L’incontro
La prima fase riguarda certamente l’incontro con il bambino. Qualunque sia il problema del minore da conoscere, esaminare o aiutare, mediante dei colloqui terapeutici, questo è certamente il momento più importante. Chi viene da noi, vuoi per problemi genetici o organici, vuoi per problemi familiari o ambientali è un bambino sofferente.
Anche se ancora non conosciamo le cause della sofferenza e le ferite presenti nell’animo del bambino che si trova alla nostra presenza, sono incontestabili e meritano sempre il massimo rispetto e la dovuta accoglienza e comprensione. Per tale motivo, ogni atto che effettueremo nei suoi riguardi non dovrà prescindere dal disporci nei suoi confronti con il massimo riguardo e tanta delicatezza.
Per tale motivo, pur essendo la nostra motivazione ad aiutare il bambino, utilizzando la metodologia del racconto libero, assolutamente legittima, abbiamo anche il dovere di rispettare sempre e in ogni momento la sua sensibilità e i suoi bisogni. Per tale motivo, se alla nostra richiesta ci accorgiamo che egli oppone une reale resistenza o peggio una netta opposizione, abbiamo il dovere di rispettare sia l’una sia l’altra, utilizzando eventualmente strumenti alternativi di indagine o altri approcci terapeutici. Con molta probabilità, il nostro rispetto del momento creerà un più facile legame con noi, per cui in un periodo successivo egli sarà felice di manifestarci i suoi pensieri e le sue emozioni utilizzando il racconto.
Dobbiamo aggiungere anche qualcosa di più: nel caso che il bambino non accolga la nostra richiesta, non solo non dobbiamo insistere ma, per evitare che possa sentirsi in colpa, dobbiamo riuscire a non mostrare alcuna delusione o dispiacere, per la sua scelta.
Se egli si trova in un reparto o studio di neuropsichiatria o psicologia, affinché senta l’operatore più vicino a sé e ai propri desideri e quindi accetti le richieste che quest’ultimo gli fa, una delle tecniche che consigliamo consiste nel lasciare al minore la possibilità di giocare liberamente, in una sala ricca di giocattoli, con la compagnia di un assistente particolarmente disponibile, per tutto il tempo che occorre per raccogliere dai genitori e dagli operatori che lo seguono, tutte le informazioni utili ad un’accurata anamnesi.
Il lasciarlo giocare liberamente per qualche tempo, senza nulla chiedergli, ha due scopi: il primo è quello di evitare che il nostro piccolo paziente ascolti le informazioni raccolte dalla sua famiglia che a volte sono molto delicate, per cui potrebbero turbarlo; il secondo scopo è quello di fargli iniziare questa esperienza nel modo più piacevole e accattivante possibile. Nel caso in cui il bambino abbia difficoltà a staccarsi dai suoi genitori, lo faremo accompagnare nella stanza dei giochi da uno di essi o da un altro familiare.
Il racconto
Dopo che il bambino avrà effettuato il suo disegno libero, gli chiederemo di costruire un racconto. Anche in questo caso gli lasceremo la massima libertà nell’organizzarlo ed esporlo utilizzando, come base di partenza, il disegno libero appena effettuato, oppure di allontanarsi da questo, inventando qualcosa di diverso e originale.
Utilizzando questa metodologia ci accorgeremo che alcuni bambini, per continuare a dar sfogo alle loro emozioni e ai loro pensieri che sono prevalenti in quel momento, utilizzeranno il disegno appena prodotto. In pratica, per esprimere i pensieri e ed emozioni, al posto delle matite e dei colori, si serviranno di parole e frasi. Altri invece, senza tener conto di quanto disegnato un momento prima, produrranno dei temi diversi.
La ricchezza dei racconti e anche la loro lunghezza, variano molto. Per alcuni bambini il raccontare è molto facile e piacevole, tanto che a volte la loro sbrigliata e fervida fantasia è così prorompente che, stanchi di copiare il fiume di parole che fluiscono dalla loro bocca, è necessario fermarli. Altri, invece, hanno notevoli difficoltà a lasciarsi andare nel comunicare a una persona quasi sconosciuta i loro pensieri e, soprattutto, il loro stato d’animo del momento.
