Racconti infantili

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Racconti di personaggi negativi

Un lupo mannaro

C’era una volta un lupo mannaro che è andato nelle case delle persone e ogni giorno li spaventava. Era il cinque giugno e il lupo mannaro arriva a casa di qualcuno. Sale piano, piano le scale e poi ruba la persona e la porta via. La mattina le persone hanno parlato che una creatura mostruosa è entrata in casa di qualcuno e li ha disturbati. Hanno parlato con la polizia e hanno detto che rintracciavano questa creatura mostruosa e non devono preoccuparsi. Andarono a cercarla alle cinque di notte: vedono due occhi gialli e una felpa fatta di nero e poi dopo guardano e vedono che è sparito. Dicono tra sé: “Dov’è finito?”. Scendono le scale, guardano da tutte le parti, ma non lo trovano. Significa che è fuggito a rubare le altre persone. La polizia va a caccia del lupo mannaro e continua la ricerca. Arriva a un indirizzo (numero) 69, bussano, la persona dice che ha sentito una voce strana: “Hai una voce molto strana!” E lui risponde: “Perché ho preso le medicine. Entrano ed è una donna con i denti così aguzzi: “Hai il vestito sporco, tu non sei una donna!” Lo spogliano e vedono che è un lupo mannaro.

Il lupo mannaro entra nella casa di qualcuno e ruba cinque persone. La polizia sta arrivando, il lupo mannaro scappa via e si nasconde in un nascondiglio in una casa di qualcuno e chiude la porta a chiave, sigilla le finestre. La polizia batte la porta ma il lupo mannaro sa che è in pericolo e deve fuggire. È tardi, si nasconde sotto il letto, la polizia sfonda la porta, guarda da tutte le parti e vedono dei denti aguzzi, capiscono che è lui, lui fugge.

Donato, un bambino di dieci anni con sindrome di Asperger, costruisce questa storia del lupo mannaro che spaventa e rapisce le persone. Questo racconto rivela forse qualcuno dei suoi timori ma, essendo migliorato il suo mondo interiore, questa emozione possiede una carica di angoscia tanto modesta da permettergli di affrontarla mediante le parole. Questo modo di affrontare le paure somiglia molto a ciò che fanno spesso i bambini quando sono tra loro e raccontano di mostri e lupi mannari, per il gusto di provare un lieve brivido di timore e nient’altro.

Il racconto, tra l’altro, è ben strutturato, sono poche le ripetizioni e le alterazioni. Entrambi gli elementi ci fanno capire che il bambino, nel momento in cui ha dettato i suoi pensieri, si trovava in una situazione psichica certamente non grave.

 

Il cane e i ladri

C’era una volta un cane che si faceva la passeggiata ed era molto felice, ma si accorse che non era da solo e scesero da una macchina due persone che volevano rapirlo, pensando che era un cane randagio. Il povero cane diede un morso molto forte a uno dei due ladri. Poi si mise ad abbaiare e andarono in suo soccorso (altri cani) mordendo i due ladri alle braccia, ai piedi. Alla fine, il padrone vide i due ladri per terra e li portò dalla polizia e così il cane e i suoi vissero felici e contenti con il loro padrone.

Giulio, spesso vittima di irrisioni da parte dei suoi compagni di classe, si identifica con un cane che rischia di essere aggredito e rapito dai ladri, mentre passeggia felice per la sua strada (C’era una volta un cane che si faceva la passeggiata ed era molto felice ma si accorse che non era da solo e scesero da una macchina due persone che volevano rapirlo).

Le sue parole esprimono anche la nascosta aspirazione di saper reagire alle sopraffazioni, aggredendo a sua volta chi, senza alcun motivo, vuole fargli del male (Il povero cane diede un morso molto forte a uno dei due ladri).

Nel racconto egli esprime anche il desiderio che qualcuno, forse i suoi genitori o gli insegnanti, intervenga a suo favore quando, come succedeva spesso, i compagni di classe avevano nei suoi confronti atteggiamenti di dileggio (Alla fine, il padrone vide i due ladri per terra e li portò dalla polizia e così il cane e i suoi vissero felici e contenti con il loro padrone).

 

Questo racconto, molto strano e in alcune parti contraddittorio e confuso, è stato immaginato da Mattia, un bambino di sette anni. I genitori del bambino, nonostante fossero separati, continuavano a litigare tra loro e si accusavano a vicenda di mille angherie. Mattia presentava disturbi psicologici che si manifestano con vari sintomi: irrequietezza, nervosismo, comportamenti oppositivi, disturbi del sonno, paure e linguaggio infantile.

Le mani del ladro

C’era una volta, una mano destra che ha incontrato una mano sinistra, e hanno battuto le mani, perché hanno fatto amicizia, poi hanno toccato qualcosa: oggetti che erano in mare, perché la mano destra e la mano sinistra si trovavano in una barchetta. Nel mare c’erano rametti, un bastone e una lattina. Dopo che li hanno toccati hanno sentito gli oggetti e da quel giorno hanno preso altri oggetti e li hanno toccati.

D. Come mai gli oggetti erano finiti in mare?

R. Gli oggetti erano finiti in mare, perché qualcuno li aveva buttati, poi hanno trovato dei sassi e li hanno toccati. I sassi erano stati lanciati dai bambini, gli oggetti erano stati lanciati dai ladri. I ladri avevano buttato gli oggetti perché avevano un sacco di cose che avevano rubato: alcune cose le hanno tenute, altre le hanno buttate.

Dopo i ladri hanno continuato a buttare altri oggetti in mare, le mani li hanno presi e li hanno messi in barca in modo da poterli toccare. Le mani amavano toccare in particolare gli oggetti, tutto quello che si buttava.

D. Di chi erano queste mani?

R. Le mani erano di nessuno. Erano di una persona, di un ladro, e le mani hanno lasciato gli oggetti nel fiume, ma da quel giorno hanno lasciato il ladro, perché non volevano diventare ladre. Il ladro, dal giorno in cui le mani si sono staccate, è diventato buono, e anche le mani sono diventate buone.

D. Il ladro aveva una famiglia?

R. Il ladro non aveva nessuno: era nato solo. Quando era ladro era contento, perché con le mani poteva rubare e gettare gli oggetti, ma poi quando le mani si sono staccate non è stato più contento.

È come se le emozioni dovute alla sofferenza interiore di questo bambino, non più contenute e controllate, costringessero la sua mente a focalizzare l’attenzione solo su una parte del corpo: le mani. Questa tendenza, non è frequente e, di solito, si collega alla presenza di una notevole angoscia, che impedisce, ai bambini che ne soffrono, di soffermarsi sull’unità dell’essere umano e non su un particolare organo.

Questo fenomeno somiglia a ciò che avviene nei soggetti con disturbi autistici. Anche questi, a causa della presenza nella loro mente di un confuso mondo interiore, ricco di notevole ansia e di numerose fobie, hanno difficoltà a vedere la globalità degli oggetti e delle persone. Racconta la Williams: “A tavola guardavo un piatto pieno di colori, un coltello e una forchetta stretti nelle mani. Guardai attraverso il piatto pieno di colori e tutto si dissolse. Un paio di mani disturbarono la mia visione: un coltello d’argento, una forchetta d’argento stavano tagliando i miei colori. C’era un pezzo di qualcosa all’estremità della forchetta d’argento. Stava lì seduto, immobile. Il mio sguardo seguì quel pezzetto di colore attraverso la forchetta, fino a una mano. Spaventata, lasciai che i miei occhi seguissero la mano fino ad un braccio, congiunto ad un viso. Infine, il mio sguardo cadde sugli occhi, che me lo restituirono con infinita disperazione. Era mio padre”.[1]

Vi è poi un altro elemento che accomuna la patologia di questo bambino a quella presente nei soggetti con sintomi di autismo: le mani, per ritrovare sé stesse e un po’ di serenità ed equilibrio interiore, amano toccare alcuni particolari oggetti (Le mani amavano toccare in particolare gli oggetti, tutto quello che si buttava).

La gravità della patologia è infine confermata dalla struttura del racconto, scarsamente lineare e coerente.  

 

Una rapina in banca

C’era una volta due ragazzi, Franklin e Michel e avevano venti anni. Un giorno hanno deciso di rapinare una banca e hanno guadagnato un sacco di soldi. È scattata l’allarme ed è arrivata la polizia. Hanno preso una macchina e se ne sono scappati. La polizia li ha inseguiti ma non sono riusciti a prenderli. Questi due ragazzi sono tornati a casa e hanno fatto un drink.

Giovanni sembra esaltare due giovani personaggi negativi (Franklin e Michel e avevano venti anni. Un giorno hanno deciso di rapinare una banca e hanno guadagnato un sacco di soldi). Questi rapinatori riescono a sfuggire alla polizia e, dopo essere tornati a casa, festeggiano con un drink.

Che i ragazzi si identifichino con dei personaggi negativi non è strano, è sempre successo anche in passato. Tuttavia, in questo periodo storico, tale tendenza si è accentuata a causa dei tanti cartoni animati e soprattutto del frequente utilizzo di videogiochi, nei quali dei personaggi negativi, come possono essere dei ladri o degli assassini, sono premiati con un maggior punteggio se riescono a raggiungere determinati obiettivi: come rapinare, rubare e uccidere, riuscendo a sfuggire ai tutori della legge.



[1] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 56.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

I cambiamenti di abitazione

 

I cambiamenti di abitazione sono vissuti in maniera diversa in base a molti fattori: le paure del bambino nei cambiamenti; i suoi vissuti nell’abitazione precedente; le speranze in qualcosa di più e di meglio presente nei cambiamenti. Per tali motivi alcuni bambini temono di allontanarsi da un’abitazione conosciuta e amata, per andare a vivere in un’altra casa, forse più bella e grande, ma sconosciuta e lontana dalle persone e dagli ambienti fisici con i quali avevano stabilito un forte legame affettivo.

Altri bambini, invece, vedono il cambiamento di abitazione come speranza di poter vivere in un ambiente a loro più favorevole e congeniale.

Un esempio di difficoltà ad affrontare i cambiamenti ci è offerto da questo racconto di Damiano

 

Timore del trasferimento

C’era una volta una famiglia composta da una mamma un papà e un bimbo di nome Marco, che trascorreva molto tempo nella sua cameretta. I genitori gli dissero che dovevano cambiare casa e questo bambino era molto triste, perché voleva rimanere là. I suoi genitori gli dissero che avrebbe continuato a vedere i suoi amici. Arrivò il giorno in cui dovevano andare e, arrivati nella casa nuova, c’erano tanti giocattoli. (la casa) Era grande. Marco dopo un po’ di tempo si abituò, e quando era grande si comprò la vecchia casa.

Da notare in questo racconto le ultime frasi. Damiano riconosce che nella casa nuova vi sono delle realtà positive (Arrivò il giorno in cui dovevano andare e arrivati nella casa nuova, c’erano tanti giocattoli. (la casa) era grande), tuttavia il forte legame esistente con la vecchia abitazione che avevano lasciato, gli fa dire: “Marco dopo un po’ di tempo si abituò, e quando era grande si comprò la vecchia casa”.

Nel disegno (figura 105), è presente un garage, un luogo della casa amato dai maschietti, poiché in questo locale è possibile inventare, costruire o aggiustare degli oggetti o degli strumenti. Nella casa disegnata vi è pure una mansarda, un luogo caldo e protetto nel quale rifugiarsi nei momenti di tensione e tristezza. ^

Una casa in campagna

C’era una volta un bambino il quale un giorno ebbe un’idea: “Andiamo ad abitare in campagna.” Nella città la casa era brutta, non dormiva la notte. I genitori dissero: “Aspettiamo fino a domani.” La ditta dei traslochi mise tutto negli scatoloni e si trasferirono. Il bambino poteva scorrazzare come voleva e riposarsi nel fresco degli alberi.

Era contento. Anche i suoi erano contenti. “Hai avuto un’idea geniale” gli dissero. Comprarono lampade e vestiti nuovi, adatti alla campagna. Il bambino cambiò scuola e visse felice in questa nuova casa. Il bambino non aveva fratelli ma aveva degli amici. I suoi genitori erano felici del trasloco e fecero delle nuove amicizie. Anche loro erano più rilassati.

Ivan, come tanti bambini che per vari motivi hanno sofferto, ricerca attorno a sé le cause della propria sofferenza e le trova nella vita frenetica, e, a volte, disumana delle città (Nella città la casa era brutta, non dormiva la notte). Al contrario, la casa in campagna, nella quale egli immagina di vivere, possiede tutti i requisiti per stare bene (Il bambino poteva scorrazzare come voleva e riposarsi nel fresco degli alberi). Questo immaginato cambiamento risulta felice sia per lui che per i suoi genitori, i quali hanno la possibilità di acquistare una buona serenità (Era contento. Anche i suoi erano contenti. ‹‹Hai avuto un’idea geniale›› gli dissero. Anche loro erano più rilassati).

Antonio - Primo racconto

I difficili cambiamenti di abitazione

C’era una volta uno che si voleva vendere la casa con tutto il giardino. Ha messo l’annuncio sul giornale, poi l’ha venduta a una famiglia, perché lui abitava distante e non poteva venire. E se n’è andato in una casa migliore, che ha la piscina, gli alberi. In questa casa c’erano mamma, papà e figlio e andavano d’accordo. Un giorno hanno ammazzato uno vicino alla casa, e quelli sono scappati, e sono andati in un’altra casa, dove c’era il caminetto e la casa era più bella di quella precedente e andavano tutti d’accordo.

