Racconti infantili

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La metodologia del racconto infantile

  L’incontro

La prima fase riguarda certamente l’incontro con il bambino. Qualunque sia il problema del minore da conoscere, esaminare o aiutare, mediante dei colloqui terapeutici, questo è certamente il momento più importante. Chi viene da noi, vuoi per problemi genetici o organici, vuoi per problemi familiari o ambientali è un bambino sofferente.

Anche se ancora non conosciamo le cause della sofferenza e le ferite presenti nell’animo del bambino che si trova alla nostra presenza, sono incontestabili e meritano sempre il massimo rispetto e la dovuta accoglienza e comprensione. Per tale motivo, ogni atto che effettueremo nei suoi riguardi non dovrà prescindere dal disporci nei suoi confronti con il massimo riguardo e tanta delicatezza.

Per tale motivo, pur essendo la nostra motivazione ad aiutare il bambino, utilizzando la metodologia del racconto libero, assolutamente legittima, abbiamo anche il dovere di rispettare sempre e in ogni momento la sua sensibilità e i suoi bisogni. Per tale motivo, se alla nostra richiesta ci accorgiamo che egli oppone une reale resistenza o peggio una netta opposizione, abbiamo il dovere di rispettare sia l’una sia l’altra, utilizzando eventualmente strumenti alternativi di indagine o altri approcci terapeutici. Con molta probabilità, il nostro rispetto del momento creerà un più facile legame con noi, per cui in un periodo successivo egli sarà felice di manifestarci i suoi pensieri e le sue emozioni utilizzando il racconto.

Dobbiamo aggiungere anche qualcosa di più: nel caso che il bambino non accolga la nostra richiesta, non solo non dobbiamo insistere ma, per evitare che possa sentirsi in colpa, dobbiamo riuscire a non mostrare alcuna delusione o dispiacere, per la sua scelta.

Se egli si trova in un reparto o studio di neuropsichiatria o psicologia, affinché senta l’operatore più vicino a sé e ai propri desideri e quindi accetti le richieste che quest’ultimo gli fa, una delle tecniche che consigliamo consiste nel lasciare al minore la possibilità di giocare liberamente, in una sala ricca di giocattoli, con la compagnia di un assistente particolarmente disponibile, per tutto il tempo che occorre per raccogliere dai genitori e dagli operatori che lo seguono, tutte le informazioni utili ad un’accurata anamnesi.

Il lasciarlo giocare liberamente per qualche tempo, senza nulla chiedergli, ha due scopi: il primo è quello di evitare che il nostro piccolo paziente ascolti le informazioni raccolte dalla sua famiglia che a volte sono molto delicate, per cui potrebbero turbarlo; il secondo scopo è quello di fargli iniziare questa esperienza nel modo più piacevole e accattivante possibile. Nel caso in cui il bambino abbia difficoltà a staccarsi dai suoi genitori, lo faremo accompagnare nella stanza dei giochi da uno di essi o da un altro familiare.

 Il racconto

Dopo che il bambino avrà effettuato il suo disegno libero, gli chiederemo di costruire un racconto. Anche in questo caso gli lasceremo la massima libertà nell’organizzarlo ed esporlo utilizzando, come base di partenza, il disegno libero appena effettuato, oppure di allontanarsi da questo, inventando qualcosa di diverso e originale.

Utilizzando questa metodologia ci accorgeremo che alcuni bambini, per continuare a dar sfogo alle loro emozioni e ai loro pensieri che sono prevalenti in quel momento, utilizzeranno il disegno appena prodotto. In pratica, per esprimere i pensieri e ed emozioni, al posto delle matite e dei colori, si serviranno di parole e frasi. Altri invece, senza tener conto di quanto disegnato un momento prima, produrranno dei temi diversi.

La ricchezza dei racconti e anche la loro lunghezza, variano molto. Per alcuni bambini il raccontare è molto facile e piacevole, tanto che a volte la loro sbrigliata e fervida fantasia è così prorompente che, stanchi di copiare il fiume di parole che fluiscono dalla loro bocca, è necessario fermarli. Altri, invece, hanno notevoli difficoltà a lasciarsi andare nel comunicare a una persona quasi sconosciuta i loro pensieri e, soprattutto, il loro stato d’animo del momento.

