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Disturbi dell’attenzione e ricerca dell'immutabilità e dell'ordine nei bambini con sintomi di autismo

L'attenzione è la capacità di:

  • focalizzare il proprio pensiero su un determinato argomento o oggetto;
  • mantenere questa focalizzazione per il tempo necessario;
  • riuscire a dividere l’attenzione tra vari oggetti o argomenti e non confinarla su un unico oggetto o tema.

L’attenzione implica processi quali l’attivazione, il controllo dell’inibizione, la ricerca e l’assestamento.[1]

Dagli studi effettuati nel settore delle neuroscienze, sappiamo che questa capacità dipende in gran parte dall’entrata in gioco della corteccia frontale. Essa è in grado di facilitare o bloccare tutte quelle informazioni che riguardano il compito che, per quella determinata persona, è prevalente in quel momento.[2]

In tutte le persone di ogni età è presente il fenomeno della mente vagante (mind wandering), che consiste nello spostare l’attenzione dall’attività che si sta svolgendo a sensazioni interne, pensieri e preoccupazioni personali. Questo fenomeno caratterizza il 25% - 50% dell’attività della nostra mente durante la veglia.[3]

Il perdersi nei propri pensieri è ciò che fa disperare i genitori e gli insegnanti i quali vorrebbero invece che i figli e gli alunni fossero sempre presenti e attenti a ogni loro parola o richiesta.

Questo distrarsi dall’attività che si sta svolgendo lasciandosi coinvolgere dai pensieri e dalle emozioni interne può avvenire con varia intensità, durata e a diversi livelli di profondità. Pertanto può andare dai sogni ad occhi aperti, al fantasticare su eventi futuri, al fare delle considerazioni personali sul compito che si sta svolgendo, ad analizzare più volte lo stesso problema. Il vagare con la mente può riguardare realtà attuali o del passato, che sono state o sono ancora difficili da affrontare o risolvere. Realtà che possono essere molto liete ed eccitanti, come ad esempio, un innamoramento, una vittoria, una promozione, ma possono riguardare anche delle situazioni tristi e angosciose, come l’essere vittime di un lutto, un abbandono o un’offesa subita.

In questi e in tanti altri casi la mente, a volte per pochi secondi, altre volte per ore e giorni, tende a rimuginare senza sosta sugli stessi fatti, sui medesimi pensieri ed emozioni provate. È evidente che ciò comporti il distrarsi dal compito che si sta svolgendo in quel momento. Non sempre quest’attività è controllabile da parte della volontà. Anzi spesso la persona coinvolta non riesce, se non per breve tempo, a sostituire questi pensieri con altri meno ripetitivi e, alla fine penosi, se i pensieri preminenti sono tristi o angoscianti.

L’utilità di questo vagare con la mente, quando il fenomeno non è persistente ed eccessivo è innegabile: la mente in quei momenti, ruminando pensieri, ricordi, emozioni e sensazioni, cerca in alcuni casi di capire i comportamenti degli altri, altre volte prova a trovare i migliori possibili rimedi e le strategie più opportune da mettere in campo per affrontare alcune situazioni difficili o problematiche.

Questo fenomeno è nettamente più frequente nei periodi di stress e stanchezza e si manifesta maggiormente nelle persone tristi, preoccupate, ansiose o depresse,[4] pertanto lo ritroviamo in modo accentuato nelle persone con sintomi di autismo, le quali spesso non riescono a seguire il pensiero o l’attività del momento, sui quali viene richiamata o vorrebbero porre la loro attenzione, così come non riescono a seguire il pensiero e il ragionamento degli altri, poiché, nella loro mente s’inseriscono, senza dar loro tregua, continue immagini, riflessioni e pensieri parassiti, difficili da eliminare e mettere da parte, così da lasciare la mente libera d’impegnarsi nelle attività richieste o desiderate.

 

Per tale motivo, spesso è molto difficile indurre i bambini o adulti con sintomi di autismo a porre attenzione su un determinato oggetto, argomento o azione da compiere o non compiere, anche se questa richiesta è molto semplice e banale: ‹‹Per piacere, vuoi chiudere la porta?››; ‹‹Per cortesia, siediti nel tuo banco››; ‹‹Cosa ti piacerebbe mangiare oggi?››; ‹‹Quale vestito vuoi metterti per andare a scuola?››.

Per tali soggetti è inoltre difficile, tra i vari stimoli che provengono dall’ambiente interno ed esterno, riuscire a selezionare quello più importante e utile in un determinato momento. Pertanto, ad esempio, un bambino con sintomi di autismo, che viene interrogato, s’impegna a mettere in ordine in modo meticoloso i suoi colori nel loro astuccio e sembra non ascoltare le richieste della maestra, poiché in quel momento è predominante in lui il bisogno di sistemare ciò che è disordinato, piuttosto che ascoltare quello che chiede l’insegnante.

I bambini con sintomi di autismo hanno difficoltà nel condividere l’attenzione con gli altri in tutte le situazioni, anche solo di gioco. È invece spesso presente un’attenzione rigida e fissa su alcuni oggetti o su alcuni argomenti (attenzione iperselettiva), per cui la loro attenzione si attiva solo su determinati stimoli, mentre vengono trascurati tutti gli altri. Ciò facilità molto l’apprendimento o lo studio di un determinato argomento, il che fa di alcuni di questi bambini dei particolari e settoriali geni, ma nello stesso tempo sono trascurati tanti altri settori altrettanto importanti per la loro vita scolastica, relazionale e sociale.

 La causa più importante dei disturbi dell’attenzione nei soggetti con sintomi di autismo va ricercata nella costante presenza di svariate e coinvolgenti emozioni interne, come le paure, le fobie, l’angoscia e la sofferenza. Queste emozioni negative costringono questi bambini a ricercare vari espedienti per ottenere, mediante la chiusura verso il mondo esterno, qualche momento di serenità e pace. Oltre a ciò è spesso presente un’istintiva notevole ostilità e diffidenza verso tutte le richieste che provengono dalle altre persone, giacché per esperienza i soggetti con sintomi di autismo sanno che queste tendono a chiedere loro di fare o non fare determinate azioni o comportamenti, di dire o non dire determinate parole o frasi, senza tenere in alcun conto i loro gravi e immediati bisogni.

Purtroppo i bambini con disturbi autistici vedono gli altri in modo negativo: spesso ogni iniziativa degli altri che in qualche modo li può riguardare è vista con sospetto ed è interpretata come dannosa, giacché può cambiare lo stato di uniformità e d’immobilità che, per questi bambini, è indispensabile per avere un minimo di tranquillità e sicurezza. In tali situazioni, tutti i tentativi che gli adulti mettono in atto sia con dolcezza, sia con minacce, per attirare la loro attenzione, sono vani e tendono a peggiorare il loro mondo interiore e il già cattivo rapporto che essi hanno con gli esseri umani.

D’altra parte sappiamo che anche i bambini normali sono attenti alle richieste dei genitori e degli insegnanti quando questi assumono nel loro cuore delle valenze positive e hanno stabilito con loro una buona e profonda relazione, mentre non amano ascoltare e ubbidire a quei genitori o a quegli insegnanti che li rimproverano eccessivamente, li puniscono o non li fanno sentire a loro agio.

Poiché il nostro compito non sarà quello di indurli a fare o non fare determinati gesti, attività o comportamenti ma consisterà nel lavorare giorno per giorno, momento per momento per rasserenare l’animo di questi bambini, così da renderli più sereni, forti e maturi, scopriremo presto che insieme a tutti gli altri sintomi migliorerà o scomparirà anche questa loro difficoltà nel porre attenzione e nell’accettare le richieste degli altri: adulti o coetanei che siano.

 

 

Fabio, un nostro piccolo paziente di sei anni con sindrome di Asperger, che sembrava conoscere a meraviglia le autostrade non solo della Sicilia ma anche di tutta l’Italia, delle quali riusciva a disegnare ogni entrata, ogni uscita, ma anche le stazioni di servizio conosceva anche ogni strada che la madre aveva percorso la prima volta per recarsi al nostro centro. Questo bambino, che nei nostri confronti era sempre stato sorridente, educato e gentile, un giorno diventò furioso, tanto da augurare, di fronte a noi, alla propria madre i dolori più lancinanti e la morte più violenta e disumana, solo perché questa, venendo nel nostro centro, non solo non aveva percorso la stessa strada che faceva sempre, ma, peggio ancora, non aveva seguito le precise indicazioni che lui le aveva dato: su dove svoltare, su dove fermarsi e infine dove sostare.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

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[1] Silieri L., Lorenzoni L., Tasso D. (1997-1998), “Il problema dell’attenzione nella scuola media”, in Psicologia e Scuola, dicembre – gennaio, p. 9.

[2] Oliverio A, (2013), “Effetto cocktail party”, in Mente e cervello, novembre, p. 18.

[3] Zavagnini M. et De Beni R. (2016), “La mente che vaga”, in Psicologia contemporanea, maggio- giugno, p. 29.

[4] Zavagnini M. et De Beni R. (2016), “La mente che vaga”, in Psicologia contemporanea, maggio- giugno.

[5] Militerni R- Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 255.

[6] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erickson, p. 53.

[7] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 44.

[8] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 29.

[9] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 75.

I disturbi del sonno nei bambini con sintomi di autismo

 

In molto bambini piccoli o affetti da disturbi psicologici sono spesso presenti dei disturbi del sonno. Com’è logico aspettarsi, questi disturbi sono particolarmente frequenti e gravi nei bambini con sintomi di autismo, poiché il loro mondo interiore è particolarmente turbato, sia durante il giorno sia durante il normale riposo notturno.

Intanto spesso si rileva in loro l’insonnia, per cui la quantità di sonno giornaliera di cui riescono a usufruire è inferiore a quella che si riscontra nei bambini della loro stessa età. L’insonnia è dovuta alla presenza di maggiori difficoltà nell’addormentamento, al manifestarsi di un numero maggiore di risvegli notturni e a causa dei risvegli precoci. Essa può presentarsi in forma calma o agitata. Nell’insonnia calma il bambino resta con gli occhi spalancati nel buio, non riesce a dormire ma non manifesta insofferenza, non grida e non reclama la presenza dei genitori. Nell’insonnia agitata il bambino grida, mugugna, urla, senza potersi calmare per delle ore. È evidente che è la seconda tipologia d’insonnia quella che rende molto difficile la vita dei genitori, costretti spesso a restare svegli per buona parte della notte, nel tentativo di calmare e rasserenare il figlio.[1] I due tipi d’insonnia possono coesistere in bambini con la stessa diagnosi, inoltre vi possono essere dei passaggi dall’uno all’altro tipo anche nello stesso bambino, in periodi e momenti diversi della sua vita.[2]

Oltre che la quantità, anche la qualità del sonno è spesso compromessa, a causa degli incubi e dei sogni ansiosi o angoscianti. In questi casi il bambino, mentre dorme geme, grida e piange a causa dei “sogni cattivi”’ che lo tormentano. Ancor più la qualità del sonno può essere alterata a causa del pavor nocturnus, (terrore notturno), per cui il bambino presenta fenomeni neurovegetativi (sudorazione) ma anche improvvise e terrificanti sensazioni che accompagnano immagini mentali fugaci. In questi casi il bambino si sveglia angosciato, con gli occhi spalancati verso qualche oggetto immaginario che vede, urla nel suo letto con gli occhi stravolti e col viso atterrito, appare confuso e disorientato, non riconosce chi gli sta intorno e sembra inaccessibile a qualsiasi ragionamento. Al risveglio non ricorda nulla.[3]

Racconta la Williams:

Erano ricominciati i terrori notturni. Mi ero alzata ed ero andata in bagno come una sonnambula. Avevo colto l’immagine della luce del corridoio che brillava sotto la porta chiusa dell’appartamento. Qualcosa era scattato e mi sentivo sprofondare come se avessi perso il controllo su qualsiasi senso della realtà che mi circondava (…) Il terrore mi invase. Carponi sul pavimento piangevo come un bambino. Sentivo il freddo e la durezza delle piastrelle e fissavo le mie mani allargate su di esse. Sentivo di non riuscire a respirare. Provai la paura dell’ignoto che si annidava da qualche parte della stanza. Gemetti, terrorizzata, smarrita e indifesa.[4]

La Williams riporta la presenza di allucinazioni soprattutto durante la notte:

Per pura stanchezza cominciai a soffrire di allucinazioni. Sui muri si muovevano delle figure. All’insaputa di mia madre, giacevo, immobile e silenziosa sotto il suo letto, quasi troppo impaurita per respirare.[5]

Anche Simone, un nostro bambino con autismo ad alto funzionamento, dormiva nel letto dei genitori perché si sentiva ansioso. Il bambino raccontava della sensazione opprimente che avvertiva: ‹‹Come se qualcuno mi osservasse, come se qualcosa potesse uscire fuori dal buio, pertanto dormo sempre con la coperta sopra la testa e mi sveglio con i capelli sudati››. Altre volte questi bambini non riescono neanche a definire di che cosa hanno paura e dicono di avere “paura e basta”.

Alcuni suggerimenti

  • Se è vera la massima che “una buona giornata prepara una buona nottata”, è necessario intervenire in modo attento ed efficace nei periodi di veglia, se vogliamo che migliorino sia la quantità sia la qualità del sonno di questi minori. Per tale motivo il primo e più importante intervento dovrà mirare a una maggiore tranquillità, serenità e gioia durante tutto il giorno. Per ottenere ciò è necessario che i suoi genitori effettuino la tecnica del Gioco Libero Autogestito che permette al bambino di vivere con gioia e distensione il rapporto con i suoi genitori e nello stesso tempo può iniziare a relazionarsi con loro in modo sempre più piacevole e profondo, così da poter diminuire o eliminare del tutto la chiusura in se stesso che gli impedisce di crescere non solo dal punto di vista cognitivo ma anche e soprattutto dal punto di vista emotivo ed affettivo. E' bene, inoltre, evitare di coinvolgere questi bambini in situazioni che non riuscirebbero ad accettare o sopportare: troppi motivi di stress, troppi rumori, troppi richiami e rimproveri, cambiamenti improvvisi delle decisioni dei genitori, imposizioni di condotte cosiddette “terapeutiche” che tuttavia procurano al bambino irritazione, fastidio o paura. Al contrario è molto meglio immergersi insieme a lui, durante il giorno, in atmosfere ovattate e distensive, come passeggiare in mezzo alla natura, ascoltare della musica rilassante o ancora meglio giocare con lui accettando le sue proposte, qualunque esse siano.
  • Per quanto riguarda gli interventi terapeutici di vario tipo: logoterapia, psicomotricità, terapie comportamentali, Pet Therapy e altre, spesso queste sono attuate per anni senza mai chiedersi che tipo d’impatto emotivo hanno sul bambino. Cosa che, invece, sarebbe importante fare in maniera sistematica. Giacché se queste e altre terapie sono avvertite come qualcosa di gradevole e piacevole, sarà facile che apportino un miglioramento del mondo interiore di questi bambini e quindi vi sarà anche un miglioramento dei sintomi dell’autismo; se invece sono vissute come una serie di dolorose, frustranti, giornaliere imposizioni, anche se si otterranno degli apprendimenti voluti e desiderati dagli adulti, inevitabilmente si avrà una maggiore attivazione dei meccanismi di difesa, con conseguente cronicizzazione o peggioramento del disturbo autistico.
  • Cercare di evitare per quanto possibile i trattamenti medici non strettamente indispensabili, consigliati per migliorare piccole patologie, molto comuni e frequenti nei bambini e ragazzi: come ad esempio, gli apparecchi per sistemare e allineare la dentatura o la colonna vertebrale, oppure attività preventive come gli esami clinici routinari e così via. Questi interventi terapeutici o di prevenzione, che sono già poco accettati dai bambini normali, per il dolore e il fastidio che provocano, sono avvertiti in modo molto più drammatico da questi minori, a causa della loro particolare sensibilità ed emotività. Ogni volta che si presentano problemi di questo genere, sia lo specialista interessato al problema, sia i genitori, dovranno chiedersi se sia o non sia opportuno attuarli in questi particolari soggetti, cercando di bilanciare, in maniera seria e approfondita, gli eventuali benefici che da queste terapie o esami si otterrebbero, rispetto ai possibili danni psicologici che potrebbero procurare ai bambini. In definitiva, ben vengano tutti gli esami e gli interventi proposti da medici competenti ma soltanto quando siamo certi che sono assolutamente indispensabili e non possono essere posticipati o evitati.
  • È inoltre importante che l’orario per andare a letto non sia rimandato eccessivamente, così da permettere a questi bambini un sufficiente numero di ore di sonno e di riposo. Ciò servirà molto anche ai genitori i quali possono avere un po’ di tempo per loro, così da rilassarsi e ritrovarsi come coppia, dopo una giornata sicuramente intensa e ricca d’impegni domestici, educativi e lavorativi.