In questo racconto di Antonio c’è certamente la speranza che il cambiamento di abitazione possa apportare un miglioramento, rispetto alla situazione precedente (E se n’è andato in una casa migliore, che ha la piscina, gli alberi. In questa casa c’erano mamma, papà e figlio e andavano d’accordo), tuttavia, è evidente anche il timore presente nell’animo del bambino che il cambiamento possa apportare anche delle situazioni negative (Un giorno hanno ammazzato uno vicino alla casa).

Antonio tuttavia, alla fine del racconto, apre il suo animo alla speranza, immaginando che queste situazioni negative potranno essere affrontate attuando ulteriori cambiamenti, fino a trovare la serenità e la pace tanto desiderata (e sono andati in un’altra casa, dove c’era il caminetto e la casa era più bella di quella precedente e andavano tutti d’accordo).

Antonio – Secondo racconto.

Un figlio monello

C’era una volta una famiglia composta da papà, mamma e figlio. Papà e mamma erano buoni, il figlio era monello, perché gli piaceva e perché era nervoso. Vivevano in una casa in una bella campagna, però era affittata e c’erano alberi, montagne. Un giorno la persona che gli aveva affittato la casa è morto, e allora hanno cambiato casa, ma non si trovavano bene perché sporca e brutta e allora chiedevano ai loro parenti se avevano qualche casa da affittare. Poi gli hanno affittato la casa. Loro stavano bene, l’hanno comprata.

Antonio riconosce di essere monello e in questo si dà una parte di responsabilità (perché gli piaceva), comprende molto bene che come causa dei suoi comportamenti disturbanti vi siano anche le sue problematiche psicologiche (perché era nervoso). Come si può ben vedere, se a volte i bambini introiettano i giudizi negativi dei genitori e degli adulti, dall’altra capiscono che i loro comportamenti problematici dipendono anche dalla loro condizione psicologica. Purtroppo, non tutti i genitori accettano questa realtà, tanto che molti preferiscono negare le cause psicologiche dei disturbi comportamentali dei loro figli, al fine di evitare ogni loro responsabilità e sottrarsi alla necessità di mettersi in gioco, accettando di modificare il loro stile educativo o l’ambiente di vita del bambino, quando esso non è idoneo alla normale crescita affettiva ed emotiva di quest’ultimo.

Anche in questo racconto per questa famiglia non è facile trovare un luogo in cui stare tutti bene se non dopo varie peripezie (Un giorno la persona che gli aveva affittato la casa è morto, e allora hanno cambiato casa, ma non si trovavano bene perché sporca e brutta).

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

 

 

Racconti coprolalici

 

In alcuni casi troviamo nei racconti la presenza di parole o frasi di contenuto osceno e/o volgare. Questo è un comportamento compulsivo presente nei soggetti che presentano problematiche psicologiche importanti: sindrome di Tourette, autismo, gravi disturbi psicoaffettivi. In queste persone, l’uso di parole o disegni volgari nasce dal bisogno di esprimere e manifestare, mediante tali parole, il proprio grave disagio interiore. I termini usati spesso riguardano gli escrementi, la sessualità e gli organi genitali. In altri casi essi associano le persone alle quali si rivolgono ad animali considerati brutti, viscidi o sporchi, come i serpenti, i maiali, i topi o gli scarafaggi.

Bisogna tuttavia distinguere tali comportamenti da quelli frequentemente in uso nella nostra moderna società occidentale, nella quale è purtroppo ampiamente accettato, da parte di tanti educatori e genitori, l’uso di parole e gesti volgari. Contribuiscono ampiamente a quest’uso i mezzi di comunicazione di massa: libri, giornali, film, telefilm, video-giochi, programmi di intrattenimento.

Queste particolari modalità espressive sono più frequenti nell’età adolescenziale e la loro incidenza tende a decrescere con gli anni. Spesso questo gergo volgare è utilizzato per il piacere di imitare i compagni più scavezzacolli, i conduttori radiofonici o gli attori dei film e telefilm visti.

Per tale motivo quando siamo in presenza di soggetti che non presentano altri particolari sintomi, le parole, i disegni e le espressioni volgari o oscene non hanno alcun valore diagnostico, almeno per quanto riguarda la realtà psichica.

Un esempio di coprolalia lo ritroviamo in Katia. Una bambina di nove anni, che presentava importanti disturbi psicoaffettivi che si manifestano con manierismi verbali e nel comportamento, chiusura e timidezza, paure e fobie, presenza di comportamenti infantili, incubi notturni e anancasmi. La bambina, che tendeva ad utilizzare termini coprolalici nel periodo nel quale la sua patologia psichica era più grave e la sofferenza psichica era notevole, in seguito al graduale ma rapido miglioramento delle sue condizioni psicologiche, nonostante non vi fosse stata alcuna censura da parte degli operatori che la seguivano, smise di usare quel tipo di espressioni.  

Katia - Primo racconto

Cacca vera o finta?

C’era una volta Erika che aveva ordinato su Amazon la cacca finta. Gliel’anno mandata a casa e quando ha aperto il pacco era una cacca vera. Erika non sapeva che era vera, allora cominciò a giocarci e quando la riposò si accorse che era la cacca (vera).

Katia, per rendere il suo personaggio ridicolo, nonostante sapesse ben disegnare, imbruttisce molto la donna nel volto e le inserisce delle braccine molto corte.

 

Katia - Secondo racconto

Una bambina di nome Maialona

C’era una volta una bambina di nome Maialona. Sua mamma vide che si era appena svegliata e sembrava una pipì e andò a scuola e tutti la chiamavano Caccona Puzzolente. Poi ritornò a scuola e tutti la chiamarono Cipolla. Ritornò a casa e sua mamma gli disse: “Com’è andata Cipollotta” e lei disse: “Bene” e vissero felici e contenti.

Katia - Terzo racconto

Una dottoressa chiamata Coscarafaggia

C’era una volta una dottoressa che si chiamava Coscarafaggia e aveva 23 anni e allora era innamorata di un dottore che si chiamava Marco Faccio. Un giorno gli chiede di diventare il suo fidanzato, e lui risponde che gli facevano schifo gli scarafaggi. Allora disse Coscarafaggia: “Non centra niente”. Invece Marco Faccio disse: “Centra perché il tuo nome assomiglia al nome di uno scarafaggio”. Allora lei rimase molto triste e visse per sempre felice e contenta con il suo amico Toposcar.

 

Anche Francesco, di dieci anni, il quale soffriva di disturbo dello spettro autistico, quando il suo mondo interiore era ancora gravemente disturbato e le sue capacità nell’organizzazione dei pensieri erano minime, tendeva ad utilizzare frequentemente frasi ed espressioni coprolaliche. L’uso di questi termini scomparve con il miglioramento dei propri vissuti interiori.

La mamma e il papà

La mamma: da pianto, da nonna, un mostro, una bestia, un’agendina, un serpente che fa schifo.

Papà: si fa tutta la cacca addosso, è brutto e piscione e nel culetto esce cacca e pipì.

 

Riccardo, un bambino di sette anni che presentava disturbo dello spettro autistico, nel periodo di maggiore gravità, utilizzava parole volgari. Questi termini scomparvero in seguito al miglioramento della sua patologia psichica. Questi tre racconti sono suoi.

Riccardo - Primo racconto

Due mamme

È un bambino che è nato con il corpo così e si chiama Memme e tifa per la Juventus. Gli manca una gamba. La mamma gioca con lui. Ha due mamme: una si chiama Cacca e una si chiama Memme.

Riccardo - Secondo racconto

La mamma ride davanti al figlio morto

Un bambino si è rotto due braccia e i piedi che sono piccoli. È senza compagni. La casa si è rotta. L’ambulanza lo porta all’ospedale. Il bambino si chiama Luca e fa la cacca addosso. Luca morì; era pazzo, lo portano al cimitero. Arriva la mamma e fa: “Ha! Ha! Ha! Ha!”. (ride), Arrivano i bambini piccoli per guardare Luca ed erano tristi perché avevano sangue che poteva uscire da lui.

Riccardo - Terzo racconto

Il mare si è rotto

C’era una volta il mare che si è rotto perché c’erano tanti pesci. C’era un bambino gigante che gli ha fatto male la medusa ed esce sangue. Il bambino piangeva, poi ha fatto la pipì addosso al mare. Poi andò sott’acqua, arrivò la balena e se lo mangiò. Nella bocca della balena il bambino stava male, perché la balena lo masticava. Poi l’ha sputato. Al bambino usciva sangue da tutto il corpo ed è morto.

 Il bambino, per dare l’idea della pericolosità di questo suo immaginario mare che si era rotto, nel disegno che accompagna il racconto (figura 30), rende il mare molto grande, mettendo in cima alle onde una piccola nave.

 

Anche Debora nei suoi racconti utilizzava termini coprolalici.

Bimba e baby – sitter

C’era una baby-sitter che chiama una bambina per giocare. Questa bambina faceva la cacca fuori dal gabinetto. Però poi è morta, perché si era staccata la spina dorsale e si era operata. Ma la prima parola che ha detto è stata: “cacca”.

In tutti questi racconti i gravi disturbi psicologici degli autori si evidenziano non solo dall’uso di parole e immagini coprolaliche ma anche dalla presenza di immagini truculente e per i contenuti non ben collegati tra loro se non totalmente sconnessi.  

Tutti questi bambini, quando i loro vissuti interiori si normalizzarono, smisero di utilizzare tali espressioni volgari.

Le stesse considerazioni fatte sull’uso delle parole volgari possono riguardare i disegni. In questi, la presenza, ad esempio, di organi genitali è rara nei bambini normali, mentre può essere presente nei soggetti con importanti disturbi psicologici.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

Racconti moraleggianti

 

I racconti moraleggianti sono quelli nei quali il bambino stigmatizza dei comportamenti che egli considera riprovevoli. In questi casi i minori, avendo introiettato le norme e le regole familiari e sociali degli adulti, le applicano a svariate situazioni ipotetiche o ad avvenimenti reali dei quali sono venuti a conoscenza. 

Spesso questi racconti moraleggianti nascondono delle realtà che hanno riguardato direttamente i minori: gelosie nei confronti di qualche fratello o sorella o comportamenti aggressivi subiti dai compagni. In alcuni casi si tratta soltanto di una modalità, ritenuta giusta e lecita, di sfogare verso qualcuno dei risentimenti repressi. 

 

 

 

Solo una formica piange per la sua morte

C’era una volta un signore che fumava assai; lo hanno ricoverato, gli è venuto un infarto ed è morto. Non aveva una famiglia; nessuno ha pianto per lui, solo una formica.

Questo breve racconto di Roberto è struggente, nonostante la sua semplicità: un uomo che fumava molto muore, solo. Nessuno piange per lui tranne una piccola, insignificante formichina. In questa conclusione vi è certamente un giudizio morale. È come se il bambino dicesse a sé stesso e a noi che leggiamo il suo racconto: “La morte di quest’uomo e la sua solitudine sono colpa del suo vizio del fumo”. 

 

 

Un gatto generoso

C’era una volta un gatto che si chiamava Nino e si trovava per la strada. Era di colore arancione.

Nino ha trovato un pesce, ma arriva un altro gatto che voleva prendergli il pesce. Nino mangia così metà pesce e l’altro l’ha lasciato all’altro gatto.

Nino va sul retro del ristorante e ha aspettato che buttassero la spazzatura ed ha diviso il cibo con gli altri gatti. Dopo è andato nel suo rifugio adorabile.

In questo racconto Michele ammira la disponibilità del gatto nel partecipare ai bisogni degli altri e nel divedere con gli altri i propri beni.

 

Un dinosauro vanitoso

C’era una volta un dinosauro vanitoso che si vantava sempre che era fortissimo, altissimo e velocissimo. Un giorno un ragno gli lanciò una sfida dicendogli chi salta più in alto e il dinosauro accettò. Il ragno saltò altissimo mentre il dinosauro saltò poco, cadde a terra e si ruppe in due, così non poté più vantarsi.

 

 

Gli squali e il sottomarino

C’erano una volta degli squali che vogliono mangiare il sottomarino. Il signore con la barca ammazza gli squali e libera quelli del sottomarino e dopo voleva i soldi. Ma i signori del sottomarino non volevano dare i soldi. E un giorno, mentre erano nel sottomarino, altri squali li stavano attaccando, ma il signore della barca non volle salvarli e loro morirono.

Giovanni racconta un avvenimento nel quale è presente quella che lui giudica una giusta ritorsione. I marinai di un sottomarino (figura 26), liberati dagli squali da un signore con la barca, non hanno voluto ricambiare i servizi che sono stati loro offerti. Pertanto, in seguito il signore della barca non li aiuta e loro muoiono (mentre erano nel sottomarino, altri squali li stavano attaccando, ma il signore della barca non volle salvarli e loro morirono).   

È facile che il bambino si riferisca a delle esperienze vissute con i propri familiari o compagni. È come se dicesse: “Se gli altri non ricambiano l’aiuto e la gentilezza che ho manifestato verso di loro, possono pure morire! Io resterò indifferente alle loro eventuali disgrazie e non muoverò un dito per aiutarli”. 

