la frequenza cardiaca, rallentare la respirazione, alleviare il dolore, ecc.

Le tecniche variano in funzione dei bisogni del bambino, tenendo conto della sua età e delle esigenze del momento. In musicoterapia, in base alle esigenze particolari del minore, si può utilizzare una tecnica collettiva o individuale.

La tecnica collettiva si applica quando il minore è capace di seguire il ritmo del gruppo. Le tecniche individuali sono utilizzate quando il bambino è troppo piccolo o presenta gravi disturbi psichici e quindi non è in grado di seguire il ritmo del gruppo e di integrarsi con esso. In questo caso, il fatto che il bambino si trovi da solo con l’educatore gli infonde tranquillità e sicurezza, poiché si sente immune dalle critiche dei compagni.

In musicoterapia vi sono fondamentalmente due metodi.

  1. Il metodo attivo. Questo consiste in una partecipazione attiva del soggetto mediante il movimento, l’euritmia, la ritmica, la danza, il canto, i giochi cantati, i girotondi o la pratica di uno strumento. Tra i metodi attivi la ritmica è il sistema più noto. Nella ritmica, che in genere è accompagnata dal pianoforte, la musica e il movimento sono combinati e i loro effetti terapeutici si integrano, si completano e si associano. In molti casi si lascia che il bambino improvvisi dei movimenti sotto l’influenza della musica senza suggerirgli nulla. In altri casi si possono suggerire delle immagini, che il bambino deve eseguire mediante il suo corpo o mediante le note musicali. Nell’euritmia, un altro dei metodi attivi, la musica fornisce i ritmi che stimolano la volontà, placano le emozioni, regolano il movimento, apportano ordine, chiarezza e determinazione. L’utilizzazione dell’uno o dell’altro metodo dipende dal tipo di disturbo da affrontare, ma anche dallo strumento che si vuole utilizzare e dal brano musicale che si vuole eseguire. Il canto ha una triplice funzione: diagnostica in quanto consente di scoprire il carattere e il temperamento del bambino, mediante le diverse sfumature del suo timbro di voce; educativa e terapeutica in quanto il modo con il quale si fanno cantare i bambini può aiutarli a superare le loro angosce e può essere decisivo per la formazione del loro carattere. Il canto mimato è un canto in cui gli atti e le situazioni dei personaggi sono evocati dai gesti, dalla mimica o dalla danza. Questo tipo di canto permette di far emergere la personalità dei piccoli, mentre soddisfa il loro desiderio di azione. Il canto mimato, inoltre, facilita nei bambini lo sviluppo dello spirito d’osservazione, della creatività e dell’iniziativa. I girotondi e i giochi cantati, infine, hanno la funzione di sviluppare l’immaginazione, insegnano il rispetto delle regole e dei ruoli assegnati e favoriscono la coordinazione tra le immagini mentali e i gesti.
  2. Il metodo passivo utilizza invece soltanto l’audizione della musica. In questo caso si scelgono i brani musicali più adatti, in base agli scopi che si vogliono raggiungere: rilassare, calmare, dare vigore e coraggio, eccitare, infondere gioia ecc.

Gli strumenti

In base agli strumenti utilizzati si possono avere effetti diversi.

Gli strumenti a percussione, come il tamburo, la grancassa, il triangolo, accolgono bene l’aggressività e l’eccitabilità del bambino, pertanto sono indicati quando è presente irritabilità, aggressività e instabilità psicomotoria.

L’uso degli strumenti a corda, come la lira, il violino, il violoncello e l’arpa, a motivo del loro suono molto dolce e armonico, sono usati per migliorare la respirazione e lo stato emotivo del soggetto.

 La danza libera, popolare e folcloristica, è particolarmente indicata per i soggetti tristi e malinconici, in quanto infonde gioia e allegria.

Lo psicodramma

Per molti bambini che presentano tratti nevrotici o disturbi psicoaffettivi in senso lato, risultano efficaci tutte le tecniche di drammatizzazione che permettono di liberare, in modo efficace, ed a volte risolutivo, le problematiche che travagliano il loro mondo interiore.

Lo psicodramma analitico è una tecnica psicoterapica introdotta negli anni venti da J. L. Moreno[6] ed ha il vantaggio di rivolgersi e coinvolgere più soggetti contemporaneamente. I partecipanti sono il protagonista, o soggetto; il direttore, o terapeuta principale; gli Io ausiliari e il gruppo. Il protagonista presenta un problema privato o di gruppo; gli Io ausiliari lo aiutano a dare vita al suo dramma personale e collettivo e correggerlo. Ognuno, a turno, propone un tema e vengono distribuiti i ruoli. La composizione del gruppo permette di costituire una famiglia. Per Moreno le esperienze poco gratificanti o chiaramente frustranti, vissute nel passato, non scompaiono ma rimangono a livello inconscio nell’animo dei bambini, pressando, con la loro carica d’ansia, il loro Io. Nello psicodramma tali esperienze possono venire liberate con più facilità, in quanto sono rivissute in un’atmosfera irreale e come di gioco. Per attuare lo psicodramma viene scritto soltanto un canovaccio partendo dai suggerimenti dei bambini, specie di quelli disturbati e viene effettuata una rappresentazione improvvisando le battute.

I ruoli possono e devono cambiare, in modo tale da vivere diverse esperienze. Pertanto lo stesso bambino potrà scegliere di effettuare anche ruoli contrastanti e contrapposti, come contrastanti e contrapposti sono spesso i sentimenti che si agitano nel cuore di ognuno di noi. Solo in un secondo momento viene attuata la razionalizzazione di ciò che si è vissuto nella scena, cercando di dare un perché alle azioni e alle parole.     

Lo psicodramma serve in definitiva a:

•      comunicare liberamente i propri vissuti interiori;

•      far scoprire i sentimenti, per poi controllarli;

•      liberare aggressività, collera, rabbia e conflitti interiori.

 

La psicomotricità                                               

La psicomotricità studia ed educa l’attività psichica mediante i movimenti del corpo.[7] È uno strumento importante nei disturbi psicoaffettivi in quanto, attraverso l'ascolto del proprio corpo che si muove nello spazio, che si rilascia, che si contrae, che pulsa e vive nel mondo circostante, in relazione agli altri e agli oggetti, il bambino esprime e scopre anche le emozioni che lo coinvolgono. Questa terapia investe tutto l’insieme della personalità in quanto, specialmente nell’infanzia, i fenomeni motori sono strettamente legati a quelli psichici. Il controllo sul corpo diventa anche un controllo sulle tensioni interiori. Al contrario, la liberazione delle tensioni muscolari aiuta anche la liberazione delle tensioni interiori, delle ansie, delle paure e dell’aggressività. In tal modo la psicomotricità migliora il rapporto con se stessi, con gli oggetti e con le persone attorno a noi. Questo tipo di terapia agisce sia sul piano psichico, sia sul piano motorio, per cui permette una migliore organizzazione spazio-temporale ed una più vivace e ricca espressione gestuale. Essa favorisce la socialità, la parola, la mimica e, agendo sull’emotività, aiuta a sviluppare una migliore padronanza di sé, una maggiore sicurezza personale, un miglioramento dell’inibizione affettiva.

