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L'infedeltà

L'INFEDELTA'


Emidio Tribulato - INFEDELTA' ED ADULTERIO

L’INFEDELTA’ CLASSICA – L’ADULTERIO

La classica infedeltà è intesa come la rottura del patto d’amore coniugale esclusivo, poiché l’affettività e/o la sessualità si sposta o si allarga ad un’altra persona al di fuori della coppia.

Nell’ambito della visione sociale e personale, il significato non è così ovvio e univoco come potrebbe sembrare. Per alcuni l’infedeltà corrisponde all’avere una relazione amorosa completa (sessuale e affettiva) e stabile (che duri nel tempo) con un altro uomo o un’altra donna. Per cui la sola relazione sessuale senza un coinvolgimento affettivo non porterebbe all’infedeltà e quindi sarebbero scusate le piccole avventure d’una notte. Per altri viceversa è il rapporto sessuale che fa travalicare il limite accettabile di una “affettuosa amicizia.” Sappiamo però che per molti uomini e donne è sufficiente la presenza di uno solo dei due tipi di rapporti per configurare una relazione adulterina. Inoltre, per le persone più fedeli ai significati etici e religiosi del matrimonio, basta soffermare con compiacimento il pensiero amoroso o sessuale su un altro uomo o donna affinché si configuri il tradimento coniugale.

Le cause di questo tipo di tradimento possono essere numerose.

Alcune sono legate alla persona che tradisce.

•    Vi sono degli individui che hanno bisogno di controllare continuamente le loro capacità di far innamorare gli altri. Questo bisogno è più frequente nelle donne che non nell’uomo. Le prime, infatti, avvertono più acutamente non solo un bisogno sentimentale e affettivo ma anche di gratificazione personale nel sentirsi corteggiate, ammirate, adorate, poiché questo le tranquillizza sulla loro bellezza e sulla capacità attrattiva e di seduzione.

•    Più frequente, invece, nell’uomo è il sentirsi rassicurati sulla    possibilità di conquista sessuale e sulla capacità virile. In ciò si evidenzia l’atteggiamento ancestrale del maschio cacciatore che affronta, enormi sacrifici, pur di scovare e mettere nel carniere la preda; oppure del maschio che ha bisogno di controllare continuamente le sue capacità maschili dal numero delle donne sedotte.

•    Per alcuni il tradimento nasce dalla ricerca affannosa ed interminabile di un amore “perfetto”, ricco quindi di tutti gli elementi affettivi e sessuali che dovrebbero comporre un’unione pienamente soddisfacente. In questi casi l’immagine della persona ideale, che vive dentro di noi, è continuamente proiettata su varie persone nella vana ricerca di trovare quella che abbia tutte le caratteristiche desiderate e sognate.

•    In altri casi invece la persona che si è sposata non è abbandonata per nulla, ma rimane nella vita e nell’animo del coniuge per essere “completata” con altre persone che hanno caratteristiche e “doni” diversi. Come in un puzzle, sono messi insieme, nelle relazioni con più persone, gli aspetti psicologici, comportamentali e le caratteristiche anatomiche, che formano il proprio ideale d’uomo o di donna.

•    In altri adulteri, vi è una continua ricerca di qualcosa di più e di meglio. In questi casi non è svalutata totalmente la persona che si tradisce ma si cerca qualcuno che dia di più e meglio nei vari campi: affettivo relazionale, sessuale, estetico. In queste situazioni, c’è spesso come un bisogno ed una fame infinita di piacere sessuale e d’amore che niente e nessuno riesce a soddisfare.

•    Altri infine non riescono a staccarsi dal piacere intenso, sconvolgente ma breve, del periodo dell’innamoramento, per tale motivo cercano di riprovare quest’emozione nell’incontro con nuovi soggetti. Sono persone che cercano l’emozione intensa e particolare dell’innamoramento come i drogati cercano la sostanza da cui sono dipendenti.

Altre cause di tradimento sono legate  alla vita della coppia.

Questa può entrare in crisi poiché qualcosa diminuisce. Diminuisce l’entusiasmo iniziale, diminuisce il dialogo, l’amore o il desiderio. Non c’è dubbio che questi elementi possono portare ad una stanchezza nel rapporto. Un rapporto è stanco quando s’impoverisce, s’intristisce, diventa sclerotico per mancanza di nuovi impulsi, di nuove spinte alla crescita amorosa. La vita di coppia può entrare in crisi perché qualcosa nel rapporto si altera in modo grave: a causa dei continui litigi, rimostranze, condizionamenti o piccole e grandi violenze sia di tipo fisico che psicologico.

ALTRI TIPI D’INFEDELTA’

La vita di coppia, inoltre, può entrare in crisi, così come può succedere ad ogni relazione. Per cui può essere vissuta con aggressività e risentimento, a causa d’altri tipi di tradimento che si tende a sottovalutare o a non considerare per nulla.

Quella che, infatti, abbiamo descritto sopra è l’infedeltà classica. Questo termine dovrebbe avere invece un significato più largo di quello che normalmente gli è dato. Se, infatti, essere infedeli significa: agire non mantenendo lealmente gli impegni che si è tenuti a rispettare; il significato si amplia notevolmente.

Sono numerosi gli impegni formali ed informali che gli sposi sono tenuti a rispettare in un rapporto di coppia stabile e duraturo come quello matrimoniale.

Molti di questi fattori sono coscienti e razionali, molti altri sono inconsci ed istintivi.

•    Il bisogno di compagnia.

La solitudine, tranne per chi non sta veramente bene con se stesso o non abbia un rapporto molto intenso con la divinità, porta quasi inevitabilmente ad una situazione di dolore, d’insoddisfazione, di penosa tristezza. L’essere umano non è fatto per rimanere solo. Il rapporto con l'altro è fondamentale nel suo cammino.

Gli altri, specialmente quelli legati a noi da sentimenti affettivi d’amicizia o d’amore, ci danno quel sostegno, quel calore quel conforto, aiuto e consiglio, indispensabile alla nostra esistenza. Nel matrimonio si cerca la stabilità della presenza di un'altra persona accanto a noi; quando ciò manca perché l’altro non è presente per impegni di lavoro o per altri motivi più o meno validi e nobili, come gli impegni sociali ed umanitari, si viene a mancare a questa promessa implicita nel matrimonio.

•    Il bisogno di uno scambio affettivo e di un rapporto amoroso e sessuale durevole e profondo.

Abbiamo bisogno d’affetto e di piacere. Questi bisogni sono fondamentali per far fiorire la gioia di vivere e per stimolare la crescita interiore. Quando ne siamo privati, avvertiamo nell’animo un senso d’inaridimento. Si ha la sensazione di trascinarsi, stentatamente, nella vita, morendo ogni giorno di più. Nel matrimonio si cerca, più che nel fidanzamento, uno scambio ed un rapporto sessuale, affettivo ed amoroso ancora più profondo, forte, caldo e coinvolgente, fatto d’intenso dialogo, che esprima e sia segno d’unione, comunione, aiuto, comprensione, rispetto verso l’altro. Ciò è possibile solo se chi ci sta accanto è costantemente valorizzato e non certo sminuito, dequalificato o, peggio, umiliato. Naturalmente questo può avvenire solo nell’ambito di una “normalità” umana. Non tutti abbiamo capacità e potenzialità “super” da offrire a chi ci sta accanto. Siamo, quindi, obbligati ad accettare in noi e nell’altro i limiti e le possibilità della nostra realtà di uomini.

•    Il bisogno di un rapporto privilegiato.

In molti casi, pur essendo presente un affetto evidente nei confronti del proprio marito o della propria moglie, non vi è quel rapporto privilegiato che dovrebbe essere insito in un legame coniugale. Nel matrimonio, in primo piano, dovrebbe esserci il rapporto affettivo e amoroso con l’altro coniuge, e dopo e soltanto dopo, dovrebbe prendere posto l’amore verso i figli e quindi verso i genitori e poi l’affetto verso gli amici e infine l’attaccamento al proprio lavoro o alla propria professione. Questa scala di valori molte volte è sovvertita. Prendono il primo posto altre istanze: l’amore per i figli, il lavoro, le amicizie ecc. mentre al coniuge è riservato un posto in una posizione secondaria, se non marginale. In questi casi anche se non vi è adulterio vi è sicuramente infedeltà ad una promessa.

•    La gioia di far fiorire altre vite umane.

Un altro bisogno fondamentale che spinge ad un’unione stabile nasce dal piacere della paternità e maternità. Ci si sposa anche per essere padre e madre, per soddisfare questo bisogno istintivo profondo nei confronti della fecondità e della vita.

Mettere al mondo una vita umana è piacere, gioia, gratificazione. Significa rinnovare se stessi, proiettarsi nel futuro, lavorare e lottare affinché una piccola parte di noi, attraverso i figli, continui e si espanda. Quando questo manca, per scelta volontaria, noi priviamo l’altro coniuge di questa profonda e istintiva gioia, tradiamo inoltre le sue aspettative più vitali.

•    Necessità d’aiuto, protezione, conforto e sicurezza.

Anche questi sono bisogni fondamentali dell’animo umano che implicitamente cerchiamo nell’unione coniugale. Ci fa sentire più sicuri, più forti e sereni, il riuscire a trovare una persona che ci stia vicina e che sia disponibile ad aiutarci ad affrontare e risolvere le mille difficoltà della vita mediante un dialogo intimo, sereno, fatto d’ascolto delle necessità dell’altro, di gratificazioni dei suoi bisogni più profondi.

Se invece accanto a noi troviamo una persona che non è disposta a dialogare con noi, ad aiutarci, a sostenerci o addirittura tende a rendere più penosa e difficile la nostra vita, il desiderio di fuga certamente aumenta.

•    Gioia di confrontarci con un altro diverso, ma a noi complementare.

Fattori inconsci ci spingono a cercare e a metterci in un rapporto dialogico duraturo con quella parte della nostra anima che è diversa, che non conosciamo e che c’è nascosta. La Bibbia simbolizza molto bene questi elementi interiori nel racconto della creazione dell’uomo, quando dice che una costola d’Adamo fu tolta per formare Eva, per cui da allora l’uomo va alla ricerca di qualcosa di sé che ha perduto e che può trovare solo nella sua donna, mentre quest’ultima ricerca nell’uomo gli altri elementi che le mancano.

 Il trovare nell’altro, accanto alla diversità, un differente e complementare ruolo ci permette il confronto, lo scambio, l’appagamento. La forza ha bisogno di essere temperata dalla dolcezza e dalla tenerezza, il coraggio dalla prudenza; la razionalità trova maggiore ricchezza nell’intuito; la sicurezza e la linearità sono vivificate dal calore del sentimento e dell’emotività.

•    Desiderio di costruire una famiglia e di assumere nuovi ruoli.

Non esistono due famiglie uguali. Ogni famiglia è una costruzione sociale, affettiva, relazionale assolutamente originale ed unica.  Costruire una nuova fondamentale cellula della società, autonoma dalle famiglie d’origine, ma anche libera dai condizionamenti sociali, originale nella sua impostazione è sicuramente un obiettivo ricco d’interesse per l’animo umano.

Ciò modifica e aggiunge alla nostra umanità di figli, dei ruoli di grande impatto creativo prima assenti: il ruolo di marito o moglie, di padre o madre. Se ciò non avviene, perché amiamo troppo le piccole, infantili comodità del ruolo filiale o non è stato tagliato il cordone ombelicale che ci unisce ai nostri genitori, non riusciremo a creare alcuna nuova e originale realtà di coppia e familiare, per cui non saremo capaci di dare all’altro, oltre che a noi stessi, la possibilità d’essere e creare qualcosa di veramente nuovo ed unico.

Questi bisogni abbiamo detto sono espressamente o implicitamente “promessi” in un rapporto matrimoniale. Quando anche uno solo di questi non è soddisfatto, ci si trova già in una situazione d’infedeltà che è spesso causa dell’adulterio in cui un altro o un’altra entra nella vita e nel cuore di uno dei due coniugi.

Nessuna causa culturale e sociale, di per sé è tale da portare automaticamente al tradimento delle promesse fatte, ma vi sono delle condizioni che la favoriscono, come ve ne sono altre che la rendono più difficile.

I motivi che la facilitano sono diversi:

•    La mancanza nell’educazione personale e nella realtà sociale, culturale e ambientale, di un impegno reale verso la fedeltà.

Cancellato dal codice penale il delitto d’onore e il delitto di adulterio, cancellato nella separazione il dovere di fedeltà, non sempre i giovani si avvicinano al matrimonio consapevoli degli obblighi e dei doveri che questo comporta, giacché, per la moderna società occidentale, il tradimento coniugale è diventato alla stregua di un gioco cui non solo è possibile abbandonarsi senza farsi molti problemi, ma che è apportatore di benessere fisico e psicologico. I giornali spesso strombazzano titoli come: ”Tradire fa bene alla pelle e ai capelli delle donne.”  “Tradire è il toccasana della depressione e quindi può sostituire i pericolosi antidepressivi.”  “Tradire risveglia la sessualità e quindi può sostituire il Viagra.”  “ Attraverso il rapporto con nuovi partner l’individuo ringiovanisce.” Il tradimento diventa un gioco cui possono partecipare più facilmente le persone ricche e colte, infatti, secondo i vari sondaggi delle riviste femminili più in voga, più è alto il titolo di studio, più alta sarebbe l’infedeltà da parte di entrambi i coniugi, più basso il titolo di studio più frequente sarebbe il tradimento solo maschile. La conseguenza, non esplicitamente detta, è che se le donne non si possono permettere questo gioco appassionante e divertente e gli uomini sì, è solo per colpa della povertà e della bassa cultura!

Arrivati quindi al matrimonio, spesso per i giovani sposi, la cerimonia, anche se religiosa. rimane un fatto folcloristico. Le parole pronunciate in quei momenti sono solo frasi da leggere in un ambito festoso e allegro. Non vi partecipa il cuore, non vi partecipa la mente, ma soprattutto gli impegni assunti non sono supportati da una volontà tenace e ferma di attuare quanto dichiarato dinanzi al prete.

•    Lo scarso valore attribuito al legame di coppia. 

Non sempre il legame coniugale è visto nel suo giusto valore. I giovani della società occidentale, sono abituati a uno stile di vita in cui i rapporti di coppia si formano e si disfanno con gran facilità e superficialità.  L’impegno verso l’altro è spesso episodico e finalizzato ad un rapporto ludico. Il dialogo vero, profondo intimo è scarso, la sessualità facile, “ come bere un bicchiere d’acqua.” Le parole d’amore, se mai sono pronunciate, sono spesso solo un mezzo per giungere più facilmente ad un rapporto sessuale completo, oppure rappresentano soltanto uno strumento verbale d’eccitazione.

•    La maggiore facilità di contatti tra persone di diverso sesso.

Come abbiamo detto prima, i contatti con persone dell’altro sesso sono notevolmente aumentati sia nei luoghi di lavoro sia nei luoghi o momenti di socializzazione e svago. Spesso in tali circostanze si creano delle situazioni di dialogo profondo, di amicizia e d’intimità, che facilitano di molto il tradimento occasionale o un rapporto adulterino più coinvolgente ed impegnato.

•    Il lavoro in città diverse.

Sempre più spesso il lavoro dei due coniugi si svolge per diversi giorni la settimana in città diverse, per cui le tentazioni dovute alla solitudine diventano maggiori e quindi più facili diventano gli adulteri.

•    L’aumentato stress.

L’aumento della tensione e dell’ansia, frutto di uno stile di vita convulso, stimolato dalla soddisfazione di bisogni economici sempre maggiori accentua, insieme all’insoddisfazione,  il bisogno di consolarsi ricercando con dei nuovi partner  effimere gioie.



La continuità affettiva è molto importante per il nostro vissuto interiore.

L’esperienza del rapporto con i genitori ci conferma che per l’essere umano, e non solo per questi, la continuità nel rapporto affettivo è sinonimo di sicurezza. Sicurezza di calore, conforto, aiuto, sostegno, assistenza, protezione, piacere e gioia. Qualcuno ci starà vicino. Ci sosterrà economicamente, ci assisterà e proteggerà nei confronti degli altri e della società. La sua presenza sarà anche apportatrice di affettività e d’amore. Per quella persona siamo molto importanti, siamo la persona che l’altro ama e rispetta più di ogni cosa, siamo la persona con cui l’altro scambierà tenerezze e gioia.

•    La continuità affettiva ci dà sicurezza nell’impegno quotidiano.

Ci dà sicurezza, nell’impegno quotidiano, il sapere che il nostro lavoro, il sacrificio e le lotte sono finalizzati a dare sostegno e conforto a qualcuno che ci ama in modo particolare ed esclusivo. Ci dà sicurezza pensare che questo qualcuno è anche il genitore dei nostri figli, i quali sono portatori quindi dei nostri geni, ma anche di un quotidiano amore e di un impegno educativo costante. Ciò dà anche senso e scopo ai progetti futuri e permette di programmare in modo ampio ed a lungo termine il nostro divenire: “ Lascerò i miei beni acquistati con tanta fatica a qualcuno legato a me da un vincolo solido, unico, perenne, non li lascerò a qualcuno che ama o è legato ad altri, non li lascerò ai figli di altri uomini.” E’ invece sicuramente fonte di tristezza, d’inquietudine, di sconforto, di insicurezza pensare di lavorare e di sacrificarsi, impegnando la propria mente, il proprio corpo, il proprio cuore per qualcuno che è anche di un altro o peggio, per i figli portatori dell’eredità genetica di un altro.