 Le “domande stimolo”

Per invitare il bambino ad effettuare un racconto, consigliamo di utilizzare la frase con la quale di solito iniziano tutte le favole: “C’era una volta…”. Se qualche bambino, pur non rifiutandosi di raccontare qualcosa, rimane perplesso e non dà seguito a questo stimolo iniziale, lo possiamo aiutare con qualche domanda più specifica. Ad esempio: “Di quale personaggio o oggetto vorresti parlare? Pensi forse a una persona grande? A un bambino? A un animale? A una casa? A un giocattolo? Scegli tu quello di cui vuoi parlare”.

Anche durante il racconto sono ammesse tutte le domande che possono servire a chiarire meglio quello che il bambino ha in mente e vorrebbe esprimere. Allo stesso modo sono utili tutte le richieste se finalizzate ad arricchire o approfondire i temi trattati, quando ciò può essere utile nel  farci partecipi della sua vita interiore.  

Per tale motivo, una volta che il bambino ha scelto il personaggio principale del quale iniziare a parlare, se questo ci appare poco definito, aiuteremo il minore a renderlo più concreto, mediante delle ulteriori sollecitazioni. Ad esempio, potremo chiedere il nome, il sesso, l’età e altre caratteristiche dei personaggi presenti nella sua storia. Allo stesso modo potremo domandargli se questa persona, della quale lui parla, vive da sola o ha una famiglia; ma anche com’è composta questa famiglia, il luogo dove abita, che caratteristiche ha la casa dove egli vive, e così via.

Per aiutarlo ad ampliare il suo racconto, così da far emergere i contenuti più profondi, possiamo utilizzare ulteriori “domande stimolo”, come ad esempio: “Un giorno cosa successe?” “E poi…? E dopo…?”

 

Figura 1

Un esempio di questo modo di procedere l’abbiamo nel racconto di Marco.[1]

Una macchina nuova

C’era una volta una macchina.

D. Com’era questa macchina?

 R. Era nuova ed era uscita appena dalla concessionaria. Era grande.

D. Di chi era?

R. Era di una persona qualunque.

D. Cosa faceva questa macchina? Cosa le è successo?

R. È uscita. Pioveva. C’era un uomo alla guida ed è andato a casa; siccome pioveva. E poi, ovviamente, è uscito con la macchina nuova.

D. Era contento?

R. Se l’è comprata: la desiderava da tanto.

D. Chi era questa persona?

R. Era sposato e aveva moglie e figli.

D. Andava d’accordo con la moglie e con i figli?

R. Sì, andavano d’accordo.

D. È uscito con i figli? E dove sono andati?

R. Ad una cena di famiglia, di quelle serie. Diversamente da suo padre, mio padre mi costringe, non mi fa scegliere di andare o meno. Vanno alla cena e c’erano amici.

D. E com’erano questi amici?

R. Erano buoni, hanno mangiato tanto,

D. Chi erano?

R. Una famiglia, con marito e moglie. Una coppia da poco sposati. I figli hanno fatto amicizia con la coppia. Hanno fatto un gioco. Con la macchina si può andare in tanti posti. Giravamo e poi siamo tornati a casa.

 Nonostante siano ammesse varie sollecitazioni, è bene però lasciare al bambino la massima libertà nello scegliere la tematica del racconto, le caratteristiche dei vari personaggi e tutti i particolari che egli desidera inserire, senza mai criticare il contenuto del racconto.

Pertanto, abbiamo il dovere di accettare tutte le parole e le frasi che egli detta, gli eventuali errori grammaticali e sintattici e tutti gli argomenti che egli vuole esporre, anche se non potremmo condividerli e li vorremmo aspramente criticare e condannare. Ad esempio, quando sono presenti parole volgari, aggressive, chiare contraddizioni, errori grammaticali o nella dizione e così via. Allo stesso modo lo lasceremo libero di dare al racconto la conclusione a lui più gradita e congeniale, in quel determinato momento della sua vita.