La rieducazione psicomotoria offre buoni risultati su numerosi sintomi psicoaffettivi: instabilità psicomotoria, iperemotività, autismo, enuresi, tic, ma anche sui disturbi del linguaggio, come la balbuzie. Nei soggetti inibiti, chiusi, impacciati, maldestri si utilizzano esercizi disinibitori come la danza, il canto, lo sport, il gioco. Nei soggetti instabili, ansiosi, irrequieti, nervosi, con difficoltà nell’attenzione e nella concentrazione sono utilizzati soprattutto gli esercizi per l’attenzione, quelli per il rilassamento, e gli esercizi sensoriali. Nei soggetti meno gravi possono essere attuati degli esercizi di gruppo, in quelli più gravi si preferisce un trattamento individuale.



[1] Bonfranceschi  A.  L., (2013), “La musica fa bene al cervello”, Mente e cervello, n° 100, aprile.

[2] Wagner B., (2010), “Musica per il cervello”, Psicologia contemporanea, Gennaio- febbraio.

[3] Wagner B., (2010), “Musica per il cervello”, Psicologia contemporanea, Gennaio- febbraio.

[4] Galimberti U.,     (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, p. 169.

[5] Galimberti U.,     (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, p. 169.

[6] Moreno in Arieti S., (1970), Manuale di psichiatria, Torino, Boringhieri, p. 1673.

[7] Galimberti U.,     (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, p. 248.

 

Le terapie mediante il gioco

 

Il gioco è stato spesso usato nella psicoterapia infantile, in quanto il bambino, fino ad una certa età, non ha le capacità linguistiche adatte a comunicare i pensieri e le emozioni più profonde e vere. Durante il gioco il bambino manifesta direttamente e senza alcun problema i suoi interessi e i suoi bisogni, le sue ansie e le sue paure.

I giochi guidati

I giochi possono essere guidati dai genitori, dagli insegnanti o da altri adulti. Questa tipologia di gioco ha il pregio di “insegnare” al bambino quello che non sa, quello che non conosce, quello che non riesce a fare. Il limite di questo tipo di attività consiste nel pensare al bambino come a colui che non sa, che deve apprendere o deve essere guidato da noi adulti ad effettuare qualcosa che pensiamo sia a lui utile.

I giochi liberi

I giochi liberi sono quelli che vengono effettuati di solito con i coetanei. In questa tipologia di giochi i partecipanti si mettono d’accordo su quale attività effettuare, sulle regole da seguire, sugli strumenti o giocattoli da utilizzare e su eventuali ruoli che ognuno deve rappresentare durante il gioco. Ad esempio: “Giochiamo agli indiani. Tu fai il pellerossa, io e Marco saremo i soldati che catturano l’indiano, dopo una furiosa lotta. Questi bastoni sono i fucili e le spade e queste sono le frecce. Tu poi vieni liberato da Antonio e Luca, che sono i tuoi amici indiani e scappi; noi cercheremo di riprenderti”.

In questo tipo di gioco il bambino ha maggiori possibilità di sviluppare le sue capacità sociali. In quanto, se a volte sarà lui a condurre il gioco, altre volte, pur di partecipare, sarà costretto ad accettare le regole che gli altri hanno dettato al gruppo o comunque dovrà imparare a mediare con gli altri le modalità della sua partecipazione e del suo ruolo. Questo tipo di gioco è l’ideale per i bambini con normale sviluppo psichico. Non è adatto, invece, per i bambini con rilevanti disturbi psicoaffettivi, in quanto questi non possiedono la necessaria disponibilità, duttilità, accettazione e pazienza per condurlo efficacemente.  È difficile che riescano a ben relazionarsi con il gruppo dei coetanei non solo i bambini affetti da disturbo autistico, ma anche i minori facilmente irritabili, quelli con notevole instabilità psicomotoria, i bambini aggressivi, scontrosi, ma anche quelli molto timidi, chiusi, introversi e sospettosi.

Il gioco libero autogestito

In tutti questi casi è molto più utile il tipo di approccio da noi studiato, che abbiamo chiamato Gioco Libero Autogestito. In questa modalità di gioco è soltanto il bambino interessato alla terapia a scegliere il gioco o l’attività da effettuare. L’adulto o il terapeuta, come un amico particolarmente disponibile e attento ai bisogni del minore, ha soltanto il compito di aiutare, incoraggiare e sostenere il bambino nelle sue attività e nelle sue istanze del momento. L’adulto avrà il ruolo di un affettuoso e paziente compagno di giochi che non critica e non mette in discussione quello che egli fa, tranne che la sua attività non comporti un reale e imminente pericolo per l’incolumità sua o di altre persone. In definitiva, nella tecnica del Gioco Libero Autogestito” è lui, il bambino molto disturbato, il vero leader, mentre l’adulto o il terapeuta assume il ruolo di gregario[1].

Questo tipo di terapia parte dall’assunto che per l’adulto, anche molto preparato, attento e sensibile, è difficile, se non impossibile, conoscere ciò che al bambino è utile e che può farlo stare bene, in un determinato momento, in quanto le conoscenze che egli ha della vita intima di un minore in un determinato frangente, sono molto scarse, incomplete e frammentarie. Inoltre la sua visione di adulto, le sue informazioni, ma anche i bisogni personali del momento, collaborano a deformare il suo giudizio sulla vita intima di questi bambini, impedendogli di vedere al di là delle proprie conoscenze razionali. A ciò si aggiunga che le emozioni presenti nella psiche di questi minori sono talmente lontane dalla realtà vissuta quotidianamente dagli adulti, sono talmente intense, mutevoli e, spesso, anche tanto confuse e contraddittorie, da risultare, per gli adulti di difficile, se non impossibile comprensione.

Questo tipo di gioco permette di raggiungere l’obiettivo di una migliore serenità interiore e di una maggiore fiducia negli altri, nel mondo e in se stessi, in quanto il piccolo viene messo al riparo da ogni possibile intrusione esterna. Intrusione che, in questi bambini, potrebbe comportare l’accentuazione o la stabilizzazione dell’ansia interiore e quindi del loro malessere. Ciò in quanto, più gravi sono le problematiche dei bambini con disturbi psicoaffettivi, maggiore è la loro sensibilità nei confronti delle frustrazioni. Pertanto ogni iniziativa degli adulti o dei terapeuti, anche la più lodevole, che però non è stata da quelli desiderata e richiesta in quel momento, può essere giudicata come un’intrusione e una violenza da parte del mondo esterno. Lasciare al bambino la piena autonomia e libertà, nella scelta dell’attività o del gioco da effettuare, lo fa sentire finalmente libero, attivo e autonomo. In definitiva, nel Gioco Libero Autogestito è il bambino che aiuta se stesso con il supporto dell’adulto e non il contrario. Per evitare, quindi, di peggiorare questo loro mondo interiore e il difficile rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani, il terapeuta si limiterà soltanto a collaborare alle attività del bambino e ai suoi giochi, anche se questi possono sembrare ripetitivi, inutili e sciocchi.



[1] Tribulato E., (2013), Autismo e gioco libero autogestito, Franco Angeli editore, Milano, p. 102-103.

