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Infedeltà e gelosia

 

L’aumento dell’infedeltà

Quando l’intesa amorosa, che si stabilisce tra un uomo e una donna, si rende concreta in un legame progettuale importante, finalizzato alla vita e proiettato nel futuro, il rapporto stabile e privilegiato con il partner, che si rende concreto nel fidanzamento e poi, ancor più, nel matrimonio vive di dialogo, scambio, solidarietà, complicità, sostegno e appoggio reciproco. Questo rapporto soprattutto vive ed è sostenuto da una condizione di stabilità e continuità che sono indispensabili per la nascita della fiducia, della stima, dell’amore e della donazione reciproca.

Poiché la fedeltà dell’uno, stimola nell’altro il bisogno di ricambiare tali comportamenti responsabili, attenti e rispettosi, un rapporto stabile ed esclusivo tra i due sessi è fondamentale per costruire la fiducia di base verso l’altro, ma anche per avere una visione positiva dei rapporti amorosi. Quando tutto ciò viene a mancare, quando il legame con la persona che amiamo e stimiamo è inficiato da infedeltà e tradimenti, quando uno dei due instaura con altri, quel rapporto e legame privilegiato che dovrebbe essere fondamento d’ogni coppia sana e responsabile, allora non possiamo che aspettarci delle conseguenze traumatiche e gravi. Tra queste conseguenze sicuramente la più drammatica e distruttiva è data dal sorgere o dall’accentuarsi dei comportamenti aggressivi e violenti.

Sono descritti vari tipi d’infedeltà.

L’infedeltà relazionale

Questa è dovuta all’insoddisfazione nei rapporti con il proprio partner a causa d’una mancanza nell’intesa sessuale, nella comunicazione, nella comprensione o nel sostegno reciproco. In questi casi l’intesa e il dialogo produttivo tra le due persone sono deteriorati a causa dei sentimenti sopiti o totalmente spenti, che non permettono agli impulsi amorosi di offrire gli apporti sperati, fatti d’intimità e benessere psicologico. L’impoverimento o la stanchezza della vita a due, non solo non dà più frutti positivi ad entrambi ma diventa motivo di continua sofferenza e tristezza, per il nascere di atteggiamenti malevoli e distruttivi, ma anche per l’insorgere di gelosie morbose, aggressività e ripicche reciproche.

Tutto ciò rende la casa luogo di scontro e non d’incontro e la vita a due non un modo per aiutarsi a vicenda ma per farsi del male a vicenda, mediante continui dispetti e cattiverie nei confronti dell’altro, senza esclusione di colpi. La relazione rischia di diventare uno strumento per togliere qualcosa all’altro, per mortificare e aggredire l’altro e non certo per gratificarlo e dargli gioia, sicurezza e appagamento.

L’infedeltà compensatoria

Gli infedeli di questo tipo cercano di colmare il vuoto che avvertono nella convivenza o nel matrimonio, investendo in una relazione complementare e compensatoria [1]. In definitiva la persona che tradisce mantiene la non perfetta e soddisfacente relazione coniugale, per evitare la rottura del matrimonio, che comporterebbe importanti conseguenze economiche e gravi esiti sui figli e nell’ambiente sociale ma, nello stesso tempo, cerca all’esterno della coppia una relazione, a volte molto fuggevole, come può essere quella con una prostituta, oppure stabile nel tempo con un’amante, che in qualche modo riesca a compensare le carenze di cui soffre nel rapporto con il partner.

 

L’infedeltà pretesto

Questo tipo d’infedeltà è attuato da entrambi i sessi, ma soprattutto dalle donne, che lo giudicano come lo strumento più rapido e idoneo a provocare la rottura del matrimonio, ben sapendo che da parte dell’uomo è difficile perdonare un eclatante tradimento sessuale o sentimentale.

L’infedeltà per vendetta

In questo caso si tradisce per vendicarsi di un torto subìto, così che l’altro provi lo stesso dolore e la stessa sofferenza. I torti possono riguardare la sfera sentimentale e sessuale ma possono anche riguardare patti e condizioni non rispettate, violenze subite o anche semplicemente richieste e capricci non soddisfatti da parte del partner. 

Infedeltà nevrotica

Una delle forme nevrotiche di vivere le relazioni di coppia è quella di cercare continuamente delle altre persone alternative, trascurando, senza un particolare motivo, quella che già si vive e con la quale, forse, è stata già formata una famiglia. In questi casi il soggetto è bensì soddisfatto della sua compagna ma avverte un bisogno incoercibile di vivere altre storie alternative[2]. A volte si tratta soltanto di un bisogno inconscio di dimostrare a sé stessi, prima che agli altri, le proprie capacità di fascino, seduzione o virilità. Altro comportamento nevrotico è spesso quello effettuato da uomini e donne d’una certa età, che lasciano la moglie o il marito per risposarsi o convivere con qualcuno molto più giovane di loro. In questo comportamento si può scorgere l’intento di verificare, aver prova e sostenere le proprie capacità di seduzione e l’incapacità di accettare il trascorrere del tempo, ma anche il bisogno di risvegliare, nell’incontro con un corpo giovane, gli ultimi bagliori di emozioni sentimentali e sessuali invecchiate e quindi da tempo sopite. Queste persone passano spesso dall’esaltazione provata per la conquista di un partner più giovane e bello di loro, alla depressione più nera e profonda, nel momento in cui l’entusiasmo iniziale si sgonfia, la novità e la passione perdono il loro mordente oppure non si vogliono più subire umilianti ricatti.

 I bisogni nevrotici sono frutto di un’educazione e formazione umana poco attenta ai bisogni e alle necessità profonde dei minori. Quando poi questi si affacciano alla vita adulta, portano con sé una personalità disturbata da conflitti interiori non risolti, cosicché sono facili prede e vittime di bisogni e comportamenti francamente immaturi. Se a questo tipo di personalità infantile si aggiunge la mancanza di un bagaglio formativo ricco di valori fondamentali, come l’onore, la lealtà, la responsabilità, la correttezza, l’impegno verso l’altro e verso la società, si potranno comprendere molto bene i comportamenti di queste persone.

L’infedeltà multipla

Alcuni, quando non riescono a trovare la persona perfetta da amare, che possa soddisfare pienamente tutti i loro bisogni estetici, sociali, economici, sessuali e sentimentali, sperano di ottenere la donna o l’uomo perfetto, frequentando più persone. In tal modo possono prendere da ognuna di esse una o più qualità cercate e desiderate. In definitiva l’infedele multiplo s’illude di creare, come in un puzzle, l’uomo o la donna sognata prendendo da una persona il corpo scultoreo, dall’altra l’intelligenza vivace, da un’altra i soldi o la cultura, da un’altra ancora le capacità amatorie e così via. È inutile dire che questa è solo un’illusione, poiché volente o nolente in ogni relazione che s’intraprende, è impossibile scindere gli aspetti positivi da quelli negativi. Per tale motivo l’infedele multiplo sarà costretto ad accettare, insieme ai pregi, anche i difetti di ogni persona frequentata.

L’infedeltà dovuta alla solitudine e alla lontananza

Nella nostra società globalizzata è frequente l’adulterio provocato dalla lontananza fisica del partner per motivi di lavoro. Gli uomini e le donne che si spostano per lavoro lontano da casa sono in Italia oltre seicentomila. Sono chiamati “i pendolari della famiglia”. Le coppie restano divise per la maggior parte della settimana da centinaia, se non da miglia di chilometri, avendo soltanto come unico legame relazionale i telefoni, le video - chiamate e i messaggini. In queste “famiglie pendolari”, il più delle volte i figli stanno con la madre, mentre il padre resta lontano per quasi tutta la settimana in un’altra città o, a volte, in un’altra regione, se non in un altro stato, per tornare in famiglia soltanto il venerdì sera o il sabato mattina. Anche se più raramente può succedere il contrario, per cui è il padre che resta con i figli che, di fatto, sono prevalentemente gestiti dai nonni, ed è la moglie che, nei fine settimana, si sposta per raggiungere il marito.

In questi casi i due partner si ritrovano, per lunghi periodi soli, in ambienti diversi e in città diverse e si relazionano per molti giorni con persone diverse. Ciò può favorire senza dubbio il tradimento consolatorio, causato dalla solitudine e della maggiore fragilità psicologica. Questa situazione può però provocare nel tempo una grave e insanabile frattura nella coppia.

Oltre alla solitudine e alla fragilità psicologica, nei predetti casi i motivi che spingono all’infedeltà di coppia possono nascere anche dai conflitti che si creano nel momento in cui, uno dei due o entrambi, avrebbero voluto che l’altro, rinunciando al suo lavoro o gestendolo in maniera diversa, avesse potuto rinunciare a spostarsi in un’altra città e restare vicino alla famiglia.

L’infedeltà “usa e getta” o “ mordi e fuggi”

 Se, come abbiamo detto sopra, in alcuni periodi e in alcune società il tradimento può nascere a causa della solitudine, della mancanza di comunione e dialogo, per la scarsa attenzione ai bisogni dell’altro o per motivi di nevrosi, per cui il partner infedele si sente in qualche modo giustificato nei suoi comportamenti, nel nostro periodo storico, con la massiccia diffusione della libertà sessuale e sentimentale, l’infedeltà ha assunto altre e più gravi caratteristiche.

Alcune persone, ed oggi sono tante, vedono la vita e il rapporto con gli altri in modo estremamente semplicistico, individualistico ed edonistico. Pertanto, non credendo nella monogamia o nella fedeltà, si sentono in diritto di avere rapporti sentimentali e sessuali con chi capita, quando capita, senza porsi alcun problema etico o morale. Queste persone pensano che sottomettersi alla legge morale significa reprimersi[3].

I motivi sono tanti:

  1. Nelle società occidentali, le norme religiose e morali hanno perduto ormai da molto tempo, la capacità di indirizzare i comportamenti privati. La bontà di un’azione è giudicata da quello che ci si aspetta di ottenere in quel momento e non dalla considerazione che quell’azione sia giusta o ingiusta, sia conforme ai dettami della coscienza oppure no, sia o no moralmente lecita. In definitiva il danno che quell’azione può comportare alla stessa persona che la compie o agli altri, non è tenuto in alcuna considerazione o è ampiamente sottovalutato. In un’orgia di consumismo, individualismo, libertà sfrenata, senza alcun punto di riferimento ad un sistema di valori morali che trascenda l’individuo, è la persona stessa che crea i propri valori. “Un tempo era la società a giudicare una certa relazione sessuale morale o immorale, giusta o ingiusta; oggi i singoli si sono presi questo diritto di giudicare” (Harding, 1951, p. 212).  Il criterio ultimo per distinguere il bene dal male è suggerito dall’autorealizzazione e dal soddisfacimento immediato dei propri desideri e bisogni. Per tali motivi è concessa a tutti la possibilità di rendere ogni scelta sentimentale e sessuale totalmente e facilmente reversibile, in base ai propri desideri e bisogni del momento. A tutti, in definitiva, è concessa la possibilità di tornare sui propri passi, in modo tale da essere pienamente liberi nelle varie e molteplici relazioni. Pertanto, quando si ritiene che una situazione sentimentale o sessuale, che oggi è chiamata semplicemente “storia”, non sia sufficientemente valida e confacente, questa può essere interrotta in qualsiasi momento, con estrema facilità con un semplice messaggino, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze che questo tipo di comportamenti può provocare alle persone coinvolte, ai minori e alla società nel suo complesso. Per Harding [4]: “Il caos che oggi regna nella morale sessuale è un fatto assolutamente moderno. In altre età il codice mutava con l’andar dei secoli; ma in genere, tutti quelli che si trovavano nelle medesime circostanze si attenevano a uno stesso codice”.
  2. L’amore è spesso ridotto a semplice infatuazione momentanea, se non a un’immediata soddisfazione sessuale. Aboliti ogni norma, ogni dovere, ogni obbligo morale o religioso, nonché ogni regola di comportamento, tacitati i sensi di colpa, pur d’inseguire il sogno e il desiderio di una felicità imperitura o almeno qualche ora o momento di piacere, non resta altro che scegliere la persona che più ci aggrada e ci attira o che in quel momento aneliamo conoscere, anche se, obiettivamente, si tratta soltanto dello sfizio d’un momento. In tal modo, pur di soddisfare ogni nostro immediato interesse, desiderio o capriccio, sono possibili infinite scelte e cambiamenti. Tra l’altro questa molteplicità di scelte è giudicata, dalla nostra odierna società occidentale, come qualcosa di moderno, poiché tende a rompere i rigidi schemi e dettami del passato. Per tale motivo lo scegliere come partner la persona che più ci aggrada, non importa se già fidanzata, sposata o convivente, è giudicato da ampi strati sociali un comportamento non solo naturale ma anche adeguato ai nostri tempi.
  3. Altra causa della continua e incessante ricerca di altre persone con le quali avere dei rapporti “mordi e fuggi” è data dai numerosissimi messaggi che riceviamo ogni giorno, ad opera di un consumismo imperante. Messaggi che ci stimolano a sostituire e cambiare tutto ciò che non risponde ai nostri desideri e bisogni del momento. Pertanto, se quella donna o quell’uomo con cui abbiamo instaurato una relazione non ci dà in quel momento, ciò che ci aspettiamo, è giusto e sacrosanto cercare un’altra donna o un altro uomo, che ci offra quanto da noi in quel momento desiderato e cercato.
  4. A ciò si aggiungono gli stimoli presenti in una società fondata sui sentimenti e sulle emozioni del momento. Questo tipo di società insegna a disprezzare e disfarsi di ogni rapporto stanco e deludente, privo di quella passione e di quel mordente che possedeva nel periodo dell’innamoramento, proprio come di un bene di consumo “usa e getta” e giacché è risaputo che nel tempo, il calo della passione in una coppia non solo è fisiologico ma è anche scontato, è evidente che in questa logica sono molto pochi i rapporti che hanno la possibilità di salvarsi e di essere duraturi.
  5. Vi è poi un altro elemento da non sottovalutare ed è la convinzione diffusa da una psicologia spicciola, poco o nulla scientifica, che collega il nostro malessere personale alle persone che in quel momento frequentiamo. Come dire: “Se tu non sei felice, anzi sei triste, ansioso, soffri di disturbi psicosomatici, sappi che quasi sicuramente, questi problemi sono dovuti alle persone che frequenti. Pertanto per curare il tuo umore, la tua ansia, la tua depressione è necessario cambiare vita. Soprattutto è necessario rimpiazzare le persone che ti stanno vicino, poiché sicuramente sono loro la causa dei tuoi malesseri”. Cosa molto spesso non vera, poiché buona parte dei nostri problemi psicologici ha origini molto lontane nel tempo.
  6. I facili rapporti mordi e fuggi sono dovuti anche alla frattura di quel gioco delle parti legato ai ruoli sessuali. Non più gli uomini che “ci provano”, mentre le donne con maggior criterio e sano discernimento selezionano e giudicano e per lo più negano di lasciarsi trasportare da avventure inconcludenti o negative, ma “tutti insieme appassionatamente”, uomini e donne alla ricerca di “storie” che siano apportatrici, anche se per pochi giorni, poche ore o qualche minuto, di passioni, piaceri ed emozioni violente, consumate in fretta, che si concludono altrettanto rapidamente lasciando molto amaro in bocca.

Per tali motivi se fino a qualche anno fa la libertà sentimentale e sessuale era ammantata della necessità di rispondere all’impulso amoroso e pertanto si affermava con forza: “Va’ dove ti porta il cuore”; o anche “Al cuore non si comanda”, oggi la motivazione sentimentale non è più necessaria. Il “mi piace e basta” serve a tappare la bocca a chiunque osi criticare o limitare ogni atteggiamento e comportamento iperliberale. “Mi piace e basta” quell’uomo, quella donna, quel gay, quella lesbica, quel transessuale. “Mi piace e basta”. E non importa se accanto a me o alla persona che mi piace avere come amante, vi è qualcuno che ha investito su quella relazione sogni, pensieri, sentimenti e anni della propria vita. Non importa se vi sono dei figli che soffriranno e grideranno il loro sconcerto, la loro inquietudine e la loro rabbia. “Mi piace e basta”. Queste quattro semplici paroline sono sufficienti a scacciare ogni critica e senso di colpa anche nei confronti delle reti familiari. Per Pirrone [5]:

“La relazione amorosa assume forme svariate, divenendo una realtà informe e mutevole, senza più tratti caratterizzanti, nemmeno quelli della differenza sessuale - contestata dalla cultura omosessuale e dalle recenti teorie del gender – né dalla generazione personale dei figli, aggirata dalle tecniche di fecondazione artificiale! La sempre maggiore flessibilità dello stare insieme, il credere sempre e comunque che tutto è relativo, trova riscontro, per esempio, in una nuova forma di relazione amorosa, definita “Living Apart Together” (Vivere insieme a parte o Vivere non insieme) LAT che va ad affiancarsi alle già presenti forme di convivenza senza matrimonio ”.  In questo tipo di relazioni le coppie decidono di vivere in casa separate. [6]

D’altra parte trovare un altro o un’altra che sia disponibile a questo tipo di rapporti, è diventato estremamente facile. È possibile “agganciare” un’altra o un altro per strada, sull’autobus o in metropolitana. È possibile farlo nell’ambiente di lavoro, come in palestra o in discoteca. In ogni luogo vi è la possibilità di effettuare incontri brevi, stuzzicanti e piacevoli. Per prendere contatto, incontrare e iniziare non una ma una molteplicità di “storie” che possono concludersi in pochi giorni o anche in pochi minuti di sesso vissuti nei bagni di qualche locale, vi è la possibilità di utilizzare internet e gli altri mezzi elettronici. Questi strumenti tecnologici, presenti ormai in ogni casa, come in ogni tasca o borsetta, sono pronti a mettere a disposizione e offrire, in ogni ora del giorno e della notte, centinaia di siti d’incontri reali e virtuali, che è possibile frequentare più o meno protetti dall’anonimato. Se tutto ciò non dovesse bastare, è possibile utilizzare i vari social network e chat, con i quali si possono inviare e ricevere centinaia di messaggi accattivanti. Pertanto, ormai da qualche decennio, il cercarsi, il trovarsi, l’innamorarsi o semplicemente il fare sesso, stando comodamente seduti nella propria casa, nel proprio ufficio o nel posto di lavoro, è diventato molto facile e immediato.

Per attirare e provocare l’attenzione dell’altro o dell’altra, può essere utile un corpo scultoreo. E ciò si prova ad ottenere frequentando le affollatissime palestre o iniziando interminabili diete. In aggiunta ad un corpo perfetto si può ricorrere a vari stratagemmi, tra i quali l’uso di numerose esplicite comunicazioni verbali e non verbali rivolte verso l’altro. Spesso si sprecano, in un clima di piena libertà e amicizia, sorrisi, atteggiamenti e ammiccamenti, che trasmettono segnali di disponibilità affettiva, amorosa o semplicemente sessuale.