•    La fedeltà è alla base stessa del matrimonio.

La fedeltà è alla base stessa del matrimonio giacché permette la continuità di un rapporto di comunione con il coniuge e con la prole. Quando manca c’è il rischio che questi ultimi non avranno un genitore o in ogni caso non avranno il loro genitore naturale.

•    La fedeltà è componente essenziale dei progetti e dei sogni che alimentano la nostra vita.

E’ difficile progettare quando non vi è la sicurezza di portare a termine quanto immaginato, desiderato e sognato o quando non vi è un rapporto duraturo e stabile.

•    La fedeltà aiuta lo stabilirsi di un clima familiare più sereno.

Non c’è dubbio che un clima familiare più sereno, più sano, più rispettoso dei bisogni sia dei coniugi sia dei figli è anche frutto della fedeltà coniugale poiché impedisce quei turbamenti e sensi di colpa che il tradimento porta nell’animo di chi tradisce ed evita quell’aggressività e distruttività istintivamente presente nell’animo della persona tradita. La fedeltà permette, inoltre, di incanalare nuove e più intense energie per rinverdire, riscoprire e rinnovare un dialogo difficile, un amore sopito, un interesse divenuto scialbo. Senza di essa mancherebbe la possibilità di una nuova spinta, di un nuovo impegno e riscoperta di un amore in crisi.

    L’infedeltà, come ogni disturbo della relazione dovrebbe essere risolto all'interno della coppia, e se questo non fosse possibile, dovrebbe essere “curato" o con l'aiuto di persone più mature e responsabili o con quello di specialisti nella terapia della coppia e della famiglia, presenti nei buoni consultori familiari.

    Purtroppo, ancora con difficoltà accettiamo di sentire la relazione come qualcosa che si può ammalare più o meno gravemente e che si può e si deve curare anche con l'aiuto di un medico adatto a questo tipo di malattia.

    Ammettiamo per il nostro corpo e per la nostra psiche la cura dello specialista, ma stentiamo ad accettarlo per i disturbi della relazione, anche se avvertiamo sulla nostra pelle la sofferenza che un rapporto difficile, freddo o instabile provoca in noi e nei nostri figli, per i quali l’unità e l’armonia dei genitori è fondamento di serenità e sicurezza. Al contrario l’instabilità della coppia è fonte di notevole ansia sia per la tensione e l’aggressività che si scatena attorno a figli, sia per la paura di essere abbandonati o di perdere uno o entrambi i genitori.


 Tratto dal libro di E. Tribulato"L'educazione negata" Edizioni E.D.A.S.

Dialogo efficace ed inefficace

I

Emidio Tribulato - IL DIALOGO EFFICACE ED INEFFICACE

                                                                                                    

DIALOGO EFFICACE

L’efficacia di una comunicazione si misura dalla sua chiarezza, dalla capacità di essere interpretata, dalle risposte che riesce a suscitare e in definitiva dalla maggiore o minore possibilità di soddisfare i bisogni e le aspettative dei singoli e della coppia.

Affinché il dialogo sia efficace, quindi, il linguaggio dovrebbe essere per quanto possibile chiaro, semplice, sincero e trasparente.

    Noi viviamo in un ambiente sociale in cui, molto spesso, una comunicazione ne nasconde un’altra, un bisogno ne camuffa un altro, un’opinione è espressa per nasconderne un’altra. Viviamo in un mondo, dove c’è la tendenza a coprire gli intenti poco ortodossi, poco nobili o credibili, mediante parole tutt’altro che vere e sincere. Ciò porta ognuno di noi, inevitabilmente, ad una sfiducia molto ampia, quasi totalizzante su tutto e tutti.  Se molte persone mentono o non dicono realmente ciò che pensano, c’è il rischio di pensare che tutti mentano e quindi la verità non esiste. Per tale motivo è necessario che la comunicazione sia non solo chiara e sincera, ma che ci sia anche coerenza tra ciò che diciamo e facciamo.

    Attenzione però a non trasformare la sincerità in crudeltà. La sincerità è alla base stessa del dialogo, ma ci sono dei pensieri e dei sentimenti che potrebbero ferire o fare del male e quindi, prima di essere espressi, hanno bisogno di essere vagliati accuratamente, per trovare i modi e i tempi più opportuni per comunicarli. Il dialogo non consiste nel dire tutto ciò che in quel momento passa per la mente, ma nel costruire, attraverso l’amore e il rispetto per la sensibilità altrui, un rapporto sincero e leale. Il dolore, infatti, che si può fare con le parole è notevole, pertanto il loro uso dovrebbe essere sempre attento alla maturazione e alla sensibilità dell’altro.

Il dialogo non dovrebbe giudicare.

Altro è dire: “ Sei uno stupido, un incapace, un cretino ecc.” Altro è dire: “Questo tuo modo di fare potrebbe portare a queste conseguenze”. ” Quest’atteggiamento non lo condivido, mi fa soffrire, non serve allo scopo”.  “Vorrei capire il tuo modo di fare, il tuo modo di essere”.

Il giudicare compromette, infatti, l’apertura, impedisce di esternare il contenuto più profondo dei propri pensieri, spinge alla chiusura, alla difesa, all’aggressività, oppure a dire, mentendo, ciò che l’altro si aspetta di sentire.

Il dialogo dovrebbe avere come base l’accettazione dell’altra persona.

    Accettare, significa accogliere la diversa personalità, realtà sociale, identità sessuale e ruolo, che ognuno di noi ha e porta nella vita di coppia.

E’ da quest’accettazione, infatti, che nasce e si sviluppo un confronto positivo; quando l’accettazione manca, per cui vorremmo che l’altro fosse come noi lo abbiamo sognato e desiderato o avesse sempre le stesse caratteristiche, ci accorgiamo che il dialogo diventa difficile o cessa. Questo non toglie che gli sforzi d’ogni individuo che vive la difficile ma splendida realtà dell’amore di coppia, dovrebbero tendere ad armonizzare ed integrare la propria realtà interiore e i propri comportamenti con i vissuti, i bisogni, i desideri di chi ci sta vicino.

Dovrebbe essere delicato nei confronti dell’altro.

    I modi bruschi, le parole che umiliano, che fanno sentire male, l’eccessiva impulsività, la poca pazienza, l’aggressività, allontanano, spaventano o mettono sulla difensiva, chi ci sta accanto. Anche quando il nostro compagno o la nostra compagna ha torto, è giusto usare quanta più delicatezza possibile per aiutare a capire l’errore e a porvi rimedio.

Dovrebbe avere come prospettiva l’incontro con l’altro. 

    L’incontro, l’intesa, dovrebbero essere gli obiettivi finali del dialogo. Non sempre ciò è possibile, non sempre si riesce a trovare quell’intesa tanto agognata. Questa tensione interiore verso l’incontro dovrebbe esserci in ogni momento ed in ogni situazione.

Dovrebbe avere come base l’uguaglianza con l’altro.

     Uguaglianza come essere umani anche se con identità sessuale e ruoli diversi. Il comportamento e il ruolo del marito o del padre non può essere uguale a quello della moglie e della madre e viceversa. La diversità di ruolo è fondamentale sia per l’educazione dei figli che nell’intesa uomo - donna. I figli hanno bisogno, infatti, di una donna, madre, che porti nell’educazione e nella cura dei piccoli il suo immenso patrimonio d’umanità. Le sue capacità comunicative, l’affettività, l’intensa sensibilità, le tenerezze che riesce a dare, sono fondamentali nell’educazione del minore.

Anche un padre apporta e dà elementi insostituibili di carattere, di intelligenza, d’affettività. La sua forza, la sua linearità, il coraggio, la sicurezza, la coerenza, la fermezza, caratteristiche di un buon padre, sono altrettanto importanti degli apporti materni.

    Per quanto riguarda l’intesa di coppia, l’uomo tende a coinvolgersi intensamente solo se avverte la presenza di certe caratteristiche nella sua compagna. La bellezza esteriore del corpo è sicuramente una di queste. Il corpo della donna, se si appalesa con forme e modi squisitamente femminili, è per l’uomo uno dei maggiori stimoli d’attrazione e la donna lo sa perfettamente, tanto che, istintivamente, fin da piccola, si adopera in ogni modo per piacergli, per cui il suo corpo e il suo abbigliamento sono fonte di continue attenzioni.

    Ma una donna da amare intensamente deve possedere anche delle qualità particolari, in caso contrario i sentimenti e la disponibilità affettiva dell’uomo risultano minime, tanto da limitarsi soltanto a rapporti amichevoli o ad espressioni sessuali puramente istintive e ludiche. Poiché ha bisogno di una donna da adorare, che si faccia adorare, accanto alla bellezza, è per l’uomo fonte di grande ispirazione amorosa la grazia. Questa, che è da distinguersi nettamente dalla bellezza, è una caratteristica dell’animo prima che del corpo, per cui è presente anche in donne non particolarmente belle, le quali, possedendola, assumono un fascino particolare ed irresistibile agli occhi maschili. La grazia femminile esprime, infatti, attraverso lo sguardo, i comportamenti ed il corpo, doti che sono proprie dell’anima e della mente, come la dolcezza, la bontà, la disponibilità, la delicatezza, la finezza, la semplicità, la soavità, il pudore di chi le porta. E queste doti se sono poco interessanti in un rapporto breve ed istintivo, fatto più di sesso che di sentimenti, diventano fondamentali in un rapporto serio in cui l’uomo impegna tutte le sue energie e che considera per la vita.

    Altra caratteristica ricercata dagli uomini è sicuramente la serietà, fatta di pudore, ponderatezza, rettitudine e responsabilità nei comportamenti e nelle parole. La serietà si manifesta e dà garanzie tra l’altro di fedeltà e di maturità nel rapporto e nell’impegno amoroso. Queste ultime sono qualità fondamentali per l’uomo, giacché gli garantiscono che i suoi sacrifici, il suo lavoro ed impegno andranno a favore dei propri figli e non di quelli di un altro. Contemporaneamente gli danno maggiore sicurezza sulla stabilità del rapporto e quindi sulla migliore funzionalità della famiglia.

    Altri elementi ricercati nella sua compagna di vita sono la disponibilità affettiva e le capacità di cure e attenzioni. Affettività, cure e attenzioni gli danno la certezza di trovare, nella sua casa, una donna capace d’ascolto, d’affetto, di tenerezze, ma anche d’aiuto e supporto verso la sua persona e nei confronti dei figli.

L’uomo è disposto a grandi sacrifici per la donna che ama ed ammira profondamente, mentre è disposto a poco o nulla per la donna che non ama, non ammira o stima.

    Anche la donna, nonostante i numerosi anni di femminismo abbiano confuso i suoi bisogni ancestrali, cerca istintivamente un uomo che abbia caratteristiche chiaramente maschili. Cerca un essere il cui pensiero sia logico e lineare per cui segua i concetti in modo tale da arrivare rapidamente al cuore del problema e quindi sia in grado di affrontarli il più efficacemente possibile, senza farsi coinvolgere o distrarre dall’emotività. Cerca un compagno che abbia un’affettività e una sensualità intensa, impetuosa ma responsabile. Sia sentimentalmente capace di tenerezze, ma abbia un animo forte, sicuro e deciso, in modo tale da saper affrontare senza tentennamenti, fughe o abbandoni, i numerosi ostacoli e frustrazioni che la vita, oggi come ieri, non manca di dare ad ogni essere umano. Sia autorevole senza essere autoritario, in modo tale da imporre la sua volontà senza abusarne, senza arroganza, senza astio, senza collera ma anche senza permissivismo. Sappia intervenire con fermezza e determinazione nell’educazione dei figli evitando l’uso della violenza. Rifiuti la tirannia quanto la debolezza, per cui sia capace di ascoltare, ma anche di intervenire efficacemente quando necessario. Non tolleri ingiustizie, abusi, ma eviti anche di farne agli altri.

Dovrebbe basarsi sull’ascolto.

     Quindi il dialogo non dovrebbe consistere in una lotta di parole e argomentazioni per sopraffare i pensieri e le idee altrui, ma un mezzo per capire e mettersi in ascolto. Strumento per avvertire i movimenti dell’animo e per armonizzarsi con chi ci sta vicino. Per tale motivo si dovrebbe riflettere più sui bisogni che l’altra persona esprime, non solo con le parole, ma anche con i silenzi, piuttosto che sulla risposta da dare per sopraffarla.

Il dialogo deve tenere conto delle esigenze e dei bisogni dell’altro.

    I bisogni di un uomo sono diversi da quelli di una donna. I bisogni di ognuno di noi, come individui, possono essere o tradursi in maniera diversa. Di ciò dobbiamo tener conto. Non esistono due persone uguali, con gli stessi gusti, la medesima realtà interiore, gli stessi desideri. Inoltre, spesso, i bisogni fondamentali non sono espressi chiaramente, ma ciò non ci esime dal cercare di capirli e soddisfarli, se riusciamo ad andare oltre i pensieri e le parole chiaramente esplicitate.

    D’altra parte non si può forzare un soggetto ad aprirsi ed a confidare sentimenti, emozioni e pensieri se non si mette nelle condizioni di sentirsi libero di dire tutto ciò che sente, sapendo che non arrecherà un grosso dispiacere o danno.

Dovrebbe sforzarsi di esprimere sentimenti maturi ed essere strumento positivo di scambio con l’altro.

    L’ottimismo, il coraggio, la fiducia, si chiamano sentimenti maturi, poiché aiutano a crescere ed ad affrontare con gioia, con serenità e coraggio sia i momenti positivi sia le avversità della vita.

    I sentimenti acerbi o immaturi, come l’angoscia, l’ansia, la gelosia, l’invidia, l’antipatia, la delusione, spingono alle paure, all’aggressività, alle nevrosi, alla depressione, alla chiusura, poiché caricano l’altro di angoscia e tensione interiore rendendogli difficile la confidenza, l’apertura, la disponibilità. Chi ci sta accanto non è né uno psicologo, né uno psichiatra che ha la capacità e il dovere di ascoltare e accettare i nostri sentimenti più tristi e le nostre emozioni più distruttive, senza battere ciglio. La disponibilità del nostro compagno o della nostra compagna di vita all’aiuto, all’ascolto, hanno dei limiti di cui dobbiamo tener conto e che dobbiamo esattamente valutare.

Deve contenere una carica e una partecipazione affettiva valida.

    Se il dialogo non è fatto d’amore o non ha come base l’amore e l’affetto, ha un’efficacia minima. Partecipare ai sentimenti, ai vissuti, ai valori di chi ci sta vicino, è compito di ognuno di noi. Tale partecipazione può portare nella coppia al coinvolgimento affettivo per cui i desideri dell’altro, diventano i nostri desideri, i suoi bisogni diventano i nostri bisogni, la sua sofferenza diventa la nostra sofferenza. In tal modo si attua una partecipazione e una condivisione dei pensieri, dei sentimenti, delle emozioni che rinsalda l’unione.

   I L DIALOGO INEFFICACE

Da quanto abbiamo detto è facile evidenziare le caratteristiche che rendono poco o per nulla efficace il dialogo.

Il dialogo è inefficace quando diventa solo comunicazione.

La nostra società è giustamente chiamata la società della comunicazione giacché, almeno sul piano tecnico, gli strumenti che possiedono i paesi più ricchi, sono capaci di avvolgere il mondo in una rete telematica. Tali strumenti permettono a ogni persona che s’inserisce nella rete di comunicare ad un’altra parole, pensieri e immagini, in maniera istantanea, in qualunque parte del mondo questa si trovi. I telefoni cellulari e la rete Internet sono simboli e strumenti di questa possibilità. Eppure, mai come oggi, l’essere umano soffre di problemi legati al dialogo. Abbiamo detto, infatti, che la comunicazione diventa dialogo quando l’ascolto empatico dell’altro è elemento portante, ma questo si attua se abbiamo tempo, disponibilità, serenità. Il primo di questi elementi, il tempo, sembra diminuire ogni giorno di più, fagocitato da mille altri impegni: lavorativi, sociali, ludici. Lo stare insieme diventa sempre di più una corsa finalizzata al fare e all’agire piuttosto che al vivere con serenità, tranquillità e pienezza parole, gesti, sentimenti ed emozioni. Alla nozione di tempo, si è collegato il concetto di denaro guadagnato o speso. “ Il tempo è denaro” “Chi ha tempo non aspetti tempo”. “ Tariffe a tempo”. Il tempo ci fa guadagnare, ma ci fa anche spendere. Se, mentre parliamo a telefono ogni secondo utilizzato per dialogare ha un costo, se sappiamo che ogni parola, ogni sentimento che manifestiamo viene da qualcuno conteggiato e tradotto in soldi, siamo portati a trasmettere non emozioni o sentimenti, ma soltanto rapide e concise informazioni che possono servire esclusivamente per informare e rassicurare l’altro o per concludere affari ma sicuramente non risultano efficaci per il dialogo.