  • È bene evitare di far addormentare il bambino mediante l’uso della tv, di qualche video gioco o di altri strumenti tecnologici, tranne che con qualche motivo musicale rilassante. Ciò in quanto tutti i bambini, ma soprattutto questi, dovrebbero provare e trovare la gioia e la distensione necessaria per lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo non dall’utilizzo di freddi e anonimi strumenti, ma attraverso la calda e tenera presenza dei propri genitori. È da questi, ed è con questi, che dovrebbero trovare una piacevole e tenera intesa e la necessaria tranquillità e sicurezza che servirà a prepararli a un sonno ristoratore.
  • È sicuramente utile lasciare nel letto del bambino con sintomi di autismo il suo oggetto preferito, al quale lui attribuisce notevoli valenze, giacché potrebbe aiutarlo ad acquisire, nei momenti di veglia e durante il sonno, una maggiore tranquillità e sicurezza. È inoltre utile mettere accanto al suo lettino tutto quello che gli potrebbe servire durante la notte: un fazzoletto, una piccola lucetta, un bicchiere con l’acqua, e così via.
  • È bene accompagnare il bambino, nei momenti che precedono il sonno, mediante dei rituali, sempre uguali, da effettuare con le stesse modalità e alla stessa ora, in modo allegro e affettuoso, come fossero dei giochi da fare insieme e non come dei tediosi e odiosi doveri da compiere. In definitiva dovremmo riuscire a far vivere al bambino con disturbi autistici, come fossero tanti giochi lo spazzolare i denti o almeno sciacquare la bocca con l’acqua, l’andare in bagno, l’indossare il pigiamino e infine lo stargli accanto (se lo desidera), in modo tale da rassicurarlo con la nostra calda e tenera presenza.
  • Se ci accorgiamo che al bambino fa piacere, si può anche metterlo nel letto e cullarlo, cantandogli una ninna nanna, come fosse un bambino piccolo. Dopo quanto abbiamo detto, è facile capire che non pensiamo sia accettabile la tecnica proposta da alcuni autori che prevede la sistemazione del bambino a letto e la totale noncuranza da parte dei genitori di qualsiasi disturbo si possa verificare, fino al mattino seguente.[6] Questa tecnica, oltre che crudele, ci appare controproducente, poiché è facile che peggiori il già cattivo rapporto che i bambini con disturbi autistici hanno nei confronti degli esseri umani, Questa modalità di lasciare il bambino in preda ai suoi incubi e paure, tra l’altro potrebbe procurare o accentuare nei genitori dei sensi di colpa, dei quali sicuramente non hanno alcun bisogno.

  • Potrebbe essere utile raccontargli una favoletta o leggergli qualche pagina del libro da lui preferito, ma solo se ci accorgiamo che è lieto di questo tipo d’intervento. Anche se il bambino non è in grado di comprendere le parole pronunciate o lette, questo momento d’intimità lo aiuterà ad avere un’immagine positiva dei genitori e gli permetterà di acquisire una maggiore serenità e sicurezza. Inoltre, l’uso di parole ed espressioni sempre diverse e nuove, utilizzate in un contesto ricco di affetto e di tenerezza, potrà arricchire il suo vocabolario. Se il bambino, com’è prevedibile, desidera che i genitori gli leggano o ripetano la stessa favoletta, non bisogna tirarsi indietro, poiché ciò potrebbe essere utile sia per rassicurare il suo animo, sia per aiutarlo a scoprire e memorizzare nuove espressioni e modi di dire.
  • Nel caso che il bambino si svegli in preda alle paure o peggio al terrore, è bene che la mamma o il papà stiano accanto a lui, cercando di calmarlo e rassicurarlo, usando un tono di voce calmo e tranquillo.
  •  Per quanto riguarda il letto nel quale il bambino è bene che dorma, mentre alcuni bambini con sintomi di autismo accettano di dormire, senza affatto protestare, nel loro lettino e nella loro stanza, altri chiedono di dormire nel letto dei genitori o accanto al loro letto. A differenza dei bambini normali, non sempre l’accettare di dormire lontano dai genitori è un buon segnale. Anzi spesso sono proprio i bambini più gravi, per i quali ancora i genitori non sono una fonte di protezione e sicurezza, che accettano questa situazione di lontananza. Per questi, restare o non, accanto a papà e mamma è indifferente. Può darsi perciò che quando questi bambini saranno migliorati e avranno iniziato ad avere un iniziale legame con i genitori, chiedano di dormire nel lettone. In questi casi bisogna aiutarli a maturare il loro mondo affettivo-relazionale, accettando la loro richiesta.
 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

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[1] De Ajuriaguerra J., Marcelli, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 251.

[2] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Giunti, Firenze, p. 56.

[3] De Ajuriaguerra J., Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, p. 77.

[4] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 111.

[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 47.

[6] Mazzone L. (2015), Un autistico in famiglia, Mondadori, Milano, p. 64.

 

 

Come relazionarsi e comportarsi con i bambini che presentano sintomi di autismo

 

 

Autore: Emidio Tribulato

Cerchiamo di essere sempre molto attenti alla loro

sofferenza interiore

 

La prima cosa che dobbiamo accettare e fare nostra è che la sofferenza di un bambino con disturbi chiusura in se stessi (chiusura autistica), anche se nascosta o scarsamente evidente, pervade il suo animo fin nelle più intime fibre. È una sofferenza che nasce dalla presenza in lui di angosciose paure; è una sofferenza fatta di ansia, e caos emotivo e sensoriale. Spesso sono presenti in lui anche degli impulsi contrastanti che lo rendono insicuro per ogni suo comportamento e pertanto a volte manifesta la sua aggressività, mentre, altre volte, appare tenero e passivo.

Obiettivo principale

La sofferenza si manifesta purtroppo anche mediante atteggiamenti di sguardo vuoto e assente, rabbia, collera e soprattutto sospetto e sfiducia negli altri, nel mondo e in se stesso. Pertanto sarebbe indispensabile che noi adulti, ogni volta che ci rapportiamo con uno di questi minori, ci ponessimo, come primo e principale obiettivo, quello di far diminuire questa sofferenza e questa chiusura in se stessi e mai di accentuarla o esacerbarla. Per tale motivo allo scopo di prevenire la sofferenza interiore di questo particolare bambino è necessario trovare e applicare le migliori strategie che riescano a rispettare i suoi vissuti interiori.

 

L'integrazione scolastica dei bambini con disturbi autistici

 

 

Nelle famiglie nelle quali è presente un bambino con sintomi di autismo, uno dei problemi più gravi e difficili da risolvere riguarda la scuola. La nostra attuale società tende giustamente a mettere in primo piano, nella vita dei minori, questa benemerita istituzione la quale, se è adeguata ai loro bisogni, può offrire preziose valenze educative e formative.

Questa fiducia nelle attività scolastiche è talmente alta che alcuni specialisti consigliano ai genitori che hanno in famiglia un bambino con tali sintomi, di inserirlo in attività scolastiche il più precocemente possibile. I motivi che spingono questi specialisti a dare questo consiglio sono diversi:

 

I disturbi sensoriali nell'autismo

 
 

I disturbi sensoriali nell'autismo:

la vista e l'udito

Il grave malessere psichico dei bambini con sintomi di autismo si evidenzia, e non poteva essere diversamente, anche nei disturbi percettivi e sensoriali.

In alcuni casi l’alterazione della psiche, dovuta alla presenza di emozioni e sentimenti così dolorosi, intensi e spesso sconvolgenti, può portare ad accentuare gli stimoli che provengono dal mondo esterno (iper-risposta sensoriale), altre volte invece la condizione di autismo blocca o limita gli apporti sensoriali, tanto che questi arrivano alla coscienza in modo più blando o non arrivano affatto (ipo-risposta sensoriale). In altri casi ancora, questi stimoli giungono alla coscienza in modo ambiguo o alterato per quanto riguarda il loro significato.

Pertanto si può avere una ricerca eccessiva e abnorme di particolari stimoli o al contrario un chiaro rifiuto, e quindi un allontanamento da specifiche esperienze sensoriali.[1] Conseguentemente sono facili le reazioni abnormi, in rapporto all’intensità e alla qualità degli stimoli, nonché alle situazioni nelle quali questi sono percepiti.

È evidente come ciò renda difficile a questi bambini mantenere l’attenzione e la concentrazione necessaria per elaborare e utilizzare correttamente tutti i contenuti letti o ascoltati, così come per i genitori e per chi ha cura di loro, è molto problematico collegare i singoli stimoli ambientali alle loro reazioni, che appaiono pertanto strane e inusuali.

Gli effetti sugli apprendimenti e sulle relazioni sono quindi notevoli.

Notbohm così descrive le conseguenze di quello che lei chiama il caos sensoriale:

Non si scappa. Non ci si può aspettare che un bambino assorba capacità cognitive o sociali, o che si “comporti bene”, se la sua esperienza dell’ambiente è un costante bombardamento di sensazioni spiacevoli e brutte sorprese. Il nostro cervello filtra migliaia di input multisensoriali (ciò che vediamo, ciò che sentiamo, gli odori, ecc.) simultaneamente. Il suo, no. Quest’ingorgo di segnali che si scontrano continuamente nel tronco encefalico può provocare l’equivalente di una “rabbia al volante” che non finisce mai.[2]

 E De Rosa:

Quando ero piccolo, ci si meravigliava che non amassi i contesti con tanti bambini. Le percezioni sensoriali erano così forti da essere dolorose e venivo travolto da una cascata di stimoli disordinati. Capirci qualcosa sarebbe stato come completare un puzzle da mille pezzi mentre si va su e giù sulle montagne russe.[3]

E ancora lo stesso autore:

Per me tutte le situazioni della vita erano incomprensibili, anche quelle più ordinarie, quotidiane, ripetitive. Lo stesso capitava per le mie percezioni. Se, per esempio, registravo la sensazione di avere caldo non capivo che era la conseguenza di essere entrato con sciarpa e cappotto in un luogo molto riscaldato.[4]

In definitiva, s’innesta un circolo vizioso: la sofferenza e lo sconvolgimento del mondo interiore portano ai disturbi sensoriali e questi, a loro volta, aggravano l’ansia, le paure e l’angoscia, rendendo i bambini ancora più instabili, irritabili e confusi.

 

 

 

 

 

La vista

Per quanto riguarda la vista, questa può creare problemi d’intensa ansia, come può alimentare le loro paure. Soprattutto sono insopportabili, per i bambini con sintomi di autismo, le luci fluorescenti che emettono un fastidioso sfarfallio, le superfici riflettenti, gli oggetti che si spostano rapidamente o a velocità irregolare.[5] A questi bambini procura un notevole malessere il lampeggiare delle sirene montate nelle autoambulanze, nei camion dei pompieri o nelle auto delle forze dell’ordine. Il loro incessante ruotare è insopportabile per loro, che vivono in un mondo interiore nel quale è presente una continua tensione, ma anche tanta instabilità, confusione e irritabilità.[6] Ad alcuni di loro dà fastidio anche la luce del sole, che essi avvertono come troppo intensa, per cui stanno bene solo nella penombra della propria casa.

Dice Morello: ‹‹I supermercati sono luoghi grandi, pieni di luce; ma a volte offendono. Ricordo un giorno con mamma e papà e in testa qualcosa turbava: le luci ballavano. Fastidio››.[7]

E la Grandin: ‹‹Un autistico disse di avere difficoltà a guardare le persone negli occhi perché gli occhi non stanno mai fermi››.[8] Ancora la stessa autrice, [9] ‹‹Io penso in immagini. Le parole sono come una seconda lingua per me. Io traduco le parole, sia pronunciate che scritte, in filmati a colori, completi di suono, che scorrono come una videocassetta nella mia mente››.

Per Frith in alcune persone che hanno problemi di elaborazione visiva, la vista può essere il senso meno affidabile.[10]Alcuni di questi bambini riferiscono di avere difficoltà a vedere l’intero oggetto, mentre sono in grado di guardarne solo una piccola parte alla volta. Tanto che alcuni passano gli oggetti da riconoscere davanti agli occhi come davanti a uno scanner. Altri invece utilizzano le immagini per mettere ordine nei loro pensieri.

Alcuni bambini con autismo non riescono a ricordare le facce, altrettanto bene di quanto riescano a memorizzare gli edifici, le strade o i paesaggi, per cui hanno difficoltà a riconoscere i volti delle persone. Questa strana caratteristica può essere dovuta al difficile rapporto che essi hanno con gli esseri umani. Avendo scarsa fiducia in questi, hanno timore nei loro confronti e non hanno alcun desiderio di porre attenzione e memorizzare i volti e le espressioni. Al contrario, come ricorda Morello, la visione delle acque di un fiume che scorre lento davanti ai propri occhi, è ricordata perché porta una sensazione di tranquillità e pace.[11]

 

L’udito

Per quanto riguarda l’udito, quando i bambini normali molto piccoli sono lasciati nella carrozzina mentre le loro madri chiacchierano in compagnia di amici e parenti venuti a far loro visita, di solito non manifestano alcun fastidio; anzi, per molti di loro, il chiacchiericcio che avvertono attorno li tranquillizza e rassicura, così che dormono tranquilli. Anche quando i bambini sono svegli le parole che odono non li turbano affatto, tanto che gorgheggiano vivacemente e tranquillamente, come se anche loro volessero partecipare ai discorsi dei grandi.

Tuttavia, quando qualcuno dei familiari o degli amici alza il tono della voce, oppure manifesta con aggressività e irritazione il proprio dissenso sull’argomento in discussione, se sono svegli, manifestano paura con strilli e pianti, se dormono si destano di soprassalto, gridando forte. Insomma anche i bambini piccoli avvertono paura e fastidio, sia per i rumori forti sia per i toni aspri, aggressivi o comunque sopra le righe.

Lo stesso avviene quando sono più grandi, due-tre anni, e i genitori li portano ad assistere alle manifestazioni organizzate per qualche festa patronale. Se la banda inizia a suonare con notevole impeto e foga qualche marcetta o se gli scoppi dei mortaretti e delle bombe dei giochi d’artificio che salutano l’uscita del Santo patrono dalla chiesa, sono al di sopra di una certa soglia di sopportazione, i piccoli manifestano paura e piangono, stringendosi forte al collo di papà o mamma,

A un’età ancora maggiore la reazione di allarme avviene per motivi più complessi. Non è molto importante il tono della voce, ma il suo contenuto. Ad esempio, quando gli adolescenti assistono ai litigi dei genitori, i quali per accusare o imporre la propria opinione sull’altro, usano toni aspri e aggressivi, anch’essi, infastiditi e spaventati, sono costretti a rintanarsi nella loro stanzetta, tappandosi le orecchie oppure si proteggono mettendosi delle cuffie per coprire, con la musica preferita ad alto volume, le aspre grida e gli insulti dei genitori. In questi casi, com’è evidente, i motivi della fuga da certi suoni non riguardano la loro intensità ma è il contenuto di quanto ascoltato, che spaventa i ragazzi. Contenuto che li mette in allarme per le conseguenze, per loro importanti, che lo scontro e il conflitto tra i genitori potrebbero comportare: lo sconquasso delle loro famiglie e la perdita dell’affetto, della protezione e della cura di almeno uno dei genitori.