[1] Tutti i nomi dei piccoli pazienti sono stati modificati. Quando lo si è ritenuto necessario, sono stati cambiati anche i nomi dei personaggi delle storie raccontate, mentre i titoli dei racconti sono frutto dall’autore.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

Capire ed aiutare i bambini mediante i loro racconti

 

I bravi genitori amano spesso leggere o raccontare ai loro piccoli delle storie e delle favole in molti momenti della vita quotidiana, come ad esempio, durante i pasti, allo scopo di aiutare i piccoli a mangiare seduti e tranquilli a tavola, senza essere costretti a inseguirli per tutta la casa, con il piatto in mano. Le favole e i racconti sono frequentemente utilizzati anche nei lunghi tragitti in macchina, poiché sono un buon mezzo per combattere la noia, la stanchezza e l’insofferenza dei piccoli; oppure la sera, per aiutare i figli a lasciarsi andare al sonno ristoratore in modo più sereno, allontanando paure ed incubi notturni. Storie, racconti e favole sono anche un ottimo strumento per creare tra i genitori e i figli una maggiore complicità e intesa. Anche i buoni insegnanti utilizzano favole e racconti, allo scopo di migliorare le conoscenze culturali e linguistiche dei loro alunni.

Le favole, i racconti e le storie, sia letti che raccontati, sono di solito ricavati attingendo dall’ampia letteratura per bambini e ragazzi. Solo in alcuni casi, da parte di genitori e insegnanti ricchi di fantasia e capacità affabulatorie, sono inventati sul momento.

Le favole più interessanti, che di solito iniziano con: “C’era una volta”, sono spesso ricche di azioni e di colpi di scena. Inoltre sono rese più accattivanti inserendo degli avvenimenti che provocano timori e brividi, allo scopo di attrarre l’attenzione dei piccoli, per poi traghettarli, anche dopo molte traversie, all’immancabile lieto fine, sintetizzato dalla consueta frase: “E vissero felici e contenti”.

Tuttavia, è raro che i genitori, i familiari o gli stessi insegnanti, chiedano ai bambini d’inventare e costruire loro stessi dei racconti in modo assolutamente libero, senza che vi sia alcuna finalità didattica.

Pensiamo, invece, che ascoltare o leggere, per poi interpretare i racconti dei bambini, possa essere molto importante per svariati motivi:

  • Intanto le loro parole ci possono permettere di entrare, come in punta di piedi, nel loro mondo interiore, al fine di scoprire cosa vive e si agita nella loro psiche.
  • Le loro parole potranno servirci a comprendere come ognuno di loro vive e si muove nel suo ambiente di vita.
  • Possiamo, inoltre, comprendere facilmente se la loro vita intima è ricca di serenità e gioia o, viceversa, se è pervasa da ansie, tristezze e sofferenze, che i bambini non riescono a comunicare direttamente.
  • I loro racconti ci danno la possibilità di conoscere quali sono le speranze e i desideri dei bambini che abbiamo in cura; quali paure sconvolgono il loro mondo interiore; cosa provoca e stimola il loro entusiasmo o il pessimismo; quali sono i loro più impellenti bisogni e necessità; ma anche quanto hanno inciso, nella loro psiche gli eventi traumatici nei quali i genitori sono stati in quel periodo coinvolti.
  • Dalle loro parole possiamo correttamente e facilmente valutare quanto siano stati utili i trattamenti psicoterapici che abbiamo intrapreso.

Non meno importante è lo scopo terapeutico: i bambini, mediante i racconti, hanno la possibilità di liberare il loro animo dai crucci, dalle ansie, dalle paure o dall’aggressività che spesso attanagliano e agitano la loro psiche.