La terapia d'ambiente

La necessità d’intervenire precocemente sui segnali di sofferenza del bambino dovrebbe essere scontata, in quanto,la maggior parte dei pazienti in trattamento psichiatrico, riferiscono di disturbi psichici presenti già nell’infanzia o nell’adolescenza (Caviglia, Zarrella[1], 2011, p. 401). Inoltre “recenti studi longitudinali hanno dimostrato la probabilità che un disturbo diagnosticato nell’infanzia possa incrementare di tre volte il rischio di malattia psichiatrica in età adulta”(Caviglia, Zarrella[2], 2011, p. 402). Pertanto intervenire precocemente è sicuramente molto utile poiché, come dicono Sogos e altri[3] (2009, p. 470):

“Sappiamo che un intervento precoce rispetto alla malattia conclamata attiva risorse, nel bambino e nell’ambiente, capaci di modificare il percorso del disturbo psicologico. Concentrare gli sforzi per capire i momenti di vulnerabilità dello sviluppo e il loro rapporto con eventi di vita stressanti, favorisce un modello di salute mentale volto alla prevenzione piuttosto che alla semplice cura”.

 

Gli apporti dei genitori e della società nella prevenzione e nella cura dei disturbi psicologici

 

Sia la prevenzione che la terapia delle problematiche psicologiche legate all’ambiente di vita del bambino richiedono l’apporto di numerosi soggetti.

Gli apporti dei genitori

Poiché il bambino, quando nasce, non è in grado di creare e gestire l’ambiente esterno, affinché sia idoneo ai suoi bisogni, a questa gestione devono necessariamente provvedere gli adulti ed in particolar modo i propri genitori. Sono gli adulti che devono operare affinché il bambino sia accolto e possa vivere in una casa accogliente, anche se semplice e pulita. Una casa dove lui abbia la possibilità di soddisfare le sue necessità di alimentazione, igiene, pulizia, ma anche i suoi bisogni di affettività, socialità e gioco, bisogni questi indispensabili allo sviluppo di ogni essere umano.

Sono gli adulti, che con il loro discernimento, con la loro volontà, con il loro impegno, dovranno provvedere affinché il bambino, nel momento in cui viene al mondo, possa trovare dei genitori sufficientemente adeguati al compito educativo e formativo.

Intanto il bambino ha bisogno di trovare, quando nasce, una buona madre, con la quale relazionarsi. Una madre capace di entrare in intimo contatto con lui. Una madre che possieda affettuosità nei modi, serenità nell’animo, disponibilità e dolcezza nelle cure; nonché buone capacità nella comunicazione, cosicché possa facilmente  instaurare un dialogo efficace con il suo bambino.

 

Tuttavia accanto a una madre un bambino che nasce ha bisogno anche di un padre che possieda buone qualità paterne: un padre sereno, tranquillo, responsabile, sicuro e autorevole. Un padre attento ai bisogni della famiglia. Un padre disposto ad impegnare le sue capacità nel seguire, proteggere, curare e guidare i suoi piccoli.

Poiché un bambino ha bisogno di vivere con dei genitori essenzialmente sereni ed equilibrati, nonostante non sia indispensabile una perfetta normalità, è tuttavia importante che questi possiedano un buon equilibrio psichico. Pertanto il futuro genitore non dovrebbe essere preda di nevrosi, psicosi o disturbi del carattere e del comportamento. Non dovrebbe essere portatore di eccessive ansie; non dovrebbe essere facile preda della depressione; così come non dovrebbe possedere una personalità rigida, ossessiva, distaccata, irritante, stressante, bellicosa, litigiosa o, peggio, violenta.

Non dovrebbe, in definitiva, presentare importanti disturbi nella relazione e nella comunicazione.

Al contrario, il futuro genitore dovrebbe sapersi mettere facilmente in ascolto, per capire le caratteristiche peculiari di ogni figlio, così da rispondere e soddisfare adeguatamente ai suoi bisogni in maniera individualizzata. Un futuro genitore dovrebbe essere capace di morbidezza, vicinanza, accoglienza, calore e disponibilità, così da dare ai figli, in base alla loro età e al loro sviluppo, una sufficiente quantità del suo tempo e delle sue energie. Un futuro genitore dovrebbe possedere buone qualità morali e spirituali, insieme a doti di fedeltà, serietà, capacità di cure e sacrifici, oltre che buone capacità e disponibilità nei confronti degli impegni lavorativi e sociali. Un futuro genitore dovrebbe, inoltre, essere capace e dovrebbe impegnarsi a costruire una vita di coppia affettuosa, stabile, responsabile, serena, dialogante, così da poter instaurare, nell’ambiente domestico, un clima sereno, gioioso e accogliente.

Da ciò consegue che la scelta del partner dovrebbe essere particolarmente consapevole, accurata e mirata. Pertanto questa scelta non può e non dovrebbe essere affidata solo ai sentimenti e alle emozioni del momento.

Gli apporti della società

Per quanto riguarda la cura verso i minori, è questo un doveroso impegno che dovrebbe essere pienamente assunto soprattutto da parte dei genitori e dei familiari, ma non solo da questi. Tutta la società dovrebbe avvertire l’importanza della cura dei minori e assumere su di sé questo fondamentale compito. Se non altro perché le conviene.

Se la società, tutta la società darà generosamente il suo impegno a favore dei cuccioli dell’uomo, avrà, dopo pochi anni, dei buoni e sani cittadini, che potranno dare con capacità, impegno, attenzione e disponibilità, il loro contributo al suo sviluppo. Se ciò non avviene, se la società o una parte di essa, per calcoli meschini o per proteggere e assicurare sempre più lauti profitti economici agli sfruttatori delle risorse umane, non riesce a far questo, i frutti di questa insipienza saranno delle persone disturbate o malate che, nei casi più lievi, avranno difficoltà a dare un contributo attivo alla collettività mediante il loro lavoro, mentre, nei casi più gravi, peseranno economicamente per molti decenni, a volte per tutto il resto della loro vita, sia sulle loro famiglie sia sulla comunità.

   Le cure necessarie al bambino


  •   Vi sono delle cure di tipo materiale. Queste mirano a proteggere ed eventualmente a curare il bambino da malattie, infezioni e traumi fisici affinché si sviluppi in modo sano, robusto e forte. Queste cure sono attente alla sufficiente e corretta alimentazione, alla pulizia del corpo e dell’ambiente dove il bambino vive, sono attivate in caso di malattie, sono impegnate a prevenire i rischi e i pericoli.
  •   Vi sono delle cure di tipo affettivo – relazionale. Queste mirano a sviluppare, e poi a mantenere nel bambino, una buona salute psichica, cosicché ogni minore riesca a sviluppare una personalità armonica, serena, socievole, affettuosa e vivace.
  •   Vi sono delle cure di tipo educativo. Queste hanno lo scopo di sviluppare tutte le qualità umane del bambino : l’intelligenza, la cultura, la socialità, la motilità, l’autonomia, il linguaggio, la moralità, la spiritualità ecc.
  •   Vi sono delle cure di tipo sociale e politico. I genitori, ma anche i familiari e la società tutta, si dovrebbero attivare nell’accompagnare e guidare il bambino nella conoscenza e nella sua integrazione con il vasto mondo sociale e politico. Possono fare ciò utilizzando una serie d’interventi rivolti a collegare i minori alla realtà esterna alla famiglia, non solo per quanto riguarda il gruppo dei pari, le amicizie e gli amori ma, soprattutto, per quanto riguarda l’impegno verso la vita, le attività sociali e politiche della città e della nazione. Ciò possono fare non solo mediante interventi di tipo culturale, ma anche, e soprattutto, stimolando nel minore lo sviluppo della volontà, del coraggio, della determinazione, della lealtà e abnegazione verso il prossimo.
  •   Vi sono infine ma non ultime per importanza, le cure di tipo spirituale e morale. Questo tipo di attenzioni aiutano il bambino a scoprire nel proprio cuore e nel mondo, i valori etici e morali delle proprie azioni, ma anche la presenza divina che sottostà a questi valori.