In definitiva tutti i bambini, anche quelli perfettamente normali, non sopportano i toni aspri e i rumori forti, non gradiscono le grida e la confusione e non reggono le situazioni conflittuali. In tutti questi casi, sia la paura sia la fuga, sono comportamenti che possiamo definire “fisiologici”.

Quando sono presenti delle problematiche psicologiche, le situazioni di allarme e di fuga si moltiplicano, poiché la sensibilità e l’irritabilità del bambino sono più accentuate, così com’è più accentuata la loro emotività. a causa dell’ansia, delle fobie e dei pensieri truci e pessimistici presenti nella loro mente. Pertanto queste situazioni sono molto più frequenti e vivide, rispetto ai soggetti normali.

Le reazioni di paura nei bambini con disturbi autistici, con conseguenti crisi nervose e di fuga, sono notevolmente più facili, usuali e frequenti, se raffrontate sia ai bambini piccoli, sia ai soggetti con disturbi psichici di lieve o media gravità. I motivi sono facili da comprendere: in questa grave patologia psichica l’Io del soggetto è spesso molto immaturo, fragile ed è, soprattutto, notevolmente disturbato da un’alterata realtà interiore. Questo mondo intimo, particolarmente inquieto, ansioso, instabile e irritato, mantiene i soggetti che ne soffrono in una situazione di continua tensione e notevole esasperante allarme. Pertanto, per questi bambini è molto difficile gestire correttamente gli input sensoriali eccessivi ma anche quelli poco consueti.

 

Alcuni dei suoni più disturbanti sono quelli acuti e striduli prodotti dai trapani elettrici, dai frullatori, dalle seghe e dagli aspirapolvere. Questi bambini fanno anche fatica a sopportare l’eco che si crea nelle palestre e nei bagni delle scuole.[12] Altri rumori per loro insopportabili, con conseguenti manifestazioni di paura, se non proprio di terrore, sono quelli presenti nelle feste e nelle riunioni familiari: onomastici, compleanni, matrimoni, poiché in queste occasioni il continuo intenso vocio si aggiunge alla confusione presente nell’ambiente. Oltre all’intensità del rumore e alle sue caratteristiche, ciò che può mettere in allarme i bambini con sintomi di autismo può derivare dal fatto che il rumore avvertito non è usuale in una determinata situazione. È quindi importante il significato che assume nella loro mente un determinato suono o rumore.[13]

Purtroppo nel nostro periodo storico i motivi di fastidio e paura, dovuti ai rumori, possono essere molti: i clacson delle auto e le trombe dei camion; gli altoparlanti degli ambulanti che magnificano la bontà della loro merce; la musica “sparata” a tutto volume dagli apparecchi stereofonici presenti in tante case, come in tante auto guidate da giovani che amano ascoltare, dentro le loro auto, la stessa musica delle discoteche che frequentano; il rumore dei trapani e dei martelli pneumatici; le sirene di qualche antifurto e così via.

A ciò si deve aggiungere che nei confronti dei bambini con sintomi di autismo non mancano da parte dei genitori e degli insegnanti i richiami e i rimproveri, i quali dovrebbero servire a scuoterli dal torpore nel quale s’immergono, con lo scopo di richiamarli alla realtà. Ciò soprattutto quando vi è la necessità di fare qualcosa, come leggere, scrivere o sbrigarsi per andare da qualche parte: ‹‹Fai presto! Alzati! Lavati! Sistema la cartella! Dobbiamo andare a scuola››. ‹‹Presto! Vestiti ché dobbiamo uscire per andare dal medico››; ‹‹Sbrigati!››. I rimproveri sono presenti anche quando i bambini non si adeguano alle convenienze sociali e non si comportano in maniera educata nei rapporti con gli altri, pertanto non salutano, non stringono la mano, né tantomeno sono disposti a dare un bacio o ad abbracciare amici e familiari.

Altre volte i toni duri e forti sono usati quando i genitori non vogliono che il figlio persista in un certo tipo di comportamento bizzarro o stereotipato: ‹‹Basta far girare sempre quella rotellina!››; ‹‹Smettila con quel verso odioso che fai sempre!››; ‹‹Non saltare su e giù sul pavimento come fossi un canguro!››; ‹‹Finiscila di fare il girotondo nella stanza!››.

I luoghi istituzionali che sono avvertiti con molta paura dai bambini con disturbi autistici sono quelli nei quali sono presenti molti coetanei turbolenti: ad esempio, le aule scolastiche, le palestre e i centri sportivi. Sono questi ambienti che scatenano frequentemente le loro crisi nervose, a causa del continuo vociare dei compagni, accompagnato dall’incitamento e dagli aspri rimproveri degli insegnanti o degli allenatori nei confronti di chi disturba la lezione o è disattento. In queste situazioni frequentemente i bambini con sintomi di autismo i quali sono particolarmente sensibili, esprimono con penosi mugolii o grida laceranti il loro bisogno di un minimo di serenità e pace, mentre cercano di nascondersi in un angolo della classe o della scuola, proteggendo le orecchie con le dita o con delle cuffie antirumore.

Ricorda la Grandin:

 Quando ero piccola, per me erano un problema anche i rumori forti; spesso erano dolorosi come il trapano di un dentista che tocca un nervo. Mi facevano veramente male. Mi spaventavo a morte quando sentivo scoppiare i palloncini, perché quel suono, per le mie orecchie, era come un’esplosione. I rumori leggeri, ai quali la maggior parte delle persone riesce a non badare, mi distraevano. Quando ero all’università, il rumore dell’asciugacapelli della mia compagna di stanza era per me come quello di un jet in fase di decollo.[14]

E Morello, con il suo particolare, strano ma anche poetico linguaggio, così descrive le conseguenze dovute a suoni troppo intensi o numerosi:

Troppe onde acustiche sovraccaricano lo scorrere di immagini concrete; lasciano nebbia, confusione. Nebbie e confusione sollecita solitudine. Solitudine è lago nero. Pensare è solida barca che naviga serena dentro mare di vita. Pensare immerso in nebbie e confusione solido blocco di ghiaccio brina.[15]

Notbohm, madre di un bambino con autismo conferma il fastidio che provava il figlio a causa di rumori troppo forti, acuti, improvvisi, penetranti, invadenti: ‹‹Il bambino con autismo potrebbe udire cose che per voi sono indistinguibili, e ciò non fa che inasprire un mondo già caotico con assordanti dissonanze››. [16]

 E ancora la stessa autrice:

I suoni che sono forti anche per noi, come la musica della banda, i rumori di una partita di basket in palestra, un bar affollato, il vociare dei bambini al parchetto e le sirene dei mezzi di soccorso, sono esempi di trambusto quotidiano che può provocare dolore fisico.[17]

Anche suoni che consideriamo come normali, presenti in tutte le case, come quelli prodotti dalle lavastoviglie, dai phon o dai frullatori possono provocare molto fastidio a questi bambini.

Come per ogni situazione che i bambini con sintomi di autismo sono costretti ad affrontare, le cose non sono mai così lineari e semplici come si vorrebbe. Scrive la Grandin: ‹‹I tipi specifici di suoni che creano disturbo variano da persona a persona. Un suono che a me provoca dolore, potrebbe essere piacevole per un altro bambino con autismo››. [18] E ancora la stessa autrice: ‹‹Alcuni sono attratti dal tonfo e dallo sciabordio dell’acqua e a volte passano ore ad azionare lo sciacquone della toilette, mentre altri possono essere terrorizzati da questo stesso rumore perché suona come il fragore delle cascate del Niagara››.[19] E infine: ‹‹Una donna disse che non sopportava il rumore del pianto di un bambino, anche se indossava una combinazione di tappi per le orecchie e cuffie di protezione››.[20] Evidentemente da questa persona, questo specifico segnale di sofferenza del bambino: il pianto, era avvertito e valutato non solo per la sua intensità ma anche per il significato specifico, legato alla sofferenza del piccolo.

E lo stesso crediamo che valga per tanti altri suoni ascoltati. Per la Williams: ‹‹Il suono che a me, però, piaceva ascoltare era il suono degli oggetti metallici. Sfortunatamente per mia madre, il campanello di casa nostra ricadeva in questa categoria e passavo ore a suonarlo ossessivamente››.[21]

 Tuttavia bambini ai quali è stata diagnosticata una sindrome autistica grave, possono sembrare ipoudenti o totalmente sordi, in quanto a volte appaiono come indifferenti anche a suoni intensi, tanto che non sembrano sentire le grida della madre che li sta chiamando, così come sono assolutamente indifferenti ai rimproveri dei genitori per qualche malefatta che essi hanno attuato. Riferisce Williams che i suoi genitori, quando lei si estraniava, chiusa nel suo mondo, provavano a scuoterla facendo alle sue spalle improvvisi, forti rumori. senza tuttavia avere da lei alcuna risposta, ‹‹neanche un battito di ciglia››, giacché la bambina, chiusa totalmente nel suo autismo, riusciva a escludere completamente il mondo fuori di lei.[22] Altre volte, invece, i bambini con sintomi di autismo avvertono e si agitano per un suono delicato ma insolito come può essere quello di una caramella che viene scartata.

 

La Grandin da parte sua riferisce alcuni metodi che adoperava per difendersi ed escludere i rumori insopportabili:

Dondolarmi e girare su me stessa erano altri modi per escludere il mondo, quando ero sovraccaricata da troppo rumore. Dondolare serviva a calmarmi. Era come prendere una droga che dà assuefazione, più lo facevo e più avevo voglia di farlo. Mia madre e i miei insegnanti mi fermavano per farmi tornare in contatto con il resto del mondo. Adoravo anche girare su me stessa e raramente mi veniva il capogiro. Quando mi fermavo, mi piaceva la sensazione di osservare la stanza che girava.[23]

 Brauner A. e Brauner F. danno una spiegazione che anche noi condividiamo a questo diverso modo di reagire ai rumori:

Non ci sembra azzardato postulare che vi sia una soglia delle sensibilità che possa contenere le sensazioni deboli, mentre le sensazioni più forti s’infrangerebbero contro un’inibizione completa, quasi catatonica, equivalente forse a uno stato ipnotico che agirebbe come un riflesso protettore.[24]

Queste diversità nel modo di reagire ai rumori ci conferma che nei soggetti con sintomi di autismo, non vi è una specifica alterazione anatomica dei recettori che amplifica o riduce i suoni uditi. È invece presente in loro un modo diverso e particolare di avvertire, vivere e gestire tutte le esperienze, comprese quelle sensoriali, a causa di un substrato mentale ed emotivo particolarmente alterato e disturbato. Pertanto lo stesso rumore può essere percepito in modo accentuato o limitato in base ai molteplici fattori presenti in quel momento nella loro mente.

Invece questi bambini gradiscono i suoni armonici, dolci e delicati di qualche brano musicale. Questi suoni, di solito, hanno il potere di distenderli e rilassarli. Dice Morello: ‹‹La musica grande tranquillità mi dà. L’ansia cala dietro il tiepido vapore di parole leggere, vibrazioni serene, dittature di ritmo. Amo il pianeta della musica, avvolge di calore, nasce magia che scaccia fitte di mali anormali. Macchia si svuota››.[25]

In sintesi possiamo dire che i bambini che presentano disturbi autistici:

  1. Più frequentemente dei soggetti normali, ma anche di quelli che presentano disturbi psicologici non gravi, manifestano reazione d’irritabilità, ansia, paura o terrore alla presenza di rumori intensi, aspri, strani o insoliti.
  2. Queste manifestazioni di paura e le conseguenti reazioni, a volte con intense crisi nervose, sono più gravi ed evidenti e avvengono anche a età nettamente maggiori, rispetto ai bambini normali o con disturbi psicologici non gravi.
  3. Pur tuttavia la variabilità tra bambini con la stessa diagnosi e nello stesso bambino può essere notevole. Pertanto un rumore della stessa intensità può creare fastidio a un bambino, mentre lo stesso rumore in un bambino con autismo grave, che per cercare difendersi ha totalmente escluso il mondo attorno a sé, non provoca, almeno apparentemente, reazioni di sorta.
  4. Questi bambini amano il silenzio o musica particolarmente dolce e delicata.
  5. Infine poiché i suoni e i rumori s’inseriscono in un percorso psicologico personale e intimo, le reazioni possono essere diverse anche in bambini con disturbo autistico della stessa gravità.

Alcuni suggerimenti

  • Abbiamo descritto l’eccessiva sensibilità che spesso presentano i bambini con disturbi autistici nei confronti delle sensazioni visive e uditive. Purtroppo molte situazioni che per i minori e gli adulti normali sono occasione di gioia e di festa, possono essere avvertite da questi come tormento e violenza. Per tale motivo, se vogliamo veramente rispettare le loro emozioni e i loro bisogni psicologici, dobbiamo necessariamente evitare di farli partecipare a feste, riunioni, incontri o concerti, nei quali si prevede che i toni della voce, l’intensità dei suoni, dei rumori o la presenza di luci troppo intense o alternanti, potrebbero dare loro fastidio o paura.
  • Se proprio non possiamo fare a meno di partecipare insieme al nostro bambino a qualche festa, mentre gli altri staranno nel salone a fare baldoria, proteggiamo il nostro piccolo, facendo in modo che possa giocare in una stanza tranquilla, insieme a qualche adulto disponibile, con il quale si è instaurato un buon rapporto.
  • È bene inoltre evitare, fino a quando nei bambini non sono scomparsi i sintomi dell’autismo, di far frequentare loro l’asilo nido e gli ambienti scolastici, soprattutto la scuola materna, se non è possibile ottenere dalla scuola, per il proprio bambino, una stanza silenziosa e tranquilla, tutta per lui, in cui potere effettuare, con un’insegnante a lui dedicata, delle attività spontanee di Gioco Libero Autogestito.
  • Evitiamo assolutamente di usare in presenza dei bambini con disturbi autistici quei toni aspri e duri, che purtroppo oggi sono spesso usati nei dissidi tra le coppie e nei rapporti con i figli, sia per l’impatto sensoriale che quei temi potrebbero avere sul bambino, sia per la loro componente emotiva, legata proprio alla paura che qualunque conflitto provoca.
  • Per quanto riguarda i momenti di rilassamento, divertimento, piacere e gioia, questi non potranno sicuramente essere vissuti in ambienti e contesti rumorosi, con molte luci e soprattutto con molte persone che parlano e si agitano, specie se queste sono dei bambini.
  • L’uso di cuffie antirumore può essere utile, ma non è risolutivo, è meglio una passeggiata in un ambiente tranquillo e naturale, come può essere un bosco. Come scrive De Rosa: ‹‹Ho bisogno di non stressare troppo le mie fini capacità percettive, quindi odio gli ambienti rumorosi, con molte luci e molta gente che parla. Anche molti di voi vedo soffrono queste situazioni ma io di più, e perdo anche capacità comunicativa. Per una passeggiata, quindi, meglio le atmosfere ovattate di un bosco che il caos di un centro commerciale››.[26]

 



[1] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 29.

[2] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, pp. 25-26.

[3] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, pp. 22-23.

[4] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 22.

[5] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 48.

[6] Notbohm E. (2012), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, pp. 28-29.

[7] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 16.

[8] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erickson, p. 81.

[9] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 23.

[10] Frith U. (2019), L’autismo – Spiegazione di un enigma, Milano, Economica La terza, p. 131,

[11] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 13

[12] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 74.

[13] Brauner A., Brauner F. (2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 61.

[14] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 74.

[15] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 28.

[16] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 49.

[17] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 49.

[18] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 74.

[19] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson,p. 74.

[20] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 78.

[21] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 45.

[22] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 13.

[23] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 51.

[24] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 26

[25] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, pp. 30-31.

[26] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 35.

