INFANZIA E ADOLESCENZA

Latest Tips & Tricks About Baby Care

Credibly benchmark worldwide applications before a plug play processes dramatically.

La tecnica del Gioco Libero Autogestito nel Disturbo Autistico

 

Uno degli elementi fondamentali per un'infanzia soddisfacente e ricca è la possibilità di giocare. Il gioco è forse l'elemento comune, più importante e frequente, tra gli animali superiori. Vi è, inoltre, un rapporto diretto tra sviluppo psicoaffettivo, intellettivo e cognitivo dell'essere vivente e l'attitudine a giocare. Gli animali inferiori, che hanno istinti ereditari già prefissati, non giocano affatto. I loro piccoli si comportano come gli adulti fin dall’inizio della loro esistenza e, pertanto, il patrimonio della specie non ha ulteriori sviluppi.

LE FUNZIONI DEL GIOCO PER IL BAMBINO

 

 

Le capacità degli animali superiori sono in relazione alla quantità e alla durata che essi dedicano al gioco. In quanto è attraverso questa attività che essi acquisiscono sempre di più esperienze. Il piccolo agnello gioca poco, il gattino molto di più, gli scimpanzé giocano anche da adulti, ma nessuno ha la capacità di giocare con tanta continuità ed assiduità come il piccolo dell’uomo.[1]  Ma anche l'adulto, uomo o donna che sia, non riesce a fare a meno del gioco in alcuni momenti della giornata. Quest’attività gli permette alcuni necessari e indispensabili momenti di scambio, evasione, rilassamento, piacere e gioia. Per il bambino il gioco rappresenta la strada maestra per la sua crescita, in quanto quest’attività è:

•       Piacere. Il bambino gode di tutte le esperienze fisiche e affettive vissute durante il gioco.

•       Strumento di esplorazione e conoscenza. Del proprio corpo e del corpo degli altri, degli oggetti inanimati, del mondo che lo circonda e della natura. Il gioco è anche esplorazione e conoscenza delle emozioni e dei sentimenti.

•       Stimolo allo sviluppo motorio e intellettivo. Mediante il gioco il bambino stimola e sviluppa il pensiero, il linguaggio, la progettualità, l’agilità, la forza, la memoria, la coordinazione occhio - mano, la spazialità.

•       Veicolo privilegiato di comunicazione e socializzazione. Con il gioco i piccoli ampliano i contesti delle loro relazioni e  apprendono a comunicare più efficacemente con gli altri. Comprendendo il punto di vista di chi hanno di fronte diventano consapevoli dei loro sentimenti e bisogni. Mediante il gioco imparano l’importanza delle regole e la loro accettazione,  ampliano i primi scambi sociali con gli adulti.

•       Mezzo per lo sviluppo della creatività e della fantasia. Mediante oggetti semplicissimi: qualche legnetto, poche pietre, un po’ di fango, oppure mediante una matita e qualche foglio uniti a tanta immaginazione e inventiva, il bambino riesce a costruire mille favole e infinite storie, nelle quali si muovono eroi e principesse, draghi e macchine volanti, robot e armi spaziali.

•       Mezzo per il contatto e il controllo delle proprie emozioni. Giocando con gli altri coetanei e adulti il bambino riconosce la gioia della vittoria, il sapore bruciante della sconfitta, il calore dell’amicizia, dell’affetto e dell’amore. Impara ad affrontare i piccoli contrasti e le tensioni che si avvertano nel rapporto con se stessi e con il prossimo. L’attività ludica ‹‹allorché assume la veste di gioco simbolico, drammatico, di ruolo e di finzione assolve, attraverso rituali iterativi e meccanismi di identificazione e di proiezione, ad una preziosa funzione liberatoria e terapeutica, esorcizzando paure e angosce liquidando impulsi aggressivi, distruttivi e vissuti di ostilità››.[2] 

•       Palestra per l’autonomia personale e sociale. È anche mediante il gioco che il bambino acquista fiducia in se stesso e negli altri. Impara, quindi, a fare a meno dell’aiuto e del supporto continuo dei genitori nei suoi bisogni quotidiani.

•       Occasione per la sua formazione morale e civile. Nel gioco di gruppo, governato da regole fisse e cogenti, il soggetto impara a osservare le norme e a improntare il proprio comportamento a principi di lealtà, correttezza e rispetto per l’avversario; apprende a testimoniare atteggiamenti di fedeltà al proprio gruppo o banda; riconosce l’importanza dell’avvicendamento, della cooperazione, della distribuzione dei compiti e della turnazione. Tutte queste acquisizioni confluiscono alla sua formazione di uomo e di cittadino.

•       Occasione per rafforzare la sua volontà. Molti giochi di pazienza, di costruzione, competitivi, di squadra, rafforzano la volontà, plasmano il carattere, servono anche ad instaurare un progressivo controllo sulle proprie emozioni e pulsioni.

•       Opportunità per mettersi in contatto con la natura. Il rapporto diretto con la natura è fondamentale nello sviluppo dei minori, come degli adulti. Per milioni di anni l’essere umano si è sviluppato attraverso il contatto con i fiori e i frutti delle piante, con la vivacità e l’amore degli animali, con le acque dei fiumi e dei ruscelli.

 I vari tipi di giochi

I primi giochi del bambino, che sono poi giochi di esplorazione della realtà nella quale si trova immerso, sono instaurati con la madre e con il proprio corpo. Quando la mamma lo nutre egli tocca e stringe il seno di lei e, successivamente, il viso e i capelli. Più tardi egli giocherà con le proprie mani e con i propri piedi.

Mediante i giochi sensomotori o giochi – esercizio, il bambino perfeziona i movimenti, i gesti, costruisce gli schemi motori.

Mediante l’imitazione dei suoni, della mimica facciale, e poi delle parole, impara a riconoscere e ad esprimere le emozioni. Gli aspetti presenti nel gioco possono essere quindi di vario tipo.

Diffusissimi i giochi nei quali i bambini sono stimolati a costruire qualcosa (giochi di costruzione) o quelli nei quali si cimentano e si confrontano con i loro coetanei ma anche con i genitori e gli adulti. Giochi, questi, nei quali bisogna utilizzare l'attenzione, la bravura, l'agilità e le conoscenze (giochi di abilità).

Quando imitano la mamma ed il papà nei loro lavori di casa o nelle loro attività professionali, siamo in presenza di un gioco imitativo o di un gioco sociale. In questi giochi i bambini sperimentano azioni, emozioni e comportamenti di persone, situazioni e ruoli. Pensiamo ad una bambina che chiede alla mamma una pezzuola per spolverare la casa o a un bambino che apre la scatola degli attrezzi di papà per aggiustare le porte di casa. È un gioco sociale anche quello effettuato da due amichette che si ritrovano insieme per vestire i loro “figli” e poi preparano a questi un buon pranzetto, prima di  portarli a passeggio o a letto dopo averli cullati a lungo. Con tali giochi il bambino sviluppa le capacità sociali ed empatiche che gli permettono di mettersi nella prospettiva dell’altro. In quei momenti egli sente come propri il potere degli adulti e le loro numerose doti, mentre nel contempo acquisisce e perfeziona le norme che regolano la condotta umana.

 

 

Se dopo aver visto un film o un cartone animato un bambino si arma di spada e scudo spaziale ed è pronto a lottare con il suo amichetto per salvare il mondo, siamo, invece, in presenza di un gioco rappresentativo.

Quando un bambino piccolo e fragile si finge un forte adulto, così da correggere la realtà, modificandola in funzione dei suoi desideri, siamo in presenza di un gioco compensativo. Vi sono poi i giochi che hanno la funzione di eliminare le esperienze penose o inquietanti, di compensare le frustrazioni rivivendole per mezzo della finzione (giochi funzionali).

Nei giochi il bambino può attuare tutto quello che non può fare nella realtà, ed il mondo dei giochi diventa una specie di rifugio dalla continue esigenze del mondo esterno, al quale potrà tornare più disteso.[3]  Ma i giochi non sono soltanto imitazione. Quando copia la mamma che cucina, cuce, fa la spesa, cura i piccoli, non solo imita la propria madre o le madri in generale, ma sperimenta nuove modalità di comportamenti ed atteggiamenti filtrati dalla sua personalità e dai bisogni individuali del momento che sta vivendo. In altri giochi è la fantasia ad essere utilizzata e messa in primo piano per costruire fortezze e castelli nei quali vivono fate, re, regine e draghi, ma anche eroi pronti a salvare i più deboli e indifesi (giochi immaginativi). Per finire, i bambini sono attratti anche dai giochi didattici nei quali è predominante il piacere di imparare.

Nello spazio di due ore il bambino di due anni e mezzo partecipa in media a sei-sette situazioni immaginarie.

 Importanza del “Gioco Libero Autogestito”

I giochi, come sappiamo, possono essere:

1.     Guidati. In questo caso i genitori, gli insegnanti o altri  adulti, in base agli obiettivi che si propongono, utilizzando strumenti e metodologie particolari guidano il gioco dei bambini così da ottenere determinati risultati.

2.     Liberi. In questo caso i bambini sono totalmente indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono soltanto delle norme e delle regole che essi stessi si danno giorno per giorno, momento per momento.

 

 

gioco libero

3.     Autogestiti. I giochi possono essere gestiti da tutti i partecipanti all’attività o da uno solo di essi (gioco autogestito). In quest’ultima modalità è solo il bambino interessato alla terapia a condurre il gioco. Pertanto, quando egli coinvolge l’adulto o il terapeuta, compito di questi è solo quello di comprensione, aiuto e supporto ai suoi bisogni del momento.

Per quanto riguarda i bambini con Disturbo Autistico sono nettamente da preferire i giochi liberi  e autogestiti, in quanto solo questo tipo di giochi  permette loro di utilizzare questo primario strumento formativo, tenendo conto delle personali preferenze e degli individuali bisogni del momento. Bisogni che il terapeuta non dovrà mai criticare o mettere in discussione, tranne che non comportino un reale pericolo per l’incolumità del bambino o di altre persone. In definitiva, nella tecnica del “Gioco Libero Autogestito” è lui, il bambino gravemente disturbato, il vero leader, mentre il terapeuta assume il difficile ruolo di gregario.

GIOCO LIBERO AUTOGESTITO

Ciò ci permette di raggiungere  due fondamentali obiettivi:

  1. una maggiore serenità interiore;
  2. una maggiore fiducia negli altri, nel mondo e in se stessi.

Nel momento in cui saremo riusciti a raggiungere, anche solo in parte, questi due obiettivi vedremo migliorare nettamente tutto il corollario di sintomi presenti nel bambino con Disturbo Autistico.

Per poter fare ciò  è necessario mettere il piccolo al riparo da ogni intrusione. Ogni intervento esterno rischia, infatti, di accentuare o stabilizzare la sua ansia interiore ed il suo malessere, piuttosto che alleviarlo, in quanto, come abbiamo detto, i bambini con Disturbo Autistico sono estremamente sensibili alle frustrazioni e spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno, verso il quale nutrono una notevole diffidenza e reattività.

 

Pertanto ogni iniziativa del terapeuta, anche la più lodevole, che però non è stata da questi bambini richiesta e voluta in quel momento, viene vista come un’ulteriore violenza da parte del mondo esterno e ciò non fa altro che riacutizzare le loro paure e ansie, con conseguente accentuazione della diffidenza e conseguente messa in atto di ulteriori difese nei confronti degli altri e del mondo. 

Inoltre se è il terapeuta a scegliere l’attività da proporre al bambino, data l’estrema varietà e complessità dei vissuti interiori presenti nella psiche di lui, è molto facile che sbagli e, sbagliando, non solo non migliorerà la condizione del bambino, ma correrà il rischio di accentuarla. Se, invece, lasciamo a quest’ultimo la scelta dell’attività o del gioco da effettuare, la possibilità di commettere questi errori si annulla e, nel contempo, si mette il bambino in una condizione di piena autonomia e libertà, condizione, questa, che gli permette di essere soggetto attivo del suo cambiamento e non più soggetto passivo.

Per evitare, quindi, di peggiorare questo loro mondo interiore e il difficile rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani, il terapeuta si limiterà soltanto a collaborare alle attività del bambino e ai suoi giochi, anche se questi possono sembrare ripetitivi, inutili, sciocchi o peggio crudeli.

 Le difficoltà nell’attuare il “Gioco Libero Autogestito”

Le maggiori difficoltà nell’attuare la terapia del “Gioco Libero Autogestito” non risiedono nel bambino ma nell’adulto: non importa se genitore, insegnante, psicologo o medico.

È l’adulto, purtroppo, che tende a giudicare il bambino come un essere il quale, essendo per definizione immaturo e con scarse conoscenze, non solo non è in grado di capire il suo stato fisico e psichico ed i suoi problemi, ma soprattutto non è in grado di aiutare se stesso, mentre la persona adulta, essendo più ricca di cultura e conoscenze, sa cosa va bene per ogni bambino, in ogni momento della vita di lui. L’adulto pensa di sapere sempre cosa è utile al bambino e cosa gli è dannoso, per cui erroneamente desume che il suo compito e ruolo non possono prescindere dall’indirizzare ed educare ogni minore con il quale si rapporta. Se poi il bambino è gravemente disturbato non vi è alcun dubbio: solo un adulto e per giunta molto colto e preparato, può conoscere ciò che al bambino è utile, ciò che lo farà stare bene, ciò che risolverà i suoi problemi.

Nei rapporti con i bambini che presentano Disturbo Autistico questo atteggiamento e questa presunzione sono assolutamente errati, in quanto le conoscenze che ha l’adulto, anche se molto preparato, della vita intima di un bambino sono molto scarse e incomplete. Già per l’adulto è difficile conoscere le emozioni, le paure ed i bisogni che si agitano, in alcuni momenti e periodi della vita dentro l’animo di un bambino “normale”, in quanto le capacità dei piccoli di tradurre in parole i loro stati d’animo sono molto scarse e limitate. A maggior ragione è estremamente difficile e quasi impossibile, per l’adulto conoscere quello che si agita dentro l’animo di un bambino affetto da un grave disturbo psichico.

E ciò per vari motivi:

1.     La sua visione di adulto, le sue informazioni, ma anche i suoi bisogni personali del momento, collaborano a deformare l’immagine della realtà presente nella vita intima di questi bambini, impedendogli di vedere al di là delle proprie conoscenze razionali e dei propri canoni.

2.     Le numerose emozioni presenti in ogni momento nella psiche di questi bambini sono talmente lontane dalla realtà vissuta quotidianamente dagli adulti, sono tanto intense, mutevoli e spesso anche tanto confuse e contraddittorie, da risultare, per gli adulti, come dei rebus di difficile, se non impossibile soluzione.

3.     Non è infrequente, inoltre, constatare che gli adulti vogliono vedere nel bambino ciò che preferiscono o ciò che in quel momento è per loro più conveniente. Per cui, ad esempio, un bambino che soffre, in quanto ha dovuto subire giornalmente le influenze negative dei disturbi psicologici dei genitori, la loro scarsa e saltuaria presenza affettiva e relazionale o peggio i loro conflitti, le aggressioni reciproche, il loro allontanamento,  diventa un bambino aggressivo, capriccioso o scioccamente geloso, bisognoso soltanto di essere messo in riga con sacrosanti rimproveri e castighi. Per non parlare dell’altro escamotage, oggi così diffuso nel mondo degli adulti, che è quello di vedere, nei bambini che presentano dei disturbi psicoaffettivi, una serie di deficit da correggere, piuttosto che da capire. Pertanto se il bambino manifesta instabilità, tristezza, disturbi del comportamento, chiusura, difficoltà nella comunicazione, la causa è sicuramente da ricercarsi in qualche gene difettoso o in un misterioso disturbo psico-neuro-biologico. Di conseguenza, questo bambino ha bisogno solo di assistenza, educazione o “rieducazione" da parte di qualche servizio, generosamente reso disponibile dalle ASP o dai privati.

Facciamo qualche esempio di quanto abbiamo detto:

Lui non ci guarda direttamente negli occhi, non accetta la nostra vicinanza fisica, né tantomeno sopporta l’essere abbracciato. Questo suo comportamento ci umilia, ci confonde, ce lo fa sentire lontano, per cui cerchiamo di fare la cosa che ci sembra più giusta e corretta: ci impegniamo a farci guardare interpellandolo continuamente o mettendoci davanti a lui chiedendogli direttamente di guardarci negli occhi quando desidera qualcosa. Allo steso modo cerchiamo di superare le sue ritrosie nell’abbracciarci, stringendolo di più a noi.

Per l’adulto che si pone in funzione educativa è difficile capire ed è ancora più difficile accettare che il bambino con Disturbo  Autistico non ci guarda in quanto il suo animo è sconvolto da infernali emozioni, da ansie, paure e tensioni inaudite. È difficile capire e accettare che dentro di lui vi è l’angosciosa sensazione che il mondo, le persone che lo popolano, ma anche gli oggetti siano la causa del suo malessere e siano là, ancora pronti a continuare a fargli del male. Per cui a questo bambino, pervaso e scosso dall’angoscia e dalle paure, è impossibile guardare negli occhi, sorridere ed abbracciare chi ritiene gli abbia fatto e gli continua a fare dei torti gravissimi.

Lui non parla, ma noi vogliamo che comunichi e dialoghi con noi e questo ci spinge a fare di tutto per insegnargli il linguaggio. Lo stimoliamo a ripetere le nostre parole, non gli diamo qualcosa a cui lui tiene se non lo chiede verbalmente, lo portiamo due,  tre volte la settimana ad effettuare logoterapia, ma abbiamo difficoltà a pensare, a capire e ad accettare che in realtà lui non ha alcun bisogno che qualcuno gli insegni a parlare. Se potesse esprimere i propri desideri, ci chiederebbe soltanto di allontanare dalla sua mente e dal suo animo le nere, paurose angosce che lo disturbano. Ci chiederebbe soltanto di fargli avere un pizzico di serenità in più, un po’ più di gioia, maggiore senso di sicurezza e fiducia nel mondo ed in se stesso, maggiore equilibrio e chiarezza interiore. Perché solo dopo queste premesse, le sue parole sarebbero pronte a sgorgare dalle sue labbra e dal suo cuore.

Se parla, ma ripete in modo sgrammaticato le frasi che ha udito dalla mamma o da altri adulti, come trattenersi dal correggerlo e dal cercare di fargli pronunziare le frasi in modo corretto? Anche in questo caso è difficile accettare che quel suo strano modo di parlare in terza persona è uno dei tanti segnali che evidenziano la presenza in lui di un Io ancora molto immaturo e notevolmente disturbato.

Se ride quando non dovrebbe e in modo improprio, come non cercare di correggerlo affinché manifesti la sua allegria nei modi corretti e nei momenti opportuni? certamente gli adulti si comporterebbero diversamente se capissero che quel suo atteggiare i muscoli facciali al riso e al sorriso, indipendentemente dalle situazioni esterne ed interne, è il modo migliore che il bambino ha trovato per diminuire, almeno momentaneamente e parzialmente, la sua ansia e, nello stesso tempo, farsi più facilmente accettare dagli altri.

Noi non vogliamo che faccia gesti e comportamenti ripetitivi, che ci mettono in imbarazzo ed in difficoltà davanti agli amici ed ai parenti e allora lo preghiamo, lo minacciamo, lo puniamo, lo blocchiamo, affinché smetta di compiere quei movimenti inutili, sempre uguali che ci esasperano come operatori e che ci umiliano come genitori. Eppure, almeno in questo caso, non dovrebbe essere difficile capire che questi movimenti ripetuti sono, in fondo, il miglior sistema che egli è riuscito a trovare per non essere sommerso dall’angoscia e per proteggersi dalle paure, così da trovare un minimo di serenità interiore.

Noi non vogliamo che faccia del male e tantomeno possiamo tollerare che si faccia del male. Quale genitore, quale insegnante o adulto può rimanere indifferente davanti ad un bambino che sbatte la testa sul muro, che si dà pugni sul viso o sul corpo, che si lacera la pelle con le unghie, che si morde le dita. In questi casi cosa c’è di più logico e umano che intervenire in tutti i modi possibili, anche bloccandolo fisicamente, affinché smetta questo suo comportamento, togliendogli le mani dal viso o dalle braccia per evitare che si graffi o allontanandolo dalla parete su cui sbatte il capo? Allo stesso modo non vogliamo che si comporti in modo sadico e crudele verso le povere, innocenti bambole sbattendole a terra, così come inorridiamo quando aggredisce gli altri bambini e gli altri adulti, anche per futili motivi. In tutti questi casi ci sembra logico e naturale rimproverarlo aspramente e punirlo severamente, oppure nel momento in cui riusciamo a contenere la sua e la nostra rabbia, dirgli e fargli capire in maniera dolce e delicata che questi gesti non si fanno, che non è bello, che non è giusto, che i bambini buoni ed educati non fanno queste cose. Purtroppo, però, l’aggressività continuerà a persistere o si accentuerà, fino a quando non troverà qualcuno che, rispettando fino in fondo i suoi stati d’animo ed i suoi bisogni interiori, gli permetterà di esprimere sotto forma di gioco l’aggressività che come un fuoco interiore lo pervade e lo sconvolge.

Noi vogliamo che socializzi con gli altri bambini della sua età. È così bello vedere dei bambini che giocano e ridono insieme! È così bello vedere dei bambini che imparano dal rapporto con altri coetanei il rispetto reciproco. È così triste vedere il nostro bambino seduto in un angolo della casa in compagnia soltanto di una rotellina da far girare per ore! E allora il più presto possibile, anche prima dei tre-quattro anni lo inseriamo  in un asilo nella speranza che il rapporto con altri suoi coetanei lo stimoli ad aprirsi al gioco e alla relazione. Per quanto riguarda, poi, i bambini affetti da problematiche psicoaffettive essi, già provati e affettivamente traumatizzati, rischiano di aggravare la loro condizione in quanto, il legame difficile, patologico, scarso o assente con i loro genitori può peggiorare a causa dell’ulteriore sofferenza e frustrazione dovuta all’inserimento in un asilo nido.

Purtroppo i risultati sono raramente positivi in quanto questo ambiente troppo rumoroso e ricco di stimoli piuttosto che rasserenarlo spaventa il bambino e lo sconvolge ancora di più. Ed inoltre si rischia di aggiungere alle esperienze negative che abbiamo descritto precedentemente: di non essere ben capito, accettato e curato da parte dei suoi genitori o della sua famiglia, una nuova e traumatizzante esperienza. Infatti, per un bambino che già vive tormentato dalle ansie, dalle paure, dai conflitti e dalle tristezze, acquista un significato ben preciso di segno negativo, l’essere allontanato dal suo ambiente naturale, dalla casa, dalla stanza e dagli oggetti che gli procurano un minimo di serenità, per essere inserito, senza tener assolutamente conto dei suoi bisogni, in un luogo sconosciuto, con altri bambini e altri adulti altrettanto sconosciuti, i quali non sono in grado di mitigare i suoi problemi, le sue ansie e le sue paure. Ai suoi occhi e al suo cuore questo comportamento dei genitori conferma la sensazione di non essere un bambino buono, bravo, desiderato e degno di amore. Pertanto la necessità di allontanarlo dalla sua famiglia può assurgere ai suoi occhi al valore di una punizione per i suoi pensieri negativi o i suoi comportamenti di bambino “cattivo”.

Per non parlare delle attività didattiche. Se ha tre  quattro anni il nostro impegno didattico si concentrerà su tutte le attività che possono preparare le sue mani e la sua mente al grafismo, alla lettura, alle quantità e numeri, alle relazioni spazio temporali e così via. Se ha compiuto cinque – sei anni, ci sentiamo responsabilmente impegnati affinché apprenda la tecnica della lettura, della scrittura e dell’aritmetica. Così come ci sembra importante che conosca alcuni degli argomenti studiati nella sua classe di appartenenza.  In questo caso siamo molto lontani dal capire che i suoi problemi veri non stanno in un libro da leggere o in un quaderno su cui scrivere. I suoi problemi veri sono dentro il suo animo sconvolto. Per cui il saper leggere, scrivere e far di conto, non solo non gli è di alcuna utilità, ma lo stress dovuto alla necessità di affrontare gli apprendimenti, per giunta in un luogo sconosciuto, come la scuola, troppo ricco di stimoli da fronteggiare ma anche troppo frustrante per un bambino che ha notevoli difficoltà a rapportarsi con gli altri, non farà altro che accentuare il suo malessere.

Come operare in un setting di “Gioco Libero Autogestito”

1.     Approfondiamo la sua storia personale e familiare.

Spesso l’esame di un bambino affetto da autismo appare più un elenco di comportamenti strani e inusuali che non un esame della realtà di questi piccoli esseri umani e dell’ambiente dove essi hanno vissuto e vivono. L’esame della sua realtà interiore e dell’ambiente di vita è, invece, essenziale, in quanto ci permette di approfondire tutti gli aspetti della sua vita familiare, personale e relazionale. Solo conoscendo tutto ciò sarà possibile capire che cosa ha contribuito al suo grave malessere psicologico attuale, che cosa lo tiene ancora attivo e quali modifiche è possibile apportare a questo ambiente, così da renderlo adeguato ai suoi bisogni.

2.     Cerchiamo di rendere consapevoli i familiari, gli insegnanti ed i vari operatori, che il bambino che hanno di fronte a loro è un bambino che soffre notevolmente.

Abbiamo detto più volte che la sofferenza del bambino, anche se nascosta, pervade il suo animo fin nelle più intime fibre. È una sofferenza fatta di paure, di ansie, di conflitti, di insicurezze, di impulsi contrastanti a volte aggressivi altre volte teneri e passivi. È una sofferenza fatta di rabbia, sospetto, sfiducia negli altri e nel mondo e in se stessi. È, pertanto, indispensabile che gli adulti che per qualunque motivo si rapportano con lui abbiano la consapevolezza di questa sua sofferenza così che ogni loro azione si prefigga lo scopo di diminuirla e mai di accentuarla o esacerbarla.

3.     Aiutiamo i genitori a superare i sensi di colpa

Questo approccio terapeutico inevitabilmente presuppone la consapevolezza che in qualche momento della vita del bambino le persone a lui più vicine hanno assunto dei comportamenti e degli atteggiamenti non idonei al suo benessere interiore. Accettare di aver commesso degli errori non deve però comportare sensi di colpa, i quali possono bloccare e limitare il nuovo approccio relazionale che i genitori ed i familiari saranno stimolati ed aiutati ad avere nei confronti del bambino.

Per limitare o diminuire i sensi di colpa può essere importante la consapevolezza e la certezza che quasi tutti gli errori dei genitori e dei familiari non sono quasi mai voluti, in quanto è raro che un genitore voglia coscientemente far del male al proprio bambino. Buona parte di questi errori sono dovuti a caratteristiche di personalità che, volente o nolente, hanno la capacità di influenzare in modo negativo l’approccio nei confronti del piccolo. D’altra parte bisogna anche considerare la difficoltà di essere genitori in un ambiente sociale, come quello odierno, che confonde al posto di chiarire, che influenza negativamente al posto di aiutare, che provoca contrasti e disunione al posto di creare armonia e unione.

4.     Riscopriamo il bambino che è in noi.

Riscoprire il bambino che vive dentro l’animo di ogni adulto, ci aiuterà a capire meglio la realtà infantile. Il ricordare ed il ripensare alle piccole gioie della nostra infanzia, al piacere che provavamo per le piccole conquiste e per i gesti degli adulti che arricchivano di serenità, sicurezza e gioia il nostro cuore, così come il riscoprire le nostre paure infantili, le tante delusioni subìte, gli insoliti dispiaceri, i facili momenti di collera e rabbia, tutti questi ricordi saranno importanti nel suggerirci, durante la terapia, gli atteggiamenti più giusti e le parole più adatte dà usare con il nostro piccolo paziente.

5.     Rispettiamo il suo spazio.

Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, abbiamo il dovere di limitare al minimo l’impatto che potrebbe avere nel loro animo la presenza fisica del terapeuta, che non deve in nessun momento essere avvertita come invasiva o coartante.

Inizialmente il posto migliore che possiamo scegliere è quello più lontano da lui. E lì, con animo sereno, disponibile e fiducioso, aspettare. Nel momento in cui noteremo che ha meno paura, meno diffidenza, più fiducia, potremo diminuire questa distanza iniziale avvicinandoci a lui per collaborare ai suoi giochi del momento. Se però temiamo di essere inopportuni, possiamo aspettare che sia lui ad avvicinarsi a noi. Abbiamo notato che, almeno inizialmente, questi bambini fanno ciò mediante dei contatti apparentemente casuali o mediati da un oggetto o da un gioco, mentre successivamente, il desiderio di una maggiore vicinanza fisica e di un contatto, sarà espresso più direttamente.

6.     Parliamo poco.

Questi bambini non amano le parole, ma una vicinanza affettuosa e rispettosa. Evitiamo quindi di sommergerli di parole nella speranza che, ascoltando le nostre parole e frasi ripetute più volte possano imparare a parlare bene o a parlare,  se ancora non hanno acquisito il linguaggio verbale.

Il bambino con Disturbo Autistico non ha bisogno che qualcuno gli insegni a parlare ma di qualcuno che gli faccia avere fiducia negli altri così da indurlo a volere comunicare. Egli ha bisogno anche di qualcuno che lo liberi dalle gravi paure e dall’intensa ansia interiore così che abbia la possibilità di elaborare suoni, immagini e parole che gli permettano di dialogare.

7.     Giochiamo ai suoi giochi.

Mettiamoci nella condizione d’animo di assistere e accompagnare con piacere e gioia il bambino di cui ci occupiamo nel gioco da lui voluto e scelto in quel momento, per il tempo che lui desidera e con le modalità da lui scelte. Impariamo, quindi, a partecipare ai suoi giochi essendo noi terapeuti i gregari e lui, il piccolo paziente, l’incontrastato leader. Il motivo di questo inusuale approccio sta nel fatto che questi bambini spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno, in quanto sono estremamente diffidenti e reattivi nei confronti degli altri esseri umani. Pertanto ogni nostra iniziativa li blocca, li disturba, li mette in ansia o peggio fa aumentare di molto la loro ansia e le loro paure che già sono a livelli altissimi. Per evitare, quindi, di aggravare il loro mondo interiore e il difficile rapporto che essi hanno nei confronti degli altri, limitiamoci soltanto a collaborare attivamente ai loro giochi, anche se possono sembrarci ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio, crudeli e perversi.

 Nel Gioco Libero Autogestito

 

 

 

 

Evitiamo, quindi, di proporre le nostre attività e  i nostri giochi, anche se questi, a nostro parere, ci sembrano più intelligenti, più utili, più ricchi di valenze educative e costruttive, più interessanti e vari. Purtroppo la nostra esperienza continuamente ci conferma che all’animo e alla sensibilità di questi bambini, le nostre proposte di gioco, se non esplicitamente richieste, rischiano di confermare la nostra incapacità di essere rispettosi verso di loro e la nostra difficoltà nel capirli e accettarli pienamente.

Per essere ancora più espliciti e chiari, se il gioco del bambino che stiamo seguendo in quel momento consiste nel lanciare in aria i giocattoli, per poi calpestarli quando sono a terra, aiutiamolo con gioia e piacere reciproco a sfogare così la sua rabbia e il suo bisogno aggressivo e distruttivo, porgendogli i giocattoli da buttare in aria e calpestare e, perché no, facciamolo anche noi ridendo insieme a lui.

Se il suo gioco del momento è quello di mettere in ordine uno accanto all’altro tutti i giocattoli che trova, aiutiamolo porgendoglieli con gioia senza provare e tantomeno far trapelare il nostro disappunto per quell’attività così noiosa, ripetitiva e coattiva.

Se vediamo che egli colpisce con forza una bambola con una racchetta da tennis, non solo dobbiamo riuscire a non scandalizzarci per l’apparente crudeltà, ma dobbiamo aiutarlo ad esprimere al meglio la sua aggressività fornendogli, se possibile, altre bambole da colpire, così che possa pienamente sfogare la sua collera repressa. Se le vittime della sua aggressività e distruttività sono le scatole da infilzare con un tagliacarte forniamogli molti “nemici scatole” da infilzare.

In definitiva nel nostro rapporto con lui vi devono essere moltissimi “sì” e pochissimi “no”, in quanto questi bambini, almeno inizialmente, fino a quando non la fiducia negli altri e nel mondo non si è ristabilita, non sono bambini da educare ma da liberare. Liberare dalle loro paure, dalle loro angosce, liberare dall’aggressività, liberare dalla rabbia repressa e dai sensi di colpa.

8.     Mettiamo pochissimi limiti ai suoi giochi.

Spesso ci viene posta la domanda se vi devono essere dei limiti alla loro espressioni del “Gioco Libero Autogestito”. In realtà, nella nostra esperienza sono stati veramente pochi i “no” che abbiamo dovuto pronunciare e hanno riguardato soltanto l’uso di Internet mediante il quale alcuni bambini tendevano a visionare all’infinito gli stessi filmati estraniandosi, quindi, dalla relazione con il terapeuta, così come abbiamo dovuto bloccare ogni approccio di tipo chiaramente sessuale verso di noi o verso gli psicologi osservatori e, naturalmente, abbiamo evitato che qualche bambino ingerisse delle sostanze sicuramente dannose. Raramente siamo dovuti intervenire per scoraggiare un tipo di gioco o di attività che avrebbe comportato un reale e importante rischio per il bambino e per gli altri. Anche perché i comportamenti auto ed etero aggressivi scompaiono rapidamente, appena il bambino avverte una migliore comprensione dei suoi bisogni.

9.     Accettiamolo in maniera incondizionata.

 Per tale motivo non è importante quello che il bambino fa o non fa, ma come egli vive la realtà che lo circonda. Se la realtà attorno a lui è stressante e poco rispettosa dei suoi desideri si accentueranno i comportamenti di chiusura, l’auto ed etero aggressività e le stereotipie. Se egli invece vivrà con gioia l’ambiente e le persone attorno a lui e se avvertirà da queste persone un’accettazione incondizionata di ogni sua parola e di ogni suo gesto, si noterà un rapido instaurarsi di un legame affettivo solido e duraturo con il terapeuta e, contemporaneamente, saranno evidenti, come abbiamo potuto osservare in tutti i casi che abbiamo seguito nel tempo, le sue maggiori capacità comunicative, relazionali e comportamentali, non solo con il terapeuta ma anche nell’ambito familiare, sociale e scolastico. L’ipotesi che abbiamo fatto per spiegare questa realtà è che il legame forte e intenso che si stabilisce in questi casi con il terapeuta che utilizza questa metodologia, stimola il bambino che presenta DSA ad aprire una breccia nel muro di diffidenza e di sospetto che era stato costretto a costruire attorno a lui come difesa, e ciò gli permette di liberare, finalmente, tutte le energie dell’Io, indirizzandole verso la crescita affettivo – relazionale. 

10.   Rispettiamo i suoi tempi.

I bambini affetti da Disturbo Autistico sono diversi l’uno dall’altro per età, per composizione genetica, per i vissuti traumatici trascorsi. Sono diversi per il loro retroterra familiare, per la maggiore o minore gravità dei problemi presenti nella loro psiche. Non possiamo allora immaginare dei tempi che siano uguali per tutti. A ognuno di loro dobbiamo permettere che segua una sua strada, senza mai forzare, senza mai avere fretta di arrivare ad una meta da noi prefissata e programmata. Anche in questo caso essi hanno bisogno del nostro rispetto, più che della nostre conoscenze.

1.     Comunichiamo in modo efficace.

Se riusciamo ad attuare quanto abbiamo detto sopra, ci accorgeremo molto presto del grande desiderio, presente in questi bambini, di comunicare e di relazionare. Ma, anche in questo caso dobbiamo riuscire ad accettare in modo pieno ed incondizionato il loro modo di comunicare, senza cercare di imporre loro il nostro. Quest’accettazione non è così semplice come sembra. Per rispettare il loro modo di comunicare dobbiamo necessariamente accettare il fatto che il loro sviluppo psicoaffettivo e relazionale è gravemente limitato e/o disturbato per cui, nei casi più gravi, questo sviluppo si avvicina a quello di un neonato. E se lo sviluppo psicoaffettivo e relazionale del bambino è come quello di un neonato, egli si comporterà come tale: un neonato non guarda ancora sua madre, né le persone che gli stanno vicino; un neonato non parla; un neonato non esegue quanto gli si chiede; un neonato ha gravi carenze nella comunicazione. Egli strilla quando qualcosa non va per il verso giusto e si arrabbia se non ottiene quanto voluto e desiderato in quel momento. Un neonato è emotivamente molto fragile: ride per un nonnulla come piange e si dispera per niente. Per farlo crescere rapidamente e bene comunichiamo con lui allo stesso modo con il quale una buona madre comunica con un bambino appena nato, cioè con grande ascolto ed empatia. Se riusciamo a fare questo siamo già sulla buona strada. Se riusciamo a non imporgli, anzi a non chiedergli nulla o quasi nulla, ma nello stesso tempo ci mettiamo umilmente, ma anche gioiosamente, in ascolto ed in comunione con lui, dopo qualche settimana ci accorgeremo con stupore di quanto egli sia desideroso di dialogare con noi. 

Rispettiamo il suo spazio psicologico e fisico.

Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, limitiamo al minimo l’impatto che potrebbe avere sul suo animo la nostra presenza fisica, in modo tale che non l’avverta mai e in nessun momento come invasiva. Inizialmente il posto migliore che possiamo scegliere è quello più lontano da lui.  E li aspettiamo. Aspettiamo con animo sereno, gioioso, disponibile e fiducioso. Aspettiamo che sia lui, dopo qualche ora o qualche giorno a diminuire questa distanza fisica. Nel momento in cui avrà più sicurezza in sé stesso, più fiducia in noi, più stima di noi, meno paura, sicuramente lo farà. Si avvicinerà a noi, all’inizio con dei contatti apparentemente casuali, o mediati da un oggetto o da un gioco, per poi gradualmente farci capire che desidera un contatto fisico più prolungato e coinvolgente.

Anche questo nostro atteggiamento e comportamento non è facile attuarlo in quanto vorremmo che egli capisca subito o comunque rapidamente che noi gli siamo amici, che gli vogliamo bene, che non abbiamo nessuna intenzione di fargli del male, per cui, per ottenere ciò, il modo migliore ci sembra quello di avvicinarci il più presto possibile a lui così che avverta meglio i nostri sentimenti ma ripetiamo in questi casi questo è un errore in quanto dall’altra parte vi è tanta paura e tanta diffidenza.  

[1] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 21.

 

[2] A. NOBILE, Gioco e famiglia, in “La famiglia”, anno XXVIII, luglio – agosto, 1994, p. 52.

 

[3] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 71.

 

Seguici sulla pagina del gruppo "Autismo" relazione - affettività - ambiente

 

 

 

 

 

 

Le cause ambientali nell'autismo

 Negli ultimi anni si è posto sempre più l’accento sulle possibili cause organiche o genetiche dell’autismo, trascurando gli aspetti affettivo-relazionali e ambientali che, a nostro parere, hanno un’importanza prevalente, sia nel comprendere le cause di questa patologia, che nel prevenirla ed affrontarla in modo coerente ai bisogni e alle necessità dei soggetti che ne soffrono.

Ci sembra, quindi, doveroso far conoscere i motivi che ci hanno spinto a far nostre le cause ambientali, poiché è su queste e sulla sofferenza che da esse proviene, che è possibile intervenire, sia per prevenire questa patologia, sia per migliorare in maniera sostanziale le condizioni di questi minori, aiutandoli ad uscire dalla loro condizione di precoce e deleteria chiusura.

 

I disturbi delle funzioni cognitive nel bambino con Disturbo Autistico

I DISTURBI DELLE FUNZIONI COGNITIVE NEL BAMBINO CON DISTURBO AUTISTICO

 

 

Per disturbo delle funzioni cognitive si intende l’incapacità del bambino di fornire prestazioni scolastiche: lettura, scrittura, calcolo, rispondenti alla sua età e alla classe frequentata. Non vi è dubbio che questo disturbo sia notevolmente più frequente nei soggetti che presentano problematiche psicologiche.

La chiave dell’intelligenza e dello sviluppo mentale sta nelle prime relazioni e nelle prime esperienze emotive vissute con la madre e con chi ha cura del bambino. Le funzioni cognitive, infatti,  non sono isolate dal contesto affettivo-relazionale. GREENSPAN S. e LIEFF BENDERLY B. affermano: ‹‹Abbiamo scoperto che le capacità più elevate della mente umana, come l’intelligenza, la moralità e il senso di sé, hanno inaspettate origini comuni››.[1] 

Gli stessi autori aggiungono che, analizzando i primi stadi dello sviluppo della mente, ‹‹si è visto che ciascuno stadio richiede una serie di esperienze fondamentali e specifiche  e sottili scambi emotivi››.[2] Non è, pertanto, l’intelletto a dominare la passione ed i sentimenti ma al contrario, sono i sentimenti e le passioni a dominare l’intelletto.

‹‹L’esperienza clinica dimostra quanto sia artificiale separare il cosiddetto stato affettivo dalle funzioni cognitive, dato che perturbazioni in un ambito finiscono, d’abitudine, per influire sull’altro: così alcune gravi alterazioni affettive si accompagnano sempre, a lungo andare, ad alterazioni cognitive. Parimenti, è eccezionale che l’insufficienza mentale non sia complicata da una qualche difficoltà affettiva, tanto più grave quanto più profonda sia la deficienza››.[3] Così esordiscono AJURIAGUERRA J. e MARCELLI, D. nel capitolo riguardante la psicopatologia delle funzioni cognitive. Questo non significa, però, che ogni disturbo psicoaffettivo abbia un’influenza negativa sull’apprendimento e che ogni bambino con ritardo mentale avrà anche delle problematiche psicoaffettive, ma che tra l’uno e l’altra funzione vi sono delle frequenti, possibili influenze.

Una buona serenità interiore permette:

•       una maggiore capacità di concentrazione e attenzione;

•       maggiori capacità di analisi e di sintesi;

•       una memorizzazione più ampia e armonica;

•       un più valido rapporto con i docenti;

•   un interesse più vivo nei confronti dei vari temi proposti per l’apprendimento;

•       una migliore resistenza alle frustrazioni;

•       una più facile concettualizzazione, utilizzazione ed esposizione di quanto letto o imparato;

•       una maggiore duttilità nel passare da un argomento all’altro.

In definitiva tutti gli apprendimenti, scolastici e non, sono notevolmente facilitati quando è presente una buona serenità interiore che permetta al bambino di vivere in armonia con se stesso e con gli altri. Tutti gli apprendimenti, compreso l’apprendimento del linguaggio, non avvengono o avvengono in maniera limitata o abnorme, quando il minore è in preda alla tensione, all’ansia e alle paure, o presenta una personalità affettivamente povera.

Una riprova di quanto detto si ha da parte degli insegnanti ed dei genitori, i quali notano sistematicamente un vistoso ed improvviso calo nel rendimento scolastico dei bambini quando qualcosa di importante turba il loro animo: conflittualità e/o separazione dei genitori, cambio di residenza, nascita di un fratellino, lutto di qualche familiare ecc.. Gli stessi insegnanti e genitori notano poi una successiva ripresa delle capacità scolastiche quando le problematiche che affliggevano il bambino si sono felicemente risolte o il bambino ha trovato sufficienti modalità compensative. La stessa cosa avviene per il linguaggio, che può regredire o scomparire del tutto quando il bambino è sottoposto a notevoli frustrazioni da parte dell’ambiente esterno, così come può essere riacquistato quando le condizioni ambientali si fanno più serene e accoglienti.