Tutte le cure dovrebbero avere un uguale valore nella vita del minore e quindi della società. Quando nei vari periodi storici ne sono privilegiate alcune, ritenute a torto più importanti rispetto ad altre, non si fa un buon servizio ai minori e alle future generazioni di adulti. È indubbiamente una grave lacuna impegnarsi allo sviluppo di un bambino grande e forte, se non ci impegna contemporaneamente a che sia anche psicologicamente sano e maturo.

Non ha senso far crescere un bambino con grandi doti intellettive, culturali e professionali, quando non ci si impegna, contemporaneamente, a sviluppare le sue doti morali ed etiche. Si corre il rischio che queste sue alte capacità non solo non vadano al servizio della comunità umana, ma siano utilizzate allo scopo di sfruttare e di far del male ai più poveri ed indifesi.

Inoltre è da tenere presente che tutte le cure hanno tra loro uno stretto legame. Quasi sempre le cure materiali hanno dei risvolti affettivi. Così come le cure affettive, relazionali e spirituali hanno dei risvolti materiali. Una madre che allatta il suo piccolo bebè  nutre il suo corpo, ma contemporaneamente crea e sviluppa un legame d’amore reciproco e un dialogo, con il quale nutre di affetto, sicurezza e gioia l’animo del figlio.

Allo stesso modo quando una madre fa il bagnetto al suo bambino, pulisce il suo corpo, mentre, contemporaneamente, procura al suo piccolo piacevoli e benefiche sensazioni fatte di calore, tenerezza e conforto. Sensazioni ed emozioni queste che lo renderanno più forte e sicuro di sé. Allo stesso modo, quando un bambino si esercita in uno sport non si attivano soltanto i suoi muscoli, ma anche la sua volontà e l’autocontrollo. In queste occasioni è evidente un miglioramento del suo benessere psicologico, ma anche sociale, in quanto egli apprende a rispettare le regole e i suoi compagni.

Da non dimenticare poi che quanto più un bambino cresce serenamente, tanto più il suo sistema immunitario sarà capace di rispondere meglio agli attacchi dei vari germi e quindi è più facile che lo stesso bambino cresca sano e forte.

Sappiamo anche che vi è un rapporto molto stretto tra le attività di cura e la persona o le persone che le attuano. Proprio perché le attività di cura hanno molteplici funzioni, il bambino le collega strettamente a determinate persone: vi sono delle attività che egli vuole siano effettuate solo dalla madre, come vi sono delle attività che egli desidera attuate solo dal padre o dai nonni.

Pertanto soffre quando non è questa persona ad attivarsi. Potremmo fare molti esempi. Se nei primi due-tre mesi il bambino appare indifferente a chi lo allatta, successivamente egli dimostra chiaramente gioia e interesse quando è la madre a fare ciò e manifesta, invece, disappunto quando il latte gli viene somministrato da un’altra persona. Inoltre, nel  momento nel quale sarà più grandetto verbalizzerà tutto ciò: chiederà che il biberon sia dato dalla madre e solo dalla madre, mentre accetterà che gli altri tipi di cibo siano dispensati dal padre o dai nonni.

Addirittura alcuni bambini, quando la mattina devono mangiare la zuppa di latte vogliono che sia la mamma a prepararla e non la nonna o peggio, un altro estraneo; così come chiedono che sia una determinata persona a vestirli o pulirli. Questi comportamenti, che sono spesso giudicati dei vizi o dei capricci, in realtà rispondono a precisi bisogni psicologici.  

Questa ricerca di un legame affettivo specifico persiste anche nelle prime classi della scuola primaria. Quando in queste classi, per disavventura, l’insegnante titolare si ammala o è costretta ad assentarsi, all’insegnante supplente, almeno inizialmente, non viene riservato lo stesso trattamento affettuoso e tenero: “perché quella non è la nostra maestra”, affermano con sicurezza gli alunni.

Questo comportamento non è un segnale di cattiveria verso la supplente, è solo l’espressione del bisogno che hanno i minori che un legame d’affetto si mantenga stabile nel tempo. Lo stesso avviene in molti animali i quali accettano solo dal loro padrone certe cure e non da altri.

Da quanto abbiamo detto si deduce che non è indifferente per il bambino il legame che si stabilisce tra il cibo, gli oggetti e le attività di cura a lui offerti e la persona o le persone che li offrono. Ma anche per i genitori il legame d’attaccamento verso il figlio si modificherà e potrebbe andare in crisi quando sono altre braccia a cullare il proprio bambino, quando sono le parole di altre persone a consolarlo, quando sono altre mani ad asciugare le sue lagrime, altri occhi a rispondere al suo sorriso, altri cuori a dialogare con lui. In questi casi qualcosa di importante rischia di alterarsi o potrebbe definitivamente spezzarsi.

Di queste basilari realtà psicologiche non sembra tener conto il mondo economico quando cerca in tutti i modi di ampliare il mercato degli oggetti, strumenti e servizi, offerti alle donne e alle madri, ammantandoli come un aiuto ed un sostegno alla donna e alla famiglia.

 

   Realizzazione di un ambiente familiare idoneo ai minori

Alla creazione di un ambiente idoneo allo sviluppo armonico e sereno di un bambino, oltre che i genitori e familiari di questi, deve necessariamente concorrere tutta la società.

Compito di essa dovrebbe essere quello di aiutare la formazione di famiglie sane, ma anche capaci di svolgere fino in fondo le mansioni a queste assegnate. Si parla in questi casi di famiglie funzionali. Ogni famiglia lascia, nell’animo dei suoi componenti, dei segni indelebili, sia in senso positivo che negativo, per cui è la famiglia il luogo primario e insostituibile di quelle relazioni di fiducia, reciprocità e dono, essenziali per formare, alimentare e proteggere lo sviluppo dei cuccioli dell’uomo, che saranno i nuovi cittadini di domani.

È all’interno della famiglia che nascono le future generazioni umane, ed è questa che provvede a procurare, con il lavoro dei suoi membri, le risorse necessarie per la vita comune: cibo, vestiti, abitazione, cure sanitarie e altre necessità biologiche e materiali. È la famiglia che provvede alle necessità psicologiche ed educative della prole, sviluppando la personalità dei singoli componenti.

È solo in questa basilare istituzione che troviamo quei presupposti di responsabilità, stabilità, continuità e gradualità dei processi educativi, capaci di far crescere uomini e donne con una salda e sicura identità e personalità. Uomini e donne non solo intelligenti e capaci, ma anche persone serene, mature e responsabili.