 

L'odorato e il gusto

 

Nei confronti dell’odorato e del gusto si notano, nei bambini con disturbi autistici, una serie di inusuali preferenze ed esclusioni.

Per la Grandin:

Una percentuale piuttosto cospicua di persone con autismo ha un olfatto molto acuto, e viene sopraffatta dagli odori forti. Mi vergogno un poco ad ammetterlo, ma quando ero piccola mi piaceva annusare le persone come un cane. Gli odori delle diverse persone erano interessanti. [1]

Per Brauner A. e Brauner F.: 

Altrettanto bizzarre si dimostrano le sensazioni olfattive: essi (i bambini con disturbi autistici) annusano tutto, si sentono attirati da un odore cattivo, inspirano profondamente nei capelli lavati di fresco di un’educatrice o entrano in crisi appena sentono il profumo di un particolare prodotto cosmetico.[2]

Dice la Grandin: ‹‹Diversi autistici mi hanno detto di ricordare le persone dall’odore e uno mi disse che gli piacevano gli odori “sicuri”, come quello delle pentole e delle stoviglie, che associava a casa sua››.[3]

Alcuni di loro amano odorare e leccare oggetti e materiali che nessun bambino della loro età o adulto normale toccherebbe o fiuterebbe, come ad esempio gli escrementi degli esseri umani o degli animali. Al contrario possono non sopportare, tanto da farli stare male, aromi, fragranze e profumi che sono gradevoli o impercettibili per la maggior parte della popolazione.[4]

Sempre a proposito degli odori e del tatto la Williams racconta che sua nonna profumava di canfora e portava maglie colorate, attraverso le quali, lei bambina, passava le dita. Pertanto anche da grande l’autrice scacciava tutti gli odori della sua stanza con il profumo di canfora e passava le dita nei ritagli di lana e ciò l’aiutava a dormire tranquilla.[5]

Molti di loro sono schizzinosi e selettivi nell’assunzione dei cibi. Spesso mangiano soltanto alcuni tipi di alimenti, mentre non amano assaggiarne altri, considerati nauseanti, non sappiamo se a causa della consistenza, dell’odore, del sapore o anche dal terrore che essi possono avvertire nei confronti di cibi sconosciuti. Scrive la Notbohm: ‹‹Il risultato è che molti bambini con autismo o Asperger sono selettivi all’inverosimile quando si tratta di mangiare, e a volte si limitano a consumare solo pochi alimenti››.[6]

Alcuni di questi bambini possono non amare cibi piccanti, amari, che hanno una temperatura diversa da quella desiderata (troppo fredda – troppo calda) o che hanno una consistenza non adeguata al loro gusto (troppo morbida o troppo dura, troppo liscia o troppo appiccicosa).


 

Dice la Williams:

Forse non mi mancava il senso della fame o del bisogno di andare in bagno o di dormire. Forse il mio bisogno di restare a un passo dalla piena coscienza faceva sì che la mia mente negasse anche la consapevolezza di questi bisogni; certamente ne ignoravo i segnali, sentendomi debole, ansiosa o irritabile ma sempre troppo occupata per fermarmi per queste cose.[7]

Scrive la Grandin:

Io, ad esempio, odiavo tutto quello che era gelatinoso, come i budini o gli albumi d’uovo poco cotti. Molti bambini autistici detestano i cibi croccanti perché producono un rumore troppo forte quando li masticano.[8]

Al contrario, rivela la stessa autrice, le persone con sintomi di autismo, potrebbero mettersi in bocca oggetti inappropriati come terra, colla, monete, sapone o potrebbero amare l’odore dell’urina, delle feci, così da bagnare o sporcare il letto di proposito. Anche in questi casi vi sono degli evidenti collegamenti di tipo affettivo-relazionale.

Ricorda la Williams:

Poi venne anche la paura di inghiottire il cibo. Mangiavo solo crema, confetture, cibi per bambini piccoli, frutta, foglie di insalata, mele e pezzi di pane bianco (…) In realtà mangiavo soltanto le cose che mi piaceva guardare e sentire, e che rappresentavano per me, più di ogni altra cosa, piacevoli associazioni. I conigli mangiano l’insalata. Io amavo i soffici conigli. Io mangiavo l’insalata. Mi piaceva guardare attraverso vetri colorati. La confettura era così; mi piaceva la confettura. Come ad altri bambini, mi piaceva la polvere. Mangiavo terra e fiori ed erba e pezzi di plastica. [9]

Tutto ciò non è consueto ma non dovrebbe apparire troppo strano, poiché anche nei bambini piccoli e nei soggetti psicologicamente disturbati, che hanno subito o subiscono ancora carenze affettive o soffrono a causa di un ambiente poco idoneo al loro sviluppo psicoaffettivo, ritroviamo comportamenti simili.

Ad esempio Giulia, una ragazzina con problematiche psicologiche che per anni si era alimentata soltanto con il biberon e latte, a nove anni accettava soltanto cibi che avevano il colore bianco: mozzarella, pane bianco, pesche bianche e così via.

Tuttavia in questo campo, come in tutti gli altri, non vi sono regole assolute: Dicono Brauner A. e Brauner F.:

Vi sono dei continui alti e bassi, legati per lo più a cambiamenti avvenuti in famiglia o al Centro››.[10] Inoltre se vi sono dei bambini che mangiano talmente poco da sfiorare l’anoressia, ve ne sono altri che divorano di tutto e di più, con estrema ingordigia, senza farsi alcun problema sulle qualità di ciò che mangiano.

Il fatto che questi bambini rifiutino, o accettino solo in parte, il cibo cucinato amorevolmente per loro, provoca, soprattutto nelle mamme, il dispiacere e il timore di non essere buoni genitori,[11] nello stesso tempo accentua la preoccupazione di esse per la salute fisica dei figli, che si privano di alimenti importanti per la loro crescita.

In altri casi, purtroppo, il problema è chiaramente dei genitori. Mentre alcuni bambini con sintomi di autismo mangerebbero di tutto, vi sono dei genitori che seguendo delle teorie per le quali questa patologia sarebbe causata dall’assunzione di alcuni alimenti, lottano contro il buon appetito dei figli, al fine di limitarli nell’uso di cibi e prodotti che temono o sono convinti, possano essere dannosi per loro.

A questo proposito mi è penoso ricordare Salvatore, un ragazzo con autismo ad alto funzionamento, il quale era notevolmente migliorato, mediante l’ascolto e l’attenzione che prestavamo verso di lui e nei confronti delle narrazioni che amava fare. Per dare al ragazzo il senso della nostra amicizia e vicinanza, a una certa ora avevamo preso l’abitudine di gustare, insieme agli altri componenti dell’equipe,  una buona tazza di the, accompagnata da qualche biscottino. La qual cosa era per il ragazzo sommamente gradita. Quale fu il nostro stupore quando un giorno la madre e il padre entrando per comunicarci che si sarebbero assentati dal centro per qualche minuto, si avvidero del “crimine” che noi operatori stavamo commettendo, offrendo al figlio del the e dei biscottini.

Preoccupatissimi per quanto stava accadendo, ci chiesero perentoriamente di non dare al figlio alcun cibo estraneo alla particolare dieta che egli, da qualche giorno, stava osservando. Dieta che era stata loro consigliata da un medico, proprio per guarire il figlio dalla sindrome autistica. Togliendogli di mano sia la tazza con il the che egli stava sorbendo con gusto sia i biscottini, si allontanarono stizziti e spaventati per il rischio che il figlio stava correndo a causa della nostra imprudenza.

Quell’episodio provocò un peggioramento notevole nelle condizioni psichiche di Salvatore, tanto che in seguito, ogni volta che veniva portato nel nostro centro, si guardava in giro come terrorizzato e rifiutava di avvicinarsi a noi.

Purtroppo il non tenere conto degli aspetti psicologici negli interventi che sono effettuati a questi bambini, può peggiorare molto la loro condizione. In questo caso come poteva Salvatore aver fiducia nel mondo fuori di lui, nel momento in cui i suoi genitori, con il loro comportamento, giorno per giorno e in tante occasioni di festa, gli facevano notare che anche nel cibo più gustoso, come può essere una fetta di torta o un buon gelato, può nascondersi un grave rischio? D’altronde come aver fiducia nelle persone apparentemente amiche, come per lui eravamo diventate noi, quando improvvisamente scoprì, mediante la reazione d’allarme dei suoi genitori, che queste persone gli offrivano cibi per lui molto dannosi?

Pertanto è controproducente lottare affinché i bambini con disturbi autistici assumano cibi che pensiamo siano adatti a loro, oppure, al contrario, li costringiamo a non gustare dei piatti da loro richiesti e desiderati, pensando che siano per loro dannosi. Lottare contro i loro gusti significa far intendere, ancor più, che il mondo è fatto da persone cattive, che non accettano i loro bisogni e amano soltanto far loro del male. Ancor peggio si rischia di accentuare in questi bambini la convinzione che in tutte le cose, anche in quelle più piacevoli e gustose, come possono essere dei biscottini e altri cibi appetitosi, si possono nascondere delle gravi insidie, capaci di procurare notevoli danni, il che evidentemente non fa altro che accentuare le loro paure e la loro diffidenza nei confronti del mondo fuori di loro.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

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[1] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Eriksonp. 180.

[2] Brauner ABrauner F. (19802007), Vivere con un bambino autistico, FirenzeGiuntipp. 26-27.

[3] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Eriksonp. 83.

[4] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, TrentoEriksonp. 53.

[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, RomaArmando Editorep. 13.

[6] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, TrentoEriksonp. 55.

[7] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, RomaArmando Editorepp. 40-45

[8] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 83.

[9] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, RomaArmando Editorep. 12.

[10] Brauner A.Brauner F. (2007), Vivere con un bambino autistico, GiuntiFirenzep. 78.

[11] Mazzone L. (2015), Un autistico in famiglia, MilanoMondadorip. 33.

 

Rabbia, collera e aggressività nei disturbi autistici

 

Rabbia, collera e aggressività nei

 

disturbi autistici

La rabbia e La collera

La rabbia e i comportamenti collerici sono emozioni primitive e universali presenti in tutti gli animali superiori e in tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro età. Queste emozioni si attivano ogni volta che il soggetto avverte di essere aggredito, minacciato o in qualche modo disturbato. Sono quindi istintivi meccanismi di difesa che la natura ha messo a disposizione di ogni individuo.

La collera può manifestarsi con parole offensive o con comportamenti battaglieri verso tutte quelle persone che, per qualche motivo, giudichiamo colpevoli di averci minacciati o di averci gravemente disturbati od offesi. Tuttavia, quando riteniamo non conveniente reagire verso chi ha provocato la nostra collera e rabbia, queste emozioni possono essere spostate su oggetti, persone e animali assolutamente innocenti, i quali, in questo caso, diventano strumenti atti a scaricare la tensione che si era accumulata nel nostro animo.

La rabbia e i comportamenti collerici hanno la caratteristica di presentarsi in modo improvviso e travolgente ma la loro durata è di solito breve, giacché il soggetto coinvolto, dopo aver scaricato la tensione interiore che aveva sentito crescere dentro di sé, dopo breve tempo inizia a rasserenarsi.

Il bambino piccolo mostra la sua collera con grida, calci, schiaffi, morsi, parole offensive, rifiutando di mangiare o espellendo le urine e le feci. Ciò può avvenire ad esempio, quando teme di non essere capito, amato o quando avverte il rischio di essere allontanato, abbandonato o che i genitori si separino e quindi vi sia la possibilità di perdere la presenza o l’amore di almeno uno di loro. Rabbia e collera possono scatenarsi anche quando il bambino soffre per delle punizioni, richiami o rimproveri che ritiene ingiusti. Tuttavia, quando l’essere umano cresce e matura, le reazioni rabbiose e le manifestazioni colleriche diventano meno frequenti, sono più contenute e sono espresse con le parole, piuttosto che con manifestazioni fisiche. Queste emozioni possono essere presenti in tutta la vita dell’individuo ma sono più frequenti nelle persone che hanno molto sofferto.

Rabbia e collera, nei soggetti con disturbi autistici, somigliano a quelle presenti nei bambini piccoli: sono frequenti, sono espresse in modo eclatante, hanno breve durata e, ad un esame superficiale appaiono, almeno in parte, immotivate.

La Grandin (2011, p. 97), a questo riguardo, riporta alcuni suoi vissuti interiori: ‹‹Quando mi arrabbio, è come un temporale estivo: la rabbia è intensa ma, una volta che la supero, l’emozione svanisce rapidamente››.

E ancora la stessa autrice (Grandin, 2011, p.50):

 Avevo scoppi di rabbia anche quando mi stancavo o ero disturbata da un rumore eccessivo, come quello delle trombette alle feste di compleanno. Il mio comportamento era come un interruttore automatico che scattava. Un momento stavo bene ed ero tranquilla, mentre il momento dopo ero per terra che scalciavo e gridavo come un pazzo furioso››. E poi: ‹‹Ad una conferenza un uomo con autismo mi disse che lui provava solo tre emozioni: paura, tristezza e rabbia. Non provava mai gioia. Disse anche di avere problemi con l’intensità delle sue emozioni, che erano fluttuanti e a volte indistinte, in modo simile a quanto accadde alle percezioni con la confusione sensoriale (Grandin, 2011, p. 100).

De Rosa (2014, pp. 98-99) provava rabbia quando giocando sbagliava e perdeva, quando gli altri lo trattavano da stupido e da bambino piccolo ma anche quando non capivano che il suo agitarsi, correre o parlottare dipendeva dalla sua ansia e così concludeva: ‹‹Insomma non è facile essere autistici in un mondo di non autistici››.

Quando queste emozioni sono rappresentate mediante il disegno, in questo sono evidenti molti elementi appuntiti, come delle frecce da lanciare contro chi ci fa del male o pensiamo ci abbia fatto soffrire.

 

 

Molti elementi appuntiti per esprimere la rabbia e la collera.

Alcuni suggerimenti

 I motivi della rabbia e della collera sono poco comprensibili se non si riesce a inquadrarli nel loro contesto di vita. I bambini con sintomi di autismo si arrabbiano soprattutto quando avvertono che gli altri non hanno la giusta attenzione e rispetto per i loro bisogni, per la loro esasperata eccitabilità e sensibilità, per le loro fobie, per la loro continua e spasmodica ricerca di luoghi e momenti di serenità e pace. E quindi gridano e si disperano quando le persone alzano la voce o li costringono a rimanere in un ambiente rumoroso o per loro pieno di pericoli, che però gli altri non vedono e giudicano in tal modo.

Essi si arrabbiano quando gli altri chiedono di fare o non fare una determinata azione, mentre dentro di loro infuria la tempesta o quando chi li circonda effettua dei cambiamenti nell’ambiente o nei tempi delle occupazioni giornaliere, senza tener conto e rispettare il loro bisogni di stabilità e immutabilità degli oggetti, degli orari e degli avvenimenti che assicurano un minimo di certezza e serenità.

Questi bambini con disturbi autistici si arrabbiano anche quando gli altri limitano i loro interessi, giudicati ristretti e anomali o quando sono rimproverati o richiamati per i loro giochi, le loro stereotipie, le loro abitudini e i loro rituali, apparentemente inutili, ripetitivi e senza scopo.

Purtroppo, anche in questi bambini particolari, quando la collera cessa, qualcosa rimane nel loro animo. Resta il sospetto, la diffidenza, il risentimento, il rancore, l’astio o la disaffezione verso chi, anche senza volerlo, li ha fatti soffrire e verso chi non ha tenuto in giusta considerazione i loro bisogni e le loro necessità, oppure verso le persone che con i loro comportamenti non hanno cercato di diminuire i loro malesseri, ma anzi li hanno provocati o accentuati. 