Ciò è possibile in quanto il racconto diventa uno strumento che permette un dialogo profondo tra gli adulti che utilizzano questa metodologia e il bambino. Questo dialogo riesce a creare con facilità una relazione profonda e intima che offre al minore quella sicurezza, serenità e benessere che egli cerca.  Facendo partecipe l’adulto dei suoi crucci, delle sue paure e sofferenze, egli può trovare in questi, un punto di riferimento sicuro, stabile e affettuoso, nel quale riporre la sua fiducia e trovare appoggio e comprensione.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

 

 

Autostima

 

I racconti di Marco

In Marco, un ragazzo di tredici anni, abbiamo potuto evidenziare la scarsa autostima solo dai suoi racconti, mentre i genitori notavano in lui e riportavano come problemi soltanto le sue paure, le difficoltà nella scrittura, le ansie ed il suo nervosismo.

Primo racconto

Un brutto bambino che voleva imparare a guidare.

“C’era una volta Luigi. Oggi era il giorno per prendersi la patente. Nella scuola guida tutti ridevano di lui perché aveva i baffi e i denti gialli. Quando è salito sulla macchina, l’insegnante si è spaventato per la sua bruttezza. Luigi si è sorpreso della reazione dell’insegnante e premeva l’acceleratore. L’insegnante gli disse che lui sbagliava. Ogni cosa che faceva lo rimproverava. Lui era molto confuso e poi alla fine non ha preso la patente e gli amici lo prendevano in giro. Lui provò nuovamente a guidare bene la macchina e ci riuscì, ma non si accorse che una macchina gli stava venendo addosso, lo investì e morì”.

In questo primo racconto, effettuato nel suo percorso terapeutico, il bambino descrive, come meglio non si potrebbe, cosa innesca la disistima, cosa la mantiene viva e le conseguenze che essa provoca. Intanto egli evidenzia immediatamente come la semplice diversità possa diventare agli occhi degli altri bruttezza fisica e, come ciò, provochi molto spesso ilarità e dileggio (Nella scuola guida tutti ridevano di lui perché aveva i baffi e i denti gialli). L’ilarità ed il dileggio, a sua volta,provocano nel malcapitato uno stato di frustrazione che si traduce in malessere psicologico, con conseguente incapacità nelle attività intraprese (Luigi si è sorpreso della reazione dell’insegnante e premeva l’acceleratore). L’incapacità, a sua volta, alimenta altre frustrazioni: in questo caso l’essere bocciato agli esami di guida alla quale consegue l’ulteriore derisione da parte dei compagni per questa bocciatura (alla fine non ha preso la patente e gli amici lo prendevano in giro). Da notare come le reazioni di chi ci circonda, anche se adulto e con un ruolo educativo, spesso non fanno altro che accentuare i problemi del minore, vittima di queste problematiche (L’insegnante gli disse che lui sbagliava. Ogni cosa che faceva lo rimproverava).

Marco, nel suo racconto sottolinea poi, come la conseguenza della disistima provochi in lui un grave disagio interiore: la confusione, la quale, a sua volta, non fa che peggiorare il rendimento (Lui era molto confuso). Il pessimismo e lo stato mentale che ne consegue, impediscono che la reazione positiva del bambino che si sforza in tutti i modi di uscire da questa triste situazione (Lui prova nuovamente a guidare bene la macchina e ci riuscì, ma non si accorse che una macchina gli stava venendo addosso, la macchina lo investì e morì).

Queste ultime, tragiche parole, con le quali Marco conclude il racconto, evidenziano molto bene lo stato d’animo del bambino che soffre di disistima. L’essere investito e il morire non sono solo la conseguenza funesta del disagio interiore e della conseguente confusione, possono rappresentare, purtroppo, anche il desiderio più profondo di ogni minore che si trova in questa grave situazione di malessere!

Secondo racconto

Vittima della dea della bruttezza.

“C’era una volta un uomo di nome Claudio. Questo piaceva a tutte le ragazze. Un giorno, nel cielo, lo vide la dea della bruttezza che lo fece diventare brutto, con occhi di colori diversi. Quando le ragazze lo videro svennero per tanta bruttezza. Lui, scoprendo il sortilegio, salì nel cielo e chiese alla dea il motivo del sortilegio e lei gli rispose che nessuno poteva essere più bello di lei, ma che ciò che contava era la bellezza interiore e non quella esteriore”.

