Racconti infantili

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Racconti di bambini autistici e psicotici

Racconti di bambini autistici e psicotici

I racconto dei bambini autistici e psicotici sono spesso altamente drammatici. Spesso sono presenti elementi aggressivi e coprolalici che rispecchiano il loro mondo interiore nel quale le angosce, le insicurezze e le paure sono massicciamente presenti, insieme ad una visione della vita e della realtà particolarmente negativa. Tuttavia,  quando mediante una efficace psicoterapia e un cambiamento nell'ambiente di vita, il loro animo si libera di ansie, paure e tensione, la maggiore serenità e fiducia acquisita compaiono immediatamente nei loro racconti. 

I racconti di Antonio

Così Antonio descrive il papà e la mamma.

‹‹La mamma: da pianto, da nonna, un mostro, una bestia, un’agendina, un serpente che fa schifo››.

‹‹Papà: si fa tutta la cacca addosso, è brutto e piscione e nel culetto esce cacca e pipì››.

Il commento a un disegno da lui effettuato era di questo tipo:

‹‹Vi è l’orco delle sette leghe, l’orco sta volando, c’è la nuvola e la pioggia››.

Il commento a un disegno, cancellato quasi completamente, era di questo tenore:

‹‹Vi è una persona strana che è morta››.

In un altro disegno questo bambino ha raffigurato un burrone e così ha commentato:

‹‹Il mostro sta sopra il burrone, perde l’equilibrio e cade. Lui è cattivo e si aprono le montagne. Voleva prendere Antonio, che gli ha dato un calcio e lui è caduto. Ci sono i fulmini e tanta pioggia››.

 

I racconti di Giovanni

‹C’è un bambino che si è rotto il dente perché i bambini monelli gli hanno tirato una pietra››.

**

‹‹È un bambino che è nato con il corpo così e si chiama Memme e tifa per la Juventus. Gli manca una gamba. La mamma gioca con lui. Ha due mamme: una si chiama Cacca e una si chiama Memme››. 

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‹‹C’è un bambino che gli piacevano questi colori: rosso, blu, fucsia, arancione, verde, viola, marrone, nero, rosa. Una volta le città erano di tutti i colori: bianco, rosso, giallo, blu, fucsia. Il bambino era a Milano e fa la cacca addosso. Chiama a Martina e grida: Ha! Ha! Ha! Ha! Ha! Ha! Il bambino è contento perché ci sono tutti questi colori. Ha la spada perché vuole uccidere gli alberi. Con la legna degli alberi vuole fare la casa, così ci abita lui con la sua mamma. La mamma è contenta perché il bambino ha costruito la casa. Vissero felici e contenti››.

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‹‹C’era una volta il mare che si è rotto perché c’erano tanti pesci. C’era un bambino gigante che gli ha fatto male la medusa ed esce sangue. Il bambino piangeva, poi ha fatto la pipì addosso al mare. Poi andò sott’acqua arrivò la balena e se lo mangiò. Nella bocca della balena il bambino stava male perché la balena lo masticava. Poi l’ha sputato. Al bambino usciva sangue da tutto il corpo ed è morto››.

**

‹‹C’è Giovanni scoiattolo che fa la puzza e poi fa profumo. Si fa la cacca addosso. Si mangia i cacciatori e tutta la casa. Gioca da solo con le macchinine. Rompe tutto il computer. Sua mamma Sacca dorme e lui fa la pipì in tutta la stanza. Lo scoiattolo va a ballare e fa puzza di cane. Mentre dorme la mucca lo sveglia, va dal maiale e gli fa il porcellino. Lo scoiattolo si fa la cacca addosso. Il cane mangia la mucca, non va a scuola e diventa un asino››.

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‹‹Un bambino si è rotto due braccia e i piedi che sono piccoli. È  senza compagni. La casa si è rotta. L’ambulanza lo porta all’ospedale. Il bambino si chiama Luca e fa la cacca addosso. Luca morì, era pazzo, lo portano al cimitero. Arriva la mamma e fa Ha! Ha! Ha! Ha!. (ride), Arrivano i bambini piccoli per guardare Luca ed erano tristi perché avevano sangue che poteva uscire da lui››.

**

‹‹C’è un bambino da cui esce sangue da tutto il corpo. E’ senza braccia perché è caduto nella strada. La casa è vecchia e cade. Il bambino viene portato in ospedale, nell’ambulanza si fa la cacca e la pipì addosso. La nuvola è vecchia e cade sull’ospedale e muore. Il dottore anche lui si fa la cacca e la pipì addosso, gli esce sangue e muore››.

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‹‹Ci sono degli amici che vanno a fare una gita. C’è il mare, la Madonnina, ci sono i fiori. Il pullman cade, viene l’ambulanza, tutti si sono fatti male e li portano in ospedale. Poi tutti muoiono. Li mettono al cimitero. Tutte le mamme piangono››.

**

‹‹C’è un bambino senza corpo. Gli esce sangue e ride perché è contento perché ci sono tanti soli. Il bimbo ha un occhio. L’albero è vecchio. Ci sono tante nuvole perché c’è la neve. Il sole gli fa uno scherzetto al bambino e gli fa male agli occhi. Suo papà è morto. E’ in cielo e fa la cacca addosso. E’ morto perché la polizia gli ha sparato perché ha preso la pistola. Il bambino ride perché suo papà è morto››.

**

‹‹C’è tanta pioggia. Il bambino è tutto coperto di sangue perché c’è la pioggia. C’è il sole e le nuvole. C’è il temporale. La polizia gli ha sparato al bambino››.

 

Quando mediante una psicoterapia il suo mondo interiore migliora raggiungendo una maggiore serenità ed equilibrio, anche i suoi racconti si modificano in modo sostanziale.

Il bambino disegna in modo molto schematico tre personaggi ai quali dà il nome di Matteo, Giovanni e Marco.

Alla domanda: ‹‹Cosa fanno queste persone?›› Così risponde:

‹‹Giocano, ridono, vanno a scuola dove studiano, poi vanno a casa e dormono. Fanno brutti sogni, sognano di mostri. Si spaventano. Chiamano la mamma e papà che riposano››.

Domanda: ‹‹Vanno nel letto di Papà e mamma?›› ‹‹No non ci vanno. Papà e mamma gli fanno una carezzina. Il bambino è contento. La mattina sono contenti di andare a scuola. Vanno da soli a scuola. Bisticciano con i compagni. Sono monelli loro (i compagni). Lo raccontano a mamma e papà. I loro genitori mettono in punizione i compagnetti. Loro (si riferisce ai compagni) piangono››.

**

‹‹C’era una volta un bambino che si chiamava Pierino che era buono e intelligente. Giocava a palla con i suoi amici, poi giocavano a nascondino: Pierino e il lupo. Un giorno giocava e mentre giocava andava a scuola. Studiava e andava a casa. A casa c’era sua mamma, suo papà, i suoi fratelli e basta. Sua mamma era buona e papà era buono e pure i fratelli che gli davano i bacetti. Poi giocava a nascondino. A casa mangiava, dormiva e faceva bei sogni››.

**

‹‹C’era una volta un bambino che si chiamava Luigi. Che aveva quattro anni e che giocava al pallone con gli altri compagni. Poi si è fatto male al ginocchio, si era graffiato, e poi gli è passato. Poi Luigi ha giocato con lo scivolo e con l’altalena con gli altri bambini che avevano uno cinque anni e si chiamava Marco e l’altro non lo so. Questi bambini erano buoni e giocavano tutti insieme, Un giorno hanno organizzato di giocare a nascondino e vinse Luigi che è buono, anche se gli altri si sono seccati. I genitori di Luigi erano buoni, bravi e gli volevano bene››.

 

 

 

I racconti di Antonio

La  storia della Sirena

La storia della Sirena viene dal bambino mimata utilizzando giocattoli e oggetti vari che rappresentavano lei e i suoi assalitori.

‹‹Danno botte alla Sirena, anche pietrate e colpi di martello. Lei si risveglia. Una persona piccolina le dà un’altra botta e la colpisce ancora. Le fa uscire sangue. Le dà ancora botte e ancora le esce sangue. Le lancia un cavallo contro che fa male alla Sirena in quanto la schiaccia; anche la macchina l’ha schiacciata››.

Domanda del terapeuta: ‹‹Cosa ha fatto di male la Sirena? ››

Risposta: ‹‹Niente››.

‹‹Lottano ancora dentro la macchina. Le dà un’altra botta in testa con il pugnale. La sega. La Sirena si muove male, grida e piange. Cammina male, è zoppa. Le danno un altro colpo e la uccidono. È morta, ma continuano a dare botte alla Sirena. La Sirena è di nuovo viva, vuole scappare e loro la rincorrono e la trapanano. Lei scappa velocissima. Cerca di liberarsi ma non ci riesce. Qualcuno le pittura la faccia con il pennello. Non può camminare, infila la coda in un’auto. Gli altri scappano. Lei si tira dietro tutto (per entrare in macchina). Nessuno la libera. Grida: AIUTO!!!

Si è liberata, ma è ferita e le arriva un’altra casa addosso. Qualcuno la lega, lei non può liberarsi, è ferita, piena di sangue. Lei non aveva fatto niente (di male), la colpa è di loro. La Sirena prende il canotto. Il canotto la insegue e lei entra dentro e il canotto le fa male. Sale le scale con la coda. La Sirena guida la macchina. Tutti scappano.

Hanno fatto pace con la Sirena, sono insieme. Lei ha sprofondato con la macchina e gli altri l’aiutano. Le arriva una molla addosso. Qualcuno gliel’ha gettata. Le hanno sparato con i cannoni e l’hanno uccisa. È morta! Ma poi si è alzata e ha fatto male ai ladri. Si è vendicata. Ha preso una pietra e si è vendicata. Di nuovo è morta la Sirenetta ma si alza e lotta contro chi le vuole fare del male. E muore chi le voleva del male. Ma si rialza subito. La Sirenetta ha preso una pietra e l’ha colpito. Cade a terra svenuto. La Sirena rimane chiusa ed è morta››.

 

 

 La storia di  Golgostero

 

Questo racconto dovrebbe rappresentare per il bambino la trama di un film nel quale lui vorrebbe essere l’autore e l’attore principale.

In questa storia, dettata dopo aver effettuato la terapia del Gioco libero Autogestito, è evidente, rispetto al racconto precedente, la presenza di una maggiore serenità, coerenza, apertura e disponibilità verso gli altri, nonostante siano ancora presenti notevoli difficoltà che il bambino è costretto ad affrontare e superare. 

 

Titolo del film: ‹‹Golgostero va nelle zone del polo nord››.

 

 ‹‹Un giorno questo signore voleva andare in un bar a comprare una granita, ma poi vide un carabiniere che non lo faceva passare e stette tanto tempo ad aspettare che lo facesse passare. Poi, un giorno vide una cosa rossa caduta dal cielo, un fogliettino rosso. L’aveva fatto cadere un passerotto e lui lo prese e lesse tutto quello che vi era scritto: “Per entrare al bar, devi avere le chiavi, perché sennò non puoi entrare.” E così si procurò le chiavi ed entrò al bar. Nel bar c’erano tante cose buone da bere e bevette quasi tutto, ma poi gli venne un mal di pancia fortissimo, uscì fuori dal bar e vide delle notizie su dei giornali, dove c’era scritto: “Per farti passare il mal di pancia devi andare in bagno”. E così andò in bagno, stette un pochino seduto e gli passo tutto. Poi all’indomani decise di partire e così andò al polo nord. Poi vide orsi polari, cervi e un gatto delle nevi, che da lontano lo guardavano fisso-fisso. Allora cercò quasi di scappare ma il gatto lo guardò fisso- fisso perché voleva che stesse fermo. E poi cercò di nuovo di scappare e ci riuscì. Il gatto delle nevi si avvicinò pian piano per prenderlo, ma lui fece una corsa incredibile, si tuffò in acqua e il gatto delle nevi non lo vide più e se ne andò via.

 

Quando uscì fuori dall’acqua sentì freddo e voleva cercare casa, ma non la trovò. Ad un certo punto vide da lontano un signore con una barca, si avvicinò e gli chiese : “Senti signore mi potrebbe dire dove posso trovare una casa?” E il signore rispose: “Vai dritto- dritto, quando vedrai un cartello segnato, la casa la troverai a destra. Così lui camminò per tanto, tanto tempo, ad un certo punto vide da lontano una casa bellissima, bussò e qualcuno aprì e disse: “Chi sei? Cosa vuoi?” “Per favore,” rispose, ”vorrei entrare nella stanza perché è da tanto tempo che non ho una casa”. Quello gli disse: “Ma da tantissimo tempo?” E lui rispose di sì. A questo punto lo fece accomodare. Quando entrò vide una bella casa, tutta brillante, con una cucina, un salone e tre bagni. Ad un certo punto vide delle scale, dove sopra c’era la stanza. Così poi salì, e quando salì vide vicino al letto un bellissimo termosifone che però era spento. La vide tutta che era bella (la stanza), allora si spogliò e si coricò››.

 

Il racconto continua nella seduta successiva…

 

‹‹Mentre dormiva (Golgostero) sognava tantissime bevande e tantissime cose buone da mangiare, ma poi, quando finì di sognare tutte queste cose da mangiare, sognò una torta con la panna con dentro uova, formaggio e fragole. Durò quasi molto il sogno! Mentre finì il sogno si svegliò e disse: “Cosa ho sognato?” Pensò, pensò, continuò a pensare ma poi disse fra sé e sé “Miiih, ho sognato una torta bellissima” ma si ricoricò. Intanto era arrivato quel signore a cui lui aveva bussato alla porta e disse: “Ti ho preparato il pollo con le patate, vuoi venire a mangiarlo?”. Lui rispose: ”Si voglio venire”. Intanto, prima si lavò le mani e poi andò. Vide questo pollo con le patate, bellissimo! E se lo mangiò tutto. Così gli venne un mal di pancia fortissimo poi disse: “ Con permesso” andò in bagno e vomitò sul lavandino. Poi entrò il signore e disse: “Perché hai vomitato sul lavandino?” Lui rispose: “Perché non ce la facevo più”. E il signore rispose: “Ah! perché non ce la facevi più?!” Così poi lo cacciò fuori e disse: “ Se ti viene voglia di mangiare vai in un altro posto, non più in questa casa!”. Così chiuse la porta il signore e lui restò fuori a cercare qualcosa da mangiare, ma poi sentì qualche suono di qualche magia, era un foglio di carta scritto con delle cose da mangiare: “Se hai fame trovi a sinistra un ristorante”. E lui così andò. C’erano persone che ballavano, suonavano e lui entrò e vide tantissime pizze buone, così decise di prenderne una. Prese poi due pizze, uscì fuori e se le portò. Arrivò in seguito in un’altra casa, bussò alla porta, aprì un signore che disse: “ Chi sei? Cosa vuoi?” “Sono uno che ha delle pizze, posso mangiarle a casa tua?” “Ma che ci fai con queste pizze?” Lui pensò e disse: “Mi è venuta un’idea, una pizza la do a te e l’altra la mangio io” “Ma io ti conosco”, rispose il signore“, “ mi ricordo quando mi hai visto nella barca e mi hai chiesto un’indicazione”.

 

Io risposi: “Quando? Ah si, si me lo ricordo, mi ricordo quando mi hai detto che in quel cartello c’era scritto dove trovare una casa”. Il signore rispose: “Ah si, si… me lo ricordo perfettissimamente”.  Ed io risposi: “Visto che ora te lo ricordi, prendi una pizza tu e l’altra me la mangio io”

 

Così, cercai di dargli quella pizza e quel signore disse però di no! Poi insistetti molto, però vinse il signore dicendo di no. Così poi il signore chiuse la porta. C’era un cane ed io risposi: “Tieni, la vuoi la pizza?” Ma il cane non la volle. Così poi me ne sono andato per conto mio. Vidi un cartellino, cercai di posare quella pizza vicino al cartellino, ma non la posai, allora posai l’altra pizza e me ne andai per trovare un’altra casa tranquilla. Così poi vidi da lontano un’altra casa e pensai:”Miiih che bella casa”, ma poi quando mi avvicinai ancora di più dissi: “Ma questa casa è vecchia”. Cercai di entrare e vidi per terra sporcizia e da lontano vidi un tavolo e vidi anche una scopa per pulire tutto. Poi quando presi la scopa vidi un gattino, io mi allontanai e dissi al gattino: “Esci fuori”, prima lo dissi in modo leggero, poi forte e così lui uscì fuori. Così presi la scopa e pulii tutto- tutto. La sporcizia la buttai in campagna.

 

Aggiustai tutte le cose. Poi, quando aggiustai tutte le cose, cercai di sedermi. Appena mi sedetti sulla sedia questa sedia si ruppe ed io caddi per terra. Poi mi rialzai, mi sedetti su un’altra sedia e non caddi più. Poi, mentre stavo aprendo la pizza, arrivò un pipistrello che si posò sul tavolo. Sentii un rumore che si stava mangiando la pizza. Lo guardai e dissi: “ Senti pipistrello vattene via!” Lui non ha voluto ascoltare e se la mangiò quasi tutta ( la pizza). Cercai di levare il pipistrello dal tavolo. Lui stava continuando a mangiare la pizza. Io cercavo ancora di levarlo, e mi stava quasi per mordere la mano. Ma per la fortuna che aveva il pipistrello non riuscii a toglierlo. Provai per tante volte ma poi mi morse il dito. Io cercai di togliere il dito dalla sua bocca e alla fine ci provai per tante volte, alla fine tolsi il dito dalla sua bocca. Mi ricordai di dirgli in quel modo forte “Vai via!” E lui andò via. E mi è rimasta solo un poco di pizza, me la stavo quasi mangiando ma c’era un topolino e lo schiacciai via in modo forte con la pizza. Cercai qualcosa per pulire la pizza, (sporca dal topolino) la trovai, ma non era quella adatta, perché era un cartone. Ma poi da lontano vidi una pezza, presi una scala, salii e presi la pezza e pulii tutta la pizza. Scesi dalla scala, presi la scala e la posai e mi avvicinai a quella sedia che non era rotta, mi sedetti e me la mangiai››.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 

 

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

 

 

dei racconti infantili".

 

 

 

Racconti di bambini adottati

Racconti di bambini adottati

 

Le violenze subite da Daniela prima dell’adozione si riflettono in questa storia.

 

 

Un cuore stanco di essere picchiato

C’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori. Lo picchiavano perché combinava guai. Il cuore è andato via e si è sposato, ha avuto dei figli: una si chiamava Emanuela e l’altro si chiamava Marco. Dopo ha avuto una famiglia tanto bella, perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli, (a me non piace quando picchiano i figli!) E vissero tutti felici e contenti.

È da notare come la bambina metta in evidenza non il dolore del corpo che subisce le botte dei suoi genitori biologici, ma il dolore del cuore (c’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori). Come a voler sottolineare che la cosa che l’aveva fatto soffrire di più, durante le sue prime esperienze infantili, era il dolore psicologico più che quello fisico, dell’essere picchiata dalle persone che dovevano invece, amarla e proteggerla. Daniela, almeno in parte, giustifica queste violenze (lo picchiavano perché combinava guai).

La bambina cerca di sfuggire al ricordo di questo ambiente violento, immaginando di sposarsi ed avere dei figli e, quindi, avere una famiglia propria nella quale non si picchiano i bambini. Questa famiglia da lei immaginata rispecchiava, nella realtà, quella adottiva, dove la bambina ormai viveva (Dopo ha avuto una famiglia tanto bella, perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli).

Questo disegno, prodotto da un’altra bambina che era stata adottata insieme alla sorella, rappresenta il papà e la mamma adottiva che si baciano, mentre lei e la sorella si tengono per mano. Non sappiamo se il disegno dei genitori adottivi che si baciano sia una critica nei loro confronti, ma non vi è dubbio che lei ancora vede questa nuova famiglia come divisa in due: da una parte il padre e la madre adottiva, dall’altra lei e la sorella. Non vi è ancora quell’unità che ci si aspetterebbe in una normale famiglia nella quale, di solito, i personaggi sono posti uno accanto all’altro, se non proprio uniti l’uno all’altro dalle mani che si stringono.

 

Questo disegno e il racconto che segue, effettuati da una bambina adottata, ci offrono un positivo rapporto tra la bambina adottata e i suoi genitori adottivi.

Patrizia – Primo racconto

 

 

Un signore buono che sa perdonare

Un giorno c’era una bellissima giornata, in cui c’era un bel sole che splendeva, con delle nuvole tutte insieme in cielo. Poi c’era un albero che dava tanti frutti; l’erba che cresceva velocemente; e c’era un’erba che è cresciuta tutta in una volta. C’erano tante rondini che erano molto grandi, crescevano i fiori ed erano di tanti colori.

C’era un signore che dava tanta acqua e sono cresciute tutte le erbe e gli alberi.

Nell’albero sono cresciute tante arance. Poi c’era il cane che si mise a pestare tutta l’erba, aveva fatto i suoi bisogni e aveva rovinato tutte le cose. Ma il signore non lo rimproverò perché era buono ma il cane non era suo. Il cane era di una bambina che gli aveva dato botte. Il signore le chiese “perché? e lei disse che gli aveva dato botte perché aveva rovinato il giardino. Il signore rimproverò la bambina, dicendole che il cane poteva fare ciò che voleva. Da quel giorno la bambina tenne il cane in casa con lei.

Il disegno eseguito da Patrizia, è come diviso in due da una linea azzurra. Nella parte alta gli uccelli neri, troppo grandi, il sole di un colore eccessivamente sanguigno e le tante nuvole, ci suggeriscono la presenza di elementi di tensione e tristezza presenti nel suo passato di bambina abbandonata in istituto. La parte inferiore, invece, con l’albero che si innalza maestoso verso il cielo, il grande fiore, l’erba e lo sproporzionato fungo, rimandano al suo presente, che appare sostanzialmente molto migliore del passato.

Anche dal racconto si evince che Patrizia aveva trovato, nella famiglia adottiva, forse soprattutto nel padre, qualcuno capace di darle quell’affetto che è indispensabile per crescere bene (C’era un signore che dava tanta acqua e sono cresciute tutte le erbe e gli alberi). Questo signore viene descritto come buono ecapace di comprendere i comportamenti aggressivi e distruttive (Poi c’era il cane che si mise a pestare tutta l’erba, aveva fatto i suoi bisogni e aveva rovinato tutte le cose. Ma il signore non lo rimproverò perché era buono). Un padre adottivo capace anche di comprendere l’aggressività presente nella bambina e la sua facile irritabilità (Una bambina aveva dato botte al cane).

Ed è proprio a motivo di questa comprensione ottenuta che la bambina, in questa nuova famiglia, essendo più serena e sicura di sé, ha la possibilità di modificare le sue reazioni, tanto da riuscire a contenere la propria aggressività e a far emergere dei sentimenti amorevoli (Da quel giorno la bambina tenne il cane in casa con lei).

Molte volte noi adulti tendiamo a reprimere l’aggressività dei bambini rispondendo con altra aggressività. Niente di più errato. L’aggressività nasce quasi sempre dalla sofferenza subita per svariati motivi: poco ascolto, scarsa presenza, ambiente familiare intriso di conflitti e così via. In questi casi la terapia migliore, per ridurre gradualmente per poi eliminare del tutto i comportamenti aggressivi, è quella di offrire al bambino un maggiore ascolto, un rapporto più intimo e caldo, e delle piacevoli attività e giochi da fare insieme.

 

Patrizia – Secondo racconto

 

Un cucciolo perduto e poi ritrovato

C’era una volta un coccodrillo che aveva un cucciolo; lo aveva perso. Pensava che gli altri coccodrilli se l’erano mangiato, ma poi, cercando, cercando, lo trovò e vissero tutti felici e contenti.

In questo racconto di Patrizia il protagonista è una mamma coccodrillo. Un rettile del quale di solito si ha paura, perché tende ad aggredire gli altri animali e gli uomini. Ma la bambina nota come, anche in questo grosso rettile, così brutto e feroce, possa albergare un tenero amore nei confronti del figlio scomparso: tanto da cercarlo in preda al timore per la sua sorte, per poi, dopo averlo trovato, vivere insieme “felici e contenti”.

Ci siamo chiesti quale sia il significato di questo racconto: esprime forse l’amore che i suoi genitori adottivi avevano nei suoi confronti? Oppure manifesta un desiderio, una speranza, che la sua mamma biologica possa riuscire a provare verso di lei l’amore e l’attenzione che descrive in questo coccodrillo?

Solo la storia di Patrizia ci può aiutare a capire quali erano in quel momento i pensieri e le emozioni della bambina.

Da questa storia scopriamo che la bambina, appena nata, era stata abbandonata dalla madre, per essere poi accolta in un istituto. Soltanto quando aveva quattro anni e mezzo, è stata adottata.

Da ciò comprendiamo che l’ipotesi più vicina alla realtà debba essere la seconda. Patrizia, come tanti bambini nelle sue stesse condizioni, preferisce immaginare il comportamento della madre non come un colpevole abbandono della figlia, ma come una perdita e, quindi, come un evento assolutamente involontario. Per cui, mentre scriveva questo racconto, il suo più grande desiderio era che la madre biologica fosse ancora alla ricerca di questa sua figlia scomparsa, per poi, avendola ritrovata, vivere insieme felici.

Rimane un ultimo elemento da chiarire: perché aveva scelto, come protagonista della sua storia proprio un coccodrillo, un animale aggressivo e certamente non bello, mentre avrebbe potuto benissimo parlare di uno dei tanti animali vicini a noi e amati dai bambini: un cane, un gatto, un cavallo o un orsetto? Animali questi ai quali, di solito, si attribuiscono caratteristiche positive.

Pensiamo che la risposta più vicina alla realtà interiore della bambina stia proprio nelle caratteristiche del rettile: avere un aspetto non gradevole ed essere un animale feroce e aggressivo. E come se la bambina dicesse a sé stessa: “Io so che la mia madre naturale non era una donna bella e buona, tuttavia era una madre e non vi è alcuna madre la quale, avendo perso una figlia, per paura che le possa accadere qualcosa di brutto, non vada alla sua ricerca, per poi, avendola ritrovata, abbracciarla e vivere per sempre con lei.

Nel disegno vi è un sole caldo, che sta sopra le nuvole, disegnato con tante punte. Questo sole ci conferma che l’intimo desiderio della bambina è che la madre biologica, anche se “cattiva” (le punte disegnate nel sole), venga finalmente da lei per darle quella gioia e quel calore che serva ad allontanare la tristezza che pervade in quel momento il suo cuore.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 

 

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

 

 

dei racconti infantili".

 

Genitori antisociali

 

Genitori antisociali

Un racconto di Anna

 

"Una foto non pagata"

Anna, una bambina di nove anni, venne alla nostra osservazione in quanto, dopo che il padre era stato ristretto in carcere, aveva evidenziato sintomi depressivi, con tristezza, malinconia, disturbi alimentari, fragilità emotiva. Come commento ad un suo disegno effettuava questo racconto.

“C’era una volta una famiglia: la mamma si chiamava Teresa, il papà Roberto, la figlia Anna ed il fratello Mario. Erano usciti per andare in montagna ma si sono bruciacchiati perché il sole era troppo forte. Allora sono andati a prendere il gelato. Incontrarono un fotografo e gli proposero di fare una foto a tutta la famiglia. Chiesero al fotografo quanto dovevano pagare per la foto. Il fotografo chiese molto e allora loro si fecero ugualmente la foto ma non la pagarono. Il fotografo allora ruppe la macchina fotografica. La famiglia tornò a casa ed il piccolino si sentì male e gli venne la varicella. Tutti si misero a piangere. Ma per magia la varicella passò e vissero tutti felici e contenti”.

 

Questo racconto, nel quale la bambina inserisce i veri nomi di tutti i familiari, rileva certamente l’ambiente nel quale la bambina viveva: ambiente poco rispettoso dei diritti altrui (Il fotografo chiese molto e allora loro si fecero ugualmente la foto ma non la pagarono. Il fotografo allora ruppe la macchina fotografica). Quello che maggiormente ci interessa è la parte finale del racconto nel quale la bambina avverte nella malattia del fratellino quasi la punizione divina del loro comportamento antisociale (La famiglia tornò a casa ed il piccolino si sentì male e gli venne la varicella. Tutti si misero a piangere.) Tuttavia Anna cerca di nascondere il senso di colpa e quindi la giusta punizione divina per i comportamenti del padre (ma per magia la varicella passò e vissero tutti felici e contenti.)

Spesso nei figli dei soggetti con comportamenti antisociali, ritroviamo il conflitto interiore tra il bisogno di condannare e quello di giustificare i genitori (Il fotografo chiese molto), ma anche il timore che i comportamenti socialmente e penalmente illeciti da questi attuati, debbano comportare per loro e per tutta la famiglia un giusto castigo al quale non ci si può sottrarre. I sintomi depressivi che si presentano spesso nei bambini dei carcerati sono anche dovuti a questi sensi di colpa e a questi conflitti difficilmente superabili.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

dei racconti infantili".

Bisogno di gioia

Bisogno di gioia

 

 

 

 

“C’era una volta una bambina che andò in una casa nel bosco a prendere dei fiori. Quando il proprietario della casa vide che la bambina aveva preso i suoi fiori si arrabbiò tantissimo e la cacciò via.

 

La bambina aveva l’ombrello con sé, e non appena si mise a piovere la bambina di nome Serena aprì l’ombrello. Il proprietario non era più arrabbiato e la invitò a casa sua. La bambina accettò l’invito, ma non riusciva a passare in mezzo ai fiori. Il proprietario disse alla bambina di cogliere tutti i fiori per poter passare, tuttavia c’era anche un albero che ostruiva il passaggio. Il signore prende allora un coltello e lo dà alla bambina per tagliare l’albero. Tagliato l’albero la bambina decise, in un primo momento, di entrare in quella casa, poi però, avendo smesso di piovere, se ne ritornò a casa sua, cantando una canzoncina. Ritornata a casa la mamma le chiese dov’era stata per tutto quel tempo, e lei rispose che era a casa di una persona. Dopodiché la bambina Serena si preparò la borsa e andò a scuola”.

 

Da questo racconto possiamo cogliere alcuni elementi molto interessanti per comprendere meglio i vissuti dei bambini che vivono con genitori depressi. Intanto il nome della bambina, Serena, evoca immediatamente il suo più grande desiderio: la serenità dentro e fuori di sé. Inoltre, poiché avverte la tristezza attorno a sé rappresentata dalla pioggia, per sfuggire a questa e per ricercare un minimo di calore e di gioia cerca di prendere dalla vita qualcosa di bello (andò in una casa nel bosco a prendere dei fiori). Purtroppo a lei non è permessa alcuna gioia (Quando il proprietario della casa vide che la bambina aveva preso i suoi fiori si arrabbiò tantissimo e la cacciò via.)

Ma anche quando gli altri sono gentili con lei le difficoltà non cessano e così qualcosa di piacevole come sono dei fiori o degli alberi, diventano degli ostacoli, quasi insormontabili, che è necessario recidere, strappare e tagliare, per potersi fare strada così da raggiungere l’obiettivo. Ma a questo punto quel desiderio di aprirsi agli altri e di socializzare svanisce e alla bambina non resta altro che tornare nella sua casa, dove l’aspetta una madre particolarmente sofferente. Una madre che, presentando le caratteristiche psicologiche sopra descritte, non riesce a dare l’ascolto e, soprattutto, l’aiuto ed il supporto indispensabile (Ritornata a casa la mamma le chiese dove era stata per tutto quel tempo, e lei rispose che era a casa di una persona.) Impossibile dire tutto a questo tipo di madri. Impossibile dire le proprie difficoltà, i propri desideri e bisogni perché non potrebbero dare l’aiuto necessario per superarle. Meglio comunicare solo gli elementi essenziali e superficiali della propria esistenza, e basta.

 

La stessa bambina raccontò un’altra storia:

 

"L’arcobaleno rovinato"

 

 

 

 

 


 

“C’era un arcobaleno e brillava tanto. Una volta c’erano dei bambini che andavano a vederlo, e al tramonto loro sono andati a casa. Andavano perché brillava e ci giocavano sotto.

L’altra mattina si mise a piovere e i bambini si preoccupavano perché l’arcobaleno era sparito. Sono andati a vederlo un’altra volta e dissero: “Dov’è l’arcobaleno?” E si accorsero che la pioggia lo aveva rovinato. Questi bambini erano tristi perché non potevano più giocare alla luce dell’arcobaleno. Così andarono dalla mamma e le dissero: “Mamma, perché l’arcobaleno è rovinato?” E la mamma rispose: “Perché la pioggia l’ha spazzato via”. I bambini si preoccuparono, ma il mattino seguente era ricomparso l’arcobaleno e i bambini erano felici che era ritornato: la pioggia non l’aveva spazzato via, ma solo non l’aveva fatto vedere.

Erano così felici che hanno chiamato la mamma e hanno giocato, e si sono accorti che non si deve piangere per una cosa, perché tanto, viene subito”.

 

In questo secondo racconto effettuato sei mesi dopo, quando già la bambina era in terapia e mostrava segni di miglioramento, si evidenzia ancora una volta quella spinta propulsiva vitale verso la gioia, presente nel DNA di ogni bambino. È bello vivere e giocare alla luce brillante di questa gioia interiore, per poi ritornare carichi di energie positive alla vita di sempre. Ma anche in questo racconto è presente l’atteggiamento pessimistico e distruttivo della madre sofferente di depressione (“Mamma perché l’arcobaleno è rovinato?” E la mamma rispose: “Perché la pioggia l’ha spazzato via”.) Per fortuna, dopo le iniziali preoccupazioni, l’arcobaleno ritorna e cioè gli elementi positivi e gioiosi della vita bussano di nuovo all’animo della bambina, pertanto le è possibile dare al racconto una conclusione ricca di luce e ottimismo (“Erano così felici che hanno chiamato la mamma e hanno giocato, e si sono accorti che non si deve piangere per una cosa (che si immagina perduta), perché tanto viene subito”). Da notare, infine, che alla partecipazione ai momenti di gioia che adesso ella riesce a vivere (l’arcobaleno), la bambina fa di tutto per coinvolgere anche la madre. Si invertono i ruoli: non sono i genitori a scacciare le ombre nere dall’animo dei bambini ma in questo, come in tanti altri casi simili, può avvenire anche il contrario. 

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

dei racconti infantili".

 

 

 

Bisogno di amore e affetto

 

 

 

 

“C’era una volta un bambino che andava scrivendo su tutti gli alberi che incontrava “ciao”, perché si sentiva solo e non aveva amici. Quello che faceva era un modo per fare amicizia con gli alberi anche se sapeva che non si doveva fare. Un giorno lo incontrò un taglialegna e con la scusa che pure lui aveva a che fare con gli alberi, gli diede qualche consiglio. Questo taglialegna gli servì come amico per confidarsi e per esprimere tutto quello che aveva dentro, così con calma affrontarono questo discorso e questa persona lo convinse che era una cosa sbagliata sia per lui che per gli alberi. Il taglialegna non si fermò qua, ma andò a dirlo a tutte le persone che conosceva per trovare qualche amico al bambino. Così organizzò una festa e invitò tutti gli amici e i parenti ed ebbe tanti amici”.

Questo racconto è indicativo su cosa desiderano i bambini. Essi hanno bisogno di amici e se hanno difficoltà a trovarli si accontentano anche di “amici alberi”, ma è solo quando qualcuno li aiuta a trovare amici veri, in carne e ossa, che essi sono veramente felici e soddisfatti.

Un cuore in cielo

Una ragazzina di dieci anni che a causa di gravi carenze affettive ed educative da parte di entrambi i genitori, viveva in un istituto di suore insieme ad un altro fratello ed un’altra sorella, vede soltanto in Gesù, nella Madonna e nei Santi la possibilità di avere amore e attenzioni:

 

 

“C’era una volta un cuore che stava in cielo. Era grande e bello e rosso d’amore. Questo cuore era di una persona femmina, piccola, che aveva due anni, era una bambina e si chiamava Alessia, che si era fidanzata con Gesù e gli aveva dato il suo cuore. Alessia aveva una famiglia e i suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù. Gesù era contento e la mamma Maria e i discepoli gli buttavano fiori sul cuore e a lui gli faceva piacere stare con loro, era contento…I suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù”.

 

Certamente il vivere in un istituto di suore ha avuto il suo peso nel racconto della ragazza che sceglieva di fidanzarsi con Gesù. Ma quello che colpisce in questo racconto è la sua identificazione con una bambina piccola di appena due anni, mentre la ragazza ne aveva dieci. È come se la ragazza desiderasse regredire ad un’età nella quale si immagina che tutti i bambini siano felici. Accanto a questo desiderio di essere molto piccola, desiderio dovuto alle gravi carenze affettive presenti nella sua famiglia, vi è, in questo racconto, anche un desiderio di fuggire dalla triste realtà nella quale la ragazza si trovava a vivere.

Una bimba nella tomba

“C’era una volta una bambina che si chiamava Tindara. Un giorno morì perché i suoi genitori non la volevano più. Quando l’hanno messa nella tomba lei era viva, ma poiché non riusciva a liberarsi morì.”

Questo racconto è della stessa ragazza. In questo caso esprime nel modo più truce le sue reali sofferenze (un giorno morì perché i suoi genitori non la volevano più), ma anche gli incubi più terribili (Quando l’hanno messa nella tomba lei era viva, ma poiché non riusciva a liberarsi morì). Ci chiediamo: liberarsi da cosa? Probabilmente si riferisce al bisogno di scacciare da sé il peso terribile che opprime i bambini affetti da carenze affettive!

 

 

I racconti di Luigi

Un figlio chiamato Gesù

 

C’erano una volta  due contadini che vivevano in una caverna perché non avevano una casa, perché erano poveri. Quando pioveva erano contenti così  maturavano i frutti. Un giorno sono arrivati i soldati e hanno ucciso il marito: l’anno messo in croce perché sono malvagi. La ragazza piangeva, non si è mossa più di casa e ha fatto un figlio di nome Gesù. E vissero non sempre felici e contenti. Giuseppe è morto. Gesù l’anno messo pure lui in croce. La mamma piange e nel mondo non si sente più parlare di loro, tranne che in chiesa.

 

 Il cane e la pecorella

 

Mio zio che ha le galline, le mucche e le pecore. Un giorno la pecorella scappò e fu mangiata dal cane. Mio zio non trovò la pecorella e chiese al cane: “Dov’è la pecorella?”. Il cane disse: “Me la sono mangiata”. Lo zio lo legò e tutte le pecorelle non furono più mangiate e vissero felici e contenti.

 

L’albero morente

 

C’era una volta un albero bello che stava per morire perché non aveva acqua. Un giorno un contadino lo vide un po’ appassito e gli mise dell’acqua. E così rivisse e fece tanti frutti: le mele.

 

 

 

Questo ragazzo di dieci anni veniva descritto sia dai genitori sia dagli insegnanti come un ragazzo con gravi disturbi del comportamento con la presenza di negativismo, litigiosità, suscettibilità, facile perdita del controllo, bugie, linguaggio scurrile, atteggiamenti provocatori, ostili, furti ecc.

Tuttavia solo i suoi racconti ci permettono di cogliere quel qualcosa in più che è fondamentale per una buona e corretta comprensione del caso. 

 

Questi racconti ci permettono di entrare nel suo mondo interiore nel quale è sicuramente presente tanta violenza ma vi è anche tanta povertà affettiva (Un giorno sono arrivati i soldati e hanno ucciso il marito: l’anno messo in croce perché sono malvagi). (vivevano in una caverna perché non avevano una casa, perché erano poveri.)  

 

Inoltre, come si può evidenziare dalla storia dell'albero morente, è presente in questo ragazzo anche una chiara e forte richiesta di amore, che egli sente essere indispensabile per la sua serenità e per il suo buon equilibrio interiore. (C’era una volta un albero bello che stava per morire perché non aveva acqua.)  Egli sa che questo amore gli potrà permettere di acquisire tutta la serenità e la maturità che attualmente egli non ha, così da "resuscitare" psicologicamente e socialmente.

A sua volta lo stare psicologicamente meglio gli potrà permettere di offrire alla  sua famiglia e alla società  tutto ciò che questa si aspetta da lui. (E così rivisse e fece tanti frutti: le mele).

 

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 

 

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

 

 

 

 

 

 

Desiderio di serenità e pace

 Un ambiente sereno è realizzato da genitori ma anche da familiari che possiedono un buon equilibrio psichico. Avere un buon equilibrio psichico significa avere un Io normalmente e armonicamente sviluppato e strutturato, il quale sa ben relazionarsi con se stesso e con gli altri e sa osservare la realtà con obiettività, riuscendo a mantenere delle buone capacità di giudizio e di critica anche nelle situazioni che richiedono un notevole impegno e controllo personale. Avere un buon equilibrio psichico significa vivere e possedere una realtà interiore che non sia preda dei conflitti, delle ansie, delle paure, delle dipendenze, dei disturbi caratteriali o peggio delle malattie psichiche di una certa rilevanza come le psicosi. Un ambiente sereno è fatto quindi da genitori scarsamente ansiosi e reciprocamente affettuosi, attenti e premurosi, i quali sono in grado di occuparsi del benessere fisico e psichico dei loro figli, senza dannosi eccessi.

 

 

 

 

“C’era una volta un bambino di nome Gigi il quale non voleva mai che si mettesse a piovere. Un giorno la madre gli spiegò che prima o poi questo effetto naturale doveva accadere. Se lui non ci avesse fatto caso, la pioggia sarebbe durata pochissimo. Infatti in quel preciso istante si mise a piovere e Gigi si mise a parlare con la mamma e non ci fece caso (alla pioggia). Dopo poco tempo sparì la pioggia e venne l’arcobaleno”.

 

I bambini, tutti i bambini, amano la pace, la serenità, la gioia e l’accoglienza (l’arcobaleno) mentre non amano la malinconia e la tristezza (non voleva mai che si mettesse a piovere). Le mamme come quelle di Gigi, così come i papà, dovrebbero riuscire a far capire ai figli, così che non si deprimano facilmente nei momenti difficili e possano godere pienamente dei momenti felici.

Un ambiente sereno è realizzato da genitori ma anche da familiari che possiedono un buon equilibrio psichico. Avere un buon equilibrio psichico significa avere un Io normalmente e armonicamente sviluppato e strutturato, il quale sa ben relazionarsi con se stesso e con gli altri e sa osservare la realtà con obiettività, riuscendo a mantenere delle buone capacità di giudizio e di critica anche nelle situazioni che richiedono un notevole impegno e controllo personale. Avere un buon equilibrio psichico significa vivere e possedere una realtà interiore che non sia preda dei conflitti, delle ansie, delle paure, delle dipendenze, dei disturbi caratteriali o peggio delle malattie psichiche di una certa rilevanza come le psicosi. Un ambiente sereno è fatto quindi da genitori scarsamente ansiosi e reciprocamente affettuosi, attenti e premurosi, i quali sono in grado di occuparsi del benessere fisico e psichico dei loro figli, senza dannosi eccessi.

 

Un racconto di Michele

 

Alla ricerca di un mondo gioioso e sereno

 

 

“C’era una volta un bambino che viveva solo in una casa in campagna. Un giorno decise di abbellirla mettendo dei vasi con dei fiori. Rasò il prato e vide degli uccelli volare nel cielo.

Un giorno gli abitanti della zona andarono a casa del bambino, cenarono lì e alla fine gli fecero i complimenti per la casa che aveva.

Abitava solo, perché tutti lo prendevano in giro. Andò a letto e sognò una famiglia: era pentito di vivere da solo. Sognò una famiglia molto ricca, fatta da papà, mamma, fratello e sorella. Sentì bussare ed era una famiglia che lo voleva accogliere. Erano buoni, comprarono un po’ tutto, erano sempre allegri”.

Michele, nella sua ricerca di un ambiente sereno, ricco di pace, esclude la sua famiglia di origine, forse pensandola incapace di dargli quanto serve ai suoi bisogni (viveva solo in una casa in campagna). Inizialmente la soluzione che trova è quella di vivere da solo in un ambiente bucolico ed in una casa da rendere bella e ricca di fiori. Una casa, quindi, capace di dargli serenità, pace, accoglienza e tenerezza. Si accorge ben presto però che un ambiente idilliaco ma privo del calore familiare è incompleto. E allora inserisce una nuova famiglia, una famiglia ideale, che l’accoglie nel suo seno dandogli tutto ciò che il suo cuore attendeva da tempo: non solo i giocattoli desiderati (comprarono un po’ di tutto), ma anche e soprattutto avevano un atteggiamento e un comportamento benevolo e gioioso (erano buoni; erano sempre allegri). Atteggiamenti molto diversi da quelli della sua vera famiglia nella quale lui soffriva molto a causa dell’ansia paterna e materna (da notare il sole sanguigno, sporco, quasi nero che evidenzia una figura paterna non solo incapace di dargli protezione ma altresì causa di paure e ansie). Il bambino inserisce come motivo della sua ricerca di solitudine l’essere preso in giro da tutti. In realtà i suoi genitori non avevano questo tipo di atteggiamento nei suoi confronti, ma erano i suoi problemi psicologici che lo rendevano facilmente vulnerabile nei confronti dei suoi compagni di scuola.

Secondo racconto di Michele

 

Una casa in campagna.

 

 

‹‹C’era una volta un bambino il quale un giorno ebbe un’idea: “Andiamo ad abitare in campagna”. Nella città la casa era brutta, non dormiva la notte. I genitori dissero: “Aspettiamo fino a domani”. La ditta dei traslochi mise tutto negli scatoloni e si trasferirono. Il bambino poteva scorrazzare come voleva e riposarsi nel fresco degli alberi. Era contento. Anche i suoi erano contenti. “Hai avuto un’idea geniale”, gli dissero. Comprarono lampade e vestiti nuovi adatti alla campagna. Il bambino cambiò scuola e visse felice in questa nuova casa. Il bambino non aveva fratelli ma aveva degli amici. I suoi genitori erano felici del trasloco e fecero delle nuove amicizie. Anche loro erano più rilassati››.

 

Michele, come tanti bambini che soffrono, ricerca attorno a lui e vicino a lui i motivi della sua sofferenza. In questo caso egli li identifica nella vita frenetica, e a volte disumana, della città (Nella città la casa era brutta, non dormiva la notte). Per cui la soluzione più logicache egli vede è quella di allontanarsi dall’ambiente cittadino per godere della serenità della campagna (Il bambino poteva scorrazzare come voleva e riposarsi nel fresco degli alberi). Questa immaginata soluzione risulta felice sia per lui che per i suoi genitori, i quali, nel nuovo ambiente bucolico, hanno la possibilità di riacquistare la serenità che prima non possedevano (Era contento. Anche i suoi erano contenti. ‹‹Hai avuto un’idea geniale›› gli dissero. Anche loro erano più rilassati).

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 

 

 


"I bambini raccontano - Interpretazione

 

 

 

dei racconti infantili".

 

 

Aggressività e sfiducia negli altri e nel mondo

Aggressività e sfiducia negli altri e nel mondo

 

I racconti di Marcello

 I racconti di Marcello, un bambino di sei anni, sono un vivido ritratto dell’ambiente familiare e scolastico nel quale viveva e con il quale era costretto a relazionarsi giornalmente.

Primo racconto

C’era una volta un deficiente che si chiamava Gianmarco. Un giorno la madre gli ha detto: “non buttare quella pianta se no ti ammazzo”, lui che era un deficiente è andato in balcone e butta la pianta sotto, e pensa: “Ora mia mamma mi ammazza”. C’era un aeroplano e disse: “Ancora peggio perché la pianta può rompere l’aeroplano”. L’aeroplano si è schiantato nel palazzo sono morte duemila persone. La madre disse: “È andata la casa a fuoco?”, e il bambino disse di sì. La madre l’ha buttato dalla finestra.

Secondo racconto

C’era una volta il mio compagno Stello. Una volta aveva fatto una scemenza stupida -stupida. Noi abbiamo un balcone a scuola. Lui ha fatto uscire la maestra, ha preso le piante e le ha buttate fuori. E la maestra lo ha rimproverato e mandato dal direttore. Una volta ha fatto lo stupido e la maestra ha chiamato la madre che lo stava ‘miscando” (picchiando). Lui è entrato come un cagnolino. Il direttore ha chiamato la mamma, che gli ha alzato le mani e lui è morto. Lo hanno sepolto a scuola e ai funerali hanno chiamato anche le autorità degli Stati Uniti.

Terzo racconto

C’era una volta Cristiano Bestia. Un giorno è voluto andare dalla maestra e gli ha chiesto: “Posso andare in bagno?” E la maestra gli dice: “No! Te lo scordi!” E poi Cristiano si fa la pipì addosso. Hanno dovuto chiamare i pompieri e gli hanno dato una mutanda dei pompieri. Stava scrivendo un compito di matematica e doveva fare 1+1, lui pensa quanto fa e scrive 1000. Così la maestra di matematica lo ha sbattuto fuori e gli ha rotto la testa. La maestra ha chiamato sua mamma e gli ha detto: ”Lo scriva in un’altra scuola!” Sua mamma è grossa e a Cristiano gli ha dato una botta facendolo sbattere (fuori) dalla finestra. Sotto c’era un’autombulanza, l’hanno messo lì e ricoverato al pronto soccorso. Era tutto rotto tranne il cuore. L’hanno dimesso sulla sedia a rotelle. È tornato a scuola e gli ha chiesto di nuovo alla maestra se poteva uscire e la maestra gli ha dato un altro schiaffo e l’hanno ricoverato di nuovo. Ritornato di nuovo a scuola con la sedia a rotelle, ha chiesto di nuovo di uscire, l’hanno sbattuto al muro e alla fine muore.

Quarto racconto

C’era una volta Stello e sua madre, che erano andati al mare e poi Stello ha chiesto alla madre se poteva fare il bagno ed è annegato, perché non sapeva nuotare. Sua mamma lo ha chiamato: “Vieni qui cretino!” E gli ha dato una timpulata (uno schiaffo), e così lui è morto nel mare. C’era il suo fantasma, sua mamma si è spaventata e gli ha dato un calcio. Lui è morto di nuovo e la cosa si è ripetuta tante volte.

Quinto racconto

C’era un ragazzo di nome Giacomo di un anno. La mamma esce a fare la spesa il bambino accende il fornello e incendia tutta la casa. Poi si arrampica al balcone e si butta giù, facendosi malissimo al cervello. Il pompiere arriva e dice: “Ma che cavolo fai?” Muore. Lo portano in chiesa e al cimitero. Poi il suo fantasma ripercorre la stessa storia per duecento volte e poi muore per sempre.

Sesto racconto: Desiderio di adozione

“C’era una volta un bambino che si chiamava Marco e si era perso. Un giorno ha trovato una casa e ha pensato di entrarci. C’erano tante cose vecchie e poi è uscito a giocare. Poi si è annoiato e se ne andato nel bosco. Nel bosco c’erano un maschio e una femmina grandi. Hanno trovato questo bambino ed hanno pensato di adottarlo. Sono tornati a casa e il bambino non era più solo”.

I racconti di Marcello non hanno bisogno di molti commenti, in quanto la quotidiana realtà di un certo tipo di scuola e di famiglia ne esce vivida e realistica: le botte, gli schiaffi, le aggressioni fisiche e verbali descrivono un ambiente e dei comportamenti educativi sicuramente poco consoni allo sviluppo di un bambino di sei anni. Come si può notare dai racconti, gli adulti: la madre, l’insegnante, il direttore, non sono mai sotto accusa. Sotto accusa sono gli stessi bambini, cioè le vittime. Come dice Giancarlo Tirendi: “L’odio provato per il genitore maltrattante verrà spostato su altri oggetti, consentendo così di conservare una buona relazione con il padre (o la madre) a livello cosciente”.[3]

L’ultimo racconto è però molto diverso dagli altri. In questo il protagonista: Marco, sente prepotentemente il bisogno di allontanarsi dalla sua famiglia nella quale vi era un clima violento. Tanto che inizialmente si accontenta di restare da solo. Solo successivamente emerge il desiderio di cercare una coppia di genitori diversi dai suoi che possano adottarlo.

 

 

Il racconto di Tonino

"Lupi travestiti d’agnelli"

“C’era una volta un lupo che passeggiava e in giro c’era un agnellino. Questo lupo si nascondeva e diceva all’agnellino: “Sei carino e bellino e da mangiare!” L’agnellino impaurito, va dai genitori che poi vanno a chiedere spiegazioni al lupo: lui risponde che non è vero che voleva mangiarlo.

Il lupo esce dalla tana, va dall’agnellino e gli dice: “Hai detto ai tuoi genitori che ti voglio mangiare?” “Sì dice l’agnellino”. Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno. Così il lupo grande non lo mangia. Così gli dice il lupo piccolo: “L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare”. Una sera spunta il lupo, l’agnellino era con i genitori. Il lupo saluta i genitori e loro ricambiano. I genitori volevano sapere come mai lui non avesse mangiato l’agnellino, perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino.

Da notare intanto in questo racconto di un altro bambino, Tonino, come le parole più frequenti siano: “lupi, mangiare ed agnellino”. Queste tre parole colorano di notevole, incredibile violenza e angoscia tutto il racconto. La seconda cosa da evidenziare è che i personaggi hanno continuamente degli atteggiamenti ambivalenti: a volte sembra vogliano proteggere la piccola, fragile vittima, mentre in altri momenti la tradiscono o sono ansiosi di aggredirla e sbranarla o farla sbranare. Pertanto, insieme alla paura della violenza estrema nel bambino: l’essere mangiato, pur essendo buono, piccolo e docile come un agnellino, vi è l’assenza di ogni speranza e di ogni fiducia negli altri, anche nei cosiddetti “amici” che sono pronti in ogni momento a tradirti. Il lupacchiotto che sembra proteggere in un primo momento l’agnellino (Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno) un momento dopoè pronto a darlo in pasto alle sue fauci (L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare). Questa sfiducia si allarga, in un terribile crescendo, anche ai propri genitori! (perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino).

Tutto ciò rispecchia le realtà interiori di questi bambini i quali, in seguito ai comportamenti dei genitori e degli adulti aggressivi, perdono ogni punto di riferimento affettivo e ogni sicurezza nell’ambiente che li circonda. Quali certezze avere, su chi e su che cosa poter contare e avere fiducia, quando le persone che lo picchiano frequentemente nei momenti di irritazione ed insofferenza sono le stesse che in altri momenti lo hanno abbracciato, baciato e consolato?


Il racconto di Daniela

"Un cuore stanco di essere picchiato"

Le violenze subite da Daniela prima dell’adozione si riflettono in questa storia:

  

“C’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori. Lo picchiavano perché combinava guai. Il cuore è andato via e si è sposato, ha avuto dei figli: una si chiamava Emanuela e l’altro si chiamava Marco. Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli, ( a me non piace quando picchiano i figli!) E vissero tutti felici e contenti.”

Innanzi tutto è da notare come la bambina metta in evidenza non il dolore del corpo che subisce le botte dei suoi genitori ma il cuore (c’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori), come a voler sottolineare che la cosa che soffre di più, in seguito alle violenze subite è soprattutto l’animo del bambino. Anche questa bambina, almeno in parte giustifica queste violenze (lo picchiavano perché combinava guai). La bambina cerca di sfuggire a questo ambiente violento, sognando di sposarsi ed avere dei figli e quindi avere una famiglia propria nella quale non si picchiano i bambini ed i genitori vanno d’accordo. Famiglia che rispecchia, in realtà, quella adottiva dove la bambina ormai viveva (Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli).

Il racconto di Francesca

 

"Francesca e le automutilazioni"

Il racconto che riportiamo è di una bambina che viveva in una famiglia nella quale il padre, disoccupato, evitava per quanto possibile di farsi coinvolgere dai problemi familiari ma, quando si accorgeva che la moglie ed i figli avevano dei conflitti e gridavano, esplodeva aggredendo sia la consorte che i figli. La madre, d’altra parte, si descriveva come una donna molto ansiosa ed irritabile, che aveva instaurato un pessimo rapporto con i suoi bambini, specie con Francesca, con la quale litigava spesso.

 

“C’era una volta una signora di nome Nicoletta. A questa piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone e poi ritornò a casa a preparare il mangiare. Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio”.

 

Questo truce racconto evidenzia il grave conflitto e l’atmosfera costantemente aggressiva esistente nell’ambito familiare. Nei confronti della madre la bambina, indirettamente manifesta un giudizio molto severo, quasi feroce.

Nel racconto che la bambina fa vi è una donna che vive la sua vita serenamente e tranquillamente, raccogliendo fiori e facendo spese voluttuarie (A questa (signora) piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone). Questa signora, però, sembra non accorgersi minimamente di quanto avviene nella sua famiglia e a carico dei suoi figli (Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio.)

 

Due racconti di Giulio

L'aggressività e la sfiducia verso tutto e tutti sembrano regnare anche nei racconti di Giulio. Un ragazzo di dieci anni che presentava disturbi psicologici con grave ritardo nell'apprendimento, paure, tristezza, facile reattività, timidezza, insicurezza, chiusura, difficoltà nella socializzazione, litigiosità e scontrosità. 

Primo racconto

C'era una volta Sabrina e Santina che combinavano sempre danni ed erano le migliori amiche. Un giorno hanno ucciso cinque persone ciascuna perché si erano rubata la bicicletta, una macchina e un mitra. Un giorno di questi sono diventate miliardarie, si sono comprate una villa, un garage e una macchina velocissima e una moto più veloce del mondo.

Si sono comprate tutte le armi del mondo per uccidere tutto il mondo. Hanno ucciso tutto il paese perchè non avevano niente da fare. E' morta Sabrina e poi Santina ha rubato tutto: casa. macchina, e poi ha ucciso di nuovo tutto il paese. 

Secondo racconto

C'era una volta Sabrina che faceva la monella. Dentro casa aveva un carrarmato e un mitra. Era molto ricca. Una volta Santina guardava sempre Sabrina. Santina non aveva un carrarmato. 

Sabrina usciva per sparare a tutti, era cattiva.

Domanda del terapeuta: "Perché era cattiva?"

Era cattiva perché la facevano arrabbiare, non aveva né famiglia, non aveva nessuno.

Poi Santina si compra un grande carrarmato con cannone e mitragliatrice e spara a Sabrina. Sono morti tutti tranne loro due. 

Poi alla fine ... si sono beccate tutte e due insieme. Sabrina ha uscito la pistola e Santina è scappata via e sono morte.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato:

 

 

 


"I bambini raccontano - Interpretazione dei

 

 

 

racconti infantili".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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