Solo nelle famiglie le future generazioni potranno trovare quel legame d’amore tra due esseri di sesso diverso, quell’affetto, quelle attenzioni e cure, capaci di sviluppare tutte le potenzialità dell’essere umano, in un clima di serenità, apertura alla vita, fiducia e sicurezza. Inoltre è soprattutto la famiglia che si fa carico in modo particolare dell’assistenza ai minori, agli anziani, ai malati e ai disabili.

È sempre in questa istituzione che i bambini attuano il miglior tirocinio al servizio degli altri, e quindi al servizio della comunità. Pertanto è la famiglia che pone le fondamenta dell’educazione ai ruoli sociali, con l’accettazione delle responsabilità verso il più vasto mondo esterno ad essa. Educazione ai ruoli sociali che si amplierà e completerà, in una fase successiva, mediante l’attività della scuola e delle altre agenzie educative.

 

È nel seno della famiglia che, nei vari popoli, si coltiva e viene espressa la religiosità più profonda e vera, in quanto è solo in questa istituzione che gli insegnamenti morali, religiosi, etici ed i valori fondamentali del genere umano sono trasmessi dagli adulti alle nuove generazioni, senza orpelli o grandi manifestazioni esteriori, ma nel modo più intimo, profondo e vero. Ancora, è attraverso la famiglia che le fondamentali conoscenze e la cultura di base dell’umanità passano alle nuove generazioni.

È tra le mura domestiche che avviene lo sviluppo dell’identità sessuale e personale che si trova allo stato potenziale nei nostri geni. Infine, è soprattutto la famiglia che sostiene i suoi membri nelle avversità e nelle tensioni connesse alle inevitabili fasi di transizione della vita, negli eventi stressanti, nei casi di disabilità, malattia, vecchiaia, o in presenza di lutti o perdite.

 Da quanto abbiamo detto è indispensabile che le istituzioni si facciano carico della formazione e della protezione delle famiglie e dei loro membri, emanando leggi e provvedimenti che aiutino a strutturare tra i sessi un’intesa efficace, cosicché tra uomo e donna si alimenti e sviluppi la fiducia reciproca e non la sfiducia e il sospetto, si concretizzi l’unione e non la disunione, cresca l’amore e non l’odio.

È compito dello Stato emanare leggi che tutelino l’integrità, la stabilità e la solidità di ogni unione matrimoniale. Leggi che facilitino la nascita di un’efficiente rete familiare, che impediscano ai mass media di penetrare nel tessuto familiare finendo per indebolirlo e disgregarlo.

     Promozione di attività lavorative idonee ai minori e alle loro famiglie

L’impegno lavorativo dei genitori ma anche degli altri familiari che hanno in cura il bambino, può avere una notevole valenza sia nell’insorgenza delle patologie psichiche, sia nella possibilità di cura di queste.

Il lavoro extrafamiliare

 

 

 

Negli ultimi decenni, da parte degli studiosi e dai mass media sono state notevolmente evidenziate e ben descritte quali fondamentali funzioni abbia il lavoro extrafamiliare.

Questo tipo di attività permette l’autonomia dei singoli e delle coppie dalle famiglie d’origine, assicurandone la sopravvivenza ed il benessere sociale, mediante l’acquisto di beni e servizi indispensabili per l’alimentazione, l’igiene, la sanità, la cultura, lo scambio sociale e le attività ludiche. Il lavoro extrafamiliare mentre contribuisce al progresso dell’umanità, consente di accendere la fantasia, sbrigliare l’immaginazione, liberare la creatività, permettendo la realizzazione dei propri sogni, dei propri progetti, dei desideri e delle aspirazioni.

Il lavoro intrafamiliare

Negli ultimi decenni non vi è stata, purtroppo, altrettanta attenzione nei confronti del lavoro all’interno della famiglia e della casa (lavoro intrafamiliare). Questo tipo d’impegno dedicato al mondo degli affetti e delle relazioni è sempre più sottovalutato; anzi, attualmente, risulta talmente screditato e svilito agli occhi dell’opinione pubblica, da essere giudicato come un lavoro di second’ordine e quindi nettamente accessorio.

 

 

 

Cosicché le casalinghe, non per scelta, ma costrette a questa condizione a causa della mancanza di lavoro extrafamiliare, quasi si vergognano della loro condizione, in quanto considerano il loro impegno all’interno della casa e della famiglia, non solo poco gratificante, ma anche inutile, vuoto, sterile, scialbo ed umiliante. Non solo, ma anche lo Stato e la società civile lo considerano come un grave problema da affrontare e superare al più presto. Ciò è avvenuto per vari motivi: lotta per la cosiddetta “liberazione della donna”; necessità da parte delle industrie di manodopera a basso prezzo; consumismo sfrenato e così via.

 

 

 

In realtà, invece, a ben guardare, difficilmente si potrebbe trovare una lavoro o un impegno altrettanto importante e fondamentale per la vita ed il benessere dei singoli individui e della società.

L’impegno intrafamiliare:

  •   è essenziale alla costruzione dell’Io dell’individuo, in quanto permette la distinzione del sé dall’altro e, successivamente, consente lo sviluppo di tutte le potenzialità umane iscritte nei geni. Queste non potrebbero attivarsi senza l’intervento di altri esseri umani legati al bambino da stabili e intensi legami affettivo-relazionali;
  •   sono frutto dell’impegno intrafamiliare la formazione della personalità di ogni essere umano; le sue capacità comunicative ed espressive; la possibilità o non del controllo delle pulsioni, delle emozioni e dei sentimenti; l’acquisizione di una corretta identità sessuale; la crescita dell’autonomia, della forza, del coraggio, della determinazione, della sicurezza; le capacità motorie, il dinamismo dell’individuo, la sua intraprendenza e determinazione;
  •   nascono dall’impegno intra familiare l’acquisizione del senso dell’onore, del dovere e della lealtà verso gli altri, il rispetto delle regole e delle norme sociali, la costruzione e la valorizzazione della rete familiare ed affettiva, rete questa nella quale sia il bambino sia l’adulto possono trovare aiuto, supporto e accoglienza in ogni momento della loro vita.

Alcuni di questi compiti sono prevalentemente, anche se non esclusivamente, materni, altri sono prevalentemente paterni; molte di queste mansioni sono appannaggio di entrambi i genitori, ma non vi è dubbio che questo tipo di lavoro e impegno sia fondamentale ed insostituibile per l’intera comunità umana.

La quantità e la qualità delle caratteristiche di un essere umano adulto sono strettamente legate alle caratteristiche dell’ambiente familiare nel quale questi è vissuto. Pertanto se questo ambiente è idoneo e favorevole, lo sviluppo del bambino sarà sereno, armonico, ricco, completo; se invece questo ambiente non è adeguato, lo sviluppo sarà monco, deficitario, disturbato o nettamente patologico.