I disturbi delle funzioni cognitive sono, quindi, presenti in tutte quelle situazioni di sofferenza infantile che determinano ansia, disturbo dell’umore, vissuti di inadeguatezza, bassa autostima, disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività ecc..[4] 

 I problemi delle funzioni cognitive nei bambini con Disturbo Autistico

 

In questi bambini vi può essere una riduzione grave delle capacità di acquisire nozioni e/o informazioni soprattutto di tipo scolastico. Nonostante ciò, alcuni bambini, quando riescono a controllare e ad incanalare l’ansia e la tensione che li pervade, hanno delle ottime prestazioni, ma solo in alcune materie ed in alcuni ambiti particolari. Alcuni di essi, ad esempio, presentano particolari abilità nella discriminazione di particolari stimoli visivi e nella memoria, altri bambini hanno notevoli capacità nell’aritmetica, nel ricordare delle date o nel leggere e recitare interi brani.[5]  Appare evidente, pertanto, in alcuni di loro o in alcuni particolari momenti e situazioni, una capacità istintiva ad afferrare empaticamente il senso delle cose e degli accadimenti.

Nelle risposte ai test è stata notata una notevole dispersione. Per cui, a domande semplici, il bambino può non rispondere o rispondere in maniera errata, mentre, a domande complesse, può rispondere bene. Inoltre vi è uno scarto tra il livello verbale e quello di performance. Quello verbale può essere notevolmente superiore a quello di performance, mentre possono esserci delle risposte positive in maniera strabiliante in alcuni settori, ad esempio nel calcolo o nella memoria.

Questi dati confermano la presenza, in questi bambini, di una notevole sofferenza interiore. Sofferenza che, in molti casi ed in molte situazioni limita di molto le loro possibilità di attenzione e quindi di memorizzazione e apprendimento, mentre in alcuni casi lo stato di eccitazione dovuto all’ansia, può esaltare alcune capacità. Essi sono costretti a comportarsi come quei popoli che vivono in zone vulcaniche i quali, se in molte situazioni devono subire e soccombere alla furia degli elementi naturali, in altri momenti e per alcune attività riescono ad utilizzare e sfruttare le enormi energie prestate dalla natura. D’altra parte questa situazione di genialità settoriale era stata già evidenziata in soggetti che soffrono di disturbi psicologici più o meno gravi, tanto da suggerire nel pensiero popolare l’errata equazione: genio = persona gravemente disturbata.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Autismo e Gioco Libero autogestito"

 

 

LEGGI ANCHE GLI ALTRI ARGOMENTI CORRELATI

 

Efficacia del Gioco Libero Autogestito nel bambino con Disturbo Autistico

 

Le stereotipie e le resistenze al cambiamento nel bambino con Disturbo Autistico

 

Comunicazione linguaggio e interazione sociale nel bambino con Disturbo Autistico

 

La gestione del bambino autistico a scuola

 

Autismo e famiglia

 

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

 

L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

 

Esperienza di una madre con un figlio autistico ad alto funzionamento durante la terapia del gioco libero autogestito

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 1

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 2

 

Autismo trattato con il gioco libero autogestito

 

Autismo e scuola

 

 

 

 

 

 


[1] S.GREENSPAN, B. LIEFF BENDERLY, L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori, 1998,  p. 3.

[2] S.GREENSPAN, B. LIEFF BENDERLY, L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori, 1998, p. 3.

[3] AJURIAGUERRA J. (DE), MARCELLI, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 135.

[4] R. MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 108.

[5] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 257.

 

Il contatto con la realtà nel bambino autistico

Negli adulti normali il contatto con la realtà esterna non è sempre uguale in ogni ora ed in ogni momento del giorno e della notte. Vi sono continuamente delle oscillazioni, sia durante la veglia, sia durante il sonno. Ma anche da svegli, nei momenti di massima vigilanza, il contatto con il mondo esterno non ha mai la stessa intensità. Quando prevalgono, per un breve o un lungo momento, le istanze del mondo interiore, ci allontaniamo dalla realtà esterna a noi mediante i sogni ad occhi aperti, le fantasie, i pensieri in libertà e le elaborazioni, su quanto abbiamo ascoltato, visto, letto o su quanto abbiamo vissuto recentemente o anche nel lontano passato.

Questi momenti sono nettamente maggiori quando ci assalgono le preoccupazioni e le ansie, quando l’amarezza e la tristezza ristagnano nel nostro animo come un velo nero sull’acqua durante un temporale o quando abbiamo la necessità di affrontare dei problemi di difficile soluzione e siamo impegnati nella ricerca delle migliori strategie. Il contatto con la realtà esterna diminuisce di molto e quasi scompare, almeno per un certo tempo, anche quando siamo travolti dalla collera, dall’ira e dall’aggressività, per cui siamo impegnati a difendere noi stessi o qualcosa che ci è molto caro.

 

Sia i genitori che gli insegnanti conoscono bene quanto sia difficile, a volte, riuscire a catturare l’attenzione dei figli o degli allievi. Gli insegnanti, parlando dei loro alunni, dicono: ‹‹Spesso, con la testa tra le nuvole, sono immersi nei loro pensieri, così da non rispondere alle nostre sollecitazioni e ai nostri richiami››. ‹‹Molti alunni, dopo le prime ore ci guardano imbambolati. Noi sappiamo che loro sono presenti nella classe, ma solo con il corpo. Essi non seguono per nulla le nostre parole, anzi avvertiamo chiaramente che le loro menti vagano molto lontano dai banchi dove stanno seduti››. Le madri, a loro volta si lamentano: ‹‹i figli non ci ascoltano e non ci sentono quando li chiamiamo mentre loro sono immersi nel gioco con il quale danno vita a personaggi immaginari che gareggiano, si scontrano, volano e si azzuffano, per cui siamo costrette a gridare o a scuoterli per farli ritornare nella realtà››.

Sia i genitori sia gli insegnanti hanno, inoltre, consapevolezza che questo accade soprattutto ai bambini che hanno problemi psicologici o che stanno attraversando un momento psicologicamente difficile della loro vita a casa o a scuola.

In questi bambini il contatto con la realtà diventa molto più scarso, labile, incerto e saltuario, per cui si fa molta fatica e sono necessarie molte sollecitazioni per attirare solo per qualche momento la loro attenzione.

Il motivo è facilmente comprensibile se solo si pone attenzione a quali turbamenti, a quali paure, a quale ansie e tensioni è sottoposta la loro psiche. In queste situazioni le istanze interiori sopraffanno e schiacciano gli stimoli che vengono dall’esterno, rendendo ogni sollecitazione non solo vana, ma anche causa di ulteriore disturbo per il piccolo, il quale si ritrova continuamente impegnato a fronteggiare e a proteggersi dalle angosce interiori. La GRANDIN T. così descrive il suo stato di estraniamento: ‹‹Quando venivo lasciata da sola, spesso andavo in una specie di trance, come ipnotizzata. Stavo seduta per ore sulla spiaggia ad osservare la sabbia scivolarmi tra le dita››.[1]  La prova  di ciò si ha dal constatare che questo contatto con la realtà diventa più frequente e stabile, mano a mano che il bambino riacquista una maggiore serenità interiore, un più stabile controllo sulle proprie emozioni, e una maggiore fiducia negli altri e nel mondo esterno.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Autismo e Gioco Libero autogestito"

 

 

Seguici sulla pagina del gruppo "Autismo" relazione - affettività - ambiente

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] T. GRANDIN, Pensare in immagini, Trento, Erickson, 2006, p. 50.

Comunicazione linguaggio e interazione sociale nel bambino con Disturbo Autistico

 Autore: Emidio Tribulato

Poiché alla nascita i sensi del neonato sono quasi completamente sviluppati, il bambino, pur non riconoscendo gli oggetti e le persone, è già in grado di percepire le sue emozioni interne e l’ambiente che lo circonda. Egli avverte questi due ambienti: quello interno e quello esterno, come un’unica realtà, in quanto non vi è ancora un “sé” e un “mondo” fuori di lui (adualismo). 

In ogni caso, però, è già in grado di distinguere ciò che lo soddisfa da ciò che non lo soddisfa, ciò che è piacevole da ciò che è spiacevole. È  sicuramente piacevole sentirsi accolto, accarezzato, coccolato, così com’è sicuramente piacevole giocare e ridere insieme a mamma e papà o con i fratellini. Al contrario è sicuramente sgradevole un ambiente carico di tristezza, aggressività, ansia, tensione, conflitti.

Le comunicazioni e le relazioni che il bambino instaura con l’ambiente esterno a lui sono fondamentali non solo per accrescere esperienze, cultura e linguaggio ma, soprattutto, per la formazione del suo Io, per la sua crescita sana ed equilibrata e per lo sviluppo armonico e pieno delle sue capacità relazionali e sociali.

Il bambino si accorge dell’utilità della comunicazione quando, ad esempio, si mette a piangere e a strillare e la mamma, il papà o un altro familiare accorrono verso di lui per capire il motivo del suo pianto o quando vagisce e gorgoglia ed i suoi genitori e familiari si mettono a ridere felici e lo abbracciano e baciano dicendogli parole dolcissime. E' mediante queste esperienze che egli scopre il valore sociale dei suoni da lui emessi, in quanto comincia a collegare queste manifestazioni sonore agli effetti positivi da essi prodotti.

 

 

 

Questa possibilità di poter comunicare i bisogni, unita ad una buona sicurezza che queste sue necessità saranno soddisfatte, lo rassicura e lo aiuta a maturare le capacità relazionali. A sua volte, questa maturazione lo stimola e gli permette di avere maggiori attenzioni verso chi ha cura di lui. Pertanto, se ad esempio, prima piangeva ostinatamente nel momento in cui aveva fame, stava scomodo, aveva sonno, senza preoccuparsi minimamente delle esigenze dell’adulto o degli adulti, successivamente, riponendo affetto, stima, gratitudine e attaccamento verso di loro, a motivo dei comportamenti attenti e disponibili, egli si sforza di regolare la sua vita ed i suoi bisogni in base alle esigenze del mondo che lo circonda. Anzi, fa qualcosa di più: si attiva per gratificare al massimo chi gli sta attorno, indirizzandogli dolci sguardi, sorrisi affettuosi, carezze e baci.

Ma se questo non avviene, se i genitori o chi ha cura di lui ritardano ad accorrere al suo pianto o non rispondono ai suoi gioiosi vagiti in quanto eccessivamente tesi, disturbati o troppo occupati ed impegnati a fare altro, piuttosto che a vivere con pienezza e gioia la relazione con il loro bambino, il piccolo è costretto a concludere che gli altri non sono in grado o non sono disposti ad ascoltarlo, ma anche che lui è incapace di farsi ascoltare.

Si deteriora l’immagine del mondo e, nello stesso tempo, si deteriora l’immagine che ha di sé. Sarà inevitabile, allora, una parziale o totale chiusura. 

 

Se, invece, dai genitori e soprattutto dalla madre ottiene la giusta presenza e la corretta disponibilità comunicativa, se l’ambiente attorno a lui ha caratteristiche di serenità, calore e accoglienza, il linguaggio verbale che, successivamente, conquisterà, gli permetterà di rendere ancora più incisiva la sua azione sul mondo, in quanto non sarà solo la madre o gli altri che lo curano che avranno il potere di scegliere cosa è bene per lui, ma sarà lui stesso a chiedere ciò che gli piace, ciò che lo rende felice, ciò che lo entusiasma e a rifiutare ciò che non gli piace, ciò che lo intristisce, ciò che lo annoia.

Ma anche con la conquista del linguaggio parlato, non sempre egli verrà capito ed accontentato nei suoi bisogni, nei suoi desideri, nelle sue scelte. E se questo non essere capito, non essere accontentato, perdura nel tempo e riguarda elementi essenziali per il suo sereno sviluppo, non potrà che provare dolore e sofferenza, con conseguente rabbia e collera verso gli altri esseri umani, ma anche verso se stesso.

In definitiva, gli strumenti indispensabili per la crescita e per la formazione di un nuovo essere umano, sufficientemente sereno e maturo per affrontare la vita ed il mondo, risiedono nella quantità, ma soprattutto nella qualità delle comunicazioni verbali, mimiche e gestuali, presenti nelle relazioni con le figure familiari, e, soprattutto, nei rapporti con la madre.

Senza questi apporti si formeranno bambini e poi adulti monchi o disturbati nella loro vita affettivo relazionale: incapaci di stare bene con se stessi e con gli altri; incapaci di capire e farsi capire; incapaci di amare e farsi amare; incapaci di profonda accettazione e di perdono; incapaci di accoglienza e disponibilità.

 

L’ampliamento del mondo affettivo  relazionale avviene per gradi. In questa, come in tutte le altre funzioni umane, vi è un progressivo passaggio da una situazione di interazione sociale assente o minima, così come avviene nel bambino neonato, il quale non è ancora in grado di riconosce e di rapportarsi al di fuori di sé, neanche con la propria madre e con il proprio padre, al bambino di sei – sette anni, che è già capace di dialogare efficacemente e stabilire relazioni di amicizia, non solo con gli adulti e con altri minori con i quali vi è stata una lunga, antica frequenza, ma anche con dei coetanei semisconosciuti. In ogni caso, però, questa capacità nasce e si forma dapprima nella psiche del bambino e dopo, e soltanto dopo, si realizza e concretizza mediante comportamenti esteriori, nell’ambito delle relazioni: amicizia, amore, dialogo, scambio, gioco sociale.

Spesso si dice, in maniera almeno in parte impropria, che il bambino per poter socializzare ha bisogno dei compagnetti della scuola. In realtà il bambino acquista la possibilità di socializzare con gli estranei, solo se ha vissuto in maniera serena e soddisfacente il rapporto con le figure familiari.

E’ solo la bontà di questo rapporto e la serenità dell’ambiente nel quale egli è vissuto, che gli permetteranno di aprire il proprio animo, il proprio interesse e la propria attenzione propositiva e costruttiva anche agli estranei. Questo perché l’interazione sociale, cioè la capacità di entrare in relazione con l’altro, richiede numerosi ed espliciti comportamenti che devono modularsi in maniera molto precisa per essere efficaci.

Questi comportamenti riguardano: il guardare l’altro, il cercare di agganciare il suo sguardo, il rispondere allo sguardo dell’altro, il farsi coinvolgere in attività e in argomenti condivisi, l’effettuare gesti e parole in risposta alle richieste dell’altro o, spontaneamente, per attirare la sua attenzione.