 

Aggressività

Tutte le esperienze negative vissute dagli esseri umani, come gli stress, i traumi e le deprivazioni, soprattutto affettive ma anche materiali, provocano, a livello psicologico, delle alterazioni e delle disfunzioni che stimolano intensi sentimenti e comportamenti di ribellione e acredine, nei confronti sia delle singole persone, che in qualche modo si ritiene siano state o siano causa della loro sofferenza, sia nei riguardi della vita e del mondo in generale. Questo è soprattutto vero nel caso dei bambini piccoli, i quali vivono in una realtà molto limitata e ristretta. Quando questi subiscono delle sofferenze, proiettano la loro aggressività non solo sui genitori e familiari ma anche sul mondo intero.

Pertanto una delle più frequenti cause dell’aggressività presente nei bambini normali e nei soggetti che presentano disturbi psicologici, è provocata dalla sofferenza da loro subita per svariate cause ambientali: eccessive limitazioni o frustrazioni dei loro desideri e bisogni, ingiustizie sofferte, scarsa presenza dei genitori e loro allontanamento fisico e/o affettivo, inserimento fuori dal nido familiare ad un’età precoce o in assenza di una buona maturità psicologica e affettiva, mancanza di sollecitudine ai loro richiami e infine, ma non ultima, la presenza di traumi e sensi di colpa causati dalla presenza di conflitti nell’ambito familiare. In questi, e in tante altre situazioni nelle quali l’ambiente di vita non è consono ai loro bisogni, le manifestazioni aggressive segnalano la situazione di disagio e sofferenza nella quale i bambini si trovano. Le manifestazioni aggressive segnalano anche la necessità che essi hanno di cercare una rivalsa e una vendetta per quanto hanno subìto.

Nelle reazioni aggressive è importante l’elemento soggettivo. Perciò la stessa azione può essere vissuta diversamente in base alle caratteristiche di personalità e ai vissuti del momento. Come dice Bonino:

La gravità della reazione aggressiva è in proporzione al grado di motivazione e investimento emotivo presente ma è anche in proporzione alle capacità resilienti di una persona. Vi sono pertanto degli uomini e delle donne capaci di resistere più facilmente alla frustrazione, trovando in sé nuove e diverse strade più creative per raggiungere i propri scopi, nonostante gli ostacoli e, altre persone, che si abbattono e si deprimono oppure reagiscono con aggressività in seguito a frustrazioni anche minime.

Nei bambini con disturbi dello spettro autistico, l’aggressività nasce dalla grave sofferenza presente nel loro animo a causa delle ansie, fobie, inquietudini e timori ai quali sono stati costantemente sottoposti, fin da quando si sono chiusi in se stessi. In quella condizione di estrema difesa, ogni sollecitazione proveniente dal mondo esterno ma anche da quello interno, è frequentemente avvertita come una grave minaccia alla propria incolumità o alla propria vita. Franciosi così descrive la disregolazione emotiva che s’instaura nei bambini con autismo: ‹‹Quotidianamente osserviamo che bambini e adulti con ASD reagiscono impulsivamente a stimoli emotigeni, attraverso comportamenti auto/etero lesivi, aggressioni, reazioni intense allo stress e al sovraccarico, fallendo nell’utilizzo delle strategie di regolazione emotiva che potrebbero essere maggiormente adattive e funzionali››.[1]

E poiché le più frequenti sollecitazioni provengono proprio dagli esseri umani che chiedono, pretendono e stimolano a fare o a non fare determinate azioni o comportamenti, l’aggressività maggiore che essi provano è nei confronti di questi ma può esprimersi verso tutto e tutti. Tuttavia non sempre quest’aggressività esplode e si manifesta. Essa è come contenuta e congelata nei bambini che presentano un più alto grado di autismo e quindi di chiusura. È come se, in questa particolare condizione, anche questa fondamentale pulsione difensiva fosse sterilizzata, pur di evitare lo scatenarsi di azioni distruttive e di annientamento da parte del mondo circostante.

Anzi, in alcuni casi, pur di proteggersi, il bambino assume un comportamento apparentemente conciliante e sorridente. Come dice la Williams: ‹‹Mi dipingevo un sorriso sulla faccia e cercavo di impersonare la mia versione della felicità››.[2] Addirittura alcuni bambini coprono di baci e abbracci la loro madre, il loro padre ma anche le persone sconosciute. Tuttavia questi sorrisi e questi gesti di amore non possiedono elementi relazionali ma servono solo a proteggere se stessi, dall’annientamento che temono possa venire dall’esterno.

Al contrario l’aggressività si manifesta più frequentemente nei bambini con autismo lieve, poiché questi mantengono ancora un certo collegamento con il mondo esterno, oppure è evidente nei bambini in cui la loro grave condizione di autismo migliora. In quest’ultimo caso, quando le loro emozioni cominciano a sgelarsi possono finalmente manifestare all’esterno la rabbia che covavano dentro.[3] In definitiva il rinascere alla vita del bambino autistico comincia proprio con lo sbloccarsi dell’aggressività.[4]

Le manifestazioni aggressive dei bambini con sintomi di autismo si rivolgono verso gli oggetti che sono sbattuti alle pareti o a terra nel tentativo di distruggerli o sui vestiti che vengono strappati, si possono manifestare anche nei confronti dei genitori, familiari, operatori e insegnanti, nel momento in cui questi dovessero insistere in qualche richiesta, che temono possa peggiorare la loro sofferenza interiore, oppure verso tutte le persone che, con il loro comportamento ansioso, colpevolizzante, irritante li esasperano.

Anche semplicemente l’essere avvicinati fisicamente può scatenare l’aggressività di questi bambini.

Ricorda la Williams:

Cominciai a disegnare stelle dappertutto e su ogni cosa. La mia mente era chiaramente ritornata a quand’ero piccola, anche se ora avevo la capacità di difendermi violentemente se qualcuno si avvicinava troppo a me. Un giorno a scuola qualcuno lo fece. Non ho alcuna idea di che cosa abbia fatto o detto, ma cercarono di venirmi troppo vicini. Afferrai una sedia e cominciai a rotearla.[5]

 La stessa autrice spiega molto bene una delle cause che stimolava la sua reazione aggressiva: l’essere toccata!: ‹‹Ma nonostante ciò, non ero intenzionalmente arrogante. Queste persone avevano, senza permesso, cercato di defraudarmi del diritto di scelta di essere toccata, anche se per loro era soltanto un colpetto alla spalla. Era gente che per egoismo mi rubava il senso di pace e di sicurezza che, a differenza di loro, non riuscivo a trovare nella loro versione di “vita quotidiana”››.[6]

L’autolesionismo

L’autolesionismo si evidenzia quando il bambino rivolge l’aggressività verso se stesso, pertanto si morde le mani, le braccia o la lingua, sbatte la testa al muro, si dà pugni e schiaffi sul viso o sulle gambe, si graffia le braccia.

 Queste manifestazioni che turbano profondamente chi vi assiste possono avere varie cause.

v  Sfogando su se stessi le frustrazioni subite,[7]questi bambini possono manifestare la loro aggressività senza tuttavia incorrere in punizioni.

v  L’autoaggressività può insorgere a causa di bruschi ordini ricevuti; nelle situazioni che presentano un certo grado di ansia causata da disagi o sofferenze subite, ma anche per difficoltà di ordine relazionale.[8]

v  L’autoaggressività può manifestare il bisogno e la ricerca di una stimolazione sensoriale. Come dice la Williams: ‹‹Stavo perdendo la capacità di sentire. Il mio mondo poteva anche essere vuoto, ma perdere la capacità di controllarlo mi lasciava, senza misericordia, in una specie di limbo nel quale mancava qualsiasi sensazione o conforto. Cominciai allora, come tante altre persone “disturbate” a ferire me stessa per poter “sentire” qualcosa››.[9]

v  Potrebbe infine configurarsi come un’espiazione, legata al senso di colpa verso una persona buona verso la quale questi bambini hanno manifestato un comportamento poco idoneo.[10]

Alcuni suggerimenti

Poiché l’auto e l’eteroaggressività presente nell’animo dei bambini con sintomi di autismo non può essere cancellata, è necessario gestirla nel modo più opportuno con vari accorgimenti, in modo tale che gradualmente sia eliminata dal loro animo.

  • Il primo, e il più importante suggerimento che ci sentiamo di dare è quello di rispettare al massimo i bisogni più veri e profondi del bambino, evitando di ignorare o trascurare i motivi della sua sofferenza. La terapia affettivo – relazionale che utilizza la tecnica del Gioco Libero Autogestito, che vi consigliamo di effettuare al più presto, si basa proprio su questo principio. Se noi comprendiamo i motivi della sofferenza del bambino, se noi evitiamo tutti quelle situazioni, quegli ambienti e quelle persone che gli apportano stress, tensione e sofferenza, e al posto di questi inseriamo persone, situazioni e ambienti che in lui producono serenità, tranquillità, piacere e gioia, più facilmente e rapidamente il suo animo si rasserenerà e pertanto diminuiranno, per poi scomparire del tutto, tutti quei comportamenti che fanno disperare i genitori, tra i quali l’etero e l’auto aggressività. Allo stesso modo più i genitori si attiveranno nel creare con il bambino una relazione molto empatica, gioiosa, piacevole, dialogante, più facilmente e più rapidamente diminuiranno, per poi scomparire del tutto questi comportamenti, che sono un segnale eclatante della sofferenza interiore che il soggetto vive.
  • Inoltre, nel momento in cui queste manifestazioni aggressive si rivolgono sugli oggetti: un bambolotto, una macchinina, un trenino, che vengono distrutti con furia, è bene non solo lasciarlo fare, senza affatto manifestare stupore, sconcerto o disapprovazione, ma anzi è opportuno aiutarlo a liberarsi dell’aggressività a lungo repressa, che soffoca il suo sviluppo psicologico, offrendogli altri oggetti su cui sfogare questa sua emozione negativa e distruttiva.
  • Se invece il suo bisogno di sfogare l’aggressività è rivolto a qualche persona adulta, di solito si tratta della madre, della nonna o di un’insegnante, più raramente del padre, anche in questo caso queste manifestazioni non vanno represse ma trasformate in un gioco piacevole al quale partecipare insieme. Un gioco nel quale l’adulto e il bambino s’impegnano e anche si divertono a fare la lotta, mediante strumenti innocui, come possono essere dei soffici cuscini. In tal modo questa emozione negativa potrà essere espressa pienamente senza che nasca nel bambino alcun senso di colpa o frustrazione. Non solo: attuando questo comportamento egli avvertirà l’adulto come una persona che ha compreso i suoi bisogni e nello stesso tempo si sta impegnando ad aiutarlo a liberarsi da questa velenosa emozione, che covava nel suo animo. Ciò lo aiuterà a migliorare l’immagine negativa che egli aveva degli esseri umani e del mondo in generale.
  • Per quanto riguarda l’autoaggressività, questa tenderà a scomparire rapidamente nel momento in cui il bambino inizierà ad aver piena fiducia nei genitori, nei familiari e negli adulti in genere. È bene pertanto non intervenire in maniera violenta o castrante, bloccando le braccia o le mani del bambino. I comportamenti autolesionistici vanno invece prevenuti evitando di far nascere le crisi di collera per alcuni nostri comportamenti incongrui. Se, nonostante tutti i nostri sforzi, i comportamenti autolesionistici si dovessero lo stesso manifestare, per farli regredire utilizzeremo la forza della nostra vicinanza affettuosa, serena e tenera.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

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[1] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p.17.

[2] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 39.

[3] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 78-79.

[4] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 42.

[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 60.

[6] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 75.

[7] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p.

[8] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Giunti, Firenze, pp. 74-75.

[9] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 54.

[10] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 40.

 

 

 

Le relazioni e le interazioni sociali nell'autismo

 

Autore: Emidio Tribulato

Uno dei principali sintomi che permettono di fare diagnosi di autismo, è dato dalla presenza, in questi bambini, di una notevole difficoltà ad instaurare e mantenere delle efficaci relazioni, sia con i coetanei che con gli adulti. In definitiva in questi bambini sono gravemente compromessi i normali processi di socializzazione e integrazione.

A questo riguardo, nei bambini con disturbi autistici, sono stati notati dagli studiosi molti limiti e difficoltà:

  • Mancanza della giusta attenzione nei confronti degli altri e quindi presenza di carenze nella reciprocità sociale, con inadeguatezza nel riconoscere le emozioni ed i sentimenti altrui.[1]
  • Insufficiente interesse per le iniziative delle persone che sono a loro vicine.
  • Incapacità a stabilire efficaci contatti relazionali e affettivi con gli altri: ad esempio, mancanza o scarsa presenza del contatto oculare, che è importante nel riuscire ad avere un legame comunicativo con l’altro.
  • Povertà affettiva e insufficiente interesse nei confronti delle figure familiari, con mancata reciprocità nelle coccole e conseguente incapacità di strutturare un legame solido e sereno tra i genitori e il figlio con problemi di autismo.
  • Carenza delle funzioni adattive, riparative e di gratificazione nei confronti delle persone che hanno cura di questi bambini oppure estrema dipendenza dalle figure familiari.
  • Mancata risposta ai normali sistemi educativi, per cui, sia i rimproveri sia i castighi non assumono per questi bambini un significato preciso e non ottengono i risultati sperati.
  • Presenza d’isolamento autistico, con preferenza a rimanere da soli, in un angolo del loro ambiente di vita: ad esempio, se si trovano a casa essi tendono a rintanarsi nella loro cameretta, lontani dai fratelli, dai genitori e in generale dalla vita familiare. Se invece questi bambini con sintomi di autismo si trovano a scuola, cercano rifugio in un angolo della classe o del cortile mentre gli altri bambini studiano, parlano o giocano tra loro.
  • Assenza delle funzioni imitative, nei rapporti interpersonali che questi bambini riescono ad instaurare.
  • Notevole limitazione della volontà, con difficoltà a inibire le risposte impulsive, automatiche e a controllare efficacemente le parole, gli sguardi ma anche gli atteggiamenti motori e comportamentali.
  • Marcata compromissione nell’uso dei comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che servono e regolano l’interazione sociale.
  • Mancanza della ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi e obiettivi con altre persone. Per esempio, questi bambini tendono a non mostrare agli altri ciò che hanno fatto, non richiamano l’attenzione degli altri sugli oggetti che possono essere di loro interesse o su qualcosa sulla quale è stata posta l’attenzione.
  • Facili e frequenti gli errori nell’interpretare gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone che stanno loro intorno, siano essi minori o adulti, con conseguente frustrazione e scoraggiamento quando provano a instaurare una relazione.
  • Presenza di comportamenti oppositivi nei confronti delle richieste altrui, specie se queste comportano dei cambiamenti improvvisi e imprevisti.

Nonostante gli esseri umani siano animali sociali e pertanto non possano sopravvivere se non interagendo con gli altri, è facile notare in questi bambini una notevole diffidenza, sospetto e timore verso tutte le persone; percepite da loro come causa di problemi, ansie, sofferenza e dolore.[2] Tanto che accettano più facilmente degli ordini da una voce registrata piuttosto che da una persona.[3] Così come loro non amano gli esseri umani, non si legano agli oggetti che li rappresentano. Pertanto non solo non li desiderano, ma hanno paura delle bambole e dei bambolotti, tanto da scacciarli lontani da loro oppure aggredirli violentemente utilizzando qualche oggetto contundente: mazze, racchette, bastoni.

Ricorda la Williams:

Anne, in preda a un attacco isterico si mise a urlare terrorizzata, mentre uno degli specialisti stava seduto accanto a lei sul letto cercando di metterle una bambola vicino, cosa che la terrificava ancora di più. “Ah le bambole, questi simboli della normalità” pensai. Questi terrificanti emblemi del fatto che si dovrebbe essere confortati da altre persone e se questo non fosse possibile, bisognerebbe esserlo almeno dalle loro effigi. La donna seduta sul letto di Anne le gridò ripetutamente di smetterla, rimettendo la bambola al suo posto, ogni volta che Anne con una spinta la spingeva via. Era più di quanto potessi sopportare. Spinsi via la donna, tolsi di mezzo la bambola e diedi ad Anne la mia spazzola. Anne passò le sue dita ripetutamente attraverso le setole, ascoltando il fievole, a mala pena percettibile suono nell’orecchio e la sensazione sulla mano. Cominciai a canticchiare a bocca chiusa un ritornello ripetitivo, che usavo canticchiare per me, ripetendolo continuamente mentre le battevo il braccio, al ritmo dell’ipnotico ritornello.[4]

Anche se non partecipano ai giochi con gli altri bambini o adulti, non si sentono soli, [5] poiché stare accanto agli altri, provoca loro un notevole disagio, giacché sanno per esperienza che gli esseri umani non riescono a dar loro ciò di cui hanno bisogno e che cercano disperatamente: una stabile serenità interiore.