La radio, la televisione, il telefono, specialmente il telefonino cellulare, più che aiutare, disturbano la vera comunicazione. Questa, a volte, non può essere neanche iniziata, mentre altre volte non si riesce ad approfondirla in maniera adeguata. Sarà capitato a molti di voi di parlare con qualcuno e di essere interrotti dall’inizio di un programma televisivo, da una canzone trasmessa dalla radio o dallo squillo di un cellulare. Questi strumenti s’inseriscono spesso in maniera invasiva e prepotente nel dialogo appena iniziato, impedendo il suo successivo approfondimento o rompendo, a volte in modo irrecuperabile, quell’atmosfera, quell’emozione e quelle sensazioni che si stavano vivendo.

Inoltre gli strumenti di cui parliamo rischiano di trasformare in virtuale ogni realtà più intima come l’amicizia, l’amore, la fratellanza. Queste diventano solo immagini e voci perdendo con la realtà fisica, le loro caratteristiche emotive, per cui ci sentiamo e ci ritroviamo sempre più soli, in una babele di parole e in un caleidoscopio di immagini.

Il dialogo risulta inefficace quando diventa solo un mezzo per scaricare le nostre ansie e paure, o conflitti interiori sull’altra persona.

    A questo proposito è bene evidenziare che ogni problema interiore e quindi ogni disturbo psicologico di una certa rilevanza, influenza in modo rilevante la comunicazione e quindi il nostro rapporto con gli altri, specie con le persone a noi più vicine.

Nelle persone ansiose, ad esempio, la paura nasce senza un pericolo o una causa oggettiva, oppure è scatenata, e vissuta in maniera abnorme, da situazioni ed avvenimenti che normalmente non dovrebbero provocare tal emozione; se, infatti, la paura per un esame, per una grave malattia o per la morte appare giustificata, l’ansia o la paura che colpisce la persona senza alcun motivo o per i motivi più vari e diversi, anche banali, è segno di problematiche psicologiche che possono alterare il normale rapporto di coppia, il compito educativo e la vita familiare.

    Non sono da sottovalutare inoltre i sintomi depressivi. Nelle persone che soffrono di disturbi dell’umore, la realtà si tinge quasi costantemente di grigio se non di nero, per cui essi avvertono la vita, gli altri, se stessi, il mondo, con pessimismo, chiusura e tristezza. Anche questi soggetti, poiché tenderanno a vedere il lato peggiore e distruttivo d’ogni realtà umana e sociale, avranno gravi difficoltà ad instaurare un dialogo sereno e produttivo, poiché tenderanno a svalutare ogni iniziativa e ogni segnale d’apertura alla vita e al mondo sia da parte del coniuge che dei figli. In altri casi non vi sono evidenti sofferenze psichiche. Pur tuttavia alcuni comportamenti sono pesantemente dettati da problematiche inconsce non risolte, che continuano ad influenzare in maniera negativa parole e azioni dell’individuo, senza che questi si renda conto della sua alterata realtà interiore.

    In tutte queste situazioni, come per tanti altri disturbi della psiche che portano sofferenza al soggetto che ne è colpito e alle persone che gli stanno vicino, si impone, prima del matrimonio, un attento esame psicologico che tenda a valutare la gravità di tali problematiche ed indichi le terapie più efficaci per risolverle.

Ancora risulta inefficace:

•    quando diventa una comunicazione egocentrica, nella quale mettiamo in primo piano noi stessi e quindi ogni parola della persona che ci sta vicino è misurata in funzione della gratificazione o frustrazione data al proprio Io;

•    quando ignora l’altra persona mediante il non ascolto o essendo indifferente ai suoi bisogni o alla sua sofferenza;

•    quando diventa un mezzo di sopraffazione e di dominio. Quindi, mezzo e strumento per cambiare chi ci sta accanto per i nostri fini;

•    quando diventa un monologo.

    Perché accanto a chi parla dovrebbe esserci sempre qualcuno che ascolta e che dovrebbe avere poi la possibilità di intervenire. A volte c’è un vero e proprio monologo a due o collettivo, tutti parlano e nessuno ascolta.

Il dialogo nella coppia

 

IL DIALOGO NELLA COPPIA

 

 

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    LA COMUNICAZIONE

            La comunicazione è elemento fondamentale per lo sviluppo e la vita relazionale di moltissimi animali, ma soprattutto per l’uomo. Possiamo tranquillamente affermare che la nostra umanità genetica avrà il suo naturale sviluppo e acquisterà completezza, solo e in quanto qualcuno avrà comunicato con noi in modo efficace.

            Il bambino supera il trauma iniziale della nascita, la paura nei confronti del mondo e degli altri, la tentazione a chiudersi in se stesso, attraverso il dialogo. Sono, infatti, le persone che l’accolgono al mondo, soprattutto i suoi genitori e gli altri familiari che, con le loro attenzioni, carezze e baci, faranno avvertire al bambino d’essere bene accolto. Gli faranno sentire, con le loro parole d’amore, che il mondo gli vuole bene, che è una cosa buona, perché ricco di calore e di disponibilità nei suoi confronti. Nel caso in cui, infatti, i genitori, non riescono a comunicare al bambino, attraverso i loro gesti e le parole, il senso caldo dell’accoglienza, dell’affetto e della disponibilità, hanno il sopravvento la tristezza e la paura iniziale che lo potranno spingere verso la chiusura e la depressione.

            In un secondo tempo sarà sempre il dialogo che permetterà al cucciolo d’uomo, di crescere e maturare sia nel linguaggio sia nelle capacità intellettive e cognitive. Sarà, inoltre, mediante un continuo scambio d’esperienze e di valori che in lui si svilupperà il senso etico e morale. L’aprirsi alla vita, la sua crescita e maturazione avverrà solo se avrà accanto a se dei genitori o comunque esseri umani che si pongono nei suoi confronti in un rapporto dialogico sereno, affettuoso, stabile e continuo di maternità o paternità.

            Così come per lo sviluppo dell’essere umano il dialogo è fondamentale per la formazione, la conoscenza e lo sviluppo della coppia e quindi della famiglia.

                                                                                            

LE FUNZIONI DEL DIALOGO

Il dialogo porta alla conoscenza

            Attraverso il dialogo due giovani, nonostante provengano da famiglie diverse e quindi siano portatori di differenti tipi d’educazione e d’abitudini, oppure, a volte, siano d’altra estrazione sociale, di città o addirittura di lingua o religione diversa, riescono a raggiungere l’ambizioso obiettivo d’essere coppia, in altre parole diventare due in uno.

            Questo può avvenire soltanto se tra di loro vi sarà un continuo scambio di pensieri, idee, riflessioni, tendenti alla scoperta e alla conoscenza dell’altro, per arrivare poi alla sua accettazione.

            Questa conoscenza non può essere limitata nel tempo giacché, l’essere umano, è in continuo divenire e quindi anche la conoscenza deve essere continua, perenne. Non si può pensare di conoscere il proprio fidanzato o fidanzata, ma anche il marito o la moglie in un certo momento e basta, perché sia le esperienze e i vissuti esaltanti dati dalle gioie e dalle gratificazioni, così come le avversità, le malattie, le crisi, le tristezze della vita, l’impietoso trascorrere degli anni, ci cambiano continuamente, costringendoci ad un continuo adattamento. Per tali motivi bisogna che questa conoscenza si applichi ad ogni momento presente e si proietti nel divenire, poiché ogni uomo ha bisogno di sentire quello che la sua donna pensa di lui, vuole e cerca da lui o da lui si aspetta e viceversa.

 

Il dialogo è mezzo di comunicazione e di scambio con l’altro

            Scambiare con l’altro pensieri, esperienze, sentimenti, emozioni, gioie, paure, disappunti; ma anche disponibilità, amore, tenerezza, accoglienza, è funzione fondamentale della comunicazione nella coppia.

            Si può e si deve scambiare, non soltanto con persone della stessa età, cultura e sesso, ma si può e si deve scambiare anche quando l’età, il sesso e la cultura sono diverse.

C’è sempre qualcosa che l’uno può dare all’altro, come c’è sempre qualcosa che l’uno può e deve ricevere dall’altro. Lo scambio può riguardare le conoscenze, le idee, i modi di essere, le esperienze, ma può e deve riguardare anche il mondo degli affetti e dei sentimenti indispensabili ad entrambi. E’ attraverso lo scambio che avviene l’arricchimento reciproco quindi, quando questo viene a mancare, c’impoveriamo ogni giorno di più, ogni momento di più moriamo come singolo e come coppia.

            Questo scambio è giusto che sia, in definitivo, paritario, ma non si può usare la bilancia del bottegaio per pesare quanto ognuno ha dato o è disposto a dare, giacché, la capacità di donare, non è legata solo alla nostra volontà ma è strettamente connessa alle possibilità e capacità di ognuno di noi in quel momento, in quella situazione ed in rapporto allo sviluppo affettivo ed umano. Per tale motivo è corretto affermare che ognuno ha il dovere di dare il massimo possibile nel rapporto di coppia, com’è altrettanto importante accogliere con gioia e gratitudine quello che l’altro può dare in quel momento.

 

Il dialogo è dono

            Possiamo aiutare chi ci sta accanto in mille modi: il nostro ascolto, le nostre parole, i nostri pensieri, gli incoraggiamenti o le osservazioni, lo possono aiutare, più d’ogni cosa, a capire se stesso e i bisogni di chi gli sta vicino. Ciò lo potrà stimolerà a comportarsi in maniera generosa, corretta, responsabile, attenta. Questo possiamo ottenere dicendo la parola giusta al momento giusto, dando il nostro sostegno e conforto e soprattutto valorizzandolo. Ognuno di noi ha bisogno che qualcuno valorizzi le qualità e le capacità che possediamo. Essere importante per qualcuno ci fa sentire bene, ci dà sicurezza, forza, coraggio, ci fa affrontare meglio e con più grinta, la vita. La disistima e la scarsa fiducia da parte delle persone più vicine e care portano invece spesso alla chiusura, alla tristezza, all’abbandono, allo sconforto, alla rinuncia.

            Anche il semplice ascolto, se riusciamo ad inserirci nella stessa lunghezza d’onda dell’altro, mettendo il nostro cuore accanto al suo, è capace di dare un grande aiuto, poiché potrà permettere alla persona che amiamo di aprire il suo cuore al nostro per scambiare amore, conforto, sostegno, comprensione.

 

Il dialogo è  mezzo per trovare delle linee comuni

            Nei fidanzati o nei coniugi la diversità d’opinioni può essere frequente, giacché spesso è necessario trovare delle soluzioni o delle linee comuni, ma gli scontri dovrebbero essere l’eccezione, non la regola. Il dialogo sereno, delicato e disponibile alle idee altrui ci dovrebbe permettere di risolvere insieme i problemi man mano che si presentano, facendoci trovare delle soluzioni intermedie tra le opinioni dell’uno e quelle dell’altro e gratificanti dei bisogni dell’uno e di quelli dell’altro. A questi accordi bisogna però attenersi con lealtà e coerenza senza rimettere continuamente tutto in discussione.

GLI STRUMENTI DI DIALOGO

Quali sono i mezzi per dialogare?

            Il linguaggio è sicuramente uno strumento importante di dialogo, ma non l’unico. La comunicazione non verbale, fatta di gesti, di comportamenti, è altrettanto fondamentale. Un dono, una tenerezza, un gesto di solidarietà, lo scambio di una sessualità matura capace di comunicare il nostro amore, la nostra disponibilità, la lealtà, l’attenzione e il rispetto verso l’altra persona, sono preziosi come mille parole.

            E’ chiaro quindi, in questa prospettiva, che tutto il comportamento e non soltanto il discorso è comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento.

            Non è dialogo lo sfogo fine a se stesso, l’accusa, l’aggressività, quando tendono a far del male o a distruggere l’immagine che l’altro ha di se.

                                                                                                     

IL DIALOGO EFFICACE

L’efficacia di una comunicazione si misura dalla sua chiarezza, dalla capacità di essere interpretata, dalle risposte che riesce a suscitare e in definitiva dalla maggiore o minore possibilità di soddisfare i bisogni e le aspettative dei singoli e della coppia.

Affinché il dialogo sia efficace, quindi, il linguaggio dovrebbe essere per quanto possibile chiaro, semplice, sincero e trasparente.

            Noi viviamo in un ambiente sociale in cui, molto spesso, una comunicazione ne nasconde un’altra, un bisogno ne camuffa un altro, un’opinione è espressa per nasconderne un’altra. Viviamo in un mondo, dove c’è la tendenza a coprire gli intenti poco ortodossi, poco nobili o credibili, mediante parole tutt’altro che vere e sincere. Ciò porta ognuno di noi, inevitabilmente, ad una sfiducia molto ampia, quasi totalizzante su tutto e tutti.  Se molte persone mentono o non dicono realmente ciò che pensano, c’è il rischio di pensare che tutti mentano e quindi la verità non esiste. Per tale motivo è necessario che la comunicazione sia non solo chiara e sincera, ma che ci sia anche coerenza tra ciò che diciamo e facciamo.

            Attenzione però a non trasformare la sincerità in crudeltà. La sincerità è alla base stessa del dialogo, ma ci sono dei pensieri e dei sentimenti che potrebbero ferire o fare del male e quindi, prima di essere espressi, hanno bisogno di essere vagliati accuratamente, per trovare i modi e i tempi più opportuni per comunicarli. Il dialogo non consiste nel dire tutto ciò che in quel momento passa per la mente, ma nel costruire, attraverso l’amore e il rispetto per la sensibilità altrui, un rapporto sincero e leale. Il dolore, infatti, che si può fare con le parole è notevole, pertanto il loro uso dovrebbe essere sempre attento alla maturazione e alla sensibilità dell’altro.

 

Il dialogo non dovrebbe giudicare

Altro è dire: “ Sei uno stupido, un incapace, un cretino ecc.” Altro è dire: “Questo tuo modo di fare potrebbe portare a queste conseguenze”. ” Quest’atteggiamento non lo condivido, mi fa soffrire, non serve allo scopo”.  “Vorrei capire il tuo modo di fare, il tuo modo di essere”.

Il giudicare compromette, infatti, l’apertura, impedisce di esternare il contenuto più profondo dei propri pensieri, spinge alla chiusura, alla difesa, all’aggressività, oppure a dire, mentendo, ciò che l’altro si aspetta di sentire.

 

Il dialogo dovrebbe avere come base l’accettazione dell’altra persona

            Accettare, significa accogliere la diversa personalità, realtà sociale, identità sessuale e ruolo, che ognuno di noi ha e porta nella vita di coppia.

E’ da quest’accettazione, infatti, che nasce e si sviluppo un confronto positivo; quando l’accettazione manca, per cui vorremmo che l’altro fosse come noi lo abbiamo sognato e desiderato o avesse sempre le stesse caratteristiche, ci accorgiamo che il dialogo diventa difficile o cessa. Questo non toglie che gli sforzi d’ogni individuo che vive la difficile ma splendida realtà dell’amore di coppia, dovrebbero tendere ad armonizzare ed integrare la propria realtà interiore e i propri comportamenti con i vissuti, i bisogni, i desideri di chi ci sta vicino.

 

Dovrebbe essere delicato nei confronti dell’altro

            I modi bruschi, le parole che umiliano, che fanno sentire male, l’eccessiva impulsività, la poca pazienza, l’aggressività, allontanano, spaventano o mettono sulla difensiva, chi ci sta accanto. Anche quando il nostro compagno o la nostra compagna ha torto, è giusto usare quanta più delicatezza possibile per aiutare a capire l’errore e a porvi rimedio.

 

Dovrebbe avere come prospettiva l’incontro con l’altro 

            L’incontro, l’intesa, dovrebbero essere gli obiettivi finali del dialogo. Non sempre ciò è possibile, non sempre si riesce a trovare quell’intesa tanto agognata. Questa tensione interiore verso l’incontro dovrebbe esserci in ogni momento ed in ogni situazione.

 

Dovrebbe avere come base l’uguaglianza con l’altro

             Uguaglianza come essere umani anche se con identità sessuale e ruoli diversi. Il comportamento e il ruolo del marito o del padre non può essere uguale a quello della moglie e della madre e viceversa. La diversità di ruolo è fondamentale sia per l’educazione dei figli che nell’intesa uomo - donna. I figli hanno bisogno, infatti, di una donna, madre, che porti nell’educazione e nella cura dei piccoli il suo immenso patrimonio d’umanità. Le sue capacità comunicative, l’affettività, l’intensa sensibilità, le tenerezze che riesce a dare, sono fondamentali nell’educazione del minore.

Anche un padre apporta e dà elementi insostituibili di carattere, di intelligenza, d’affettività. La sua forza, la sua linearità, il coraggio, la sicurezza, la coerenza, la fermezza, caratteristiche di un buon padre, sono altrettanto importanti degli apporti materni.

            Per quanto riguarda l’intesa di coppia, l’uomo tende a coinvolgersi intensamente solo se avverte la presenza di certe caratteristiche nella sua compagna. La bellezza esteriore del corpo è sicuramente una di queste. Il corpo della donna, se si appalesa con forme e modi squisitamente femminili, è per l’uomo uno dei maggiori stimoli d’attrazione e la donna lo sa perfettamente, tanto che, istintivamente, fin da piccola, si adopera in ogni modo per piacergli, per cui il suo corpo e il suo abbigliamento sono fonte di continue attenzioni.