 

Uno strano scambio

C’era una volta una principessa, che aveva visto le mani di sua sorella e aveva visto che aveva delle unghie bellissime. Allora la principessa decise di farseli crescere, ma non ci riuscì e provò in tutte le maniere, fino a quando la principessa decise di andare da una strega.

La principessa si trovava dalla strega. La principessa chiese alla strega: “Strega, mi potresti far crescere le unghie?” Allora la strega disse: “In cambio di che cosa?” (la strega voleva) la sua voce. Allora la principessa la diede (la sua voce) e allora ritornò a casa con le sue unghie. Però lei non voleva dire alla sua famiglia che aveva dato la sua voce a una strega. Un giorno le sorelle le videro le unghie e si fecero un dubbio, però poi lo scoprirono e lo dissero ai loro genitori, e poi la misero in punizione. Poi andarono dalla strega e si fecero ridare la voce. La principessa disse che era meglio avere la voce, che avere le unghie.

Nell’immaginario femminile vi è spesso una principessa. In questo caso Katia racconta di una principessa che lei definisce “molto vanitosa”, la quale scambia con una strega la sua voce, in cambio di unghie molto belle.

È difficile immaginare questo ipotetico, strano scambio, se non si tiene conto della grave inquietudine che frequentemente accompagna i bambini che presentano disturbi psicologici. Nell’atmosfera di immaturità, insicurezza, inquietudine, ansia, timore e disistima, nella quale spesso vivono questi minori, anche questo scambio così strano e particolare può apparire equo. Essi spesso hanno bisogno di possedere qualcosa di gradevole da ammirare e far ammirare sul proprio corpo, per ricevere l’indispensabile gratificazione che può permettere loro di sopportare la sofferenza dovuta alle problematiche psicologiche delle quali soffrono.

D’altra parte, poiché in queste situazioni psicologiche la comunicazione con gli altri è, di solito, notevolmente difficile e quindi apporta scarse gratificazioni, lo scambio con qualcosa, come in questo caso delle belle unghie, che servono a migliorare la propria immagine estetica, può apparire importante.

È anche interessante esaminare nel racconto quale tipo di interesse induce la principessa a fare quello strano scambio: il confronto con la propria sorella. Non è insolito che le scelte dei bambini ma anche di noi adulti, scelte spesso giudicate poco assennate, se non proprio improvvide, siano provocate da sentimenti di invidia nei confronti di altre persone, quando queste hanno qualcosa che, in quel momento, noi non possediamo: ad esempio, una splendida auto, un vestito firmato, una magnifica villa. In queste situazioni alcuni sarebbero disposti a tutto, pur di possedere quello che invidiano agli altri.

In definitiva quella principessa, della quale parla Katia, non era tanto vanitosa, quanto psicologicamente infantile e, pertanto, invidiosa in maniera abnorme della sorella. 

Massimo – Primo racconto 

Un ragazzo disubbidiente

C’era una volta un ragazzo che era in campeggio, nel quale facevano delle escursioni nei fiumi. Un giorno, durante una di queste escursioni, il ragazzo si allontanò dal gruppo, non seguendo le indicazioni dell’istruttore, cambiò strada e si imbatté in delle rapide. Nonostante ci fosse un cartello che informava di non sorpassare il confine, a lui non importò e, nel momento in cui arrivò vicino alla valle, si ritrovò sott’acqua; ma, nonostante tutto, riuscì ad uscire intatto. Tornò al campeggio tutto bagnato e si prese solo i rimproveri. Pensò di aver sbagliato e che doveva dare retta alle cose di cui avevano detto (gli istruttori).

Il racconto e il disegno che lo accompagna, ci mostrano chiaramente la scarsa stima che Massimo aveva di sé, poiché tendeva a non ubbidire e a non accettare i consigli dei genitori. Per tali motivi si giudicava come un bambino che sbagliava sempre; che non cambiava mai i comportamenti che non piacevano ai suoi genitori e agli adulti in genere e che li facevano disperare.  

I disegni di questo bambino erano sempre molto curati, ma non erano mai colorati. L’assenza di colori ci fa pensare che la sua vita interiore fosse frequentemente pervasa da una notevole tristezza, a causa delle difficoltà relazionali che incontrava nei rapporti con i suoi familiari e per scarsa presenza di autostima.

Questo secondo racconto dello stesso bambino ci conferma i suoi vissuti interiori. 

Bisogna ascoltare i consigli dei capi

C’era una volta un campo scout, in cui si decise di andare a pesca per quel giorno. Appena si arrivò al lago, i capi cominciarono a dare qualche esca che si doveva usare, ma non vietando che se ne usassero altre. Allora le squadriglie fecero come avevano detto i capi, ma uno “squadrigliero” decise di non seguire il consiglio dei capi e, anziché pescare con la lenza in mano e l’esca finta, pescò con il verme e con la canna. Il tempo passò in fretta e si fece l’ora di pranzo. Quando il capo fischiò, ognuno portò quello che aveva pescato. Tutte le squadriglie portarono molti pesci, invece la squadriglia che non decise i consigli, non portò nessun pesce e per quella giornata restarono a bocca asciutta.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

L'evoluzione nel tempo dei racconti

Quanto i bambini sono aiutati con interventi che riescono ad apportar loro un maggior benessere psichico, ad esempio quando si riesce a modificare il loro ambiente di vita in modo tale da renderlo più attento e vicino ai loro bisogni o anche quando si effettua una psicoterapia individuale, familiare o di coppia, questi minori molto disturbati riescono a recuperare una buona efficienza a livello emotivo e quindi mentale. Ciò permette loro di controllare e coordinare molto meglio i pensieri e le idee. All’opposto, quando per motivi vari l’ambiente di vita dei minori peggiora o quando sono costretti a subire traumi o stress eccessivi, le parole e le frasi dei loro racconti e le immagini presenti nei disegni da loro eseguiti, evidenziano in maniera evidente un peggioramento della loro condizione psicologica.

In definitiva possiamo avere nel tempo dei miglioramenti o dei peggioramenti anche notevoli, che si riflettono nei loro racconti e nei loro disegni. 

Alberto – Primo racconto

Un esempio di miglioramento nella condizione psichica l’abbiamo in Alberto, un bambino di sette anni con sindrome di Asperger.

Un cavallo di nome Ferrari

C’era una volta un cow- boy che voleva un bel cavallo. Il venditore aveva un cavallo omaggio e gli piaceva: era suo. Lo vide e lo prese. Era un cavallo rosso, di nome Ferrari. Decise di partecipare a una gara di equitazione e partecipò. Partì e vinse. E tutti furono felici e scoppiò una pioggia di asciugamani e il cavallo fece un balletto. 

Alberto – Secondo racconto

Un altro racconto poco coerente dello stesso bambino:

Pinocchio e il mal di pancia

C’era Pinocchio che è salito sull’albero, ha raccolto altre mele con un cestino. Le ha mangiate, è scoppiato e non era più il figlio di Geppetto; era arrabbiato e l’ha buttato via. Pinocchio era triste perché dormiva fuori della sua casa, da solo. Il giorno dopo Geppetto gli diede da mangiare. La pancia di Pinocchio era quanto un pallone; ha avuto mal di pancia. Voleva il bagno. 

Alberto – Terzo racconto

Tuttavia, lo stesso bambino, in un periodo nel quale la sua condizione psicologica era migliorata e, pertanto, era più sereno e rilassato, anche perché era appena ritornato dalle vacanze estive, dettò questo racconto, molto più lineare e coerente.

Marco e il suo primo giorno di scuola

C’era una volta un bambino che si chiamava Marco. Era il suo primo giorno di scuola. Per prima iniziò la matematica. Era intelligente, buono e sapeva le tabelline. Ha mandato un messaggio al suo amico Luigi per dirgli: “Le vacanze sono finite”. La maestra stava per iniziare la matematica. Come si faceva il 120. “Semplice” dice Marco, “1 centinaio, 2 decine e 0 unità”. Marco era super felice di aver meritato quel nove. L’ha detto alla mamma e a papà e tutti l’abbracciarono e gli dissero: “Sei stato bravissimo”.

 

Le capacità nella comunicazione e nel linguaggio sono strettamente connesse alla serenità interiore e quindi alla presenza o meno di ansie e paure. Un esempio di ciò l’abbiamo nei due racconti effettuati da Donato, un bambino di nove anni con sindrome di Asperger.

 

Donato circonda il suo pupazzo, al quale dà il nome di Apollo, di scarabocchi e di punti, non sappiamo se con l’intento di proteggerlo o colpirlo. Da notare che a questo pupazzo, molto semplice e povero, mancano le braccia, il che può indicarci la paura che aveva il bambino di incontrare gli altri e il mondo fuori di lui.[1]

 

 

Donato – Primo racconto

L’elefante e il pappagallo.

C’era una volta un elefante che era stato abbandonato da un ragazzo giovane. Era senza genitori e decise di andare da un padrone che non c’era. Si chiamava Bernardo. “Questa casa è davvero in disordine” pensò il piccolo elefante. Bernardo era a caccia, ma l’elefantino non lo sapeva; va a vedere e camminava e non lo trova. Torna e non lo trova. “Chissà dove sarà? È a caccia. È meglio che bisognerebbe tornare” disse l’elefantino. I genitori non c’erano. L’elefantino va di nuovo per tutta la città, ma non trova nessuno. Torna a casa, aspetta, aspetta, ma Bernardo non torna. L’elefantino si sta annoiando. Sente l’orologio ma Bernardo non torna. “Quanto ci metterà?”. Va di nuovo a controllare per tutta la città. Va dove vendono gli elefanti e gli chiedono se vuole essere comprato per fare la pelle di tamburo.

Elefantino: ‹‹Non c’è mio padre?››.

Venditore: ‹‹Dov’è?››.

Elefantino: ‹‹Non saprei!››.

Venditore: ‹‹Allora devi essere venduto perché non hai i genitori; sarai costretto…››.

Elefantino: ‹‹Quando tornerò a casa?››. (Vuole tornare, poverino!).

Mentre aspetta, un pappagallo gli chiede: ‹‹Perché sei qui?››.

Elefantino: ‹‹I miei mi volevano vendere››.

Pappagallo: ‹‹Sono intelligente››.

Elefantino: ‹‹Perché?››.

Pappagallo: ‹‹Perché ti devono vendere››.

Elefantino: ‹‹Voglio andare via, non mi piace››.

Pappagallo: ‹‹È bello››.

Elefantino: ‹‹No, chiudi il becco, brutto pappagallo, se no ti frusto; te l’ho detto un miliardo di volte! Vuoi stare zitto?››.

Pappagallo: ‹‹Non posso››.

Elefantino: ‹‹Posso uscire?››.

Pappagallo: ‹‹Devi andare lì. Se vuoi andare via, chiedi al giudice. Ti dobbiamo addestrare››.

Elefantino: ‹‹Quando torno a casa?››.

Pappagallo: ‹‹Mai più, perché c’è una sbarra››.

Elefantino: ‹‹Ma mi aspetta mio padre!››.

Pappagallo: ‹‹Perché non lo hai detto prima? Dobbiamo addestrarti e portarti allo zoo››.

Elefantino: ‹‹Che significa?››.

Pappagallo: ‹‹Ti dobbiamo frustare e mandare al circo. Ma visto che sei un elefante, perché sei qui? Non puoi scappare. Manette e via per sempre. Ti tapperemo la bocca, così non potrai più parlare››.

Elefantino: ‹‹Voglio andare via, testa di rapa! Perché non posso andare?››,

Pappagallo: ‹‹C’è il segnale››.

Elefantino: ‹‹Non c’è. Quanto vorrei tornare a casa! Cosa faremo?››,

Pappagallo: ‹‹Non ti faremo mangiare e visto che sei un brutto elefante, dovremo addestrarti››,

Elefantino: ‹‹Che farò? Devo tornare a casa, devo bere››.

Pappagallo: ‹‹Allora bevi la minestra››.

Elefantino: ‹‹Non bevo la minestra››.

Pappagallo: ‹‹E acqua?››.

Elefantino: ‹‹È il mio cibo preferito››.

Pappagallo: ‹‹Non è un cibo, è bevanda››.

Elefantino: ‹‹Perché non c’è gente?››.

Pappagallo: ‹‹Sono stati portati via e questa è la tragedia››.

Elefantino: ‹‹Quando tornerò?››.

Pappagallo: ‹‹Tutta la gente e i bambini sono andati via››.

Elefantino: ‹‹Perché?››.

Pappagallo: ‹‹Se lo chiedi alla polizia lo saprai. Sai cosa c’è qui? Accalappia animali e tu lì verrai spedito. È vero, non scherziamo. Non possiamo scherzare. Se vorrai andrai in prigione. Lì c’è un uomo, e la polizia che ha le manette per arrestarti. Fai meglio a nasconderti. Gravi conseguenze››.

Elefantino: ‹‹Che faremo?››.

Pappagallo: ‹‹Scappa. Dovrai aspettare che ti arresta››.

Il racconto continua ancora a lungo ma con le stesse caratteristiche.

 Come si può ben vedere da questo racconto, quando l’ansia era notevole il linguaggio del bambino appariva spezzato, frenetico, confuso e molto ripetitivo.