Si può tranquillamente affermare anche qualcosa di più: il lavoro intrafamiliare è presupposto indispensabile al lavoro extrafamiliare. Senza il lavoro intra familiare, in assenza di questo o quando questo non viene svolto correttamente, è compromessa anche l’attività lavorativa esterna alla famiglia e il benessere sociale. Ciò in quanto la presenza nell’ambito della società di esseri umani con capacità e qualità carenti, disturbate o chiaramente patologiche, se da una parte impedisce ogni apporto lavorativo stabile e produttivo, dall’altra richiede ingenti risorse per la diagnosi, la cura e l’assistenza.  

Per tali motivi, per una buona e sana vita sociale, la presenza delle attività lavorative extrafamiliari deve necessariamente essere bilanciata dalla presenza di adeguati e opportuni impegni intrafamiliari.

Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile considerare il lavoro extrafamiliare come fonte per soddisfare i bisogni essenziali e non certo quelli indotti dal consumismo. In tal modo si potrebbe evitare di farne un idolo messo al centro della nostra vita, al quale sacrificare tutto : vita personale, vita di coppia, vita familiare, educazione e cura dei figli. Idolo capace di assorbire buona parte delle nostre energie fisiche e psichiche, sul quale riversare quasi tutte le nostre attese.

Quanto allo Stato, d’altra parte è necessaria una politica che valorizzi e promuova l’impegno intrafamiliare, così come sono necessarie leggi e regolamenti che sostengano in modo stabile e concreto ogni persona: uomo o donna che sia, la quale sceglie di impegnarsi a lavorare nel mondo degli affetti e delle relazioni familiari. 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico

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I disturbi delle funzioni cognitive

 

Per disturbo delle funzioni cognitive si intende l’incapacità del bambino di fornire prestazioni scolastiche: lettura, scrittura, calcolo, rispondenti alla sua età e alla classe frequentata.

Cause

Questa incapacità può avere molte cause: alcune possono riguardare il bambino, ma altre possono essere sicuramente attribuite al suo ambiente scolastico e/o familiare.

Cause genetiche e organiche

Poiché le capacità di apprendimento necessitano di strutture biologiche e funzionali atte a svolgere le attività richieste, il bambino può avere difficoltà in una o più prestazioni scolastiche in quanto le sue capacità intellettive risultano carenti o non mature in modo più o meno grave, in una o più funzioni per delle particolari predisposizioni genetiche o per una o più malattie che il soggetto ha subìto nel corso della sua vita intra ed extrauterina, malattie che hanno provocato delle alterazioni anatomiche o funzionali, a livello cerebrale. In questi casi è fondamentale 'utilizzazione di un valido programma di stimolazione logico cognitiva, come può essere "Voglia di crescere". Un programma che utilizza migliaia di schede molto graduate, atte a sviluppare tutte le capacità logico . cognitive del bambino che presenta ritardo mentale. Naturalmente questo programma  di stimolazione molto graduato e piacevole necessita dell'impegno dei genitori oltre che di quello degli insegnanti

Cause ambientali

Presenza di problematiche affettivo-relazionali.

Le funzioni cognitive non sono isolate dal contesto affettivo-relazionale. La chiave dell’intelligenza e dello sviluppo mentale sta nelle prime relazioni e nelle prime esperienze emotive vissute con la madre e con chi ha cura del bambino. Tutti gli apprendimenti, scolastici e non, sono notevolmente facilitati quando è presente una buona serenità interiore, che permette al bambino di vivere in armonia con se stesso e con gli altri, mentre l’ansia, la depressione e le paure, disturbano notevolmente le capacità di attenzione e concentrazione. Capacità queste indispensabili in tutti gli apprendimenti, in quanto determinano una maggiore e più stabile memorizzazione, migliore rendimento nei processi di analisi e di sintesi uditiva, più facili capacità nella concettualizzazione, migliore utilizzazione ed esposizione di quanto letto o imparato.

Una buona serenità interiore consente al bambino un rapporto più stabile e valido con i docenti, un interesse più vivo nei confronti dei vari temi proposti per l’apprendimento, una maggiore resistenza alle frustrazioni e una più facile possibilità di passare da un argomento all’altro. Gli apprendimenti non avvengono o avvengono in maniera abnorme quando il minore è in preda alla tensione, all’ansia, alle paure, ai conflitti, o quando la tristezza e la malinconia privano il bambino dal desiderio e della voglia di apprendere.

A riprova di ciò vi è il vistoso ed improvviso calo nel rendimento scolastico quando qualcosa di importante turba l’animo dei minori: la presenza nella loro famiglia di conflittualità o di separazione dei genitori, il cambiamento radicale nel loro ambiente di vita, come può essere un lutto di qualche familiare importante per il bambino, un trasloco, la nascita di un fratellino, l’affidamento a persone con disturbi psicologici. Gli stessi insegnanti e genitori notano successivamente, una ripresa delle capacità cognitive quando le problematiche che affliggevano il bambino si sono felicemente risolte o questi ha trovato migliori modi compensativi.

I disturbi delle funzioni cognitive possono essere causati da tutte quelle situazioni di sofferenza che determinano ansia, disturbo dell’umore, vissuti di inadeguatezza, bassa autostima, disturbi del comportamento, disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività, chiusura autistica ecc.[1] Una meta-analisi (Kavale e Forness, 1996) mostra che i bambini con disabilità dell’apprendimento hanno meno capacità di interagire, comunicare, empatizzare e giocare rispetto ai loro coetanei” (Donfrancesco[2], 1996, p. 76).

Per De Ajuriaguerra e Marcelli[3]:

“L’esperienza clinica dimostra quanto sia artificioso separare il cosiddetto stato affettivo dalle funzioni cognitive, dato che perturbazioni in un ambito finiscono, d’abitudine, per influire sull’altro: così alcune gravi alterazioni affettive si accompagnano sempre, a lungo andare, ad alterazioni cognitive.

Parimenti, è eccezionale che l’insufficienza mentale non sia complicata da una qualche difficoltà affettiva, tanto più grave quanto più profonda sia la deficienza”.

 Questo non significa, però, che ogni disturbo psicoaffettivo abbia un’influenza negativa sull’apprendimento e che ogni bambino con ritardo mentale avrà anche delle problematiche psicoaffettive ma che tra l’uno e l’altra funzione umana vi sono delle frequenti, possibili influenze.

Per Morin[4] (2001, p. 19):

”C’è una relazione stretta fra intelligenza e affettività: la facoltà di ragionare può essere ridotta, se non distrutta, da un deficit di emozione; l’affievolimento della capacità emozionale può anche essere all’origine di comportamenti irrazionali e, per certi versi, la capacità emozionale è indispensabile alla messa in opera di comportamenti razionali”.

Per Greenspan e Benderly [5] (1988, p. 3):

“Abbiamo scoperto che le capacità più elevate della mente umana, come l’intelligenza, la moralità e il senso di sé, hanno inaspettate origini comuni”.

E ancora lo stesso Greenspan[6], analizzando i primi stadi dello sviluppo della mente aggiunge:

“…si è visto che ciascuno stadio richiede una serie di esperienze fondamentali e specifiche e sottili scambi emotivi. Per cui non è l’intelletto a dominare la passione ed i sentimenti ma al contrario”.