Tuttavia, come per tutti gli altri sintomi presenti nelle persone che presentano sintomi di autismo, i problemi relazionali e d’integrazione sociale sono molto variabili: non sempre sono tutti presenti nei bambini ai quali è stata fatta questa diagnosi; non sempre si presentano con la stessa gravità; spesso sono diversi in base all’ambiente nel quale essi si trovano; così come sono diversi nei confronti delle persone con le quali questi bambini si relazionano.

Per tale motivo è difficile definire quanto dovrebbe essere importante questo deficit sociale e relazionale, affinché sia considerato un chiaro sintomo di autismo. Anche perché è facile notare come ogni bambino che rientra nella norma abbia un suo modo di affrontare e vivere le relazioni. Per alcuni di questi, dialogare, fare amicizia, instaurare una comunicazione affettiva è facile e pertanto s’integrano rapidamente e bene sia con i coetanei sia con gli adulti; per altri, più timidi, riservati, insicuri, introversi è più arduo fare ciò. Pertanto essi si aprono al dialogo e alla comunione sia nei confronti dei coetanei sia con gli adulti più raramente e con più difficoltà.

È da notare inoltre che la qualità e la quantità delle capacità relazionali aumentano con l’età: sono minime nel neonato per poi gradualmente progredire fino all’età adulta. Ciò non avviene o avviene molto più lentamente nei bambini con disturbi dello spettro autistico proprio a causa dell’immaturità affettivo-relazionale che li caratterizza. Nei casi più gravi tali capacità sembrano essersi congelate nei primi mesi di sviluppo dell’essere umano, tuttavia ciò non significa che siano assenti.

Dobbiamo anche rilevare come non sono soltanto i bambini con sintomi di autismo ad avere problemi relazionali. Difficoltà nell’intraprendere dei rapporti positivi con gli altri, nel mantenerli e farli crescere, sono presenti in tutti i bambini che presentano disturbi psicologici. Sono evidenti nei soggetti che manifestano instabilità psicomotoria, disturbi del comportamento, depressione, timidezza eccessiva, mutismo selettivo e così via. Spesso questi bambini, psicologicamente disturbati, a volte soltanto a causa di momentanee, difficili situazioni familiari che stanno attraversando: separazione dei genitori, conflitti familiari, difficoltà scolastiche o violenze subite, dopo un iniziale approccio sono allontanati o messi da parte dai compagni, poiché non riescono a partecipare, nel modo dovuto, al dialogo, ai giochi, e alle varie attività organizzate dal gruppo. Altre volte sono loro stessi che, in seguito ad esperienze negative, non provano neanche a ricercare un contatto con i coetanei.

Al contrario, i soggetti psicologicamente più sereni, tranquilli e gioiosi, sono facilitati nel fare amicizia con tutti e riescono a mantenere e rendere stabili i loro rapporti affettivi, migliorandoli nel tempo. Per tale motivo, nei riguardi di questo sintomo siamo in presenza di un continuum, che va da una situazione relazionale e sociale facile e fluida, caratteristica dei bambini che rientrano nella fascia della normalità, a una situazione relazionale con qualche difficoltà, esistente nei soggetti che presentano lievi disturbi psicologici, fino a quella grave o molto grave evidente nei bambini con sintomi di autismo.

Per quanto riguarda i test che utilizziamo per quantificare questo, come anche gli altri sintomi dell’autismo, le indicazioni che questi strumenti ci danno sulla loro presenza o assenza e, soprattutto, sulla loro gravità, non sono sempre attendibili, giacché i rapporti che ogni bambino instaura con i vari adulti: genitori, insegnanti, educatori od operatori, sono personali e quindi sono ogni volta diversi. Pertanto le risposte che i test danno sulla presenza e sulla frequenza di un determinato comportamento, risposte che poi si concretizzano in un punteggio che valuta un particolare sintomo e la sua gravità, possono essere discordanti.

Nonostante ciò, non è difficile rilevare l’esistenza di una chiara patologia psichica, quando queste difficoltà socio-relazionali sono stabili, importanti e gravi. In questi casi notiamo, ad esempio, che i bambini con disturbi autistici sono incapaci di instaurare rapporti di amicizia o legami affettivi.

Inoltre questi bambini tendono costantemente a isolarsi, a non dialogare e a non partecipare ai giochi organizzati dai loro compagni o dagli adulti; frequentemente non guardano negli occhi gli interlocutori e si ritraggono non solo alle carezze e ai baci ma anche al semplice contatto fisico che può provenire dagli estranei o anche da parte di un familiare. Questi bambini inoltre appaiono indifferenti alle reazioni di sconforto, pena e dolore presenti negli altri. Nei casi più gravi, quando il bambino con sintomi di autismo si è isolato totalmente dal mondo esterno, vi può essere una totale indifferenza per cui essi possono anche accettare le carezze e i baci, ma lo fanno in maniera passiva, senza alcuna reale partecipazione affettiva e comunicativa.

È bene però mettere in evidenza come alcuni bambini, ai quali è stata fatta la stessa diagnosi, presentino al contrario un eccessivo, anche se inappropriato approccio relazionale e affettivo, non solo verso i genitori ma anche verso gli estranei, con manifestazioni affettuose e amorevoli ma tuttavia chiaramente sproporzionate, tanto da essere considerati bambini troppo dipendenti e “appiccicosi”.

 

 

Le possibili cause

L’empatia

Una delle ipotesi che è stata fatta per spiegare la presenza in questi soggetti di gravi problemi sociali e relazionali riguarda la congenita, possibile mancanza di capacità empatiche.

L’empatia è quella particolare condizione che gli individui provano quando sentono dentro di sé le emozioni di un’altra persona per cui scelgono le espressioni verbali, i comportamenti, la mimica e l’ascolto più adeguati ad intraprendere un rapporto di conoscenza, amicizia o, semplicemente, di momentaneo aiuto e ascolto reciproco. [6]

L’empatia è di fondamentale importanza nelle relazioni con gli altri, perché consente di sapere come si sente un altro essere umano.[7] Per tali motivi, da un punto di vista evolutivo, le capacità di capire il nostro prossimo, di riconoscere e condividere le sue emozioni e i suoi bisogni sono rilevanti per la sopravvivenza, l’adattamento e la vita sociale.[8]

Si distingue un’empatia cognitiva, che è la capacità di adottare e comprendere la prospettiva psicologica delle altre persone, da un’empatia affettiva, che è la capacità di sperimentare reazioni emotive, in seguito all’osservazione delle esperienze altrui.[9] Le aree che si attivano per l’empatia quando si osserva una persona che soffre sono l’insula, la corteccia, cingolata interiore e la sostanza grigia periacqueduttale.[10]

I neuroni specchio

Le capacità empatiche sono state anche collegate alla funzionalità dei neuroni specchio, che hanno il compito di rispecchiare le azioni degli altri e preparare l’osservatore a imitarne i movimenti. Questi particolari neuroni si attivano quando compiamo o osserviamo un’azione diretta ad un oggetto, per cui ogni atto osservato viene simulato internamente.[11] Tutto ciò ricreerebbe nell’osservatore l’esperienza delle emozioni altrui, come se egli le stesse provando in prima persona. Ciò permetterebbe di riconoscere e comprendere le emozioni in modo diretto e senza bisogno di un esplicito ragionamento concettuale.[12]

Tuttavia anche se l’autismo è stato associato a un malfunzionamento dei neuroni specchio, non è certo che questa sindrome sia il risultato di una semplice disfunzione del sistema di questi particolari neuroni,[13] poiché questo meccanismo può essere influenzato da informazioni, processi e funzioni superiori di tipo contestuale e valutativo, siano i soggetti consapevoli o meno.[14]

Le difficoltà presenti negli adulti

Purtroppo nell’ambito delle relazioni ed interazioni sociali, nell’elencare le carenze e i limiti presenti nei soggetti con sintomi di autismo ci si dimentica spesso di evidenziare i limiti, le incapacità, le gravi difficoltà e carenze, nella comprensione e nel sostegno dei loro problemi, presenti negli adulti che di loro si occupano e che con loro si relazionano. Le carenze e i limiti di noi adulti “normali” sono numerosi e, purtroppo, rendono difficile e, in alcuni casi, impediscono, un percorso relazionale adeguato ai bisogni e ai vissuti interiori dei soggetti con disturbi autistici. È bene pertanto conoscerli, per poterli affrontare e superare.

1) È difficile essere consapevoli del loro mondo interiore.

Non sempre, sia i genitori sia gli insegnanti o gli altri adulti che si relazionano con soggetti con disturbi autistici sono consapevoli del loro mondo interiore, gravemente alterato, disturbato, instabile e spesso colmo d’angoscia, che rende loro arduo, se non impossibile, attuare in maniera armonica, nei giusti tempi e nelle modalità corrette, quei comportamenti che rendono la relazione adatta ed efficace.[15] Questo loro mondo particolarmente turbato ci dovrebbe consigliare di instaurare nei loro confronti delle modalità relazionali particolari e specifiche. Invece li sottoponiamo a degli interventi di tipo educativo, niente affatto idonei ai loro particolari bisogni. Ad esempio, li rimproveriamo e li richiamiamo senza che ciò sia assolutamente utile oppure pretendiamo da loro, quando ancora la loro chiusura e l’immaturità sono gravi, parole, atteggiamenti e comportamenti che non possono assolutamente mostrare.

2) È difficile accettare le difese da loro messe in campo.

Nei bambini normali o con problemi psicologici non gravi, le difese utilizzate per comunicare la propria sofferenza o per cercare di allontanarla, attenuarla o superarla, sono ben note ma anche in qualche modo previste, comprese e accettate. Ad esempio, quando i bambini normali o con disturbi psicologici non gravi, comunicano le loro emozioni negative, come la tristezza, l’ansia, l’aggressività e la rabbia, utilizzando delle parole, delle espressioni e dei comportamenti adatti ai loro vissuti interiori, queste emozioni sono correttamente capite e interpretate dagli adulti, che cercheranno di rispondere con atteggiamenti adeguati.

Purtroppo quando a soffrire sono dei soggetti con disturbi dello spettro autistico, le loro manifestazioni di dolore o di gioia, nonché i loro desideri difficilmente sono compresi e accolti. Di fatto è difficile che siano comprese e accettate le loro difese e i metodi da essi utilizzati per lottare contro le ansie, le paure, le insicurezze che li fanno soffrire, poiché queste difese sono molto diverse, più povere e primitive, rispetto a quelle espresse dai bambini normali, con i quali siamo abituati a trattare.

È difficile, ad esempio, che siano accolti e compresi sintomi strani e inconsueti come l’immobilità, l’estraniamento parziale o totale dalla realtà, le gravi reazioni o le crisi in concomitanza con avvenimenti che sembrano del tutto normali ai nostri occhi e al nostro giudizio. Allo stesso modo è difficile accettare il loro rifiuto di ogni minimo cambiamento, le stereotipie verbali e motorie e i comportamenti autolesionistici.

Questi atteggiamenti sono subito etichettati come gravi comportamenti da eliminare il più presto possibile e non certo da comprendere e accettare per quello che sono: dei segnali di sofferenza o delle difese messe in atto per contenere e gestire dei vissuti emotivi gravi e disturbanti.

Scrive De Rosa:

Se io e voi ci trovassimo nella stessa stanza, seduti attorno a un tavolo per un incontro, dopo un po’ mi vedreste alzarmi, ridere, fare piccole corsette qua e là per la stanza e, con una mano stesa tra la mia bocca e il mio orecchio, raccontare storie tra me e me. È solo un modo inoffensivo per gestire le mie emozioni, ma vi assicuro che la maggioranza di voi neurotipici entra in ansia per un comportamento ritenuto insolito, se non addirittura sconveniente.[16]

Pertanto i bambini con sintomi di autismo non sono visti come bambini che lottano in ogni momento per allontanare o diminuire la sofferenza o i timori che li opprimono, ma come soggetti a volte gravemente ritardati, altre volte come bambini o adulti strani, bizzarri, testardi, capricciosi e, in alcuni casi, anche aggressivi. Sono stimati come persone impossibili da gestire, poiché possono andare in crisi, gridare e lanciare gli oggetti che hanno in mano per un nonnulla. Sono visti come bambini e adulti che presentano frequentemente comportamenti disturbanti, che amano opporsi a ogni richiesta che viene loro fatta. Il tutto, tra l’altro, senza che vi sia, almeno in apparenza, un valido motivo.

I genitori, quando raccontano del loro bambino agli specialisti, sono pronti a riferire non una ma mille lamentele nei riguardi del figlio: ‹‹Non riusciamo più ad andare a prendere una pizza, perché Marco va in giro per tutto il locale con una forchetta o un coltello in mano che batte sulle sue guance o sui tavoli delle persone e ci fa vergognare da morire. Non possiamo far visita a qualche amico o parente perché si mette a toccare e annusare i vestiti e le mani delle persone presenti, mettendoci in forte imbarazzo. Dottore, è impossibile per noi andare al cinema o a teatro con lui; ci farebbe cacciare fuori dopo cinque minuti! Per quanto riguarda poi le cure dal dentista, Marco non vuole neanche scendere dall’auto, quando capisce che lo portiamo da questo specialista. Non parliamo poi della pulizia, dottore! Nostro figlio non accetta di lavarsi le mani prima di pranzare. Cosa dobbiamo fare? Inoltre non vuole che gli si tocchino i capelli quando gli facciamo la doccia, possiamo mai lasciarlo con i capelli sporchi?››.

A questo riguardo vi sono tuttavia dei genitori che, all’opposto, si lamentano perché il figlio non vuole proprio uscire dalla doccia. Due nostri ragazzi che seguivamo, avevano scoperto che l’acqua tiepida che scivolava e accarezzava il loro corpo riusciva a diminuire, come fosse un naturale ansiolitico, la grave tensione interiore che pervadeva la loro mente. Anche in questo caso nulla di veramente strano: questa piacevole esperienza tra l’altro è ciò che stimola tanti giovani e adulti, perfettamente normali, a moltiplicare la frequenza e allungare il tempo nel quale restare sotto la doccia, pur di provare la piacevole sensazione dell’acqua tiepida che scivola e avvolge il corpo come una carezza. Tuttavia questo comportamento non era per nulla compreso, e quindi accettato, dai rispettivi genitori che li sgridavano continuamente, lamentando il gran consumo di acqua calda e la perdita di tempo che queste docce prolungate procuravano al loro ménage familiare.

 

3) È difficile capire i motivi dei loro atteggiamenti oppositivi.

Una dei motivi di scontro tra gli adulti e questi soggetti riguarda il loro comportamento oppositivo.

A ben guardare, questa tendenza a opporsi e quindi a rifiutare le richieste degli altri, non è caratteristica soltanto dei bambini che presentano disturbi autistici. Tale comportamento è comune a molti piccoli che presentano problematiche psicologiche anche molto meno gravi, così com’è presente anche in bambini che hanno un cattivo rapporto con i loro genitori o familiari. Pertanto è un atteggiamento presente anche nei minori che vengono repressi, eccessivamente rimproverati o coartati nei loro bisogni e desideri ed è evidente nei bambini che presentano un Disturbo Oppositivo Provocatorio.