 

Donato – Secondo racconto

Diversa appare, invece, la struttura del racconto un anno dopo, quando la condizione psicologica di Donato era nettamente migliorata. La tematica che il bambino sviluppa è molto truce e carica di paure e aggressività. Sono ancora presenti alcune ripetizioni ma il miglioramento globale delle sue condizioni psichiche gli permette di organizzare una narrazione molto più agile, comprensibile, coerente e lineare.

Il fantasma spaventoso

C’era una volta un fantasma che era molto spaventoso e ogni notte veniva a spaventare le persone Queste persone non riuscivano a dormire e facevano brutti incubi. Loro pensano a cosa bisogna fare con questo fantasma: bisogna ucciderlo o mandarlo via? Poi la mattina le persone vanno a parlare col giudice e gli chiedono di far stare lontano il fantasma e far stare tranquille le persone. E lui dice: ‹‹Va bene, lo manderò via e così non tornerà mai più››. E finalmente le persone potranno dormire in santa pace. Però il postino suona una notte e dice che questo fantasma non se ne andrà più via. Un giorno sentono gli scricchiolii; poi sentono il fruscio del vento e sentono molti temporali. A un certo punto il fantasma arriva e va sopra le scale e le persone sentono dei passi e si spaventano e si nascondono sotto il letto in preda al terrore. Allora il fantasma bussa e le persone tremano dalla paura. Lui entra e fa una risata molto spaventosa. Poi lui sente i rumori sotto il letto, arriva e apre la porta e prende le persone per il collo e le fa soffocare. Poi li porta via, prende un coltello con la sua mano e lo infilza dentro la testa delle persone.

Poi attacca sul muro le teste con i chiodi e un martello. Dopo un po’ il fantasma se ne va nel villaggio per spaventare altre persone. Poi bussa alla porta e vede che non c’è nessuno, allora se ne va e vede qualcuno avvicinarsi, come un’ombra scura e si spaventa, ma non c’è più tempo di scappare e allora il fantasma, in preda al terrore, cerca di scappare, ma ha le gambe deboli e non riesce a scappare. L’ombra si avvicina, lo prende con lui e lo porta a casa sua e lo chiude in un baule con un lucchetto. Poi il fantasma non riesce più a liberarsi, ma vuole uscire perché sta soffocando, perché dentro il baule non si respira. E allora riesce a liberarsi e va a casa di quel diavolo e mette un coltello dentro una lettera con una scritta. Poi se ne va e ritorna a casa sua, ma non riesce ad aprire la porta, perché è chiusa. A un certo punto inizia una tempesta con temporali e fulmini che distruggono alberi, che poi vengono infuocati, ma non riesce più ad entrare e non sa più cosa fare. Sbatte cento volte la porta ma non riesce ad aprire. Poi però gli viene l’idea di sfondare il vetro, così potrà entrare dentro la casa. Poi va a dormire, però vede qualcuno in lontananza dalla finestra, allora si nasconde sotto il letto, perché potrebbe anche essere una creatura mostruosa. Allora lui sigilla tutte le finestre e chiude tutte le tapparelle con un lucchetto, per non farlo entrare. Mette i chiodi e poi sigilla tutto con un martello. Adesso è al sicuro. Poi il mostro ribussa, però non riesce a entrare. Poi se ne va dopo un po’ e dice: ‹‹Per fortuna che se n’è andato››. Poi va a dormire. Poi la mattina fa colazione e si accorge di qualcosa che non c’è più: le sue teste sono scomparse. Allora corre subito a vedere dove sono, ma non le trova. Allora fa colazione e poi va da qualche parte.

 

Lo stesso percorso di miglioramento nella gestione delle idee e dei pensieri, per cui il bambino passa da una situazione mentale gravemente deficitaria a un’altra, nella quale gli è possibile ordinare le idee in maniera più lineare e coerente, lo ritroviamo in Francesco, un altro minore con disturbo dello spettro autistico.

Inizialmente, quando il suo mondo interiore era gravemente disturbato, le sue capacità di organizzare i pensieri erano minime.[2]

Francesco – Primo racconto

Paolone e

quello

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

un tanto giorno

di fa pensavo z

che qualcuno come noi

chiamavanoo’ il

loro mondo

polo sei un

brutto e di male

un fannullone

un imbroglione

un bruttissimo

codardo d’

imbranato

impastore.

Commedia

Teadraleritornell

O scrittura.

In un periodo successivo, con il miglioramento dei suoi vissuti interiori, le frasi diventarono meglio organizzate e strutturate, ma riportavano, senza molta immaginazione, alcuni episodi di film che vedeva e rivedeva spesso alla tv.

Francesco – Secondo racconto

Pina, la nonna di Cappuccetto Rosso

C’ERA UNA VOLTA CAPPUCCETTO ROSSO CHE

VENDEVA LA FRUTTA NEL BOSCO DOVE C’ERA LA SUA

NONNA DI NOME PINA.

TOTO’ ERA UN PRINCPE E SUO PADRE ERA UN DUCA

POI PAOLO VILLAGGIO NON RIUSCIVA A USCIRE DALLO

SPORTELLO MA USCIVA DAL COFANO.

ANDO’ IN UFFICIO PER ENTRARE E FARE LE SUE

FACCENDE E POI HA VISTO SUPERMAN E SI E’TRASFORMATO IB SUPERMAN.

POI VEDE CHE C’E’ UN ORSO IN ASCENDORE E SI SPAVENTA POI L’ORSO LO PRENDE CON TUTTA LA FORZA SI CHIUDE L’ASCENSORE E GLI STRAPPAI VESTITI E POI ESCE CON I VESTITI TUTTI QUANTI STRAPPATI

 

Lo stesso bambino, tre anni dopo, in un periodo nel quale il suo mondo interiore aveva acquisito una maggiore serenità, riusciva a costruire racconti come questo:

Francesco – Terzo racconto

Desiderio di una casa

Io ero vicino e mentre sentii quel fischio, quel suono che veniva da lontano, che sembrava che qualcuno mi chiamasse, girai la testa ma non lo vidi, allora cercai la casa e la trovai; e volevo entrare ma in mezzo c’era un tronco grandissimo di albero, tutto pieno di neve. Cercai di levarlo con tutta la mia forza, ma non ci riuscii, allora presi un albero piccolo, ma un pochino altino. Cercai di togliere l’albero ma era troppo faticoso, così gettai quell’albero e mi avvicinai un’altra volta per toglierlo con tutta la mia forza, ma questa volta ci stavo quasi riuscendo, mentre inizialmente non ci stavo riuscendo. Poi ci riuscii ma stavo cadendo giù. Mi tenni e mi stava arrivando qualcosa sulla testa; mi spostai e mi arrivò di colpo; lo tenni fermo perché mi stava quasi prendendo nel sedere. Ma poi lo tenni fermo, vidi che sotto c’era un burrone e lo gettai e poi salii, vidi che era chiuso e lo aprii e vidi che era caduta pure la sporcizia dal letto. Vidi anche un po’ di disordine, così feci un salto in mezzo alla sporcizia. Vidi qualcosa per pulire tutto e passai la spazzola. Dopo, quando finii, mi accorsi che era una spazzola; andai e la posai e mi venne fame.

 

Riccardo

Riccardo, un bambino di sette anni che presentava disturbo dello spettro autistico, durante il periodo di maggiore gravità, i i suoi racconti non solo erano molto scuciti, poco logici e scarsamente lineari ma tendeva ad utilizzare dei termini molto rudi e a volte volgari. 

Un mostro che faceva paura

C’era una volta un mostro che faceva paura e poi ci mangia.

Riccardo, un bambino con disturbi autistici, a commento di un suo incomprensibile disegno (figura 55), manifesta una delle sue paure. Questo bambino, come tutti i minori che soffrono di sintomi di autismo, quando questa sintomatologia era grave, si sentiva invaso da paure che non riusciva a comunicare verbalmente ai suoi genitori. Riuscì a fare ciò solo quando gli fu data la possibilità di disegnare e commentare i contenuti dei suoi disegni. Queste due attività diventarono nei suoi confronti degli ottimi strumenti terapeutici.

Due bambini mangiati da un mostro

C’era un mostro che ha mangiato due bambini e sono morti.

Questo secondo disegno di Riccardo è più comprensibile (figura 56), ma la paura è la stessa!

Due mamme

È un bambino che è nato con il corpo così e si chiama Memme e tifa per la Juventus. Gli manca una gamba. La mamma gioca con lui. Ha due mamme: una si chiama Cacca e una si chiama Memme.

La mamma ride davanti al figlio morto

Un bambino si è rotto due braccia e i piedi che sono piccoli. È senza compagni. La casa si è rotta. L’ambulanza lo porta all’ospedale. Il bambino si chiama Luca e fa la cacca addosso. Luca morì; era pazzo, lo portano al cimitero. Arriva la mamma e fa: “Ha! Ha! Ha! Ha!”. (ride), Arrivano i bambini piccoli per guardare Luca ed erano tristi perché avevano sangue che poteva uscire da lui.

Il mare si è rotto

C’era una volta il mare che si è rotto perché c’erano tanti pesci. C’era un bambino gigante che gli ha fatto male la medusa ed esce sangue. Il bambino piangeva, poi ha fatto la pipì addosso al mare. Poi andò sott’acqua, arrivò la balena e se lo mangiò. Nella bocca della balena il bambino stava male, perché la balena lo masticava. Poi l’ha sputato. Al bambino usciva sangue da tutto il corpo ed è morto.

Davide e il cane

È Davide che ha fatto il monello e un cane gli ha tirato un amo nell’occhio. Si è fatto male e gli è uscito tanto sangue. Aveva la pancia rotta. Sua mamma è morta e lui è contento e se ne è andato a ballare.

 

Solo dopo alcuni anni durante i quali si è cercato di migliorare il suo mondo interiore, i suoi racconti si modificarono gradualmente ma in maniera sostanziale, diventando più ottimistici, privi di paure e di angoscia.

Tre bambini

Il bambino disegna in modo molto schematico tre personaggi ai quali dà il nome di Matteo, Giovanni e Marco.

Alla domanda: ‹‹Cosa fanno queste persone?›› Così risponde:

‹‹Giocano, ridono, vanno a scuola dove studiano, poi vanno a casa e dormono. Fanno brutti sogni, sognano di mostri. Si spaventano. Chiamano la mamma e papà che riposano››.

Domanda: ‹‹Vanno nel letto di Papà e mamma?›› ‹‹No non ci vanno. Papà e mamma gli fanno una carezzina. Il bambino è contento. La mattina sono contenti di andare a scuola. Vanno da soli a scuola. Bisticciano con i compagni. Sono monelli loro (i compagni). Lo raccontano a mamma e papà. I loro genitori mettono in punizione i compagnetti. Loro (si riferisce ai compagni) piangono››.

Pierino

‹‹C’era una volta un bambino che si chiamava Pierino che era buono e intelligente. Giocava a palla con i suoi amici, poi giocavano a nascondino: Pierino e il lupo. Un giorno giocava e mentre giocava andava a scuola. Studiava e andava a casa. A casa c’era sua mamma, suo papà, i suoi fratelli e basta. Sua mamma era buona e papà era buono e pure i fratelli che gli davano i bacetti. Poi giocava a nascondino. A casa mangiava, dormiva e faceva bei sogni››.

**

‹‹C’era una volta un bambino che si chiamava Luigi. Che aveva quattro anni e che giocava al pallone con gli altri compagni. Poi si è fatto male al ginocchio, si era graffiato, e poi gli è passato. Poi Luigi ha giocato con lo scivolo e con l’altalena con gli altri bambini che avevano uno cinque anni e si chiamava Marco e l’altro non lo so. Questi bambini erano buoni e giocavano tutti insieme, Un giorno hanno organizzato di giocare a nascondino e vinse Luigi che è buono, anche se gli altri si sono seccati. I genitori di Luigi erano buoni, bravi e gli volevano bene››.

 


[1] Crotti E. Magni A. (2006), Come interpretare gli scarabocchi, Milano Edizioni Red, p. 75.

[2] In questi tre racconti abbiamo cercato di mantenere la stessa grandezza dei caratteri usati dal bambino e la stessa impostazione presente nella pagina.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

Racconti chiari e coerenti - Racconti poco chiari o incoerenti

Racconti chiari e coerenti - Racconti poco chiari o incoerenti

 

Racconti chiari e coerenti

Thomas, un bambino di otto anni, ci offre un esempio di racconto abbastanza ben organizzato e strutturato.

 

Una partita di calcio

C’era una volta una partita di calcio e giocavano Juventus contro Real Madrid. La Juve ha segnato un super goal di rovesciata, per il Real ha segnato pure un altro goal, successivamente. Erano pari finché Isco ha fatto il secondo goal. Subito dopo Higuain andò nella zona tiro, ma non ci riuscì, gli prese la palla Ronaldo e fece il terzo goal. Passava il tempo ed erano sempre 1 a 3, fino a che, negli ultimi minuti, Ronaldo fece il quarto goal. Infine, il Real Madrid vinse la coppa Champions.