 In questi casi l'attenzione deve essere focalizzata non sugli apprendimenti ma sul benessere interiore del bambino. E pertanto, in primo piano i nostri interventi devono indirizzarsi alla famiglia del piccolo, affinché questi possa avere quelle attenzioni affettivo-relazionali e quell'ambiente adeguati ad uno sviluppo armonico della personalità del piccolo. Nei casi più gravi come in presenza di chiusura autistica per ricreare un rapporto efficace tra i genitori e il bambino è necessario usare la Terapia Affettivo Relazionale che utilizza il Gioco Libero Autogestito.

Mancanza di un programma individualizzato

Spesso, quando per una normale variabilità nelle capacità cognitive è presente un Quoziente Intellettivo (Q.I.) molto al di sotto della media, non sempre da parte degli operatori (insegnanti, genitori e neuropsichiatri) vi è la disponibilità e l’accortezza di offrire a questi bambini che si inseriscono nella parte bassa della fascia della normalità, un programma individualizzato.

In queste situazioni ci si aspetta da loro lo stesso rendimento offerto dai coetanei che possiedono un quoziente intellettivo nettamente superiore. E poiché ciò non è possibile, li si costringe per anni ad affrontare compiti non adatti al loro sviluppo logico e cognitivo, con conseguenze sia sul piano didattico sia in quello psicologico e relazionale.

Mancanza di strumenti idonei

Nonostante il mondo dell’editoria scolastica sia molto ricco, non è raro trovare dei bambini privi degli strumenti idonei all’apprendimento. Come può essere la mancanza di libri, schede e altri sussidi adeguati al loro livello culturale e scolastico. Per facilitare gli apprendimenti è possibile utilizzare schede programmate a tale scopo, come il materiale didattico presente nel sito del Centro Studi Logos di Messina.  

Carenze nell’insegnamento

 

Il bambino può non apprendere a causa di insegnanti poco attenti, poco capaci o non predisposti all’insegnamento, i quali utilizzano metodologie non adeguate alla sua età o al suo sviluppo. Molte volte queste carenze riguardano i suoi familiari.

Quando mancano dei genitori o familiari disponibili, idonei ed attenti nel seguire il figlio durante il corso della sua vita scolastica, le conseguenze sono spesso altrettanto drammatiche. Come dice Donfrancesco[7] (1996, pp.441-442): “La persona deve poter contare sulla collaborazione di un ambiente che dia sostegno e che faciliti, o almeno non ostacoli, il progresso verso gli obiettivi desiderati“.

Mancanza di interesse e motivazione

Altra causa deve essere ricercata nel mancato interesse o motivazione per una o più materie scolastiche. Ognuno di noi, adulto o bambino che sia, ha particolari predisposizioni ed “amori”, così, come ha particolari antipatie verso uno o più argomenti scolastici.

Scarsa disponibilità di tempo ed energie psichiche

Non è da sottovalutare la presenza nella vita del bambino di altri impegni, più pressanti o coinvolgenti, con conseguente scarso tempo ed energie a disposizione dello studio. Ad esempio, eccessivi impegni extrascolastici: sport, musica, danza o un uso smodato di strumenti elettronici come tv, computer, cellulari ecc.

Inoltre, ancora oggi, non è raro trovare bambini impossibilitati a seguire un normale corso scolastico, in quanto impegnati in occupazioni indispensabili per mantenere gli altri membri della famiglia o per accudire genitori, fratelli e nonni malati o incapaci.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico

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[1] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p. 108.

[2] Donfrancesco  R., (1996), “Stimolare la motivazione e il senso di autoefficacia nell’apprendimento”, Difficoltà di apprendimento, Vol.1, N° 4, aprile.

[3] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 135.

[4] Morin, E., (2001), I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Raffaello Cortina Editore.

[5] Greenspa  S.,  Lieff Benderly B., (1988), L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori.

[6] Greenspa  S.,  Lieff Benderly B., (1988), L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori.

[7] Donfrancesco  R., (1996), “Stimolare la motivazione e il senso di autoefficacia nell’apprendimento”, Difficoltà di apprendimento, Vol.1, N° 4, aprile.

 

I disturbi della comunicazione: mutismo totale acquisito - mutismo elettivo o selettivo stabile

 

Affinché la comunicazione si attui correttamente è necessario il concorso di vari elementi.

 L’interesse

E' il primo di questi elementi. Se l’altro può dare qualcosa al bambino, lo può aiutare, sostenere, assistere in qualcosa, il suo interesse a comunicare sarà molto elevato. Al contrario, se mediante la sua esperienza il piccolo ha constato che gli altri non lo ascoltano, non gli sono vicini, non lo sostengono e aiutano, il suo interesse a comunicare sarà molto scarso.

È evidente che l’interesse del bambino nei confronti della comunicazione con la madre e il padre sia notevole, in quanto sono queste le persone che più di ogni altra possono dargli delle cose per lui fondamentali: cibo, sicurezza, calore, affetto, accoglienza.

Il piacere nel comunicare

Se il dialogo con l’altro è piacevole, gratificante, attraente, allettante, il bambino farà molti sforzi per dialogare frequentemente e nel miglior modo possibile. Al contrario se egli ha paura dell’altro, se avverte l’altro come un nemico, se non si fida di lui, se ha timore del mondo, se la comunicazione gli apporta sofferenza, se non sono ascoltati i suoi bisogni, gli mancherà uno stimolo importante a comunicare.  

Condizioni psichiche adeguate 

Certamente capacità intellettive molto carenti diminuiscono la possibilità di strutturare le proprie idee e il proprio pensiero in modo adeguato; sicuramente i disturbi neurologici o sensoriali potranno rendere difficile se non impossibile il linguaggio verbale, ma la comunicazione anche se in maniera semplice e povera potrà avvenire ugualmente.

Il deficit più importante, capace di impedire la possibilità di mettersi in comunione dialogica con l’altro, la normale e corretta elaborazione del pensiero, la sua traduzione in parole comprensibili, mediante il linguaggio, anche a soggetti di elevate capacità intellettive, riguarda i disturbi emotivi ed affettivi del soggetto. Un eccessivo eccitamento, un’ansia notevole, una paura coartante, una depressione inibente, riducono notevolmente le capacità comunicative, in quanto, la mente del soggetto, notevolmente alterata, impedisce l’organizzazione e l’elaborazione del pensiero e rende impossibile una normale esposizione dei contenuti.

Se il pensiero è molto disturbato, o peggio sconvolto e destrutturato, anche il linguaggio e la comunicazione, in generale, ne soffriranno notevolmente. Per tutti questi motivi la qualità e la quantità della comunicazione presente negli adulti e nei minori non è affatto costante ma varia continuamente in base alla condizione psichica della persona, e questa, a sua volta, subisce l’influenza dell’ambiente nel quale il soggetto vive.

Pertanto il malessere psicologico è capace di bloccare o destrutturare fino alla dissociazione e all’autismo la comunicazione ed il linguaggio sia degli adulti sia dei bambini.

Alterazioni del sistema comunicativo e dell’interazione sociale sono presenti in maniera più o meno evidente, più o meno grave, più o meno vistosa in quasi tutti i disturbi psichici: non mancano nei bambini che presentano deficit dell’attenzione ed iperattività, nei disturbi d’ansia, nei bambini molto timidi e chiusi o con scarsa autostima, nei disturbi della condotta, nei bambini depressi. Sono presenti nei momenti in cui il bambino è vittima di paure e fobie ma, soprattutto, sono più evidenti nei bambini con mutismo selettivo, nella balbuzie e nel Disturbo Autistico.