            Ma una donna da amare intensamente deve possedere anche delle qualità particolari, in caso contrario i sentimenti e la disponibilità affettiva dell’uomo risultano minime, tanto da limitarsi soltanto a rapporti amichevoli o ad espressioni sessuali puramente istintive e ludiche. Poiché ha bisogno di una donna da adorare, che si faccia adorare, accanto alla bellezza, è per l’uomo fonte di grande ispirazione amorosa la grazia. Questa, che è da distinguersi nettamente dalla bellezza, è una caratteristica dell’animo prima che del corpo, per cui è presente anche in donne non particolarmente belle, le quali, possedendola, assumono un fascino particolare ed irresistibile agli occhi maschili. La grazia femminile esprime, infatti, attraverso lo sguardo, i comportamenti ed il corpo, doti che sono proprie dell’anima e della mente, come la dolcezza, la bontà, la disponibilità, la delicatezza, la finezza, la semplicità, la soavità, il pudore di chi le porta. E queste doti se sono poco interessanti in un rapporto breve ed istintivo, fatto più di sesso che di sentimenti, diventano fondamentali in un rapporto serio in cui l’uomo impegna tutte le sue energie e che considera per la vita.

            Altra caratteristica ricercata dagli uomini è sicuramente la serietà, fatta di pudore, ponderatezza, rettitudine e responsabilità nei comportamenti e nelle parole. La serietà si manifesta e dà garanzie tra l’altro di fedeltà e di maturità nel rapporto e nell’impegno amoroso. Queste ultime sono qualità fondamentali per l’uomo, giacché gli garantiscono che i suoi sacrifici, il suo lavoro ed impegno andranno a favore dei propri figli e non di quelli di un altro. Contemporaneamente gli danno maggiore sicurezza sulla stabilità del rapporto e quindi sulla migliore funzionalità della famiglia.

            Altri elementi ricercati nella sua compagna di vita sono la disponibilità affettiva e le capacità di cure e attenzioni. Affettività, cure e attenzioni gli danno la certezza di trovare, nella sua casa, una donna capace d’ascolto, d’affetto, di tenerezze, ma anche d’aiuto e supporto verso la sua persona e nei confronti dei figli.

L’uomo è disposto a grandi sacrifici per la donna che ama ed ammira profondamente, mentre è disposto a poco o nulla per la donna che non ama, non ammira o stima.

            Anche la donna, nonostante i numerosi anni di femminismo abbiano confuso i suoi bisogni ancestrali, cerca istintivamente un uomo che abbia caratteristiche chiaramente maschili. Cerca un essere il cui pensiero sia logico e lineare per cui segua i concetti in modo tale da arrivare rapidamente al cuore del problema e quindi sia in grado di affrontarli il più efficacemente possibile, senza farsi coinvolgere o distrarre dall’emotività. Cerca un compagno che abbia un’affettività e una sensualità intensa, impetuosa ma responsabile. Sia sentimentalmente capace di tenerezze, ma abbia un animo forte, sicuro e deciso, in modo tale da saper affrontare senza tentennamenti, fughe o abbandoni, i numerosi ostacoli e frustrazioni che la vita, oggi come ieri, non manca di dare ad ogni essere umano. Sia autorevole senza essere autoritario, in modo tale da imporre la sua volontà senza abusarne, senza arroganza, senza astio, senza collera ma anche senza permissivismo. Sappia intervenire con fermezza e determinazione nell’educazione dei figli evitando l’uso della violenza. Rifiuti la tirannia quanto la debolezza, per cui sia capace di ascoltare, ma anche di intervenire efficacemente quando necessario. Non tolleri ingiustizie, abusi, ma eviti anche di farne agli altri.

 

Dovrebbe basarsi sull’ascolto

            Quindi il dialogo non dovrebbe consistere in una lotta di parole e argomentazioni per sopraffare i pensieri e le idee altrui, ma un mezzo per capire e mettersi in ascolto. Strumento per avvertire i movimenti dell’animo e per armonizzarsi con chi ci sta vicino. Per tale motivo si dovrebbe riflettere più sui bisogni che l’altra persona esprime, non solo con le parole, ma anche con i silenzi, piuttosto che sulla risposta da dare per sopraffarla.

 

Il dialogo deve tenere conto delle esigenze e dei bisogni dell’altro

            I bisogni di un uomo sono diversi da quelli di una donna. I bisogni di ognuno di noi, come individui, possono essere o tradursi in maniera diversa. Di ciò dobbiamo tener conto. Non esistono due persone uguali, con gli stessi gusti, la medesima realtà interiore, gli stessi desideri. Inoltre, spesso, i bisogni fondamentali non sono espressi chiaramente, ma ciò non ci esime dal cercare di capirli e soddisfarli, se riusciamo ad andare oltre i pensieri e le parole chiaramente esplicitate.

            D’altra parte non si può forzare un soggetto ad aprirsi ed a confidare sentimenti, emozioni e pensieri se non si mette nelle condizioni di sentirsi libero di dire tutto ciò che sente, sapendo che non arrecherà un grosso dispiacere o danno.

  

Dovrebbe sforzarsi di esprimere sentimenti maturi ed essere strumento positivo di scambio con l’altro.

            L’ottimismo, il coraggio, la fiducia, si chiamano sentimenti maturi, poiché aiutano a crescere ed ad affrontare con gioia, con serenità e coraggio sia i momenti positivi sia le avversità della vita.

            I sentimenti acerbi o immaturi, come l’angoscia, l’ansia, la gelosia, l’invidia, l’antipatia, la delusione, spingono alle paure, all’aggressività, alle nevrosi, alla depressione, alla chiusura, poiché caricano l’altro di angoscia e tensione interiore rendendogli difficile la confidenza, l’apertura, la disponibilità. Chi ci sta accanto non è né uno psicologo, né uno psichiatra che ha la capacità e il dovere di ascoltare e accettare i nostri sentimenti più tristi e le nostre emozioni più distruttive, senza battere ciglio. La disponibilità del nostro compagno o della nostra compagna di vita all’aiuto, all’ascolto, hanno dei limiti di cui dobbiamo tener conto e che dobbiamo esattamente valutare.

 

Deve contenere una carica e una partecipazione affettiva valida

            Se il dialogo non è fatto d’amore o non ha come base l’amore e l’affetto, ha un’efficacia minima. Partecipare ai sentimenti, ai vissuti, ai valori di chi ci sta vicino, è compito di ognuno di noi. Tale partecipazione può portare nella coppia al coinvolgimento affettivo per cui i desideri dell’altro, diventano i nostri desideri, i suoi bisogni diventano i nostri bisogni, la sua sofferenza diventa la nostra sofferenza. In tal modo si attua una partecipazione e una condivisione dei pensieri, dei sentimenti, delle emozioni che rinsalda l’unione.

    IL DIALOGO INEFFICACE                                                                            

Da quanto abbiamo detto è facile evidenziare le caratteristiche che rendono poco o per nulla efficace il dialogo.

Il dialogo è inefficace quando diventa solo comunicazione

La nostra società è giustamente chiamata la società della comunicazione giacché, almeno sul piano tecnico, gli strumenti che possiedono i paesi più ricchi, sono capaci di avvolgere il mondo in una rete telematica. Tali strumenti permettono a ogni persona che s’inserisce nella rete di comunicare ad un’altra parole, pensieri e immagini, in maniera istantanea, in qualunque parte del mondo questa si trovi. I telefoni cellulari e la rete Internet sono simboli e strumenti di questa possibilità. Eppure, mai come oggi, l’essere umano soffre di problemi legati al dialogo. Abbiamo detto, infatti, che la comunicazione diventa dialogo quando l’ascolto empatico dell’altro è elemento portante, ma questo si attua se abbiamo tempo, disponibilità, serenità. Il primo di questi elementi, il tempo, sembra diminuire ogni giorno di più, fagocitato da mille altri impegni: lavorativi, sociali, ludici. Lo stare insieme diventa sempre di più una corsa finalizzata al fare e all’agire piuttosto che al vivere con serenità, tranquillità e pienezza parole, gesti, sentimenti ed emozioni. Alla nozione di tempo, si è collegato il concetto di denaro guadagnato o speso. “ Il tempo è denaro” “Chi ha tempo non aspetti tempo”. “ Tariffe a tempo”. Il tempo ci fa guadagnare, ma ci fa anche spendere. Se, mentre parliamo a telefono ogni secondo utilizzato per dialogare ha un costo, se sappiamo che ogni parola, ogni sentimento che manifestiamo viene da qualcuno conteggiato e tradotto in soldi, siamo portati a trasmettere non emozioni o sentimenti, ma soltanto rapide e concise informazioni che possono servire esclusivamente per informare e rassicurare l’altro o per concludere affari ma sicuramente non risultano efficaci per il dialogo.

La radio, la televisione, il telefono, specialmente il telefonino cellulare, più che aiutare, disturbano la vera comunicazione. Questa, a volte, non può essere neanche iniziata, mentre altre volte non si riesce ad approfondirla in maniera adeguata. Sarà capitato a molti di voi di parlare con qualcuno e di essere interrotti dall’inizio di un programma televisivo, da una canzone trasmessa dalla radio o dallo squillo di un cellulare. Questi strumenti s’inseriscono spesso in maniera invasiva e prepotente nel dialogo appena iniziato, impedendo il suo successivo approfondimento o rompendo, a volte in modo irrecuperabile, quell’atmosfera, quell’emozione e quelle sensazioni che si stavano vivendo.

Inoltre gli strumenti di cui parliamo rischiano di trasformare in virtuale ogni realtà più intima come l’amicizia, l’amore, la fratellanza. Queste diventano solo immagini e voci perdendo con la realtà fisica, le loro caratteristiche emotive, per cui ci sentiamo e ci ritroviamo sempre più soli, in una babele di parole e in un caleidoscopio di immagini.

 

Il dialogo risulta inefficace quando diventa solo un mezzo per scaricare le nostre ansie e paure, o conflitti interiori sull’altra persona.

            A questo proposito è bene evidenziare che ogni problema interiore e quindi ogni disturbo psicologico di una certa rilevanza, influenza in modo rilevante la comunicazione e quindi il nostro rapporto con gli altri, specie con le persone a noi più vicine.

Nelle persone ansiose, ad esempio, la paura nasce senza un pericolo o una causa oggettiva, oppure è scatenata, e vissuta in maniera abnorme, da situazioni ed avvenimenti che normalmente non dovrebbero provocare tal emozione; se, infatti, la paura per un esame, per una grave malattia o per la morte appare giustificata, l’ansia o la paura che colpisce la persona senza alcun motivo o per i motivi più vari e diversi, anche banali, è segno di problematiche psicologiche che possono alterare il normale rapporto di coppia, il compito educativo e la vita familiare.

            Non sono da sottovalutare inoltre i sintomi depressivi. Nelle persone che soffrono di disturbi dell’umore, la realtà si tinge quasi costantemente di grigio se non di nero, per cui essi avvertono la vita, gli altri, se stessi, il mondo, con pessimismo, chiusura e tristezza. Anche questi soggetti, poiché tenderanno a vedere il lato peggiore e distruttivo d’ogni realtà umana e sociale, avranno gravi difficoltà ad instaurare un dialogo sereno e produttivo, poiché tenderanno a svalutare ogni iniziativa e ogni segnale d’apertura alla vita e al mondo sia da parte del coniuge che dei figli. In altri casi non vi sono evidenti sofferenze psichiche. Pur tuttavia alcuni comportamenti sono pesantemente dettati da problematiche inconsce non risolte, che continuano ad influenzare in maniera negativa parole e azioni dell’individuo, senza che questi si renda conto della sua alterata realtà interiore.

            In tutte queste situazioni, come per tanti altri disturbi della psiche che portano sofferenza al soggetto che ne è colpito e alle persone che gli stanno vicino, si impone, prima del matrimonio, un attento esame psicologico che tenda a valutare la gravità di tali problematiche ed indichi le terapie più efficaci per risolverle.

 

Ancora risulta inefficace:

•          quando diventa una comunicazione egocentrica, nella quale mettiamo in primo piano noi stessi e quindi ogni parola della persona che ci sta vicino è misurata in funzione della gratificazione o frustrazione data al proprio Io;

•          quando ignora l’altra persona mediante il non ascolto o essendo indifferente ai suoi bisogni o alla sua sofferenza;

•          quando diventa un mezzo di sopraffazione e di dominio. Quindi, mezzo e strumento per cambiare chi ci sta accanto per i nostri fini;

•          quando diventa un monologo.

            Perché accanto a chi parla dovrebbe esserci sempre qualcuno che ascolta e che dovrebbe avere poi la possibilità di intervenire. A volte c’è un vero e proprio monologo a due o collettivo, tutti parlano e nessuno ascolta.

 

IL DIALOGO CHE S’INTERROMPE

Il dialogo tra fidanzati o tra i coniugi subisce come qualunque altra realtà vivente alterne vicende. Può nascere, crescere, svilupparsi e manifestarsi in un certo periodo della vita della coppia ad un livello pienamente soddisfacente, come può ammalarsi, deperire o addirittura morire.

            Che cosa può portare il dialogo alla sua riduzione, alla crisi o addirittura alla sua fine?

            I motivi possono essere i più vari. Il primo riguarda l’impegno stesso che la coppia mette ogni giorno nei confronti di questo strumento di crescita e comunione reciproca. Quando quest’impegno è scarso, incostante, maldestro, è facile che il dialogo subisca un’involuzione continua piuttosto che una crescita.

            Il secondo attiene alla base stessa del dialogo nella coppia e riguarda la sua coesione. L’intesa amorosa che si stabilisce tra un uomo e una donna e che si rende concreta in un legame progettuale importante come quello del fidanzamento o ancor più del matrimonio, è basata essenzialmente su un rapporto privilegiato, anche se non esclusivo, fatto di solidarietà, complicità, sostegno e appoggio reciproco; quando tutto ciò viene a mancare, in quanto uno dei due o entrambi stabiliscono con altri (genitori, figli, amanti, amici, lavoro), quel rapporto e legame privilegiato che dovrebbe essere fondamento d’ogni coppia, allora, mancando la stessa base su cui poggiare,crescere e alimentarsi, il dialogo andrà sicuramente a scemare e poi a morire.

            Il terzo motivo attiene allo scopo stesso del dialogo che dovrebbe portare ad una migliore conoscenza reciproca, all’intesa e al dono di se, al fine di un maggior benessere per entrambi. Quando ciò non avviene, ma anzi le parole sembrano spingere sempre di più alla non comunicabilità, allo scontro, alla sofferenza, accentuando la distruttività reciproca, allora si è portati a fuggire da una comunicazione ritenuta inutile, controproducente, dannosa.   

In realtà si è instaurato un circolo vizioso, da cui spesso la coppia non riesce ad uscire, tranne che non si faccia aiutare da altri, che costringe i due a parole e comportamenti sempre uguali e distruttivi, mentre impedisce parole e azioni diverse, positive e creative.

 

TEMPO PER DIALOGARE

C’è un ambiente psicologico che aiuta l’instaurarsi di un dialogo efficace ed un altro che, invece, l’ostacola.

 

            Il dialogo è sicuramente una fonte notevole di energia psichica, ma contemporaneamente richiede molte nostre forze interiori.

La comprensione, l’ascolto, il trovare l’intesa, il limitare il proprio Io, richiedono grande capacità e disponibilità interiore, quando queste sono scarse, perché le abbiamo spese per il lavoro, gli impegni familiari o extrafamiliari, le energie residue spesso non sono capaci di farci instaurare un dialogo efficace.

            Il lavoro, infatti, come molti altri impegni anche di notevole spessore sociale, può creare un coinvolgimento emotivo eccessivo; occupando i nostri pensieri, prelevando buona parte delle nostre energie, impegnando la volontà oltre limiti accettabili. Spesso è il datore di lavoro o la stessa società che chiede e pretende da noi, non una parte, ma tutto o quasi il nostro impegno, la nostra fantasia, il nostro interesse. Queste richieste, non solo sono viste come sacrosante, ma anzi è bollato di discredito il lavoratore che si occupa e preoccupa molto dei suoi doveri familiari e coniugali, i quali sono giudicati come esigenze sociali “accessorie”! In realtà invece, c’è il rischio concreto di “produrre” “ solo benessere materiale, mentre la povertà e il malessere affettivo, relazionale, educativo, invade i singoli, i gruppi e la comunità nel suo complesso. In definitiva, quindi, tutta la società diventa più ricca di beni ma più povera di gioie e di sentimenti.

            La reazione di persone coinvolte in maniera pesante ed eccessiva nel lavoro intra o extrafamiliare, sono, infatti, abbastanza note. L’individuo vive, pensa, respira, in funzione di ciò che ha fatto o degli impegni e delle realizzazioni che ha in mente di effettuare. Tende, quindi, ad estraniarsi dal coniuge, dai figli, dagli amici, dalle relazioni. Naturalmente questa pressione, questo stress psicologico, ha bisogno di momenti di compensazione che non sono vissuti però in maniera fisiologica, ma ancora una volta in maniera eccessiva e nevrotica. Per tale motivo nei giorni canonici: la domenica, il sabato o la notte, l’individuo cerca di recuperare, di riacquistare quanto perduto, quanto assorbito nelle attività lavorative o sociali, impegnandosi o in un riposo assoluto o in divertimenti frenetici e inutili. Ciò produce degli effetti negativi sulle relazioni che sono vissute in modo superficiale e sbagliato. La persona si impoverisce sempre di più, tende ad entrare in crisi accusando non colui o quella cosa che gli ha sottratto energie, ma gli altri: il marito, la moglie, gli amici, di non riuscire a comprenderlo ed ad entrare in sintonia con lui.