In questi casi i minori, oltre ad opporsi alle richieste degli adulti, si ribellano, poiché le avvertono come fossero delle imposizioni: pertanto rispondono e reagiscono con parolacce, minacce, insulti o comportamenti aggressivi. Lo stesso avviene anche nei bambini che presentano facile irritabilità o instabilità psicomotoria. Questi è come se non riuscissero proprio a percepire i bisogni e le richieste degli altri, per cui, nonostante siano richiamati insistentemente dai genitori o dagli insegnanti, continuano a fare quello che più aggrada loro in quel momento.

Il fatto che i bambini con disturbi autistici non obbediscano, non accettino o semplicemente sembra che non ascoltino le richieste degli adulti, provoca nell’ambito scolastico la stizza degli insegnanti i quali, quando parlano con i genitori, si lamentano dei comportamenti e atteggiamenti dei loro figli con frasi come queste: ‹‹In fondo che cosa gli ho chiesto? Non l’ho costretto a scrivere o leggere, non l’ho mai interrogato per timore che vada in ansia, l’ho pregato soltanto di restare seduto nel suo banco e non disturbare. E invece? Invece me lo ritrovo sempre in piedi tra i banchi o in mezzo alla classe, che canticchia, mormora parole incomprensibili e gioca con il suo fazzolettino di carta, mentre la sua insegnante di sostegno non sa cosa fare. Se poi, anche se raramente, questa riesce a farlo stare seduto nel suo banco, non fa che tamburellare con le dita, esce la lingua in modo disgustoso, emette quei suoi strani versi per ore, disturbando la lezione e dando un pessimo esempio anche agli altri alunni››.

Di loro si lamentano anche i terapisti: ‹‹Come devo riuscire a fargli apprendere il linguaggio verbale o mimico se non mi guarda nemmeno e si arrabbia, urla e lancia quello che ha in mano sul muro, quando gli giro dolcemente il capo verso di me, per fargli vedere come pronunciare le parole o quando gli chiedo di guardarmi negli occhi e di aprire la bocca in un certo modo?››.

Per noi adulti è difficile riuscire a distinguere e capire quello che è il prodotto della volontà di questi bambini, da ciò che invece è causato dal grave disturbo psicologico che condiziona e costringe la loro volontà. In definitiva spesso il primo e più importante problema di molti genitori, insegnanti e terapisti è il non riuscire a capire: ‹‹Perché il bambino non parla? Perché si oppone testardamente a ogni richiesta? Perché va in crisi, grida e si agita per delle sciocchezze? Perché non vuole essere, non dico abbracciato, ma neanche toccato?››. E così via. Dice Morello: ‹‹Posso connettere volontà e azione solo quando mi sento sicuro. Il possibile veleggia in concreto mare se trovo la serena rotta al sicuro da tempeste emotive, ma la paura è sempre presente››.[17]

Genitori, familiari, insegnanti e terapisti spesso parlano di questi bambini come se fossero perfettamente liberi di fare o non fare quanto richiesto o desiderato. In realtà quasi tutto quello che essi fanno o non fanno, ma anche quello che rifiutano o accettano, non dipende da loro, ma è fortemente influenzato dalla loro patologia e da come questa si manifesta in quel momento e in quella particolare situazione emotiva. Come dice Notbohm, madre di un bambino con autismo: “Non volere” o “non potere” non sono intercambiabili. Il “non volere” implica premeditazione, intenzionalità e pertanto fa pensare a un comportamento deliberato. Il “non potere” esclude la possibilità di scelta e prende atto dell’incapacità del bambino nel compiere o nel non compiere una determinata azione.[18]

 De Rosa scrive:

Per capire il mio percorso e l’autismo mi sembra che sia centrale il tema della volontà. Vedo che per voi neurotipici la volontà è una risorsa sempre disponibile. Pensate a una cosa, decidete di farla subito, incominciate a farla. Per me non è così. A volte la mia volontà rimane imprigionata in un blocco e non riesce a venire fuori. (…) Quando qualcuno, per esempio, usa con me una di quelle parole convenzionali e sintetiche come “grazie”, “prego” o “bravo”, si determina in me un blocco della volontà. Inizio a ripetere la parola che mi è stata detta, la ripeto più volte come preso da un “loop” in una sequenza che si ripete in cui mi sento prigioniero, da cui non riesco quasi mai a uscire da solo, se non c’è qualcuno che mi aiuta.[19]

Ancora peggio, alcuni genitori e operatori vedono in questi comportamenti delle ripicche e dei capricci da parte del bambino, ripicche e capricci non solo da non assecondare ma da punire.

È bene quindi prendere coscienza  dei motivi che rendono difficile a questi bambini accogliere le richieste, da qualunque parte esse provengano, in modo tale da rendere adeguato e funzionale il nostro comportamento. 

4) In molti casi è presente una scarsa stima e fiducia negli esseri umani, ritenuti, a torto o a ragione, causa del loro grave malessere.

La loro sfiducia negli esseri umani è talmente intensa e globale da coinvolgere anche i genitori. Come si può ben vedere da questi due racconti.

Michele, un bambino con autismo ad alto funzionamento di otto anni, disegna un delfino che gioca con la palla, che poi commenta con un racconto:

 

 

 

 

Un delfino che gioca con la palla

Vi è un delfino blu che gioca sempre con la palla. Si diverte giocando con i cerchi. Non ha un’istruttrice, è in pieno mare. È solo, perché non ha nessuno che gioca con lui, ma è felice lo stesso. Gli altri non vogliono giocare con lui perché pensano che sia molto giocherellone. Gli altri sono seri. Gioca sempre lui! Se gli rubano qualcosa, è triste. Quando non gioca, è poco felice. Vuole essere sempre a casa sua. Non ha nessuno. Papà e mamma sono morti. Uno squalo li ha mangiati. Lui dopo che loro sono morti, si divertiva ancora di più, perché era più felice.

Se proviamo a interpretare questo racconto, notiamo una serie di elementi molto interessanti e soprattutto illuminanti, su cosa provano i bambini con disturbi autistici nel loro animo.

Intanto vi è in loro un gran desiderio di completa libertà. Il delfino, nel quale s’identifica Michele, non ha alcuna istruttrice e quindi può fare ciò che vuole. Questa piena libertà l’ha ottenuta anche dal fatto che i suoi genitori sono morti. Questa disgrazia tuttavia non gli crea problemi, anzi gli dà la possibilità di divertirsi ancora di più ed essere più felice, perché completamente libero.

Per quanto riguarda il rapporto con i coetanei, anche con loro le cose non vanno per nulla bene: loro non vogliono giocare con lui e anzi gli rubano le sue cose. Una nota a parte merita il motivo per cui i suoi compagni non vogliono giocare con lui. Michele dice: ‹‹Gli altri non vogliono giocare con lui perché pensano che sia molto giocherellone. Gli altri sono seri››. Di solito i bambini amano giocare e divertirsi per cui questa esclusione fa riferimento alle modalità di gioco di Michele. Modalità rifiutata dai compagni poiché è accentrata sui suoi bisogni del momento, come avviene nei bambini piccoli, i quali non tengono in alcun conto i desideri e le necessità degli altri.

Anche per Pietro di otto anni, gli esseri umani, compresi i genitori, rappresentavano un limite e non una risorsa.

Commentando un disegno effettuato racconta:

Un amo nell’occhio

È Davide che ha fatto il monello e un cane gli ha tirato un amo nell’occhio. Si è fatto male e gli è uscito tanto sangue. Aveva la pancia rotta. Sua mamma è morta e lui è contento e se ne è andato a ballare.

  • In altri casi non si tratta di sfiducia ma d’impossibilità.

I vissuti interiori dei bambini psicologicamente disturbati in maniera grave, come sono quelli nei quali sono presenti dei disturbi autistici, sono talmente confusi, instabili e tesi, che spesso impediscono di capire esattamente la richiesta che è loro fatta ma anche il motivo e la necessità di accogliere questa richiesta.

Può succedere quindi che trascinati e immersi nel loro mondo, angosciati dalle paure e dall’eccitazione e tensione che pervade la loro mente, non abbiano avuto la possibilità di ascoltare e valutare correttamente le nostre istanze oppure che abbiano filtrato di queste soltanto alcune parti, senza riuscire a capirne tutto il contesto.

  • In altri momenti questi bambini non compiono quanto richiesto poiché ciò che chiediamo potrebbe aumentare i loro problemi e la loro sofferenza.

 Le paure, l’ansia e la sofferenza sono sempre in agguato. A volte basta poco perché da uno stato di momentaneo e parziale benessere, che essi si creano estraniandosi dalla realtà, siano nuovamente invasi dall’ansia e dalla tristezza. Può darsi allora che le nostre richieste non facciano altro che aumentare la loro ansia e la loro sofferenza, causando un’accentuazione del disagio fisico e psicologico, che sono già a dei livelli molto alti.[20]

  • Può accadere inoltre che questi bambini non conoscano i vari passaggi del procedimento per poter eseguire ciò che chiediamo.

Non sono infrequenti i casi in cui le nostre aspettative sono troppo alte, rispetto alle loro capacità presenti in quel determinato momento. [21]

  • La loro opposizione può nascere dal fatto che la nostra richiesta è giunta in un momento particolarmente difficile per loro.[22]

Ad esempio, in un momento in cui sono particolarmente turbati o angosciati da qualcosa, oppure hanno fame, sete o sono troppo stanchi e stressati, per riuscire a ubbidire.

Quando, nonostante il loro rifiuto, insistiamo, li minacciamo o peggio ancora li puniamo, con la speranza che si decidano a ubbidirci “senza fare troppe storie”, senza volerlo stiamo peggiorando il loro mondo interiore e, insieme con questo, stiamo peggiorando il difficile rapporto che essi hanno con noi e in generale con gli esseri umani e la realtà interna ed esterna a loro.

In parole povere il non tener conto del loro mondo interiore peggiora il nostro rapporto con loro, ma anche la loro condizione psichica, poiché questi nostri comportamenti costringono i bambini con sintomi di autismo a chiudersi ancor più nel loro mondo. Sarebbe più saggio aspettare pazientemente che essi si decidano ad agire in base alla nostra richiesta, senza mai spingerli in modo brusco e insofferente a compiere o a non compiere una determinata azione.

5) È difficile non reagire in modo consueto.

Altrettanto arduo è per noi adulti resistere e tenere sotto controllo alcuni comportamenti che attuiamo quasi in modo automatico. Se ad esempio il bambino con disturbi autistici non parla, cosa fare se non sommergerlo di parole e di stimoli verbali affinché acquisisca il più presto possibile il linguaggio, che è anche il simbolo della conquista della normalità?

È difficile per noi poter immaginare che invece l’ideale per lui sarebbe quello di avvertire, mediante il silenzio, la nostra presenza attenta e affettuosa, fatta di ascolto della sua sofferenza, dei suoi desideri e dei suoi bisogni. È difficile, in definitiva, accettare e imporci quel silenzio, che può permettere più facilmente l’ascolto e la comunione con lui.

De Rosa  a questo riguardo, ricorda il valore del silenzio tra lui e il padre:

In realtà, il silenzio tra due esseri umani brulica di tanti piccoli elementi di una comunicazione non verbale che io direi spirituale. L’ho capito nelle lunghe giornate passate con mio padre a passeggiare in montagna. Lui, sapendo quanto il dialogo verbale sia impegnativo per me, stava in silenzio, diventava autistico come me. Così per ore camminavamo soli noi due e in silenzio, circondati dalla natura, ora tra panorami grandiosi, ora immersi nei boschi, a volte camminando uno dietro l’altro e a volte affiancati, quando il percorso lo permetteva.

All’inizio, il silenzio sembrava creare separazione, come se ciascuno di noi due camminasse per proprio conto, ma questa era solo una condizione iniziale, direi esterna, superficiale. Con il tempo cominciavo a percepire che ciò che io provavo di fronte alla bellezza della natura anche mio padre lo stava provando dentro di sé. Non provavamo in due lo stesso sentimento, ma un unico sentimento, che è cosa ben diversa. Stavamo entrando nella dimensione della vera empatia.[23]

Anche per Morello:

Immersione nella natura rasserena l’ansia: prato verde, conigli dallo sguardo buono, mano operatore che indica lenta i lavori da fare. L’ansia si scioglie.[24]

6) È difficile da parte dei genitori gestire lo stress che questi bambini provocano.

Purtroppo molti genitori di bambini con sintomi di autismo sono notevolmente stressati, poiché devono da una parte elaborare il lutto per la presenza del loro figlio con problemi, e dall’altra devono anche affrontare non una ma mille difficoltà legate alla gestione di questi, sia nel periodo in cui sono impegnati nel lavoro esterno alla famiglia, sia durante le vacanze e, soprattutto, nelle occasioni nelle quali sono costretti a presentarsi in pubblico. In questi casi, quando non riescono proprio ad evitare la presenza del loro figlio insieme a degli estranei, sono costretti a subire i rimbrotti di questi ultimi, che li giudicano genitori poco attenti e responsabili, incapaci di ben educare.

Tutto ciò comporta spesso un isolamento sociale della famiglia. Tra l’altro possono anche nascere tra papà e mamma delle accuse reciproche di questo tenore: ‹‹Questo succede perché sei troppo permissivo››. O al contrario: ‹‹Nostro figlio si comporta così perché sei troppo rigido e autoritario. Hai rovinato Marco perché non hai saputo capirlo ed accettarlo››. E così via.

7) È oltremodo difficile accettare che questi sono bambini da liberare e non da educare.

Per non parlare di quando gli operatori ma anche i familiari si rapportano con loro in modo frequentemente educativo. Questo comportamento che è spontaneo e naturale negli adulti, nel momento in cui si relazionano con i minori, per quanto riguarda il rapporto con bambini nei quali sono presenti sintomi di autismo viene ancor più stimolato dai loro comportamenti strani e inusuali. Come si fa a non chiedere di ascoltare ciò che diciamo a un bambino che non ci ascolta e si gira dall’altra parte? Come si fa a non rimproverare un bambino che provoca verso di noi le critiche dei parenti, degli amici o degli insegnanti?

In queste e in tante altre occasioni questi bambini avvertono chiaramente di essere “sbagliati” o come dice Morello essere come delle “macchie”,[25] assolutamente non adeguati al cosiddetto “vivere civile”. Non vi è cosa che essi facciano o non facciano, che non sia notata o aspramente criticata dagli adulti, che si sentono in dovere di cercare di correggerla, dando continui suggerimenti, indicazioni, giudizi e, a volte, anche punizioni con intenti educativi.

Questi comportamenti degli adulti, se da una parte peggiorano la scarsa stima che questi minori hanno verso se stessi, nello stesso tempo confermano il loro pregiudizio verso il genere umano, del quale hanno paura e dal quale non si aspettano attenzione e comprensione. Ciò li costringe ancor più a chiudersi e difendersi da ogni sensazione, emozione o comunicazione che proviene dal mondo esterno.

8) Molti adulti hanno notevoli difficoltà nel proteggere i bambini con disturbi autistici da situazioni che li fanno soffrire.

Sono molti gli oggetti, i comportamenti, i luoghi e le situazioni, che possono provocare a questi bambini fastidio, sofferenza, ansia e paura. Tuttavia non sempre tali situazioni sono fatte segno di attenzione, sia dai genitori sia da parte di alcuni operatori che di questi bambini si occupano. Gli uni e gli altri, consciamente o inconsciamente, vorrebbero che in ogni momento questi minori riuscissero a comportarsi in base ai loro bisogni e desideri ma anche alle comuni convenienze sociali. Costoro insomma, vorrebbero che i comportamenti di questi bambini fossero adeguati agli ambienti da essi frequentati: la scuola, i gruppi sportivi, le associazioni, i ristoranti, le feste, i locali dei centri riabilitativi, senza tener conto delle loro capacità e possibilità.

Per tali motivi, di solito molti adulti preferiscono lottare fino allo spasimo per cercare di eliminare i loro sintomi più evidenti e disturbanti, piuttosto che ascoltare pazientemente i loro bisogni più veri e profondi, mettendosi direttamente e personalmente in gioco, nell’intraprendere nuovi e diversi percorsi che riescano a venire incontro ai reali bisogni di questi bambini.