Come si può notare, sia il disegno, che il racconto sono organizzati in maniera chiara e lineare. Tuttavia, disegno e racconto non descrivono gli stessi avvenimenti. Mentre nel disegno egli rappresenta una partita di calcio tra lui e una bambina. Naturalmente è lui che vince. Nel punteggio, o piuttosto voto, lui prende 10 + mentre la sua compagnetta prende 4 ed è bocciata. Il racconto descrive invece, con molti particolari, una partita di calcio tra la Juventus e il Real Madrid, con la vittoria di quest’ultima squadra.

Ci potremmo chiedere come mai non ha descritto la gara con la sua compagnetta che aveva appena disegnato. Il motivo è semplice da comprendere: quella gara non si riferiva al calcio ma alle attività scolastiche, nelle quali lui ottiene o spera di ottenere, un voto migliore rispetto alla sua compagnetta, probabilmente poco amata. 

Lo stesso possiamo ritrovare in Serena una bambina di nove anni.

 

Una piccola spiaggia

C’era una volta una spiaggia, che era piccola. C’erano dei bambini con i loro genitori, che giocavano. Poi i bambini mangiarono, ma prima di mangiare si fecero il bagno. Dopo si fecero di nuovo il bagno. Erano due bambini: un maschio e una femmina. E poi tornarono a casa. Il giorno dopo ritornarono e fecero una cosa nuova: invece di mangiare cibo portato da casa, andarono a mangiare al ristorante.

Sia il disegno che il racconto sono ben organizzati e chiari. Possiamo allora dedurre che i lievi problemi psicologici della bambina non hanno inciso pesantemente sulle sue capacità di gestire ricordi, pensieri e idee.

 Racconti poco chiari o incoerenti

Vi sono, invece, dei racconti nei quali sono presenti degli elementi poco chiari, incomprensibili o poco coerenti tra loro.

Le alterazioni nel racconto sono presenti ogni qualvolta la patologia psichica del minore si presenta in modo particolarmente importante. In questi casi vi è spesso difficoltà, se non proprio incapacità, nel costruire frasi ben strutturate, complete e, soprattutto, coerenti e ben collegate tra loro.

Queste alterazioni sono soprattutto presenti nei soggetti con gravi disturbi autistici. Nei loro racconti possiamo trovare strani e inusuali collegamenti tra le parole e le frasi del loro discorso. Nei casi più gravi questi bambini riescono solo a scrivere o dettare parole e frasi ripetitive, senza alcun collegamento tra loro, se non solo per assonanza.

Ciò è dovuto alle numerose paure e agli intensi stati d’ansia che opprimono e sconvolgono la mente di questi minori i quali, vivendo costantemente in uno stato di notevole paura, sospetto, apprensione e allerta, se non di piena confusione mentale, hanno notevoli difficoltà nel controllare le emozioni interiori e la realtà esterna, così da dare alle parole, alle sensazioni e agli avvenimenti della vita, il giusto peso e il corretto significato. Inoltre, non riuscendo a mettere ordine nei loro pensieri, le loro frasi sono costruite in modo contorto e spezzato, cosicché i loro racconti risultano a volte incomprensibili.

Questo stato confuso e disorganizzato può essere molto breve o può perdurare nel tempo, con conseguente destrutturazione più o meno grave della coscienza stessa.[1]

 L’interpretazione di questi racconti e disegni diventa ancora più ardua. Tuttavia, sia le loro parole che i disegni sono per noi lo stesso preziosi, poiché possono farci comprendere: la gravità della patologia in un determinato momento; la sua evoluzione nel tempo ma anche quali pulsioni ed emozioni sono prevalenti in quel momento nella psiche del soggetto.

Vediamo alcuni esempi: 

Luca, un bambino che si trovava in una famiglia affidataria, a causa di gravi problemi presenti nella famiglia d’origine, presentava numerosi sintomi di disagio psicologico: disturbi nell’orientamento temporale; difficoltà nel linguaggio e nella comunicazione; disturbi del comportamento con iperattività e deficit nelle capacità di attenzione.

 

Una fontana dalla quale sgorgava oro

C’era una volta una fontana che faceva oro. Un giorno tutto il mare è diventato d’oro ed è caduto sulla città. Tutte le persone erano contente, poi sono diventate cattive, hanno rubato l’oro e sono scappati a Parigi. A Parigi hanno rubato tutte le monete, un camion. Poi sono scappati a Roma, hanno rubato un camion, sono scappati, sono andati a Milano ed hanno rubato monete d’oro. Hanno rubato un camion di 1000 metri e 1688 monete. Queste persone erano cinque maschi adulti: Gianluca, Marco, Filippo, Luca e Alberto.

D. Erano sposati?

R. Non erano sposati.

D. Perché rubavano?

R. Rubavano perché erano ladri. Poi sono andati a Palermo, hanno rubato un camion e altre 1688 monete. La polizia non li ha presi perché scappavano sempre.

Nel racconto di Luca, nonostante la trama sia abbastanza comprensibile, possiamo notare non solo una certa ripetitività nei contenuti ma, soprattutto, è evidente la scarsa aderenza alla realtà (C’era una volta una fontana che faceva oro- Hanno rubato un camion di 1000 metri).

Anche il disegno, sebbene sia ben chiaro nella parte sinistra del foglio, è scarsamente comprensibile nella parte destra. Possiamo notare, inoltre, come il colore dell’acqua della fontana dalla quale, a suo dire, doveva sgorgare oro, non abbia proprio il colore giallo che ci si aspetterebbe. 

Filippo, un ragazzo di undici anni che era vissuto in istituto dai due anni fino all’adozione avvenuta quando aveva sei anni, nonostante le terapie alle quali era stato sottoposto, presentava gravi problemi psicologici che si manifestavano con parziale distacco dalla realtà, disturbi del comportamento, ritardo scolastico, enuresi notturna, paure e scarse capacità nell’attenzione; anche l’autostima era notevolmente ridotta.

 

Un orecchio con i peli

C’era una volta un orecchio con i peli, poi è morto, si è fatto male, perché un cane l’ha morso.

 Sono rari i disegni e i racconti che riguardano la storia di un unico particolare del volto. In questo caso il bambino racconta di un orecchio il quale, aggredito dal morso di un cane, muore. Di solito i bambini tendono a vedere l’unicità della persona umana: sia nei disegni, sia nei racconti. Questo tipo di racconto e di disegno conferma la gravità della patologia di Filippo. 

Una donna viziata

C’era una volta una donna viziata di nome Giuseppina e stava a Casapia. Era viziata perché diceva che una volta è andata in giro con le sue amiche e picchiava le bambine piccole. Poi sua sorella Flaviella diceva brutte parole e suo padre non gli ha detto niente, perché era menefreghista e la gente un giorno ha protestato, perché volevano cacciare tutta la famiglia dalla città. Poi c’era un donnaiolo. Poi un giorno c’era una persona molto affettuosa di nome Nino, si faceva in quattro da solo. E quando c’erano gli amici di questa Giusy picchiavano, mandava il suo fidanzato. Poi è intervenuto Nino e li ha picchiati a Giusy e al suo amico.

È evidente come Gabriele, un giovane che soffriva di disturbo dello spettro autistico, abbia difficoltà nel mettere ordine nei suoi pensieri. Le frasi sono costruite in modo poco chiaro e corretto (Era viziata perché diceva che una volta è andata in giro con le sue amiche e picchiava le bambine piccole). Inoltre, in alcuni tratti, il suo discorso si interrompe o non arriva ad alcuna conclusione logica (Poi c’era un donnaiolo. Poi un giorno c’era una persona molto affettuosa di nome Nino, si faceva in quattro da solo).

Nonostante ciò le sue parole sono per noi importanti, poiché ci fanno capire, oltre alla gravità della patologia, il suo intenso bisogno di criticare tutte le persone del suo quartiere che, a suo dire, si comportavano male. Una visione, quindi, sospettosa e giudicante dell’ambiente attorno a lui. 

Quest’altro racconto che vi proponiamo, ricco di notevoli e numerose incongruenze, nasce dalla mente molto turbata di Mario, un bambino di quattro anni e mezzo, il quale manifestava sintomi particolarmente gravi: leccava ogni cosa e diceva frasi strane, come quella di essere un cane. Presentava, inoltre, molte fantasie con contenuti aggressivi e sessuali; soffriva di incubi notturni e lamentava una regressione nel controllo degli sfinteri.

Il dottore si è preso il sole

C’era una volta un dottore che si è preso il sole, poi è andato a casa con il suo amico Francesco. Assieme hanno fatto passeggiare il cane, poi sono andati dalla nonna, che dice di andare dalla mamma, ma non ci vuole andare. Il mio amico Francesco è buono ma sta male; anche la nonna è buona. Il papà è cattivo, perché dà le botte al dottore e io piango. Mi difende la nonna. Il nonno è cattivo, perché dà le botte in testa. La nonna dà schiaffi a papà e a mamma, perché hanno dato botte al dottore e mi chiedono scusa.

Nonostante tutte le sue incongruenze, è facile cogliere in questo racconto, da parte del bambino, una visione molto aggressiva e violenta delle persone che si rapportavano con lui. 

Davide e il cane

È Davide che ha fatto il monello e un cane gli ha tirato un amo nell’occhio. Si è fatto male e gli è uscito tanto sangue. Aveva la pancia rotta. Sua mamma è morta e lui è contento e se ne è andato a ballare.

Anche nel racconto di Riccardo, un bambino di otto anni che presentava disturbi autistici, non è difficile cogliere, oltre le incongruenze, una visione aggressiva nei suoi confronti, da parte del mondo che lo circondava. Anche il legame con la madre appare dalle sue parole come assolutamente inesistente (Sua mamma è morta e lui è contento e se n’è andato a ballare). 

 

 

Davide, un uomo di trentotto anni, anche lui con disturbo dello spettro autistico raccontava:

Davide – Primo racconto

L’albero e il muro

C’era una volta un albero e un muro. L’albero era con le foglie, era piantato sottoterra. L’avevano piantato gli agricoltori. Faceva i fiori; c’erano persone che avevano piantato l’albero e fatto il muro.

D. Perché avevano costruito il muro?

R. Le persone avevano fatto il muro per fare bello l’albero. Erano muratori.

Un giorno l’albero non c’era più e si era appassito e avevano buttato le foglie. Le persone erano tristi perché non c’era più l’albero, mentre il muro c’era ancora.

Se proviamo a interpretare questo strano e insolito racconto di Davide, ci accorgiamo che vi sono alcuni elementi interessanti che ci permettono di scoprire le emozioni, i pensieri e i sentimenti presenti in alcuni soggetti con disturbo dello spettro autistico.

v  Il primo elemento è simbolizzato dall’albero piantato sottoterra. Questa condizione dell’albero che sta sottoterra fa pensare a ciò che avviene quando i piccoli instaurano una chiusura estrema di tipo autistico. Naturalmente quest’albero dapprima è vitale e pieno di fiori, ma poi muore. Che è poi la condizione nella quale si trova il bambino nel momento in cui permane in una condizione di autismo: una morte sociale e relazionale.

v  Il secondo elemento è il muro costruito dalle persone (per fare bello l’albero), quindi messo lì come a proteggerlo da elementi negativi. Questa condizione somiglia molto a ciò che succede ai bambini con disturbi autistici, nei quali il loro Io (l’albero ben vitale che faceva fiori) gradualmente tende a deperire e morire, mentre le difese che erano state erette (il muro) rimangono ben salde.

v  Il terzo elemento è altrettanto interessante: la tristezza (Le persone erano tristi perché non c’era più l’albero). Questa tristezza è in fondo quella che ritroviamo nei genitori e nelle persone che si relazionano con questi bambini, ma è anche quella che troviamo nello stesso bambino che si scopre isolato ed escluso dalla società civile e da quella condizione psicologica che procura agli esseri umani sviluppo, crescita, vitalità e gioia.

L’albero disegnato da Davide non ha radici, per cui non ha stabilità e potrebbe cadere da un momento all’altro. Questo ci suggerisce la presenza in quest’uomo di una notevole instabilità e fragilità emotiva.  La chioma, molto piccola, ci indica la sua notevole difficoltà nell’integrarsi nell’ambito sociale. Il disegno del muro, dal quale nascono delle ciliegie, ci conferma la presenza di una notevole confusione presente nella mente del giovane.  

Davide - Secondo racconto.

Un albero nel cielo

C’era una volta un albero, con le piantine e con i fiori; stava nel cielo, perché era fiorito. Il muro stava sottoterra, poi sempre sottoterra c’erano i fiori e le margherite. Un giorno successe che l’albero è sfiorito e poi non c’era più, perché si era appassito, in quanto si staccavano i rami. Insieme all’albero c’erano altri alberi fioriti, che erano anche loro appassiti, e poi successe che non c’era più l’albero. E basta!

Sul piano del pensiero questi due racconti di Davide rivelano sicuramente la scarsa coerenza presente nella sua mente: l’albero e il muro nel primo racconto stanno sottoterra, mentre nel secondo racconto l’albero è nel cielo perché è fiorito, mentre il muro è sottoterra insieme ai fiori e alle margherite! Per non parlare della presenza di un muro con le ciliegie, che poi appassisce!

In entrambi i racconti è evidente la presenza della chiusura autistica: il muro, l’albero i fiori e le margherite che stanno sottoterra. Altrettanto evidente e preminente è la tristezza: è autunno, c’è freddo, non ci sono persone o animali; ogni cosa, anche se inizialmente è bella e vitale, perché piena di fiori, subito dopo appassisce, diventa secca, fino a scomparire. 