E’ un circolo vizioso che allontana sempre di più l’individuo da se stesso, dagli altri, dalla società. Nel dialogo di coppia in particolare, che dovrebbe essere un incontro, fonte di piacere, gioia, calore, tenderà a portare, in uno scontro distruttivo ed alienante, la stanchezza, le frustrazioni, lo svilimento, i pensieri, le ansie accumulate nella giornata.

            Evitiamo quindi di lasciare per la comunione, l’incontro, lo scambio con la persona che amiamo i rimasugli del nostro tempo e delle nostre energie, ritagliamo invece, nella nostra vita di ogni giorno o nella nostra settimana, delle ore, dei giorni da dedicare con serenità, disponibilità ed il massimo delle nostre capacità al dialogo e allo scambio affettivo, amoroso e sessuale.

 

                                                                                                   

Coppia: intesa e comprensione reciproca

 

 Emidio Tribulato - L'INTESA E LA COMPRENSIONE RECIPROCA

 

 

 

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L’intesa dei genitori è essenziale per una visione serena del mondo e di se stessi.

 Non è necessario che tra i genitori ci sia una grande passione. Non è necessario che in loro, il fuoco dell'innamoramento, arda e bruci come nell'età giovanile o nei primi momenti del loro rapporto. E' necessario, invece, che si vogliano bene.Che tra loro ci sia benevolenza, e quindi rispetto dell'altro, dei suoi bisogni, del suo ruolo. E' necessario che non ci sia tra loro aggressione non solo fisica ma neanche verbale e che si sostengano a vicenda. Ci sia quindi tra di loro complicità, aiuto e comprensione reciproca.

     Avere come coppia, per poi dare ai figli, il senso dell’unione, della complicità, della coesione, è una delle qualità più importanti che dovrebbero possedere dei buoni genitori.   

Il senso della coesione e dell’unione di coppia e di famiglia, dovrebbe essere vissuto intimamente dai genitori e da loro reso evidente alla prole in ogni atteggiamento. Un buon genitore dovrebbe lavorare giorno per giorno affinché l’immagine dell’altro coniuge sia avvertita dai figli nel modo migliore possibile. Ciò si può ottenere soltanto se, sistematicamente, vengono ad essere vissute e sottolineate le caratteristiche positive dell'altro coniuge, mentre nel frattempo si dovrebbe evitare di far evidenziare i tratti negativi o che non si condividono pienamente.  Quando i genitori sono uniti e compatti nel loro approccio educativo, si evita che i figli, giocando sulla conflittualità, sulla divisione e sul diverso modo di vedere i problemi, ottengano ciò che desiderano mediante la solidarietà e la complicità con il genitore " buono” a dispetto e contro quello “cattivo.”

    E’ questo un gioco in cui è facile cadere, poiché siamo istintivamente sensibili agli atteggiamenti seduttivi dei figli. Evitare di contraddirsi ed evitare di litigare, soprattutto per quanto riguarda i comportamenti educativi, dovrebbero essere le regole basilari di ogni coppia di genitori.

    Si formano, a volte, delle complicità ed alleanze: madre e figli contro il padre o viceversa; in altri casi l’alleanza avviene in base ai sessi, papà e figlio maschio contro la mamma e le sorelle, o al contrario papà e figlia, contro mamma e figlio. In ogni caso queste situazioni sono sintomo di patologia della coppia o di problematiche personali non risolte e dovrebbero essere evidenziate, approfondite ed eliminate sul nascere anche con l’aiuto di un buon terapista di coppia.

    Purtroppo queste alleanze patologiche sono in notevole aumento per l’accentuarsi della conflittualità dei coniugi e per il fatto che il femminismo tende a sottolineare alleanze e complicità all'interno dello stesso sesso, contro “l’oppressione maschile”! Riportiamo le regole base di G. Courtois che condividiamo.

                                    LE REGOLE BASE PER DARE IL SENSO

                                               DELL’UNIONE DI COPPIA

•    Non ci contraddiremo mai l’un l’altro dinanzi ai bambini, soprattutto a loro riguardo.

•    Non ci faremo mai rimproveri in presenza dei bambini.

•    Mai uno autorizzerà di nascosto quello che l’altro ha proibito.

•    Nessuno dei figli sarà confidente delle nostre mutue pene.

•    Mai faremo allusione ai difetti e, soprattutto, alle colpe dell’altro.

•    Mai l’uno dirà qualcosa che possa diminuire il rispetto o l’affetto dei bambini verso l’altro.

•    Mai diremo a un bambino: “ Soprattutto non parlarne a tua madre!” o “ Non dire nulla al babbo.”

•    Avremo positivamente la preoccupazione di rinforzare la nostra autorità vicendevole in tutte le circostanze. (G. Courtois)

                                                                                                                       

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "L'educazione negata Edizioni E.D.A.S.

 

Violenza e imitazione

Violenza e imitazione

 

Il fatto che l’aggressività, come molti comportamenti negativi, possa essere appresa dall’ambiente di vita, è noto da sempre: “Chi pratica con lo zoppo all’anno zoppica”. Quest’antico proverbio vuole chiaramente indicare la notevole influenza negativa che ispirano le persone che frequentiamo e con cui viviamo, sui nostri comportamenti relazionali e sociali. Soprattutto i bambini e gli adolescenti, ma anche gli adulti, tendono istintivamente ad imitare gli atteggiamenti ed i comportamenti che scorgono nel loro ambiente di vita. Pertanto, così come sono spinti a riprodurre i comportamenti positivi di accoglienza, rispetto, dialogo, dono e cura, allo stesso modo possono imitare, in ogni rapporto relazionale, anche i comportamenti di rifiuto, aggressività e violenza, dei quali sono spettatori.

Per i minori questa imitazione è più frequente ed incisiva quando i comportamenti negativi provengono da persone che hanno per loro una maggiore valenza affettiva ed educativa: “Vedo i miei genitori che litigano continuamente, pertanto è normale che i coniugi litighino tra loro”. “Mio padre si è comportato in maniera violenta e aggressiva con me o con mia madre; è normale e logico che anch'io faccia lo stesso, con i miei figli e con mia moglie”. “Mia madre gridava continuamente e anch’io ho l’abitudine di gridare per un nonnulla”. Alcuni di questi bambini, divenuti adulti, tenderanno a ripetere gli stessi comportamenti vissuti nell’infanzia, altri, per fortuna, facendo propri dei comportamenti positivi acquisiti da altri adulti conosciuti in altri ambienti, saranno in grado di criticare e rifiutare quei comportamenti ritenuti violenti, ingiusti e apportatori di sofferenza.

Inoltre, come dice Hacker [1]: “Il comportamento aggressivo, come molte altre forme comportamentistiche, ha la tendenza a estendersi e generalizzarsi; una volta appreso e collaudato esso viene esteso ad altre situazioni e qui applicato”. Ancor peggio se gli atteggiamenti aggressivi sono premiati. In questi casi anche dei comportamenti chiaramente abnormi assumono valenze positive[2].

Tuttavia, a questo riguardo, è bene rilevare che nel campo educativo quando l’aggressività nasce dalla sofferenza, dalle frustrazioni e dai traumi subìti, l’atteggiamento repressivo non ottiene i risultati voluti e sperati, poiché non si può insegnare a non essere aggressivi, utilizzando l’aggressività![3]

L’aggressività appresa dalla logica del gruppo.

Questo tipo di comportamento è frequente nei giovani e negli adolescenti i quali, inseriti in un “branco”, sono condizionati dalle regole presenti nel gruppo. Per cui hanno notevoli difficoltà a controllare i comportamenti e gli atteggiamenti aggressivi e violenti suggeriti dagli altri componenti, poiché questi comportamenti diventano una condizione necessaria per essere accettati dagli altri. Per tale motivo il giovane che aderisce a queste indicazioni si sente come deresponsabilizzato nelle decisioni personali e avverte il dovere di accettare le decisioni prese dal capo del branco o dalla maggioranza dei coetanei. D’altra parte, opporsi ai comportamenti, significherebbe opporsi a tutto il gruppo, non far più parte di questo e, di conseguenza, sentirsi isolati ed emarginati.

In questi casi il singolo individuo non agisce aggressivamente per frustrazione o per scaricare l’ansia eccessiva, ma per aderire a una logica di gruppo, che vede la violenza come necessaria e coerente con i propri bisogni d’integrazione e socialità. Come dicono Erikson e Erik, 2008, p.29),: “Un individuo si sente isolato dalle sorgenti della forza collettiva allorché egli, magari solo nel suo intimo, assume un qualsiasi ruolo che il suo gruppo ritiene particolarmente negativo”.

L’aggressività e la violenza appresa dai mass media e dai mezzi di comunicazione di massa.

 Non sono da sottovalutare l’emulazione delle scene di violenza presenti nei mezzi di comunicazione di massa, nei film, nei video giochi e negli spettacoli come quelli di Wrestling. Per Hacker [4]: “Dappertutto i mezzi di comunicazione di massa influenzano la coscienza generale e con essa indirettamente ma in modo determinante anche l’inconscio, le opinioni, gli atteggiamenti e le azioni del pubblico”.

E ancora lo stesso autore (Hacker, 1971, p. 315):

“L’adolescente americano medio è così ipersaturato dai tanti stimoli aggressivi trasmessi dai mezzi di comunicazione, che nessun modello specifico di aggressione gli sembra nuovo o degno di essere imitato; tuttavia questo ottundimento del singolo è ottenuto al prezzo del globale innalzamento del livello di aggressività”.

Per quanto riguarda i Wrestling, non può essere certamente indifferente, soprattutto per i minori, assistere a dei giganti super palestrati che lottano e si aggrediscono in maniera violenta e selvaggia, cercando in ogni modo di far del male all’avversario, fino a schiacciarlo a terra con il loro mastodontico corpo. Il fatto poi di sapere che in realtà, quella alla quale si assiste, è una finta lotta e che, almeno si spera, questi atleti, non si facciano veramente del male, non sempre viene percepito in maniera corretta, soprattutto dai più piccoli che assistono a questi spettacoli. In questi, la traccia emotiva che permane e predomina nel loro animo può purtroppo comportare il desiderio e il piacere di poterli in qualche modo imitare.

Per quanto riguarda i film e i telefilm, mentre fino a qualche decennio fa l’eroe aveva una funzione di difesa della nazione, dei più deboli e degli indifesi e pertanto, almeno nelle intenzioni degli autori, aveva un ruolo positivo, ormai da molti decenni lo stesso eroe partecipa in modo confuso e caotico al piacere di distruggere e aggredire tutto ciò che capita a tiro, utilizzando qualunque strumento di distruzione: bazuka, bombe, fuoco, auto e camion, spesso senza che si riesca a rintracciare, nelle sue azioni, un minimo di finalità costruttiva ed educativa. “La tendenza mimetica viene esaltata quando gli atti aggressivi mostrati sono rappresentati come eroici, promettenti e apportatori di successo, oppure quando gli spettatori sono espressamente invitati all’imitazione e vi vengono autorizzati” (Hacker, 1971, p. 315).

Per tale motivo gli attuali eroi, ai quali bisognerebbe identificarsi e imitare, sono certamente senza paura, veloci, forti e sicuri di sé, ma sono anche dei balordi confusi e violenti, senza pietà, ma anche senza alcuna disponibilità all’ascolto e alla comprensione dell’altro.

Ancora più grave è la stimolo all’emulazione che l’individuo, soprattutto in età evolutiva, può ricevere da parte dei contenuti dei videogiochi più comunemente utilizzati e diffusi. Molti di questi si basano essenzialmente su una continua, ripetitiva, perenne lotta, utilizzando varie armi e strategie, contro alieni e nemici immaginari, mostri da distruggere, prima di essere distrutti, da uccidere, prima di essere uccisi; ma anche lotta nei confronti di malcapitati, innocui passanti. D’altra parte molto spesso, in questi giochi, uccidere quanto più possibile dei fantomatici nemici fa “vincere” una partita o fa andare ad un livello successivo e pertanto “premia”. Questi personaggi suggeriscono e nel tempo convincono il piccolo utilizzatore, che l’aggredire e il distruggere sono atteggiamenti e comportamenti non solo “normali” ma anche utili, piacevoli e divertenti.

Si dirà che la violenza presente nei film, nella Tv o nei video giochi è “finta, non è vera, è solo spettacolo ” tuttavia “L’effetto imitativo è uguale, sia che le scene di violenza siano prodotte negli studi, sia che vengano riprese dalla vita reale (anche se questa differenza fosse riconoscibile). Banddura e in seguito Berkowitz hanno dimostrato con estesi esperimenti su gruppi di bambini di diverse età che l’effetto di accrescimento dell’aggressività esercitato da esempi d’aggressione è sostanzialmente lo stesso, a prescindere dal fatto che l’aggressione rappresentata e successivamente imitata si sia svolta originariamente nella vita reale, in un film o in un cartone animato”(Hacker, 1971, p. 315).

Poiché in queste immagini e in questi giochi non c’è pietà, tenerezza, comprensione, giustizia, ma soprattutto non ci sono sfumature, l’uso di questi strumenti può condurre ad atteggiamenti reattivi e aggressivi nei confronti degli altri, giacché riduce le inibizioni e non educa alla necessità di ricercare e trovare soluzioni alternative ai problemi e ai conflitti tra esseri umani, utilizzando il dialogo, la mediazione e l’accordo tra le parti.

L’altra conseguenza insita in questi spettacoli, che è forse ancora peggiore di quella precedente, è che nell’animo e nella mente dei bambini s’insinua e si sviluppa l’idea che nel mondo nel quale viviamo allignano una serie infinita di nemici che subdolamente possono circondarci, assalirci e farci del male, per cui è necessario vivere costantemente sulla difensiva, sempre pronti a prendere le armi piùà efficaci per proteggerci o attaccare.

Quest’inquinamento mediatico è tanto più grave quanto maggiore è il numero dei messaggi, quanto minore è l’età, quanto più il soggetto è psicologicamente fragile, suggestionabile e insicuro, ma anche quanto maggiore è l’interattività.

Tuttavia, da parte della società e dei legislatori è difficile accettare e soprattutto porre rimedio al fatto incontestabile che le parole e le immagini violente ascoltate e viste, ma anche virtualmente eseguite migliaia di volte dai minori, dagli adolescenti e dagli adulti, possano lasciare delle tracce indelebili nell’animo di chi le utilizza. Si preferisce allora per motivi economici e ideologici far credere che ciò non sia vero e non sia possibile, al fine di coprire una realtà difficile da accogliere; giacché accettare ciò significherebbe modificare in maniera sostanziale la presunta neutralità di questi strumenti e pertanto intervenire non solo sul loro uso ma anche e soprattutto sulla loro produzione.

Tra l’altro oggi buona parte dell’educazione e della formazione dei minori, a causa di genitori sempre più impegnati, lontani, assenti e distratti, è diventata di tipo mediatico. E se i media ma anche internet sono ricchi di contenuti violenti, i risultati non possono che essere deleteri sul piano del rispetto dell’integrità, dignità e sacralità dell’animo, del corpo e della vita dell’altro. Ciò è evidente in molti rapporti sociali. Le assemblee scolastiche o di condominio, le discussioni parlamentari, Facebook, gli incontri di calcio e i dibattiti televisivi, ovunque vi sia la minima possibilità di confrontarsi con idee diverse, sono spesso utilizzati per scaricare sugli altri, mediante la violenza verbale, la propria rabbia e le proprie frustrazioni. Per Dacquino (1994, p. 304): “Viviamo in un clima di violenza e sadismo verbale, alimentato dall’abitudine di polemizzare accanitamente anche per le cose più futili. Siamo sempre sul piede di guerra oppure discutiamo con voce dura, stridula, alta, pur sapendo che urlare è la reazione di chi ha torto o è insicuro”.

L’aggressività può essere appresa in famiglia da stili educativi erronei.

Vi sono degli stili educativi nei quali sono trasmessi i valori dell’accoglienza, della fratellanza, dell’amore, dell’accettazione e del dono, ma vi sono purtroppo anche degli stili educativi nei quali sono trasmessi disvalori: come la violenza, la prepotenza, la protervia e lo sfruttamento dell’altro ai propri fini. In questi casi è costantemente sottolineato l’errato principio che bisogna rispondere “occhio per occhio e dente per dente” a quanto subìto e che “non bisogna essere pecore ma lupi” pronti ad azzannare chi ci ha fatto o potrebbe farci del male o potrebbe sottrarci qualcosa di nostro. Questi stili educativi sollecitano ad accettare e utilizzare l’uso della forza e della violenza in molte, troppe occasioni senza che ciò sia strettamente necessario e utile.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 315.

 

[2] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 71.

[3] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 171.

 

[4] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 317

 

Violenza e aggressività nei separati e divorziati

Autore: Emidio Tribulato

La possibilità di sciogliere in ogni momento il vincolo matrimoniale ha fatto cambiare profondamente la percezione e il valore della famiglia e, di conseguenza, ha modificato in peggio la responsabilità nei confronti dei figli.