In questo secondo racconto Marco manifesta la sua scarsa autostima focalizzandola, ancora una volta, sulla bellezza fisica. In questo caso è l’invidia degli altri a provocare i suoi problemi. Il bambino cerca di capire il perché possa essere coinvolto in questo tipo di situazione e ne dà la responsabilità non più a se stesso ma a qualcuno fuori di lui(Un giorno, nel cielo lo vide la dea della bruttezza che lo fece diventare brutto, con occhi di colori diversi). Le conseguenze di ciò non possono che essere disastrose (Quando le ragazze lo videro svennero per tanta bruttezza)! Tuttavia poiché i suoi problemi provengono dall’esterno egli può cercare di risolverli (Lui scoprendo il sortilegio salì nel cielo e chiese alla dea il motivo del sortilegio e lei gli rispose che nessuno poteva essere più bello di lei). Alla fine del racconto il bambino prova ad accettarsi così come egli è, mettendo in bocca alla stessa dea gelosa le parole che tante volte si sarà detto per cercare di diminuire la sua scarsa autostima (che ciò che contava era la bellezza interiore e non quella esteriore).

Terzo racconto

 

L’albero diverso.

“C’era una volta un seme, l’agricoltore ha cominciato a dare acqua al seme e, dopo un po’, è nato un bell’abete, che era diverso dagli altri: con foglie gialle a forma di albero di bosco. Gli altri pini lo vedevano diverso e lo prendevano in giro e lui rispondeva che era diverso perché era migliore e chiedeva di essere lasciato in pace. Il povero albero pensò a quello che dicevano gli altri pini e dubitava di essere un vero pino. Cercando, scoprì di essere stato piantato lì per sbaglio. Tuttavia lui era contento perché capì di essere speciale”.

Il miglioramento di Marco si evidenzia molto bene in questo terzo racconto, nel quale egli riesce ad avere una buona accettazione di sé e della sue particolari caratteristiche, così da potersi confrontare con gli altri coetanei e reagire adeguatamente ai loro dileggi (Gli altri pini lo vedevano diverso e lo prendevano in giro e lui rispondeva che era diverso perché era migliore e chiedeva di essere lasciato in pace). Ed è sempre in questo racconto che il bambino riesce a staccarsi dal bisogno di omologarsi con il gruppo esaltando le sue peculiarità. Alla fine del racconto, Marco riesce a giudicare la sua diversità non come un limite o un handicap ma come un valore (Tuttavia lui era contento perché capì di essere speciale). 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 


"I bambini raccontano - Interpretazione dei

 

racconti infantili".

 

 

 

Desiderio di affetto

Desiderio di affetto

 

 

Maria e i palloncini

In questo racconto di Maria di anni dodici la cui madre era incapace di provvedere affettivamente ai suoi figli per cui era costretta a inserirli in vari istituti, si comprende bene la sensazione di carenza affettiva vissuta da lei e da tutti i bambini che si ritrovano nelle sue stesse condizioni.

I palloncini volati in cielo.

C’era una volta una signora che stava comprando dei palloncini che le sono volati. La signora si chiamava Francesca, come sua madre e aveva 11 figli e non erano contenti perché i palloncini erano solo tre. Allora la madre è andata a comprarne altri. Alla fine tutti i figli sono morti perché la mamma era vecchia e pure i figli. I palloncini sono volati in cielo insieme ad una lettera dove c’era scritto ”mamma ti voglio bene”.

L’interpretazione del racconto di Maria ci fa chiaramente pensare a una madre che cerca in tutti i modi di dare ai figli l’affetto che loro desiderano e di cui hanno diritto, ma non riesce a dare a tutti quanto dovrebbe.(C’era una volta una signora che stava comprando dei palloncini che le sono volati. La signora si chiamava Francesca, come sua madre e aveva 11 figli e non erano contenti perché i palloncini erano solo tre.) Nonostante l’impegno della madre i suoi apporti affettivi risultano inadeguati tanto che i figli muoiono (Allora la madre è andata a comprarne altri. Alla fine tutti i figli sono morti perché la mamma era vecchia e pure i figli). Nonostante ciò i figli continuano ad amare la loro madre perché sanno che aveva fatto del suo meglio nei loro confronti (I palloncini sono volati in cielo insieme ad una lettera dove c’era scritto ”mamma ti voglio bene”).