Un altro esempio di racconto poco coerente lo troviamo in Giulia, una bambina di quasi cinque anni.

Giulia – Primo racconto

Un cane va a vedere la partita

Un giorno il cane era andato a vedere una partita, ma uno l’ha fermato. La foca era al mare e il coniglio era nel bosco. Il coniglietto va a cercare la foca e gli dice: “Tu eri andato a Gioia”. E lui risponde: “Tu eri andato a Colla”. Un giorno il cane va a vedere la partita. Il padre gli ha detto di non andare. Un giorno l’amico dell’orso è andato alla partita, ma l’ha lasciato indietro. Una mamma aveva una bimba, era cresciuta, gli ha fatto il bagnetto. Un’altra mamma l’ha fatta mettere a letto. Dormiva sempre.

 La stessa bambina fece un altro racconto ancora più confuso e scarsamente organizzato.

Giulia – Secondo racconto

Una barca d’argento

Un giorno un monopattino andò con la sua barca d’argento e s’imbarcò. Dopo un giro ritornò a casa e ritornò a giocare insieme alle campanelline. Ma un giorno il cappello malvagio di cristallo fece navigare a Los Angeles. Agitò la sua sfera e navigò fino a quando si sono imbarcati. C’era un piccolo problema: la neve era troppo forte. Ha deciso di farlo scomparire tuffandosi nel mare. Suonava una chitarra preziosissima. E la neve continuò a cadere. Suonò forte. Provò e provò e la neve scomparve. Il povero cappello scomparì e le campanelle suonarono. 

Ancora un racconto poco coerente lo abbiamo registrato da Vincenzo, un bambino di sette anni con disturbi autistici. La confusa realtà interiore presente nella sua mente si trasferiva anche nei suoi disegni.

 

Un palo a Messina Centro

C’era una volta un palo. Si trovava a Messina Centro. L’aveva messo un signore. Il palo era alto, con la lampadina piccola. Vicino al palo è successo che (qualcuno) ha preso a calci il palo e non è caduto. Lo stesso mese che è nato il mondo è nato il palo. Si metteva a sparare le bombette sul palo, ma esso è rimasto intatto. Il palo vedeva tutto ciò che succedeva. Le persone che passavano lo vedevano bello e lo volevano disegnare.

Questo bambino, affetto da disturbo dello spettro autistico, descrive in modo confuso la storia di un palo (Vicino al palo è successo che (qualcuno) ha preso a calci il palo e non è caduto. Lo stesso mese che è nato il mondo è nato il palo. Si metteva a sparare le bombette sul palo, ma esso è rimasto intatto. Il palo vedeva tutto ciò che succedeva).

Questo bambino che era affascinato dai pali, anche nel disegno esprime le emozioni e i pensieri presenti nel suo animo in quel momento, ma lo fa in modo confuso e ripetitivo: tanti pali, piegati in vari modi, tante frecce. Da notare che, mentre nel racconto vi sono delle persone che prendono a calci il palo o vi sparano sopra le bombette, nel disegno  queste persone sono assenti, forse a causa della sfiducia che egli provava nei loro confronti. 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

Utilizzo nei racconti di favole e temi conosciuti

 

I racconti che invitiamo ad esprimere possono contenere, in modo parziale o totale, oltre che il prodotto della fantasia dei bambini, anche storie, favole e temi da loro conosciuti in ambito scolastico, familiare o amicale. A volte si tratta di racconti letti da loro stessi o dai loro genitori. In altri casi i contenuti che i bambini riportano sono tratti dalla visione di qualche film o cartone animato.  Inoltre, nella nostra società ipertecnologica, sempre più frequentemente i racconti dei bambini sono influenzati dalle storie presenti nei video-giochi che, dagli anni ottanta, si sono capillarmente diffusi in tutte le famiglie e in tutti gli strati sociali. Questi giochi apportano nella mente e nella fantasia dei bambini storie e personaggi, alcuni positivi e altri nettamente negativi che ritroviamo nei loro racconti.

A volte le avventure presenti nei videogiochi sono riportate in maniera fedele, in altri casi sono invece trasformate, alterate e interpretate dai bisogni interiori del bambino. Per tali motivi possiamo ricavare indicazioni sui vissuti interiori del minore in esame, solo dal tipo di video-gioco scelto nel racconto e dalle modifiche che egli vi ha apportato.

 

 Un disegno emblematico di come spesso oggi la famiglia sia condizionata e stretta come in una ragnatela dagli strumenti elettronici. In questo disegno tutti i componenti   della famiglia sono davanti alla Tv. Ognuno di loro ha in mano il telecomando o l’inseparabile telefono cellulare.

Nulla di strano, quindi, che un bambino riporti quanto visto o ascoltato, se ciò si verifica durante i primi incontri e, quindi, solo all’inizio di una relazione terapeutica. In questa fase il minore può non avere ancora scoperto il piacere e la possibilità di creare, inventandole, delle storie tutte sue, nate dalla propria fantasia. All’inizio della terapia questo comportamento del minore può essere semplicemente un modo prudenziale di iniziare con gradualità un rapporto di dialogo con una persona appena conosciuta, come può essere un terapeuta o un insegnante.

Di solito però gli stessi bambini, nel tempo, tendono a modificare, anche se solo parzialmente, i contenuti di quanto letto, visto o ascoltato poiché, quasi sempre, emerge il bisogno interiore di comunicare qualcosa di più intimo e personale ad una persona che sentono amica. Per tale motivo, se questo comportamento dovesse persistere, è doveroso chiedersi se il nostro rapporto con il bambino si sta evolvendo in maniera positiva oppure è rimasto ad uno stadio superficiale. In questo caso è indispensabile mettere in discussione il proprio approccio nei confronti del minore e cercare di migliorarlo.

Se escludiamo questa possibilità, l’altra possibile motivazione potrebbe risiedere proprio nella psiche del nostro piccolo utente. Può accadere che un bambino molto chiuso e diffidente eviti, anche se messo pienamente a proprio agio, di comunicare anche dopo mesi, le proprie emozioni e i propri sentimenti.

Questi comportamenti, che possono essere presenti in soggetti che possiedono una personalità molto rigida e una scarsa fiducia nei confronti del prossimo, potrebbero essere superati attuando una relazione molto più libera, accettante e gioiosa, come quella presente nella tecnica del Gioco Libero Autogestito[1]. In questo tipo di gioco l’intesa che si riesce a stabilire tra l’adulto e il bambino diventa con più facilità profonda e piena, giacché quest’ultimo viene accolto nei giochi e nelle attività in una condizione di massima libertà.

Nel caso più frequente in cui il bambino, dietro la spinta dei suoi impulsi interiori, modifichi un racconto conosciuto, dovremmo provare a scoprire e capire sia la quantità, sia la qualità delle modifiche che egli vi ha apportato. Queste modifiche saranno preziose per comprendere il mondo interiore del minore, con il quale abbiamo intrapreso un cammino terapeutico.

Le modifiche possono riguardare:

  • I personaggi del racconto. A volte il bambino altera le caratteristiche dei vari personaggi, dando ad essi un sesso, un’età o delle caratteristiche di personalità diverse da quelle descritte dall’autore. Altre volte inserisce personaggi di fantasia o addirittura mette sé stesso come protagonista.
  • La trama del racconto. Le alterazioni e le modifiche possono interessare anche la struttura stessa del racconto, la quale può essere dal bambino sconvolta, edulcorata o resa più aggressiva, tragica, ansiosa e inquieta.
  • Il finale del racconto. Anche le parole che concludono il racconto possono essere modificate in senso positivo o negativo. Ad esempio, inserendo un finale tragico al posto di uno lieto o viceversa.

Sebbene le cause di queste modifiche possano essere dovute a difficoltà nella comprensione di quanto letto, visto o ascoltato, in molti casi le alterazioni presenti nella trama del racconto, nelle caratteristiche dei personaggi, nonché nell’ambientazione in cui questi si muovono, sono dovute all’emergere di personali bisogni interiori.

È la sua personale realtà familiare e sociale, sono le sue emozioni, le sue ansie, le sue paure, i suoi desideri e aspirazioni, che spesso si fanno strada e si impongono nella mente e nella fantasia del bambino, stimolandolo ad apportare dei cambiamenti al testo originale del racconto. In definitiva, molto spesso i cambiamenti manifestano o interpretano i bisogni, i desideri, le carenze o le difficoltà del minore.

 

 

 

Un esempio di quanto detto sopra lo troviamo in Salvatore (nome di fantasia), il quale racconta un’avventura tratta da un famoso personaggio dei video giochi: Super Mario.

Un video-gioco

C’era una volta Mario, che è un mostro. Era nel videogioco, poi è uscito, sale su una corda in equilibrio e sotto c’era uno squalo, che se lo voleva mangiare, però lui ha fatto una sfera magica, gliel’ha buttata addosso e si è salvato.

Il bambino racconta molto bene l’avventura di Super Mario che sale sulla corda mentre sotto vi è un coccodrillo, tuttavia, stranamente, lo descrive come un mostro (C’era una volta Mario, che è un mostro). È questo elemento personale che può essere di nostro interesse e può darci degli input interpretativi.

 

I Minions rapinano le Banche

C’era una volta un gruppo di Minions che rapinavano le banche per guadagnare. Facevano molte missioni e assassinavano molte persone, rubavano macchine. Poi arrivarono i poliziotti e gli hanno sparato. Però chiamarono l’elicottero e scapparono.

Un ragazzino di undici anni, che presentava sintomi depressivi, ansia, ed era turbato da intense, numerose fobie e incubi notturni, riporta abbastanza fedelmente i temi dei video giochi che utilizzava ma si sofferma sulle tematiche aggressive e violente. Il suo racconto dovrebbe farci riflettere sulle conseguenze che possono insorgere quando i minori sono lasciati a giocare con dei video-giochi violenti e aggressivi.

 

 

Cenerentola rivisitata

C’era una volta un castello in pianura, con clima caldo, e gli abitanti erano una bimba di nome Sara, che stava nel castello con la matrigna sposata con il padre. Il padre non c’era nel castello, perché morto, ma c’erano due sorelle e la matrigna che la trattava male, facendole fare tante cose. E anche il gatto era cattivo. Sara parlava con gli animali. Un giorno arriva una lettera a casa, cioè un invito ad un matrimonio. Ma la matrigna non voleva. Ordina tanti lavori in casa, affinché non possa andare. Lei stava facendo un vestito aiutata dagli animali. Entra in una stanza, vede un vestito e se lo mette, che gli avevano fatto per lei, da una serie di indumenti delle sorelle. Le sorelle lo strappano e poi lei piange. Arriva una fata, che le fa un incantesimo con la carrozza, il vestito…lei va alla festa e balla con il principe. Le sorellastre sono invidiose e la matrigna è incuriosita. Lei perde la scarpetta, nel frattempo il principe fa indossare la scarpetta. Alle sorellastre, invece, la fa provare a Sara e si sposano.

Nel racconto di Luisa sono contenuti, anche se in modo poco lineare e armonico, i contenuti della favola di Cenerentola. Nel disegno che accompagna il racconto, sono evidenti nel castello numerose guglie, con le quali la bambina ha voluto evidenziare l’aggressività della matrigna nei confronti di Cenerentola. Da notare anche l’uso di colori freddi e tristi, sia per il castello che per il sole.

 

 

Un esempio di favola riportata meno fedelmente è quella proposta da Federica (nome di fantasia), una bambina di otto anni.

La vispa Teresa

La Vispa Teresa stava tra l’erbetta e incontrò una farfalletta; di soppiatto si avvicinava per catturarla. Senza accorgersene la farfalletta la catturò in fretta, prendendola dalle ali: che male che fu! La farfalletta, disperata, chiese se la faceva volare. Dispiaciuta Teresa, la furbacchietta, l’aveva liberata poggiandola su un fior. La farfalletta la perdonò e furono amiche per sempre.

Se paragoniamo questo testo alla filastrocca originale di Luigi Sailer, notiamo varie differenze.  Alla piccola Teresa viene aggiunto un nomignolo: furbacchietta, non presente nell’originale. Questo nomignolo, probabilmente, è quello che i suoi genitori o qualche altro adulto avevano affibbiato a Federica, a causa di qualche suo comportamento birichino. Allo stesso modo l’accenno che la bambina inserisce sul perdono e su una futura amicizia rivela un suo bisogno personale (Dispiaciuta Teresa, la furbacchietta, l’aveva liberata poggiandola su un fior. La farfalletta la perdonò e furono amiche per sempre).

E come se Federica dicesse a sé stessa: “Quando, come spesso mi capita, faccio soffrire o arrabbiare un’altra persona, se poi mi pento, posso benissimo riallacciare il rapporto e ricostruire l’amicizia o l’amore messo in crisi”.

Da notare nel disegno la difficoltà, ancora presente nella bambina, di eseguire il soggetto di profilo.

 

Un figlio chiamato Gesù

C’erano una volta due contadini che vivevano in una caverna, perché non avevano una casa, perché erano poveri. Quando pioveva erano contenti, così maturavano i frutti. Un giorno sono arrivati i soldati e hanno ucciso il marito: l’hanno messo in croce, perché sono malvagi. La ragazza piangeva, non si è mossa più di casa e ha fatto un figlio di nome Gesù. E vissero non sempre felici e contenti. Giuseppe è morto. Gesù l’hanno messo pure lui in croce. La mamma piange e nel mondo non si sente più parlare di loro, tranne che in chiesa.