Il “… finché morte non vi separi”  tipico del matrimonio di un tempo, è stato messo ai margini della coabitazione temporanea dettata dal più prosaico “…vediamo se funziona” e infine è stato sostituito da un modello flessibile, part-time dello “stare insieme”. Si pensa che si possa “entrare e uscire” impunemente da un legame sentimentale con un click, come se fosse una relazione virtuale [1]. Pertanto, non affrontando con la necessaria convinzione e impegno la vita in comune, la famiglia nasce già negativamente segnata fin dal suo inizio[2].

Per lo stesso autore Volpi[3]:

“Uno degli effetti immediati della legge sul divorzio si manifestò in un aumento del numero e dell’incidenza percentuale dei matrimoni civili; non clamoroso, ma certamente consistente e significativo, che soprattutto non si sarebbe più fermato. L’ascesa dei matrimoni civili parte da qui, nel senso che è indissolubilmente legata all’introduzione della legislazione del divorzio nel nostro paese”.

Se interpretiamo correttamente quest’aumento dei matrimoni civili, non vi è dubbio che esso ha il significato di “lasciare una porta aperta” ad un eventuale e probabile divorzio. Cosicché, dall’entrata in funzione di questa legge, si è perso nelle coppie il senso che l’unione sia per tutta la vita.

Ma insieme alle sempre più frequenti fratture del matrimonio si è assistito nel tempo anche ad un aumento della conflittualità tra i coniugi, non solo durante il tempo più o meno lungo dell’unione di coppia, ma anche nelle fasi successive alla separazione. Per Andreoli [4] in tutte le condizione di destrutturazione sociale l’aggressività nei singoli aumenta notevolmente, proprio per la mancanza del sostegno reciproco. Statisticamente i periodi che generano i più gravi stress e le più forti tensioni, nell’ambito della coppia, riguardano i giorni o i mesi nei quali si attua la separazione o il divorzio. Ciò avviene soprattutto quando la coppia si affida al sistema giudiziale con il suo corollario di testimonianze e prove, non sempre spontanee e sincere; con i suoi documenti, non sempre fedeli e veritieri; con richieste e comportamenti, che quasi sempre contengono dei secondi fini a favore di una delle controparti. Questi stress e queste tensioni facilmente si ripercuotono sui singoli individui, generando notevoli manifestazioni di aggressività reciproca ed a volte atti di gravissima violenza.

 

La separazione e il divorzio non rappresentano soltanto un allontanarsi dall’altro. Separazione e divorzio sono in realtà uno strappo importante che coinvolge e sconvolge una comunità molto ampia di soggetti. Oltre la coppia direttamente interessata, esso trascina in un grave malessere gli eventuali figli e familiari, dell’uno e dell’altro coniuge, ma anche gli amici intimi dei due e la comunità nel suo complesso. Il momento della separazione è vissuto, in molti casi, come un’insopportabile lacerazione della propria vita e del proprio cuore. Come accendendo un fiammifero in una santabarbara, le esplosioni di emozioni che ne possono conseguire sono drammatiche. Come un fuoco che dilaga in un’arida prateria, mentre spira il vento caldo del sud: l’ansia, la collera, i timori che si diffondono e sconvolgono gli animi degli interessati sono ingovernabili.

Il separarsi e il divorziare coinvolgono e sconvolgono profondamente l’ambiente fisico e quello psicologico, le emozioni e gli affetti, le abitudini e i consueti stili di vita, il benessere interiore ma anche quello economico di chi, anche se solo marginalmente, è in qualche modo implicato in queste tristi vicende. Nascono rimpianti, sensi di colpa, accuse, recriminazioni, ma anche una serie di prevaricazioni psicologicamente insostenibili a causa della loro intensità e del loro perdurare nel tempo.

Nonostante le emozioni che sconvolgono gli animi degli individui siano spesso considerate consequenziali ai conflitti preesistenti durante il matrimonio o la convivenza, sono proprio i momenti della separazione e del divorzio a far esplodere le pulsioni più violente e distruttive.

Per Hacker [5]:

“L’improvvisa liberazione dell’aggressività in seguito allo scioglimento del vincolo, alla perdita di persone di riferimento o all’espulsione del gruppo, porta alla sua introiezione sotto forma di stati depressivi (“ben mi sta, non merito di meglio”) o di complessi di colpa quando si perde una persona cara (“ho fatto davvero tutto il possibile?”) Nonché alla sensazione di inutilità e rabbia impotente che, a loro volta, provocano l’aggressività indistinta e incontrollata”.

Per Ackerman[6]:

“Va anche ricordato che, per i genitori, non vi può essere un divorzio totale. Sebbene divisi in modo definitivo in quanto coppia sessuale, essi rimangono permanentemente legati alla comune responsabilità per la cura dei loro figli, e in qualche caso questo legame diventa una fonte di sofferenza per molti anni”.

Nell’ambito della famiglia è facile che uno o entrambi i membri della coppia, senza avere la maturità e la consapevolezza delle dinamiche relazionali in gioco e senza comprendere la gravità di quello che stanno compiendo, mettano i figli l’uno contro l’altro genitore; lasciando che si creino delle alleanze patologiche: maschi contro femmine, madre con il figlio contro il padre e la figlia[7].  In tal modo essi accentuano la sofferenza e il disagio dei minori, i quali, a loro volta, soffrendo di maggiore irritabilità, aggressività e instabilità, sia durante l’infanzia sia nell’età adulta, continueranno ad alimentare nell’ambito familiare e sociale un circolo vizioso, sempre più distruttivo e incontrollabile.

Dalle separazioni e dai divorzi tenderanno a crescere, inoltre, delle generazioni il cui senso innato della stabilità del matrimonio è stato profondamente scosso dalla precoce esperienza del divorzio e dal vivere in famiglie spezzate e ciò influenzerà certamente le future relazioni, rendendole sempre più fragili ed evanescenti[8].

Per Maccoby et al. (1993, pp. 24-38) dopo il divorzio tra i coniugi si vengono a strutturare fondamentalmente tre tipi di comportamenti:

  1. Cooperativo. In questi casi i genitori parlano tra loro, discutono dei problemi della famiglia, non si squalificano reciprocamente e cercano di coordinarsi nelle attività in favore dei figli. Ad esempio: ”Io accompagno a scuola Giulio; tu, per piacere, pensa a riprenderlo quando esce”. Oppure: “Mentre tu porti la nostra piccolina dal dottore, io mi occupo di parlare con gli insegnanti di Francesco”. E così via. Purtroppo quest’atteggiamento o comportamento cooperativo, nella ricerca effettuata da parte degli autori suddetti, dopo diciotto mesi dalla separazione, riguardava solo un quarto circa dei soggetti del campione studiato.
  2. Disimpegnato. In questi casi i genitori non comunicano tra loro e non collaborano reciprocamente. Per quanto riguarda i figli è come se questi vivessero in due mondi separati. Ad esempio, il sabato e la domenica stanno con il padre, mentre durante la settimana sono totalmente gestiti dalla madre. Quando uno dei due si rivolge con acredine all’ex marito o moglie, fa delle raccomandazioni di questo tipo: “Come abbiamo concordato con il giudice, ricordati di prendere Mario davanti alla porta di casa, alle sedici di sabato e riportarlo alle diciotto della domenica, non prima e non dopo, se no mi rivolgo al mio avvocato e ti faccio passare dei guai seri”. Questo comportamento, solo apparentemente cooperativo, viene attuato solitamente quando si hanno dei figli abbastanza grandi e coinvolge circa un terzo del campione esaminato.
  3. Ostile. In un terzo dei casi i genitori separati mantengono tra loro dei contatti ma questi sono gestiti in modo sistematicamente astioso. Poiché permane in ognuno di essi il bisogno di vendicarsi e far del male all’altro, sono evidenti, nei loro rapporti, la persistenza di aggressività e conflittualità, così come sono evidenti i tentativi tesi a sabotare il benessere e la tranquillità dell’altro. Nei separati e divorziati che assumono un comportamento ostile, ad esempio, per evitare che lui o lei esca il sabato sera con il nuovo legame sentimentale, l’ex coniuge cercherà di ostacolare questi incontri sentimentali frapponendo qualche impedimento: “Purtroppo questo sabato non potrò tenere i bambini perché dovrò farmi visitare dal medico”. Oppure: “Tu puoi stare con i tuoi figli quando vuoi, ma quella donnaccia con cui convivi non deve stare mai accanto a loro”. La qual cosa, naturalmente è impossibile che sia attuata. Questa limitazione ha il solo scopo di contribuire a creare scompiglio nella nuova coppia che si sta formando o si è già formata.

 Con il trascorrere del tempo il comportamento disimpegnato diventa quello più comune e non ha molto valore il tipo di affidamento attuato in sede giudiziaria. I genitori più conflittuali sono quelli che, dopo la separazione, devono provvedere a figli piccoli, quelli che hanno molti figli, ma anche quelli che hanno intrapreso delle nuove relazioni.

 

Le cause dell’aggressività durante e dopo la separazione

I motivi della conflittualità durante e dopo la separazione sono tanti.

  1. 1.      L’invidia e la gelosia

L’atto di separarsi e allontanarsi fisicamente dal proprio uomo o dalla propria donna, per andare a vivere in un’altra casa, intrattenendo delle nuove relazioni, spezza molti equilibri preesistenti che, bene o male, tenevano sotto controllo le emozioni più intense. Alla sofferenza subìta durante il matrimonio o la convivenza si somma quella che scaturisce durante e dopo la separazione. La libertà ritrovata, nella nuova condizione di separati, stimola entrambi a cercare nuove avventure sentimentali, che si concludono con delle relazioni non sempre più stabili di quelle precedenti e che aggiungono altro amaro in bocca ai divorziati.

Spesso si vengono a creare nuovi e a volte più intensi motivi di conflitto, legati all’esplosione della gelosia e dell’invidia. Sapere che altri hanno le parole, i baci, le carezze e il corpo della persona che si è tanto desiderato, sognato e amato, con la quale si è convissuto per tanti anni e con la quale si è costruita una famiglia, suscita intensi sentimenti di acredine, gelosia e rivalità che è molto difficile controllare e contenere: “Perché neanche il tempo di separarci e lui ha un’altra? Cos’ha questa che io non ho? È forse più bella o più interessante di me? Sa ascoltarlo e capirlo più di quanto non abbia saputo fare io?” Oppure da parte dell’uomo: “Lei si è messa subito con il nostro migliore amico. Sicuramente c’era qualcosa anche prima. L’ho sempre detto che era una donnaccia, che non si vergogna di portare a casa nostra il suo amante, presentandolo e facendolo convivere con i nostri figli come se nulla fosse”. Da tutto ciò non possono che nascere dei dolorosi sensi d’impotenza, rabbia e collera, che sono accentuati anche dalla perdita dell’autostima.

Non è difficile che passino davanti alla mente dei separati, come in un doloroso caleidoscopio, una serie d’immagini che possono sconvolgere anche la mente più posata ed equilibrata. Immagini dell’ex partner che, finalmente libero se la spassa con un altra, utilizzando forse proprio la casa di proprietà, comprata insieme a costo d’immensi sacrifici, per organizzare dei festosi, intimi incontri, senza preoccuparsi minimamente del dolore, del disagio o peggio della disperazione e della gelosia che questi comportamenti provocano in chi è stato lasciato.

D’altra parte le due reti familiari, ma anche amicali, piuttosto che essere d’aiuto e di sostegno alla coppia, frequentemente alimentano e rinfocolano la conflittualità: “Come puoi accettare che il tuo ex se la spassi con quella ragazza, mentre tu sei costretta ad occuparti dei suoi figli giorno e notte?” Oppure: “Come puoi restare indifferente verso quella donnaccia che in maniera spudorata fa entrare nella casa, che tu hai comprato con i tuoi soldi e il sudore della tua fronte, il suo nuovo amico?”

  1. 2.      Le motivazioni economiche

Tra i tanti motivi che fanno permanere anche dopo il matrimonio notevoli conflitti, vi sono sicuramente le motivazioni economiche. Ognuno dei due ex coniugi cerca in tutti i modi di pretendere e prendere per sé quanto più possibile, ma anche di togliere all’altro più che può, al fine di vendicarsi e fargli quanto più male possibile. La guerra economica, fomentata dagli avvocati e dai parenti dell’uno e dell’altro, si protrae spesso per decenni. Questo stato di continuo, perenne conflitto esaspera gli animi e rende incandescente il clima tra i due, anche perché la separazione comporta spesso per entrambi un peggioramento delle condizioni economiche. Gli stipendi di entrambi, quando ci sono, sono sistematicamente falcidiati a causa delle nuove spese, come quelle per gli avvocati e per i periti; ma anche per essere costretti a far fronte a due abitazioni, con conseguente raddoppio delle utenze a queste collegate: acqua, luce, gas, telefono, tasse per la casa, per la raccolta dei rifiuti e così via.

  1. 3. La cura e la gestione dei figli

Un altro motivo che innesca nuovi e frequenti conflitti, riguarda la cura, l’educazione e la gestione dei figli. Educazione, cura e gestione che, in queste occasioni, diventano notevolmente più complesse e difficili. Lo sviluppo umano dei minori richiede una presenza costante di persone serene, adulte e mature, che sanno essere di esempio, guida e stabile punto di riferimento. È gravemente illusorio immaginare che un educatore possa tranquillamente sostituirsi ad un altro o che un affetto possa tranquillamente essere sostituito da un altro o che una casa possa essere abbandonata per un’altra, senza che i minori ne risentano un danno. Danno che in alcuni casi può essere lieve ma che, in tante situazioni, può essere tanto grave da destrutturare o far regredire in maniera notevole e stabile, la fragile personalità dei più piccoli.

Ogni figlio vorrebbe amare e rispettare entrambi i genitori, giacché la sua tranquillità, la sua gioia, la sua fiducia nella vita e nel mondo, la sua serenità interiore, sono riposte quasi esclusivamente in loro. Per tale motivo la sofferenza è grande quando è costretto a scegliere l’uno piuttosto che l’altro. Allo stesso modo i minori soffrono e provano intensi sensi di colpa, difficilmente gestibili, quando sono costretti a voler bene e frequentare soltanto i nonni e i parenti materni o soltanto quelli paterni. Il fanciullo entra in un circolo vizioso poiché il comportamento che fa piacere a un genitore suscita il rifiuto dell’altro (Lidz, 1977, pp. 65-66).

Difficilmente gestibile è anche il conflitto interiore, quando i figli si accorgono che il loro schierarsi a favore del genitore con il quale sono affidati, con il quale restano più a lungo e che ha maggiore cura di loro, nasce spesso non da una scelta oggettiva, ma dalla maggiore possibilità che questi ha di parlar male e accusare l’altro, ma anche dalla paura di rischiare di perdere l’appoggio e il legame dell’unica persona che si occupa di loro. Questa conflittualità provoca e aggrava la già difficile e delicata vita interiore dei figli dei separati e può innescare disturbi psicologici di varia gravità, che alterano i rapporti che essi hanno con se stessi, con i coetanei, con la scuola, con gli insegnanti e, soprattutto, con uno o con entrambi i genitori.

Spesso i minori, provati dai tanti dissidi e dallo scombussolamento della loro vita intima e relazionale, provano disistima sia verso la madre sia verso il padre in quanto, con i loro comportamenti incongrui, non sono riusciti a mantenere quel clima di pace e serenità che essi si attendevano e ed al quale avevano diritto. I genitori perdono autorevolezza ai loro occhi non solo per il modo con il quale si erano comportati quando stavano insieme, ma anche per come giornalmente si comportano da separati. Ad esempio, quando, come fossero ragazzini adolescenti, iniziano a frequentare nuovi uomini e nuove donne, non tenendo in alcun conto i bisogni e i desideri dei loro piccoli, i quali vorrebbero invece che papà e mamma, dopo il periodo tempestoso, si decidessero a non più litigare e a far pace riunendosi nuovamente. E nel caso che ciò non fosse proprio possibile, che almeno evitassero di frequentare altre persone, alla ricerca di nuovi amori o semplicemente di nuove avventure sentimentali, occupandosi principalmente di curare le ferite inferte al loro animo. È infatti molto difficile per un figlio immaginare ed accettare che i propri genitori amoreggino, si fidanzino, abbiano delle “storie” o rapporti sessuali con persone diverse dalla loro madre e dal loro padre.

Quando poi, con i nuovi matrimoni o convivenze, entrano nella vita dei figli nuove figure a loro sconosciute e spesso istintivamente rifiutate: nuovi nonni, nuovi zii, nuove sorellastre e fratellastri, verso i quali non vi è alcun legame preesistente, ma soprattutto non vi è alcun desiderio di accoglienza, i loro problemi non sempre migliorano! Spesso questi nuovi rapporti, non desiderati e non cercati, provocano nei figli ulteriori severi giudizi verso chi continua a sconvolgere il mondo nel quale fino a quel momento essi erano vissuti.

I figli sono costretti a subire anche gli effetti di una maggiore irritabilità e gelosia da parte di uno dei genitori. Poiché: “Quando l’unità coniugale si è infranta e uno dei due coniugi si sente escluso, le paure di castighi e ritorsioni che incombono sul bambino non sono soltanto proiezioni del suo desiderio di liberarsi di un genitore, ma si basano sull’effettiva presenza di un genitore geloso e ostile nei suoi confronti” (Lidz, 1977, pp. 72-73).