Le “domande stimolo”
Per invitare il bambino ad effettuare un racconto, consigliamo di utilizzare la frase con la quale di solito iniziano tutte le favole: “C’era una volta…”. Se qualche bambino, pur non rifiutandosi di raccontare qualcosa, rimane perplesso e non dà seguito a questo stimolo iniziale, lo possiamo aiutare con qualche domanda più specifica. Ad esempio: “Di quale personaggio o oggetto vorresti parlare? Pensi forse a una persona grande? A un bambino? A un animale? A una casa? A un giocattolo? Scegli tu quello di cui vuoi parlare”.
Anche durante il racconto sono ammesse tutte le domande che possono servire a chiarire meglio quello che il bambino ha in mente e vorrebbe esprimere. Allo stesso modo sono utili tutte le richieste se finalizzate ad arricchire o approfondire i temi trattati, quando ciò può essere utile nel farci partecipi della sua vita interiore.
Per tale motivo, una volta che il bambino ha scelto il personaggio principale del quale iniziare a parlare, se questo ci appare poco definito, aiuteremo il minore a renderlo più concreto, mediante delle ulteriori sollecitazioni. Ad esempio, potremo chiedere il nome, il sesso, l’età e altre caratteristiche dei personaggi presenti nella sua storia. Allo stesso modo potremo domandargli se questa persona, della quale lui parla, vive da sola o ha una famiglia; ma anche com’è composta questa famiglia, il luogo dove abita, che caratteristiche ha la casa dove egli vive, e così via.
Per aiutarlo ad ampliare il suo racconto, così da far emergere i contenuti più profondi, possiamo utilizzare ulteriori “domande stimolo”, come ad esempio: “Un giorno cosa successe?” “E poi…? E dopo…?”
Figura 1
Un esempio di questo modo di procedere l’abbiamo nel racconto di Marco.[1]
Una macchina nuova
C’era una volta una macchina.
D. Com’era questa macchina?
R. Era nuova ed era uscita appena dalla concessionaria. Era grande.
D. Di chi era?
R. Era di una persona qualunque.
D. Cosa faceva questa macchina? Cosa le è successo?
R. È uscita. Pioveva. C’era un uomo alla guida ed è andato a casa; siccome pioveva. E poi, ovviamente, è uscito con la macchina nuova.
D. Era contento?
R. Se l’è comprata: la desiderava da tanto.
D. Chi era questa persona?
R. Era sposato e aveva moglie e figli.
D. Andava d’accordo con la moglie e con i figli?
R. Sì, andavano d’accordo.
D. È uscito con i figli? E dove sono andati?
R. Ad una cena di famiglia, di quelle serie. Diversamente da suo padre, mio padre mi costringe, non mi fa scegliere di andare o meno. Vanno alla cena e c’erano amici.
D. E com’erano questi amici?
R. Erano buoni, hanno mangiato tanto,
D. Chi erano?
R. Una famiglia, con marito e moglie. Una coppia da poco sposati. I figli hanno fatto amicizia con la coppia. Hanno fatto un gioco. Con la macchina si può andare in tanti posti. Giravamo e poi siamo tornati a casa.
Nonostante siano ammesse varie sollecitazioni, è bene però lasciare al bambino la massima libertà nello scegliere la tematica del racconto, le caratteristiche dei vari personaggi e tutti i particolari che egli desidera inserire, senza mai criticare il contenuto del racconto.
Pertanto, abbiamo il dovere di accettare tutte le parole e le frasi che egli detta, gli eventuali errori grammaticali e sintattici e tutti gli argomenti che egli vuole esporre, anche se non potremmo condividerli e li vorremmo aspramente criticare e condannare. Ad esempio, quando sono presenti parole volgari, aggressive, chiare contraddizioni, errori grammaticali o nella dizione e così via. Allo stesso modo lo lasceremo libero di dare al racconto la conclusione a lui più gradita e congeniale, in quel determinato momento della sua vita.
[1] Tutti i nomi dei piccoli pazienti sono stati modificati. Quando lo si è ritenuto necessario, sono stati cambiati anche i nomi dei personaggi delle storie raccontate, mentre i titoli dei racconti sono frutto dall’autore.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione