INFANZIA E ADOLESCENZA

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Ripensare l'autismo

 

Autore: Gianmaria Benedetti

Buone notizie per chi si occupa di bambini e del loro sviluppo e per le loro famiglie. Si sta aprendo forse una breccia nel muro del lager che le lobby dello spettro autistico avevano creato sequestrando sempre più bambini al suo interno – si parla ora di 1 su 48, più del 2 per cento! - sacrificati con le loro famiglie alle fantomatiche 'terapie dell'autismo' e alla cosiddetta 'ricerca scientifica' dell'ultimo decennio.

Un libro pubblicato in America nel 2013 “Rethinking Autism” della Dr. Lynn Waterhouse, (non l'ultima venuta visto che le notizie editoriali la dicono Director of Child Behavior Study at The College of New Jersey for 31 years”,e attualmente “Professor in Global Graduate Programs at the College. NIMH, NICHD”. Ci informano inoltre che lavorò con la Dr. Lorna Wing al DSM-III-R per i criteri diagnostici per l'autismo) - PDF reperibile anche in internet - esamina approfonditamente (più di 400 pagine) una quantità di dati e risultati delle ricerche degli ultimi vent'anni, sulle cause, la sintomatologia, l'evoluzione e il trattamento per concludere che tanti sforzi e tanti finanziamenti hanno praticamente fallito l'obiettivo di trovare una causa dell'autismo (e una cura! ). Afferma addirittura che l'autismo non esiste come singolo disturbo, ma esistono solo i sintomi autistici che, come la febbre, non sono una malattia in sé, ma il risultato di cause diverse.
L'autore parla inoltre delle terapie attuali come condotte alla cieca, essendo non fondate su una conoscenza delle possibili anomalie cerebrali nei singoli casi.
L'autore individua fra le cause di errori che hanno portato a questo fallimento alcune delle pietre miliari della teoria dell'autismo oggi dominanti quali lo stesso concetto di Spettro Autistico e poi quello di 'comorbidità' che ha infestato la psichiatria di questi anni, e invita la comunità scientifica a liberarsi di questi errori che impediscono la possibilità di progredire nelle conoscenze. Lo stesso DSM5, la bibbia della psichiatria americana che è stata imposta al mondo e la sua classificazione dei Disturbi dello Spettro Autistico sono secondo l'autore da scartare se si vogliono fare progressi nella ricerca.

Il libro a mio avviso rappresenta un epitaffio, se non su tutta la psichiatria attuale e i suoi metodi, su almeno due decenni di ricerca scientifica sull'autismo e sulle teorie che lo riconducevano a un 'disturbo neurobiologico' nonchè, anche se il libro quasi non ne parla, sui metodi terapeutici che si sono diffusi a macchia d'olio anche in Italia negli ultimi anni.
La conclusione del libro è che tanti sforzi, e tanti fondi – che premono agli americani – sono stati inutili, non hanno portato ad alcun reale aumento di conoscenza sul fenomeno dell'autismo, anzi le concezioni dominanti l'hanno addirittura bloccata . Il libro individua la causa di questo fallimento nello scopo di trovare una teoria unificante nella complessità ed eterogeneità dei casi di autismo. L'autrice afferma invece che sulla base di tutti i dati bisogna concludere che una patologia specifica responsabile dell'autismo non esiste e non esiste nemmeno un 'autismo' in sé, né uno spettro di disturbi correlati, ma esistono sintomi autistici variamente combinati e collegati talvolta con anomalie cerebrali conosciute o viceversa senza evidenti anomalie cerebrali.
Il libro mette quindi una pietra tombale – almeno dal punto di vista della ricerca – anche sul concetto di 'Spettro Autistico' – su cui pure è stato basato il relativo capitolo del DSM5 – di cui afferma che è una teoria non provata , non corrispondente alla realtà e che in ultima analisi impedisce la ricerca. La conclusione è che questa diagnosi deve essere abbandonata come base per la ricerca.

A paragone l'autore usa l'analogia della febbre, che prima era considerata una malattia a sé e solo dopo la conoscenza di molte malattie febbrili e dei meccanismi fisiopatologici collegati è stata riconosciuta cone un sintomo, non una malattia. Analogamente, sintomi autistici più o me no associati ad altri sintomi sono presenti in malattie conosciute ( anche se non è conosciuta la via patogenetica che porta dalla malattia, ad esempio l'Xfragile, al sintomo).
L'invito che l'autore fa ai 'ricercatori' è quindi di rinunciare alla ricerca di una base comune dell'autismo e invece di concentrarsi sulle possibili alterazioni cerebrali e sugli agenti etiologici che causano le alterazioni del cervello in via di sviluppo.

Il libro fa giustizia anche di un concetto dilagato fra gli addetti ai lavori quasi come una parola d'ordine di riconoscimento, quello di 'comorbidità', con cui la psichiatria recente spiegava l'esistenza di sintomi diversi nello stesso individuo, ipotizzando che fossero dovuti a malattie diverse presenti simultaneamente. Così l'epilessia, la disabilità intellettiva, l'iperattività, che in tanti casi sono state considerate malattie compresenti con l'autismo, come entità diverse, interamente separate, - appunto 'comorbidità', nello psichiatrese moderno - devono essere considerate invece solo come sintomi diversi presenti ma contemporaneamente.

Invece, un grave limite di questo libro, tipico dei ricercatori anglosassoni post-moderni e dei loro epigoni locali, si potrebbe dire, - oltre che il senso di partire presuntuosamente da una tabula rasa come se prima di loro non ci fosse stato niente - è la scotomizzazione degli aspetti ambientali relazionali affettivi ed emotivi dal campo di indagine dei possibili fattori in causa. L'autore, affrontando i possibili fattori ambientali, esamina ampiamente le teorie delle vaccinazioni, delle intolleranze intestinali, metalli pesanti, ecc, ma dedica solo poche pagine ai fattori psico-sociali: si limita a citare Bettelheim e la sua teoria affettiva, per seppellirci insieme ogni possibilità di implicazione di fattori emotivi ambientali nelle prime epoche di vita. Di tutta la moderna ricerca sull'infanzia si limita a citare le teorie dell'attaccamento, che però non approfondisce, con una superficialità che stupisce rispetto alla quantità di pagine che ha dedicato all'approfondimento degli studi 'biologici' genetici e anche sui fattori ambientali 'fisici'. In questa linea accenna solo en passant alla questione dell'autismo negli istituti, tornato alla ribalta con gli studi sugli orfanatrofi dell'Europa orientale, suggerendo che questi bambini possono averne subito degli effetti negativi e che sintomi simil-autistici sono stati riscontrati in bambini messi negli istituti...
Su questi aspetti si percepisce quasi un analfabetismo relazionale ed emozionale che sembra impedire all'autore e agli studiosi del suo tipo di accostare questi fenomeni con un metodo scientifico di osservazione e rilevazione degli aspetti osservabili. Stupisce una simile scotomizzazione di ogni possibile causa ambientale relazionale, che pensiamo sia espressione del tabù manicheo che tuttora invade il mondo anglosassone nei confronti della psicoanalisi, considerata priva di qualsiasi valore scientifico, e gettata via insieme al suo oggetto di studio, relazioni ed emozioni, quasi come il bambino insieme all'acqua sporca.

Resta comunque il merito a questo libro di esplicitare il fallimento di almeno vent'anni di ricerche e teorie sull'autismo aprendo una breccia nel muro che finora resisteva a qualsiasi critica metodologica e sostanziale. Speriamo che la breccia si allarghi e possa crollare questo muro che come si diceva ha praticamente sequestrato in mano ad alcune lobby il campo dell'autismo e delle relative terapie. Gli effetti prodotti su una generazione di specialisti sono però disastrosi, come hanno avuto modo di verificare molti genitori che si sono trovati in questa situazione. Come nella fiaba di Andersen, forse dopo il grido che 'il re è nudo', le persone non avranno più paura di riconoscere quello che vedono con i propri occhi e pensano con la propria mente. Si potrà così tornare a cercare di capire ogni bambino individualmente con le sue esperienze nel suo ambiente per cercare gli eventuali ostacoli e impedimenti al suo sviluppo in tutti i settori possibili, non solo quello organico-biologico, ma anche quello psicologico e ambientale.

( novembre 2015 )

L'autismo che cos'è?

Intervista sull’autismo al dott. Emidio Tribulato, medico, neuropsichiatra infantile e psicologo.

 

 

Che cos’è l’autismo?

Questa patologia scoperta da Kanner nel 1943 ha alcune caratteristiche particolari.

  • La prima, è che colpisce soprattutto la sfera della comunicazione e dell’interazione sociale. Pertanto il soggetto tende a chiudersi o ha un rapporto alterato nei confronti del mondo esterno.
  • La seconda caratteristica è che inizia precocemente: prima dei due anni e sei mesi.
  • La terza caratteristica riguarda la sua gravità: questa può variare molto. I sintomi possono essere molto lievi, ad esempio nella sindrome Asperger (Autismo ad alto funzionamento) oppure possono essere molto gravi.
  • La quarta caratteristica riguarda la variabilità della sintomatologia. I sintomi possono variare molto in soggetti con la stessa diagnosi; possono variare nel tempo nello stesso bambino; possono essere diversi nella stessa giornata; possono essere più o meno gravi in base alle persone con le quali il bambino si relaziona. 

Storia di una mamma, di un papà e di un bambino con grave ritardo nel linguaggio, nella socializzazione e nell'integrazione

 

Essere genitori è la cosa più bella ed allo stesso tempo più complessa che possa capitare ad un essere umano

La nostra “avventura” ha inizio quasi cinque anni fa…dopo una gravidanza difficile ed un parto più che traumatico arriva il nostro “principino”. Un figlio ti stravolge la vita ed i cambiamenti sono tanti…in alcuni momenti anche troppi ma sempre meravigliosi!

Il nostro bimbo cresce, inizia a proferire le prime paroline…il primo mamma e papà un po’ in ritardo ma fino ai 2 anni e mezzo tutto procede normalmente…tranne nel notare che il bambino è un po’ timido e chiuso…ma non ne facciamo un problema…aspettiamo con ansia che le prime paroline si trasformino in tante paroline e qualche frase…ma tutto questo non succede e tutto ciò causa (nella mamma in particolare) parecchie preoccupazioni…il cuore di una madre certe cose le sente e le avverte…anche se tutti dicono di non esagerare e di non preoccuparsi…

Arrivano i 3 anni e viste le pochissime parole pronunciate dal bambino si decide di fare le visite del caso...”ritardo del linguaggio” ci viene detto…senza riuscire a scoprirne le cause…con tutte le angosce che queste visite portano…

Un genitore in questi momenti le pensa tutte ed il mondo si ferma…si è assaliti da migliaia di pensieri e tantissimi pareri, ma la verità è solo una: quando ci si trova in certe situazioni il tuo mondo cambia, cambi tu e il modo di vedere la vita…siamo sinceri!

Tutto questo incide anche sulla vita di coppia…tutto diventa più difficile e complicato…forse perché la sofferenza di una situazione che non si sa come gestire porta ad isolarsi…e ci si allontana da chi ci vuol bene…uomo e donna affrontano i problemi diversamente e tutto genera rabbia e tristezza… tutto questo dolore emotivo il bambino lo percepisce e non fa altro che generare un circolo dal quale non è facile uscire!

Altro muro…: l’asilo!

Siamo ai 3 anni e il bambino inizia a frequentare l’asilo e non riesce ad integrarsi con i suoi coetanei...ogni mattina lo stesso incubo, lo stesso strazio nel dover lasciare il bambino piangente ed angosciato all’asilo.tutti consigliavano di non mollare, di farlo “abituare” che era solo una fase che una volta superata lo avrebbe portato ad una crescita personale…ma in realtà, come in seguito ci verrà spiegato,  il bambino non era ancora pronto, lo viveva come una punizione incomprensibile e non faceva altro che farlo regredire…

Era chiaro che non sapevamo più che fare…avevamo bisogno di aiuto…

Per fortuna siamo riusciti a trovare un professionista che ha preso a cuore nostro figlio come bambino e non come paziente, cercando di capire cosa potesse aver innescato quel meccanismo nel quale ci siamo trovati senza neanche rendercene conto!

Il dott. Emidio Tribulato, del Centro Studi Logos “O.N.L.U.S.”, ci ha indirizzato con gentilezza, professionalità e molto tatto, verso dei comportamenti più a “misura di bimbo” ed abbiamo iniziato un percorso sia individuale che familiare.

Siamo partiti da incontri settimanali e con tantissime preoccupazioni e paure, Il dott. Tribulato ci ha fatto capire le esigenze del bambino di stargli vicino, di  tranquillizzarlo e sotto suo suggerimento abbiamo interrotto l’asilo, abbiamo cercato di farlo sentire protetto ed amato, fargli prendere sicurezza… giorno dopo giorno la rabbia e l’aggressività del bambino diminuivano…cominciava a tranquillizzarsi e iniziava a guardare la gente…poco per volta inizia a pronunciare altre parole e le prime frasi e con molta, molta pazienza e tantissimo amore continuava a  migliore.

Abbiamo “imparato” a giocare con il nostro bambino capendo che è importante capire come vuole giocare lui...non imponendo regole ma liberi di esprimere ciò che si vuole… il gioco è soggettivo ed è del bimbo… senza imporre il nostro modo “giusto” di giocare senza necessariamente seguire la nostra idea di gioco…solo con l’intento di divertirsi insieme… questo è ciò che desidera nostro figlio...giocare insieme con mamma e papà poco importa con cosa e dove!...dedicare del tempo “valido” per un bambino è importante…meglio poco tempo ma solo per lui, che ore con tante distrazioni. Spesso le idee di gioco del bambino non saranno esattamente quello che vorremmo ma assecondarlo per far si che lui prenda sicurezza in se stesso e non si senta vincolato da regole per lui assurde.

Un bambino è una creatura delicatissima e spesso possiamo danneggiarlo senza neanche rendercene conto.

La rabbia di un bambino che non riesce ad esprimersi a parole si trasforma per lui in frustrazione che riesce a “tirar fuori” solo con violenza e questo per un genitore è dolorosissimo… uno schiaffo o una testata di un bimbo dato ad una mamma od un papà genera un dolore emotivo enorme nei genitori...spesso esasperante.

Abbiamo imparato a conservare nel nostro cuore i momenti belli che passiamo con il bambino (come la favola prima di dormire) per avere la forza di superare i momenti più difficili… crescere è un cammino difficile sia per i genitori che per i figli…

Genitori non si nasce ma si diventa insieme con i propri figli...non è facile e spesso si sbaglia ma si deve avere il coraggio e l’amore di cambiare in meglio per noi ma soprattutto per i nostri figli.

Abbiamo cercato di “tranquillizzare” il bambino e di rendere la sua vita armoniosa e abbiamo iniziato un cammino di crescita per tutti e tre…con salite, discese e lunghi rettilinei nei quali abbiamo imparato grazie alle indicazioni del Dott. Tribulato, a gioire di ogni piccolo miglioramento del bambino…

Nessuno dice che è o sarà facile...ma la rabbia ed il dolore non portano a nulla anche se sono inevitabili in certi momenti. Abbiamo imparato a nostre spese che noi genitori abbiamo il dovere di proteggere i nostri figli dal dolore emotivo che proviamo durante i periodi difficili che passiamo quando i nostri figli hanno dei problemi.

Oggi il nostro bambino frequenta l’asilo da settembre, si è integrato con i suoi compagni senza grandi problemi ed è un bimbo che si impegna con mamma e papà per far si che questo cammino di vita sia una festa fatta di sorrisi.

Ci sono momenti difficili, non lo neghiamo...quelli nei quali  vorresti sparire ma poi guardi lui…e pensi che la vita è meravigliosa!

Un ringraziamento speciale va al dott. Emidio Tribulato che ha saputo indirizzarci con professionalità, umanità ed amore, verso un percorso di vita non semplice.

Messina, 20/03/2017

Una mamma e un papà

Il Gioco Libero Autogestito come trattamento delle gravi difficoltà emotivo – relazionali e dell’apprendimento

 Autrice: Sabrina Iantormo

 

 

Anamnesi

Roberta arriva al centro all’età di 5 anni e 6 mesi. I sintomi che la bambina manifestava erano: oppositività, irritabilità, aggressività, iniziali difficoltà scolastiche, problematiche relazionali che si manifestavano sia con gli adulti sia con i coetanei, paure, fobie e una bassa stima in sé stessa. In seguito ad un’attenta anamnesi emergeva che lo sviluppo della bambina era stato caratterizzato da una serie di eventi stressanti e traumatici sul piano fisico,  psicologico e sociale. 

Roberta era nata da parto cesareo tre settimane prima rispetto il termine della gravidanza e dopo la nascita era stata tenuta in incubatrice per diversi giorni, sotto osservazione. Nel primo mese di vita i medici avevano riscontrato una patologia renale e, pochi giorni dopo, era stata ricoverata per un addensamento polmonare. Tuttavia, la problematica organica più importante era stata rilevata verso i cinque mesi, in quel periodo la bambina presentava un volume del cranio al limite della norma, provocato da un versamento del liquor cerebrospinale. Questa patologia le provocava difficoltà a mantenere il collo in posizione eretta e a rimanere seduta senza cadere in avanti. In particolare, a causa della macro-crania, Roberta era stata sottoposta a continui esami strumentali e visite specialistiche. All’età di sei mesi aveva iniziato un percorso di psicomotricità, riuscendo a deambulare verso i 14 mesi. La bambina, per diversi anni, continuò ad effettuare abilitazione motoria, con un miglioramento delle sue capacità grosso-motorie. In seguito a questi miglioramenti la bambina era stata inserita nella scuola materna all’età di due anni e mezzo, non mostrando iniziali problemi di adattamento. Tuttavia, dopo alcuni mesi, venne affiancata da un’accompagnatrice, la quale si occupava di condurre la bambina in bagno a causa di diversi episodi di “enuresi” che Roberta mostrava durante le ore scolastiche. In quel periodo la bambina, quando rientrava a casa, appariva particolarmente nervosa e aggressiva. Roberta pertanto, venne sottoposta a visita presso un neuropsichiatra infantile, il quale riscontrò: “impaccio motorio, disturbo dell’equilibrio con note di oppositività e inibizione sul piano comportamentale”. Quando Roberta iniziò a frequentare la prima elementare, le maestre osservarono difficoltà sul piano della produzione linguistica, che si manifestavano tramite dislalie, nell’apprendimento, in particolare per i numeri, oltre che un’immaturità nelle capacità comunicative.

Sul piano della socializzazione la bambina presentava alcune difficoltà relazionali: non riusciva ad istaurare relazioni con gli estranei verso i quali si mostrava diffidente. A scuola il rapporto con i compagni era molto limitato infatti, la bambina veniva spesso emarginata nel gioco sociale. Inoltre, Roberta presentava intense paure per il sangue, il buio, gli insetti, i ragni e i lupi. Per questa serie di elementi i genitori chiesero una visita presso il Centro Studi Logos di Messina soprattutto a causa della notevole oppositività di Roberta a ogni loro richiesta. Inoltre, esprimevano la loro preoccupazione per le sue difficoltà scolastiche.

In seguito all’incontro con lo psicologo i genitori decisero di iniziare un percorso terapeutico presso il Centro.

Quando la bambina arrivava al Centro, sul suo viso e nei suoi occhi si denotavano elementi di tristezza, appariva timorosa e diffidente, inizialmente si nascondeva dietro i genitori; solo dopo essersi ambientata e grazie alla presenza della sorellina, si recava nella stanza dei giochi.

Mediante  una scheda di osservazione sono state raccolte maggiori informazioni sulla bambina per avere un quadro quanto più completo possibile della situazione familiare e ambientale e della sintomatologia della bambina.

 

Dall’osservazione e dalla storia di Roberta emergeva:

  • L’assenza della figura paterna nella quotidianità della bambina;
  • Un rapporto di coppia genitoriale scarsamente armonioso e ottimale;
  • Un rapporto negativo con le maestre e i coetanei nel contesto scolastico;
  • La presenza di comportamenti aggressivi e oppositivi;
  • La difficoltà a relazionarsi con l’altro;
  • Una scarsa produzione linguistica anche se, Roberta, sul piano della comunicazione non mostrava particolari difficoltà;
  • Un’alterata capacità a mantenere l’attenzione e la concentrazione in quanto, la bambina si stancava facilmente e diventava distraibile;
  • Un comportamento verso gli stimoli esterni lievemente distraibile;
  • Un comportamento motorio sostanzialmente normale anche se erano evidenti delle difficoltà nella coordinazione dei movimenti, soprattutto fini-motori;
  • Una coscienza lucida;
  • Capacità immaginative modeste;
  • Un rapporto con i genitori privo di apparenti conflitti, ma con assenza di manifestazioni affettive tra madre e figlia.
  • Un umore tendenzialmente malinconico.
  • Assenza di ritardo intellettivo. Le sue difficoltà scolastiche, pertanto, non avevano un’origine intellettiva ma erano dovute a problematiche di natura psicoaffettive di grado medio.

Non potendo effettuare una diagnosi categoriale a causa della molteplicità dei sintomi l’ipotesi principale elaborata presso il Centro è stata quella di un disturbo psicoaffettivo che provocava in Roberta una serie di sintomi sulla sfera emotivo - relazionale e sul rendimento scolastico.  

 

 

ObiettivI:

 

 

Per il raggiungimento di tali obiettivi Roberta ha iniziato una terapia basata sul “Gioco Libero Autogestito”.

 

Come si evince alla base di tale terapia vi è il “gioco”, elemento importante nello sviluppo dei bambini. Tramite il gioco, oltre a vivere l’esperienza piacevole del gioco in sé stesso, i bambini possono esplorare e conoscere l’ambiente circostante, migliorare la coordinazione motoria e la spazialità, sviluppare l’immaginazione e le capacità creative, stimolare il pensiero e il linguaggio. Inoltre, il gioco rappresenta lo strumento attraverso cui i bambini iniziano a comunicare e a relazionarsi con gli altri, sperimentano le emozioni principali come gioia e tristezza, assumono specifici ruoli e entrano in una dimensione che consente loro di esibire i propri sentimenti. È grazie al gioco che manifestano il loro mondo interiore e affettivo che può essere caratterizzato da sentimenti positivi o come spesso accade, per bambini con problemi psicologici, da emozioni e sentimenti negativi, quali aggressività e rabbia. Questa modalità di terapia non consiste solo nel gioco ma come si evince dal termine stesso, da un gioco “libero” oltre che “autogestito”. La libertà della scelta del gioco consiste nel dare la possibilità ai bambini di scegliere la tipologia di gioco, senza guida da parte degli adulti o del terapeuta. Sono i bambini i protagonisti dell’attività ludica, non vengono indirizzati dall’adulto ma seguono quelle regole che essi stessi formulano durante tale attività. Tramite l’autogestione, invece, i bambini sono liberi di gestire e condurre il gioco come meglio credono. Pertanto, il compito dell’adulto o del terapeuta è quello di assecondare pienamente i bisogni dei bambini in quella specifica seduta. La difficoltà principale che spesso gli adulti incontrano è il non riuscire a favorire in pieno il gioco scelto dai bambini poiché tendono ad interferire indirizzando il bambino a svolgere l’attività da essi proposta piuttosto che lasciarli pienamente liberi. In tal modo si invade lo spazio dei bambini, non rispettando la loro scelta. Tramite il gioco libero autogestito invece, sono i bambini a decidere se inserire l’adulto o il terapeuta all’interno dell’attività di gioco, se ciò non avviene, è necessario rispettare la loro scelta al contrario, se ciò avviene è indispensabile assecondare a pieno il gioco scelto senza apportare modifiche.

 

PRIMO MESE (fase dell’inibizione)

 

 

 

Nelle prime visite presso il Centro, i genitori riferivano che Roberta mostrava spesso comportamenti aggressivi soprattutto nei confronti della figura materna. Infatti la bambina, a detta della madre, era oppositiva e scontrosa, non riusciva a svolgere i compiti in sua compagnia in quanto si innervosiva facilmente e iniziava ad essere aggressiva non solo fisicamente ma anche verbalmente; tali comportamenti esasperavano la madre che spesso adottava delle strategie di intervento negative per bloccare il comportamento della figlia, ottenendo come reazioni urla e pianto. Un altro elemento importante era la mancanza della figura paterna nella quotidianità della bambina; nonostante il rapporto con il padre venisse descritto come buono, l’uomo dedicava poco tempo alla relazione con la figlia, investendo le sue energie quasi totalmente nel lavoro. Un altro elemento importante era il rapporto di coppia. I genitori descrivevano il clima familiare come sereno e ottimale per lo sviluppo della bambina tuttavia, durante i colloqui emergevano degli scontri che denotavano un clima differente, caratterizzato da punizioni eccessive nei confronti della bambina e opinioni controverse tra i genitori sulle migliori modalità di interazione con Roberta. La madre chiedeva, inoltre, una maggiore presenza del marito all’interno del contesto familiare. In particolare, si riscontrava che le reazioni dei genitori, al pianto e all’irritabilità manifestati dalla figlia, erano caratterizzate da modalità aggressive sul piano fisico e verbale, questo si traduceva in un circolo vizioso per la bambina, la quale apprendeva che le difficoltà potevano essere risolte soltanto mettendo in atto comportamenti aggressivi. Pertanto, quando Roberta si trovava a vivere una situazione per lei stressante o frustrante reagiva con altrettante aggressività. Infine, la madre riferiva che i problemi principali si riscontravano a scuola. Le maestre venivano descritte da quest’ultima come incompetenti e incapaci nel relazionarsi con la figlia. Ciò provocava delle tensioni nella bambina che peggioravano la sua vita psichica. .

Per rendere la bambina maggiormente serena è stato consigliato ai genitori di mettere in atto varie strategie:

  1. Impegnarsi per modificare l’interazione con la figlia così da ridurre l’aggressività della bambina.
  2. Gestire meglio le attività lavorative così da permettere una maggiore presenza della figura paterna;
  3. Intervenire nel contesto scolastico attraverso un colloquio con le maestre mirato a renderle consapevoli delle problematiche di Roberta, in modo da aiutare la bambina ad inserirsi positivamente in quest’ambito;
  4. Ridurre il tempo che Roberta dedicava allo svolgimento dei compiti, intervallandolo con attività ludiche sia con il padre che con la madre, così da migliorare il rapporto con i genitori.

Durante il primo mese di terapia è stato possibile osservare che, sul piano comportamentale, la bambina, non mostrava l’aggressività riferita dai genitori. Tuttavia, durante le attività di gioco, Roberta appariva molto triste, chiusa, non interagiva con gli operatori e mostrava scarse capacità immaginative e creative. Il suo gioco preferito era creare dei coriandoli con la foratrice rimanendo spesso in disparte. Presso il Centro compito degli operatori e dello psicologo è stato quello di rispettare i suoi spazi senza invadere la sua attività di gioco e senza forzare la relazione. Grazie a questo atteggiamento è stato possibile ottenere dei piccoli miglioramenti sul piano relazionale: la bambina appariva più serena e propensa ad interagire anche se, ancora molto inibita.

 

SECONDO MESE (fase delle imposizioni)

 

Durante il secondo mese di terapia i cambiamenti apportati, a casa e a scuola, hanno assicurato dei maggiori miglioramenti. In particolare, grazie all’attenzione dei genitori verso i bisogni della bambina e a un ritmo meno frenetico e stressante, era migliorato notevolmente il clima familiare. Inoltre, la figura paterna era diventata molto più presente così da aiutare Roberta soprattutto nello svolgimento di compiti. Grazie a tali cambiamenti la bambina veniva descritta dai genitori più serena e collaborativa. A scuola, in seguito al colloquio con le maestre, Roberta si sentiva maggiormente accettata, tuttavia le sue difficoltà linguistiche e di apprendimento rimanevano fonte di disagio per la bambina che veniva spesso esclusa dai suoi coetanei. Per risolvere le difficoltà linguistiche, veniva suggerito ai genitori di parlare utilizzando un linguaggio molto chiaro, scandendo bene ogni parola.

Tramite il Gioco Libero Autogestito, l’elemento nuovo che emergeva era il desiderio di impartire degli ordini al terapeuta, esercitando in tal modo una sorta di potere. Ciò le consentiva di manifestare, mediante il gioco, l’aggressività repressa verso gli adulti che le imponevano determinati comportamenti. Questo tipo di gioco l’aiutava ad acquisire maggiore fiducia in sé stessa e negli altri che erano disponibili ad accettare i bisogni che emergevano dal suo animo.  

 

TERZO MESE (fase del “chiudi gli occhi”)

Durante i colloqui avvenuti con i genitori nel terzo mese venivano confermati i cambiamenti positivi di Roberta: l’aggressività si era notevolmente ridotta, la bambina appariva più rilassata, collaborativa e non mostrava più comportamenti oppositivi. I miglioramenti della bambina venivano notati anche nell’ambito scolastico: progressi importanti nella lettura e nella comprensione del testo. La serenità della bambina era notevolmente apprezzata dai genitori, i quali sostenevano che il miglioramento di Roberta avesse inciso sul clima familiare nel suo complesso, ora descritto come maggiormente armonioso. L’iniziale circolo vizioso era stato sostituito da un circolo virtuoso, in quanto i cambiamenti positivi che avevano inciso sul comportamento della bambina, provocavano un clima di maggiore serenità nella coppia genitoriale, di cui la bambina stessa ne traeva beneficio.

 

 

 

Presso il Centro, Roberta inizia una fase che ho definito del “chiudi gli occhi”, in quanto per diversi incontri la bambina mostrava un’unica richiesta allo psicologo, quella di chiudere gli occhi per tutto l’incontro. Nonostante ciò, la bambina interagiva con il terapeuta tramite l’operatrice che assisteva all’incontro. Pertanto, l’interazione con il terapeuta non avveniva in prima persona ma la bambina utilizzava l’operatrice come tramite per comunicare con lo psicologo. Questa forma di relazione indicava che erano presenti ancora delle difficoltà ad aprirsi all’altro e che non era stata ancora acquisita una piena fiducia negli adulti.

Nell’ultimo incontro avvenuto alla fine del terzo mese, emergono dei cambiamenti nel contesto scolastico: la maestra con cui la bambina aveva più difficoltà a relazionarsi era stata sostituita da una nuova maestra. Quest’ultima, a detta dei genitori, risultava essere più severa rispetto a quella precedente tuttavia, a seguito di un colloquio con la madre, si mostrava maggiormente disponibile ad aiutare sul piano accademico la bambina, consigliando ai genitori delle tecniche di gioco con cui far apprendere soprattutto i concetti numerici. In particolare, il padre osservava che la figlia si innervosiva per motivazioni differenti rispetto al passato, ad esempio non le procurava malessere svolgere i compiti in sé ma piuttosto, non portarli a termine, sottolineando l’importanza della figlia nell’essere preparata a scuola. Questo indicava probabilmente che la bambina veniva gratificata positivamente e ciò la rendeva più sicura delle sue capacità, tanto da non accettare il fallimento.    

 

QUARTO MESE (fase delle pulizia e dell’ordine)

Durante il quarto mese di terapia, i genitori si mostravano entusiasti dei miglioramenti della figlia, non solo nel contesto familiare ma anche a livello scolastico e relazionale. Roberta nell’ambito scolastico migliorava notevolmente, grazie anche all’aiuto della nuova maestra che risultava essere più collaborativa e aperta a continui incontri con i genitori. Inoltre, la bambina si mostrava più socievole e aperta alle relazioni con i compagni, partecipava maggiormente alle attività scolastiche riuscendo ad inserirsi nel gioco con i coetanei. Il cambiamento avvenuto nella bambina era sicuramente il risultato di un impegno costante da parte dei genitori, i quali sottolineavano di adottare delle modalità diverse nell’approcciarsi a Roberta, non solo fornivano una maggiore attenzione ai comportamenti positivi ma gratificavano la figlia con manifestazioni affettuose che miglioravano il legame con la bambina.

 

 

Presso il Centro, Roberta per alcune settimane, mostrava dei comportamenti quasi ossessivi verso l’ordine e la pulizia. L’interazione con lo psicologo non avveniva se prima non sistemava i giochi e gli oggetti presenti nella stanza. Il tempo dedicato alla sistemazione era ampio pertanto solo alla fine degli incontri avveniva qualche scambio relazionale con il terapeuta, basato su brevi conversazioni sul rapporto con i compagni, con la maestra o con la sorellina. Probabilmente questa necessità di Roberta esprimeva il suo profondo bisogno di mettere ordine nel suo mondo interiore. Sistemare l’ambiente esterno diventava una modalità per controllare il caos presente nel suo mondo psichico. Il difficile compito del terapeuta, durante la terapia, consisteva nel lasciare svolgere l’attività alla bambina senza interferire con il suo gioco, rispettando i suoi silenzi e assecondando le sue richieste. Questa modalità ha aiutato Roberta a comprendere che i suoi bisogni più profondi venivano rispettati totalmente e che era libera di giocare come preferiva.

 

 

 

SITUAZIONE ATTUALE

Durante gli ultimi incontri i genitori si mostrano ancora più sereni e positivi nei riguardi della figlia sul piano familiare, sociale e scolastico. Presso il Centro sono state apportate modifiche al setting terapeutico, inserendo i genitori durante la terapia, in modo da osservare le loro modalità di interazione con Roberta. Quindi, i genitori sono stati invitati a partecipare  attivamente agli incontri e il comportamento della bambina è sensibilmente migliorato. In particolare, la presenza della madre rende la bambina più sicura, infatti riesce a comunicare maggiormente, è più serena e soprattutto coinvolge i genitori nell’attività ludica. L’isolamento mostrato negli incontri precedenti viene sostituito da un gioco partecipativo e la bambina riesce a dedicare spazio all’attività ludica senza mostrare preoccupazione per l’ordine e la pulizia. 

La situazione attuale di Roberta è caratterizzata da notevoli miglioramenti a più livelli:

 

Gli obiettivi formulati all’inizio del percorso terapeutico non sono ancora stati del tutto raggiunti tuttavia, la bambina continuerà un percorso presso il Centro con l’auspicio che possa ritrovare la serenità interiore e raggiungere un pieno sviluppo psicoaffettivo, elementi che dovrebbero caratterizzare la vita di ogni bambino.

 

 

CONCLUSIONI

 

 

 

La terapia, basata sulla libera gestione di un’attività importante e fondamentale come il gioco, ha permesso a Roberta di comprendere che i suoi bisogni venivano ascoltati e accettati senza imposizioni da parte del mondo esterno. Questo ha consentito alla bambina di acquisire fiducia nei confronti dell’altro, considerato ora come accettante e non più giudicante e/o opprimente. In seguito a tale fiducia riposta nel mondo esterno, Roberta ha incrementato la stima in sé stessa e nelle sue capacità, oltre ad aver raggiunto un maggiore benessere interiore.   

Quando il disturbo del linguaggio cela un grave disagio psicoaffettivo

Autrice: Santina Meli - Psicologa

Anamnesi

Francesco è un bambino che, al momento di iniziare la psicoterapia presso il Centro Studi Logos di Messina, aveva tre anni e presentava importanti disturbi psicoaffettivi. Per quanto riguarda il suo sviluppo, dall’anamnesi si evince che il bambino non aveva gattonato ed aveva iniziato a deambulare autonomamente verso i sedici mesi. Inoltre, Francesco non aveva ancora raggiunto il controllo degli sfinteri, infatti aveva bisogno del pannolino sia di giorno che di notte; dormiva ancora nel letto dei genitori e chiedeva spesso il ciuccio. All’età di due anni la madre si era preoccupata a motivo dello sviluppo molto ridotto del linguaggio verbale. Il bambino è stato visitato presso il reparto di Neuropsichiatria infantile del Policlinico di Messina, dove è stata fatta diagnosi di ritardo specifico del linguaggio ed è stata consigliata la logoterapia. Al momento della prima visita presso il nostro Centro, Francesco presentava notevole angoscia quando si cercava di allontanarlo dalla figura materna ed altre paure, le quali si palesavano durante la notte tramite incubi. Inoltre, il bambino pronunciava solo cinque parole, qualche sillaba ed effettuava qualche verso di animale; tuttavia, riusciva ad esprimere i suoi bisogni tramite la comunicazione non verbale ed era in grado di comprendere le richieste altrui.

 

I disturbi della socializzazione e del gioco

 

 

L’interazione sociale, cioè la capacità di entrare in relazione con l’altro, richiede dei vissuti interiori adeguati. L’altro non mi deve creare né disagio, né paura, anzi, l’altro, lo devo avvertire come amico, vicino, disponibile, attento e accettante. Ciò mi spingerà ad aprirmi a lui. Ciò mi stimolerà a cercare con lui un confronto ed un dialogo. Se ciò non avviene, se l’altro è avvertito come distante e freddo, se l’altro viene ravvisato come apportatore di ansie, paure, insicurezze e frustrazioni, l’interazione sociale sarà deficitaria o non avverrà affatto.

Il bambino acquista la possibilità di socializzare con gli estranei, solo se ha vissuto in maniera serena e soddisfacente il rapporto con le figure familiari. È solo la bontà di questo rapporto ed è la serenità dell’ambiente di vita nel quale è vissuto, che gli permetteranno di aprire il proprio animo, il proprio interesse e la propria attenzione costruttiva anche agli estranei. Le capacità di interazione sociale possono essere ottime, buone, normali, modeste o scarse e, quindi, patologiche.

Avremo, ad un estremo i bambini che socializzano facilmente con tutti, mentre nella parte opposta troveremo i bambini affetti da gravi forme di autismo, i quali non comunicano o hanno gravi difficoltà a comunicare. I bambini più vicini alla norma sono quelli che si aprono agli altri, quando e solo se sono certi di potersi fidare. Vi sono poi i bambini che interagiscono, ma con continui reciproci scontri, ripicche e aggressività. Seguono quelli che riescono ad interagire, in modo pieno e costruttivo, solo con un compagnetto che ha caratteristiche di personalità molto vicine o complementari alle proprie. Vi sono poi bambini che riescono a dialogare interagire solo con un adulto: di solito la madre, il padre, una zia o un nonno. I bambini più gravemente disturbati avranno difficoltà a comunicare anche con la propria madre o con il proprio padre.

Le difficoltà nella socializzazione si possono manifestare con inibizione o con disinibizione,

Forme con inibizione

In queste forma la mimica appare poco vivace, la postura è eccessivamente stabile, il bambino non aderisce alle consegne, o, se lo fa, le attua in maniera passiva; non prende l’iniziativa nello scambio; si limita a rispondere alle domande che gli vengono poste; il linguaggio è coartato e povero sul piano narrativo .[1] Troviamo queste forme di difficoltà nella socializzazione le nel bambino timido, inibito, nella fobia sociale, nei disturbi d’ansia e dell’umore, nel mutismo selettivo, nel disturbo oppositivo provocatorio, quando è presente una scarsa autostima per inadeguatezza o per malformazioni o disabilità e, naturalmente, nei disturbi pervasivi dello sviluppo.

Forme con disinibizione

In queste forme vi sono elevati livelli di attività motoria. Il bambino familiarizza in maniera eccessiva anche con gli estranei, appare particolarmente curioso, ma distraibile. Risponde alle domane che gli sono poste arricchendo le risposte con frasi poco aderenti al contesto. Fa continui quesiti senza interessarsi alle risposte. Anche in questa forma, se la quantità della socializzazione è buona, lo stesso non si può dire per la qualità della relazione, in quanto è compromesso il normale fluire degli scambi interpersonali. Questa forma con disinibizione è presente soprattutto nei disturbi dell’umore di tipo maniacale, nei disturbi della condotta e nel disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività e in alcuni casi anche in soggetti con autismo che cercano in tutti i modi di comportarsi così come gli altri li vogliono. Spesso indossando una maschera per provare a soddisfare le richieste provenienti dal loro ambiente di vita. 

Le difficoltà durante il gioco

È noto come il gioco abbia varie finalità e sia un elemento centrale nella vita del bambino. Il piccolo essere umano, mediante questo basilare strumento di crescita, sviluppa tutte le potenzialità umane: l’intelligenza, l’emotività, la socialità, l’affettività, le capacità motorie, quelle sensoriali ecc.

Poiché il gioco gli è indispensabile per esplorare e conoscere il mondo materiale, affettivo, relazionale e sociale che lo circonda, è attraverso il gioco che egli impara a conoscere, comunicare e socializzare con gli altri. Il bambino, controllando e modulando le proprie emozioni e i propri impulsi, si rende gradualmente autonomo dai genitori e dagli adulti, rafforza la sua volontà, scopre la necessità delle regole e le modalità con le quali le può utilizzare al meglio, entra in contatto con se stesso e con il mondo della natura.

Il gioco è anche un ottimo strumento per capire le dinamiche relative al mondo interiore del bambino.[2] Mediante il gioco comprendiamo: la quantità e la qualità dei suoi bisogni; le sue capacità immaginative; le necessità più o meno normali o accentuate di ordine, di metodo, di pulizia; l’armonia o la disarmonia interiore; le sue abilità psicomotorie; la sua tolleranza o intolleranza alle frustrazioni; il maggiore o minore bisogno di comunicare con gli altri, e così via. Mediante il gioco si rendono evidenti la sua disinibizione o la sua inibizione; la sua serenità interiore o il suo stato di tensione e di eccitamento; il suo stato di benessere e gioia o il suo stato di tristezza e apatia; la sua maggiore o minore reattività; le sue tendenza all’aggressività e alla distruttività. In definitiva la varietà, la ricchezza e la qualità dei giochi del bambino ci permettono di osservare il suo mondo interiore e di conoscere la maggiore o minore gravità delle sue eventuali problematiche psicoaffettive.

Quando osserviamo un bambino che gioca, se le sue attività sono ricche e varie, se effettua dei giochi costruttivi e se riesce a giocare sia da solo che con gli adulti ed i suoi coetanei, possiamo essere abbastanza tranquilli che il suo mondo interiore non è molto disturbato.

Al contrario, sono segnali di una realtà interiore alterata:

  •   quando il piccolino, durante il primo anno di vita, non partecipa ai giochi semplici, proposti dalla madre e quando, più grandetto, non riesce a giocare, o gioca molto poco, con i suoi genitori o con altri adulti, con i quali si è stabilito un legame affettivo e di fiducia;
  •   quando verso i tre-quattro anni non riesce ad accettare anche i giochi e le regole proposte dagli altri, per cui prevalgono nettamente nella giornata i giochi solitari rispetto a quelli fatti in due o in gruppo;
  •   è un segnale negativo anche la situazione opposta, nella quale il bambino riesce ad effettuare solo giochi di gruppo, ma non riesce e non accetta di giocare, anche per breve tempo, da solo;
  •   quando il bambino non utilizza o impiega in maniera impropria e distruttiva i giocattoli adatti alla sua età o adopera solo pochi giochi ed in modo ripetitivo;
  •   quando nel gioco solitario, a due o di gruppo, prevalgono nettamente e costantemente attività e fantasie aggressive, distruttive o regressive;
  •   quando il gioco o i giochi sono troppo instabili, mutevoli e caotici;

La più grave alterazione la ritroviamo nei bambini con disturbo autistico, i cui giochi sono molto scarsi, ripetitivi, anomali. In questi minori spesso mancano i giochi di immaginazione, simulazione e imitazione sociale. Essi amano soprattutto i giochi solitari, in quanto spesso si rifiutano di partecipare a quelli proposti dagli altri e non rispettano alcuna regola. Si è notato però che questi stessi bambini accettano con piacere di effettuare il Gioco Libero Autogestito, in quanto, con questa modalità, si sentono perfettamente liberi.

Non è da sottovalutare, infine, che le terapie che utilizzano il gioco sono tra le più efficaci e diffuse.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico

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[1] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p. 108.

[2] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p. 78.

 

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

 Dott.ssa Simona Cardile - Psicologa.

 

Giacomo, un  bambino affetto da Disturbo dello spettro dell’Autismo, viene accompagnato presso il Centro Studi Logos per la prima volta all’età di tre anni e mezzo. La sua storia è la dimostrazione di come non esista un “Autismo” ma molteplici forme di tale sindrome.

Abbiamo conosciuto Giacomo solo dopo che la madre, durante le sedute di riabilitazione logico-cognitiva della sua secondogenita, raccontava che il terzo dei suoi figli non aveva ancora sviluppato l’uso del linguaggio, non presentava il controllo sfinterico, era irritabile ed aggressivo.  Nonostante questi segni la donna non evidenziava particolari problemi nel figlio. Il terapeuta consigliò alla signora di portare il bambino in visita per poter effettuare un’adeguata osservazione e, in caso di problemi, poter intervenire il più precocemente possibile.

Dall’anamnesi fornita dai genitori si evidenziava che il bambino era nato dieci giorni prima del termine dopo una gravidanza regolare e non aveva manifestato alcuna problematica in età neonatale. Lo sviluppo motorio e la produzione dei primi fonemi erano avvenuti in epoca regolare. Durante la frequenza della scuola materna, avvenuta all’età di tre anni, le insegnanti avevano però fatto notare ai genitori che il bambino presentava ritardo nel linguaggio, notevole irrequietezza e pianto, in particolare quando l’ambiente classe diventava troppo caotico. Le insegnanti evidenziavano che Giacomo tendeva a svolgere i giochi e le attività in maniera solitaria.

La madre riferiva, invece, che il figlio, nell’ambiente domestico, giocava con le sorelle, era eccessivamente dipendente da lei che chiamava “gioia” e “cucciola” e della quale ricercava spesso delle coccole.

Giacomo veniva, quindi, descritto dai genitori  come un bambino eccessivamente legato alla madre, troppo vivace e nervoso <<Se non viene accontentato nelle sue richieste manifesta crisi di nervosismo>>. I rapporti con i familiari erano descritti come buoni, veniva però rimproverato a causa del suo comportamento disubbidiente e per la sua irrequietezza motoria. Con gli estranei,  invece, si mostrava molto diffidente soprattutto all’inizio del rapporto. La madre affermava, inoltre, che il figlio era consapevole dei sentimenti altrui e che quando viveva dei momenti di disagio voleva essere consolato.

Nella prima osservazione effettuata si evidenziava che Giacomo presentava comportamenti aggressivi e irritabili, non accettava le frustrazioni e le piccole regole. Era evidente il suo ritardo nel linguaggio. Questo si manifestava con la produzione di vocalizzi  incomprensibili. Era presente anche ritardo nel controllo degli sfinteri. Con i familiari, e in particolare con la madre, il bambino si mostrava affettuoso e presentava un’adeguata espressione delle emozioni, larghi sorrisi e contatto oculare.

 

Questi  ultimi elementi avevano portato in un primo momento ad escludere la possibilità che Giacomo fosse affetto da Disturbo dello Spettro dell’Autismo, per cui era stata effettuata una diagnosi di Ritardo Mentale. Per aiutare Giacomo a sviluppare le abilità deficitarie si era deciso di utilizzare il programma base per lo sviluppo logico e cognitivo “Voglia di Cresce”.

Tuttavia, nei successivi incontri,  era stato possibile notare nel bambino la presenza di sintomi caratteristici dell’autismo: notevoli stereotipie, in particolare nel gioco, che spesso risultava ripetitivo e stereotipato; estraniamento dalla realtà con isolamento rispetto all’ambiente attorno a lui; scarsa interazione  sia con il terapeuta  che con le tirocinanti;  timore del contatto fisico. Inoltre, a ben vedere, il sorriso del bambino era stereotipato e privo di vera comunicazione. Questi elementi avevano dato l’input per effettuare una nuova diagnosi “Disturbo dello Spettro dell’Autismo”. Veniva allora proposto ai genitori di aiutare il figlio mediante delle sedute di psicoterapia  con utilizzazione  del Gioco Libero Autogestito.                                                                                                                 Questa tipo di terapia permette al bambino di scegliere l’attività da compiere, il luogo in cui compierla e con chi. Il bambino può quindi richiedere la partecipazione di qualcuno durante le sue attività, come può, al contrario, decidere di svolgerle in solitudine. Il terapeuta è presente in ogni momento senza forzare il bambino nella scelta del gioco e nel modo di svolgerlo pur essendo pronto ad aiutare, sostenere e incoraggiare il piccolo nei momenti di bisogno. Nello stesso tempo ci si propone di  aiutare la madre a meglio gestire i comportamenti irrequieti, aggressivi e prepotenti di Giacomo.

La Psicoterapia del minore della durata di dieci mesi (da Settembre a Giugno) è stata svolta individualmente. Tuttavia veniva accettata la partecipazione della madre e delle sorelline ogni volta il queste ultime o il bambino lo richiedevano. Le sedute si sono svolte in media una volta alla settimana nei primi mesi di terapia, e successivamente, quando i miglioramenti di Giacomo  sono risultati più evidenti, ogni quindici giorni. Ogni seduta aveva una durata di circa 45 minuti e si svolgeva in presenta del terapeuta e di uno psicologo osservatore. Al fine di poter meglio evidenziare i cambiamenti   e lo sviluppo di Giacomo nelle diverse aree, l’intero periodo di psicoterapia è stato diviso in cinque sotto-periodi della durata di due mesi.

Area emotiva e relazionale

 

 

 

 

Periodo Settembre-Ottobre. Per quanto riguarda l’area emotiva e relazionale Giacomo si mostra aggressivo nei confronti della madre, della quale però, allo stesso tempo, ricerca il contatto fisico e verso la quale si mostra eccessivamente legato. In sua presenza il bambino si mostra molto teso, nervoso e irritabile; tra madre e figlio sembra presente un rapporto di amore ed odio.                        La sorellina si mostra, invece, molto protettiva nei confronti del bambino. Verso di lei Giacomo è più accondiscendente: accetta  i giochi da lei proposti e la segue in un’altra stanza prendendola per mano.    Con il terapeuta invece Giacomo mostra pochissimi e molto brevi momenti di scambio, ignorando ogni sua proposta  e ogni tentativo di interazione. Solo verso la fine dei primi due mesi il bambino sembra accettare, anche se marginalmente e per un tempo esiguo,  le interazioni del terapeuta.                                                                                                                                         Sul piano emotivo Giacomo si mostra nervoso, irrequieto, emette dei gridolini quando lo svolgimento del gioco non procede come lui vorrebbe. Ogni volta che il terapeuta prende un oggetto poco prima utilizzato dal bambino, Giacomo in maniera decisa difende l’oggetto dicendo “E’ mio!”. Manifesta maggiore aggressività nei confronti della madre soprattutto quando,  terminata la seduta, la madre cerca di far uscire il figlio il quale, invece, vorrebbe rimanere a giocare. È  possibile notare sul volto di Giacomo la presenza di sorrisi stereotipati che non manifestano il suo mondo interiore ma sono emessi solo per far piacere ai presenti. Questi sorrisi appaiono come una maschera che il bambino indossa per evitare di manifestare agli altri dei quali non ha alcuna fiducia, il suo reale stato d’animo.

Periodo Novembre-Dicembre. Per quanto riguarda la capacità di relazionare con gli altri, Giacomo si mostra molto legato alla sorellina che trattiene dal braccio quando provano ad allontanarsi dalla stanza in cui si svolge la psicoterapia.                                                                                                Con il terapeuta l’interazione è migliorata, il bambino durante, lo svolgimento delle sue attività, ricerca anche se non costantemente l’aiuto in caso di bisogno e le gratificazioni quando riesce a portare a termine un gioco. È anche possibile notare un leggero disappunto quando alla fine delle sedute il terapeuta si allontana dalla stanza lasciandolo da solo a giocare. Disappunto espresso attraverso la produzione di piccoli lamenti simili a un pianto.                                                               Sul piano emotivo la madre riferisce che Giacomo è più calmo, lo stesso comportamento è possibile notarlo durante lo svolgimento della Terapia. Il bambino mostra infatti un numero maggiore di sorrisi soprattutto quando il terapeuta lo gratifica durante lo svolgimento delle sue attività.

Periodo Gennaio-Febbraio. In questi due mesi si evidenziano in Giacomo diversi cambiamenti. Intanto la relazione con il terapeuta è diventata sempre più intensa. Diversamente dal periodo precedente in cui il bambino mostrava leggero disappunto quando il terapeuta si allontanava dalla stanza della psicoterapia per poi dedicarsi nuovamente alla sua attività come se nulla fosse, in  questo periodo invece non appena termina la seduta, Giacomo segue il terapeuta nel suo studio abbandonando il gioco che sta svolgendo. Prima di lasciare il Centro Studi Logos il bambino si lascia accompagnare per mano nella stanza della terapia così da poter scegliere un gioco da portare con sé. Anche l’espressione delle emozioni si è lievemente modificata, Giacomo mostra un volto più rilassato ed ampi sorrisi durante lo svolgimento delle attività, sorrisi che alle volte, come detto in precedenza, sono stereotipati, altre volte invece si mostrano reali e coerenti col momento vissuto. Nonostante non sia visibile dalle espressione facciali del bambino, Giacomo vive uno stato di sofferenza interiore e rabbia che è possibile osservare nella sua continua tendenza a creare scompiglio nella stanza vuotando tutti i giochi sul pavimento, per poi riordinarli. Questa attività l’abbiamo interpretata come un modo per liberarsi dai pensieri e dai sentimenti negativi e aggressivi che prova scaraventando a terra i giocattoli, per poi poter fare di nuovo ordine sia nella stanza che nel suo animo.

Periodo Marzo-Aprile. Prendendo in considerazione l’area relazionale Giacomo mostra ulteriori cambiamenti: in particolare la relazione con il terapeuta diventa sempre più solida. In un’occasione ad esempio, mentre la madre sta parlando nello studio con il terapeuta, il bambino li raggiunge, apre la porta, e scambiando uno sguardo e un grande sorriso con il terapeuta la richiude aspettando dietro la porta che lui lo raggiunga. Non appena il terapeuta esce nel corridoio Giacomo si lascia rincorrere sino alla stanza della psicoterapia, sorridendo in un gioco ricco di complicità. Anche durante lo svolgimento del gioco il bambino richiede la partecipazione del terapeuta ma, al contrario delle sedute precedenti, non per ottenere un aiuto, ma per condividere un’attività piacevole da fare insieme.         La relazione con la madre è migliorata, la donna descrive il figlio infatti come “più calmo”. Il bambino si intrattiene piacevolmente anche con le tirocinanti mentre aspetta che il terapeuta lo raggiunga. Le emozioni espresse sono principalmente di gioia: Giacomo mostra grandi sorrisi e un volto sereno. Nonostante ciò continua a sfogare la sua aggressività attraverso il gioco dapprima disordinando i giocattoli, per poi successivamente riordinarli.

Periodo Maggio-Giugno. Giacomo è riuscito ad istaurare un’adeguata relazione con il terapeuta, ricerca attivamente la sua presenza per condividere interessi, giochi, attività ed emozioni piacevoli provati. Nel corso dell’ultima seduta è stato possibile per la prima volta udire il bambino ridere in maniera spensierata, coerente e complice insieme al terapeuta mentre, sistemando dei birilli in un apposito scaffale, questi continuavano a cadere. Sempre per la prima volta è stato possibile osservare il vero volto di Giacomo libero dal sorriso stereotipato che mostrava per compiacere e difendersi dagli altri. Il bambino, ad un tratto, ha interrotto il suo gioco si è mostrato serio in volto, come assente e perso nei suoi pensieri. Il percorso psicoterapeutico ha migliorato in maniera evidente la relazione tra madre e figlio: Giacomo spesso, svolge la sua terapia in sala d’attesa dove, battendo su una stufa, ed utilizzando la sua fantasia finge di suonare un tamburo così da inscenare un intero spettacolo apposta per lei. La madre riferisce inoltre che a casa il bambino ricerca la sua presenza per giocare insieme ad esempio al gioco del nascondino.

Linguaggio e comunicazione

Periodo Settembre-Ottobre. Il bambino accompagna le sua attività emettendo delle vocalizzazioni incomprensibili e continue. Sembra che Giacomo parli da solo, a voce alta, utilizzando una lingua a noi sconosciuta. Solo rare volte pronuncia qualche parola che ripete diverse volte e in modo non coerente con il contesto. Quando invece il bambino si arrabbia emette grida di fastidio.

Periodo  Novembre-Dicembre. Le capacità comunicative di Giacomo sono ancora molto scarse, continua a produrre le sue vocalizzazioni costanti ed incomprensibili. Solo raramente pronuncia qualche parola ripetuta in maniera monotona. Per quanto riguarda la comunicazione non verbale è possibile notare come il bambino riesca a farsi comprendere quando necessita dell’aiuto di un’altra persona. Ad esempio, se ha bisogno di aiuto nell’effettuare un gioco, lo porge al suo interlocutore rendendo chiaramente comprensibile ciò di cui ha bisogno.

Periodo  Gennaio-Febbraio. Nel corso di questi due mesi è possibile notare in Giacomo dei cambiamenti nelle sue capacità comunicative. Mentre a Gennaio il bambino produceva ancora vocalizzazioni incomprensibili, attualmente  si possono udire parole e frasi come “no”, “ecco”, “ci siamo quasi”, pronunciate coerentemente col contesto.  Verso la fine di febbraio abbiamo notato che una progressiva diminuzione delle vocalizzazioni che sono poi del tutto scomparse. Giacomo, infatti, ora svolge le sue attività senza produrre alcun suono inusuale. In questa fase aumenta l’utilizzo della comunicazione non verbale, il bambino porge i giocattoli al terapeuta quando desidera essere aiutato nello svolgimento delle sue attività, o indica gli oggetti che vuole far vedere agli altri.

Periodo Marzo-Aprile. Giacomo ha sviluppato adeguate capacità comunicative. Il bambino ripete più volte le stesse parole e frasi coerenti con l’attività che sta svolgendo (“Apre” facendo capire al terapeuta che vuole essere aiutato ad aprire una scatola; “abbraccio” mentre prende in braccio dei bambolotti; “pronti, partenza” quando spinge velocemente un passeggino giocattolo come se fosse una macchinina con cui effettuare una gara; “dov’è?” rivolto verso il terapeuta quando insieme cercano la tessera mancante per completare il puzzle con cui stanno giocando). Altre volte invece Giacomo ripete le parole appena udite dal terapeuta, come per allenarsi nella pronuncia dei vocaboli per lui nuovi. La comunicazione non verbale è sempre più utilizzata dal bambino.  Giacomo infatti indica gli oggetti, li mostra e li porge all’interlocutore facendo capire di cosa ha bisogno.

Periodo Maggio-Giugno. Negli ultimi due mesi è possibile notare come la comunicazione e il linguaggio di Giacomo siano molto migliorati rispetto all’inizio della terapia. La produzione inusuale di vocalizzazioni ha lasciato il posto alla produzione prima di parole, poi di piccole frasi pronunciate in maniera coerente ed adeguata al contesto (ad esempio:  “che bel disegno” mentre osserva il puzzle che ha terminato di costruire). In alcune occasioni è ancora possibile notare l’uso della terza persona anche se la frase è rivolta a se stesso “mette a posto!” mentre sta riordinando dei giochi in uno scaffale.  Anche la comunicazione non verbale è molto presente Giacomo indica ciò di cui ha bisogno al fine di rendere partecipe il terapeuta.

Contatto fisico e oculare

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo presenta fin dalla prima seduta contatto oculare anche se non per un tempo prolungato. Per quanto riguarda il contatto fisico, il bambino non accetta invece un’eccessiva vicinanza con il terapeuta. Giacomo infatti si allontana o irrigidisce il corpo quando qualcuno prova ad avvicinarsi. Con il trascorrere delle sedute però il bambino accetta sempre più il contatto fisico con il  terapeuta.                                                                                                        Il contatto fisico con la madre e le sorelline è invece presente, il bambino ad esempio si siede sulle gambe della madre, o si lascia accompagnare,  tenuto per mano, dalla sorellina nella stanza dove si svolge la Psicoterapia.

Periodo Novembre-Dicembre. Il contatto oculare è sempre più prolungato nel tempo, in particolare quando Giacomo vuole condividere la gioia di essere riuscito a svolgere l’attività che sta effettuando (il bambino ad esempio guarda il terapeuta in maniera prolungata non appena inserisce l’ultima tessera del puzzle che sta completando attendendo da lui un gesto di gratificazione). Non accetta però ancora pienamente il contatto fisico con il terapeuta anche se si avvicina sempre più durante i momenti di gioco.  Il bambino richiede invece la vicinanza della sorella durante lo svolgimento delle sue attività.

Periodo Gennaio-Febbraio. Lo sguardo di Giacomo diventa sempre più agganciabile, il bambino guarda molte volte il terapeuta durante il gioco, sia per ricercare il suo aiuto che per condividere con lui momenti di gioia e piacere. Anche il contatto fisico è aumentato rispetto ai mesi precedenti, il bambino svolge i suoi giochi avvicinandosi sempre più al terapeuta o sedendosi accanto a questi sul divano. È ancora possibile notare la presenza di una postura rigida quando si trova seduto vicino al terapeuta, il bambino infatti sfugge ai suoi gesti d’affetto.

Periodo Marzo-Aprile. Come detto all’inizio Giacomo ha sempre presentato il contatto oculare col terapeuta, anche se nel corso delle sedute è evidente un aumento degli sguardi sia nel numero che nella durata. In questo periodo però il bambino rende partecipe delle proprie gioie anche lo psicologo tirocinante che segue le sue sedute, sostenendo per lungo tempo lo sguardo. Attende le consuete gratificazioni fatte di sorrisi e parole d’affettuose, quando riesce nelle sue attività. Inoltre bisogna sottolineare come lo sguardo che Giacomo scambia con il terapeuta stia diventando uno sguardo di complicità. Per quanto riguarda il contatto fisico il bambino accetta maggiormente le coccole da parte del terapeuta, soprattutto nei momenti in cui appare più sereno (ad esempio mentre ascolta la dolce musica proveniente da un carillon).

Periodo Maggio-Giugno. Giacomo presenta contatto oculare sostenuto nel tempo, utilizza molto lo sguardo per comunicare sentimenti ed emozioni. Per quanto riguarda il contatto fisico  il bambino accetta la vicinanza sia con il terapeuta che con l’osservatrice lasciandosi coccolare, ma mostrandosi intimidito e vergognato. Anche durante le attività di gioco Giacomo si avvicina al terapeuta sedendosi accanto o appoggiandosi alle sue gambe per giocare.

Giochi ed attività

 

 

 

 

 

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo nei primi due mesi di terapia ha svolto un esiguo numero di giochi; in particolare impiega gran parte della seduta a costruire il puzzle di “Toy Story” contenente 10 tessere. Il bambino però non riesce ad incastrare i pezzi adeguatamente e spesso prova a caso ogni tessera da posizionare senza seguire una logica precisa. Giacomo solitamente si lascia aiutare dalle sorelle e dal terapeuta, ma non permette però una vera partecipazione dell’altro nella propria attività. Al contrario decide lui sempre quale pezzo dovrà essere inserito nell’apposito spazio per poi porgerlo al suo “terapeuta aiutante”. Un altro gioco che il bambino svolge spesso è l’utilizzo della tavoletta e dei chiodini che vanno inseriti negli appositi buchi. Il bambino però non utilizza il gioco con lo scopo per cui è stato costruito, ma si limita a porgere al terapeuta i singoli chiodini, uno per volta, per poi tornare nuovamente a posizionarli nell’apposito contenitore. I giochi che Giacomo svolge appaiono adeguati al sesso ma non all’età, essi sono ripetitivi e stereotipati. Inoltre le rarissime volte che prendendo la palla in mano decide di giocare con il terapeuta i suoi movimenti appaiono goffi e poco coordinati.

Periodo Novembre-Dicembre. Il numero di giochi che Giacomo svolge è lievemente aumentato rispetto ai due mesi precedenti, inoltre risulta più prolungato nel tempo.  La composizione del puzzle di “Toy Story” rimane la sua attività preferita, Giacomo compone il puzzle e subito dopo staccandone qualche tessera ricomincia a montarlo. Questo gioco si ripete durante tutte le sedute per un elevato numero di volte, Giacomo infatti sa che non appena inserita l’ultima tessera riceverà dal terapeuta una lode per l’attività svolta. Per questo motivo il bambino non scompone mai l’intera puzzle in quanto è consapevole che non riuscirebbe nuovamente a montarlo, si limita allora a staccare solo qualche tessera. Nonostante il gioco sia quindi stereotipato e ripetitivo, è possibile notare come sia finalizzato al raggiungimento di uno scopo : “ottenere delle gratificazione dal terapeuta”.

Periodo Gennaio-Febbraio. In questo periodo è possibile osservare dei miglioramenti nei giochi che il bambino svolge. Per prima cosa il numero di attività effettuate è molto aumentato. Giacomo mostra di preferire ancora il gioco del puzzle, non si limita più a completare solo quello di “Toy Story”, ma ne completa anche altri in particolare quello di “Winnie the Pooh” composto da 40 tessere. Inizia, quindi, ad impegnarsi nello svolgimento di attività più complesse. È possibile anche notare come al contrario dei mesi precedenti il bambino permette al terapeuta di avere un ruolo più attivo  durante lo svolgimento del gioco, lasciandogli inserire delle tessere, ricercando nell’altro oltre che un aiuto anche la condivisione dell’attività a lui piacevole.  L’altra attività che il bambino svolge per una buona parte della seduta è quella di vuotare piccoli oggetti (pedine della scacchiera, tessere dei puzzle, lego) sul pavimento, per poi raccoglierli uno alla volta, e una volta raccolti vuotare il contenitore nuovamente sul pavimento. Tale attività svolta in maniera stereotipata e ripetitiva sembra essere un modo per creare scompiglio nella stanza e successivamente rimettere ordine al caos creato. È possibile immaginare che lo stesso disordine che il bambino crea nella stanza sia presente in lui, e in quel modo Giacomo possa liberarsi dal caos che l’opprime per poi mettere ordine  nella sua interiorità.

Periodo Marzo-Aprile. Le attività ripetitive e stereotipate che Giacomo attuava nei mesi precedenti stanno scomparendo per lasciare spazio ad attività più complete e complesse. Il bambino ha quasi abbandonato il gioco del puzzle, che svolge rare volte, mentre ora preferisce dedicarsi ad altri giochi. Anche il suo creare disordine nella stanza sta scomparendo, solo per pochi minuti nel mezzo delle sedute Giacomo vuota sul pavimento piccoli oggetti, per poi tornare a dedicarsi ad altre attività giocando in maniera tranquilla. Il bambino si mostra attratto dai giochi adeguati al suo sesso e all’età:  gioca con delle macchinine lasciandole correre sul pavimento; utilizza un cane giocattolo al quale fa trasportare sul dorso dei pupazzi; gioca con la palla insieme al terapeuta. Giacomo mentre svolge queste attività osserva attentamente i giocattoli utilizzati, in particolare ne guarda girare le ruote quasi a voler comprendere il funzionamento. Da sottolineare come il bambino svolga le attività insieme al terapeuta per il piacere di condividere il gioco con lui.

Periodo Maggio-Giugno. È possibile notare come il gioco di Giacomo sia molto cambiato: In questo periodo il bambino non svolge giochi stereotipati, ma al contrario effettua attività sempre più complesse. Il numero di giochi è diminuito, per cui ogni gioco viene svolto  in maniera prolungata, ma con molte variazioni.   Importante sottolineare che come tutti Giacomo, come tutti i bambini della sua età, non utilizza, se non per poco, il giocattolo  con la funzione per cui è stato ideato, ma svolge con questo svariate attività provando tutte le possibilità insite nel giocattolo stesso. Il gioco è  per lui un modo per sviluppare le capacità cognitive e relazionali. In quasi tutti i giochi infatti Giacomo richiede la presenza del terapeuta e se questi non è presente nella stanza richiede la partecipazione dello Psicologo tirocinante utilizzando la comunicazione non verbale e verbale (ad esempio durante la realizzazione di un puzzle, Giacomo, rivolgendosi al terapeuta ha affermato “Mi aiuti?”, chiedendo quindi esplicitamente la sua partecipazione).

 

Accettazione delle frustrazioni

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo non accetta le frustrazioni, si arrabbia quando durante il gioco non riesce a svolgere questo in maniera corretta, per cui, ad esempio, non riuscendo a comporre il puzzle, lo distrugge allontanandosi bruscamente. Inoltre il bambino non accetta volentieri i consigli degli altri durante  le attività. È infatti Giacomo a voler decidere quale sarà la tessera del puzzle da inserire nonostante non sia quella corretta. Il bambino non accetta  alcuna imposizione  o regola neanche dalla madre. Ad esempio quando alla fine della seduta Giacomo deve lasciare il Centro Studi Logos, il bambino fa i capricci, per cui si assiste in questa occasione a una disputa tra madre e figlio, Giacomo da una parte urla e si irrigidisce, la madre dall’altra lo sgrida animatamente trascinandolo fuori dal centro.

Periodo Novembre-Dicembre. Come previsto dalla tecnica del Gioco Libero Autogestito, sono pochi i divieti e le regole che vengono imposti al bambino; è raro quindi che durante la seduta di psicoterapia Giacomo viva delle occasioni e delle situazioni difficili da gestire che provocano frustrazione. A detta della madre il bambino si mostra più calmo e meno aggressivo, da sottolineare il comportamento di Giacomo alla fine della seduta, il bambino infatti si allontana dal Centro con maggiore facilità, contrariamente a quanto avveniva nei mesi precedenti.                                                                              

Periodo Gennaio-Febbraio. Non è possibile osservare particolari differenze rispetto alle sedute precedenti; è possibile infatti notare come il bambino si mostri ancora infastidito se l’altro prende l’ iniziativa durante lo svolgimento del gioco. È infatti Giacomo a decidere quale gioco effettuare e in che modo. Nel caso in cui  il terapeuta prende anche solo una piccola iniziativa il bambino si mostra infastidito ed abbandona subito l’attività.

Periodo Marzo-Aprile. Giacomo al contrario che nei mesi precedenti è maggiormente capace di accettare le frustrazioni e le piccole regole che gli vengono imposte. Il bambino permette al terapeuta di aiutarlo nell’attività ed accetta che gli sia spiegato il funzionamento di alcuni giocattoli. Alla fine della terapia lascia la stanza ubbidendo alla madre che gli chiede di salutare l’osservatrice con un gesto della mano.

Periodo Maggio-Giugno. Giacomo adesso accetta e rispetta piccole regole e i divieti che gli vengono imposti. Come detto sopra si lascia aiutare e consigliare durante lo svolgimento delle attività. Inoltre si mostra ubbidiente verso la madre anche se la donna riferisce che Giacomo a casa è meno passivo, si impone e fa valere di più i propri desideri, insistendo fino ad ottenere ciò che desidera.

Attenzione e Concentrazione

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo si mostra attento e concentrato durante lo svolgimento delle sue attività. La sua attenzione sul compito è eccessivamente presente e porta il bambino ad isolarsi e a non mostrare interesse o ad avere reazioni verso ciò che avviene nella stanza: ad esempio non si gira a guardare chi entra nella stanza. Mostra inoltre poca attenzione verso l’ambiente e i vari giochi presenti  limitandosi ad utilizzare sempre gli stessi materiali in maniera stereotipata.

Periodo Novembre-Dicembre. Il bambino presenta ancora eccessiva concentrazione ed attenzione selettiva verso l’utilizzo di determinati giochi, ignorando gli altri a sua disposizione. Sono però diminuiti i periodi di isolamento durante i quali Giacomo svolgeva la sua attività preferita (comporre un puzzle)ignorando i presenti nella stanza. È infatti possibile notare come dopo qualche tempo nel quale il bambino completa il puzzle in maniera solitaria, in un secondo momento coinvolge il terapeuta nel suo gioco uscendo dal suo isolamento.

Periodo Gennaio-Febbraio. Giacomo è sempre molto attento alle attività da lui svolte ma, nonostante questo, è possibile notare come la sua attenzione verso l’ambiente stia aumentando: durante una seduta, ad esempio, udendo lo squillo del telefono Giacomo si è voltato verso il terapeuta che si era allontanato dalla stanza. In tale occasione il bambino ha mostrato un atteggiamento di risentimento e tristezza per essere rimasto da solo. Atteggiamento che non era stato notato nelle sedute precedenti durante le quali invece Giacomo era completamente assorto nelle sue attività e non si girava neanche se chiamato per nome.

Periodo Marzo-Aprile. Giacomo mostra elevati livelli di attenzione nei confronti dell’attività svolta e dell’ambiente in cui si trova: Non si osservano momenti di isolamento, ma al contrario il bambino coinvolge fin dall’inizio della terapia i presenti nei suoi giochi. È possibile anche notare come Giacomo si mostri attento nei momenti in cui il terapeuta gli spiega il funzionamento di alcuni giocattoli per poi poterli utilizzare subito dopo seguendo le istruzioni avute.

Periodo Maggio-Giugno. I livelli di attenzione del bambino sono sempre elevati verso il gioco e l’ambiente. Al contrario che nelle sedute precedenti Giacomo mostra particolare attenzione a non ferire se stesso e gli altri durante i suoi giochi, pone maggiore attenzione all’ambiente e in particolare a non calpestare gli oggetti presente sul pavimento. In passato invece Giacomo abbandonava i giochi appena effettuati in terra per poi calpestarli durante i suoi spostamenti nella stanza rischiando più volte di cadere.

Stereotipie fisiche e verbali

Periodo Settembre-Ottobre. Giacomo non presenta stereotipie fisiche e motorie, al contrario invece presenta stereotipie verbali in particolare produce vocalizzazioni inusuali e continue per l’intera durata della seduta. il bambino manifesta, inoltre , interessi ristretti e stereotipati per giochi ed attività come la composizione del puzzle di “Toy story” e il gioco con la tavoletta e i chiodini.

Periodo Novembre-Dicembre. Non è possibile notare evidenti cambiamenti rispetto al periodo precedente, Giacomo infatti completa per gran parte della seduta lo stesso puzzle probabilmente perché è l’unico che conosce e riesce a completare ottenendo gratificazioni da parte del terapeuta e diminuendo così il suo stato di malessere interiore. lo svolgersi ripetitivo di questo gioco può quindi essere considerato, al pari di una stereotipia, come un modo per ridurre l’ansia e la tensione interiore. Per quanto riguarda le stereotipie verbali queste sono ancora presenti e costanti durante tutta la seduta di terapia.

Periodo Gennaio-Febbraio.  Le vocalizzazioni prodotte da Giacomo sono quasi del tutto scomparse, lasciando il posto alla produzione di piccole parole spesso ripetute in maniera ecolalica. Il suo gioco stereotipato è invece ancora presente, il bambino svolge diversi giochi ma quasi sempre il fine è quello di vuotare gli oggetti sul pavimento per poi sistemarli negli appositi contenitori e subito dopo ricominciare tale attività.

Periodo Marzo-Aprile. Le stereotipie di Giacomo sono quasi del tutto scomparse. Il bambino non produce più vocalizzazioni, ma parole che ripete solo raramente. Anche i suoi interessi stereotipati sono scomparsi, il bambino infatti svolge durante la seduta svariati giochi per una sola volta.

Periodo Maggio-Giugno. Come nel periodo precedente le vocalizzazioni stereotipate sono del tutto scomparse lasciando il posto alla produzione di parole e brevi frasi pronunciate in maniera comprensibile e coerentemente con il contesto. Durante il gioco nonostante Giacomo utilizzi per l’intera seduta lo stesso giocattolo, a differenza che nei periodi precedenti è possibile notare come l’uso che fa dell’oggetto è sempre diverso, le sue attività sono sempre nuove e maggiormente complesse ad ogni nuova prova.

 

Conclusione

L’esperienza effettuata con Giacomo ci ha permesso, come detto all’inizio, di osservare le diverse manifestazioni con cui una stessa patologia può presentarsi. Il contatto oculare, ma soprattutto i grandi sorrisi e l’attaccamento alle volte morboso che il bambino presentava nei confronti della madre hanno reso difficoltoso diagnosticare il disturbo che Giacomo presentava, in quanto si è soliti ritenere che questi elementi siano assenti in bambini affetti da Autismo. Nonostante i cambiamenti avvenuti durante i  primi quattro mesi della terapia sono stati qualitativamente e quantitativamente esigui, nei mesi successivi il bambino ha mostrato  uno sviluppo rapido e visibili in ogni seduta effettuata. Ad ogni incontro Giacomo era diverso, più libero da ciò che lo opprimeva, dalle ansie e paure, più libero di esprimere le sue vere emozioni e di condividere attività ed esperienze piacevoli con gli altri.                                                                                                   In particolare il bambino ha mostrato evidenti miglioramenti sul piano affettivo, relazionale e linguistico. I suoi giochi costantemente accompagnati da vocalizzazioni inusuali e non pronunciati con lo scopo di ravvivare le proprie attività, hanno lasciato, con il trascorrere dei mesi, il posto a giochi più complessi e sempre nuovi accompagnati dalla pronuncia di frasi coerenti che animavano l’attività svolta dal bambino.  È cresciuta in Giacomo la voglia di comunicare con l’altro, di esprimersi ed entrare in relazione oltre che utilizzando la comunicazione non verbale, soprattutto attraverso la comunicazione verbale nonostante la terapia non si sia mai dedicata allo sviluppo di tale abilità. Il bambino quindi non presentava un disturbo linguistico da riabilitare, ma un rifiuto a comunicare con l’altro che probabilmente in occasioni passate era stato per lui fonte di paura ed ansia, dalla quale bisognava difendersi per non soccombere.                                                          Per quanto riguarda la capacità emotiva Giacomo  riesce a manifestare e controllare le proprie emozioni.     I suoi atteggiamenti aggressivi sono diminuiti, il bambino accetta piccole regole e frustrazioni mostrandosi più ubbidiente. I cambiamenti in Giacomo hanno portato cambiamenti nella madre, nel suo umore e carattere. La signora si mostra infatti meno screditante nei confronti dei figli e più serena, il suo volto appare rilassato, vive le marachelle di Giacomo con tranquillità raccontandole al terapeuta con un sorriso sul volto, quasi come se quelle fossero piccole conquiste del figlio. Si è stabilita tra madre e figlio una relazione sicuramente migliore di quella esistente in precedenza. Il bambino infatti raggiunge spesso, durante la terapia, la madre nella sala d’ attesa interagendo con lei, rendendola partecipe di ogni gioco che effettua, mentre attende  da parte sua una parola di plauso dolce e affettuosa.

 

Per maggiori informazioni sulla terapia del Gioco Libero Autogestito si consiglia di consultare il libro del Dott. E. Tribulato

"Autismo e gioco libero autogestito"

(Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico) - Franco Angeli Editore.

 Autismo e gioco libero autogestito. Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico

 

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L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

 

 AUTRICI: Simona Cardile e Sara De Giorgio

Matteo arriva al Centro Studi Logos per la prima volta all’età di due anni e mezzo. I genitori riferiscono di aver avuto dal reparto di neuropsichiatra infantile del Policlinico Universitario G. Martino di Messina la diagnosi di “Alto rischio di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo” in quanto  presenta  interesse rivolto prevalentemente agli oggetti più che alle persone, con i quali spontaneamente non condivide il gioco. È  inoltre presente un deficitario contatto oculare e la mancanza di risposta quando chiamato per nome. Il linguaggio è caratterizzato da suoni, nenie e vocalizzazioni continue e stereotipate. Matteo fa capire ciò che desidera indicando gli oggetti o portando fisicamente i genitori verso quanto desiderato in quel momento. Quando è molto preso dal gioco appare assente anche se presenta uno stato di attivazione  elevato (arousal) soprattutto verso i rumori esterni ed improvvisi. I genitori lo descrivono come un bambino apparentemente calmo, in quanto in realtà evidenzia una facile irritabile, comportamento testardo e pigro. Viene descritto dai genitori come “affettuoso” in quanto, a volte, ricerca attivamente il contatto fisico con la madre, ma,  nonostante questi saltuari contatti, tende ad allontanarsi facilmente da entrambi i genitori. Lo sviluppo linguistico appare assente. Manca il controllo degli sfinteri sia per le feci sia per le urine. Inoltre il bambino non presenta alcuna reazione emotiva quando si bagna o sporca. Matteo presenta, inoltre, instabilità emotiva per cui piange durante la visione di alcuni cartoni animati anche se le scene appaiano neutre, mentre non mostra alcuna reazione emotiva quando gli altri bambini lo privano di un gioco da lui al momento utilizzato. La madre ha notato un peggioramento delle condizioni psichiche del figlio in seguito al ricovero ospedaliero finalizzato all’accertamento delle problematiche riscontrate dai genitori. Matteo, infatti, dopo il ricovero appariva più apatico e timoroso verso gli estranei.

Quando il bambino aveva tre mesi di vita ha sofferto di episodi di Broncospasmo e infiammazione alle tonsille e alle adenoidi. Lo sviluppo motorio è avvenuto con ritardo: il bambino ha iniziato a deambulare autonomamente verso i ventidue mesi.

Dall’anamnesi familiare ed ambientale si evince che la relazione tra i coniugi è caratterizzata da intensi conflitti, iniziati al momento della convivenza avvenuta successivamente alla nascita della prima figlia. Dopo tale nascita la madre ha iniziato a lamentare  una sindrome depressiva, tutt’ora presente, che in alcuni periodi si accentua, mentre in altri si attenua. La rete familiare è globalmente scarsamente strutturata e molto conflittuale. La famiglia di Matteo non intrattiene, infatti, rapporti con i nonni paterni.

Dopo la diagnosi presso il Policlinico universitario di Messina sono stati consigliati:

  • Psicomotricità (4-5 volte alla settimana) con attività finalizzate a stimolare l’intersoggettività e lo sviluppo psicomotorio
  • Psico-educazione e counseling per i genitori.

Nella prima osservazione effettuata presso il Centro Studi Logos si evidenzia:

  • Assenza del linguaggio, costituito unicamente da nenie e da continui suoni cantilenanti che aumentano di intensità nel momento in cui il bambino mostra maggiore frustrazione mentre diminuiscono quando svolge un’attività a lui piacevole.
  • Il contatto fisico è ricercato solo in determinati momenti e si attua solamente con la madre  e solo quando necessita di qualcosa. Il contatto oculare è assente. Lo sguardo appare triste e perso nel vuoto. Solo in rari momenti, quando Matteo  svolge un’attività piacevole rivolge un breve sguardo verso il terapeuta.
  • Il bambino appare indifferente alle proposte di gioco. Durante l’intera osservazione non intraprende alcuna vera attività, ma si limita a manipolare in maniera afinalistica e per pochissimi secondi i vari oggetti per poi abbandonarli subito dopo.
  • Le relazioni appaiono diverse con le varie persone presenti nella stanza: con il terapeuta la relazione è quasi nulla. Le uniche interazioni sono finalizzate al soddisfacimento di alcuni bisogni. Con la madre si può osservare una maggiore relazione, il bambino si rivolge a lei quando è spaventato e  vuole la sua presenza quando si sposta in una diversa stanza del centro anche se  poi la ignora.
  • L’aspetto emotivo principale è l’indifferenza e la presenza di malinconia: solo in alcune occasioni la sua emotività varia in relazione all’evento, ma questa appare sproporzionata rispetto alla reale situazione. Si può notare la presenza di emozioni positive solo in presenza di un oggetto preferito.
  • Non è presente accettazione delle frustrazioni: Matteo infatti mostra, in alcuni momenti, di essere infastidito dalla situazione, e dal non poter svolgere le attività da lui desiderate. Appare, ad esempio, insofferente alla presenza dei numerosi giocattoli proposti dal terapeuta, al punto di scalciarli per poi trattarli con indifferenza.
  • Non sono presenti stereotipie fisiche, al contrario si osservano stereotipie verbali consistenti in nenie e ripetizioni di suoni monotoni. Vi è, inoltre,  la presenza di un interesse stereotipato verso un determinato stimolo (un video per bambini che visiona frequentemente, che si trova nel telefono della madre).
  • Manca l’attenzione e la concentrazione per quasi tutti gli stimoli proposti: Matteo dimostra di avere una sufficiente attenzione solo durante la visione del video. Il suo sguardo non è agganciabile e si mostra indifferente  alle persone presenti nella stanza.

Si programmano per lui quattro tipi di interventi:

  • Sulla coppia genitoriale al fine di ridurre i conflitti presenti e migliorare il clima familiare .
  • Sul rapporto genitore-figlio, in modo tale da aiutare i genitori a comprendere gli stati d’animo ed i bisogni di Matteo, per meglio relazionarsi con il bambino.
  • Sulla sorella al fine di migliorare  la  capacità di relazionarsi e di collaborare assieme durante le attività di gioco.
  • Per stimolare al massimo la libera espressione emotiva e relazionale del bambino si è pensato di effettuare un percorso psicoterapeutico affettivo-relazionale mediante l’utilizzo del Gioco Libero Autogestito.

 Il gioco è un’attività che accomuna molti esseri viventi, in quanto permette ai cuccioli di molte specie di animali di fare nuove esperienze e sviluppare tutte le capacità dell’individuo: motorie, intellettive, affettive, sociali, creative. Il gioco permette anche di entrare in contatto con le proprie emozioni imparando a controllarle e gestirle. I bambini possono svolgere diverse tipologie di gioco (rappresentativi, simbolici, sociale, di abilità ed altri). Questi giochi possono essere “guidati”: in questo caso gli adulti, in relazione agli obiettivi che si propongono, guidano il gioco del bambino al fine di ottenere determinati risultati; “Liberi” quando i bambini sono indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono  invece delle regole che loro stessi decidono; “Autogestiti” nei quali è il bambino a condurre il gioco, mentre il Terapeuta o l’adulto fungono da aiuto.

Con l’utilizzo della tecnica del Gioco Libero Autogestito il bambino ha la possibilità di spostarsi liberamente all’interno dei luoghi nei quali si trova e scegliere di giocare nel modo e con le persone che preferisce per il tempo voluto. Questo tipo di gioco gli permette di acquisire maggiore serenità e fiducia,  in quanto, essendo libero di scegliere l’attività da svolgere eviterà di provare continue frustrazioni. In tal modo diminuiranno le sue ansie e paure, per cui, col tempo,  aumenterà la fiducia nei confronti del mondo e di se stesso.

La difficoltà di attuare la tecnica del Gioco Libero Autogestito sta nell’accettare di rendersi gregario del bambino, così da far svolgere ciò che lui desidera, anche se i suoi giochi possono apparire noiosi e ripetitivi. Allo stesso tempo il terapeuta o l’adulto dovrà essere in grado di far percepire al bambino di essere lì con lui e per lui, senza essere allo stesso tempo invadente.

La psicoterapia di Matteo, della durata complessiva di quattordici mesi viene effettuata  individualmente ma sono accettate le presenze sia dei genitori che della sorella se richieste dal bambino. Le sedute si svolgono in media una volta alla settimana ed hanno una durata di quarantacinque minuti. Tutte le sedute sono registrate su carta dallo psicologo osservatore, mentre ogni tre mesi circa sono videoregistrate.

Riportiamo qui di seguito quattro sedute effettuate a distanza di tre-quattro mesi l’una dall’altra.

Area linguistica e comunicativa:

  • 13ª seduta. Il bambino produce continue ed incessanti nenie, che si accentuano nei momenti in cui appare infastidito da qualcosa: raramente si nota la comparsa di vocalizzazioni coerenti all’attività svolta.
  • 24ª seduta. sono ancora presenti le nenie lamentose, ma solo quando Matteo  si mostra annoiato e/o infastidito.  In altri momenti si evidenziano delle vocalizzazioni che sembrano imitare il suono di alcune parole (come se tentasse di commentare le sue azioni). Sono presenti, inoltre, alcune forme di comunicazione non verbale, come indicare ciò di cui il bambino ha bisogno.
  • 31ª seduta. Rispetto alle sedute precedenti il bambino presenta una graduale diminuzione delle nenie, mentre sono in aumento numerose vocalizzazioni, insieme a suoni sillabati, ad esempio “pa-ppa”, coerenti e finalizzati alle attività svolte. È presente una maggiore comunicazione non verbale con la quale Matteo fa capire, quando ha bisogno di aiuto durante la seduta.
  • 36ª seduta. Dopo un anno di terapia il linguaggio di Matteo è ora caratterizzato da una notevole diminuzione delle nenie e delle vocalizzazioni afinalistiche  che erano presenti, nei primi incontri, durante l’intera seduta. Si nota invece l’imitazione di suoni  durante lo svolgimento dei giochi: ad esempio: “Brum-brum” mentre fa’ volare un aeroplanino. Sono comparse alcune parole espresse ancora in maniera non del tutto corretta  ( “mamma”, “scarpa”, “cioccolato”, “Giulia”, “forchetta”, “qua”, “verde”, “papà”, “acqua”, “bravo”, “bella” ed altre).  La comunicazione non verbale è ormai ampiamente utilizzata per farsi capire e per farsi aiutare allo scopo di ottenere quanto desiderato.

Contatto fisico e oculare:

  • 13ª seduta. Matteo presenta una lieve accettazione della vicinanza fisica che varia in relazione al suo stato emotivo. Tale contatto è ricercato maggiormente con la madre, sporadicamente con il terapeuta (ad esempio lo prende per mano per farsi accompagnare nella stanza adiacente). Il contatto oculare è scarso verso il terapeuta e gli osservatori, mentre risulta completamente assente nei confronti della sorella che  ignora totalmente.
  • 24ª seduta. Per quanto riguarda la vicinanza fisica non vi sono particolari differenze rispetto all’osservazione precedente. Il contatto oculare è maggiormente presente, soprattutto quando ha bisogno di essere aiutato nello svolgere le attività da lui desiderate, anche se spesso tende ancora ad estraniarsi.
  • 31ª seduta. Inizialmente il bambino si mostra diffidente verso il terapeuta, tuttavia si può notare come, durante la seduta, aumentino i momenti di contatto fisico: si lascia coccolare o prendere in braccio quando ha bisogno di aiuto per raggiungere un oggetto posto in alto. Sembra comunque, che Matteo non ricerchi spontaneamente il contatto fisico. Per quanto concerne il contatto oculare, questo è maggiormente presente: sia verso il terapeuta che verso l’osservatrice.
  • 36ª seduta. Possiamo notare come, dopo un anno di terapia, i comportamenti di Matteo siano finalizzati alla ricerca di contatto fisico con i familiari ma anche con il terapeuta. Il bambino infatti si avvicina spontaneamente a quest’ultimo e si lascia coccolare da lui per un tempo prolungato. Il contatto oculare è notevolmente aumentato, ricerca con lo sguardo la presenza materna, ed interagisce girandosi quando viene chiamato o quando vuole condividere un particolare avvenimento con le persone presenti.

Giochi:

  • 13ª seduta. Attualmente Matteo svolge un maggior numero di giochi, questi appaiono finalizzati ed adeguati al suo sesso. Alcuni di questi sono di tipo simbolico (fa finta di piantare un fiorellino, imita il parlare al telefono). Alcuni dei giochi proposti dal terapeuta sono accettati dal bambino, anche se tende a metterli in atto da solo in un momento successivo. Notiamo che quando Matteo inizia ad annoiarsi o ad infastidirsi le sue attività assumono le caratteristiche di manipolazioni afinalistiche e sono maggiormente presenti nel gioco comportamenti stereotipati.
  • 24ª seduta. Non vi sono significativi cambiamenti rispetto alla seduta precedente; tuttavia  il bambino sembra accettare maggiormente le proposte di gioco da parte del terapeuta. Proposte che mette subito in atto, sia partecipandovi attivamente, sia facendosi aiutare dal terapeuta.
  • 31ª seduta. Matteo svolge un minor numero di giochi (di rappresentazione, di imitazione, giochi ludici), ma questi risultano essere meglio finalizzati, prolungati nel tempo ed adeguati all’età. Nella maggior parte dei momenti il gioco risulta essere condiviso con il terapeuta. Appaiono, pertanto diminuiti i suoi momenti di isolamento. Sono però ancora presenti delle stereotipie: sia nel modo di utilizzare gli oggetti, che nella preferenza data ad alcuni tipi di gioco.
  • 36ª seduta. In questa seduta il bambino è più propenso alla condivisione delle attività di gioco, sia con i familiari che con il terapeuta. Gli oggetti sono utilizzati in modo adeguato (ad esempio corre per la stanza con un aereoplanino in mano imitandone il volo ed il suono). Spontaneamente Matteo si avvicina al terapeuta ed alla sorellina per partecipare e condividere il gioco da loro intrapreso 

Area Affettivo-Relazionale:

  • 13ª seduta. Matteo si mostra all’inizio della seduta diffidente nei confronti del terapeuta: si divincola quando viene preso in braccio, gira il capo o si allontana quando il terapeuta cerca di interagire con lui. Questi comportamenti tendono a diminuire gradualmente durante la seduta, nel momento in cui il bambino ha acquisito una maggiore fiducia nei confronti del terapeuta. Con la madre è presente un rapporto finalizzato ad essere consolato quando è spaventato da qualcosa o quando vuole estraniarsi mediante l’uso stereotipato del telefono cellulare. È  invece assente il rapporto tra il bambino e la sorellina.
  • 24ª seduta. Si notano dei cambiamenti rispetto alla seduta precedente: il bambino mostra maggiore fiducia nei confronti del terapeuta, accettando i suoi suggerimenti e ricercandolo per svolgere le sue attività preferite. Diminuiscono i momenti di isolamento in quanto quando gli viene data maggiore attenzione Matteo è più partecipe, invece se la sua relazione non viene ricercata attivamente tende ad isolarsi. Si inizia ad intravedere un desiderio di relazionarsi con la sorella. Tuttavia, quando si vede rifiutato o non accettato nel gioco, il bambino non insiste, la ignora e si isola.
  • 31ª seduta. Non vi sono particolari cambiamenti, Matteo appare più sereno riuscendo ad accettare maggiormente la vicinanza del terapeuta e le sue manifestazioni d’affetto, nonostante ancora non vi sia la tranquillità necessaria per poter vivere appieno la relazione.
  • 36ª seduta. La relazione risulta notevolmente migliorata sia col terapeuta che con le persone significative: genitori e sorella, con le quali gioca attivamente. Il rapporto con la sorella è notevolmente migliorato: il bambino la cerca spontaneamente e ne imita i comportamenti ed i giochi.

Area  emotiva:

  •    13ª  seduta.Matteo mostra un umore prevalentemente malinconico, annoiato e, a volte, notevolmente triste. È  poco partecipe alle attività proposte, queste ultime vengono accettate passivamente o ignorate.
  •    24ª seduta. E’ presente una marcata tristezza che gli impedisce di giocare serenamente e per un tempo prolungato. La sua passività è lievemente diminuita in quanto possiamo riscontrare dei rari tentativi di portare avanti delle attività che lo interessano particolarmente. In questi casi i suoi lamenti malinconici cessano, lasciando il posto a vocalizzazioni finalizzate. Nei confronti della sorella comincia a reagire quando subisce dei dispetti.
  •    31ª seduta. Nonostante sia ancora presente e manifesti la sua sofferenza interiore, Matteo, a tratti, durante lo svolgimento di alcune delle sue attività preferite, mostra attraverso la mimica facciale, un certo piacere. Piacere che condivide con lo sguardo. Il bambino appare, inoltre, meno passivo.
  •    36ª seduta. Diversamente dalle sedute precedenti il bambino è più sereno. La maggiore serenità si evince dalla mimica facciale che appare rilassata, svagata, sorridente e congruente al contesto. Inoltre Matteo mostra degli atteggiamenti positivi durante il gioco. Nel momento in cui non viene coinvolto dalla sorella nei giochi da lei intrapresi mostra chiaramente disappunto, risentimento e tristezza.

Accettazione delle frustrazioni:

  •    13ª seduta. La tecnica del “Gioco Libero Autogestito” non prevede alcuna regola da imporre al bambino, non è, quindi, possibile riscontrare chiare occasioni frustranti per Matteo. Tuttavia, si può notare come lo stato di sofferenza interiore presente nel bambino non gli permetta di accettare neanche le piccole frustrazioni ed i suggerimenti dati dal terapeuta.
  •    24ª seduta. In questa seduta Matteo comincia ad accettare maggiormente le proposte del terapeuta anche se non riesce ad attuarle pienamente.
  •    31ª seduta : Il bambino, essendo più sereno, riesce ad accettare delle piccole frustrazioni e la partecipazione dell’altro nelle sue attività. Tuttavia, quando Matteo percepisce tali interazioni come eccessive, tende ancora ad allontanarsi e/o ad abbandonare l’attività.
  •    36ª seduta. Rispetto alle precedenti osservazioni ,vi è una migliore accettazione delle frustrazione e manifesta chiaramente le emozioni provate in quel particolare momento.

 Stereotipie fisiche e verbali: 

  •    13ª seduta. Nonostante il bambino non presenti stereotipie fisiche, è possibile notare la presenza di stereotipie verbali che si intensificano nei momenti in cui è maggiormente infastidito da situazioni o persone presenti.
  •    24ª seduta. Rispetto all’osservazione precedente sono ancora presenti le nenie e le stereotipie verbali, ma queste diminuiscono soprattutto quando il bambino svolge attività per lui piacevoli. Durante le sedute si è potuto notare un interesse stereotipato nella scelta, nella modalità di utilizzo dei giochi..
  •    31ª seduta. Matteo non mostra significative differenze rispetto alla seduta precedente, in quanto, nonostante le stereotipie verbali e negli interessi, siano diminuite, tuttavia permangono soprattutto nei momenti in cui è infastidito.
  •    36ª seduta. Le stereotipie verbali sono notevolmente diminuite. Le nenie e le vocalizzazioni inusuali sono state sostituite da vocalizzazioni contestualizzate. Visto l’evidente miglioramento nelle aree sopra citate e visto l’interesse di Matteo nel condividere maggiormente le sue attività con le persone presenti, i suoi atteggiamenti stereotipati verso le attività di gioco sono ridotti.

Attenzione  e concentrazione:

  • 13ª seduta. L’attenzione di Matteo è estremamente labile, il bambino tende ad isolarsi e a chiudersi. Raramente partecipa alle attività proposte o si gira se chiamato per nome. Nella seconda parte della seduta l’attenzione e la concentrazione si riducono ancora di più, e le attività sono svolte in maniera afinalistica e con indifferenza.
  • 24ª seduta. Nonostante l’attenzione sia ancora molto labile, il tempo dedicato alle singole attività è maggiore. Possiamo notare come la sua concentrazione sia altalenante, passando da momenti in cui Matteo presta attenzione a ciò che gli viene mostrato dal terapeuta, a momenti in cui si isola, ignorando l’ambiente circostante.
  • 31ªseduta. Matteo presta attenzione in maniera più prolungata sia verso le attività da lui scelte, sia verso quelle proposte dal terapeuta. Risulta altresì maggiormente concentrato durante lo svolgimento delle attività da lui scelte, anche se la durata totale di queste rimane breve.
  • 36ª seduta. Rispetto alle sedute precedenti si evidenzia, in questa, una migliore capacità di attenzione condivisa, sia verso gli oggetti sia verso i giochi svolti da altri. I momenti di estraniamento dalla realtà sono significativamente ridotti e la concentrazione è maggiormente prolungata e finalizzata all’attività da svolgere.

Conclusioni:

In conclusione, considerando il percorso di terapia cha Matteo ha svolto  presso il nostro Centro, è possibile riscontrare numerosi miglioramenti nelle aree sopra descritte ma anche nella qualità dei rapporti con i propri familiari. Per quanto concerne la comunicazione Matteo ad oggi riesce a comunicare agli altri i propri desideri e bisogni utilizzando piccole parole e soprattutto il linguaggio non verbale, per cui riesce ad indicare e  mostrare gli oggetti da lui desiderati. Il bambino cerca i vari interlocutori sia fisicamente che mediante lo sguardo, condividendo i suoi momenti di gioco e le nuove esperienze fatte.

I giochi che il bambino  attualmente svolge non sono più semplici rituali stereotipati, ma attività organizzate, complesse e complete. Matteo ha trasformato tali attività afinalistiche in modi per imparare ed apprendere nuove conoscenze (durante i suoi giochi con l’acqua ad esempio ha imparato che la carta gettata al suo interno si deteriora, o che versando l’acqua in un imbuto questa non rimane nel contenitore in cui è stata versata ma scende nel recipiente sottostante). Matteo ha inoltre imparato ad accettare piccole regole e frustrazioni. Le sue capacità attentive e di concentrazione sono aumentate permettendo al bambino di svolgere le attività per un tempo prolungato. La psicoterapia condotta con Matteo ha permesso, inoltre, l’instaurarsi di un circolo virtuoso che ha apportato dei cambiamento non soltanto nel bambino ma anche nelle relazioni tra i membri del nucleo familiare, Il bambino, ad esempio, quando svolge i suoi giochi nella stanza dove si trovano la madre ed il padre, ricerca questi e si attiva per condividere le sue esperienze e per avere un contatto affettivo. Il miglioramento del bambino è andato di pari passo con il miglioramento della relazione tra i suoi genitori e tra questi e l’altra figlia.  

 

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Il più importante programma di stimolazione logica e cognitiva: oltre 9.000 schede, per un totale di 27.000 prove-stimolo, distribuite in undici livelli, uno per ogni età mentale o cronologica.

 

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Tanti idee e suggerimenti per i bambini disabili.

 

 

 

Conosciamo meglio i nostri bambini.http://www.cslogos.it/uploads/images/BAMBINI/Diapositiva32.JPG

 

 

 

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ADULTI/Diapositiva3.JPGIn questa sezione sono raccolte le esperienze più significative effettuate dagli operatori e dai genitori, che sono state fatte pervenire al Centro Studi Logos di Messina

 

 

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