 

 

Mario

Caldo o freddo?

I bambini, spesso, hanno un’idea ben chiara su cosa serve loro nella vita e cosa desiderano veramente. Mario di anni otto ha le idee chiare.

‹‹Vi era un bambino che si trovava a volte in un ambiente caldo, altre volte in un ambiente freddo. Ma non era contento di ciò. Un giorno fece una scelta: “Preferisco il caldo.”  Se ne andò per trovare il caldo e viverci a lungo. La sua scelta era giusta. Il freddo lo rendeva triste. Il caldo lo faceva sentire forte e felice››.

Quando un bambino non ha dalla famiglia la serenità necessaria ha la tentazione di chiudersi e di limitare i rapporti con la vita e con gli altri (l’ambiente freddo). In altri momenti, invece, preferisce l’apertura alla vita, anche se questa apertura può essere causa di frustrazioni, in quanto è costretto a mettere in gioco la sua sensibilità.

La decisione finale per Mario è però chiara e netta: se ne andò per trovare il caldo e viverci a lungo. Il freddo lo rendeva triste. Il caldo lo faceva sentire forte e felice.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

dei racconti infantili".

Le bugie

Le bugie

 

 

 

Le bugie di Laura

A volte, come possiamo leggere in questo racconto effettuato da Laura, le bugie sono provocate da genitori poco attenti ai bisogni dei loro figli.

Una ragazza bugiarda

C’era una volta un cestino che era stato perduto e viene trovato da una ragazza che lo porta a casa. La madre non vuole e le dice: “Prendilo e portalo fuori”. Lei lo riporta, ma siccome è furba lo riporta con sé, e dice alla mamma che lo aveva portato fuori. La mamma aveva il dubbio che non lo avesse portato e quando la bambina va a scuola lei controlla e trova il cestino. Quando la bambina ritorna a casa trova la mamma arrabbiata e le chiede: “Mamma perché sei arrabbiata?” E la mamma risponde: “ Perché tu mi hai mentito e ora vai in punizione”

La mamma butta il cestino, ma la bambina non si arrende e riprende il cestino e lo nasconde sotto terra e dice alla mamma di averlo buttato e la mamma le ha creduto e ha fatto pace con la bambina.

L’interpretazione del racconto è abbastanza semplice. La bambina trova qualcosa di importante per lei, in questo caso un cestino, ma potrebbe essere qualunque altra cosa alla quale la bambina tiene molto. Potrebbe, quindi, essere anche un’amicizia, un sentimento, un’emozione amorosa, perfettamente normale e fisiologica, ma il genitore, senza alcun motivo valido, non solo rimprovera la bambina ma la costringe a privarsi di ciò che per lei è molto caro (La madre non vuole e le dice “Prendilo e portalo fuori”). La bambina vista l’ingiusta richiesta da parte della madre inizia un percorso fatto di bugie ed inganni (Lei lo riporta (fuori), ma siccome è furba lo riporta con sé e dice alla mamma che lo aveva portato fuori). Questo percorso educativo, fatto di immotivate lotte e prevaricazioni da parte del genitore, si dimostra assolutamente inutile e controproducente sia per la figlia sia per la madre (La mamma aveva il dubbio che non lo avesse portato e quando la bambina va a scuola lei controlla e trova il cestino). Il percorso educativo errato continua mediante punizioni e ripicche (Quando la bambina ritorna a casa trova la mamma arrabbiata e le chiede “Mamma perché sei arrabbiata?” E la mamma risponde “ Perché tu mi hai mentito e ora vai in punizione”).

Nella conclusione di questa storia sembra che la vittoria sia della bambina (ma la bambina non si arrende e riprende il cestino e lo nasconde sotto terra e dice alla mamma di averlo buttato e la mamma le ha creduto e ha fatto pace con la bambina); in realtà entrambi i contendenti ne escono sconfitti: la madre come educatrice che ha perduto, con il suo comportamento, la stima e la fiducia della figlia e questa che ha imparato ad avere con gli altri e con il mondo un comportamento falso e bugiardo.