Allo stesso modo è accettato e incoraggiato, perché così fan tutti, il portare degli indumenti capaci di sorprendere, provocare, attirare, sedurre. Vestiti e accessori che stimolino l’interesse e i desideri, così da invogliare l’altro a lasciarsi andare ai sospirati approcci. Indumenti quindi capaci di evidenziare, esaltare e scoprire le parti del corpo atte a provocare un’intensa stimolazione sessuale. E tutto ciò non solo senza alcuno scrupolo verso il pudore, ma anche senza preoccuparsi minimamente che questi messaggi possano anche essere recepiti da persone che non vorremmo affatto incontrare sulla nostra strada.

Tuttavia, nonostante il nostro bisogno di socialità e dialogo vero e profondo, nonostante la facilità nell’iniziare una relazione, ci accontentiamo anche di esperienze sessuali molto povere che sfociano nel ridicolo, come gli scambi di coppia o, peggio ancora, l’uso di bambole di gomma e robot erotici.

Le conseguenze

Il tradimento non è mai esente da una certa dose di sofferenza. I vissuti della persona ingannata possono essere molteplici ma sono sempre molto dolorosi, se non drammatici e traumatici.

  • C’è, prima di tutto, un lutto da elaborare poiché abbiamo lasciato un compagno eppure una parte inconscia resta legata a lui.
  • L’infedeltà compromette il dialogo interpersonale, poiché la comunicazione tra i due partner, mancando la stessa base su cui poggiare, crescere e alimentarsi, rappresentata dalla reciproca lealtà, rischia di scemare o anche di spegnersi.
  • Il tradimento subìto mette contemporaneamente in crisi la fiducia negli altri e quella in se stessi: “Cos’ha quello che io non ho?”, “Cos’ha da dare che io non riesco a dare?”, “Cos’ha visto quella in lui che io non ho visto?” Con l’animo lacerato si scopre di non conoscere l’altro. Si vede la persona amata diversa da come la si è sempre pensata. In definitiva la positiva immagine mentale di chi è a noi fisicamente vicino, di chi ci dovrebbe amare e rispettare, è svilita e compromessa. Si scopre di non conoscere se stessi e le proprie qualità, ci si sente deboli e impotenti. Il tradimento è, infatti, una sconfitta che genera dubbi angosciosi sulle proprie qualità personali o sulle proprie capacità nella scelta della persona d’amare.
  • L’infedeltà genera dubbi sugli scopi della propria stessa esistenza: che senso ha la vita se non ci si può fidare neanche della persona che si ama e che diceva di amarci?
  • L’infedeltà fa scadere il senso della propria responsabilità: “Se essere seri e fedeli porta a queste conseguenze, è meglio non essere responsabili e prendere dalla vita e dagli altri tutto quello che capita, quando capita, senza porsi alcun problema”.
  • Una delle conseguenze più gravi del tradimento è la destabilizzazione della psiche della persona tradita, giacché quel comportamento riesce a sconfiggere alcune certezze: come la fiducia negli altri, nell’essere coppia e che l’amore sia per sempre.
  • L’infedeltà stimola l’altro a tradire a sua volta. La persona che ha subìto il tradimento pur di consolarsi, pur di migliorare l’autostima, pur di vendicarsi e ricambiare il male ricevuto, è facile che cerchi, a sua volta, di interessarsi e legarsi ad un altro.
  • L’infedeltà stimola sentimenti di vendetta. “Come posso ricambiare il male che mi è stato fatto? Qual è la cosa più cara, alla quale lui/lei tiene che posso sottrargli: i figli, il denaro, l’onore, la vita?”
  • Con l’infedeltà aumenta l’inquietudine e l’ansia. L’animo umano è molto complesso e sensibile ed ha dei bisogni primari, molto chiari e ben definiti, dai quali non può prescindere e fare a meno. Quando possiamo contare sull’amore di un’altra persona, in modo stabile e continuo, avvertiamo un caldo senso di sicurezza che ci permette di vivere con pienezza e serenità la nostra vita relazionale e lavorativa; quando invece viviamo dei rapporti che non hanno caratteristiche di stabilità e continuità, con molta facilità nasceranno e s’insinueranno nella nostra mente intense ansie e inquietanti paure. Tutte emozioni e sentimenti difficilmente gestibili, che spesso degenerano e si traducono in acredine e aggressività verso l’altro che non ha voluto o saputo costruire insieme a noi, qualcosa di solido e duraturo, qualcosa d’importante.
  • Il tradimento stimola sentimenti aggressivi e violenti rivolti non solo verso la persona che ci ha tradito ma anche di riflesso verso persone assolutamente innocenti: come i propri genitori o i genitori dell’altro, i figli, gli amici.

La gelosia

 

 

 Strettamente legato all’argomento precedente è quello della gelosia.

Questa emozione, che si configura come il timore di perdere l’altro o qualcosa che l’altro ci ha dato o ci potrebbe offrire, è una realtà presente in ogni relazione, in tutte le età, in tutti i popoli e in tutte le epoche storiche.

Sappiamo che prova gelosia il bambino verso il fratellino appena nato o nei confronti di quello particolarmente amato da parte di uno o di entrambi i genitori. È gelosa la bambina quando il papà bacia la mamma. Gli studenti sono gelosi dei compagni di classe più benvoluti dagli insegnanti. È gelosa la ragazza adolescente, quando la sua compagna preferisce sedersi nel banco insieme ad un’altra. E’ gelosa la madre quando il figlio dimostra più attenzioni e affetto verso la nonna piuttosto che nei suoi confronti. I figli possono essere gelosi di uno o di entrambi i genitori quando, come avviene oggi sempre più spesso, dopo la separazione o il divorzio, papà e mamma iniziano delle “storie” con nuovi “amici” e “amiche”, “fidanzati” o “fidanzate”, “compagni” e “compagne”. Infine è geloso l’impiegato quando il capufficio dimostra più fiducia nei confronti dell’ultimo arrivato, piuttosto che verso di lui. In questi e in tanti altri casi l’aggressività, che frequentemente viene espressa, è finalizzata a proteggere dagli altri le persone, i sentimenti o le cose ritenute importanti per la propria vita personale, sociale e relazionale.

Perché meravigliarsi allora se nelle relazioni sentimentali e amorose si è gelosi del proprio partner quando si teme, si pensa o si è certi che questi possa offrire o abbia offerto ad un altro, quella presenza, quell’amore, quelle cure, quell’affetto, ma anche quelle manifestazioni sessuali che prima offriva solo a noi? Perché meravigliarsi allora se l’aggressività, che nasce dalla gelosia, si attiva nei confronti di chi attenta al nostro ruolo di padre o madre, di marito o moglie o contro chi ha distrutto o intende distruggere la nostra famiglia, sognata e fantasticata fin dall’infanzia e che si è riusciti a costruire a costo di immensa fatica e abnegazione?

Solo quando sappiamo di poter contare sull’amore di un’altra persona in modo stabile e continuo, avvertiamo quel caldo senso di sicurezza che ci permette di vivere con pienezza e serenità la nostra vita relazionale e lavorativa. Al contrario, quando i rapporti, soprattutto quelli particolarmente intensi e coinvolgenti, non hanno caratteristiche di stabilità e continuità, saranno immancabili le ansie, le paure, le insicurezze e le inquietudini. Emozioni e sentimenti questi che spesso generano e si traducono in gelosia e acredine verso l’altro che non ha voluto o saputo costruire qualcosa di solido e duraturo, ma anche verso chi ci ha sottratto qualcosa di molto importante.

 Il temere, o peggio il constatare, che della presenza, degli affetti, delle emozioni e dei sentimenti che la persona amata ci donava, possano usufruirne altri, può scatenare, come di fatto avviene frequentemente, intense emozioni aggressive e distruttive, fatte di rabbia e collera, non sempre controllabili e controllate. Queste emozioni negative non possono che stimolare e a volte purtroppo fanno mettere in atto, pensieri violenti e distruttivi di vendetta, nei confronti di chi si è allontanato da noi per dare il proprio amore, il proprio corpo, le proprie cure, i propri beni ad altri, ma anche verso chi ci ha sottratto o privato di qualcosa per noi necessario e importante, ma che anche sentiamo che in qualche modo, ci appartiene. In queste occasioni è facile aspettarsi anche una maggiore irritabilità, aggressività e diffidenza verso tutti, ma soprattutto verso il genere sessuale che l’altro rappresenta: “Tutti gli uomini sono…” “Tutte le donne sono …”.

Per quanto riguarda l’altra modalità, che viene spesso suggerita e cioè quella dell’indifferenza e del controllo assoluto delle proprie emozioni, cosa che in parole povere e volgari si traduce in: “Chi se ne frega, lui/lei faccia quello che vuole, io farò lo stesso”, è questa una modalità ancora peggiore della prima, giacché porta all’anestesia dei sentimenti e delle emozioni. Anestesia che rende totalmente fredde e vuote le relazioni umane, anche quelle più intime e profonde.

Tra l’altro, per alcuni autori ciò è praticamente impossibile per una persona con normale equilibrio psichico. Per Andreoli[7]:

 “La gelosia dipende dall’attaccamento verso persone e cose ed è proporzionale alla loro importanza. L’amore e la gelosia sono due facce della stessa realtà: chi afferma di voler bene a una donna tanto da desiderare soltanto la sua felicità, anche con un altro, è un masochista folle, un razionalista delirante”.

 

Gelosia fisiologica e patologica

Spesso oggi, come in passato, si dibatte se nei rapporti di coppia sia accettabile o meno la gelosia. I detrattori di questo sentimento giudicano la gelosia con molta severità. Per questi non è amore ma possesso, anzi è considerata “Il veleno dell’amore”, “Il sentimento che distrugge l’amore”, “Una forma esplicita di mancanza di fiducia e di rispetto nei confronti di chi sta accanto a noi”, “Qualcosa che può annientare l’intesa tra i sessi”, “Ma anche qualcosa capace, tra l’altro, di innescare dei conflitti difficilmente risolvibili, che possono sfociare in tragedia”. Per tali motivi, i detrattori della gelosia pensano che gli individui che si fanno coinvolgere da questo sentimento siano sicuramente delle persone psicologicamente disturbate e represse ma siano anche dei retrogradi che ancora nutrono sciocchi sentimenti possessivi.

Altri invece ritengono che questo sentimento non sia stato inventato da uomini e donne possessivi ed egoisti ma che sia fondamentale al benessere delle singole persone, delle famiglie e della società. Essi credono inoltre che un po’ di gelosia lusinghi il partner, facendolo sentire importante, anzi essenziale per il benessere dell’altro e che le dimostrazioni della gelosia siano salutari e gratificanti, poiché in definitiva sono delle dimostrazioni d’amore.

D’altra parte come dimenticare che anche l’uomo, come tutti gli animali, possiede l’istinto di proteggere quanto è suo, quanto gli è caro, quanto è indispensabile alla propria salute fisica e psichica? In definitiva attaccare chi ci minaccia, chi ci sottrae qualcosa d’importante o non tiene conto dei nostri sentimenti e bisogni, è un comportamento istintivo fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo e della specie.

La diffusione di questo sentimento ci fa quindi pensare che la gelosia fisiologica sia naturale e normale, poiché ha degli scopi ben precisi e importanti in ogni relazione. Essa nasce, ripetiamo, dal bisogno istintivo di avere accanto a sé in modo continuo la o le persone che possono darci il loro affetto, il loro amore, la loro passione, le loro cure, le loro attenzioni e quindi serve a difendere ciò che per noi è fondamentale o comunque importante. Questo sentimento è in fondo uno dei tanti meccanismi atti a proteggerci e tutelarci dalla perdita di qualcosa di essenziale per la nostra vita o per il nostro benessere fisico e psichico.

Dal punto di vista sociale la gelosia è un elemento fondamentale per rendere più stabili le relazioni, tutte le relazioni, soprattutto quelle che costituiscono il fondamento stesso della società, come le relazioni affettive e sessuali, per le quali la stabilità è indispensabile, sia per il benessere psicologico personale di ogni componente la relazione, uomo, donna o minore che sia, sia per costruire e condurre proficuamente un progetto di famiglia serio e funzionale.

Al contrario tutte le società come le nostre, nelle quali sono frequenti e numerose le situazioni d’instabilità affettiva, sono anche quelle nelle quali si registrano più frequenti i malesseri personali, esistenziali e sociali come la depressione, l’ansia, la chiusura ma anche i sentimenti e i comportamenti violenti e aggressivi. Il motivo è semplice da comprendere: quando si teme o peggio si constata, che dei doni di chi ci sta vicino possano usufruirne altri, è facile che si scatenino intense emozioni distruttive fatte di rabbia e collera, non sempre controllabili e controllate o al contrario sentimenti depressivi con manifestazioni di apatia, astenia e chiusura.

Per quanto riguarda invece la gelosia patologica, questa si riconosce facilmente poiché le sue manifestazioni non sono legate alla realtà esterna alla persona, ma sono frutto di conflitti e percorsi psicologici interiori disturbati o alterati. Questo tipo di gelosia è tra l’altro facilmente evidenziabile, per la presenza di proiezioni e difese eccessive e abnormi in soggetti insicuri e ansiosi, non solo nei confronti degli altri, ma soprattutto nei confronti di se stessi e delle proprie capacità e qualità.

Nonostante ciò, si continua a combattere la gelosia fisiologica senza accorgersi minimamente delle tragiche conseguenze che ciò comporta. Tra l’altro, da parte delle leggi dello stato italiano, poche e blande norme sono presenti per cercare di diminuire le occasioni di tradimento. Al contrario è severamente punito che viola la privacy. Sono puniti il marito o la moglie, il fidanzato o la fidanzata che guardano nel telefonino del partner o fanno controllare e fotografare l’altro per escludere o confermare un tradimento. Sono beffeggiati il marito o la moglie, il fidanzato o la fidanzata, che osano manifestare sospetti sulla fedeltà del partner. Si plaude a tutte le applicazioni presenti negli strumenti elettronici immessi sul mercato, che rendono il contatto tra i sessi sempre più facile e alla portata di tutti.

Questa difesa esasperata dell’individuo e non delle relazioni affettive, sessuali e sentimentali che questi vive, ha delle conseguenze disastrose sulla vita relazionale delle persone, giacché le emozioni e i sentimenti non possono essere cancellati, ma solo repressi. Per tale motivo le crociate contro la gelosia fanno diminuire le manifestazioni più sane e fisiologiche di questo sentimento, mentre accentuano il numero e la gravità delle manifestazioni più gravi e patologiche.

Pertanto, se il coniuge non può controllare il telefonino o le e-mail dell’altro per prevenire ed evitare un iniziale rapporto che potrebbe portare all’adulterio, quando poi questo si realizza, squassando e distruggendo l’intesa della coppia ma anche le famiglie interessate, la stessa legge è costretta a intervenire sulle sue tragiche conseguenze. È costretta a intervenire nelle liti tra i coniugi; nei momenti di separazione, divorzio e affidamento dei figli ed è costretta a farsi carico della cura delle problematiche psicologiche dei minori, delle persone coinvolte e della povertà di uno o di entrambi i coniugi. È evidente che tutto ciò comporterà un notevole aggravio economico a carico delle singole persone, della società civile e dello stato.

In molti casi l’assoluta mancanza di prevenzione costringerà successivamente la legge ad intervenire anche sui cosiddetti “drammi della follia”, nei quali, mariti esasperati e umiliati feriscono, aggrediscono o uccidono i figli, le mogli e anche se stessi, mentre queste ultime, altrettanto esacerbate, scaricano la loro aggressività sui minori picchiandoli, uccidendoli o privandoli del loro diritto di continuare ad avere uno stabile e proficuo rapporto con il loro padre.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Le Van C., Le Gall D. (2011), “I volti dell’infedeltà coniugale”, Psicologia contemporanea, settembre - ottobre  p. 30.

[2] Le Van C., Le Gall D. (2011), “I volti dell’infedeltà coniugale”, Psicologia contemporanea, settembre - ottobre  p. 31.

[3] Harding E., (1951), La strada della donna, Astrolabio, Roma, p. 281.

[4] Harding E., (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 209.

[5] Pirrone, C.,  (2014), “Come dire: Ti prometto di essere fedele sempre”, Famiglia oggi,  n. 3, p. 54-55.

[6]In Italia, secondo i dati Istat del 2003 la percentuale di coppie LAT nella classe dopo i quaranta anni era del 4,8%. 

[7] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 283.

Aspetti psicologici dell'aggressività e della violenza

 

 

Quale influenza ha la vita psichica dell’individuo sulla nascita dei sentimenti e dei comportamenti aggressivi e violenti?

Poiché come dice Dacquino (1994, p. 309): “La pace è un sintomo, cioè la conseguenza esterna di un armonioso stato psichico interno”, dobbiamo necessariamente approfondire che cosa sia e come questo “armonioso stato psichico” viene a essere turbato e a volte sconvolto.

 La reazione psicogena

La causa più semplice e immediata, capace di alterare e turbare il normale equilibrio psichico è la reazione psicogena. Questa si attiva quando uno stimolo ambientale negativo, che contiene un’intensa carica affettiva e un profondo coinvolgimento emotivo, come possono essere un’aggressione fisica, un commento crudele, un insulto offensivo, una critica feroce o peggio, un tradimento scoperto, si abbatte in maniera improvvisa e ingiusta su una persona. In questi casi la reazione di aggressività e collera che ne consegue è spesso immediata, intensa, coinvolgente, poiché manca o è molto scarso il freno dato dal giudizio o dalla riflessione razionale[1]. Le conseguenze delle reazioni psicogene possono essere anche molto gravi, proprio perché impetuose e scarsamente controllate e controllabili. Tuttavia, quando si riesce a gestirle adeguatamente, sia la collera sia l’aggressività sono di breve durata e scompaiono rapidamente.

Questo tipo di reazioni sono frequenti nei bambini. In questi con facilità si scatenano rabbia e collera ogni volta che i loro genitori o gli altri adulti, in maniera maldestra e inopportuna, interrompono un loro gioco o li costringono ad adempiere, senza un’adeguata preparazione, un determinato compito. In questi casi si scatena in loro una reazione emotiva fatta di rabbia e collera che, per fortuna, dopo poco tempo sfuma, cosicché tra i piccoli e i loro genitori si ristabilisce un’affettuosa, tenera pace. Questo tipo di reazioni è frequente anche negli adulti, quando non riescono a controllare parole e frasi con le quali si rivolgono ai loro partner o quando è messa in crisi in modo grossolano la fiducia riposta nell’altro, soprattutto nel campo della fedeltà e della coerenza.

 

 

Lo stress

Diversa è la condizione quando sull’individuo agiscono situazioni stressanti. In questi casi la reazione emozionale, che può essere anche di tipo aggressivo, è provocata da una serie di stimoli esterni che mettono in moto risposte fisiologiche e psicologiche di natura adattativa. Gli stimoli stressanti possono essere di vario tipo, ma di solito gli stress sono di origine ambientale, solo occasionalmente sono il risultato d’impedimenti costituzionali non riconosciuti[2].

Gli stress possono derivare da eventi fisici, psicologici e sociali.

Gli stress fisici possono riguardare, ad esempio, gli eccessivi sforzi muscolari, il freddo, il caldo, l’impegno eccessivo, la stanchezza, la mancanza di alimentazione regolare, la fame o la sete.

Gli stress psicologici sono di solito causati da intensi o frequenti stimoli emozionali[3]. Ad esempio, il dover affrontare con difficoltà e pena, giorno dopo giorno, le richieste delle persone che vivono accanto a noi, come datori di lavoro o capi ufficio eccessivamente esigenti, che non tengono conto della resistenza alla stanchezza dei loro sottoposti. In altri casi questi stress nascono quando si è costretti a confrontarsi con colleghi di lavoro poco disponibili e accettanti o quando vi è la necessità di affrontare e risolvere situazioni familiari eccessivamente difficili, penose e conflittuali: malattie, lutti, comportamenti inopportuni da parte dei figli o del coniuge e così via.

 

 

Stress sociali. Questi stress si attivano quando si è costretti a scontrarsi con situazioni particolarmente complesse, caratterizzate da difficoltà interpersonali, sociali, individuali: un improvviso licenziamento, la riduzione dello stipendio, la necessità di affrontare degli impegni economici notevolmente onerosi e così via[4].

Uno stress può essere ben retto e gestito, quando non è troppo frequente, non è eccessivamente intenso, ma anche quando la persona che lo vive è abbastanza forte, solida e matura, per riuscire a sopportarlo. Quando gli sforzi del soggetto falliscono, perché lo stress supera le capacità di risposta, l’individuo è sottoposto ad una vulnerabilità nei confronti delle malattie fisiche e psichiche.[5]

Spesso gli stress eccessivi subìti durante l’infanzia, si ripercuotono anche nell’età adulta. A questo riguardo possono essere importanti i precoci stimoli ambientali negativi: come la separazione precoce del bambino dai genitori; l’aver dovuto subire frequenti e gravi episodi conflittuali all’interno della famiglia; la depressione o l’ansia genitoriale; il cattivo rapporto con alcuni insegnanti o con dei coetanei. Questi e altri vissuti difficili e conflittuali sono in grado di alterare in senso negativo la sensibilità dell’individuo quando questi è costretto ad affrontare altri stimoli stressanti durante l’età adulta. Pertanto in epoche e momenti successivi, anche stimoli molto modesti e banali possono causare una notevole tensione e ansia interiore.

La gravità del danno procurato dagli stress eccessivi, è in rapporto all’età, alla frequenza e alla situazione psicologica precedente l’impatto stressante. Pertanto, più piccolo è il bambino, minori saranno le possibilità di ben gestire i fattori stressanti [6]; maggiore è la frequenza e la durata dell’elemento stressante, più grave sarà il danno provocato nella psiche del soggetto. Inoltre se l’individuo è psicologicamente sano e robusto, più facilmente riuscirà a far fronte agli stress. Al contrario, se la persona è fragile e disturbata, più facilmente resterà vittima delle situazioni stressanti[7].

Per tali motivi uno stress lieve, su una persona che ha l’età, la maturità e la robustezza psicologica sufficiente per affrontarlo e sopportarlo, produce scarse conseguenze negative o addirittura può offrire effetti positivi, come una maggiore gratificazione personale, dovuta al piacere di affrontare con buoni risultati, un cammino impervio e difficile. Se invece la situazione stressante si ripete frequentemente, è troppo intensa, o agisce su un soggetto già provato da stress precoci ed eccessivi, l’individuo, nonostante la sua buona volontà e tutti i tentativi utilizzati per ben affrontare la richiesta, non riuscendo nell’intento sarà costretto a cedere e subire gli effetti negativi dello stress, con pesanti ripercussioni sul piano fisico e psicologico [8].

Per tali motivi quando i livelli di pressione psicologica sono notevolmente elevati, le persone che riescono a resistere senza cedere sono molto poche.

Questo tipo di stress con effetti negativi è definito distress.

Il distress prolungato nel tempo produce disturbi organici, come l’incremento del ritmo cardiaco, l’aumento della pressione arteriosa e del ritmo respiratorio, il deficit del sistema immunitario, la diminuzione delle capacità di ragionamento e quindi una maggiore difficoltà ad affrontare i problemi che di volta in volta si presentano al soggetto. Il distress produce inoltre effetti psicologici negativi, come una maggiore facilità alla stanchezza, alla depressione, la tendenza all’irritabilità e alla reattività, mentre saranno compromesse la memoria e la percezione della realtà esterna all’individuo[9].

 

 La frustrazione

Questa viene definita da Galimberti [10] come una situazione interna o esterna che non consente di conseguire un soddisfacimento o di raggiungere uno scopo. Proviamo quindi questo sentimento quando un'attesa risulta vana, quando qualcosa o qualcuno ci delude. L'attesa e la delusione, possono riguardare un atteggiamento, un comportamento, una risposta a un nostro bisogno che abbiamo immaginata e pregustata ma non siamo riusciti ad ottenere. Si prova frustrazione anche quando ciò che abbiamo immaginato si è attuato, ma non è riuscito a soddisfare il nostro desiderio e le nostre aspettative più profonde e vere.

Il non raggiungimento di uno scopo e il non soddisfacimento sono in relazione non solo alle carenze presenti nel nostro ambiente di vita, ma anche alle problematiche psichiche presenti nella nostra personalità, ad esempio, quando è attivo in noi un Super - Io troppo esigente che non ci permette di ottenere un soddisfacimento da quello che facciamo, poiché lo ritiene ingiusto o riprovevole.

La reazione alle frustrazioni dipende molto dalle esperienze del passato. Ad esempio, un bambino che sia sistematicamente criticato e svalutato dai genitori, più facilmente da adulto potrà dare risposte aggressive, giacché crescerà ipersensibile alle critiche e alle umiliazioni. Al contrario, chi ha avuto un buon rapporto con i genitori e si sente da loro costantemente sostenuto e gratificato, tenderà a valutare positivamente e ad avere fiducia nei comportamenti delle persone con le quali si relazionerà durante la sua vita. L’ambiente familiare ha, dunque, un ruolo importante nelle percezioni e nel controllo delle emozioni, in particolare dell’aggressività[11].

Le motivazioni che portano alla frustrazione possono essere di vario tipo:

  • Motivazioni economiche. Ad esempio, un soggetto adulto sicuramente proverà una sofferenza difficilmente gestibile che si trasformerà in acredine, se non in violenta aggressività, nel momento in cui, pur avendo lavorato duramente per una certa ditta per molti anni, si troverà inaspettatamente e ingiustamente licenziato e, pertanto, sarà costretto ad affrontare gravi problemi finanziari.
  • Motivazioni affettive. Non sono da meno le frustrazioni affettive: “Finalmente avevo trovato la donna / l’uomo dei miei sogni, con tutte le qualità che cercavo e invece … dopo pochi mesi, mi ha lasciato senza un valido motivo”; “Pensavo che essere padre/madre fosse una cosa bellissima e per essere un buon padre/ una buona madre, ho sacrificato tutta la mia vita, e invece … i miei figli non mi guardano nemmeno, intenti come sono ad andare in giro per il mondo e spassarsela con gli amici”; “Ho fatto tanto per la mia amica durante gli anni trascorsi insieme all’università e lei mi ripaga parlando male di me con tutti”. Come afferma Bonino [12]: “… vi sono oggi grandi difficoltà a tollerare la frustrazione affettiva e a farvi fronte in modo non aggressivo”. Queste difficoltà rimandano all’imperativo, così forte nella nostra cultura, di essere sempre persone di successo, in tutti i campi, primo fra tutti quello affettivo.
  •  Motivazioni sociali. Ad esempio: “Sognavo una famiglia solida, sana e armonica come quella dei miei genitori, con una brava moglie, dei figli e una casetta tutta mia e invece ho visto distruggere e annullare le mie aspirazioni, solo perché mia moglie si è invaghita di quel pessimo soggetto!”.

 

Le frustrazioni non eccessive favoriscono una maggiore presa di coscienza, danno in maniera più chiara e netta il senso del limite all’Io, stimolano e intensificano la forza, la determinazione e l’impegno del soggetto nel ricercare la soluzione del problema o della meta da raggiungere. Ciò migliora le capacità della persona nell'adattarsi al mondo che la circonda, stimolandola a trovare le strategie più idonee a superare le delusioni.

Le frustrazioni eccessive o durature, invece, possono portare a una disorganizzazione psichica, la quale si evidenzierà con sintomi come la tensione, la conflittualità, l’ansia, le paure, l’inibizione, l’aggressività, la facile irritabilità, la disistima di sé, degli altri e del mondo nel quale il soggetto vive.

Una frustrazione è o non è eccessiva in conformità a molteplici fattori personali e ambientali. In generale è più facile che essa sia ben retta e gestita quando non è frequente, non è eccessivamente intensa, ma soprattutto quando la persona che la vive è abbastanza forte, solida e matura per riuscire a sopportarla.

Le frustrazioni possono essere acute o croniche, a seconda che gli eventi che non ci hanno permesso di raggiungere uno scopo o un soddisfacimento si svolgano in un periodo di tempo breve oppure prolungato. Sia i bambini, sia gli adulti, affrontano meglio le frustrazioni acute, rispetto a quelle croniche, poiché, nelle frustrazioni acute, dopo la delusione, la rabbia e la collera, si cerca un rimedio, una mediazione, un aiuto o un sostegno esterno, che ci potranno sostenere nel superare il dolore e la delusione. Nella frustrazione cronica, invece, le possibilità di difesa sono progressivamente demolite, poiché l’ambiente in cui viviamo continua nel tempo a limitare il soddisfacimento dei nostri bisogni e desideri. Spesso, purtroppo, gli effetti della frustrazione cronica, che sono quelli più frequenti e numerosi, non creano allarme sociale o familiare, nonostante incidano negativamente in modo considerevole sulla psiche dell’individuo.

La frustrazione, dopo la sofferenza iniziale, può provocare tristezza e in seguito, anche la chiusura nei confronti delle situazioni o delle persone chi ci hanno deluso. Tuttavia questa chiusura può non limitarsi soltanto alle persone o alle situazioni che hanno provocato la frustrazione, ma può espandersi a tutto e a tutti. Come dire: “Se questa persona, se questo sentimento, se questa istituzione, ad esempio, il matrimonio, mi ha deluso, io non solo non voglio avere a che fare con questa persona, con sentimenti come questi o con l’istituto del matrimonio, ma chiudo e difendo la mia vita anche nei confronti di tutto ciò che queste cose rappresentano: l'amicizia, l'amore, la speranza, l’impegno, la fiducia, il piacere e così via”.

 

Come nello stress anche nella frustrazione è importante l’elemento soggettivo. Pertanto lo stesso episodio può essere vissuto da persone diverse, in modo diverso, in base alle caratteristiche di personalità e ai vissuti del momento. Come dice Bonino [13]:

“La gravità della reazione aggressiva è in proporzione al grado di motivazione e investimento emotivo presente ma è anche in proporzione alle capacità resilienti di una persona. Vi sono pertanto degli uomini e delle donne capaci di resistere più facilmente alla frustrazione trovando in sé nuove e diverse strade più creative per raggiungere i propri scopi, nonostante gli ostacoli e altre persone che si abbattono e si deprimono oppure reagiscono con aggressività in seguito a frustrazioni anche minime.

 Tuttavia, non sempre la reazione che consegue ad una frustrazione è la totale chiusura. Vi possono essere altri tipi di risposte, più reattive rispetto alla passività e alla chiusura, come la rabbia, la collera e l’aggressività. Naturalmente le frustrazioni più gravi sono quelle di natura affettivo – relazionale. Queste tendono a durare nel tempo, tanto che possono persistere anche per tutta la vita.

Queste considerazioni hanno notevoli implicazioni e spiegano perché le delusioni subìte nella prima infanzia possono portare nel bambino a dei quadri sintomatologici molto gravi, sia d’instabilità psicomotoria che di chiusura, mentre nell’età adulta la sofferenza subita nell’infanzia può comportare la presenza di sentimenti e manifestazioni aggressive.

Il trauma psichico

Diverso dalle frustrazioni e dagli stress è il trauma psichico. Così come il trauma fisico, può determinare una ferita o una lacerazione del corpo, allo stesso modo il trauma psicologico può provocare una lesione dell’organismo psichico per effetto di eventi che irrompono bruscamente in modo distruttivo senza che il soggetto sia in grado di rispondere in modo adeguato. Tale lesione può essere determinata da un unico evento o da un accumulo di eccitazioni singolarmente tollerabili che il soggetto non riesce a sopprimere o far defluire (abreazione) sfogandosi o elaborandoli.[14]

Per lo stesso autore[15]:

“L’effetto traumatico dipende dalla suscettibilità del soggetto, dalle condizioni psicologiche in cui si trova al momento dell’evento, dalle situazioni di fatto che impediscono una reazione adeguata, e dal conflitto psichico che impedisce al soggetto di integrare l’esperienza che gli sopraggiunge dall’esterno”.

Conseguenze dei disturbi psicologici

Tutte le esperienze notevolmente stressanti, o peggio traumatiche, così come le deprivazioni affettive provocano, a livello psicologico, delle alterazioni e delle disfunzioni neuronali, che stimolano, tra l’altro, intensi sentimenti e comportamenti di ribellione e acredine, sia nei confronti delle singole persone, che in qualche modo riteniamo siano state o siano ancora causa della nostra sofferenza, sia nei riguardi della vita o del mondo che ci circonda. Tanto che i soggetti psicopatici giustificano spesso i loro comportamenti adducendoli all’ingiustizia di cui sono stati vittime (Pasini, 1993, p. 27). Scontrandosi con i problemi della vita, l’individuo può riuscire a trovare una soluzione realistica e positiva ai suoi problemi interiori, oppure dovrà affrontare il fallimento dei suoi tentativi. In questo caso egli cercherà di limitare gli effetti nocivi della frustrazione e del conflitto oppure si limiterà a scaricare la tensione mediante azioni irrazionali. Nel caso in cui questi tentativi dovessero fallire, sarà costretto a subire gli effetti di una disorganizzazione e di un crollo psichico[16].

I sentimenti e gli eventi negativi presenti nell’ambiente, tendono in ogni caso a lasciare, nell’animo sia dei minori sia degli adulti, delle tracce indelebili, che possono generalizzarsi, ampliarsi e allargarsi non solo nello spazio ma anche nel tempo. Quando durante la vita ritroviamo attorno a noi sentimenti di gioia, di amore o di fiducia, questi si allargano e si espandano anche a persone e ambienti sconosciuti. Allo stesso modo sentimenti frustranti, dolorosi, tristi, ansiosi o paurosi possono essere proiettati su persone, animali o cose assolutamente innocenti e innocui. Lo stesso avviene per quanto riguarda il tempo. Se ci accorgiamo che la nostra fiducia e stima verso gli altri sono state ben riposte, accettate, riconosciute e ricompensate, questo sentimento positivo si amplierà e si proietterà anche nel futuro. Se invece la nostra disponibilità e apertura verso il prossimo ci hanno lasciato nell’animo disillusione e sofferenza tenderemo e ci aspetteremo che gli stessi eventi si ripetano anche in futuro e ciò ci potrà stimolare a chiuderci in noi stessi o a guardare con diffidenza gli altri.

Naturalmente più la persona è piccola e più è stata gravemente ferita, più facilmente si realizzerà e si manterrà nello spazio e nel tempo l’ampliamento dei suoi vissuti interiori negativi. Per tali motivi ritroviamo sentimenti e comportamenti reattivi e aggressivi in molti disturbi psicologici presenti nell’infanzia (sindromi autistiche, sindrome oppositiva provocatoria, instabilità psicomotoria, disturbi del comportamento) ma anche nell’adolescenza e nell’età adulta (disturbi borderline di personalità, schizofrenia e così via). Tutte queste patologie spesso alterano profondamente il rapporto con gli altri, fino a metterlo in crisi o in serie difficoltà. Infatti, anche se solo il 10% delle persone violente ha chiari problemi psichiatrici, non vi è dubbio che la sofferenza psichica provochi frequentemente, anche se non sempre, sentimenti e comportamenti aggressivi.

La rivalsa

A volte la reazione aggressiva o violenta è giustificata dal senso di giustizia. La persona che ha subìto un torto o che ha assistito a un torto, avverte il bisogno di far pagare questo torto al colpevole di ciò. Anche in questo caso le persone più irritabili, reattive e vendicative sono anche le più disturbate sul piano psicologico, poiché vivono con angoscia ogni torto, fino a quando non riusciranno a consumare la loro vendetta.

Spesso questi soggetti, proprio perché hanno molto sofferto, sentono il bisogno di rivalersi nei confronti degli altri. Nel caso dei bambini, poiché la realtà esterna a loro è molto limitata e ristretta soltanto ai genitori e a qualche familiare, quando qualcuno di questi, con i propri comportamenti li ha fatti soffrire, poiché queste persone rappresentano per loro il mondo intero, è il mondo intero che viene inconsciamente o consciamente accusato di aver provocato la loro sofferenza ed è quindi nei confronti del mondo intero, senza alcuna distinzione, che viene proiettata a volte la chiusura, altre volte l’aggressività, il rancore e il desiderio di vendetta e rivalsa. Allo stesso modo è da ogni rapporto con il mondo intero che il soggetto vorrebbe gustare il piacere sadico di far del male a qualcosa o a qualcuno.

La maggiore sensibilità, suscettibilità e reattività

Un altro aspetto da non sottovalutare, che incide molto sui comportamenti aggressivi, è la conseguenziale presenza di un’accentuata sensibilità ed una spiccata suscettibilità ad ogni parola, gesto, commento che può essere inteso come una critica o un’accusa. Da ciò nasce una più facile, immediata e intensa reattività, nei confronti di ogni pur minimo atteggiamento disturbante o irritante proveniente dagli altri. Per Guèguen[17], la capacità di sopportare i giudizi e i commenti negativi è nettamente inferiore nei soggetti che sono stati o sono sottoposti a sofferenza, traumi o eccessivi e insopportabili situazioni stressanti. Insieme a ciò prevale anche una forte esternalità e impulsività.

Per Hacker [18] esistono persone ipersuscettibili giacché, essendo inconsciamente aggressive, proiettano la propria aggressività sugli altri. In definitiva sono iperaggressive in quanto, non rendendosi conto di questa proiezione, si sentono continuamente aggredite dagli altri.

Anche per Pasini[19],: “Le persone rabbiose e vendicative sono anche le più facilmente suscettibili. Proprio perché incapaci di contatto con il prossimo, si esprimono in comportamenti distruttivi e collerici. Si tratta d’individui vulnerabili che nella rabbia cercano sollievo al dolore procurato da ferite narcisistiche del presente e del passato”.

In definitiva le persone che nella loro infanzia o comunque nella loro vita hanno, per motivi diversi, molto sofferto, sono spesso estremamente sensibili ai giudizi e ai comportamenti negativi degli altri, pertanto con facilità si offendono e si arrabbiano, reagendo con aggressività ad ogni minima contrarietà o atteggiamento irritativo proveniente dall’esterno. E ciò non solo perché tendono ad ingigantire gli atteggiamenti critici da parte degli altri, ma anche per la presenza di un minor controllo delle proprie pulsioni.

La difficoltà a perdonare

Le persone psicologicamente appagate, serene e tranquille non solo accettano più facilmente le critiche e le contrarietà ma anche, con più facilità, perdonano e dimenticano gli sgarbi e le offese ricevute. Invece le persone che hanno molto sofferto, più facilmente tendono a criticare gli altri, non accettano i loro scherzi, i loro giudizi critici e, se offesi, si chiudono in se stessi. In definitiva, i loro rapporti sociali sono scarsi, difficili e conflittuali [20].

Per lo stesso autore [21]:

“…le persone e i gruppi coinvolti in episodi o situazioni di violenza verso se stessi o gli altri hanno un tratto comune estremamente specifico: sono sostanzialmente incapaci di reggere le situazioni di grave contrarietà”. Questi soggetti presentano in definitiva una carenza conflittuale cioè una: “…mancanza di quelle componenti personali e sociali che ci consentono di percepire il contesto critico come sostenibile e non come una minaccia o un pericolo”. “La persona con grave carenza conflittuale manifesta un comportamento violento anche in assenza di particolari tensioni e senza seguire la logica dell’escalation”.[22] Basta poco per avere un comportamento violento. In questi soggetti, anche se non è presente alcuna situazione di conflitto, vi può essere lo stesso una risposta violenta. Per lo stesso autore: “Il violento, quindi, non è un litigioso. Al contrario, è una persona intollerante al litigio, dominato dall’idea che nessuno lo deve turbare”[23].

Le difficoltà nelle relazioni di coppia

Da quanto abbiamo detto è facile comprendere che, nelle relazioni di coppia, la presenza di un animo sereno, fiducioso, allegro, affettuoso e disponibile, favorisce l’intesa amorosa, mentre al contrario l’esistenza di disturbi psicologici, specialmente se importanti e coinvolgenti, rende più difficili, se non impossibili, non solo una buona comprensione reciproca ma anche i più elementari e semplici momenti di sereno dialogo. In particolar modo sono alterate profondamente proprio le relazioni con le persone con le quali questi soggetti vorrebbero stabilire un rapporto intimo, pieno e profondo. Pertanto, le giornate di queste coppie sono frequentemente costellate da continui battibecchi, che non risolvono nulla e da litigi che nascono per futili motivi. Questa intrinseca difficoltà porta a dividere e allontanare sempre più gli elementi della coppia. Tanto che alcuni mariti o mogli preferiscono restare a lavorare fuori casa, piuttosto che soffrire ascoltando i continui rimbrotti e le continue accuse e lagnanze del coniuge.

I sentimenti di tristezza e depressione

L’altro elemento, spesso evidente, è legato ai sentimenti di tristezza se non di vera depressione che facilmente insorgono a causa delle sofferenze subìte da queste persone nel loro passato. Questo malinconico e triste modo di avvertire e vivere gli altri, le proprie esperienze e il mondo circostante, possono stimolare le persone che ne soffrono a chiudersi in un mondo fatto di apatia, astenia, sensi di colpa e indegnità. Mentre, in altri casi e in altri momenti, vi possono essere dei tentativi di ricercare qualche raro, effimero piacere. Il poter esprimere collera e violenza permette loro di uscire dalla nera depressione e oppressione nella quale vivono costantemente, sentendosi, almeno per qualche momento, più vive e vitali. Entrambi questi comportamenti tuttavia spingono gli altri ad allontanarle, giudicandole pigre e apatiche  oppure a reagire negativamente verso di loro. Ciò, in definitiva, peggiora il malessere psicologico e accentua i comportamenti irritanti e aggressivi di queste persone.

I sensi di colpa

Un altro elemento da non sottovalutare è il senso di colpa, conscio e inconscio, frequentemente avvertito quando il soggetto cerca in tutti i modi di reprimere o cancellare le pulsioni e i desideri aggressivi nei confronti delle persone che avrebbe dovuto o che dovrebbe amare e rispettare, come possono essere i propri genitori, il proprio consorte o i propri figli. Per diminuire tali sensi di colpa spesso le persone psicologicamente disturbate utilizzano degli atteggiamenti irritanti e arroganti, pur di sollecitare l’altro a dei comportamenti violenti e aggressivi nei loro confronti. In tal modo cercano di contribuire a bilanciare, almeno in parte, i loro sensi di colpa cosicché possano sentirsi in pace con la propria coscienza. Come dire: “Io non sono cattivo, sono gli altri che lo sono; il mio comportamento è strettamente connesso agli atteggiamenti aggressivi degli altri”. Il caso classico è quello del tradimento. Per lo stesso motivo a volte la persona che tradisce irrita il partner fino a fargli perdere le staffe, così da poter giustificare a sé e agli altri il proprio comportamento.

La difficoltà di dialogo

Tutti i disturbi psichici rendono difficile il rapporto e il dialogo con gli altri, oltre che con se stessi. Non potendo dare ciò che non si è avuto, si alterano o diminuiscono, insieme al dialogo, anche le capacità di cura e tenerezza che, ricordiamolo, insieme alla sessualità, sono i collanti delle relazioni di coppia. È difficile, a causa dei problemi personali, ascoltare e accettare l’altro. È difficile rendersi disponibile nella cura dell’altro. Allo stesso modo è difficile riuscire a mediare con l’altro, valorizzare l’altro o ricercare la soddisfazione nell’altro. Inoltre, spesso queste persone con disturbi psichici, non riuscendo a valorizzare l’uso delle parole, per risolvere le controversie preferiscono andare a vie di fatto.

L’accentuazione dei bisogni

I bisogni di una persona che ha molto sofferto, oltre che difficilmente comprensibili, sembrano infiniti. Pertanto non possono in alcun modo essere tutti soddisfatti. In questi casi è un continuo lamentarsi di ciò che l’altro dà o non dà; fa, non fa, o del modo con il quale l’altro si comporta. Per capire questa fame inesauribile di comportamenti adeguati bisogna riflettere sul fatto che nessuno può ridare ad un figlio o ad una figlia l’amore o il rispetto per i loro bisogni ed esigenze che sono stati loro negati durante l’infanzia. Nessuno può ridare ad un figlio un padre e una madre poco presenti, se non totalmente assenti. Nessuno è in grado di dare l’accoglienza e l’ascolto mai avuti. Pertanto le richieste sono non solo numerosissime, ma tendono a protrarsi indefinitamente nel tempo.

Le difficoltà sessuali

Quando sono presenti delle evidenti problematiche psicologiche si accentua l’insoddisfazione nella relazione di coppia, anche perché spesso, nelle patologie psichiche, è coinvolta la sessualità. Questa può assumere aspetti inusuali o patologici. Nell’uomo è spesso presente l’eiaculazione precoce o l’impotenza che alterano o rendono impossibile una sessualità ricca e soddisfacente. Nella donna può presentarsi la frigidità, che rende insopportabile ogni approccio relazionale che abbia, anche minimamente, delle componenti sessuali. Inoltre, se un qualche rapporto è accettato, piuttosto che viverlo con gioia e gratitudine è giudicato sporco e sconveniente o addirittura frutto di violenza. Inoltre in entrambi i sessi, la sessualità può essere vissuta in maniera patologica per la presenza di parafilie che se accettate sia dall’uomo sia dalla donna possono essere gratificanti e unire i due partner ma se, come spesso succede, sono desiderate e richieste solo da uno dei due, sono vissute dall’altro come degli insopportabili atti di violenza.

Il piacere nel far e ricevere del male

(comportamenti sadomasochistici)

Alcune persone con problematiche psicologiche, nella loro ricerca di momenti di serenità hanno bisogno di liberarsi della loro tensione e del loro malessere interiore mediante comportamenti pungenti, irritanti se non chiaramente aggressivi e distruttivi. Si dice spesso che queste persone trovano la loro identità nell’aggressione. Io direi che è più esatto dire che queste persone ricercano, mediante l’aggressione esterna, dei momenti di serenità e pace interiore. L’aggredire, l’irritare, il creare scompiglio, l’usare un tono polemico, esasperante, su ogni parola che l’altro dice o su ogni cosa che l’altro fa o non fa, serve a scaricare e a ridurre la loro tensione interiore, che risente dei problemi o delle carenze del passato, senza spesso avere alcuna relazione con la realtà attuale la quale, in definitiva, “ viene usata” per raggiungere lo scopo di cui sopra. Tuttavia il loro partner investito dall’aggressività, a volte motivata solo da minimi pretesti, se non totalmente ingiustificata, ha difficoltà ad essere indifferente, per cui risponderà con risposte altrettanto aggressive e irritate. S’instaura così una relazione sadomasochistica nella quale sono usati tutti i mezzi di difesa e di offesa. Pertanto viene sconvolta la relazione di coppia, con esiti sicuramente disastrosi. Pertanto il dialogo, anche se inizialmente era presente e valido, se alcune volte s’interrompe per breve tempo, nei casi in cui i momenti di esasperazione diventano frequenti rischia di interrompersi per sempre.

La diminuzione o il crollo dell’autostima

Se una persona, proprio per i problemi che l’affliggono, non si piace, non si stima, non ha fiducia in se stessa, difficilmente può amare e aver stima dell’altro. Per tale motivo le relazioni amorose appena iniziate finiscono molto presto mentre, in altri casi, non cominciano neanche. Tuttavia queste persone che hanno scarsa autostima, se a volte si chiudono in sé e rinunciano a cercare delle relazioni amorose, altre volte insistono ed esasperano i partner che li hanno rifiutati e allontanati, non accettando il loro rifiuto.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol.3, p. 310.

[2] Wolff S. (1970), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando Armando Editore, p. 37.

[3] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol. 3, p. 553.

[4] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol. 3, p. 554.

[5] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol. 3, p. 553.

[6] Meazzini P. (2006), L’ira di Achille, come dominare la collera, quando è necessario, Milano, Giunti, p. 32.

[7] Meazzini P. (2006), L’ira di Achille, come dominare la collera, quando è necessario, Milano, Giunti, p. 32.

[8] Meazzini P. (2006), L’ira di Achille, come dominare la collera, quando è necessario, Milano, Giunti, p. 33.

[9] Meazzini P. (2006), L’ira di Achille, come dominare la collera, quando è necessario, Milano, Giunti, p. 39.

[10] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol.  2, p. 203.

[11] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 70.

[12] Bonino S., (2012), “L’assurdità delle punizioni fisiche: Ti picchio per insegnarti a non picchiare”, Psicologia contemporanea, gennaio-febbraio, p. 15.

[13] Bonino S., (2012), “L’assurdità delle punizioni fisiche: Ti picchio per insegnarti a non picchiare”, Psicologia contemporanea, gennaio-febbraio, p. 14.

[14] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol. 3, p. 639.

[15] Galimberti U. (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, Vol. 3, p. 640.

[16] Ackerman N. W. (1968), Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 71.

[17] Guèguen N. (2009), “Aritmetica della coppia”, Mente e cervello, n° 53, maggio  p. 98.

[18] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 148.

[19] Pasini W. (1993), Volersi bene, volersi male, Milano, Arnaldo Mondatori Editore, p. 47.

[20] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo, p. 38.

[21] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo, p. 38.

[22] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo.

[23] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo.

Aggressività: cause anatomiche, genetiche e ormonali

 

 

Le cause dell’aggressività e delle conseguenti violenze sono molteplici. Alcune sono legate alle caratteristiche genetiche, anatomiche, a malattie e alterazioni organiche; altre sono dovute alle problematiche psicologiche presenti nella personalità del soggetto. Altri motivi di aggressività sono da ricercarsi in un ambiente sociale poco idoneo allo sviluppo di una persona, come nei casi di soggetti vittime di frustrazioni, oppressioni, discriminazione, isolamento sociale, povertà. Altre volte le cause sono da attribuire a politiche e leggi dello Stato non idonee alla prevenzione dell’aggressività tra i sessi, oltre che a sistemi giudiziari inefficienti.

Hacker [1] così le riassume:

“I fattori ereditari specifici, innati e genetici, le influenze psicologiche e culturali, le strutture del sistema nervoso centrale, nonché gli ormoni e i modelli sociali determinano, nei loro effetti e nei loro intrecci reciproci, il fenomeno dell’aggressività”.

In generale possiamo dire che la violenza aumenta quando l’uomo prova ansia e paura nell’ambiente in cui vive, quando si sente minacciato o quando è insicuro di sé.

ASPETTI ANATOMICI

Per quanto riguarda il comportamento aggressivo, il notevole progresso nella conoscenza neuroanatomica, si è basato su studi di fisiologia sperimentale effettuati sugli animali,  sui risultati delle osservazioni dirette ed indirette scaturite dalle lesioni chirurgiche e sulla stimolazione elettrica a fini terapeutici di alcune aree cerebrali di pazienti con gravi patologie. Altre indicazioni sono state fornite dalle numerose osservazioni ricavate da pazienti con lesioni cerebrali localizzate,  da soggetti affetti da epilessia, encefalite, traumi cranici, tumori cerebrali ecc.

Dal punto di vista neurologico, mentre negli anni venti le aree cerebrali deputate alla gestione dell’aggressività venivano collocate alla base dell’encefalo, in particolare nel locus niger, oggi si pensa che queste aree siano presenti in vari sistemi neuronali posti nel sistema limbico e nella regione centro encefalica. Andreoli [2] elenca diverse aree interessate all’aggressività: il bulbo olfattorio, l’ippocampo, i nuclei del setto, quelli del rafe nel pavimento del quarto ventricolo e l’amigdala.

Si pensa oggi che esista un’ampia regione la quale, quando è eccitata, provoca un comportamento aggressivo e di lotta. Questa regione inizia nel telencefalo, continua nel sistema limbico, attraversa tutto l'ipotalamo e finisce nel mesencefalo.

L'ipotalamo è connesso direttamente e/o indirettamente alle manifestazioni fisico-vegetative delle emozioni ed è quindi capace di modulare gli stati fisiologici associati alla paura, alla rabbia, alla fame, alla sete, al sesso e al piacere. Le alterazioni comportamentali associate con la funzione ipotalamica sono connesse con le espressioni di rabbia, aggressività e paura come risposta alle situazioni di stress, di pericolo o di difesa [3].

Anche le alterazioni dell’ippocampo possono danneggiare l’elaborazione delle informazioni emotive.

 Numerose prove cliniche hanno confermato l'importanza dell'amigdala come centro interessato alla mediazione dell'ansia e della paura, sentimenti questi che sono alla base dei comportamenti di attacco e fuga sia negli animali sia nei comportamenti aggressivi dell'uomo. L'amigdalectomia bilaterale, ad esempio, ha ottenuto nell'85% dei casi trattati in uno studio clinico la drastica riduzione di comportamenti violenti. In altri casi la presenza di lesioni dei nuclei amigdaloidi era associata a comportamenti violenti. 

“James Blair, del National Institute of Mental Health di Bethesda, nel Maryland, ha dimostrato con un esame diagnostico cerebrale (Pet), che negli psicopatici l’amigdala (la parte del cervello che elabora le emozioni) non si attiva come nei sani quando vedono un viso triste o adirato. Per gli psicopatici queste espressioni sono neutre: la disfunzione dell’amigdala impedisce loro di provare empatia per la sofferenza altrui, ma anche di provare paura per le conseguenze delle loro azioni e quindi non cambiano comportamento” [4]

È anche interessata l’area della corteccia frontale, dove le emozioni sono elaborate. Più precisamente la gestione dell’aggressività è gestita dalla porzione orbitale dei lobi frontali. Per dare via libera all’ira il cervello deve sopprimere proprio quest’attività corticale. Questa soppressione dell’attività corticale che controlla l’amigdala nelle donne è più difficile da attenuare mentre nell’uomo è relativamente più agevole fare ciò. Questo potrebbe spiegare le più facili esplosioni di aggressività nel sesso maschile. Inoltre alcuni risultati hanno rilevato una riduzione delle comunicazioni nervose tra l’amigdala, sede delle emozioni, e alcune aree della corteccia prefrontale che, generalmente, operano da filtro sull’amigdala, suggerendo che bassi livelli di serotonina rendono alla corteccia prefrontale più difficile il controllo delle risposte di paura.

ASPETTI GENETICI

Dal XIX secolo gli studiosi hanno cercato di individuare le basi genetiche dell'aggressività. Lombroso, fondatore dell'antropologia criminale, pensava che esistessero peculiari caratteristiche anatomiche nei soggetti che avevano un’innata inclinazione al male.

I fattori genetici sembrano importanti anche in alcune sindromi psichiatriche, dove condotte violente e asociali sono l'aspetto prevalente, come nel disturbo da scarso controllo episodico degli impulsi e nel disturbo antisociale di personalità.

In alcuni casi si è visto che le alterazioni dei cromosomi sessuali sono in stretta relazione con i comportamenti aggressivi. Ad esempio, i soggetti con il genotipo XYY a quarantasette cromosomi sono descritti come violenti impulsivi e tendenti ad azioni criminose.

Condotte aggressive aspecifiche e più rare sono state descritte anche nella Sindrome di Klinefelter, che colpisce i soggetti di sesso maschile, con cariotipo XXY. L’aggressività potrebbe essere legata al notevole ritardo mentale che questi soggetti presentano fin dalla nascita e alla presenza di: vulnerabilità emotiva, iperattività, irritabilità, scoppi di rabbia e bassa soglia alle frustrazioni. L'aggressività di questi soggetti, principalmente in età infantile e talvolta adolescenziale, è caratterizzata da un’aggressione indiscriminata contro tutti quelli che tendono ad avvicinarsi ed entrare in contatto con loro.

Anche per Moriconi citato da Tiziana M.,[5]: “Chi perde facilmente il controllo, fino ad agire in modo aggressivo, potrebbe avere una predisposizione genetica all’impulsività. Ad esempio una mutazione chiamata Q20 del gene HTR2B”. In quest’ultimo caso tuttavia, i risultati non sono univoci e numerosi ricercatori a proposito della personalità antisociale evidenziano un’interazione tra fattori biologici e ambientali.

ASPETTI ORMONALI

Gli ormoni più frequentemente studiati come modulatori dei comportamenti aggressivi nell'uomo sono quelli sessuali e steroidei in genere. Il rapporto tra ormoni e aggressività è complesso e non completamente chiarito.

Le ricerche neuroendocrinologiche hanno dato un importante ruolo al testosterone e in generale agli ormoni androgeni, per spiegare la maggiore aggressività maschile, mentre la maggiore docilità del genere femminile è stata rapportata alla presenza dell'estradiolo, considerato l'inibitore per eccellenza dell'aggressività.

Ciò sembra confermato dalla somministrazione di testosterone, eseguita in svariati studi su animali ed anche sull'uomo, che ha comportato un aumento di aggressività in entrambi i sessi, mentre alla castrazione nel sesso maschile ha fatto seguito una riduzione della spinta aggressiva. Inoltre è stato riscontrato un più alto livello ematico di testosterone in donne violente rispetto a quelle più tranquille.

Tuttavia, il comportamento sociale dell’uomo è molto più complesso rispetto alla quantità di un ormone. Pertanto alcuni autori non credono che il testosterone aumenti l’aggressività, mentre è vero invece che quest’ormone favorisce l’onestà e i comportamenti prosociali sia negli uomini sia nelle donne.

Per Andreoli[6]: “L’aggressività come risposta a determinati stimoli dipende dalle condizioni emotive del soggetto, dalla sua capacità di assorbire le frustrazioni, dall’esperienza del dolore; su questo insieme percettivo – interpretativo giocano il loro ruolo il testosterone ed altri ormoni”. “Sarebbe un errore, in analogia a quanto osservato per il cromosoma Y, sostenere che il testosterone è l’ormone della violenza, sia perché esso risente enormemente delle condizioni ambientali, sia perché si conoscono condizioni in cui la correlazione non è confermata”[7].

E ancora  Andreoli [8]:

“Dal punto di vista dei parametri biologici la maggiore aggressività si lega, nel maschio, particolarmente durante la pubertà, a testicoli più voluminosi e ad una più elevata concentrazione plasmatica di testosterone. Anche in questi casi il comportamento non è indipendente dall’esperienza: in molti casi gli animali aggressivi che sperimentano situazioni sociali in cui l’aggressività risulti perdente possono apprendere un comportamento che limita quello aggressivo”.

L'APA nel 1994 ha riconosciuto il disturbo disforico premestruale, caratterizzato da labilità affettiva, sentimenti di rabbia e ostilità con una sintomatologia neurovegetativa associata. Durante la settimana premestruale sono più bassi i livelli di progesterone e di estrogeni. Recenti studi su diverse specie animali, hanno tuttavia dimostrato come questa relazione non sia così lineare ed automatica. Si è visto che gli ormoni sessuali possono avere effetti diversi sia su persone di sesso opposto sia dello stesso sesso ma appartenenti a specie differenti. Questi effetti cambierebbero inoltre, in rapporto a periodi della vita e risentirebbero dell'interazione con altri ormoni quali l’adrenalina e la noradrenalina. Il problema rimane pertanto controverso.

I neurotrasmettitori

Numerosi studi, da diversi anni, analizzano il ruolo dei neurotrasmettitori nei comportamenti aggressivi. I neurotrasmettitori sono sostanze chimiche che permettono il passaggio dell'informazione da neurone a neurone e costituiscono la base della funzionalità cerebrale, strettamente collegata ai molteplici fenomeni biochimici, psicopatologici e comportamentali dell'individuo.

Studi sugli animali hanno evidenziato come l'aggressività sia favorita da neurotrasmettitori quali l’acetilcolina, la dopamina e la noradrenalina, mentre un’azione inibente è svolta dalla serotonina e dal GABA. Un ruolo particolare spetta alla noradrenalina (che svolge un'azione favorente i comportamenti aggressivi) e alla serotonina (azione inibente). Un riscontro di queste osservazioni nasce a livello clinico quando constatiamo, ad esempio, l'azione anti aggressiva di composti quali i sali di litio; quest’azione sembra essere determinata dall’attività antinoradrenergica dei sali stessi e dall'altra all'azione bloccante il reuptake della serotonina. I continui progressi in campo biochimico e neurofisiologico, consentiti da sempre più perfezionate tecniche, hanno inoltre valorizzato il ruolo dei neuropeptidi (colecistochinina, CCK) e degli oppioidi (Luck e Struber, 2007, p. 35).

 

 

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[1] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 81.

[2] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 73.

[3] Moruzzi G. (1975), Fisiologia della vita di relazione, UTET, Torino.

[4] Beltramini A. (2006), Focus, 02/ pag 34.

[5] Tiziana M., (2011), “Il lato genetico dell’aggressività”, Mente e cervello, n. 74, febbraio.

[6] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 70.

[7] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 69.

[8] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 68.

La valutazione giuridica, sociale e morale degli atti di violenza

 

 

La valutazione giuridica, sociale e morale degli atti di violenza è particolarmente difficile e problematica per vari motivi:

  1. Poiché sono considerati atti violenti tutti quei comportamenti che, dal punto di vista sociale, etico e giuridico, si configurano come tali, la distinzione tra atto violento o non violento può variare molto nel tempo e nei luoghi, in base alla religione, agli usi, ai costumi e alle leggi vigenti in quel particolare momento storico. Per tale motivo alcuni comportamenti sono accettati in un certo periodo o in una certa società, ma sono rifiutati in un altro periodo o in un altro contesto sociale. Per Andreoli [1]: “Esiste una correlazione tra cultura e violenza: se mutano i paradigmi culturali, le espressioni violente si modificano e possono aumentare o sparire. La violenza, insomma, è una manifestazione della cultura che domina un certo momento storico”. E ancora lo stesso autore fa un esempio: “Le punizioni pedagogiche sono state considerate per lungo tempo strumento di formazione ed erano non solo applicate, ma persino richieste; introdotta la pedagogia come gioco e non più sacrificio, esse sono diventate violenza”[2].
  2. La reattività del soggetto nei confronti dei comportamenti di un’altra persona nei suoi confronti può essere la più varia, e ciò in conformità a parametri molto numerosi e ampi. Questa reattività può essere strettamente legata alle caratteristiche sessuali, all’età, alle condizioni sociali e alle caratteristiche di personalità proprie e dell’altro. Ad esempio nel caso delle molestie, queste possono essere vissute come una violenza quando provengono da una persona che non ha le caratteristiche sessuali, l’aspetto fisico, l’età, lo stato sociale o l’etnia che sono adatti ai nostri gusti e desideri di quel momento. Mentre al contrario, gli stessi comportamenti possono essere bene accetti, anzi ambìti, quando provengono da una persona che per motivi vari si confà ai nostri bisogni e desideri.
  3. Un comportamento, obiettivamente giudicato lieve, può essere vissuto con grande sofferenza da parte di una personalità psicologicamente disturbata, eccessivamente sensibile o reattiva, mentre, al contrario, un comportamento obiettivamente più grave può essere tranquillamente accettato, ben metabolizzato e gestito da parte di un soggetto sereno che presenta una forte tempra psicologica.
  4. Uno stesso comportamento può essere vissuto come una violenza da parte di un sesso, mentre può non essere visto come tale da parte di un altro sesso.
  5. Per quanto riguarda poi gli atti di violenza psicologica, non avendo essi un supporto fisico che si possa esaminare e stimare, sfuggono facilmente a un esame di realtà; pertanto è difficile valutarne la gravità ma anche la reale consistenza.
  6. Altrettanto complesso è riuscire a valutare nei singoli casi chi è il colpevole e chi è la vittima poiché, in alcune situazioni, gli errati o irritanti comportamenti di un partner, anche se di scarsa gravità, possono aver provocato nell’altro un accumulo di tensione che in un secondo momento può  sfociare in chiari e netti comportamenti violenti, che sono frutto quindi di un animo esasperato. Dice Pasini [3]: “C’è chi ha sviluppato una forma di cattiveria che consiste nel frustrare gli altri con una forma passiva ma tenace. Sono le personalità cosiddette passive - aggressive, che si nascondono dietro una maschera di sottomissione e modestia”.
  7. Inoltre, certi comportamenti violenti possono essere la conseguenza di disturbi psichici che il soggetto porta con sé dall’infanzia oppure possono essere l’effetto di gravi stress o momentanei malesseri che il soggetto è stato costretto a subire nell’ambiente lavorativo, familiare e sociale. Per tali motivi il giudizio morale e sociale su questa persona non può essere, in questi casi, di netta e chiara condanna.

La falsa violenza

Così come vi sono atti di vera violenza, vi sono poi altrettanti atti di falsa violenza,che hanno lo scopo di mettere in cattiva luce il proprio avversario per ottenere degli scopi non leciti. Ad esempio, nel 50% dei casi di separazione extragiudiziale sono accampati episodi di brutalità. Questo non significa che la violenza ci sia stata veramente. Purtroppo attribuire comportamenti aggressivi alla controparte è una delle tante strategie utilizzate da alcuni spregevoli avvocati matrimonialisti, per ottenere qualcosa in più per il proprio cliente in sede di separazione. Come dice Roberto [4]: “ I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni. Solo in due casi su dieci si tratta di veri maltrattamenti. Il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione”.

Le false denunce o accuse costruite nell’ambito delle separazioni, dei divorzi e delle cessazioni di convivenza, sono presenti nell’inchiesta sulla violenza sugli uomini in 512 casi sul totale dei casi esaminati (48,4%)[5]. Inoltre, in alcune situazioni, gli atti di aggressività, esercitati da parte di un membro della coppia, possono essere stati provocati ad arte, per giustificare, presso i giudici le accuse di violenza. È evidente che in questi casi la vera vittima è chi, con parole e comportamenti, è stato provocato e non chi ha subito i consequenziali atti di violenza, frutto di una o più offese finalizzate proprio a provocare l’altro.

 

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[1] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 29.

[2] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 11.

[3] Pasini W. (1993), Volersi bene, volersi male, Milano, Arnaldo Mondatori Editore, p. 56.

[4] Roberto R., (2016), “La violenza intrafamiliare”, Il consulente familiare, aprile – giugno.

[5] Macrì  P. G.  et al.,  (2012), “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza , Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 32.

Violenze in famiglia - Conseguenze sui minori

 

Violenze in  famiglia - Conseguenze sui minori

Autore: Emidio Tribulato

 

Per Ackerman[1]:

“Il modo in cui i genitori mostrano in modo caratteristico il loro amore reciproco e verso i figli è di grandissima importanza per determinare il clima emotivo della famiglia. Il conflitto genera una tensione ostile che, se non viene diminuita, minaccia la disorganizzazione della famiglia. Quando i genitori si amano reciprocamente, il bambino ama ambedue i genitori; quando i genitori si odiano, il bambino è costretto a prendere posizione per l’uno o per l’altro. Ciò suscita paura, giacché egli deve essere preparato a perdere l’amore del genitore che respinge in favore dell’altro”.

Molti genitori conflittuali frequentemente non riescono a collaborare e a coordinarsi tra loro nell’educazione dei figli. Spesso neanche provano a trovare un’intesa reciproca. Anzi, l’uno cerca di squalificare, limitare e bloccare la credibilità dell’altro, sminuendo ogni iniziativa, e ogni frase da questi pronunciata, quasi lieto di poter mettere in discussione e contrastare ogni direttiva e regola proposta o dettata dall’altro coniuge.

I figli, quando avvertono attorno a loro chiari ed evidenti segnali di conflitti o peggio, notano comportamenti violenti tra i genitori, non possono restare indifferenti. Il mondo dei bambini, almeno nei primi anni di vita, è limitato alla propria casa e ai propri genitori. Per tale motivo è diverso dal mondo degli adulti che è ampio, perché fatto di numerosi e complessi rapporti familiari, amicali, professionali. Pertanto quel piccolo ambiente, appunto “il nido” degli esseri umani, affinché permetta un sano sviluppo dei minori, è fondamentale che sia caldo e tenero, ma anche sicuro, sereno e tranquillo.

Quando ciò non avviene, per cui i piccoli dell’uomo avvertono attorno a loro frequenti conflitti, freddezza e aggressività, tutto il loro essere ne soffre, sconvolto dalla tensione che li circonda. Ciò impedisce o altera, a volte in modo lieve, ma più spesso in maniera grave, il loro normale sviluppo psichico. Non è facile, infatti, che un essere fragile, debole e insicuro, com’è un bambino, possa vivere e svilupparsi correttamente in mezzo ai sospetti, ai contrasti o in una famiglia nella quale ognuno va per la sua strada, cercando il proprio tornaconto, senza che vi sia quell’accordo e quell’indirizzo univoco, indispensabile ai piccoli per comprendere, adattarsi e saper affrontare le realtà interne ed esterne.

Alcuni minori pur di non ascoltare o in qualche modo sottrarsi alle urla e all’atmosfera insopportabilmente violenta presente in casa, si chiudono nella loro stanza; si mettono le cuffie nelle orecchie e alzano il livello della musica, nel tentativo di proteggersi, isolandosi. Altri escono da casa o preferiscono restare con i nonni. Altri ancora, gridando a loro volta, cercano in tal modo di coprire le urla dei genitori.

Le conseguenze delle quali soffriranno i minori sottoposti ad un ambiente conflittuale e violento sono in rapporto: all’età; al sesso; alla durata e gravità delle manifestazioni alle quali sono costretti ad assistere; alla loro maggiore o minore capacità di comprendere le cause del conflitto, ma anche alla loro preesistente situazione psicologica. Com’è facile capire, i figli più piccoli reagiscono peggio di quelli più grandi, giacché la loro minore età li rende più facilmente preda delle paure, delle ansie, delle insicurezze, ma anche dei sensi di colpa.  Anche gli adolescenti reagiscono molto male ai conflitti genitoriali, poiché in questa fase evolutiva, particolarmente delicata e difficile da affrontare, tali nuove e importanti problematiche che si aggiungono nel loro percorso di crescita, già molto complicato, alterano il loro scarso e fragile equilibrio.

Assistere a dei modi non costruttivi di risoluzione degli scontri genitoriali può incrementare la possibilità di acquisire e generare, a loro volta, metodi inefficaci di risoluzione dei conflitti, sviluppando minori abilità sociali e credenze distorte circa la legittimità e la normalità dei comportamenti aggressivi. Tuttavia, quando i genitori riescono a discutere serenamente e a risolvere costruttivamente i conflitti, questo comportamento può aiutare i figli a imparare le adeguate strategie per la risoluzione dei problemi che si presentano nei rapporti affettivo - relazionali. Inoltre, la risoluzione costruttiva di un conflitto può servire alla coppia stessa per accrescere e per potenziare il proprio legame.

Oltre alla sofferenza causata del trauma di assistere agli scontri tra le persone a loro più care, i minori possono subire anche il danno dovuto alle carenze affettive ed educative. Il conflitto fa, infatti, diminuire la disponibilità fisica ed emotiva, ma anche l’attenzione e la cura verso i figli, poiché i genitori sono non solo occupati e impegnati in questa guerra intestina, ma sono anche psicologicamente sconvolti: pertanto non hanno il tempo, la serenità e la disponibilità necessaria ad occuparsi bene dei loro figli.

Inoltre, poiché spesso il loro stile educativo diventa più nervoso, aggressivo, severo e intollerante, aumentano i rimproveri e le punizioni nei confronti dei minori. In altri casi, al contrario, è possibile che uno dei genitori crei delle alleanze patologiche con i figli verso i quali egli avrà, di conseguenza, una serie di comportamenti permissivi e arrendevoli. Quando poi uno dei due genitori cerca di imporre il proprio stile educativo e formativo, mettendo da parte quello dell’altro, quest’ultimo, frustrato e stanco, si defila dai compiti formativi ed educativi, per spostare la sua attenzione, il suo affetto, la sua gratificazione ad altre attività o ad altre relazioni sentimentali e sessuali. In questi casi è evidente che i figli saranno deprivati delle attenzioni, del dialogo, delle tenerezze, dell’ascolto, di uno dei genitori.

Di solito questo genitore è il padre il quale, in base alle vigenti leggi, è marginalizzato nei compiti educativi. Tuttavia in alcune particolari situazioni i figli sono privati di entrambi gli apporti genitoriali, poiché anche le madri, emotivamente scosse e stressate, hanno notevoli difficoltà a relazionarsi con i figli in maniera serena ed equilibrata.

 Un’altra grave problematica riguardante i figli dei genitori conflittuali è quella di essere costretti a scegliere il genitore da amare e quello da odiare e per tale motivo scacciare dal loro animo. Tutto ciò però a scapito dei loro più profondi bisogni e desideri, conformemente ai quali essi vorrebbero, invece, avere accanto, amare e rispettare entrambi i genitori. I figli si schierano e si associano in modo istintivo a volte alla persona violenta, contro quella ritenuta colpevole e quindi degna di subire le punizioni che le sono inflitte, altre volte, invece, si alleano e nel loro animo cercano di difendere, la vittima. In altri casi ancora, non sapendo per chi parteggiare e chi appoggiare e proteggere, preferiscono allontanarsi fisicamente o almeno psicologicamente da entrambi i genitori, pur di non essere coinvolti in una situazione che non riescono a definire, capire e tantomeno gestire.

Vi sono per fortuna dei genitori che cercano di non bisticciare davanti ai loro figli, in modo tale da proteggerli dall’esposizione al conflitto. Quest’accorgimento è senza dubbio positivo ed è un segnale di grande responsabilità, tuttavia non sempre è efficace, a causa delle capacità istintive che i minori hanno di comprendere con facilità le emozioni, anche se queste non sono espresse apertamente.

Sappiamo che i conflitti molto intensi e violenti portano frequentemente alla separazione della coppia. Tuttavia questa soluzione non sempre è efficace, poiché dopo circa un anno e mezzo dalla separazione, almeno un terzo delle coppie esaminate continua a scontrarsi e un quarto dei soggetti continua a farlo anche nei quattro anni successivi. Per tale motivo sia quando i genitori sono in regime di separazione o di divorzio, sia quando riescono a coabitare, nonostante i conflitti, è frequente che i figli subiscano delle notevoli sofferenze[2].

Queste sofferenze si possono manifestare in svariati modi.

  1. Minori capacità nella gestione dei conflitti con facili esplosioni di rabbia.
  2. Maggiore sensibilità ai conflitti stessi.
  3. Minore capacità di autoregolazione nei rapporti con se stessi e con gli altri, con conseguente scarso adattamento sociale e difficoltà anche gravi nel campo relazionale.
  4. Sintomi regressivi, con un ritorno a fasi di sviluppo superate.
  5. Presenza di numerose e gravi paure: del buio, degli animali, della morte o della perdita di uno o di entrambi i genitori e così via.
  6. Presenza d’incubi notturni, disturbi alimentari, insicurezza emotiva.
  7. Credenze distorte circa la legittimità e la normalità dei comportamenti aggressivi.
  8. Presenza di disturbi depressivi che si possono manifestare con apatia, abulia, sensazione d’indifferenza e distacco, chiusura, sensi di colpa e di indegnità.
  9. Minore benessere psicofisico globale.
  10. Disturbi del comportamento: diffidenza, irritabilità, aggressività, facili accessi di rabbia, comportamenti oppositivi provocatori, abuso di alcool e/o droghe, promiscuità sessuale.
  11. Disturbi nell’area cognitiva: difficoltà nell’apprendimento, nell’attenzione e nella memorizzazione, minori capacità nell’elaborazione di quanto letto o ascoltato, ma anche minori capacità nel ragionamento logico.

Queste alterazioni affettive ed emotive dei figli, se non sono rapidamente e prontamente risolte, tenderanno a perdurare nel tempo, trasformandosi in disturbi psicologici dell’adulto. Questi disturbi, a loro volta, con facilità si trasferiranno alle nuove generazioni, accentuando il disagio sociale. Molti genitori cercano di difendersi dai sensi di colpa rifiutando d’accettare che le problematiche dei figli siano dovute ai loro comportamenti conflittuali. Pertanto in tutti i modi cercano di attribuire i sintomi di disagio dei figli a fattori congeniti o a una loro congenita cattiveria. Di conseguenza tenderanno ad allontanarsi ancor più da essi, lasciando all’altro coniuge ogni responsabilità[3].

 Se la sofferenza subita è uguale in entrami i sessi, si possono tuttavia avere modi diversi di viverla: nei figli maschi sono maggiormente presenti i comportamenti esternalizzanti. Cioè comportamenti in cui il disagio del bambino si riversa verso l’esterno, provocando disturbo nell’ambiente circostante. Ad esempio, il bambino insiste fino allo sfinimento per avere quanto desidera, ha degli atteggiamenti oppositivi nei confronti delle richieste degli adulti, aggredisce gli altri per avere ciò che desidera. Nelle bambine, invece, sono più frequenti i comportamenti internalizzanti. Cioè comportamenti nei quali le femminucce tendono a mantenere dentro di sé i loro stati emotivi, senza manifestarli apertamente, specialmente quando temono di essere in qualche modo responsabili dei conflitti dei genitori. In questi casi le bambine possono manifestare ansia, depressione, ritiro sociale e disturbi psicosomatici.

Tuttavia, così come i figli sono sensibili al conflitto presente nei genitori, allo stesso modo la relazione tra i genitori può essere influenzata negativamente del comportamento dei figli. Per cui: “L’identità psicologica della coppia coniugale modella il bambino, ma anche il bambino, secondo i suoi bisogni, modella la coppia coniugale”[4].

In questi casi si può instaurare un circolo vizioso: i problemi e i conflitti dei genitori possono provocare delle problematiche psicologiche nei figli, con sintomi di tipo comportamentale e oppositivo provocatorio; tali sintomi, a loro volta, possono accentuare i conflitti nella coppia, sia per l’aumentato stress, sia a causa del nascere di accuse reciproche: “È colpa tua: non hai saputo educare bene nostro figlio, sei stata troppo permissiva”. Oppure: “Sei stato troppo severo”; “Lavori troppo, non sei mai presente”; “Non ti occupi mai di lui”. O ancora: “Il tuo caratteraccio si è trasferito in nostro figlio”.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 32.

[2] Ahrons C. (1981), The continuing coparental relationship between divorced spouses, in “American Journal Orthopsychiatry”, p. 51.

[3] Ackerman N. W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 226 – 227.

[4] Ackerman N. W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 34.

Violenze sulle donne e sugli uomini

 

 

 

 

 

 

 

Autore: Emidio Tribulato

 

Per violenza s’intende ogni azione di sopraffazione esercitata su individui con mezzi fisici o psicologici. Rientrano negli atti violenti tutti gli atteggiamenti e le azioni di chi con la forza o con la minaccia costringe qualcuno, un gruppo o una comunità a fare qualcosa o gli impedisce di fare qualcosa, in modo tale da determinare una privazione, un cattivo sviluppo, un danno psicologico. Oppure procura una lesione fisica o anche la morte dell’individuo o degli individui verso i quali l’atto violento si esercita. La violenza può nascere da uno stimolo conscio o inconscio e può essere quindi sia volontaria che involontaria.  

“Violenza” è termine analogo a “violare” nel senso di profanare, andare contro, trasgredire [1]. Per Hacker [2] la violenza è in fondo la forma cruda, volgare e primitiva dell’aggressività. Per quest’autore la violenza è sempre aggressività, ma non sempre l’aggressività è violenza. Tuttavia qualsiasi manifestazione dell’aggressività è preferibile alla violenza. 

Certe forme di violenza sono provocate da un sentimento d’ingiustizia. “Se io ho sofferto, è giusto che anche chi ha provocato il mio malessere soffra”. Tuttavia come dice Hacker[3]: “Solo se l’aggressività nel suo complesso e in tutte le sue sfumature e manifestazioni è stata riconosciuta e accettata essa non ha più bisogno di camuffarsi. Solo se l’aggressività non deve cambiare etichetta, non deve più nascondersi né negare la propria esistenza, potrà scegliere per manifestarsi delle alternative al servizio della vita e della felicità, non sarà più costretta a regredire alla violenza, diventando portatrice di distruzione e morte”.

Il termine di violenza domestica indica ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda i soggetti che hanno avuto o si propongono di intrattenere una relazione intima di coppia. Questo termine si riferisce anche alle persone che vivono all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato e a quelli che hanno una relazione di carattere parentale o affettivo. Purtroppo è proprio il legame affettivo e di sangue a rendere la casa e la famiglia nella sua accezione più ampia, il luogo privilegiato in cui la violenza si esercita più frequentemente, tanto che la violenza domestica raggiunge il 75% dei soprusi e colpisce soprattutto coniugati e conviventi. Per quanto riguarda questi soggetti uno dei periodi più pericolosi è quello nel quale si decide o si va incontro alla separazione. Il motivo è facilmente comprensibile. Quei periodi sono, dal punto di vista psicologico, sicuramente i più laceranti e carichi di tensione, risentimento e odio, nei confronti dell’altro coniuge, convivente, o fidanzato/a che sia.

 

Per quanto riguarda il termine violenza di genere, si vorrebbe limitare questo termine agli atti violenti che comportano o è probabile che comportino una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi forma di sofferenza alla donna. Questa limitazione al sesso femminile non è affatto corretta, poiché la violenza è un fenomeno trasversale, pertanto non è assolutamente riconducibile al solo genere femminile. È del tutto evidente che vittime di violenza possono essere non solo i maschi, ma anche i portatori di altri generi sessuali: come gli omosessuali maschi e femmine, i bisessuali, i transessuali, gli ermafroditi e così via.

 

Violenza fisica (Vis absoluta)

Questa è data dall’azione violenta estemporanea o prolungata nel tempo rivolta al corpo dell’altro con intenzione di fargli male o addirittura di danneggiarlo in modo permanente, se non di ucciderlo. La violenza fisica può essere attuata mediante il corpo con schiaffi, pugni, calci ecc. oppure mediante l’uso di veleni, armi o altri oggetti che sono capaci di provocare dolore o di ledere fino a uccidere il corpo dell’altro.

Violenza psicologica (vis compulsiva)

È l’azione rivolta non a far del male al corpo dell’altro ma alla sua psiche, cercando di danneggiare o distruggere il suo benessere psicologico, la sua serenità interiore, la sua autostima, l’immagine sociale, amicale o familiare. In questi casi vi è il desiderio di sottomettere e condizionare in modo pesante la vita dell’altro.  La violenza psicologica è difficilmente visibile e diagnosticabile; i suoi confini sono poco netti e definiti; la gradualità è molto varia e le cause che possono determinarla sono molteplici. Per tali motivi la sua valutazione, in sede legale ma anche su basi etiche e morali, è particolarmente complessa e sfuggente e si presta a svariate interpretazioni e a molti distinguo. Inoltre varia molto nel tempo ed è diversa nei vari stati e nelle varie comunità umane e religiose.

Per quanto riguarda i comportamenti, la violenza psicologica può essere realizzata mediante:

  • Minacce. Ad esempio: “Se non fai quello che ti dico ti tolgo i figli e non li vedrai più”; “Se esci da casa, ti tolgo tutti i soldi e ti lascio in mutande”; “Se non mi permetti di fare quanto ti ho chiesto ti ammazzo, ti distruggo socialmente, dirò a tutti di che pasta sei fatto/a”. Tra le minacce vi può essere anche quella del suicidio. Questa minaccia, come si può ben comprendere, è di estrema gravità, giacché può innescare intensi sentimenti di colpa nella vittima.
  • Divieti eccessivi o assurdi. Ad esempio: “Non ti permettere più di uscire da casa senza il mio permesso”; “Se vai dai tuoi ti lascio”; “Guai a te se frequenti quei tuoi amici”.
  • Colpevolizzazioni eccessive senza un valido riscontro nella realtà. Ad esempio:E’ colpa tua se siamo rimasti in bolletta”; “È colpa tua se nostro figlio si droga”; “Tu sei responsabile dell’infarto che ho subito”.
  • Denigrazione e svalutazione. In questi casi si attacca verbalmente l’altro con frasi dispregiative, cercando di sminuire la sua dignità personale, il suo lavoro, la sua psiche, il suo corpo, le sue capacità e il suo ruolo come madre o padre, come marito o moglie: “Sei un poco di buono”; “Sei una nullità”; “Sei un deficiente/ un cretino”; “Non sei un vero uomo”; “Non hai nulla di una vera donna”; “Sei una matta”. Altre volte si usano i figli per aggredire e umiliare l’altro, istigandoli a rifiutare ogni contatto con il proprio genitore. In alcuni casi si utilizza il sarcasmo per criticare l’altro così da denigrarlo agli occhi dei figli, degli amici e degli altri familiari. In questi casi si utilizzano, alla presenza di altri, delle battute pungenti, solo apparentemente spiritose. Tuttavia lo scopo è chiaro ed evidente: per fare più male si punzecchia il partner davanti a tutti, anche con la speranza di avere dagli altri man forte contro chi si vuole aggredire. Naturalmente questi comportamenti possono comportare la perdita dell’autostima della vittima.
  • Controllo sull’altro. Per avere un maggior controllo sull’altro si può cercare in tutti i modi di scoraggiare ogni sua iniziativa, con l’intenzione di sottometterlo a sé. In questi casi uno dei due prende il sopravvento e decide che cosa il partner “deve” indossare, le persone che può o non può frequentare, e così via.
  • Isolamento. Questa violenza consiste nel cercare di rendere l’altro dipendente da sé cercando di isolarlo. Ad esempio, gli viene impedito di lavorare, di accedere alle finanze personali o comuni, di vedere o di mantenere rapporti con gli amici e la propria famiglia.
  • Indifferenza. Può provocare molta sofferenza anche il trattare l’altro come se non esistesse: non parlandogli; non facendolo partecipe della vita della famiglia; ignorando i suoi bisogni; rifiutando di dialogare con lui.
  • Ricatti affettivi e sessuali. Ad esempio: “Se non mi compri la pelliccia di visone, ti puoi dimenticare di toccarmi anche solo con un dito”. “Se non vuoi che io compri una macchina nuova io non ti pago l’intervento chirurgico che dovresti effettuare”.
  • Violenza economica. In questi casi la persona violenta cerca di diminuire l’indipendenza economica dell’altro in modo tale che questi non abbia beni e mezzi finanziari sufficienti per vivere dignitosamente. Ad esempio, si cerca di sottrargli lo stipendio; lo si esclude da ogni decisione in merito alla gestione economica della famiglia; oppure si costringe l’altro a firmare qualche documento a suo sfavore, così da appropriarsi dei suoi beni; o ancora si effettuano degli acquisti importanti senza consultare l’altro.
  • Violenza culturale e religiosa. Si effettua questo tipo di violenza quando non si rispetta la cultura o le convinzioni religiose e morali dell’altro.
  • Violenze sessuali. Si commette violenza sessuale in varie situazioni. Ad esempio quando si molesta sessualmente l’altro; quando lo si costringe a comportamenti sessuali umilianti, dolorosi o assolutamente non desiderati; quando si gode nel fare delle battute e prese in giro di tipo sessuale; quando si impongono all’altro delle gravidanze, degli aborti o lo si costringe a prostituirsi; quando si interrompe un atto sessuale senza un valido motivo.
  • Violenza con l’uso di modalità di contatto intense e asfissianti (stalking). Questo tipo di violenza si avvale di telefonate, lettere anonime, pedinamenti, messaggi scritti o audiovisivi effettuati sui social. Lo scopo più frequente è quello di cercare, mediante le minacce, di convincere l’altro a tornare sui suoi passi, in modo tale che possa nuovamente essere disposto a riprendere una relazione sentimentale o sessuale che è stata interrotta, in modo ritenuto ingiusto e ingiustificato, almeno nella visione di chi pratica lo stalking. Con tali mezzi il molestatore cerca di mettere soggezione, paura e ansia alla persona presa di mira, al fine di raggiungere il suo scopo o i suoi obiettivi. Nello stalking si può arrivare fino a vere e proprie condotte aggressive, con danni materiali ai beni della vittima[4]. Questa persona, desiderata o detestata dal molestatore, può appartenere al microcosmo affettivo – relazionale del soggetto e quindi può essere un ex: coniuge, fidanzato, convivente, amante, amico, ma può essere anche un vicino di casa con il quale non vi è stato mai alcun rapporto importante, un professionista o anche qualche personaggio famoso della Tv, del cinema o della canzone, come un attore, un’attrice, una modella, uno sportivo, un politico. In Italia, per stalking, vi sono circa 547 denunce ogni mese e diciotto arresti ogni giorno [5]. Lo stalking o molestia può essere attuato per vari motivi: difficoltà ad accettare un rifiuto; incapacità nel saper affrontare le conseguenze psicologiche dell’abbandono; uno stato d’inaccettabile solitudine che stimola a cercare una persona da amare, con la quale avere rapporti sentimentali o sessuali. In sintesi la persona insoddisfatta della propria richiesta, sente forte il bisogno di insistere in maniera abnorme ed eccessiva, con la speranza che i suoi bisogni siano esauditi. In alcuni casi invece, chi attua questo tipo di comportamento cerca con vari mezzi di punire la persona che rifiuta i suoi approcci o desidera vendicarsi, a causa di qualche torto subito o immaginato.
  • L’incuria e la negligenza. In questi casi il soggetto compie violenza non curando sufficientemente la persona che ha bisogno del suo apporto.
  • Lo sfruttamento. Questa violenza si attua quando ad esempio, si costringono degli adulti a prostituirsi oppure si costringono dei minori a impegnarsi in modo eccessivo nella moda, nella pubblicità o nei concorsi, con conseguenze negative sul loro sviluppo fisico o psichico.
  • Il mobbing familiare. Così come esiste un mobbing nel campo lavorativo, nel quale i datori di lavoro o altri colleghi, in modo ostile e prolungato, vessano qualche impiegato, allo stesso modo può esserci un mobbing all’interno della famiglia, con la costruzione di alleanze patologiche. Ad esempio quando uno dei coniugi si allea contro l’altro, utilizzando verso quest’ultimo particolari forme di violenza morale: non rivolgendogli la parola, ridicolizzando ogni suo comportamento, parola o gesto e così via. In altri casi il mobbing si può attuare privando l’altro di qualsiasi possibilità di esprimersi; ci si beffa dei suoi punti deboli; nei suoi confronti si fanno allusioni scortesi, senza mai esplicitarle; si mettono in dubbio le sue capacità di giudizio e di decisione ecc. “… per cui alla fine, chi subisce questa particolare forma di crudeltà mentale vede spegnersi la luce, la sua anima diviene sempre più buia, lacerata, devastata”[6].
  • La gelosia eccessiva. Anche la gelosia, se eccessiva e quindi patologica, comporta una limitazione importante della libertà dell’altro, il quale avrà difficoltà a muoversi, agire e anche lavorare.

Tutti gli atti di violenza psicologica sono in fondo un surrogato dell’aggressione fisica, poiché riescono lo stesso a far del male all’altro, senza sentirsi colpevoli o poter essere accusati di aver provocato un danno organico facilmente rilevabile.

In alcuni casi la violenza può alternarsi a periodi, più o meno lunghi, nei quali, dopo il pentimento e l’accettazione delle scuse da parte della vittima, predomina nella coppia la riappacificazione, la riconciliazione, la dolcezza e l’accondiscendenza. Tuttavia, dopo qualche tempo può seguire una nuova fase di tensione e il riesplodere di un nuovo conflitto, con ulteriori espressioni di violenza ed aggressività. A causa della violenza si possono avere tutta una serie di conseguenze psicologiche come: ansia, paura, confusione, difficoltà di concentrazione, vergogna, perdita dell’autostima con autocolpevolizzazione, senso di fallimento e di impotenza, depressione, isolamento sociale, perdita del lavoro, difficoltà nelle relazioni con l’esterno, perdita dei contatti amichevoli e così via[7].

Non sempre la frequenza e la gravità degli atti violenti sono in relazione con la gravità del conflitto o della contrarietà che incontrano. Può essere presente una carenza conflittuale, intesa come una mancanza di quelle componenti personali e sociali che ci consentono di percepire il contesto critico come sostenibile e non come una minaccia o un pericolo [8]”. La persona con grave carenza conflittuale manifesta un comportamento violento anche in assenza di particolari tensioni e senza seguire la logica dell’escalation. In genere basta molto poco, anche un accenno limitato e parziale di contrarietà – una parola o un atteggiamento fraintesi – per accendere reazioni che appaiono totalmente fuori misura rispetto alle norme sociali, ma che risultano perfettamente compatibili con i suoi deficit, le sue fragilità [9].

 

La violenza nei due sessi

È questo un tema particolarmente difficile ma anche controverso. Negli ultimi anni le accuse di violenza sono quasi sempre state applicate agli uomini, mentre le donne sono state viste quasi sempre come vittime. In realtà, come vedremo esaminando i dati in nostro possesso, le cose sono più complesse.

La violenza sulle donne

 Nella ricerca ISTAT del 2014 per quanto riguarda la violenza sulle donne sono riportati i seguenti dati:

 Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).

Ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione.

Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro.

Lo scorso anno sono state 134 uno ogni 64 ore, le morti delle donne per mano degli uomini. (Cattaneo M., 2014)

La violenza sugli uomini

 Macrì et al., in un’indagine svolta nel 2012 su 1058 soggetti maschili dai 18 ai 70 anni, hanno riportato numerose tipologie di violenze, esercitate su di loro da parte delle donne.

Violenze fisiche

  • Violenza fisica messa in atto con modalità tipicamente femminili con graffi, morsi, capelli strappati: 60,5%  degli intervistati.
  • Lancio di oggetti: 51,2% degli intervistati.
  • Percosse con calci e pugni: 58,1% degli intervistati.
  • Aggressione alla propria incolumità personale che avrebbero potuto portare al decesso: 8,4% degli intervistati.
  • Utilizzo di armi proprie e improprie: 23,5% degli intervistati.

Violenze psicologiche

La percentuale di donne che globalmente insultano, umiliano e provocano sofferenza con le parole è alta: 75,4% degli intervistati. In particolare:

  • Minaccia di esercitare violenza fisica: 61,1% degli intervistati.
  • Disprezzo/derisione: 30,5%   degli intervistati.
  • Paragoni irridenti: 20,1%  degli intervistati.
  • Umiliazioni per quanto riguarda l’aspetto economico e critiche a causa di un impiego poco remunerativo: 50,8% degli intervistati.
  • Umiliazioni ed offese in pubblico: 66,1% degli intervistati.
  • Critiche ed offese ai parenti: 72,4% degli intervistati.
  • Critiche per difetti fisici: 29,3% degli intervistati.
  • Critiche per abbigliamento ed aspetto in generale: 49,1% degli intervistati.
  • Critiche per la gestione della casa e dei figli: 61,4% degli intervistati.

Violenze sessuali

  • Per quanto riguarda le violenze sessuali, solo il 2,2% degli uomini dichiarava di non aver mai subìto alcun tipo di violenza sessuale. La percentuale maggiore di questo tipo di violenza riportato dagli uomini che è stata del 48,7% degli intervistati, riguardava il rapporto intimo avviato, ma poi interrotto dalla partner senza motivi comprensibili. Questo comportamento li faceva sentire umiliati e depressi per cui: “La gamma di turbamenti riferiti andava dal malessere fisico, all’insonnia, dalla mortificazione nel sentirsi rifiutato, al dubbio di non essere più desiderato; dal timore di non essere in grado di soddisfare la partner, al dubbio che in precedenza la stessa avesse simulato un desiderio ed un piacere che non aveva mai provato; dal dubbio del tradimento, alla sensazione di inadeguatezza; dal timore per la stabilità della coppia, al calo dell’autostima, etc”. Un’ampia gamma di conseguenze che non sempre sono state risolte in autonomia, ma che in alcuni casi hanno necessitato di cure specialistiche, sostegno ed analisi.

Gli intervistati denunziavano inoltre altri tipi di violenze sessuali, in percentuali minori, come:

  • l’utilizzo della costrizione, attraverso la forza o la minaccia: 8,6%.
  • rapporti sessuali in forme a loro non gradite (es. rapporti sado-maso, rapporti nel periodo mestruale, rapporti sessuali con altre persone, incluso sesso di gruppo o scambi di coppia): 4,1%.

Per gli autori [10] Macrì et al.,: “Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano tale comportamento deviante e che vengono proposti con continuità a livello istituzionale e mediatico da diversi decenni, sono soliti prendere in considerazione solo l’eventualità che la vittima della violenza di genere sia donna e che l’autore di reato sia uomo. Tale informazione, distorta alla sua origine, passa tramite canali ufficiali (dai media alle campagne di prevenzione) determinando una conseguente sensibilizzazione unidirezionale che relega ad eccezioni - spesso non prese neppure in considerazione – le ipotesi che la violenza possa essere subita e/o agita da appartenenti ad entrambi i sessi”.

Le violenze sugli uomini sono particolarmente difficili da rilevare, poiché sono inficiate anche dalla maggiore o minore propensione di questi a evidenziare le violenze subite, a causa delle caratteristiche sessuali, ma anche a causa della maggiore o minore propensione ad aprirsi su contenuti relazionali particolarmente delicati e intimi. Da ciò derivano i limiti dell’analisi di un fenomeno che, per sua natura, è spesso sommerso[11] (Macrì et al., 2012, p.32). Nonostante l’impegno costante dei media, delle istituzioni e di larga parte del privato sociale nel condannare la violenza, la stessa viene etichettata come violenza di genere, dell’uomo quindi nei confronti della donna, dimenticando l’assunto che la violenza è un costrutto ampio e complesso che non prevede affatto distinzioni quantitative in ordine al sesso ma soltanto qualitative. Per molti giornalisti l’agito violento non ha caratteristiche proprie, oggettive ma sembra divenga biasimevole in funzione di chi lo compie. Viene pertanto trasmesso il messaggio che la violenza femminile non esiste, e se esiste è “lieve” e in ogni caso non suscita allarme, ed è legittimata, normalizzata, positivizzata, in quanto dovuta a reazioni della donna a causa di angherie maschili. Spesso l’uomo che subisce la violenza femminile non ottiene alcuna comprensione da parte di entrambi i sessi, anzi viene irriso e colpevolizzato come debole e incapace, per non essersi saputo difendere adeguatamente.

 Le variabili ambientali e personali

La reattività a uno stimolo non è mai uguale. Il soggetto quando è sereno e soddisfatto può reagire bene a intensi stimoli negativi. Al contrario, in certi momenti e in particolari condizioni di stanchezza, stress, ansia e frustrazione, può reagire male anche a uno stimolo minimo. Ad esempio, è più facile che reagisca male l’individuo che ha vissuto una giornata nella quale non sono stati rispettati i suoi bisogni fisiologici primari: sonno, riposo, alimentazione che la persona privata da molto tempo di quelle minime gratificazioni e soddisfazioni normalmente presenti nella vita di ogni uomo.

La facilità o meno di reagire con eclatanti e a volte pericolose reazioni di collera dipende molto anche dalla reattività individuale. Alcune persone più serene, equilibrate e più capaci di razionalità e controllo emotivo, accettano e sopportano stimoli anche molto intensi e reagiscono in maniera graduale e proporzionale alle provocazioni, altri invece reagiscono in maniera più frequente e/o eccessiva anche a banali stimoli irritanti. Queste persone trovano nelle parole e nei gesti degli altri sempre qualcosa che li colpisce ingiustamente. Sono chiamati “permalosi”, giacché facilmente e frequentemente si sentono feriti e percossi per motivi, a volte lievi, se non proprio insignificanti, ai quali reagiscono con acredine, ruminando rancore e vendette. Questa facile irritabilità dipende dalla storia personale e familiare del soggetto. Una maggiore reattività è presente nelle persone che hanno subìto, per lungo tempo un ambiente familiare frequentemente conflittuale oppure gravemente ansioso, depresso, irritante, essenzialmente poco adatto allo sviluppo di un minore.

 Non è da sottovalutare lo stato di debilitazione provocato da fragilità e debolezza fisica che si trasforma in uno stato di debolezza e fragilità psichica. Sono pertanto fattori predisponenti alle crisi di rabbia: le malattie, specie se croniche; gli interventi chirurgici subìti, particolarmente dolorosi, difficili e dagli esiti incerti; i ricoveri; l’assunzione di alcuni farmaci che aumentano notevolmente l’irritabilità e l’eccitabilità del soggetto come gli antistaminici, i cortisonici, gli antidepressivi e altri.

Le reazione colleriche diminuiscono con l’età e hanno minore impatto nelle persone più istruite, che cercano di vivere in maniera più razionale i contrasti. Sono più frequenti nei primi anni di matrimonio e diminuiscono nel tempo.

I comportamenti delle vittime

Nonostante, almeno in teoria, tutti gli atti di violenza debbano essere perseguiti in sede giudiziaria, non sempre questi sono denunciati dalle vittime. Ciò avviene per vari motivi:

  • Un certo numero di persone che non riescono a metabolizzare i conflitti,  non hanno la capacità di perdonare e sono certe della lentezza della giustizia e della scarsa obiettività delle sentenze dei giudici, tendono a preparare e attuare una loro giustizia, mediante una personale vendetta. In questi casi il rancore è tenuto e alimentato dentro l’animo, in attesa del momento propizio per farlo esplodere. La vittima, a volte per giorni, altre volte per mesi e anni, prepara, organizza e studia ogni punto debole dell’avversario, per rispondere “pan per focaccia” a chi le ha fatto del male. Ciò può fare in modo diretto, oppure utilizzando amici, parenti o altre persone estranee. Il momento propizio può verificarsi anche dopo anni, ma la persona vendicativa non ha fretta giacché “la vendetta è un piatto che si mangia freddo”. Inoltre, il male prima immaginato e poi attuato nei confronti del colpevole, è ricambiato “con gli interessi” poiché, rispetto a quello ricevuto, è maggiorato, accentuato e aggravato dalla collera contenuta. Tuttavia, nonostante il bisogno di rivalsa sia naturale, poiché è presente nell’uomo ma anche negli animali, non fa certamente stare meglio. Anzi fa l’effetto di un acido corrosivo e può portare alla depressione, allo stress, al malessere e ad una permanente tensione[12]. Come dice Losacco[13]: “La difesa a oltranza di se stessi porta ad un progressivo distacco emotivo e a continue azioni distruttive contro l’altro/a. Sfiducia e sofferenza portano all’irrigidimento e ad una tale inflessibilità da impedire a entrambi i partner di trovare un accordo. Il conflitto in questi casi diventa distruttivo: l’intimità, la relazione affettiva, l’autostima e la sicurezza vengono soffocate fino a svanire”.
  • Alcuni invece si astengono dal vendicare quanto subìto poiché temono che lo svelamento della violenza subìta possa mettere in pericolo la propria sicurezza e quella dei figli;
  • In altri casi vi è la paura di qualche ritorsione o di essere abbandonati dal partner;
  • Frequente negli uomini è la vergogna o il timore di subire umiliazioni da parte degli altri, soprattutto dagli altri maschi. Come dire: “Possibile che tu, grande e grosso come sei, non riesci a difenderti da una femminuccia?”
  • In altri casi si temono la derisione e le accuse da parte degli amici e soprattutto da parte dei familiari, per aver effettuato delle scelte sbagliate: “Ma guarda un po’! Il meraviglioso grande amore della tua vita si è rivelato un disastro? Quanto sei stata stupida ad avere scelto di stare con quel tale che noi tutti ti sconsigliavamo di frequentare! E ora, peggio per te! Arrangiati!”
  • Altre volte, a causa del forte legame che può arrivare fino alla dipendenza psicologica nei confronti della persona che ha effettuato la violenza, si preferisce soprassedere e perdonare in attesa di tempi migliori: “Speriamo che in futuro il suo comportamento possa migliorare”; oppure sono messe in evidenza le proprie responsabilità: “Anch’io ho le mie colpe, forse per evitare che succedano queste cose dovrei comportarmi meglio. Mi merito le botte che mi ha dato. Non dovevo fare la scema con i suoi amici.
  • Per senso d’impotenza e incapacità di chiedere aiuto;
  • Perché il comportamento violento dell’altro viene considerato normale. “Non poteva fare diversamente, dato che con le mie parole e il mio comportamento l’ho umiliata di fronte ai suoi amici”.
  • Per salvaguardare l’onorabilità della famiglia e dei figli.
  • Per scarsa conoscenza dei propri diritti.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 9.

[2] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 115.

[3] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 118.

[4] Lorettu L. et al., (2004), “Molestatore segugio assillante”, Quaderni italiani di psichiatria, Quip XXIII, 62- 68.

[5] Biffi R., (2011), “Quando l’amore si trasforma in odio”, Famiglia cristiana, n-16.

[6] Di Maria F.,  Formica I, (2006), Psicologia contemporanea, 197, settembre – ottobre.

[7] Roberto R., (2016), “La violenza intrafamiliare”, Il consulente familiare, aprile – giugno.

[8] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo, p. 38.

[9] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo, p. 38.

[10] Macrì  P. G.  et al.,  (2012), “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza , Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 32, p. 30.

[11] Macrì  P. G.  et al.,  (2012), “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza , Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 32, p. 32

[12] Mullet E. (2015), “La vendetta” Mente e Cervello, n. 126, giugno.

[13] Losacco V. L. (2010), “Crisi di coppia, origine e conseguenze”, Previdenza 9, p. 34.

Manifestazioni aggressive nella coppia

 

 

 

 

L’aggressività può essere espressa in vari modi.

Aggressività indiretta

In questi casi la persona da colpire viene attaccata in modo obliquo. Per recarle del male si usa la maldicenza, la calunnia, l’ironia, le insinuazioni e le critiche denigratorie con lo scopo di porre quella in cattiva luce, sminuendone le qualità o cercando di colpevolizzarla.

Lo spostamento dell’aggressività

Non sempre le manifestazioni aggressive sono indirizzate contro la o le persone che le hanno provocate. Vi sono delle persone che è molto difficile odiare e tantomeno aggredire, giacché questo comportamento potrebbe generare dei conflitti interiori, dei sensi di colpa molto intensi oppure un danno personale o sociale. Pertanto l’aggressività viene trasferita su un bersaglio più sicuro e socialmente accettabile. In questi casi non potendo o sapendo reagire adeguatamente, si finisce con lo sfogare la rabbia non sul reale oggetto che l’ha provocata, ad esempio i genitori, il capufficio o la persona importante che non si ha il coraggio o non è conveniente affrontare, ma su un obiettivo meno temibile e più facilmente raggiungibile, che fa da capro espiatorio.

Quest’obiettivo può essere di volta in volta il proprio marito o la propria moglie, i figli, gli insegnanti o le persone di diverso colore, lingua, etnia: gli stranieri, gli emigranti, i rom ecc. Anche gli oggetti e gli animali possono subire le conseguenze dell’aggressività dislogata. Per tale motivo il maltrattamento degli animali può spesso far prevedere in un futuro anche episodi di violenza nei confronti delle persone[1]. Per Hacker [2]: “L’aggressività che non si osa manifestare nei confronti del più forte viene sfogata contro il più debole. Si urla con i figli perché si è presa una sfuriata dal capufficio senza aver avuto il coraggio di rispondergli per le rime”.

Rimozione dell’aggressività

L’aggressività può essere rimossa nell’inconscio da parte del super Io per evitare conflitto con l’ambiente. Tuttavia l’eccesso di aggressività rimossa a livello inconscio può generare  a sua volta angoscia che tende a sfogarsi e scaricarsi in maniera esplosiva e regressiva [3].

E ancora lo stesso autore [4]:

“Il controllo voluto dell’aggressività che si ottiene manipolando l’angoscia con punizioni e minacce può, attraverso l’angoscia e per causa sua, diventare motivo e causa dell’aggressività. L’angoscia porta alla rimozione; la rimozione eccessiva produce l’angoscia incontrollata che si manifesta con l’apatia, con l’aggressività esplosiva, con una combinazione di letargo e ansia o con continui risentimenti e sintomi nevrotici”.…  “A seconda delle circostanze, dunque, l’angoscia causa o controlla l’aggressività, la inibisce o la scarica”.

La dissociazione dell’aggressività

Un’altra forma di reazione aggressiva è la dissociazione descritta da Freud. In questi casi, una parte della personalità nascosta nega che l’evento aggressivo sia veramente accaduto, mentre, contemporaneamente, un’altra parte della personalità continuerà a crederci.

 

La rabbia e la collera

In entrambi i sessi, le manifestazioni più clamorose dell’aggressività si evidenziano mediante la rabbia e la collera. Per quanto riguarda la distinzione tra rabbia e collera, la prima è un’emozione, mentre la collera è il comportamento conseguente a questa emozione. Pertanto si prova rabbia e si agisce in modo collerico. Quando giudichiamo assolutamente inaccettabile il comportamento durevolmente prevaricatore, frustrante o aggressivo degli altri nei nostri confronti, l’istinto di sopravvivenza fa attivare delle intense emozioni rabbiose che esplodono in manifestazioni improvvise, travolgenti ed eclatanti di collera.

La rabbia mobilita tutte le energie fisiche necessarie a difendersi, minacciare e colpire chi si ritiene nemico o avversario. In questi casi il corpo è posto in una posizione di difesa e di offesa, teso e pronto a scattare e a scatenare una lotta per eliminare o rendere innocuo l’avversario. Per ottenere ciò, durante tutto il tempo della reazione emotiva, sono stimolate le ghiandole che portano alla produzione degli ormoni adrenalinici e noradrenalinici, i quali provocano un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. In tal modo tutto l’organismo è pronto a far fronte alla straordinaria e improvvisa richiesta energetica.

Questa reaziona primordiale si manifesta visibilmente con dei cambiamenti nel volto, nella postura, nel tono e nell’intensità della voce. In questi casi il viso, a volte rosso, in altri casi chiaramente paonazzo, è sconvolto dalla tipica espressione rabbiosa: la bocca, i denti e le mani, stretti per l’aumento della tensione muscolare, sono pronti ad aggredire, mordere o colpire la persona o le persone che si ritengono avversari minacciosi. Anche gli occhi iniettati di sangue comunicano a chi ci sta di fronte biasimo e desiderio di repressione e violenza, così da fargli capire di essere pronti ad attaccare. Picozzi [5] così la descrive: “Il soggetto che la prova si presenta con sopracciglia abbassate e ravvicinate, rughe verticali, sguardo fisso, palpebre superiori abbassate, labbra strette e con gli angoli diritti o abbassati, muscolatura tesa, pugni serrati”.

La rabbia è più intensa quando si attribuisce all’altro la volontà di ferire, quando si ha la sensazione che la persona che ci fa stare male commetta un sopruso o una mancanza di riguardo nei nostri confronti.

Nella reazione collerica sia del bambino sia degli adulti, è presente spesso una cieca irrazionalità. Questa spinge a comportamenti che difficilmente sarebbero stati attuati in una situazione di tranquillità e serenità interiore. Il bambino, ad esempio, nei momenti di collera prende a pugni e quasi vorrebbe e desidererebbe l’eliminazione e la distruzione dell’ostacolo frapposto all’esaurimento del suo desiderio, anche se si tratta di una persona che in quel momento è per lui fondamentale e molto amata, come potrebbe essere un genitore. Anche l’adulto è spinto a pronunciare frasi e parole e a compiere gesti dei quali, in un momento successivo, amaramente si pente, giacché li giudica assolutamente sproporzionati e fuor di luogo.

Purtroppo in questa condizione particolare, la mente, accecata dall’odio e dal bisogno di far del male, mira soltanto a scegliere la migliore strategia di difesa o di offesa, trascurando le conseguenze degli atti aggressivi che si stanno per compiere. Per tale motivo le capacità razionali sono molto ridotte, tanto che in un momento successivo siamo incapaci di spiegare le nostre ragioni con chiarezza. Inoltre, sconvolti dal risentimento, sopravvalutiamo le offese e i comportamenti, gli atteggiamenti e le caratteristiche negative dell’altro, mentre sottovalutiamo ampiamente quelli positivi. In definitiva, accecati dall’ira, si rimane preda di una spirale distruttiva ma, a volte, anche autodistruttiva. Solo in seguito, ristabilita una maggiore serenità, ci si pente per quanto desiderato, pronunciato e manifestato in quei momenti. Tuttavia la rabbia non è soltanto un’espressione negativa da cancellare; rappresenta anche una risposta a una minaccia, alla frustrazione, e ci aiuta a combattere per la nostra sicurezza, fornendoci l’energia emotiva e fisica per risolvere un problema[6].

Sia le emozioni della rabbia sia le sue manifestazioni di collera, diminuiscono notevolmente quando riusciamo a scaricarle sulla persona che le ha provocate.  Solo allora, solo quanto rispondiamo e scarichiamo l’aggressività attaccando la persona che avvertiamo come fonte di minaccia psicologica e causa del nostro grave malessere, la tensione diminuisce e ritroviamo uno stato di momentaneo e parziale benessere. Quando ciò non è possibile o non è conveniente, queste emozioni e manifestazioni possono essere dirette su animali, persone o cose assolutamente innocenti.

Pertanto le manifestazioni aggressive producono, almeno momentaneamente, delle sensazioni piacevoli e gratificanti. Abbiamo sottolineato almeno momentaneamente, poiché, in un momento successivo, “a mente fredda”, spesso ci vergogniamo per quanto abbiamo detto e fatto e, potendo tornare sui nostri passi, in molti casi cancelleremmo o modificheremmo molti dei nostri atti provocati e gestiti dalla rabbia.

Certamente sono importanti gli stimoli negativi che hanno scatenato la rabbia, ma è altresì importante anche il cervello che elabora questi stimoli. Per tale motivo ogni persona reagisce con un suo particolare modo agli stimoli negativi e stressanti che provengano dal mondo esterno, in base alla sua personalità e ai suoi vissuti del momento. Pertanto sia la rabbia, sia le manifestazioni di collera hanno notevoli caratteristiche di soggettività.

Le manifestazioni della collera

La collera disinibita si manifesta immediatamente dopo un evento sgradevole in modo esplosivo, mentre la collera inibita o collera silenziosa, come la chiama Meazzini [7], si accumula nel tempo, rischia di trasformarsi in odio gelido e implacabile e si può esprimere in modo violento con scoppi d’ira, solo in un momento successivo. Quest’ultimo tipo di collera è presente soprattutto nelle persone molto attente al rispetto formale o alle reazioni negative degli altri. Queste persone riescono a tenere a bada o a mascherare e inibire la rabbia per un periodo più o meno lungo, pur di non compromettere la loro immagine. Tuttavia questa emozione violenta non scomparendo, si accumula nell’animo, fino a quando l’individuo non è più capace di contenerla. Quando la tensione raggiunge livelli troppo alti, esplode in atteggiamenti d’ira agitata e scomposta, a volte anche per piccole offese. Insomma in queste persone apparentemente controllate è la goccia quella che fa traboccare il vaso.

Per quanto riguarda l’intensità, la collera si può manifestare con molte gradazioni. Il Meazzini [8] riporta la scala di Potter Efron R. e Potter Efron P. i quali distinguono vari livelli di collera:

  1. Nel primo livello la collera si esprime in modo apparentemente sereno e tranquillo.
  2. Nel secondo livello la persona che si sente ingiustamente colpita o offesa, ignora l’altro e risponde alle sue domande con un prolungato silenzio. Come dire: “Sono molto seccato con te, lasciami in pace”.
  3. Nel terzo livello la persona offesa cerca di far sentire in colpa e vergognare l’altro per quello che le ha fatto.
  4. Nel quarto livello sono presenti litigi con grida e ingiurie verso l’altro.
  5. Nel quinto livello sono lanciate verso l’altro delle vere e proprie minacce.
  6. Nel sesto sono attuati dei veri atti persecutori.
  7. Nel settimo livello è presente una violenza controllata nella quale rimane un barlume di razionalità.
  8. Nell’ottavo livello, il più grave, è presente la cosiddetta rabbia cieca, che è anche la più primitiva. In questa condizione scompare ogni barlume di razionalità.

Le conseguenze della collera

Se le manifestazioni dell’aggressività sono rare e sono sollecitate da gravi motivi, hanno una funzione positiva giacché servono a proteggerci dalle prevaricazioni degli altri. Se invece si mostrano frequentemente o in modo eccessivo sono di grave nocumento alla persona, agli altri e alla società e dovrebbero costituire un campanello dall’allarme per le persone che stanno loro vicine. Queste dovrebbero riuscire a capire le cause più vere e profonde di tali eclatanti manifestazioni e trovare i rimedi più utili.

Nonostante le manifestazioni aggressive producano a volte piacere e gratificazione, queste non solo creano dipendenza come la maggior parte degli stupefacenti ma non sono innocue per l’organismo, come a volte si pensa. Il corpo, sottoposto a un costante e notevole stato d’allarme, rischia di subire delle ripercussioni negative, soprattutto nell’apparato cardiovascolare. Inoltre l’individuo sarà inevitabilmente costretto ad affrontare le conseguenze, spesso molto gravi dei suoi comportamenti aggressivi: la perdita delle relazioni con i simili e con l’altro sesso; l’insorgere di sensi di colpa e d’indegnità. Inoltre sarà costretto a rispondere dei suoi atti in sede legale e sociale.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Bèque L. (2014), “Dalla crudeltà alla violenza”, Mente e cervello, n. 113, maggio p, 89.

[2] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 147.

[3] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 147.

[4] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 148.

[5] Picozzi M., (2012), “Mente e Cervello”, n. 90, giugno p. 29.

[6] Picozzi M., (2012), “Mente e Cervello”, n. 90, giugno p. 29.

[7] Meazzini P. (2006), L’ira di Achille, come dominare la collera, quando è necessario, Milano, Giunti, pp. 8.

[8] Meazzini P. (2006), L’ira di Achille, come dominare la collera, quando è necessario, Milano, Giunti, pp. 10 – 11.

L'aggressività nei vari periodi della vita e nei due sessi

 

 

L’aggressività può essere presente in ogni periodo della nostra vita. Fin dalla più tenera età il bambino è in grado di manifestare il suo dispiacere e ancor prima la sua collera: effettivamente esiste un continuum tra le reazioni alla mancanza ed alla frustrazione…e la manifestazione di rivendicazioni più o meno aggressive nei confronti di chi gli sta attorno[1].  

Tuttavia sappiamo che i motivi che la scatenano sono diversi, così come sono diverse le modalità con la quale si manifesta. L’età è importante nella gestione dei conflitti. Dalle ricerche emerge che i soggetti più giovani ottengono punteggi più bassi rispetto ai più “maturi”. Ciò fa supporre che le competenze legate alla capacità di gestire i conflitti possono essere influenzate, anche a livello neurobiologico, dalle reti neurali delle aree cerebrali prefrontali che si completano dopo i vent’anni[2]. Queste aree, ricordiamolo, sono implicate nella pianificazione dei comportamenti cognitivi complessi e nella moderazione della condotta sociale.

Nel lattante l’aggressività nasce soprattutto quando le sequenze abituali non sono rispettate, e i genitori non comprendendo o non rispondendo prontamente ai bisogni del loro piccolo, non si adoperano verso di lui nei modi e nei tempi soliti e a lui più congeniali; oppure quando il piccolo dalle parole, dallo sguardo, dal modo con il quale viene manipolato dai genitori, avverte di non essere un figlio compreso, accettato e amato. In questi casi egli manifesta il suo disappunto stringendo i pugni, rifiutando il cibo, sputando o mordendo il capezzolo.

Nel bambino di due- tre anni la rabbia e la collera possono nascere quando il bambino si sente eccessivamente frenato, contrastato, frustrato nei suoi bisogni e desideri. Ad esempio, quando è frequentemente ostacolato nella sua necessità di movimento; quando è bloccato nei suoi giochi o nelle necessità che egli ha e che sono insiti nei suoi bisogni di crescita, di scoprire il mondo e gli oggetti che lo circondano; oppure quando è limitato o bloccato mentre vorrebbe esercitare e manifestare a se stesso o agli altri le sue capacità, la sua forza, la sua bravura. In questi e in tanti altri casi l’aggressività assolve il compito di far capire ai genitori il suo bisogno di acquisire forza, agilità ma anche maggiore libertà e autonomia. Altre volte, invece, l’aggressività nasce dal bisogno del bambino di punire pesantemente i suoi genitori che si sono allontanati da lui per un tempo eccessivo, lasciandolo preda dell’insicurezza e delle paure. In altri casi ancora i comportamenti irritati possono avere lo scopo di far comprendere agli adulti i suoi bisogni di ascolto, coccole e carezze. 

 

 

Le manifestazioni dell’aggressività del bambino possono essere molto varie: alcuni piccoli gridano, pestano i piedi, tentano di colpire gli adulti con pugni e calci o cercano di morderli; altri invece preferiscono scaricare la propria rabbia sugli oggetti che hanno in mano, distruggendoli, oppure rifiutano il cibo, espellono in modo incontrollato le feci e le urine, sputano per terra. In altri momenti possono soltanto limitarsi a guardare con risentimento e astio le persone che li ostacolano. Solo i bambini più grandicelli riescono a esprimere il loro risentimento mediante parole di accusa.

Il bambino che ha una notevole aggressività interiore, come può essere un bambino autistico o molto disturbato, spesso alterna manifestazioni aggressive e di caos a comportamenti nei quali manifesta il bisogno di ordinare e ricomporre.

Verso i quattro anni il bambino, se sufficientemente maturo per l’età, esprime la sua aggressività verbalmente, mediante le sue fantasie, i suoi giochi e non più con i gesti.

Nell’età scolare le crisi di collera sono spesso dovute alle difficoltà che il bambino ha di ben relazionarsi con i coetanei, con gli insegnanti, ma anche con gli apprendimenti e i tanti doveri che le attività scolastiche gli impongono: fare i compiti, restare seduti e attenti nei banchi per molto, troppo tempo, affrontare lo stress delle interrogazioni, essere continuamente valutati, giudicati e così via. Inoltre, sempre a quest’età, il bambino riconosce facilmente i dissapori familiari ma, non riuscendo a porvi rimedio, si arrabbia a volte verso l’uno o l’altro genitore, colpevoli di creargli ansie, insicurezze e paure. In questi casi può rivolgere la rabbia anche verso se stesso, poiché per qualche motivo si ritiene responsabile dei loro contrasti o si giudica incapace di porvi rimedio.

Anche nel bambino, come nell’adulto troviamo forme aggressive immediate, forme differite e forme socializzate[3]. Le manifestazioni dell’aggressività infantile, nonostante siano più intense ed eclatanti di quelle degli adulti, sono per fortuna anche più fugaci. Spesso il bambino che non presenta importanti problematiche psicologiche, dopo aver gridato e pestato i piedi o aggredito con calci e pugni la madre e il padre, subito dopo, con facilità, tornerà a rifugiarsi nelle loro braccia, manifestando intensi sentimenti d’affetto e d’amore.

Nell’adolescenza l’aggressivitàpuò nascere da varie cause. Uno dei più frequenti motivi è dato dall’insicurezza che l’adolescente prova nel confrontarsi con gli altri coetanei. Insicurezza non solo sulle qualità del suo corpo, ma anche sulle personali doti intellettive, fisiche o morali, nonché sulle sue capacità seduttive nei confronti dell’altro sesso. Altri motivi di comportamenti e sentimenti aggressivi sono legati al bisogno che questi ha di affermare la propria autonomia, nei confronti dei propri genitori e degli adulti in genere. Per fortuna, frequentemente queste particolari emozioni aggressive degli adolescenti sono canalizzate nelle attività sportive o nelle competizioni scolastiche.L’adolescente rivolge le sue crisi di rabbia e collera non solo verso i genitori, dai quali pensa di non essere capito nei suoi bisogni di autonomia e di libertà, ma anche verso i compagni, quando non si sente rispettato e verso gli amici, quando si accorge di essere da loro tradito. Poiché comprende che, facendo del male fisico agli altri, la punizione potrebbe essere molto grave, spesso preferisce rivolgere la sua aggressività verso gli oggetti: rompe i piatti, dà calci ai mobili, sbatte le porte.

 

 

L’aggressività dell’adulto nasce da molteplici fattori e si manifesta soprattutto sul piano verbale ma, a volte, sono purtroppo evidenti ed eclatanti anche le manifestazioni sul piano fisico.

L’aggressività nell’anziano. Conflitti e comportamenti aggressivi sono presenti anche a un’età avanzata. Nella donna sono causa di ansia, stress e facile irritabilità, le importanti variazioni ormonali, presenti nella menopausa, ma anche e soprattutto l’accorgersi con timore della presenza nel corpo di vari segni d’invecchiamento: rughe, macchie sulla pelle, tessuto poco elastico, maggiore adiposità e altri inestetismi.

Se psicologicamente l’aspetto estetico procura nell’uomo meno ansia, egli è invece maggiormente colpito e preoccupato a causa delle maggiori difficoltà che può presentare nel campo sessuale e lavorativo. In entrambi i sessi, durante questo periodo, si può accentuare l’insoddisfazione, a causa di un bilancio negativo della propria vita, che stimola a cercare di recuperare il tempo perduto. Pertanto entrambi i sessi nelle moderne società tendono a lasciarsi andare a nuove avventure e a nuovi rapporti amorosi e sessuali, con conseguente crisi e rottura dei legami precedenti.

L’aggressività nei due sessi

 

Uomini e donne vivono l’aggressività per cause e motivazioni diverse. Inoltre anche la gestione e le manifestazioni legate all’aggressività sono, almeno in parte, collegate al genere sessuale.

 Le reazioni alle frustrazioni. Queste sono diverse in base alla personale sensibilità e ai propri vissuti interiori ma sono anche diverse rispetto alle maggiori o minori aspettative presenti nei due sessi. Le donne risentono maggiormente delle frustrazioni quando queste sono legate agli aspetti sentimentali della relazione e alla cura ed educazione dei figli, mentre gli uomini soffrono maggiormente delle frustrazioni vissute nel campo sociale, lavorativo e sessuale.

La variabilità ormonale. Un maggiore o minore atteggiamento irritante e aggressivo è collegato, in entrambi i sessi, alla variabilità ormonale. Poiché questa variabilità è maggiore e più evidente nel sesso femminile, a causa della presenza del ciclo mestruale, un maggiore atteggiamento e comportamento irritabile e aggressivo è presente nelle donne nel periodo premestruale, mentre al contrario una maggiore accettazione e una migliore gestione degli impulsi irritanti e bellicosi è presente nel periodo preovulatorio.

Le espressioni dell’aggressività. L’osservazione di bambini in situazione di gioco spontaneo permette di verificare come i maschi prediligano forme di gioco e d’interazione con un più alto contenuto aggressivo[4]. Nonostante che, in entrambi i sessi, con l’aumento dell’età e con la maturità, vi sia una netta diminuzione dell’uso delle manifestazioni fisiche dell’aggressività, quando queste sono presenti si manifestano maggiormente nei maschi. Inoltre questi ultimi, quando sono particolarmente arrabbiati, per difendersi o offendere, più che le parole, tendono a utilizzare il proprio corpo, mediante calci pugni, spintoni, sputi, schiaffi o, nei casi estremi, possono far uso di vere e proprie armi cruente.

 

Nelle femmine, la minore forza fisica ma anche l’inferiore quantità di testosterone presente in circolo, le stimola a utilizzare, per difendersi e attaccare, strumenti non di tipo corporeo. Le donne pertanto, se irritate o provocate, per aggredire e far del male, preferiscono affidarsi al linguaggio verbale, mediante frasi ingiuriose; oppure fanno ricorso ai ricatti morali, rifiutando il dialogo o le manifestazioni affettive e sessuali. A questi comportamenti possono aggiungersi, nei casi più gravi, anche l’allontanamento fisico e l’esclusione dell’altro dalla propria casa, dalla propria vita, dai figli e dal gruppo familiare o amicale, ma anche la messa in atto di una serie di strumenti legali e morali atti ad arrecare il maggior danno psicologico, economico e sociale alla persona verso la quale avvertono aggressività e rancore.

Quando in casi estremi, per fortuna rari, le donne sono decise a far del male fisico o anche uccidere il loro partner, il loro persecutore o nemico, preferiscono utilizzare strumenti non cruenti, come il veleno. In altri casi, pur di eliminare fisicamente la persona odiata, cercano il sostegno di altri uomini come il padre, i fratelli, l’amante o il nuovo compagno.

Un’altra diversità fondamentale riguarda la comunicazione ad altre persone o all’autorità giudiziaria delle violenze subite, per chiedere una punizione, un aiuto o un risarcimento. Mentre i maschi hanno una notevole resistenza a comunicare, confessare e ammettere di essere stati aggrediti o molestati dalle donne, perché temono che ne esca compromessa la loro immagine di uomini forti e virili; le donne, al contrario, nel momento in cui subiscono una qualunque aggressione o molestia, molto più facilmente avvertono, a volte anche a distanza di anni, il bisogno di far rilevare ogni comportamento e atteggiamento violento o molesto subito, pur di vendicarsi, farsi compatire o cercare protezione e accoglienza nel cuore degli altri.

Per quando riguarda le persone che subiscono l’aggressività, mentre la violenza fisica dei maschi si esprime soprattutto verso gli altri maschi adulti e le donne, l’aggressività fisica femminile si manifesta soprattutto verso i figli piccoli o altri minori che, per le loro caratteristiche, sono per lo più incapaci di una difesa attiva.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “Ti odio!”- Conflitto e aggressività e violenza tra i sessi”.

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[1] Ajuriaguerra J. De e Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 183.

[2] Barberi M., (2016), “Conflitti senza violenza”, Mente e cervello, n. 135, marzo, p. 39.

[3] Ajuriaguerra J.(1993), Manuale di psichiatria del bambino, Masson, Milano, p. 479.

[4] Slepoj V. (2005), (Milano), Le ferite degli uomini, Arnaldo Mondadori Editore, p. 137.

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