Questi comportamenti riguardano, inoltre, il curiosare su quello che l’altro sta facendo, desiderare che l’altro si interessi a quello che noi stiamo facendo, rispondere quando si è chiamati, trovare nel dialogo con l’altro le parole più opportune e utili per approfondire o render più solido il legame in base al tipo di relazione ed infine, ma non ultimo, avere la pazienza di ascoltare l’altro, le sue idee, i suoi bisogni, le sue necessità, i suoi sfoghi.

 

La qualità e la quantità della comunicazione affettivo-relazionale del bambino normale, nei confronti degli adulti o degli altri minori è molto variabile, anche se, durante le varie fasi del suo sviluppo, tende gradualmente ad incrementarsi. Per quanto riguarda la quantità, accanto a bambini che chiacchierano continuamente su tutto e con tutti e che fanno facilmente amicizia, ritroviamo altri minori, altrettanto normali, più timidi e riservati che manifestano maggiori difficoltà ad instaurare un proficuo dialogo.

Pertanto, nell’osservare la comunicazione e l’interazione sociale di un bambino, possiamo notare come questa possa essere superiore alla norma, in quanto si distacca nettamente in senso positivo da quella normalmente riscontrata nei bambini della stessa età; può rientrare nell’ambito della normalità, quando il grado di socializzazione si può inserire in quella grande fascia che noi chiamiamo norma; oppure può essere decisamente inferiore alla norma, quando si allontana dalla fascia della normalità.

Sia i genitori che gli insegnanti hanno consapevolezza, inoltre, che lievi o momentanei problemi nella comunicazione e nell’interazione sociale sono presenti in tutti i bambini. Così come sono consapevoli che queste problematiche sono maggiormente evidenti in quei soggetti che hanno dei problemi psichici o che stanno attraversando dei difficili momenti nella loro vita personale, familiare o scolastica.

Abbiamo, quindi, ad un estremo i bambini che ben dialogano e facilmente socializzano con tutti, mentre all’estremo opposto troviamo quei bambini i quali non comunicano o hanno gravi difficoltà a dialogare anche con la propria madre o con il proprio padre.

Vi è, pertanto, un continuum tra una situazione comunicativa e relazionale facile, fluida, immediata e notevolmente aperta al dialogo e alla comprensione e comunione con l’altro, rispetto alla condizione opposta, nella quale queste capacità sono quasi assenti o gravemente disturbate.

 La comunicazione nei bambini con disturbi psicoaffettivi.

Nei bambini con disturbi psicoaffettivi la difficoltà nella socializzazione e l’incapacità del bambino di stabilire una adeguata relazione con l’altro si possono manifestare con inibizione o con disinibizione,

Quando è presente l’inibizione la mimica appare poco vivace, la postura è eccessivamente stabile, il bambino non aderisce alla consegna, o, se la effettua, lo fa in maniera passiva: non prende l’iniziativa nello scambio ma si limita a rispondere alle domande che gli vengono poste ed il linguaggio è coartato e povero sul piano narrativo.[1] 

Questa forma è presente nel bambino inibito, nella fobia sociale, nei disturbi d’ansia ed in quelli dell’umore, nel mutismo selettivo, quando sono presenti importanti carenze socio – culturali, quando soffre per scarsa autostima dovuta a inadeguatezza, a malformazioni o disabilità.

 

Nelle forme con disinibizione vi sono elevati livelli di attività motoria. Il bambino familiarizza in maniera eccessiva anche con gli estranei, appare particolarmente curioso, ma è notevolmente distraibile. Alle domande che gli sono poste risponde con frasi poco aderenti al contesto. Fa continui quesiti senza interessarsi alle risposte. A volte è presente un’eccessiva verbosità, mentre viene sacrificata la capacità di ascolto e la comprensione profonda dell’altro. In questi minori, che parlano tanto ma non sanno ascoltare, vi è uno scollamento tra sé e gli altri, tra i propri bisogni ed i bisogni e le necessità degli altri.

In questa forma con disinibizione, se la quantità della socializzazione appare discreta, lo stesso non avviene per la qualità della relazione, in quanto è compromesso il normale fluire degli scambi interpersonali. Queste forme sono presenti nei disturbi dell’umore di tipo maniacale, nei disturbi della condotta e nel disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività.

 La comunicazione verbale nel Disturbo Autistico

 

 ‹‹Molti bambini con autismo, una percentuale che varia tra il 20% e il 50%, non acquisiscono alcun tipo di linguaggio verbale. Un altro 25 % acquisisce alcune parole tra i 12 ed i 18 mesi e poi va incontro a una regressione associata alla perdita del linguaggio verbale››.[2] 

In questi soggetti, spesso, non vi è neanche un tentativo di compensazione attraverso modalità alternative di comunicazione, come gesti o mimica. In altri casi il linguaggio compare tardivamente verso i quattro-cinque anni. Spesso non è preceduto dalla lallazione.

Quando il bambino con Disturbo Autistico è capace di utilizzare il linguaggio verbale sono rari i “sì” di assenso. È frequente l’uso della terza persona per cui dicono: ‹‹Giovanni vuole uscire›› piuttosto che ‹‹Io voglio uscire›› e vi è difficoltà o impossibilità a strutturare una vera comunicazione (linguaggio non comunicativo), in quanto le parole e/o i gesti servono spesso solo ad ottenere quanto desiderato in quel momento o ad allontanare l’altro e fargli sapere di “non essere gradito” (rapporti manipolatori).

Le iniziative degli altri spesso non sono accettate, in quanto interpretate come dannose, perché vissute come destinate a “cambiare” quello stato di uniformità e di “immobilità” che permette al bambino una certa tranquillità e sicurezza.

 Questi bambini spesso si esprimono, in molte occasioni, in modo bizzarro. Usano frasi intere e blocchi di parole che hanno appena udito e che ripetono nella stessa forma verbale (ecolalia).[3] Ad esempio dicono: ‹‹Vuoi biscottino?›› Per dire ‹‹mi dai un biscottino?›› L'ecolalia può essere immediata quando la ripetizione delle parole o delle frasi avviene subito dopo l'ascolto, oppure differita, quando la ripetizione della frase avviene a distanza di tempo.

Accanto alle ecolalie vi sono le stereotipie verbali, nelle quali il soggetto ripete parole o frasi scollegate rispetto al momento. Il bambino, inoltre, tende a inventare nuove parole ( presenza di neo linguaggio).[4]  Vi può essere, infine, una anomalia nella melodia del linguaggio che può apparire cantilenante.[5]

In alcuni bambini si può avere una regressione del linguaggio già acquisito (mutismo secondario). Nelle forme gravi il bambino è indifferente al linguaggio altrui, oppure comprende soltanto parte di quanto detto (comprensione periferica).

Pertanto: ‹‹Comunicare con un una persona con Disturbo Autistico può essere difficile o impossibile per motivi diversi e apparentemente opposti. Ai due estremi del continuum ci sono da un lato soggetti che non hanno mai acquisito il linguaggio e non rispondono e non danno inizio ad alcuno scambio comunicativo, dall’altro soggetti che avviano continuamente conversazioni utilizzando un vocabolario ricco e formalmente appropriato, ma che non sono in grado di adeguare in modo flessibile la comunicazione al contesto interattivo, di mantenere la reciprocità e l’alternanza di turni nello scambio comunicativo e di interpretare correttamente tutti gli scambi comunicativi espressi dall’interlocutore››.[6]

 L’interazione sociale nel Disturbo Autistico

Per MILITERNI R. : ‹‹Nel corso del primo anno di vita, la compromissione dell’interazione sociale è tipicamente espressa dal deficit del canale di scambio privilegiato in tale periodo: vale a dire, il contatto occhi-occhi››.[1] I genitori riferiscono di questa mancanza o scarsità di contatto con il loro bambino dicendo che egli ‹‹sfugge allo sguardo›› (Sguardo non agganciabile), e/o ‹‹presenta uno sguardo assente, vuoto››.

 Il bambino, inoltre, riferiscono i genitori: ‹‹è come se non amasse essere abbracciato››, non tende le braccia per essere accolto da mamma e papà, oppure, addirittura, sfugge alle loro coccole. E quando i genitori, usando una certa determinazione, vogliono accarezzarlo e coccolarlo, appare indifferente al loro affettuoso contatto, per cui non si adagia sul corpo dell’adulto, ma resta come un peso morto.[2]  In questi bambini anche il sorriso è scarso e così la mimica, che tende ad essere fissa o non aderente al contesto e priva pertanto di funzione di segnalazione.[3] 

Vi sono però dei momenti nei quali il bambino ride o sorride oppure si agita disperatamente, piange e va in collera, senza un apparente motivo. Queste sue manifestazioni emotive non appaiono, ad un esame superficiale, aderenti al contesto di vita e, quindi, sono ritenute, come vedremo in seguito a torto, come prive di vera comunicazione con gli altri.

Tra i 18 e i 30 mesi i bambini con Disturbo Autistico mostrano più chiaramente il loro isolamento e il loro rifiuto del rapporto interpersonale: non segnalano gli oggetti e le persone, per cui non rispondono con lo sguardo e non indicano, quando sono loro rivolte le classiche domande: ‹‹Dov’è papà? ‹‹Dov’è la mamma?›› ‹‹ Dov’è la nonna?››.

È molto difficile, inoltre, attirare la loro attenzione. Sfuggono o non reagiscono adeguatamente alle modulazioni espressive dei familiari che cercano di stimolare la loro reazione, mentre le loro capacità di imitazione sono assenti o molto scarse.

La madre, ma anche gli altri adulti, sono usati come strumento per ottenere quanto desiderato: ad esempio, per avere il cibo o gli oggetti in quel momento voluti. Mentre vi può essere una marcata mancanza di consapevolezza dei sentimenti altrui e indifferenza all’allontanamento della madre.

Notevole è la difficoltà ad avere un’attenzione condivisa con gli altri, da cui discende l’espressione usata dagli insegnanti che questi bambini ‹‹vanno per conto proprio››, nel senso che si muovono nella classe e negli apprendimenti senza seguire alcuna regola.

Sia in classe che nella sua casa, il bambino può presentare un isolamento autistico, nel senso di una chiusura sensoriale con limitazioni importanti dell’area vitale se non, addirittura, retrazione coatta a vivere in un angolo della casa o dell’ambiente dove abitualmente si trova.

Inoltre, questi bambini sembrano indifferenti alle lodi e alle gratificazioni; allo stesso modo con il quale sembra non abbiano per loro un preciso significato i rimproveri e i castighi.

Dagli autori del DSM IV- R essi sono descritti come bambini nei quali ‹‹può essere presente una mancanza di reciprocità sociale o emotiva (per es., non partecipare attivamente a semplici giochi sociali, preferire attività solitarie o coinvolgere altri in attività solo come strumenti o aiutanti “meccanici"››.[4] 

Sempre nel DSM IV – R ritroviamo che ‹‹spesso la consapevolezza che questi soggetti hanno degli altri è notevolmente compromessa. I soggetti con questo disturbo possono essere incuranti degli altri bambini (inclusi i fratelli), possono non avere idea dei bisogni degli altri o non accorgersi del malessere di un’altra persona››.[5] 

AJURIAGUERRA J, così descrive le loro relazioni affettive: ‹‹Il rapporto del bambino autistico con le persone è assai particolare. Egli non ha verso di esse uno sguardo in alcun modo interessato, passa loro accanto senza cercare di stabilire una comunicazione; le relazioni che egli può talvolta stabilire sono frammentarie, egli sceglie l’altro ma non ha né partecipazione, né scambio. Non mostra alcuna reazione alla scomparsa dei genitori, e sembra ignorarli››.[6]

Per MILITERNI R. : ‹‹Il bambino “si aggira” fra gli altri come se non esistessero; tende ad isolarsi; quando chiamato non risponde; non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo rende partecipe […]; utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle esigenze del momento››.[7] Tuttavia lo stesso autore afferma che ‹‹…il rapporto non è mai  o quasi mai completamente assente: esso tuttavia è limitato sempre – o quasi sempre a richiedere (qualcosa o qualche azione) e non a condividere (interessi, bisogni, emozioni)››.[8]

Lo stesso autore ancora nota: ‹‹…anche se l’isolamento e la chiusura in se stessi rappresentano tratti patognomonici, non sono infrequenti comportamenti paradossi (cioè, come se il bambino cercasse di stabilire il rapporto); comportamenti, tuttavia, che ad una valutazione più attenta si dimostrano qualitativamente anomali. Alcuni bambini autistici, ad esempio, non solo non rifiutano il contatto fisico, ma anzi lo ricercano attivamente, ma con modalità inappropriate, e spesso dispensano baci a persone viste per la prima volta o ad estranei. Altri ancora manifestano un attaccamento morboso ed esclusivo nei confronti della figura materna, o comunque di una figura privilegiata››.[9]   

E allora si parla di bambini inaccessibili a qualsiasi rapporto sociale, bambini passivi, che tendono ad isolarsi, ma sono in grado di interagire quando adeguatamente sollecitati e bambini attivi ma bizzarri, che sono capaci di prendere l’iniziativa nell’interazione sociale, ma lo fanno in maniera inopportuna, enfatica ed inappropriata. Sempre MILITERNI R. annota che : ‹‹Questi diversi profili: inaccessibile, passivo o attivo ma bizzarro, non variano solo da bambino a bambino ma, in uno stesso bambino, possono alternarsi nel corso del suo sviluppo››.[10]

In definitiva, per quanto riguarda il linguaggio e la comunicazione sociale, le osservazioni dei vari autori ci danno un quadro non univoco di questo disturbo. Il quale:

  • non è uguale negli anni;
  • non è uguale nei bambini che hanno la stessa diagnosi;
  • non è uguale in momenti diversi della stessa giornata;
  • non è uguale nello stesso bambino quando si relaziona con persone diverse.

Pertanto, se è vero che i problemi più gravi nell’ambito della comunicazione e dell’interazione sociale si riscontrano nei soggetti con Disturbo Autistico, anche in questi bambini, a secondo della gravità del disturbo, queste difficoltà possono essere di grado lieve, medio, grave, gravissimo. Per cui troviamo ad un estremo dei minori con Disturbo Autistico che hanno discrete relazioni con uno o più adulti, ma non con i coetanei, mentre all’altro estremo, possiamo trovare bambini che hanno solo minime capacità relazionali, anche con gli adulti che dovrebbero essere molto vicini a loro, come ad esempio i genitori.

È necessario, a questo punto, capire quali possono essere le cause che determinano queste difficoltà.