Vi è, pertanto, un continuum tra una situazione relazionale nella quale la comunicazione è facile, fluida, immediata, il che faciliterà notevolmente il dialogo, la comprensione e la comunione con l’altro e la condizione opposta: nella quale le capacità comunicative e relazionali del soggetto sono minime e/o molto disturbate.

Il mutismo totale acquisito

Questo tipo di mutismo si presenta verso tutte le persone e può comparire dopo uno shock psicologico. Per fortuna così come improvvisamente compare, altrettanto rapidamente e improvvisamente può anche scomparire. In genere al mutismo totale acquisito segue un periodo nel quale il soggetto parla bisbigliando o presenta balbuzie.

Il mutismo elettivo o selettivo stabile

 Nel mutismo elettivo il bambino riesce a parlare e comunicare solo in certi ambienti e con certe persone, ma non riesce a fare lo stesso in altri ambienti e con altre persone. Ad esempio, egli riesce a parlare nella sua casa, ma non fuori di essa. Riesce a parlare con i familiari, ma non con gli estranei; con i compagni di classe, ma non con la maestra; con tutte le maestre, tranne che con una.

Anche se il fatto di parlare in casa ma non fuori casa, dà l’idea di uno spazio fisico, in realtà si tratta sempre di spazi psicologici, che il bambino è riuscito o non è riuscito ancora a conquistare.

CONQUISTA DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE

 

 

 

 

Graficamente possiamo immaginare la conquista nella comunicazione sociale a dei cerchi concentrici. Nel primo, quello più interno, vi è la figura della madre e del padre. Se con queste basilari figure il bambino riesce a ben relazionarsi, egli acquisterà la forza e la fiducia necessarie ad aprirsi anche nei confronti dei nonni, e poi progressivamente dei fratelli e delle sorelle. Successivamente cercherà di ben relazionarsi con gli altri familiari; poi sarà la volta di qualche compagnetto con il quale si è stabilito da tempo un buon rapporto e, solo alla fine di un percorso di maturazione, sarà capace di affrontare la comunicazione con gli insegnanti e i bambini estranei al suo ambiente familiare e amicale. 

 

Ogni legame di fiducia che egli riesce a ben instaurare, è una conquista, ma è anche una solida base di partenza per andare oltre, per conquistare il successivo livello sociale e comunicativo. Più il bambino è ansioso, timido, psicologicamente disturbato, più rimane ancorato a dei livelli inferiori di sviluppo, che gli impediscono di conquistare nuovi ambienti comunicativi e sociali. Poiché, a lungo andare, questo limite viene avvertito dal bambino come una carenza rispetto agli altri, vi è il rischio di un’accentuazione del suo disagio e delle sue difficoltà interiori. Ed è per questo motivo che il mutismo selettivo può durare diversi anni.

Interventi

Quando sono presenti queste difficoltà comunicative è fondamentale creare attorno al bambino un ambiente sereno e gioioso, così che si trovi a proprio agio sia in famiglia sia a scuola. Contemporaneamente è bene evitare di pressare il bambino al fine di spingerlo o peggio costringerlo alla comunicazione, in quanto questa violenza non farà altro che peggiorare il suo già cattivo rapporto con la realtà esterna a lui. Poiché è raro che la comunicazione scompaia totalmente, è importante che i genitori e gli educatori accettino senza riserve gli strumenti, le modalità e i tempi che il bambino è in grado di utilizzare.  

Nell’ambito della classe è bene che egli, inizialmente, entri in relazione con un solo coetaneo da lui scelto e con il quale vi è affinità di carattere e con il quale egli può stabilire o si sono già stabilite, una qualche comunicazione ed intesa anche non verbale. 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico

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La balbuzie: cause e terapie

 

È questa un’alterazione che riguarda l’ordinata ed efficace esposizione delle idee e dei sentimenti mediante le parole. È presente in circa l’1% dei bambini, soprattutto maschi (tre – quattro bambini per una bambina).[1]

 Sono distinti due tipi di balbuzie che però spesso coesistono nello stesso soggetto: il tipo tonico ed il tipo clonico. Nella balbuzie di tipo tonico il soggetto ha difficoltà ad emettere un suono, mentre nella balbuzie di tipo clonico vi è la ripetizione interrotta ed esplosiva della stessa sillaba.

Nella balbuzie possono essere presenti, come corollari, vari altri sintomi come le contrazioni del viso, i tic o la presenza di gesti variabili, più o meno stereotipati, insieme ad altre manifestazioni emotive, come l’arrossamento del viso, una penosa sensazione di disagio, la sudorazione delle mani.

Si considera fisiologico il balbettio del bambino fino ai tre–cinque anni, in quanto, a quest’età, la difficoltà elocutoria può non essere legata ad alcun problema emotivo, ma può nascere dalla necessità del piccolo, che sta apprendendo il linguaggio, di trovare sillabe e parole adeguate ad esprimere il suo pensiero.

Cause

Possibili cause organiche

Come  cause organiche sono indicate sia una possibile predisposizione genetica che un ritardo nell’acquisizione del linguaggio.

Possibili cause psicologiche

Per Militerni:[2] “L’orientamento psicogenetico tende ad enfatizzare un riscontro, per altro molto frequente, rappresentato da uno stretto legame tra la balbuzie e condizioni emotive, particolarmente evidenti in certe situazioni relazionali”. Infatti, questo sintomo, ha un andamento variabile: aumenta con l’aumentare dell’emotività, diminuisce molto quando il bambino è tranquillo e si attenua quando il linguaggio è automatizzato ( canto, gioco, ripetizioni di brani a memoria). In alcuni casi si hanno delle remissioni che possono durare anche alcuni mesi, alternati a fasi di riacutizzazione.[3]

La maggiore incidenza della balbuzie si ha tra i sei e i dieci anni; proprio con l’inserimento del bambino nell’ambito scolastico. Inserimento che gli richiede un notevole impegno psicologico.[4]

Per De Ajuriaguerra e Marcelli[5] questo sintomo lo si ritrova più frequentemente nei soggetti con introversione, ansia, passività, sottomissione, aggressività ed impulsività.

L’approccio psicofisiologico fa della balbuzie il risultato di un conflitto “in cui l’ansia suscita il blocco che per feedback negativo libera, in un secondo tempo, la parola ed è da ciò che si manifesta l’aspetto frammentario e ripetitivo del linguaggio[6]”. La psicoanalisi, invece, colloca la balbuzie tra l’isteria di conversione e la nevrosi ossessiva.

Interventi

Il trattamento di questo disturbo si avvale molto della rieducazione ortofonica, delle tecniche di rilassamento, della possibilità di esprimere nel gioco l’aggressività latente, dello psicodramma ma anche della psicoterapia individuale.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico

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[1] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 247.

[2] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p.365.

[3] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p. 366.

[4] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p. 366.

[5] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 107.

[6] Sheehan in Ajuriaguerra J. (De), .Marcelli, D., (1986), Psicopatologia del bambino, Masson Italia Editori, Milano, p. 107.

 

 

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