 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

dei racconti infantili".

 

Le paure

Le paure

 

 

Le paure di Marco

 Marco di sette anni così le esprime:

‹‹Le mie paure sono molte: la paura del buio quando sto solo, la paura degli insetti, e la paura quando mi trovo in serie difficoltà. Prima avevo altre paure, però ora mi sono passate ed erano le ombre, quando i miei genitori litigavano. Le ombre che vedo assomigliano a dei ladri che scambiano armi e che mi attaccano. Alcune volte vedo anche delle specie di ombre che si nascondono dietro la tenda››.

 

Le paure di Luisa.

Luisa, di undici anni, così descrive le sue paure:

‹‹Ho paura che i miei genitori mi abbandonino o muoiano, così come mia nonna e mia sorella. Mi viene una forte agitazione e non riesco a calmarmi e in quel momento ho paura di tutto. Ho paura di non riuscire a superare tutto questo. Provo delle brutte sensazioni: mi sembra di trovarmi in un labirinto dal quale non riesco più a uscire, poi questo labirinto si copre e lì muoio soffocata. Poi mi sembra che qualcosa di nero mi cada addosso. Ho paura perché vedo delle brutte cose. Ho paura che mia sorella non mi voglia bene, come anche i miei genitori e i miei nonni. Mi sento sola e ho paura di tutto. Ho paura di quello che vedo, di tutto quello che mi sta intorno. Vedo cose brutte dentro di me, che non riesco a cancellare: di gente morta che vuole uccidermi, che mi prende. Poi entro in un buco nero nel quale vedo brutte cose. Vedo gente morta che non conosco, in brutte condizioni che non so disegnare. Ho paura e se chiudo gli occhi è lo stesso. Tutto questo non riesco a levarlo dalla mente››.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 

 

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

 

 

dei racconti infantili".

 

Rabbia e collera

 

Il racconto di Fabio

Il cavaliere, il drago e la strega

Fabio, di nove anni, era nato da una donna la quale aveva vissuto delle situazioni sentimentali sempre molto complicate e difficili. La madre si era sposata una prima volta con un uomo dal quale aveva avuto una figlia. Separatasi dal marito aveva convissuto per due anni con il padre di Fabio, dal quale si era allontanata quando il bambino aveva solo due anni. Subito dopo aveva iniziato una relazione con un uomo sposato. Relazione che era durata diversi anni. Quando la donna decise di lasciare l’amante, questi iniziò a perseguitarla, minacciandola in vario modo. Tale comportamento dell’uomo spinse la donna a decidere di trasferirsi con il figlio in un’altra regione d’Italia, allontanando così da lei il pericolo rappresentato dall’ex amante. Con tale decisione però il figlio sentiva di essere costretto a restare lontano dal padre, dai nonni, dai compagni e dalla casa e città natale, nel quale era, fino a quel momento, era vissuto.

Il bambino, molto risentito per questa situazione, nella ricerca di un minimo di benessere interiore, avvertiva nel suo intimo il bisogno di difendersi e punire chi gli aveva fatto e gli stava facendo del male. Come possiamo notare da questo suo racconto questo bisogno di difesa e di sanzioni nella sua fantasia avevano assunto degli aspetti drammatici.

Il cavaliere

C’era una volta un cavaliere che andò con il suo cavallo tanto lontano. Un giorno giunse a un punto e lì ha visto un drago. Pian piano avvicinandosi alla bestia il drago si svegliò e se ne andò via. Però il cavaliere con il suo cavallo lo inseguì e lo uccise. Lo uccise perché il suo comandante, il suo re, gli disse di uccidere il drago perché era una minaccia per il Paese.