Osservando i comportamenti di noi soggetti “normali”, non è difficile evidenziare una problematica o scarsa comunicazione e relazione con gli altri quando sussistono determinate circostanze.

1.     Quando siamo arrabbiati, offesi o astiosi con la o le persone che ci stanno di fronte. In questi casi i nostri occhi, la nostra espressione, i nostri comportamenti sono predisposti e tesi al rifiuto più che all’accoglienza, all’odio più, che all’amore, ad all’allontanare gli altri, piuttosto che farli avvicinare a noi.

2.     Quando siamo amareggiati e delusi dagli altri. Quando gli altri, per qualche motivo, ci hanno deluso o ci hanno fatto soffrire, proviamo intenso fastidio e rifiuto verso di loro, per cui non solo non accettiamo la loro amicizia o le loro profferte affettive, ma rifiutiamo istintivamente di instaurare anche un minimo dialogo;

3.     Quando siamo particolarmente tesi e nervosi. Quando l’ansia ed il nervosismo invadono e serpeggiano nel nostro animo, come nel nostro corpo, ogni cosa, come ogni persona ci dà fastidio. La nostra sensibilità, che in questi casi diventa più acuta e tesa, ci spinge a non comunicare con il prossimo ma ad isolarci, almeno per qualche momento, scacciando in malo modo chi prova ad avvicinarsi a noi, anche se con ottime intenzioni;

4.     Quando per un motivo qualsiasi siamo particolarmente tristi o malinconici. Quando un lutto o una perdita ci colpisce, il nostro animo resta oppresso e sconvolto dal velo nero della malinconia, della tristezza e del dolore. Chiusi nel nostro lutto, nella nostra perdita ci allontaniamo, ci isoliamo, vorremmo almeno per qualche momento o qualche periodo scomparire dal mondo, così come vorremmo che il mondo non si avvicinasse a noi;

5.     Quando ci assalgono timori e ansie. Quando siamo invasi per qualunque motivo dalle tensioni, dalle ansie e dalle paure, come avveniva e avviene ancora oggi nelle tante guerre che insanguinano il mondo, l’insicurezza, la sfiducia ed il terrore, ci stimolano alla fuga dagli altri, così come ci spingono ad allontanarli dalla nostra persona. 

Se osserviamo attentamente i vissuti interiori dei bambini con Disturbo Autistico ritroviamo tutti questi elementi in modo esacerbato.

1.     Essi sono offesi e arrabbiati con gli altri e con il mondo intero in quanto, per un periodo più o meno lungo della loro vita, hanno avvertito di non essere stati curati, capiti, accettati, amati, rispettati, così come avrebbero voluto, così come il loro piccolo cuore avrebbe desiderato. Non importa se ciò è avvenuto per colpa o per dolo. Non importa se è avvenuto per scelte ben precise da parte degli altri o perché delle circostanze avverse hanno costretto o spinto le persone che avrebbero dovuto aver cura di loro a non tener conto dei loro bisogni e delle loro esigenze. Quello che pesa sul loro animo e ciò che è avvenuto e non il motivo per il quale è avvenuto.

2.     Sono amareggiati e delusi dagli altri in quanto, dopo aver fortemente e frequentemente manifestato il loro disagio, le loro paure, i loro bisogni, questi non sono stati capiti, a questi non si è posto un rimedio efficace.

3.     Non vi è dubbio che questi bambini siano estremamente tesi e ansiosi, e questo stato d’animo, così gravemente disturbato, rende loro difficile ogni cosa: l’attenzione, l’apprendimento, ma anche l’ascolto e l’interesse verso gli altri. Ascolto, attenzione ed interesse che sono indispensabili per instaurare un qualunque legame e un qualsiasi rapporto di amicizia.

4.     Inoltre, quando scrutiamo il loro viso, spesso notiamo serpeggiare insieme ad altri sentimenti ed emozioni la tristezza e la malinconia che li spingono ancora di più a chiudersi e a isolarsi, così da limitarsi a cercare, in un cantuccio, piccoli piaceri solitari.

5.     Infine vi sono le paure e le fobie che, come abbiamo visto, rendono angosciosi i loro pensieri e insicure molte loro azioni e molte loro scelte. E, dunque, perché avvicinare gli altri, dialogare con gli altri, abbracciare gli altri, quando tutto ciò che ci circonda può nascondere un’insidia, una trappola e un’ulteriore frustrazione?

 Come vedremo però descrivendo le nostre esperienze, se con questi bambini si riesce a stabilire un rapporto nel quale è presente in maniera vera e reale, stabile e continuativa un grande e sostanziale rispetto per il loro sentire, per i loro bisogni, per le loro paure, per le loro inquietudini, per la loro estrema vulnerabilità, insomma se ci si relaziona adeguandosi ai loro bisogni più veri e profondi, essi si legano fortemente e sistematicamente alla o alle persone che assumono questo tipo di approccio.

Abbiamo detto in maniera vera e reale, in quanto la loro notevole sensibilità percepisce ciò che vero e reale non è. Abbiamo detto stabile e continuativa, in quanto ai bambini con autismo non basta certo la carezza o la parolina dolce di un momento o di un giorno, ma essi si aspettano dolcezza, attenzione e rispetto in modo continuativo.

Per quanto riguarda la seconda osservazione fatta dai vari autori e cioè che questi bambini avrebbero assoluta indifferenza per le reazioni di sconforto, di pena e di dolore presenti nelle persone che stanno a loro vicine, possiamo senza dubbio confermare che questa osservazione è vera; nel senso che se una mamma, un papà, un’insegnante o un altro coetaneo, si è fatto male o piange davanti ad un bambino con una grave forma di autismo, vi sono molte probabilità che quest’ultimo non andrà dalla mamma, dal papà o dal bambino ferito per consolarlo e non piangerà per quello che a questi è successo.

Questo comportamento ha, però, delle motivazioni ben precise:

1.     La prima motivazione, che crediamo sia quella più frequente, nasce dalla presenza, in questi bambini, di un animo talmente disturbato e sconvolto a causa della propria sofferenza interiore da non riuscire a percepire correttamente ciò che succede all’esterno di loro. Per capire ciò è necessario fare qualche esempio. Se siamo in ospedale e soffriamo le pene dell’inferno per un trauma o per una grave scottatura, ci preoccupiamo forse per quello che succede nel letto accanto al nostro? Se siamo stati lasciati o traditi dal nostro amore più grande, siamo forse in pena  per la sofferenza delle altre coppie colpite dalla stessa sorte? Il motivo è semplice: se il dolore che alberga nel nostro cuore è tanto, il preoccuparsi degli altri non farebbe che accentuarlo. E questo non è facilmente accettabile.

2.     Il secondo motivo risiede nella presenza di un notevole risentimento verso il mondo esterno a loro. Perché  soffrire, perché intristirsi e piangere, se le persone che soffrono meritano, a causa dei loro comportamenti, quello che a loro succede?

3.     Il terzo motivo può riguardare la sensazione di “mal comune mezzo gaudio”. In questi casi è come se il bambino dicesse a se stesso: ‹‹Se io soffro tanto mi sembra giusto che anche gli altri soffrano insieme a me. D’altra parte la vita è tutto un soffrire e penare››.

Anche se non sappiamo con certezza quale sia la motivazione predominante che porta a  questo comportamento, la nostra esperienza ci dice che in ogni caso, quando i bambini con autismo acquistano un minimo di serenità interiore, si legano intensamente alle persone che dimostrano, con i fatti, di rispettarli e di voler loro bene, tanto che manifestano nei confronti di queste persone amiche, le stesse attenzioni e le stesse premure che ci si aspetterebbe dai bambini “normali”.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato 

 

 

"Autismo e gioco libero autogestito"

 

(Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico) - Franco Angeli Editore.

 

 Autismo e gioco libero autogestito. Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico

 

 

Seguici sulla pagina del gruppo "Autismo" relazione - affettività - ambiente

 

 

 

LEGGI ANCHE GLI ALTRI ARGOMENTI CORRELATI

 

Efficacia del Gioco Libero Autogestito nel bambino con Disturbo Autistico

 

Le stereotipie e le resistenze al cambiamento nel bambino con Disturbo Autistico

 

 

La gestione del bambino autistico a scuola

 

Autismo e famiglia

 

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

 

L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

 

Esperienza di una madre con un figlio autistico ad alto funzionamento durante la terapia del gioco libero autogestito

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 1

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 2

 

Autismo trattato con il gioco libero autogestito

 

Autismo e scuola

 

 


[1] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 98.

[2] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 251.

[3] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 251.

 

[4] DSM – IV- TR , Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson, 2005, p. 86.

[5] DSM – IV- TR , Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson, 2005,  P. 86

[6] AJURIAGUERRA J. (DE), Manuale di psichiatria del bambino, Milano, Masson,  pp. 764-765.

[7] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 251.

[8] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 251.

[9] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 251-252.

[10] R MILITERNI, Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 252.

 



[1] R. MILITERNI., Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, 2004, p. 108.

 

[2] G. VIVANTI, La comprensione del linguaggio nell’Autismo, in “Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza”, 2009, vol. 76, p.278.

[3] DE AJURIAGUERRA J. .MARCELLI, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 248.

[4] DE AJURIAGUERRA J. .MARCELLI, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 248.

[5] DE AJURIAGUERRA J. .MARCELLI, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 248.

 

[6] G. VIVANTI – S. CONGHI, La comprensione del linguaggio nell’Autismo, In “Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza”, 2009, vol76, p. 277.

 

 

Esperienza di una madre con un figlio autistico ad alto funzionamento durante la terapia del gioco libero autogestito

"La terapia dell'amore"

 

Quando la maestra quel giorno mi ha detto che voleva parlarmi, ho pensato: è  arrivato il momento.

Sapevo...temevo  … ma magari chissà...era solo per darmi qualche comunicazione della scuola.

Il viso dolce della maestra che sempre tendeva al sorriso, quando mi ha accolto nella stanza piena  di giochi e disegni colorati era seria.. imbarazzata.

Mi sono voluta sedere su una delle piccole sedie per bambini, in quel modo rannicchiata forse il colpo l’avrei incassato meglio.

Ha esordito dicendo:

” Ogni giorno, quando prende suo figlio Lei mi guarda in un certo modo e mi chiede: tutto bene?

Io ho capito che Lei si aspetta da me che le dica  se Matteo ha problemi.

 L’anno scorso il bambino aveva 2 anni e mezzo e non si poteva ancora capire..ma quest’anno il bambino  manifesta visibili difficoltà di inserimento. è come se avesse paura di coinvolgersi emotivamente.

 E’ un bambino intelligente, sa molte cose, anche più degli altri. Numeri lettere, colori..ma non si riesce a stabilire con lui un dialogo un’interazione commisurata alla sua età”.

Non tutti i genitori sono disposti a sentirsi dire che il proprio figlio ha problemi.

Quasi fosse colpa di qualcuno o una cosa che non può succedere proprio a loro.

Io, più che al problema, che già avevo intuito, ho guardato subito alla soluzione.

La maestra stessa mi ha indicato il centro LOGOS del Dottore Emidio Tribulato, dove lei stessa faceva dei corsi di aggiornamento .

Il primo incontro è stato a dir poco … disastroso!.

Il distacco emotivo che ci vorrebbe per analizzare qualsiasi problema, quando si parla del proprio figlio crolla!

È per questo che davanti al Dottore, le mie lacrime hanno cominciato a scorrere copiose solo dopo  esserci  solo appena stretti la mano!

Matteo poi..si incantava a salire e scendere con l’ascensore...e non ne voleva sapere neanche di entrare nello studio!

Dopo una dettagliata intervista per conoscere e capire noi e Matteo, la diagnosi è stata “autismo ad alto funzionamento”...sapevo cosa significava...e sentirmelo dire è stato uno dei  momenti più duri  della mia vita.

Dopo vari  incontri, e molte discussioni, la definizione è stata  che c’era la necessità di stare vicini al bambino, tranquillizzarlo, assecondarlo, aiutarlo a recuperare la consapevolezza e la  fiducia in se stesso che gli avrebbe permesso gradualmente di aprirsi al mondo.

Tenuto conto che sia io che mio marito  lavoriamo mattina e pomeriggio si è reso necessaria la presenza di una persona che fosse di riferimento per Matteo, che fosse un’amorevole  compagnia “finche mamma e papà non tornano a casa” .

In questo, preziosissimo è stato l’aiuto del Dott. Tribulato che ci ha messo in contatto con una sua allieva che aveva fatto il tirocinio presso il suo centro.

Lui ci ha detto che avrebbe cercato  “La persona giusta per il bambino”. e non “UNA persona per UN bambino”...e questo ci è piaciuto molto.

Sono pienamente concorde che l’affinità, quando si tratta di un percorso di crescita a due, è fondamentale, nel caso di Matteo ma anche per qualsiasi tipo di i rapporto che sia amicizia, lavoro, amore e altro fra  individui.

La conoscenza con Cettina è stata motivante ed entusiasmante..

Il fatto di riconoscerle una serietà, maturità e tranquillità caratteriale sorprendente per la giovane età, ha pacato le mie ansie e mi ha proiettato con fiducia in questa nuova esperienza.

Il  primo giorno, l’approccio è stato intelligentemente  distaccato..  essere “invasi” non è piacevole per nessuno, tanto più per Matteo che ha bisogno dei suoi tempi e di un’ adattamento graduale.

Via via ho visto come sia lei che lui prendevano confidenza e si affiatavano, prima facendo giochi ripetitivi e metodici poi sentendoli parlare fra loro, complici di piccole cose che organizzavano insieme.

Tornando a casa mi è capitato di ritrovarli a fare la lotta sul letto, o accucciati dietro le piante.. o meglio, come dice Matteo “nascosti nella foresta”, o di trovarli a disegnare e colorare i personaggi dei  cartoni o semplici melanzane o carote o improbabili dinosauri, il tutto sempre con un coinvolgimento totale di mio figlio che, dal non voler neanche prendere più un colore in mano dopo l’esperienza dell’asilo, partecipava attivamente ad ogni attività.

Anche per me e  mio marito è stato un periodo più tranquillo rispetto ad altri.

Il fatto di vedere Matteo così sereno e felice ed avere in casa una presenza così dolce e preziosa, ci ha dato la sensazione che le cose stessero andando finalmente nel verso giusto.

Guardando loro giocare insieme, abbiamo imparato a farlo meglio anche noi, confrontandoci con Cettina e con il dottore Tribulato siamo cresciuti insieme “ridiventando bambini”.

Alla fine dell’esperienza, quando Cettina è andata via, io e  Matteo  siamo stati presi da un senso di  malinconia, lenita comunque dal fatto che, anche se non c’è più l’assiduità,  è rimasto l’intenso rapporto di amicizia, rispetto e confronto.