 In questo caso le alterazioni del racconto della vita di Gesù e della sua famiglia sono notevolmente alterate dal pessimismo e dalla tristezza che pervade l’animo di questo bambino. Egli descrive un mondo nel quale non vi è alcun elemento positivo: un mondo di povertà (due contadini che vivevano in una caverna perché non avevano una casa, perché erano poveri); un mondo malvagio (l’anno messo in croce perché sono malvagi); un mondo nel quale la morte è sempre incombente (hanno ucciso il marito - Gesù l’anno messo pure lui in croce); un mondo nel quale predomina il dolore (La mamma piange). Infine, è presente, nella psiche del bambino, un’intima visione pessimistica sulla sensibilità delle persone di fronte a dei gravi avvenimenti, quando afferma che il ricordo di quei drammatici avvenimenti non sarà conservato nel futuro ma andrà perduto (non si sente più parlare di loro, tranne che in chiesa). 

 

Anche Martina (nome di fantasia), una bambina di sei anni, ci offre un esempio di racconto molto modificato rispetto all’originale.

 

Cappuccetto rosso

C’era una volta una bambina che andava ogni giorno da sua nonna. Un giorno la nonna gli disse: “Cappuccetto Rosso, vai dalla zia, che ti deve dare la pasta per il cane: pasta con la salsa”. Cappuccetto Rosso disse: “Nonna, vado immediatamente e torno”. E la nonna disse: “Prima chiudi il cane, se no scappa”. Cappuccetto corse subito dalla zia, senza chiudere il cancello. Il cane, quando lei era già dalla zia, usci dal cancello e si mangiò tre pecore, che erano pure di Cappuccetto Rosso. Era come se aveva uno zoo. Quando il cane finì, se ne andò via correndo. In quella strada c’era un cattivo lupo: ecco perché la nonna voleva che Cappuccetto Rosso chiudesse il cancello. Il cagnolino pensava che era un altro cane e il lupo se lo mangiò in un boccone. Cappuccetto Rosso, quando tornò, mise la pasta al cagnolino dicendo: “Dov’è finito Bolly? Gridando e correndo, Cappuccetto Rosso andò dalla nonna e gli disse: “Nonna, dov’è finito il cagnolino?” “Perché non hai chiuso il recinto?” disse la nonna. “Perché non mi hai ascoltato? Tu dovevi ascoltarmi, perché in questi boschi c’è un lupo. Può essere che non se l’è mangiato, perché il cane era bravissimo a correre”.

Cappuccetto Rosso si mise subito il cappuccio e andò a cercare il cagnolino, ma non l’ha visto. Correndo e piangendo andò dalla nonna: “Nonna, non l’ho trovato il cagnolino!” La nonna con una faccia dispiaciuta disse: “Significa che se l’è mangiato. Andiamo subito al mercato e compriamo un cagnolino nuovo” “Va bene, nonna”. “Ho visto un cane che andava proprio da quella parte: era Bolly. Il lupo si era mangiato solo le tre pecore. (Bolly) Era dall’altra parte del bosco e non l’aveva visto”. Il papà, quando tornò dal lavoro, fece una gabbietta con la legna e gli mise le cose del cagnolino. Così il cagnolino poteva correre e giocare all’aria aperta. Cappuccetto Rosso imparò a chiudere sempre il recinto.

La bambina modifica in maniera sostanziale la classica favola di “Cappuccetto Rosso”, inserendo diversi e nuovi elementi che provengono non solo dai suoi vissuti reali ma anche, e soprattutto, dai propri timori e problemi interiori.

In questo racconto gli elementi modificati sono tanti: ad esempio, non vi è la madre di Cappuccetto Rosso che chiede alla bambina di andare dalla nonna ma è la nonna che chiede alla bambina di andare dalla zia. Inoltre, il “lupo cattivo” non mangia la nonna e Cappuccetto Rosso, ma sfoga la sua fame e la sua aggressività nei confronti delle pecore e del cagnolino. Sono presenti anche delle contraddizioni. Mentre inizialmente dice che le pecore sono state mangiate dal cane (Il cane, quando lei era già dalla zia, usci dal cancello e si mangiò tre pecore,). In seguito, afferma che le tre pecore le ha mangiate il lupo (Il lupo si era mangiato solo le tre pecore.)

Da notare, tuttavia, che quando la nonna cerca una soluzione per la nipotina, decidendo di comprare un altro cagnolino, il bisogno interiore di Martina diventa predominante, cosicché modifica in maniera sostanziale il racconto, tanto da alterare ciò che aveva detto un momento prima, pur di salvare il cagnolino (Il lupo si era mangiato solo le tre pecore. (Bolly) Era dall’altra parte del bosco e non l’aveva visto).

 

      Un altro racconto molto modificato ce lo propone Federico (nome di fantasia).

Pinocchio?

C’erano una volta due signori: marito e moglie. Mentre passeggiavano nella loro città, di nome Panzipo, la moglie doveva partorire. Allora andarono in casa a prendere la macchina e poi andarono all’ospedale. Il parto andò bene, era un maschio e lo chiamarono Emmanuele. Lo curarono e quando diventò grande dovettero partire.  Andarono in un paesino. Lì trovarono una casa, al bambino trovarono una scuola e tutto andò bene. Un giorno, mentre il papà lo accompagnava a scuola, Emmanuele non entrò e andò in un teatro. C’era un burattinaio e gli chiese se poteva guardare lo spettacolo. Lui gli disse di no, perché si doveva comprare il biglietto. Allora Emmanuele andò a comprare il biglietto, che costava cinque euro e non aveva soldi. Ha venduto tutte le cose della scuola per recuperare i soldi e si comprò il biglietto. Alla fine dello spettacolo il burattinaio prese il burattino e se lo portò con lui.

Emmanuele non sapeva che era cattivo ed andarono nel suo castello, fatto tutto di fuoco. Il burattinaio lo fece lavorare sempre e un giorno, mentre stava raccogliendo la frutta, incontrò una volpe e un gatto. Gli chiese loro aiuto per scappare e gli fecero fare un puzzle e quando lo completò arrivò il burattinaio. Allora se ne scappò, perché ha capito che erano cattivi, ma il gatto e la volpe erano più veloci. Lo presero e gli fecero tante torture e lo riportarono dal burattinaio. Una famiglia gli diede un altro lavoro: di fare la guardia al loro giardino, ma di notte lui voleva scappare. I cani della famiglia lo seguirono. Lo presero e lo portarono di nuovo alla famiglia. Lui si difese e disse che voleva scappare perché era stato terrorizzato dal burattinaio. Allora lo riaccompagnarono a casa, i genitori gli chiesero che è successo e lui disse una bugia.

In questo racconto notevolmente alterato, il bambino vi inserisce molti elementi violenti e aggressivi, legati alla sua storia personale.



[1] Tribulato E. (2013), Autismo e gioco libero autogestito, Milano, Franco Angeli.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

 

 

La lunghezza dei racconti infantili

 

 

Abbiamo notato come la lunghezza di un racconto non sempre sia da collegare alla gravità della patologia psicologica, né a dei sintomi che si attribuiscono a particolari bambini, come ad esempio, alla notevole chiusura che normalmente viene ascritta ai soggetti con disturbi autistici.

Infatti, alcuni di questi, se la patologia non è molto grave e se, avendo fiducia nel terapeuta, in quel momento ne hanno voglia, desiderio e piacere, riescono a produrre dei racconti molto lunghi e ricchi; anche se, come vedremo, questi racconti hanno delle caratteristiche particolari.

 

Un esempio di ciò lo abbiamo nella “Tragica storia della sirena” dettata da Francesco, un bambino con disturbi autistici. 

La tragica storia della sirena

Danno botte alla sirena, anche pietrate e colpi di martello. Lei si risveglia. Una persona piccolina le dà un’altra botta e la colpisce ancora. Le fa uscire sangue. Le dà ancora botte e ancora le esce sangue. Le lancia un cavallo contro, che fa male alla sirena, in quanto la schiaccia. Anche la macchina l’ha schiacciata.

D. “Cosa ha fatto di male la sirena?”

R. Niente

Lottano ancora dentro la macchina. Le dà un’altra botta in testa con il pugnale. La sega. La sirena si muove male, grida e piange. Cammina male: è zoppa. Le danno un altro colpo e la uccidono. È morta, ma continuano a dare botte alla sirena. La sirena è di nuovo viva, vuole scappare e loro la rincorrono e la trapanano. Lei scappa velocissima. Cerca di liberarsi ma non ci riesce. Qualcuno le pittura la faccia con il pennello. Non può camminare, infila la coda in un’auto. Gli altri scappano. Lei si tira dietro tutto per entrare in macchina. Nessuno la libera. Grida: AIUTOOO!!!

Si è liberata, ma è ferita e le arriva un’altra cosa addosso. Qualcuno la lega, lei non può liberarsi, è ferita, piena di sangue. Lei non aveva fatto niente (di male): la colpa è di loro. La sirena prende il canotto. Il canotto la insegue e lei entra dentro e il canotto le fa male. Sale le scale con la coda. La sirena guida la macchina. Tutti scappano.

Hanno fatto pace con la sirena: sono insieme. Lei ha sprofondato con la macchina e gli altri l’aiutano. Le arriva una molla addosso. Qualcuno gliel’ha gettata. Le hanno sparato con i cannoni e l’hanno uccisa. È morta! Ma poi si è alzata e ha fatto male ai ladri: si è vendicata. Ha preso una pietra e si è vendicata. Di nuovo è morta la sirenetta, ma si alza e lotta contro chi le vuole fare del male. E muore chi le voleva del male, ma si rialza subito. La sirenetta ha preso una pietra e l’ha colpito. Cade a terra svenuto. La sirena rimane chiusa ed è morta.

La storia della sirena, che abbiamo registrato e che riportiamo integralmente, è certamente stata tratta da un film visto dal bambino. Tuttavia, le modifiche che il bambino vi apporta e la sottolineatura e la ripetizione di scene crude e violente, ci descrivono un mondo interiore notevolmente turbato, nel quale predominano la tensione, l’aggressività e la violenza.

 

Al contrario, un altro bambino, con disturbi psicologici che abbiamo giudicato non particolarmente gravi, non amava manifestare i suoi pensieri, tanto che uno dei rari racconti che accettò di dettare era brevissimo.

Un computer di nome Luigi

C’era una volta un computer che giocava da solo e stava sempre così a giocare. Era un computer buono che si chiamava Luigi.

Questo breve racconto evidenzia la solitudine di questo bambino. Egli si identifica con il suo computer (che giocava da solo e stava sempre così a giocare). Purtroppo, in questo caso, la solitudine e la scarsità di dialogo del minore era condivisa da tutta la famiglia. In questa, sia i genitori del bambino, sia il fratello, utilizzavano per lo più il loro tempo libero giocando e intrattenendosi con vari computer e altri mezzi elettronici, mentre la comunicazione tra di loro era minima.

1.1.1.1     Racconti brevi

Un racconto molto breve può indicarci la presenza di difficoltà nella comunicazione. Difficoltà spesso presenti in bambini molto timidi, chiusi o depressi, che hanno paura di scoprirsi o che temono di soffrire eccessivamente rivivendo, mediante le parole, avvenimenti e realtà difficili o traumatiche. In definitiva, questi minori temono che, esprimendo i propri pensieri, facendo emergere le loro paure, le emozioni e le delusioni più profonde da loro provate, si possano accentuare in loro l’ansia e la sofferenza. Per tale motivo, come fosse uno dei tanti doveri da compiere per accontentare gli adulti, raccontano soltanto gli elementi essenziali di una storia, ma non hanno alcun desiderio di aprirsi più di tanto.  

In altri casi la brevità del racconto è frutto di desideri aggressivi e di notevole sfiducia nei confronti delle figure degli adulti. Racconti molto brevi sono prodotti anche da bambini non abituati a dialogare e ad utilizzare le proprie capacità immaginative. Ciò può avvenire, come nel caso appena descritto, a causa di un uso eccessivo dei video-giochi o di altri strumenti elettronici, che tendono a limitare le capacità di astrazione.

 

 

 

Un bambino accompagnato a scuola

C’era una volta un bambino, lo porta a scuola e poi il papà lo prende e lo porta a casa. Fine della storia.

Il racconto molto breve di Dario, un ragazzo di undici anni, è probabilmente dovuto alla notevole timidezza della quale soffriva, timidezza che gli impediva di esporsi eccessivamente nei confronti degli operatori che aveva da poco conosciuto.

 

Se oltre al racconto esaminiamo l’albero disegnato dallo stesso ragazzo, notiamo che questo ha delle radici con tratti filiformi. Questo particolare ci suggerisce la presenza nel minore di un animo sentimentale, desideroso di affetto e tenerezza, che gli erano necessari per riuscire ad ottenere la sicurezza che gli mancava.[1] La presenza di una chioma sottile e stilizzata ci conferma le sue difficoltà nella socializzazione.  I fiori presenti nella chioma, avvalorano gli aspetti teneri e sentimentali presenti nella sua personalità.