Infine, non è facile da parte dei figli accettare che i genitori, da separati, continuando a guerreggiare in modo aperto o sotterraneo, li coinvolgano direttamente come spie di quello che l’altro fa o non fa, di quello che l’altro dice o non dice, di quale persona l’altro frequenta. Il loro giudizio diventa ancora più severo, quando si accorgono di essere usati come armi improprie, per accusare o denigrare l’altro genitore, per sottrargli più denaro o per colpirlo e ferirlo in maniera più dolorosa.

Infine per dei separati o divorziati, così psicologicamente provati, è difficile mantenere una corretta linea educativa. Spesso, pur di accaparrarsi l’amore di qualche figlio, entrambi gli ex coniugi tendono ad assumere un comportamento nettamente permissivo o altalenante. D’altra parte come fare ad attivarsi come coppia genitoriale? Come fare a decidere in piena armonia e intesa che cosa fare e come educare al meglio i figli dovendo necessariamente accogliere le proposte o le indicazioni che provengono dalla persona che più si odia, dalla persona che ha tradito tutte le loro aspettative, della persona che più si disprezza? Da quanto abbiamo detto, è facile comprendere come sia difficile per i genitori separarti o divorziati l’educazione dei figli, ma anche semplicemente la loro normale gestione quotidiana.

Le conseguenze sui figli

Per tutelare il benessere di un minore è necessario tutelare il suo ambiente affettivo. Questo è costituito, fondamentalmente, dalle relazioni esistenti tra e con le persone a lui più vicine e più care al suo cuore: i suoi genitori e i suoi familiari. Un rapporto armonico, sereno e affettuoso è per ogni figlio la fonte principale della sicurezza fisica ed emotiva. Questa sicurezza è indispensabile per il suo sviluppo fisico ma soprattutto per il sano sviluppo dell’Io di ogni piccolo che viene al mondo. La serenità che nasce dall’avvertire attorno a sé un clima d’intesa, collaborazione e sostegno reciproco, è indispensabile per il formarsi di una solida identità personale, atta ad affrontare efficacemente i tanti eventi critici presenti nella vita di ogni essere umano. Per tale motivo i rapporti tra i genitori (rapporti coniugali) e quelli tra genitori e figlio (rapporti genitoriali), anche se fondamentalmente diversi, sono strettamente legati gli uni agli altri, tanto che non è possibile scinderli, poiché fanno parte dello stesso sistema familiare.

Sappiamo che tra un padre e una madre vi è un mutuo interesse nel crescere congiuntamente i loro figli, per cui quando tra papà e mamma è presente una buona intesa, questi riusciranno a lavorare insieme, supportandosi reciprocamente, così da collaborare strettamente al lungo, complesso impegno che ha come obiettivo la strutturazione della personalità dei loro piccoli. In un sistema coparentale funzionale, quando nascono dei problemi o dei disaccordi, i genitori sono perfettamente in grado di lavorare insieme per risolverli. Per ottenere ciò una coppia funzionale riesce ad essere aperta e disponibile verso i bisogni e le aspirazioni dell’altro, creando un clima affettivo nel quale il figlio si ritrova a suo agio. Ed è per tale motivo che le coppie soddisfatte da un punto di vista coniugale hanno la possibilità di dimostrare, nei confronti dei figli, più calore, più dialogo, più cooperazione e più sensibilità nei confronti dei loro bisogni. Con tali preziosi apporti i figli avranno maggiori possibilità di crescere affettivamente ed emotivamente sani e di introiettare molto più facilmente norme, regole, esperienze, abilità relazionali, possibilità di scambi, espressioni affettive, nonché strategie adeguate alla risoluzione dei futuri conflitti con i coetanei e gli adulti.

Per tale motivo se durante il matrimonio sono presenti degli intensi ed eclatanti conflitti, quando questi cessano con la separazione, ciò può apportare giovamento ai figli, i quali non sono più costretti ad assistere a quotidiane aggressioni e violenze verbali o fisiche tra i genitori. Tuttavia, se dopo il matrimonio questi comportamenti irritanti e aggressivi perdurano o si accentuano, il danno che i minori ne hanno, dovendo tra l’altro vivere senza l’apporto di uno dei genitori, aggrava il loro status psicologico, già molto provato.

Come conseguenza di ciò si possono avere una serie di disturbi psicoaffettivi, più o meno gravi, ma sempre limitanti il normale sviluppo dei minori. Questi disturbi sono più gravi quando è presente solo un figlio unico, rispetto a quando vi sono più fratelli e sorelle che possono, con la loro presenza, la loro relazione affettiva, attenuare o limitare l’eventuale danno.

 Nei genitori separati nei quali perdura lo stato conflittuale si evidenziano spesso segnali di  carenze affettive, mancanza di equilibrio psichico, deficit cognitivi, senso di solitudine, depressione, difficoltà relazionali, facili comportamenti devianti, condotte asociali o antisociali, pigrizia, mancanza d’impegno e fenomeni d’auto-colpevolizzazione in rapporto alla separazione dei genitori.

Per Lidz (1977, p.69): “Più spesso di quanto non appaia da uno studio superficiale, i figli cresciuti in famiglie ove esistono tendenze disgregatrici tendono a manifestare una scissione della struttura dell’Io. La definitiva frattura tra i genitori sul piano della realtà dà luogo, in seguito all’introiezione, a un’analoga frattura sul piano psichico”.

 
 


[1] Pirrone, C.,  (2014), “Come dire: Ti prometto di essere fedele sempre”, Famiglia oggi,  n. 3.

[2] Volpi R. (2007), La fine della famiglia, Mondatori, Milano, p. 62.

[3] Volpi R. (2007), La fine della famiglia, Mondatori, Milano, p. 15.

[4] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 71.

[5] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 145.

[6] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 193.

[7] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 82.

[8] Harding E. (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 233.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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I ruoli

 

 

Secondo la definizione del sociologo Neil J. Smelser: [1]  “Un ruolo consiste nelle aspettative che si creano riguardo al comportamento di una persona quando questa si trova in una certa posizione all’interno di un gruppo.” 

Il ruolo può nascere dalla necessità, dai bisogni o dalle scelte effettuate dalle singole persone, ma può venire affidato e richiesto da qualche responsabile o da qualche società e gruppo organizzato. Da queste necessità, bisogni o scelte nasce l’affidamento di un certo compito ben preciso, al quale è collegata anche una chiara e netta responsabilità. Qualunque ruolo, per essere funzionale, deve in qualche modo essere accettato dagli altri. Nel mondo della marineria, il “ruolino” prescriveva a ciascun membro dell’equipaggio il compito che gli era affidato nella conduzione della nave. Naturalmente il comandante o l’ufficiale addetto affidava i vari ruoli tenendo presenti le necessità della nave ma anche e soprattutto, le caratteristiche, la preparazione e le capacità dei singoli marinai.

 Il ruolo può però concretizzarsi anche in modo automatico. Ad esempio nel momento in cui una donna o un uomo hanno un figlio, questi diventeranno automaticamente, anche se solo nominalmente, padre e madre, mentre i loro fratelli acquisteranno il ruolo di zii e i genitori di questa donna e di quest’uomo saranno nonni.

In altri casi il ruolo può essere scelto dalle stesse persone allo scopo di trovare, in un determinato impegno, una nuova realizzazione o maggiori piaceri e gratificazioni: “Io voglio essere tua moglie; io voglio essere tuo marito”. “Io voglio essere madre per questo bambino adottato”.

Da quanto abbiamo detto si deduce facilmente che il ruolo:

  • può essere scelto dalle singole persone
  • può nascere da una necessità individuale o collettiva;

In ogni caso, per essere ben svolto, necessità di specifiche qualità e preparazione; ha bisogno di essere accettato dagli altri; richiede una grande responsabilità ma anche impegno, sacrificio e molta attenzione nella sua conduzione e realizzazione.

La molteplicità dei ruoli

Ognuno di noi può avere, e spesso ha più ruoli: si può essere contemporaneamente padre, zio, nonno, fratello, marito, responsabile aziendale, scrittore, sindacalista, volontario ecc. Per gli adulti avere più di un ruolo è la norma e non l’eccezione. Ed è forse per tale motivo che cercare di assumere molti e diversi ruoli e cambiarli a volontà ci appare non solo naturale ma anche molto facile e desiderabile: “Perché essere soltanto madre o padre e non anche insegnante, politico, scrittore e quant’altro?”

Sicuramente questo comportamento ci appare più interessante, stuzzicante, moderno e in linea con i tempi: “Che noia fare sempre le stesse cose” “Che bello cambiare e rimettersi in gioco”.

Tuttavia non sempre è facile e conveniente cambiare il proprio ruolo o assumerne uno nuovo o peggio aspirare a eccessive pluralità di ruoli, a volte tra loro contrastanti. 

E ciò per vari motivi:

1. È evidente che per ogni ruolo assunto che si aggiunge ai precedenti, aumentano gli oneri, gli impegni, le responsabilità e i sacrifici necessari per assolverli bene tutti e ciò comporta un grande dispendio di tempo ed energie che non sempre sono a nostra disposizione. Il buon senso e la visione reale e non illusoria della vita vorrebbe allora che assumessimo i ruoli che siamo in grado di affrontare  e assolvere bene e correttamente e non tutti quelli che l’entusiasmo o le mode del momento ci suggeriscono o che ci vengono offerti.

2. Spesso anche un ruolo apparentemente semplice ha bisogno di una lunga e attenta preparazione. Ciò è soprattutto vero oggi giacché per ogni compito che le moderne società notevolmente complesse e articolate richiedono sono necessari lunghi studi, master e tirocini che si protraggono spesso per decine d’anni. Pertanto il dispendio di tempo e di energie necessari per assumere un ruolo difficilmente potrà essere replicato e attivato per molti altri. In questi casi il rischio è di affrontare alcuni compiti essenziali per la famiglia e la società, senza la necessaria preparazione, rischiando di far male ogni cosa affrontata. Ciò evidentemente comporta delle conseguenze negative anche sul piano dell’autostima personale.

3. Quando si cerca d’affrontare mansioni troppo diverse e contrastanti spesso siamo coinvolti dall’ansia e dai dubbi: “faccio bene o faccio male”  “E’ corretto quello che faccio oppure no”. Se cerchiamo di uscire da queste ansie e da questi dubbi trascurando alcuni compiti a favore di altri è evidente che deluderemo innanzitutto noi ma anche gli altri che si aspettano molto di più di quanto in realtà siamo capaci e siamo disposti a offrire.   

4. Ci sfugge, spesso, anche la considerazione che il ruolo è qualcosa di più di un compito momentaneo, esso tende a incidere e penetrare in profondità nel nostro essere, legandosi fortemente all’Io del soggetto segnando e modificando anche profondamente le caratteristiche di quest’ultimo. Pertanto se a volte una particolare personalità ha bisogno di esprimersi in una certa mansione, altre volte, al contrario è la mansione assunta che, in qualche modo, plasma e modifica la personalità del soggetto. Facciamo qualche esempio. Se una personalità tendente alla precisione cercherà e si attiverà per dei compiti confacenti alle sue caratteristiche personologiche, come fare il contabile o l’orologiaio, può tuttavia capitare anche il contrario: e cioè che un certo stile richiesto da questi compiti modifichi, anche se in parte, la personalità del soggetto e il modo con il quale questi si porrà nei confronti degli altri. Un altro esempio, fra i tanti che possiamo fare, è quello di un comandante militare il quale, volente o nolente, a motivo della lunga preparazione e della intensa disciplina alla quale deve sottostare per effettuare correttamente il suo lavoro, assume ben presto le classiche caratteristiche presenti in un buon militare: grinta, aggressività, impeto, resistenza, ubbidienza.  Caratteristiche queste che non sempre sono confacenti con altri compiti nei quali lo stile militaresco non è necessario o addirittura è controproducente.  Non solo i militari o gli orologiai avranno problemi nell’affrontare ruoli diversi e contrastanti. In generale possiamo dire che lo stile che si acquisisce nel mondo economico e dei servizi può risultare e spesso risulta scarsamente adeguato e confacente nei rapporti affettivi, educativi e relazionali E ciò in quanto nelle attività manageriali e professionali hanno molto valore la grinta e il dinamismo; l’intraprendenza e la determinazione;  le parole e i ragionamenti; la capacità di cambiare e aggiornarsi. Mentre nel mondo degli affetti e delle relazioni, al contrario sono importanti: la serenità e la distensione; la dolcezza e la tenerezza; la disponibilità e l’accoglienza; le capacità di ascolto e di cura; le capacità di sacrificio ma anche la stabilità e continuità nel rapporto.

4. Spesso quando si assumono più ruoli si entra in competizione con le altre persone con le quali si è costretti a condividere quel ruolo, in special modo quando non vi è un chiaro e netto punto di riferimento e un ben definito responsabile al quale far capo. In questi casi le gelosie e i contrasti anche intensi e violenti sono all’ordine del giorno.  Il caso più frequente e grave lo troviamo proprio dentro le nostre case. Se a entrambi gli uomini e donne sono affidati, come avviene oggi nella nostra società, gli stessi ruoli educativi, di ascolto, attenzioni e accudimento verso i minori, gli anziani e le persone bisognose di cure e assistenza e, nello stesso tempo, viene ad entrambi data la stessa responsabilità  sull’indirizzo  sociale ed economico della famiglia,  saranno facili e spesso gravi i contrasti sia per un diverso modo di giudicare, gestire e affrontare i vari compiti e le varie situazioni, sia per il nascere di confronti, gelosie e invidie: “Perché lui deve guadagnare più di me?” “Perché lei deve avere buona parte delle coccole dei figli e io no?” “Perché devo sottostare a quello che lei/lui dice o preferisce e non deve prevalere la mia idea, la mia opinione o la mia volontà?” “Perché lui/lei deve spendere non solo i suoi soldi ma anche i miei?”.  Purtroppo affidare ad entrambi i coniugi stessi compiti e medesime funzioni e ruoli si è rivelato  -e non era difficile prevederlo-  il modo migliore per mettere uomini e donne l’uno contro l’altro e rendere stabilmente e perennemente conflittuale il rapporto tra i sessi.

5. Vi è infine un altro problema del quale si parla poco: se un certo ruolo è affidato solo a una persona questa sentendosi pienamente responsabile del risultato si impegnerà  a svolgerlo nel migliore dei modi, dando il massimo di sé, se non altro per soddisfare il suo orgoglio e la sua autostima, ma se lo stesso ruolo è affidato a due o più persone l’impegno sarà sicuramente più modesto in quanto, in caso di fallimento è facile dare la colpa all’altro o agli altri: “Che non hanno collaborato”; “Che non si sono impegnati abbastanza”; “Che hanno sbagliato nella loro condotta”; “Che sono stati dei pigri o degli incapaci”; e così via. Ancora una volta un importante esempio l’abbiamo nelle nostre famiglie. L’aver affidato lo stesso ruolo agli uomini e alle donne ha comportato un disinvestimento negli impegni e nelle responsabilità familiari specie nelle responsabilità educative. In quanto se qualcosa non funzione e purtroppo sono tante le cose che non funzionano nell’ambito delle famiglie e dell’educazione dei figli, è sicuramente colpa dell’altro;  se invece qualcosa va bene è sicuramente merito nostro. Pertanto non è valorizzato adeguatamente il personale contributo e impegno.

6. Un ruolo di responsabilità o autorità comporta non solo “onori” ma anche tanti “oneri” che spesso superano le gratificazione dovute agli onori. Questo spiega molto bene il fatto che quando le leggi sulla famiglia hanno tolto l’autorità di capo famiglia al marito, molto uomini come si direbbe oggi “non hanno fatto una piega” e “ hanno tirato i remi in barca”. Hanno cioè accettato di buon grado questa perdita del loro ruolo di “capo” ma in compenso hanno ceduto ben volentieri la responsabilità, la fatica, l’impegno, il sacrificio che questo ruolo comportava. La responsabilità condivisa in definitiva si è trasformata in una comune irresponsabilità giacché ogni componente della coppia non essendo investito formalmente in uno specifico compito ha pensato bene di scrollarsi di ogni responsabilità, impegno e sacrificio. E ciò in quanto, come abbiamo detto prima, quando la responsabilità è condivisa è facile scaricare ogni impegno ma anche ogni colpa sull’altro. Il detto che “la pentola in comune non bolle mai” sintetizza molto bene questo concetto.



[1] Neil j. Smelser, Manuale di sociologia, Il Mulino Prentice hall International, 1995, p.18.

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Famiglie funzionali e famiglie disfunzionali

Emidio Tribulato

LE FUNZIONI DELLA FAMIGLIA

PAROLE CHIAVI: famiglia: definizioni, funzioni della famiglia, società, educazione, cura, affettività,  

 

 

 

 

Che cos'è la famiglia?

Le definizioni sono tante:

 

 

 

La famiglia funzionale

La famiglia, se funzionale, riesce ad assolvere a numerose ed importanti funzioni a favore della società è viceversa. E’ possibile, ma non è affatto conveniente, come spesso si vorrebbe e si è tentato di fare, rompere questo intimo sodalizio tra famiglia e società, in quanto se paragoniamo le famiglie alle cellule di un individuo, così come le cellule hanno bisogno dell’intero organismo per vivere, anche l’organismo ha bisogno delle cellule per la sua salute e per la sua sopravvivenza. pertanto se la famiglia, ogni famiglia, ha bisogno della società, questa, a sua volta, non può fare a meno delle famiglie.