L’amore, l’attenzione, il silenzio per ascoltare e le parole giuste da sussurrare, la cura dei pensieri e del cuore, la dedizione all’unico bene che sono i nostri  figli... sono la terapia che il Dottore Tribulato ci ha indicato.

Il percorso sarà lungo..ma se Matteo riuscirà crescendo ad essere una persona non solo “come”, ma migliore per se stesso e per gli altri, è perché saremo riusciti  ad aggiungere vita al tempo ..e non tempo alla vita..

Con infinita gratitudine

La mamma di Matteo

 

Seguici sulla pagina del gruppo "Autismo" relazione - affettività - ambiente

 

 

 

LEGGI ANCHE GLI ALTRI ARGOMENTI CORRELATI

Efficacia del Gioco Libero Autogestito nel bambino con Disturbo Autistico

Le stereotipie e le resistenze al cambiamento nel bambino con Disturbo Autistico

Comunicazione linguaggio e interazione sociale nel bambino con Disturbo Autistico

La gestione del bambino autistico a scuola

Autismo e famiglia

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 1

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 2

Autismo trattato con il gioco libero autogestito

Autismo e scuola

 

Autismo e famiglia

Siamo consapevoli delle difficoltà e dei problemi che un bambino con questa sindrome provoca alla sua famiglia, ma siamo altrettanto convinti che la sua famiglia può far molto per aiutare il proprio figlio ad uscire da questa condizione. E se riesce a fare questo, i miglioramenti che avverranno non potranno che riflettersi positivamente su ogni componente  il nucleo familiare, innescando un circolo virtuoso del quale ogni membro: padre, madre, fratelli, nonni, potranno avere  grandi benefici.

 

Il primo consiglio che ci sentiamo di dare ai familiari è quello di essere pienamente consapevoli  della sofferenza del proprio figlio. Avere questa consapevolezza significa innanzi tutto non vederlo più come un bambino a volte assente, testardo, capriccioso, ritardato, inguaribilmente malato, da gestire da mattina a sera, cercando di limitare i suoi comportamenti a volte irritanti, collerici e aggressivi, altre volte di estrema chiusura. Avere questa consapevolezza significa non giudicarlo più come un bambino che compie gesti incomprensibili che fanno disperare tutti quelli che cercano un approccio nei suoi confronti. Avere questa consapevolezza significa non focalizzare la propria attenzione sui suoi sintomi ma sulla sua vita interiore, sui suoi sentimenti e sulle sue emozioni.

Le cause di questa sofferenza possono essere molteplici: vi può essere una fragilità di base del bambino difronte alle frustrazioni, può essere stata determinante  qualche caratteristica di personalità  di uno o di entrambi i genitori o delle persone che hanno avuto cura del bambino nei suoi primi mesi di vita; oppure possono aver inciso negativamente  gli eccessivi  impegni lavorativi, le malattie intercorrenti di uno odi entrambi i genitori o del bambino stesso, la conflittualità familiare, i lutti, e così via. Insomma qualcosa non è andato per il verso giusto nei primi mesi di vita del bambino per cui questi ha accumulato notevoli sofferenze e frustrazioni. E sono le reazioni e le difese che il bambino ha messo in atto per evitare di soffrire troppo che provocano  i suoi sintomi e non il contrario.

Pertanto al centro del nostro impegno dobbiamo mettere la diminuzione della sofferenza del bambino. Solo se questa diminuisce, diminuiranno i suoi sintomi che sono, in fondo, le manifestazioni di questa. E poiché è la sofferenza il punto nodale  del problema i genitori con l’aiuto degli specialisti devono cercare tutti i mezzi e tutte le strategie per riuscire a diminuirla. Per fare questo bisogna necessariamente modificare molti dei comportamenti di ogni membro della famiglia.

  1. Intanto è importante evitare di lasciarsi opprimere dai sensi di colpa in quanto spesso gli errori che si fanno sono inconsapevoli, pertanto è inutile recriminare. Com’è altrettanto inutile, oltre che dannoso, accusarsi a vicenda. Le accuse reciproche: del marito verso la moglie e viceversa, dei genitori verso i nonni e viceversa, hanno soltanto il potere di bloccare ogni familiare nella sua crescita rendendo vano ogni intervento.
  2. Il secondo momento importante non può che essere una sostanziale modifica del rapporto che si è avuto in passato con il bambino. Sebbene i genitori non abbiamo particolare e specifica formazione crediamo che anche loro possono cercare di seguire le poche essenziali regole del Gioco Libero Autogestito che brevemente ricordiamo:
 
 
  • ·         Riscoprire il bambino che sta in ognuno di voi così da porsi nei confronti del piccolo con grande empatia. Ciò vi permetterà di  capire meglio tutto ciò che fa piacere a lui, ciò che gli è indifferente e ciò che lo mette in ansia. In questo modo potete offrire a lui non solo parole affettuose ma anche e soprattutto comportamenti e azioni capaci di dargli sicurezza, serenità e gioia.
  • ·         Cercate di avere il massimo rispetto per le sue paure, per le sue fobie, per le sue ansie, per i suoi gusti, per le sue stereotipie o per tutti gli altri comportamenti che lui adotta, anche se possono sembrare strani e inusuali. Poiché è inutile e controproducente lottare contro i comportamenti che ci irritano e che non accettiamo, utilizziamo invece tutte la nostra fantasia per dargli il massimo del benessere psicologico riducendo al minimo le frustrazioni e gli stress.
  • Giochiamo a lungo con lui ai suoi giochi. Lasciandolo libero di trovare nell’ambito delle sua stanzetta o della sua casa gli oggetti che preferisce così che possa utilizzarli a modo suo senza essere oppresso da qualcuno che continuamente gli dice: ”Questo non si fa” “Questo non si dice” “Questo non è bello” “Questo è inutile” “Questo non è adatto a te”.
 
 
 
  • Poiché questi bambini  amano giocare con oggetti veri, come d’altra parte vorrebbero fare tutti i bambini se  solo i genitori glielo permettessero, non meravigliamoci se metteranno da parte il meraviglioso gioco elettronico comprato dai nonni e preferiranno, invece, divertirsi con l’acqua, con la carta igienica, con il nastro adesivo, con i fiori e la terra del balcone, con le pentole della mamma o con gli attrezzi di bricolage del papà.
  •  Ricordiamo a noi stessi, in ogni momento, che non è importante il tipo di gioco che egli fa, ma la possibilità di effettuarlo liberamente e con la piena partecipazione di mamma e papà  che hanno il compito non di controllori spietati pronti a bloccare ogni sua iniziativa ma di amici disponibili e felici di essere complici delle sue scoperte, del suo piacere e del suo divertimento.
  • Se avete la possibilità di portarlo in un bosco o in un prato, la qualcosa sarebbe veramente utilissima,  cercate di tenere a freno le vostre ritrosie e le vostre paure verso potenziali rischi dati dalla terra, dagli animaletti, dagli insetti e da eventuali cadute. Pertanto lasciatolo libero di scegliere con che cosa e come giocare assecondandolo fino in fondo, senza costringerlo a fare i giochi che voi preferite o che vi rendono più tranquilli. I limiti ai suoi giochi devono essere pochissimi.
 
 
  • Sforzatevi di comunicare con il vostro bambino più con i comportamenti ed i gesti che con le parole. Lui non ha alcun bisogno che gli diciate ogni momento che gli volete bene o che è lui è il vostro piccolo amore. Ha, invece, bisogno che gli dimostriate, momento per momento, giorno per giorno, che state lottando per il suo benessere.  Nel senso che in ogni momento ed in ogni giorno trascorso insieme il vostro sforzo ed il vostro impegno è teso a metterlo a proprio agio, divertendovi  insieme a lui, facendo insieme a lui le esperienze che egli propone.
  1. Poiché la sofferenza rende questi bambini molto reattivi e sensibile ad ogni gesto, ad ogni rumore, ad ogni situazione ai loro occhi e al loro animo, potenzialmente dannosa o rischiosa, misurate ogni evento e ogni realtà con il metro dell’emotività del bambino e non con il vostro.  Infatti, molte  cose che per gli adulti o per i bambini normali sono indifferenti o addirittura belle e accettabili per un bambino con queste problematiche possono essere fonte di turbamento, se non di paura e angoscia. Trovate allora per il piccolo, sempre ed in ogni momento la o le situazioni che più lo soddisfano,  che più avete constatato fanno diminuire la sua ansia, che più lo gratificano. Non  lasciatevi, quindi,  sedurre  e coinvolgere dalle mode del momento o dalle consuetudini sociali.

Facciamo qualche  esempio:

  • Poiché questi bambini vivono la realtà con angoscia, hanno bisogno che l’ambiente che li circonda sia un ambiente sereno e tranquillo nel quale vi siano pochi stimoli esterni e scarsi cambiamenti.
  • Giacché questi bambini si trovano più a loro agio con gli adulti che non con i coetanei, in quanto la maturità dell’età adulta  fa essere questi meno impetuosi, meno imprevedibili, meno irritanti e aggressivi e quindi più calmi e accettanti, lasciate che il rapporto con i suoi coetanei avvenga in un secondo momento, quando avrà acquisito maggiore serenità e quindi migliori e più efficaci capacità relazionali.
  • Essi non amano i luoghi nei quali vi sono troppi stimoli o stimoli troppo forti. Evitate pertanto di trascinarli nelle feste. Soprattutto evitate di far  subire loro le feste troppo rumorose e spesso caotiche organizzate a casa dei loro coetanei;
  • Se è la vostra famiglia che organizza una festa,  fate in modo che egli possa stare, se vuole, nella sua stanza, a giocare in compagnia di un adulto o di un bambino con il quale si è già stabilito un buon legame di fiducia e affetto reciproco. 
  • Altra attenzione è bene portare verso i rumori che li spaventano: gli spari dei mortaretti, i giochi d’artificio, i fastidiosi rumori dei giocattoli elettronici. È inutile aggiungere paure ad un bambino già tanto spaventato con il pretesto che deve abituarsi ad accettare tutto. Quando sarà più sereno e maturo, sicuramente lo farà.  
  • Evitate le strade  e gli ambienti troppo affollati in quanto in questi ambienti i bambini affetti da Autismo non si ritrovano a loro agio;
  • Poiché, più degli altri bambini, odiano grida e contrasti tra i familiari in quanto provocano in loro molta insicurezze e paure, cercate in tutti i modi di evitarli.  Il primo dovere di ogni genitore è quello di dare ai figli un clima familiare tranquillo, affettuoso, dialogante e reciprocamente comprensivo, ricordatevi, allora, che il sistema migliore per risolvere i problemi e i conflitti nell’ambito della coppia e della famiglia non sono le accese discussioni nelle quali, alla fine, ognuno rimane della sua posizione. Il sistema migliore risiede, oltre che in tanta pazienza ed in tanta comprensione, in una buona terapia di coppia o di famiglia. Nel caso in cui, però,  vi fosse lo stesso un argomento di cui volete discutere ma temete che saranno usati dei toni accesi fatelo in un luogo lontano dal bambino,  così che non possa né avvertire, né sentire la tensione che, inevitabilmente in queste occasioni si innesta tra gli adulti.
  • Poiché, come abbiamo detto alcuni suoi problemi sono, almeno in parte,  dovuti a caratteristiche psicologiche dei genitori e o di qualche familiare: ansia eccessiva, atteggiamenti ossessivi e compulsivi, depressione, aggressività, difficoltà nella capacità di ascolto e comunicazione, se ritenete di avere problematiche tali da rendere difficile il vostro rapporto con il bambino, affrontate i vostri problemi psicologici con un buon psicologo o psichiatra piuttosto che continuare a soffrire: voi, i vostri figli e gli altri familiari. 
    • La società moderna spesso vi spinge a dei ritmi frenetici difficilmente compatibili con il vostro benessere individuale e con le relazioni che è necessario instaurare ogni giorno con vostro marito, vostra moglie o con i figli. Impegnatevi, quindi,  a vivere con ritmi più lenti e distesi ogni momento della vostra giornata.
    •  Se vi accorgete, dopo qualche giorno,  che la terapia o l’attività,  qualunque essa sia, che vi è stata consigliata dai vari medici specialisti, è scarsamente o per nulla accettata dal bambino, abbandonatela senza rimpianto.  Spesso il problema del rifiuto non sta tanto nel tipo di terapia o di attività ma in chi la applica e in chi la deve accettare. Per cui lo stress o la frustrazione nell’effettuare una terapia o un’attività  potenzialmente utile, ma poco accetta, rischia di annullare ogni potenziale beneficio.
    • Una particolare attenzione è bene, inoltre, porre ai programmi televisivi, ai video giochi e alla navigazione in Internet. Spesso questi bambini utilizzano questi strumenti elettronici in modo eccessivamente ripetitivo e coattivo è giusto, pertanto, limitarne l’uso, offrendo delle alternative più interessanti e coinvolgenti. 
    • Poiché può risultare patogeno anche un  normale ambiente di classe. In quanto questo tipo di ambiente è quasi sempre troppo numeroso, vociante e con troppi stimoli, per cui non è adeguato a questi bambini che hanno, invece, bisogno, almeno inizialmente, di un ambiente silenzioso, tranquillo, ovattato con pochissimi stimoli esterni, è bene accordarsi con la scuola affinché il bambino sia inserito  in un locale silenzioso e tranquillo con tanti giocattoli che lui può utilizzare e gestire liberamente come meglio crede sostenuto da un insegnante disposto a partecipare con gioia ai suoi giochi. E solo dopo, quando l’insegnante avrà chiaramente notato che la sua maturazione affettiva e la sua serenità interiore sono notevolmente migliorate il docente potrà  inserire accanto a lui altri adulti e altri bambini con i quali è possibile stabilire o si è già instaurata  una buona intesa reciproca. 
    •  

 

Seguici sulla pagina del gruppo "Autismo" relazione - affettività - ambiente

 

 

LEGGI ANCHE GLI ALTRI ARGOMENTI CORRELATI

Efficacia del Gioco Libero Autogestito nel bambino con Disturbo Autistico

Le stereotipie e le resistenze al cambiamento nel bambino con Disturbo Autistico

Comunicazione linguaggio e interazione sociale nel bambino con Disturbo Autistico

La gestione del bambino autistico a scuola

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

Esperienza di una madre con un figlio autistico ad alto funzionamento durante la terapia del gioco libero autogestito

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 1

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 2

Autismo trattato con il gioco libero autogestito

Autismo e scuola

Autismo trattato con musicoterapia

Dott.ssa Giuliana Galante Musicoterapeuta  E-Mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  Cell. 3476655657

 Blog: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/Foto3644.jpg

 

 

 

G. è un bambino di 8 anni affetto da Autismo Primario. Il bambino ha svolto un percorso terapeutico musicale, iniziato il 16 Dicembre 2008 e concluso il 2 giugno 2009.