Quando uccise il drago lo portò al Paese e lo mise davanti al re. Però il cavaliere non sapeva che il re era una strega che lanciò una maledizione sul cavaliere e lo fece diventare una rana. Il ranocchio andò a casa di una principessa. Questa ragazza era la figlia di un re di un altro Paese. Quando arrivò a casa della principessa, questa gli disse: “Ma tu chi sei?” Il ranocchio gli rispose: “Sono il cavaliere ma la strega mi ha fatto una maledizione. La principessa capì il problema e allora lo baciò, ed il cavaliere tornò normale.

Il cavaliere e la principessa corsero insieme con le guardie dalla strega e la imprigionarono nelle segrete. Da quel giorno in poi la strega era nelle segrete, così il cavaliere e la figlia del re vissero felici e contenti.

 

Se interpretiamo il racconto di Fabio alla luce della sua storia familiare e personale, capiamo che egli sente prepotentemente il bisogno di eliminare in maniera definitiva l’essere cattivo che attenta alla sicurezza sua e della sua famiglia (C’era una volta un cavaliere che andò con il suo cavallo tanto lontano. Un giorno giunse a un punto e lì ha visto un drago. Pian piano avvicinandosi alla bestia il drago si svegliò e se ne andò via. Però il cavaliere con il suo cavallo lo inseguì e lo uccise).

Egli ubbidisce ai dettati del suo comandante e re, che in questo caso è la madre perseguitata da un uomo “cattivo” (Lo uccise perché il suo comandante, il suo re, gli disse di uccidere il drago perché era una minaccia per il Paese). Tuttavia sa bene che i suoi problemi non riguardano solo l’esterno della sua famiglia, ma vivono accanto a lui: il problema maggiore è proprio la madre che con i suoi comportamenti incongrui lo ha messo e lo mette sistematicamente in ansia e in grave difficoltà. (Quando uccise il drago lo portò al Paese e lo mise davanti al re. Però il cavaliere non sapeva che il re era una strega che lanciò una maledizione sul cavaliere e lo fece diventare una rana). A questo punto la soluzione non può che venire dall’esterno della sua famiglia. La soluzione può venire solo da una ragazza, una principessa buona, figlia di un vero re e non di una strega. (Il ranocchio andò a casa di una principessa. Questa ragazza era la figlia di un altro re di un altro Paese. Quando arrivò a casa della principessa, questa gli disse: “Ma tu chi sei?” Ma il ranocchio gli rispose: “Sono il cavaliere ma la strega mi ha fatto una maledizione. La principessa capì il problema e allora lo baciò, ed il cavaliere tornò normale). Ed è alleandosi con questa ragazza che gli è possibile fare in modo che la madre, causa di buona parte dei suoi problemi, sia rinchiusa nelle segrete, così che non possa più nuocergli ( Il cavaliere e la principessa corsero insieme con le guardie dalla strega e la imprigionarono nelle segrete. Da quel giorno in poi la strega era nelle segrete, così il cavaliere e la figlia del re vissero felici e contenti).

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

dei racconti infantili".

I bambini e i mass media

I bambini e i mass media

 

Fabrizio

Primo racconto

‹‹C’era una volta un ragazzo di dieci anni, alto; stava davanti al computer, giocava a poker. Alcune volte vinceva, alcune volte perdeva. Accettava di perdere ma poi vinceva. Viveva da solo in una casa grande, spaziosa, in città: una villetta, con animali in casa (quattro gatti e un cane), coi quali aveva un buon rapporto. Dava solo da mangiare e carezze (a questi animali). Si dedicava solo al computer ed un giorno ha fatto il compleanno e gli hanno regalato un PC che, collegato con quello di suo cugino era come se ne avesse due. Ha ricevuto una tv dallo zio. I genitori, invece, (gli hanno regalato) un tavolo da poker ed un campo di calcio in cui giocava da solo. A poker giocava con gli amici. Alcune volte vinceva, altre perdeva››.

 Secondo racconto

Lo stesso bambino raccontò una volta una delle storie più brevi e drammatiche da noi mai ascoltate.

Un computer di nome Fabrizio

‹‹C’era una volta un computer che giocava da solo e stava sempre così a giocare. Era un computer buono che si chiamava Fabrizio››. 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

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