Quando noi adulti: genitori, insegnanti e operatori, li costringiamo a fare delle attività non desiderate o a reprimere dei comportamenti considerati socialmente disturbanti, senza tener conto delle enormi difficoltà che essi hanno nel gestire il loro angoscioso e instabile mondo interiore, il più delle volte, senza volerlo e certamente senza che ce ne rendiamo conto, li obliquiamo a rimanere costantemente in uno stato di continuo allarme e difesa, il che aggrava le loro ansie, le loro fobie e la loro sofferenza.

La naturale conseguenza di ciò è che la diffidenza, il sospetto e il rifiuto nei confronti degli esseri umani, invece di diminuire, come si vorrebbe, si accentua. E ciò comporta un effetto ancora più grave: in realtà con il nostro incongruo comportamento rischiamo di rendere inguaribile una patologia la quale, se fosse stata affrontata nei modi opportuni, si sarebbe potuta risolvere e avrebbe perduto quell’alone di cronicità che ancora la segna con un marchio indelebile.

 

9)  Per i genitori è difficile vederli come bambini che essi potrebbero curare direttamente.

In alcuni casi i genitori, avvertono questi bambini come degli esseri umani diversi, con i quali sarebbe troppo difficile o impossibile intraprendere delle relazioni efficaci.

Il seguente episodio può meglio spiegare questo tipo di sensazione che porta a dei comportamenti non idonei.

 Il piccolo Paolo di tre anni, dopo aver giocato a lungo con noi, uscì di corsa dalla stanza dei giochi e corse lungo il corridoio fino alla sala d’aspetto, dove il padre, seduto sul divano, attendeva la fine della terapia leggendo una rivista. Il bambino per manifestare con gioia la serenità momentaneamente riacquistata, prese a battere ridendo le braccia sul divano proprio accanto al genitore che lì era seduto. Mi colpì la reazione di questo padre il quale, imbarazzato e quasi spaventato da tale particolare approccio, si alzò di scatto, allontanandosi da lui mentre, nello stesso tempo mi guardava, come per dire: “Come mai Dario è qui, mentre dovrebbe essere con lei ad effettuare la terapia? E soprattutto: “Io, in questa situazione, cosa dovrei fare?” Il bambino, non pienamente soddisfatto, prese a fare il girotondo nella stanza, ancora una volta per manifestare la sua presenza e la sua gioia. Anche a questo suo gesto di allegra ricerca di una relazione il padre, non sapendo cosa fare, dapprima dolcemente e poi sempre con più foga cercò di spingerlo ad allontanarsi dalla sala d’aspetto per ritornare da me, dicendo: ‹‹Vai dal dottore, cosa ci fai qui? Vai! Vai!››.

 Quell’uomo non era un cattivo padre, ma purtroppo, come spesso succede a molti genitori, avvertiva quel figlio come un bambino diverso da qualunque altro. Pertanto solo uno specialista, com’ero io in quel momento, poteva avere a che fare con lui. D’altra parte come vivere un figlio che normalmente non corre felice tra le tue braccia, che non ti saluta quando ritorni dal lavoro, non si lascia abbracciare, non ti parla, forse non capisce neanche quello che tu gli dici, grida per un nonnulla e non manifesta alcun segnale d’amore per te?

Purtroppo questa immagine dei bambini con sintomi di autismo come degli esseri troppo diversi dai loro genitori, per cui questi non potrebbero riuscire a prestare le cure necessarie, nasce non solo dal tipo di sintomi che quelli presentano, ma anche da una certa cultura che si è sviluppata attorno a questa patologia. Una cultura che tende a porre l’accento sulla loro diversità e pertanto distingue i cosiddetti soggetti “normali” o “neurotipici” come oggi si tende a definirli, da loro: gli “autistici” neurologicamente o geneticamente molto diversi da noi. Per tale motivo, in questo nostro libro abbiamo cercato di usare la denominazione di “bambini con disturbi autistici “o “bambini con sintomi di autismo” per rimarcare che questi soggetti non sono diversi da noi, cosiddetti “normali”, tranne che per la gravità dei loro disturbi psicologici.

Per non parlare dei tanti operatori che di loro si occupano i quali, a volte, sia con le parole sia con il loro comportamento, inviano ai genitori messaggi devianti di questo tipo: ‹‹Noi siamo quelli che sanno e possono fare qualcosa per codesto vostro figlio così particolare, pertanto affidatevi alla nostra competenza, dandoci piena e totale fiducia. Ricordatevi soltanto che le terapie che eseguiamo sul bambino iniziano alle otto e trenta e terminano alle dodici. Siate, quindi, puntuali nel portarlo da noi e poi nel riprenderlo››. Oppure ancora peggio: ‹‹Il pulmino del nostro Centro di riabilitazione passa sotto casa vostra alle otto per prelevare il vostro bambino e lo riaccompagnerà alle dodici. Mi raccomando che ci sia qualcuno, all’ora stabilita, che lo accompagni al pulmino la mattina e lo riprenda a mezzogiorno››.

Questo tipo di messaggi inserisce nell’immaginario dei genitori un concetto fondamentalmente errato e cioè che nei confronti di quel figlio i genitori possono avere solo un ruolo marginale, mentre il compito fondamentale deve essere lasciato agli operatori specializzati. Ciò come vedremo non è per nulla vero.

Per fortuna, nonostante tutto ciò che abbiamo detto, abbiamo potuto costantemente notare che, in fondo al cuore di questi bambini, brilla e rimane sempre accesa una fiammella di speranza e di desiderio, che li predispone a dare fiducia, stima e affetto a chi riesce ad instaurare con loro una relazione calda, vera, profonda, fatta di ascolto e attenzione ai loro bisogni più veri e profondi.

Le difficoltà da parte dei soggetti con autismo

Le persone con disturbi dello spettro autistico, quando hanno avuto la possibilità di esprimere il loro pensiero, ci hanno dato degli apporti preziosi sulle difficoltà che essi incontrano nel rapporto con gli altri.


1) Essi lamentano la perdita del senso di pace e sicurezza, quando sono costretti a rimanere in contatto con gli altri esseri umani.

La Williams riferisce che lei rifiutava ogni forma di contatto poiché, nel rapportarsi con gli altri, si sentiva defraudava del senso di sicurezza che riusciva ad ottenere perdendosi ed estraniandosi nel suo mondo autistico, capace di escludere tutto e tutti. Un mondo fatto di colori, suoni, schemi e ritmi che le davano calma e tranquillità, al contrario del mondo reale nel quale, il contatto con le persone le procurava insicurezza, ansia e terrore.[26] Inoltre l’autrice si era accorta di come le sue necessità e i suoi bisogni fossero incompatibili con quelli degli altri esseri umani.[27]

Anche per Morello la solitudine è importante perché dà serenità: ‹‹Fluttuo tra voci suadenti e ritmi che avvolgono. Scavo dentro l’emozione e le mie nebbie si dissolvono. Mi scopro magico. Sereno. C’è molto in comune tra solitudine e magia››.[28] E ancora lo stesso autore: ‹‹Poi quando di nuovo resto solo, torno a richiudermi nel mio spazio a volare dentro una cupola di pace››.[29]

Per quest’autore, un angolo della sua casa, senza rumori e senza persone, diventava un luogo incantato di pace e serenità:

Torno a galla. Esco dalla cuna e mi sdraio sul divano avvolto sui cuscini. Guardo la tv muta, dello scafandro mi libero e nel divano, mia soffice cella di casa, si spiana la calma. Nell’avido susseguirsi d’immagini narrate spariscono le macchie. A casa le macchie d’autismo si stingono e non esistono. Segue pace.[30]

 Sebbene vi fosse un buon rapporto con il padre, anche la presenza di questi gli creava ansia e disagio poiché, come tutti gli adulti, lo stimolava a fare qualcosa che pensava fosse utile per lui o per la famiglia.

2) Le proposte e le scelte, che gli altri propongono, provocano o aggiungono ansia nella loro mente.

Per questi soggetti è molto difficile e problematico scegliere qualcosa, tra le varie proposte che facciamo. E questa difficoltà li mette in ansia.

 Dice Morello:

Anche scegliere cosa mangiare a pranzo è difficile. Mamma mi chiede, ma la richiesta mi confonde. Difficile dare risposta immediata da dentro mio lago d’autismo. Molto tempo non mi danno le persone per effettuare la mia scelta. Veloci preconfezionate risposte allora do. [31]

In questo caso, a causa delle emozioni eccessive, che ogni scelta provoca in questi bambini, uno dei motivi del loro notevole disagio sta nella difficoltà nell’elaborare rapidamente, tra le varie proposte, quella più appetibile. D’altra parte questa difficoltà è presente anche in tutte le persone ansiose le quali, quando sono costrette a scegliere tra varie opzioni, a volte si bloccano.

3) Provano disagio per ogni contatto fisico.

Un altro motivo di disagio nasce in questi bambini dai frequenti bisogni di contatti fisici che hanno i soggetti normali, i quali amano baciarsi, abbracciarsi, accarezzarsi. Contatti che invece questi bambini non desiderano, poiché procurano loro una notevole ansia:

Dice Morello:

Ancora per me è mistero il perché si stringono le mani quando ci si incontra. Saluto pragmatico, nella mia idea, non con estranei farei, ma solo con persone che mi piacciono. Mani e ansia per me si collegano, perché quando mi agito, le mie mani tremano di più.[32]

4) Hanno difficoltà ad affrontare gli imprevisti.

Un altro motivo di disagio che questi bambini devono affrontare, nel rapporto con gli altri, nasce dalla notevole difficoltà che essi hanno a sostenere gli imprevisti, i quali, in realtà, sono difficili per tutti, ma lo sono maggiormente per le persone anziane, per i bambini piccoli, per le persone poco mature o che presentano problematiche psicologiche. Tale difficoltà è accentuata e procura molta sofferenza ai bambini con disturbi autistici. È allora necessario che i genitori e gli altri adulti che seguono questi bambini evitino per quanto possibile di metterli in situazioni per loro molto difficili da affrontare.

5) Provano ansia nel comunicare verbalmente.

Un altro motivo di malessere nel rapporto con gli altri deriva dalla difficoltà che questi bambini presentano, quando sono costretti a dialogare. In siffatti casi l’ansia e le paure aumentano notevolmente, tanto che le loro risposte non sempre sono adeguate e coerenti. La conseguenza di ciò è che il dialogo verbale, piuttosto che procurare reciproco piacere e gioia, diventa frustrante per entrambi gli interlocutori, ma soprattutto per i bambini con sintomi di autismo, poiché nel dialogare con gli altri essi sono investiti da forti e dolorose emozioni dovute, a volte, alla presenza di un intenso timore del giudizio altrui, probabilmente a causa dell’immaturità e fragilità della propria personalità.[33]

6) Non sopportano le continue ed incessanti richieste da parte degli altri.

Questi bambini non sopportano le continue richieste che provengono dagli adulti. Questi, proprio per il ruolo che rappresentano, non smetterebbero mai di consigliare, incoraggiare, ma anche richiamare e rimproverare, allo scopo di educare questi bambini ad avere degli atteggiamenti e dei comportamenti più civili, educati ed adeguati alle varie circostanze. In altri casi gli interventi degli adulti sono motivati dalla necessità di strappare questi minori dalla condizione di chiusura nella quale essi s’immergono per farli rientrare nella realtà. Purtroppo questi e altri simili interventi, mettono in difficoltà questi bambini e li stimolano a chiudersi ancor più in se stessi. Come dice Morello: ‹‹In giro sto sempre bene nessuno dice comandi da fare, da dire; (…) cammino assieme tra gente sospesa su se stessa che a me non bada››.[34] E poi: ‹‹Non chiedetemi di fare, non chiedetemi di dire, non guardatemi strano, io crollo dentro il mio hotel di niente››.[35]

7) Per questi bambini è arduo capire i pensieri e le emozioni degli altri.

Un altro problema nasce in loro quando provano, senza riuscirci, a capire i pensieri degli altri, ma soprattutto quello che sta dietro i pensieri: le emozioni.

Dice la Williams:

Potevo capire le azioni di un’altra persona, particolarmente quand’erano “estreme” ma mi trovavo in difficoltà ad interagire con “tutta la gente” con le loro motivazioni e le loro aspettative, particolarmente se avevano a che fare col dare e col ricevere.[36]

In sintesi possiamo dire che il tenersi lontani dai soggetti normali è causato non solo da una loro difficoltà empatica ma anche e soprattutto dal notevole disagio, che essi provano ogni qualvolta sono costretti a rapportarsi con gli altri esseri umani, siano essi minori o adulti. In definitiva, ai loro occhi, uno dei loro principali problemi siamo noi “normali”.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "Bambini da liberare - Una sfida all'autismo".

Per scaricare tutto il libro clicca qui. .

 

 

 

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[1] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 30

[2] Decety J. (2012), “La forza dell’empatia”, in Mente e Cervello, n. 89, maggio, p. 29.

[3] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Giunti, Firenze, p. 35.

[4] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, pp. 167-168.

[5] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 15.

[6] Oliverio A. (2014), “Il contributo delle neuroscienze”, in Famiglia oggi, n.3, p. 22 - 23.

[7] Oliverio A. (2014), “Il contributo delle neuroscienze”, in Famiglia oggi, n.3, p. 23.

[8] Roganti D. Ricci Bitti P.E. (2011), “Emozioni allo specchio: i neuroni dell’empatia”, in Psicologia contemporanea, novembre – dicembre, p. 54.

[9] Aglioti S.M., Avenanti A., (2006), “Empatia e imitazioni”, in Mente e cervello, settembre – ottobre, p. 82.

[10] Decety J. (2012), “La forza dell’empatia”, in Mente e Cervello, maggio, n. 89, p. 29.

[11] Roganti D. Ricci Bitti P.E. (2011), “Emozioni allo specchio: i neuroni dell’empatia”, in Psicologia contemporanea, novembre – dicembre, p. 54.

[12] Roganti D. Ricci Bitti P.E. (2011), “Emozioni allo specchio: i neuroni dell’empatia”, in Psicologia contemporanea, novembre – dicembre, p. 55.

[13] Decety J. (2012), “La forza dell’empatia”, in Mente e Cervello, n. 89, maggio, p. 33.

[14] Roganti D. Ricci Bitti P.E. (2011), “Emozioni allo specchio: i neuroni dell’empatia”, in Psicologia contemporanea, novembre – dicembre, p. 57,

[15] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 79.

[16] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 33.

[17] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 218.

[18] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 62,

[19] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 46.

[20] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 62-63.

[21] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 62-63.

[22] Notbohm E. (2015), 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi, Trento, Erikson, p. 62-63.

[23] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, pp. 65-66.

[24] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 41.

[25] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore,

[26] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 177

[27] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 77.

[28] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 33.

[29] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 204.

[30] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 205.

[31] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, pp. 217-218.

[32] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 159.

[33] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 218.

[34] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 14.

[35] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 57.

[36] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 37.

Pensiero, comunicazione e linguaggio nell'autismo

 

 

Pensiero, comunicazione e linguaggio

nell'autismo

 Autore: Emidio Tribulato

 

Il pensiero e l’ideazione

I gravi disturbi delle emozioni, dei sentimenti e delle sensazioni possono provocare nei bambini con disturbi autistici delle alterazioni a livello del pensiero e dell’ideazione. Per Franciosi: “Stati emotivi intensi che superano la finestra di tolleranza personale possono generare pensieri e comportamenti disorganizzati”.[1]

 Quando l’ansia si presenta in maniera molto intensa e brutale, con frequenti attacchi di panico ed è accompagnata da paure irrazionali, da una sensazione di generico malessere e, a volte, da vertigini, sudorazioni e palpitazioni cardiache, essa ha degli effetti paralizzanti sui soggetti colpiti e produce confusione.[2]

 

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In questa sezione troverai molti articoli riguardanti questa patologia.

 

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