 L’aspetto centrale per il funzionamento dell’intervento terapeutico è stato rappresentato dall’accoglienza dell’utente fino alla presa in carico con la consegna della diagnosi, così da poter definire il percorso successivo.

Dall’analisi della domanda e della richiesta si sono osservati dei cambiamenti importanti che hanno riguardato l’aspetto sociale, la prossemica e lo sviluppo di tutta l'area musicale/vocale.

Negli ultimi 3 mesi il bambino ha partecipato agli incontri in modo individuale, eccetto alcuni interventi che richiedevano la partecipazione dell’insegnante di sostegno. Quest’ultima figura, che si è mostrata propositiva e collaborativa, all’inizio del percorso era necessaria per agevolare le esperienze musicali di G., soprattutto nei momenti di frustrazione.

La metodologia utilizzata è stata “centrata” sul paziente, dall’ascolto passivo all’esplorazione degli strumenti, fino ad arrivare gradualmente all’accompagnamento sonoro, lavorando solo nell’ultima parte delle sedute sul movimento e sulla coordinazione.

I momenti individuali sono stati importanti per stabilire il rapporto e la comunicazione in modo non verbale tra PZ/MT, dove il linguaggio per comunicare era quello dei suoni nelle diverse manifestazioni: suono/ritmo, vocalità/movimento.

Dalla fase di “ascolto/accoglienza” è stato possibile osservare i vari modi di vivere l’esperienza del bambino e la transizione dallo spazio armonico interiore, dal non-dicibile, non ascolto, verso la manifestazione delle sue emozioni e dei suoi sentimenti attraverso l'espressione musicale.

Le sedute sono state integrate con momenti di Arteterapia durante i quali si è svolto un lavoro di ricostruzione di strumenti musicali, ricomponendo e incollando le diverse parti disegnate su cartoncino e riportando gli strumenti "assemblati" su una bacheca a scuola, così da poterli riutilizzare durante gli incontri successivi.

Si tratta di strumenti presenti nell'aula, che il bambino conosce. Lo scopo di questa esperienza è favorire il riconoscimento dello strumento suonato nel corso della seduta tra quelli riprodotti nella bacheca, ripetendo il nome a voce alta, come associazione verbale.

 

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/Foto4001.jpg

 

Osservazioni Partecipanti:

Negli ultimi 3 mesi, il bambino ha manifestato un interesse maggiore verso strumenti di legno, come le nacchere e le maracas, e un'attrazione particolare per il tamburo di pelle, mostrando un'attivazione emotiva evidente nel passaggio dall’uso della bacchetta al battito della mani. Durante le sedute ha espresso la voglia di comunicare attraverso il contatto fisico e la ricerca dello sguardo.

Si è mostrato interattivo col gruppo classe e nei momenti di musicoterapia d’insieme, sia all’interno della sua classe che in sezioni diverse. E’ stato partecipativo nei momenti di piccolo gruppo e ha iniziato a imporsi sulle attività proposte, accettandole o rifiutandole in modo chiaro. I livelli di frustrazione sono migliorati, rispetto agli incontri iniziali, in cui manifestava rabbia se la proposta musicale era dissonante col suo stato d‘animo, ha sviluppato un buon adattamento anche ai brani in tonalità minore, accettandoli passivamente o reagendo attivamente, ad esempio spegnendo lo stereo o prendendo un altro cd da inserire.

Dal punto di vista della prossemica è dinamico, non trascorre più tempi morti alla finestra e si è abituato allo spostamento in aule diverse, anche in più ambienti nella stessa mattina.

E’ solare dal punto di vista dell’espressione del viso, mostra meno tensione e tende a tenere aperti gli occhi per quasi tutto il tempo dalla seduta.

Ha iniziative personali e propone cd o strumenti di suo gradimento. Si è abituato alle routine spezzate, ha acquisito fluidità nei movimenti (giochi motori- momenti di ballo) e ha abbandonato le posizioni statiche alla finestra o sul tappeto morbido. Attraverso il lavoro musicale e il canto ha sviluppato nuove lallazioni abbandonando i suoni striduli e gutturali, segue i brani e intona le strofe. Si è abbassato il livello di tensione corporea e ciò si nota soprattutto a livello dei lineamenti del viso.

Si propone di proseguire il lavoro terapeutico in termini espressivi e di stimolazioni dal punto di vista sensoriale.

 

 

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/Foto4054.jpg

 

 

 

 

Modena, 09 giugno 2009

 

 

 

 

 

Diagnosi: Disturbo Pervasivo dello sviluppo- Disturbo Autistico

 

Dott.ssa Giuliana  Galante -  Musicoterapeuta 

 Mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  Cell. 3476655657


 

Utente: G.

Anni: 8



Organizzazione degli incontri: Martedi 

Durata:    Dicembre ‘08 – Giugno ‘09

L'intervento di Musicoterapia è stato richiesto dalla famiglia.

Di seguito si elencano gli obiettivi relativi al projectwork.


Obiettivi


    Osservazione dello strumentario

    Scoperta dello strumento musicale come mezzo espressivo

    Tradurre costantemente i contenuti musicali in ambiti e codici espressivi diversi in modo graduato, a seconda della complessità dell’attività:


    Corpo

    Voce - stimoli Vocali

    Strumento

    Ampliare i canali di comunicazione/ socializzazione   coi pari attraverso esperienze sonoro- vocali

    Aumentare il tempo all’interno della sezione

    Creare un  gruppo coi pari per brevi momenti di  incontro (giochi sonoro- musicali) fuori dalla sezione  in momenti non didattici

    Favorire l’interesse del linguaggio sonoro-musicale

    Rafforzare i tempi e il livello di attenzione

    Favorire gli atteggiamenti  emotivi e le  capacità di socializzazione


Premessa

    G.  è un bambino affetto      da    Disturbo   pervasivo dello Sviluppo, nella sua forma più grave, ovvero l'Autismo.
    Frequenta la classe  seconda   elementare, ha il sostegno scolastico coperto per tutte le ore.
    E' stato seguito dalla famiglia sin da piccolo, appena è stata realizzata la diagnosi.
   Dal 16  dicembre  2008 ha intrapreso con frequenza settimanale la seguente  attività abilitativa:
 un   incontro di Musicoterapia il martedi mattina a scuola  dalle ore 9:00  alle 10:00.
   E' un bambino affettuoso,  abituato a stare assieme ad altre persone, abituato ad abbracciare e dare dei baci, m anche a riceverli; talvolta,  soprattutto nei contesti che sono per lui nuovi  si mostra  agitato e  iperattivo  .
Una caratteristica  di G.  è il comportamento 'insistentemente ripetitivo' o 'insistentemente perseverante. Diventa estremamente insistente sulle routine; all’inizio del percorso (per i primi 2  incontri) portava   con se una bottiglia di plastica vuota, abitudine modificata  negli incontri successivi.
     Un aspetto  su cui lavorare e  modificare in itinere è  l’incremento del tempo di permanenza   all’interno della sezione, per poi raggiungere a lungo termine l’obiettivo della socializzazione  con gruppo classe.
    G. trascorre    molto tempo fuori dalla sezione  con l’insegnante di sostegno, in una sala mensa, posizionandosi  alla finestra  nell’angolo della stanza,  non guarda fuori,  tiene  gli occhi chiusi  ed  emette dei  vocalizzi lunghi,  simili ad  un lamento continuo, che inizia con  un verso stridulo  fino a diventare   cupo e grave.
 Una possibilità  è lavorare assieme all’insegnante di sostegno a cui G. è molto affezionato.
   E' importante per lui   svolgere l'attività musicale come un momento di  accoglienza e di libera espressione del suo mondo, in modo che si senta accettato durante   gli incontri  di Musicoterapia  in maniera globale, con l'aggiunta  graduale del movimento, la pratica  strumentale centrata  sull'ascolto.

Strumenti e Metodi

    Gli incontri sono previsti in classe, nella sala di musica, alternando  gli spazi per rompere le routine, con momenti  all’interno della  classe  adibita per il bambino, con tappeti morbidi e alcuni dei suoi giochi, tra cui un peluche di Winnie the Pooh, il suo orsetto preferito.
   Si propone  un setting strutturato ma dinamico,  una disposizione  circolare dello spazio- strumentario , in cui possa muoversi liberamente e riconoscerlo come familiare, facilitante la libera espressione, una relazione terapeutica gratificante e un Metodologia  direttiva.

   Per ottimizzare il lavoro si  procede dal generale al particolare, creando una situazione- gioco  vicina  al suo  spazio senza violarlo, un’ attivazione  passivo- recettiva  fino a renderla attiva, con momenti  circolari  in cui partecipano  i compagni di classe, e la sorella, che frequenta la classe 5 elementare nella stessa scuola.

    Per integrare il suo campo di esperienza  sono proposte attività ritmiche  e di movimento, con variazioni graduali, attività ludico musicali e proposte che consentono di sviluppare le abilità musicali pregresse e di imparare ad esprimersi con l’uso di diversi linguaggi. L’ approccio espressivo stimola gli aspetti affettivi, psicomotori, sociali e cognitivi.
Inoltre è prevista la pratica di semplici strumenti musicali non convenzionali con materiali di diverso tipo che favoriscono gli aspetti Sinestesici.

Ecco una esperienza vissuta legata a un incontro che  ritengo importante, in quanto oggi sono state superate delle barriere emotive  rilevanti.
“Oggi arrivo a scuola, G. è in classe, sta giocando con degli incastri, mentre compone la torre i compagni applaudono,  appena mi vede viene incontro a me con l’I. S. , visto che c’è una bellissima giornata  di sole andiamo in giardino.
Ho la chitarra in mano, G. le indica con la mano e mi fa andare avanti verso le scale che ci portano in giardino.
Il bambino è sereno, ha i lineamenti del viso distesi,  sorride  mentre andiamo su una panchina a sederci, apro la custodia e inizio a suonare  qualche corda.
Ad ogni  suono pizzicato G. mi risponde battendo 5 volte, continuo e lo porto  con la mano sulle corde, mi guarda e si continua a suonare, dopo circa 10’ andiamo vicino allo scivolo, il bambino si avvicina ma non sale sopra. Canto e suono per lui sillabando il nome  della sorella, c’è da parte sua una corrispondenza vocale su  3 sillabe, proseguo con il termine mamma, mi guarda in silenzio. Trascorsi circa 30’ andiamo nella classe della sorella, propongo di cantare insieme. Ci sediamo tutti e 3  sul pavimento e M. canta una canzone dell’ultima recita a scuola, non guarda suo fratello in viso, e G. non alza lo sguardo, tra i due non c’è alcun contatto.
Per creare un ponte propongo a M. di cantare Fra Martino,  (a lei non piace), allora avvicinandomi verso G. inizio a cantare la prima strofa.
G.    tocca la chitarra  battendo sulla cassa armonica, nel momento in cui si giunge al Din Don Dan M. si avvicina alla chitarra, batte 3 volte e G. alza lo sguardo verso di lei.
    E’ la prima volta che cerco di creare un ponte di ancoraggio tra i due, dal prossimo incontro ci sarà sempre un momento di gruppo  con la sorella e un compagno della sezione.
Torniamo al piano superiore, nella classe di G. che è un aula inutilizzata adibita con dei materiali e giochi solo per lui, ascoltiamo del jazz, lento, brani classici.      Prendo   degli   strumenti, li  dispongo  sul  tappeto centrale , metalli(triangoli), corde, il telo morbido, oggi G. è proiettato   al legno, legni e  grattugia,  ma proprio per questo non li usiamo.
    suoniamo sui brani, in modo graduale  cresce il volume, l’intensità, i suoni acuti e i volumi alti lo infastidiscono, mette le mani sulle orecchie, quindi  abbasso il volume  a un volume medio.
Sui  brani ascoltati  canto  una lallazione , armonizzando la melodia, G. completa  le mie frasi con lo stesso motivo, più volte, inizia con un volume basso, e arriva a definire il fraseggio lallato.
Prima della fine dell’incontro  riprendo la chitarra suono il giro armonico che introduce  la canzone della mani,  che anticipa il saluto  finale.


Luogo e Data:

Modena, 17 febbraio 2009

Dott.ssa Giuliana Galante
Specializzata in Musicoterapia

 

 

Seguici sulla pagina del gruppo "Autismo" relazione - affettività - ambiente

 

 

 

LEGGI ANCHE GLI ALTRI ARGOMENTI CORRELATI

 

Efficacia del Gioco Libero Autogestito nel bambino con Disturbo Autistico

 

Le stereotipie e le resistenze al cambiamento nel bambino con Disturbo Autistico

 

Comunicazione linguaggio e interazione sociale nel bambino con Disturbo Autistico

 

La gestione del bambino autistico a scuola

 

Autismo e famiglia

 

Il sorriso, lo sguardo e l'apparente socievolezza di Giacomo mascherano una Sindrome Autistica

 

L’evoluzione del piccolo Matteo, affetto da autismo, mediante la terapia del Gioco Libero Autogestito

 

Esperienza di una madre con un figlio autistico ad alto funzionamento durante la terapia del gioco libero autogestito

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 1

 

Disturbo generalizzato dello sviluppo e gioco libero autogestito 2

 

Autismo trattato con il gioco libero autogestito

 

Autismo e scuola

 

Sottocategorie

 

In questa sezione troverai molti articoli riguardanti questa patologia.

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/voglia%20dui%20crescere%20immagine%20iniziale.003.jpg

 

Il più importante programma di stimolazione logica e cognitiva: oltre 9.000 schede, per un totale di 27.000 prove-stimolo, distribuite in undici livelli, uno per ogni età mentale o cronologica.

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ADULTI/Diapositiva45.JPG

Tanti idee e suggerimenti per i bambini disabili.

 

 

 

Conosciamo meglio i nostri bambini.http://www.cslogos.it/uploads/images/BAMBINI/Diapositiva32.JPG

 

 

 

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ADULTI/Diapositiva3.JPGIn questa sezione sono raccolte le esperienze più significative effettuate dagli operatori e dai genitori, che sono state fatte pervenire al Centro Studi Logos di Messina

 

 

Centro Studi Logos

Diamo ai bambini un grande impulso all'apprendimento, per tutta la vita!

Entra a far parte del nostro Centro per dare sostegno ai bambini e le loro famiglie.
© 2024 Centro Studi Logos. Tutti i diritti riservati. Realizzato da IWS

Seguici

Image