La famiglia provvede a svariate funzioni sociali:

 

Funzione emotiva -affettiva

 

Essendo la famiglia luogo privilegiato degli affetti, e quindi luogo dove nascono e si sperimentano i primi sentimenti d’amore, essa ha, come fondamentale funzione, lo sviluppo dell’espressioni affettivo-emotive. Come luogo primario dell’amore, dell’accoglienza, dell’abbraccio, della carezza, della rassicurazione, della sollecitudine, questa istituzione è dispensatrice della fiducia di fondo, del bambino, del giovane e dell’adulto, rispetto alla vita e all’ambiente sociale.  Nell’unione familiare, più che in altre forme di convivenza, possono dialetticamente armonizzarsi libertà e responsabilità; autonomia e solidarietà; cura dei singoli e ricerca del bene comune; forza progettuale e disponibilità all’imprevisto; sollecitudine e discrezione; fisiologica e sana reattività nei confronti delle aggressioni, ma anche capacità di perdonare; disponibilità alla comunicazione ma anche all’ascolto.

Se la famiglia ha buone caratteristiche di funzionalità riuscirà a far star bene tutti i suoi componenti mediante la soddisfazione dei loro bisogni affettivo-relazionali. Riuscirà a far stare bene i genitori, i figli, le persone anziane. In quanto riuscirà a dare a ognuno di essi ciò di cui hanno bisogno: riuscirà a dare sicurezza, ascolto, gioia, affetto, amore, piacere. Una famiglia funzionale sarà in grado di creare in ogni componente la fiducia di fondo nei confronti della vita, degli altri, in se stessi. Se la famiglia riesce ad essere luogo di calore, accoglienza e amore, sarà capace di produrre nella prole capacità e possibilità affettive e relazionali notevoli. In definitiva creerà benessere psicologico in tutti i suoi membri.

In caso contrario, quando la famiglia ha caratteristiche disfunzionali, oltre a numerose problematiche psicologiche: nevrosi, psicosi, caratteropatie, tossicomanie ecc., darà vita a insicurezza, sospetto reciproco, conflittualità, ansia, depressione, frustrazione, impotenza, aggressività, odio e rancore. Problematiche queste che, inevitabilmente, saranno trasferite nel contesto sociale, creando un danno economico e di funzionalità di tutto il sistema sociale, anche di quello politico ed economico, tanto più grave quanto più numerosi e importanti sono i problemi dei suoi componenti.

Funzione assistenziale, di cura e di sostegno nelle avversità fisiche e psicologiche

 

E’ solo all’interno delle famiglie che le attenzioni amorevoli tra i coniugi,  verso la prole, le persone ammalate, disabili o sole, hanno caratteristiche che le rendono uniche, insostituibili e particolarmente importanti. Psicologicamente, i membri della famiglia sono legati da una reciproca interdipendenza, per la soddisfazione dei bisogni affettivi. I servizi statali o quelli offerti, anzi comprati dai privati, raramente sono in grado di dare quanto promesso. Pertanto nelle famiglie funzionali ogni componente sarà sostenuto, incoraggiato, aiutato nei momenti di difficoltà o crisi: nella perdita de lavoro, nella malattia, quando sono presento gli acciacchi dovuti all’età, quando si presentano difficoltà economiche, delusioni sentimentali e relazionali, momenti di solitudine, frustrazione ecc.  Nessun servizio pubblico o privato è, infatti, capace di dare tanto e bene ad un costo così contenuto, come riesce a fare una normale sana famiglia, in quanto nessun servizio pubblico o privato riesce a creare, attorno ad un minore o alla persona ammalata, anziana, disabile, sola o bisognosa di cure e di particolari attenzioni quel clima di affettuosa e attenta presenza che dà il necessario conforto, che lenisce la sofferenza, allevia i problemi, accelera la guarigione.

Nelle famiglie disfunzionali mancherà l'aiuto e il sostegno reciproco tra i coniugi, la cura dei minori è insufficiente ad un sano sviluppo e si farà un uso eccessivo e abnorme dei servizi statati o privati nel vano tentativo di dare a ogni suo componente ciò che la famiglia non riesce a offrire. 

Funzione educativa

 

 

 

La famiglia, al di là delle sue diverse configurazioni, ci rimanda a quella struttura relazionale delle persone che definisce il nostro Io più vero e profondo. Pertanto la funzione educativa primaria e di base non può che essere affidata alla famiglia. Solo in questa le future generazioni trovano quel legame d’amore tra due esseri di sesso diverso, quell’affetto, quelle attenzioni e cure, capaci di sviluppare tutte le potenzialità dell’essere umano, in un clima di serenità, apertura alla vita, fiducia e sicurezza. Solo in questa istituzione sono presenti quei presupposti di continuità e gradualità dei processi educativi capaci di sviluppare e far crescere persone con una stabile e sicura identità e personalità. Persone quindi non solo intelligenti e capaci ma anche serene, mature e responsabili.

Questo perché è soltanto nella famiglia che ritroviamo dei legami affettivi con quelle caratteristiche di intensità, stabilità, continuità e responsabilità. Qualità indispensabili nella formazione ed educazione delle future generazioni umane.  Per tali motivi quando la famiglia possiede buone caratteristiche di funzionalità provvederà a sviluppare nei nuovi nati tutte le potenzialità umane presenti nei geni: l’intelligenza, Il linguaggio, la motilità, la socialità, l’affettività, i sentimenti, le emozioni, la spiritualità, la cultura di base. In definitiva riuscirà a formare un uomo e una donna con buone caratteristiche di maturità, serenità, equilibrio e socialità.

La funzione educativa della scuola o degli altri servizi non può che essere secondaria e sussidiaria a quella familiare, in quanto, questi servizi non hanno né la capacità, né la linearità, né la coerenza, né la responsabilità, presenti in una sana, normale famiglia. Pertanto è soprattutto in questa che al bambino vengono trasmessi i valori fondamentali indispensabili per la sua esistenza e per la società. E’ nella famiglia che lui impara a limitare le sue esigenze; capisce come rispettare quelle degli altri; apprende ad inserire i bisogni in una corretta scala di valori. Ed è nella famiglia che impara a comprendere che la vera libertà si nutre di responsabilità e rispetto nei confronti degli altri, di se stesso e della verità.

Quando la famiglia è disfunzionale uno o più potenzialità non saranno sviluppate o saranno stimolate in maniera abnorme o patologica. Il caso che descriviamo è sicuramente raro ma è un segnale di come la famiglia stia perdendo la sua funzione educativa anche nei comportamenti più basilari ed elementari.

Un giorno venne all’osservazione della nostra equipe una bambina di tre anni. Ben sviluppata dal punto di vista fisico rispetto alla sua età, appariva nell’aspetto una bella bambina sana e vivace. Era figlia di genitori di ottima estrazione sociale e culturale: il padre aveva due lauree e così la madre. Entrambi i genitori mi dissero subito di essere super impegnati nelle attività lavorative. Quando ancora io stesso non mi ero lasciato sedurre dal telefonino cellulare che ora tengo, per la disperazione di mia moglie e dei miei figli, ben conservato e spento in un cassetto, la madre con orgoglio mi fece vedere di averne due: uno per le attività d’ufficio e uno per ricevere le chiamate di amici e familiari. Mi esposero il loro problema sintetizzandolo in poche parole: “La bambina nonostante abbia più di tre anni ancora non parla.“

Non vi erano, nelle notizie riguardanti la gravidanza e la nascita, segni che potessero far pensare ad una patologia cerebrale pre o post natale. La bambina sembrava possedere un buon udito e anche i test per evidenziare  il suo sviluppo intellettivo evidenziavano delle capacità logiche e percettive nella norma. Tra l’altro non sembrava una bambina psicologicamente trascurata, la madre affermava che la bambina era sempre con lei per parecchie ore al giorno. Eppure non parlava. Imbarazzati in quanto non riuscivamo a fare uno straccio di diagnosi, io e gli altri membri dell’equipe, ci guardavamo in faccia, sperando che qualcuno riuscisse a capire l’origine di questa strana patologia. Poi, come per un’improvvisa illuminazione divina, le feci una domanda che raramente faccio ai genitori: “Ma voi avete insegnato a parlare a questa bambina?” Sia il padre che la madre mi guardarono stupiti. “Mi scusi ma perché avremmo dovuto insegnarle a parlare? Noi sappiamo che i bambini normali verso i tre anni parlano, lei non lo fa e per questo che noi ci siamo preoccupati e siamo venuti da lei.” Ripetei la domanda spiegando cosa significasse insegnare a parlare, la madre mi guardò quasi offesa e rispose stizzita :” Dottore ma veramente lei pensa che con tutto il da fare che ho io avrei mai potuto fare quello che lei mi dice? Forse non ha capito, io ho due lavori che mi impegnano anche quando sono a casa. Ecco perché porto due telefonini. La bambina sta sempre con me, anche quando vado dai clienti la porto nel sedile posteriore della macchina, ma certo non potevo mettermi a fare quelle cose che lei mi dice. Io e mio marito pensavamo che i bambini ad una certa età parlassero e basta.”

Capendo che non era proprio il caso di infierire cominciai a spiegare loro un programma che avrebbe dovuto aiutare la bambina ad acquisire il linguaggio. Si trattava soltanto di farle ripetere delle parole prendendo spunto da immagini  semplici e colorate. Sapendo che entrambi i genitori avevano una cultura basata soprattutto sui numeri ed i calcoli, con pignoleria descrissi quante volte e per quanti minuti ogni giorno bisognava sottoporre la bambina a quel programma “speciale.”

Dopo un mese circa i genitori e la bambina ritornarono per un controllo. Chiesi come andavano le cose e la madre: “Dottore è un miracolo, adesso la bambina parla.” Da allora quando vi sono casi simili dico scherzando ai miei collaboratori che si tratta di un altro caso che necessita di un intervento miracoloso!

Funzione riproduttiva

 

All’interno della famiglia nascono le future generazioni umane. Se le famiglie trovano nel proprio seno sufficienti capacità e all’esterno un ambiente favorevole, esse sono in grado di fornire alla società un numero di figli sufficiente a sostituire le persone decedute e ad ampliare, gradualmente, la diffusione della razza umana. Nelle famiglie disfunzionali, sia qualitativamente che numericamente, il “prodotto” di questa istituzione sarà scarso ed insufficiente a coprire anche solo le morti.

Funzione economica

La famiglia è una piccola impresa tra persone che condividono e si impegnano per dei progetti comuni. Tra questi ve ne sono sicuramente anche di tipo finanziario. La famiglia provvede, infatti, a procurare, con il lavoro dei suoi membri, le risorse necessarie per la vita comune: cibo, vestiti, abitazione, cure sanitarie e altre necessità materiali. Giacché con le sue spese consuma, mentre nel contempo produce reddito mediante il lavoro dei suoi componenti, è la famiglia il principale motore dell’economia. Mediante il pagamento delle tasse essa provvede alle necessità dello Stato, mentre, a sua volta, utilizza gli aiuti dello Stato per l’assistenza ai minori, agli anziani, ai malati e ai disabili.  Quando uno o più dei suoi membri sta male sia fisicamente sia psicologicamente, non ne soffre solo la famiglia ma anche la società, in quanto sarà costretta a rinunciare al lavoro utile e produttivo di questi e sarà anche costretta a provvedere alla sua cura ed assistenza.

Funzione di protezione dai pericoli esterni

 

La famiglia ha il dovere di proteggere i suoi membri dai pericoli fisici, psicologici e morali: dipendenza, disvalori, violenze, abusi di ogni genere (sessuali, fisici, spirituali, morali).

I pericoli presenti nell’ambiente sociale sono di vario ordine: sono pericoli di tipo fisico, ma sono soprattutto pericoli di tipo psicologico: contatto con disvalori, violenze, abusi o offese di tipo spirituale, morale e relazionale. La famiglia dovrebbe poter offrire a tutti i suoi membri, protezione e riparo, così da essere porto sicuro nei confronti dei fattori negativi dell’ambiente sociale nel quale è inserita. La famiglia, se adeguatamente preparata, aiutata e sostenuta dalle istituzioni, ha gli strumenti per riconoscerli, ha gli antidoti per neutralizzarli, ha la forza per debellarli, così da impedire danni irreparabili ai suoi membri.

Abbiamo detto “se aiutata dalle istituzioni”. E’ indispensabile quindi che le istituzioni si facciano carico della protezione delle famiglie e dei loro membri, senza abbassare la guardia con la scusa   della libertà di parola e di pensiero. Oggi, nelle società occidentali, questa protezione manca quasi completamente, in quanto  in modo assolutamente irresponsabile, lo Stato non si cura di portare, mediante la TV e gli altri mass media, vicino alle famiglie e dentro le famiglie, insieme a materiale utile anche elementi molto dannosi per la vita di questa istituzione o per qualcuno dei suoi componenti più fragili e indifesi. Pertanto si ricercano e si puniscono severamente i pochi orchi pedofili, ma si lascia che un mare putrido di melma prodotto anche a spese della comunità invada, mediante i mass media, le menti ed i cuori di minori e adulti.  E poiché nessun genitore ha il dono della bi o tri locazione per essere contemporaneamente presenti al primo e secondo lavoro; per essere pronto+ ad accompagnare i figli nelle varie attività sportive, musicali e scolastiche “indispensabili per farli crescere bene”; per accompagnarli alle visite dei vari medici e specialisti, non possono essere nel contempo pronti a controllare che i figli non si mettano in situazioni di rischio con radio, Tv, Internet e telefonini tutto fare.

Funzione socializzante

 

Essendo il gruppo primario intermedio tra l’individuo e la più vasta società, la famiglia è la più piccola cellula sociale ma anche il principale mediatore sociale.

È nella famiglia che inizia il cammino socializzante per i minori, che si amplierà e completerà poi mediante l’attività della scuola e delle altre agenzie educative. È sempre in questa istituzione che viene attuato il miglior tirocinio verso la comunità e verso l’altro. Si impara a limitare i propri desideri, a confrontarli con i bisogni degli altri, si impara a riconoscere nei propri comportamenti le conseguenze positive o negative che da questi comportamenti potrebbero scaturire.

E’ nella famiglia che vengono posti i fondamenti dell’educazione all’integrazione dei ruoli sociali e l’accettazione delle responsabilità verso il più vasto mondo esterno ad essa.

Funzione etica e religiosa

 

All’interno della famiglia sono trasmessi i fondamentali principi etici, morali e religiosi.

E’ all’interno della famiglia che, nei vari popoli, si coltiva e viene espressa la religiosità più profonda e vera. E’ solo in questa istituzione che gli insegnamenti morali  ed i valori fondamentali del genere umano vengono trasmessi dagli adulti alle nuove generazioni, senza orpelli o grandi manifestazioni esteriori ma nel modo più intimo, profondo e vero.

Nella vita di ogni giorno, tra le mura che racchiudono e uniscono le famiglie, lo spirito religioso viene trasmesso non solo come informazione culturale ma, goccia dopo goccia, è alimento prezioso ed essenziale nella strutturazione e formazione della personalità.

Non è un caso che in tutti i popoli di grande civiltà, è in seno alla famiglia che viene iniziato, alimentato e sviluppato il senso etico e religioso della vita, tanto che per la chiesa cattolica la famiglia rappresenta la “piccola chiesa domestica”.

Funzione di trasmissione culturale

 

All’interno della famiglia sono trasmessi i principali elementi della cultura di base della società. E’ la famiglia che provvede allo sviluppo della personalità dei singoli componenti.

E’ attraverso la famiglia che le fondamentali conoscenze e la cultura di base dell’umanità passano alle nuove generazioni. Mediante l’esempio quotidiano sono trasmessi gli insegnamenti riguardanti i rapporti con il prossimo, i principi educativi fondamentali per il buon vivere sociale, i valori morali, i ruoli sessuali, i compiti ed i legami generazionali.

Funzione di sviluppo e orientamento dell’identità personale e sessuale

 

La famiglia ha lo scopo di sviluppare l’identità sessuale e personale che si trova allo Stato potenziale nei nostri geni. Almeno un terzo dell’identità e dei ruoli sessuali sono affidati all’ambiente affettivo relazionale nel quale il bambino vive. Questo significa che una buona parte della corretta identità sessuale necessita di idonei interventi da parte della famiglia di origine.

 

La famiglia non è un fossile storico, ma resta il migliore ed insostituibile strumento per la sopravvivenza della specie e della società ed è l’unità base affinché la società si evolva positivamente. Dalla famiglia dipende il destino dell’uomo, il suo benessere o malessere psicologico, la sua capacità di cogliere i piccoli piaceri e le gioie della vita, la capacità di dare senso alla sua esistenza. Se le famiglie sono funzionali le future generazioni saranno forti, ricche di beni materiali, culturali, spirituali e materiali. In caso contrario saranno deboli, fragili, disturbate, malate fisicamente, psicologicamente o socialmente. La famiglia, pertanto, è il più importante capitale di ogni società umana.

 

PAROLE CHIAVI: famiglia: definizioni, funzioni della famiglia, società, educazione, cura, affettività,  

 

 

 

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In questa sezione puoi leggere argomenti riguardanti la coppia: innamoramento, amore, gelosia, dialogo, conflittualità ecc..

 

 

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Come nasce, come si sviluppa, a cosa serve la famiglia? Che cosa può metterla  in crisi?

 

 

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In questa sezione abbiamo raccolto molti temi sociali.

 

 

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