 

Un altro racconto molto breve riguarda un orologio.

 

 

Un orologio

C’era una volta un orologio che si trovava a casa sua. Era mezzanotte e tutti si addormentarono. Figura 6.

 

 

Un breve racconto di Lorenzo 

 

 

Un bosco

C’era una volta un bosco, con dei funghi, erba, persone. C’erano bambini, tanti, che giocavano a rincorrersi. Ad un certo punto sono andati a casa, c’era la cena e sono andati a dormire.

 

 

 

 

L’orco dalle sette leghe

L’orco sta volando. C’è la nuvola e la pioggia.

In casi come questi, il racconto di Francesco serve solo a descrivere il disegno (figura 8) effettuato dal bambino.

1.1.1.2     Racconti lunghi

Quando siamo in presenza di racconti lunghi, che non sembrano avere termine, potremmo essere in presenza di soggetti che sentono molto forte il bisogno di liberarsi e sfogare, mediante le parole e le descrizioni presenti nei loro racconti, i desideri, i bisogni ma anche le ansie, le paure e le angosce del loro animo. Tuttavia, in altri casi, all’opposto, questo comportamento potrebbe essere attuato dal bambino come una sottile forma di difesa: un modo per dire tanto senza, in realtà, dire nulla.

 

Questo non era il caso di Francesco un bambino con disturbi autistici, che è lo stesso autore del brevissimo raccontopubblicato sopra, in un periodo del suo percorso terapeutico nel quale era notevolmente migliorato. Il bambino, immaginandosi un autore di sceneggiature per dei film, amava scrivere al computer o dettare racconti molto lunghi come questo.

Titolo del film: ‹‹Golgostero va nelle zone del polo nord››.[2]

 Un giorno questo signore voleva andare in un bar a comprare una granita, ma poi vide un carabiniere che non lo faceva passare e stette tanto tempo ad aspettare che lo facesse passare. Poi, un giorno vide una cosa rossa caduta dal cielo, un fogliettino rosso. L’aveva fatto cadere un passerotto e lui lo prese e lesse tutto quello che vi era scritto: “Per entrare al bar, devi avere le chiavi, perché sennò non puoi entrare”. E così si procurò le chiavi ed entrò al bar. Nel bar c’erano tante cose buone da bere e bevette quasi tutto, ma poi gli venne un mal di pancia fortissimo, uscì fuori dal bar e vide delle notizie su dei giornali, dove c’era scritto: “Per farti passare il mal di pancia devi andare in bagno”. E così andò in bagno, stette un pochino seduto e gli passo tutto. Poi, all’indomani, decise di partire e così andò al Polo Nord. Poi vide orsi polari, cervi e un gatto delle nevi, che da lontano lo guardavano fisso-fisso. Allora cercò quasi di scappare, ma il gatto lo guardò fisso-fisso, perché voleva che stesse fermo. E poi cercò di nuovo di scappare e ci riuscì. Il gatto delle nevi si avvicinò pian-piano per prenderlo, ma lui fece una corsa incredibile, si tuffò in acqua e il gatto delle nevi non lo vide più e se ne andò via.

Quando uscì fuori dall’acqua sentì freddo e voleva cercare casa, ma non la trovò. Ad un certo punto vide da lontano un signore con una barca, si avvicinò e gli chiese: “Senti, signore mi potrebbe dire dove posso trovare una casa?” E il signore rispose: “Vai dritto-dritto; quando vedrai un cartello segnato, la casa la troverai a destra. Così lui camminò per tanto, tanto tempo, ad un certo punto vide da lontano una casa bellissima, bussò e qualcuno aprì e disse: “Chi sei? Cosa vuoi?” “Per favore” rispose, “vorrei entrare nella stanza, perché è da tanto tempo che non ho una casa. Quello gli disse: “Ma da tantissimo tempo?” E lui rispose di sì. A questo punto lo fece accomodare. Quando entrò vide una bella casa, tutta brillante, con una cucina, un salone e tre bagni. Ad un certo punto vide delle scale, dove sopra c’era la stanza. Così poi salì, e quando salì vide, vicino al letto, un bellissimo termosifone, che però era spento. La vide tutta che era bella (la stanza), allora si spogliò e si coricò.

Il racconto continua nella seduta successiva.

Mentre dormiva (Golgostero) sognava tantissime bevande e tantissime cose buone da mangiare, ma poi, quando finì di sognare tutte queste cose da mangiare, sognò una torta con la panna con dentro uova, formaggio e fragole. Durò quasi molto il sogno! Mentre finì il sogno si svegliò e disse: “Cosa ho sognato?” Pensò, pensò, continuò a pensare ma poi disse fra sé e sé: “Miiih? Ho sognato una torta bellissima”, ma si ricoricò. Intanto era arrivato quel signore a cui lui aveva bussato alla porta e disse: “Ti ho preparato il pollo con le patate; vuoi venire a mangiarlo?” Lui rispose: “Si voglio venire”. Intanto, prima si lavò le mani e poi andò. Vide questo pollo con le patate, bellissimo! E se lo mangiò tutto. Così gli venne un mal di pancia fortissimo. Poi disse: “Con permesso”, andò in bagno e vomitò sul lavandino. Poi entrò il signore e disse: “Perché hai vomitato sul lavandino?” Lui rispose: “Perché non ce la facevo più”. E il signore rispose: “Ah! perché non ce la facevi più?” Così poi lo cacciò fuori e disse: “Se ti viene voglia di mangiare vai in un altro posto, non più in questa casa!” Così chiuse la porta il signore e lui restò fuori a cercare qualcosa da mangiare, ma poi sentì qualche suono di qualche magia: era un foglio di carta scritto con delle cose da mangiare: “Se hai fame trovi a sinistra un ristorante”. E lui così andò. C’erano persone che ballavano, suonavano e lui entrò e vide tantissime pizze buone, così decise di prenderne una. Prese poi due pizze, uscì fuori e se le portò. Arrivò in seguito in un’altra casa, bussò alla porta, aprì un signore che disse: “Chi sei? Cosa vuoi?” “Sono uno che ha delle pizze, posso mangiarle a casa tua?” “Ma che ci fai con queste pizze?” Lui pensò e disse: “Mi è venuta un’idea, una pizza la do a te e l’altra la mangio io”. “Ma io ti conosco” rispose il signore, “mi ricordo quando mi hai visto nella barca e mi hai chiesto un’indicazione”.

Francesco a questo punto passa dalla terza alla prima persona.

Io risposi: “Quando? Ah, sì, sì me lo ricordo, mi ricordo quando mi hai detto che in quel cartello c’era scritto dove trovare una casa”. Il signore rispose: “Ah sì, sì… me lo ricordo perfettissimamente”. Ed io risposi: “Visto che ora te lo ricordi, prendi una pizza tu e l’altra me la mangio io”.

Così, cercai di dargli quella pizza e quel signore disse però di no! Poi insistetti molto, però vinse il signore dicendo di no. Così poi il signore chiuse la porta. C’era un cane ed io risposi: “Tieni, la vuoi la pizza?” Ma il cane non la volle. Così poi me ne sono andato per conto mio. Vidi un cartellino, cercai di posare quella pizza vicino al cartellino, ma non la posai, allora posai l’altra pizza e me ne andai per trovare un’altra casa tranquilla. Così poi vidi da lontano un’altra casa e pensai: “Miiih, che bella casa!”, ma poi quando mi avvicinai ancora di più, dissi: “Ma questa casa è vecchia”. Cercai di entrare e vidi per terra sporcizia e da lontano vidi un tavolo e vidi anche una scopa per pulire tutto. Poi, quando presi la scopa, vidi un gattino, io mi allontanai e dissi al gattino: “Esci fuori!” Prima lo dissi in modo leggero, poi forte e così lui uscì fuori. Così presi la scopa e pulii tutto-tutto. La sporcizia la buttai in campagna.

Aggiustai tutte le cose. Poi, quando aggiustai tutte le cose, cercai di sedermi. Appena mi sedetti sulla sedia, questa sedia si ruppe ed io caddi per terra. Poi mi rialzai, mi sedetti su un’altra sedia e non caddi più. Poi, mentre stavo aprendo la pizza, arrivò un pipistrello che si posò sul tavolo. Sentii un rumore che si stava mangiando la pizza. Lo guardai e dissi: “Senti, pipistrello, vattene via!” Lui non ha voluto ascoltare e se la mangiò quasi tutta (la pizza). Cercai di levare il pipistrello dal tavolo. Lui stava continuando a mangiare la pizza. Io cercavo ancora di levarlo, e mi stava quasi per mordere la mano. Ma per la fortuna che aveva il pipistrello non riuscii a toglierlo. Provai per tante volte ma poi mi morse il dito. Io cercai di togliere il dito dalla sua bocca e alla fine ci provai per tante volte, alla fine tolsi il dito dalla sua bocca. Mi ricordai di dirgli in quel modo forte: “Vai via!” E lui andò via. E mi è rimasta solo un poco di pizza, me la stavo quasi mangiando, ma c’era un topolino e lo schiacciai via in modo forte con la pizza. Cercai qualcosa per pulire la pizza, (sporca del topolino) la trovai, ma non era quella adatta, perché era un cartone. Ma poi da lontano vidi una pezza, presi una scala, salii e presi la pezza e pulii tutta la pizza. Scesi dalla scala, presi la scala e la posai e mi avvicinai a quella sedia che non era rotta, mi sedetti e me la mangiai.

Sembra che Francesco, in questo lungo racconto, abbia voluto trasmettere al terapeuta e a chi ascoltava con attenzione le sue parole, molte sue difficoltà e paure ma anche i desideri e i bisogni del suo animo.  

  • Intanto, la paura di stare male a causa del cibo. Questa paura gli era forse nata dalle parole e dalle considerazioni dei suoi genitori i quali, avendo accettato, come causa dell’autismo l’assunzione di certi alimenti, gli proibivano di assumerli (Vide questo pollo con le patate, bellissimo! E se lo mangiò tutto. Così gli venne un mal di pancia fortissimo).
  • La paura degli animali.In questo caso del “gatto delle nevi” (Allora cercò quasi di scappare ma il gatto lo guardò fisso-fisso perché voleva che stesse fermo).
  • Il desiderio di una casa pulita, calda e accogliente (vorrei entrare nella stanza perché è da tanto tempo che non ho una casa).
  • Il desiderio di cibi buoni e prelibati (Mentre dormiva sognava tantissime bevande e tantissime cose buone da mangiare).
  • Il timore di non essere accettato, come probabilmente gli era capitato più volte (Così poi lo cacciò fuori e disse: “Se ti viene voglia di mangiare vai in un altro posto, non più in questa casa!).
  • Inaspettatamente, per un soggetto con sintomi di autismo, è evidente ed è molto intenso il desiderio e il bisogno di condividere con gli altri qualcosa: in questo caso una pizza, prima con una persona e poi con un cane (Mi è venuta un’idea, una pizza la do a te e l’altra la mangio io). Ma né l’una né l’altro accolgono il suo dono,con la conseguente delusione (Così, cercai di dargli quella pizza e quel signore disse però di no! Poi insistetti molto, però vinse il signore dicendo di no. Così poi il signore chiuse la porta). Probabilmente in questo rifiuto da parte degli altri di accettare un suo dono, vi è un’eco delle frustrazioni provate da lui e da tanti altri bambini con sintomi di autismo o anche con altre varie difficoltà, quando cercano, con molti sforzi, di fare amicizia e di relazionarsi con gli altri coetanei e trovano, invece, in questi, atteggiamenti di rifiuto o, peggio, frasi e comportamenti di dileggio.
  • La delusione di trovare una casa, per poi scoprire che era vecchia e sporca. Ciò può riferirsi al non aver mai potuto trovare un ambiente adatto ai suoi bisogni (Ma questa casa è vecchia”. Cercai di entrare e vidi per terra sporcizia). Nonostante ciò egli cerca di pulirla e adattarla alle sue necessità (Così presi la scopa e pulii tutto- tutto. La sporcizia la buttai in campagna).
  • E infine, ancora altre disgrazie e inconvenienti: la sedia rotta; il pipistrello che vuole mangiare la sua pizza; lui che scaccia il topolino con la pizza, la quale si sporca e vi sono difficoltà nel pulirla. Tutte queste traversie probabilmente fanno riferimento ai problemi d’integrazione e socializzazione presenti nei soggetti con sintomi di autismo. [3]

In questo lungo, sofferente racconto, vi è tutta l’angoscia dei bambini che presentano questi disturbi. Bambini spesso visti come quelli che non riescono a ben inserirsi e rapportarsi con gli altri, anche se, come abbiamo appena letto nel racconto di Francesco, molte volte sono gli altri che hanno difficoltà nel saperli capire e accettare.



[1] Crotti Evi (2006), E tu che albero sei, Milano, Mondadori, p. 57.

[2] In questo caso il titolo di quella che dovrebbe essere una sceneggiatura di un film, è stato dato dallo stesso bambino.

[3] Preferiamo la dizione “bambini con sintomi di autismo” o “bambini con disturbi autistici” a quella di “Bambini autistici” in quanto pensiamo che l’autismo non sia una condizione cronica ma possa essere reversibile, a patto che la relazione che verrà a stabilirsi tra gli adulti e i bambini sia consona ai loro bisogni e desideri.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

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