La necessità d’intervenire precocemente sui segnali di sofferenza del bambino dovrebbe essere scontata, in quanto,la maggior parte dei pazienti in trattamento psichiatrico, riferiscono di disturbi psichici presenti già nell’infanzia o nell’adolescenza (Caviglia, Zarrella[1], 2011, p. 401). Inoltre “recenti studi longitudinali hanno dimostrato la probabilità che un disturbo diagnosticato nell’infanzia possa incrementare di tre volte il rischio di malattia psichiatrica in età adulta”(Caviglia, Zarrella[2], 2011, p. 402). Pertanto intervenire precocemente è sicuramente molto utile poiché, come dicono Sogos e altri[3] (2009, p. 470):
“Sappiamo che un intervento precoce rispetto alla malattia conclamata attiva risorse, nel bambino e nell’ambiente, capaci di modificare il percorso del disturbo psicologico. Concentrare gli sforzi per capire i momenti di vulnerabilità dello sviluppo e il loro rapporto con eventi di vita stressanti, favorisce un modello di salute mentale volto alla prevenzione piuttosto che alla semplice cura”.
Fin dalla nascita della neuropsichiatria infantile è apparso scontato per gli operatori prendere in carico non solo il bambino, ma anche la sua famiglia, inserita nell’ambiente sociale, in quanto portatori di bisogni non sono solo i minori ma anche i loro familiari e l’ambiente di vita del bambino.
Tuttavia negli ultimi anni, a causa di una visione sempre più organicistica delle problematiche infantili, questa metodologia viene spesso trascurata. Molti minori, dopo le prime visite diagnostiche, sono affidati per anni ai centri riabilitativi, ai quali spesso affluiscono trasportati da pulmini che li “raccolgono” dalle loro case e dalle scuole, senza che sia programmato e attuato un sistematico e costante intervento nei confronti dell’ambiente di vita del bambino.
Crediamo sia importante, invece, intraprendere insieme ai genitori, agli insegnanti, agli allenatori sportivi e altri educatori, che sono in contatto per qualunque motivo con il minore, un vero e proprio cammino in comune. Un cammino per cercare di modificare gradualmente in senso positivo l’ambiente di vita del bambino, al fine di cambiare in meglio i suoi vissuti interiori.
Per fare ciò è necessario instaurare con tutti gli educatori un rapporto ampio, continuo, valido e approfondito, fatto di reciproco ascolto, comprensione, stima, fiducia, equilibrio e disponibilità. Ciò al fine non solo di comprendere meglio la realtà del minore, ma anche per far maturare, nelle persone a lui più vicine, gli atteggiamenti e comportamenti più maturi e utili.
Intanto è bene che i genitori abbiano consapevolezza dei limiti ma anche della realtà del figlio, con le sue problematicità attuali ma anche con le sue capacità e potenzialità, mentre nel contempo è importante che siano resi edotti del percorso educativo o riabilitativo che si intende intraprendere. Inoltre è utile prospettare con realismo, ma anche con sano ottimismo, quali sono gli scenari presenti e quali quelli di un possibile futuro del figlio se vengono attuati gli interventi più opportuni.
Gli obiettivi di fondo della terapia d’ambiente sono numerosi:
- il primo è quello di continuare ad approfondire le relazioni che il bambino ha stabilito sia all’interno sia all’esterno della famiglia, in modo tale da evidenziare le eventuali carenze affettive ed educative, così da comprendere su quali dinamiche errate è possibile ed è bene intervenire;
- si cercherà, contemporaneamente, di fornire ai genitori un nuovo metro di lettura e nuovi strumenti di comprensione che li mettano in grado di sentirsi parte del progetto terapeutico. Progetto terapeutico che comprende, molto spesso, una maggiore consapevolezza dei disturbi del figlio e dei motivi che possono averlo costretto a manifestare taluni comportamenti e atteggiamenti, al fine di una migliore accettazione del loro bambino e delle espressioni della sua sofferenza psichica. È indispensabile, ad esempio, che i familiari comprendano meglio il senso delle sue ansie e paure, dei suoi capricci, delle sue provocazioni e comportamenti disturbanti, ma anche degli eventuali atteggiamenti di chiusura;
- nel contempo, allo scopo di migliorare i rapporti del bambino con la sua famiglia, e tra questa e l’ambiente sociale nel suo complesso si cercherà di instaurare una maggiore e più stabile intesa e fiducia non solo tra i genitori ed il figlio, ma anche tra un coniuge e l’altro coniuge, tra i genitori e gli altri familiari, tra i genitori e gli operatori vicini al piccolo;
- si cercherà inoltre di aiutare i genitori ad acquisire maggiore sicurezza nelle proprie capacità e migliori competenze educative;
- se sono presenti dei disturbi psicologici nei genitori e familiari, questi dovranno essere affrontati mediante opportune terapie psicologiche e/o farmacologiche.
Sappiamo che tutto ciò non è facile, in quanto alcuni genitori e familiari non sempre sono disponibili ad un lavoro comune. Alcuni di essi, ad esempio, si rendono disponibili a portare il figlio dal terapeuta affinché lo guarisca e lo faccia stare bene, ma non sono disposti a utilizzare anche una minima parte del loro tempo per collaborare a questo obiettivo.
Inoltre, spesso, i bisogni dei familiari sono molto diversi da quelli avvertiti dagli specialisti. Ad esempio, alcuni genitori vogliono che i terapeuti modifichino i comportamenti del figlio che ritengono disturbanti, ma non sono affatto disponibili a modificare i loro comportamenti che potrebbero averli provocati. Questi genitori, inoltre, avvertendo molta aggressività e risentimento nei confronti del figlio, vorrebbero che il terapeuta avallasse il loro giudizio negativo su di lui, così da evitare ogni possibile senso di colpa.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico
Per scaricare gratuitamente questo libro clicca qui.
[1] Caviglia et al., (2011), “Continuità e discontinuità tra psicopatologia dell’età infantile e dell’età adulta: una review sulla visione prospettica”. ???
[2] Caviglia et al., (2011), “Continuità e discontinuità tra psicopatologia dell’età infantile e dell’età adulta: una review sulla visione prospettica”. ???
[3] Sogos C. et al., (2009), “Dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana”, Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Vol.76.