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La gestione del bambino autistico a scuola

Relazione presentata il 02/04/2012 dal dott. Emidio Tribulato presso il Centro sociale "Papa Giovanni Paolo II" in occasione della giornata mondiale dell'autismo. 

 

 

La gestione di un bambino affetto da disturbo dello spettro autistico in ambito scolastico, se paragonata alla gestione degli altri handicap, è forse la più complessa e difficile.

Da una parte possiamo avere un bambino che vive in maniera lacerante un’intensa sofferenza interiore fatta di paure, ansie, insicurezze, tensione, irrequietezza, confusione. 

Un bambino che spesso nei casi più gravi non parla o peggio grida e ride scompostamente. 

Un  bambino che non comunica o comunica male e non si integra con gli altri coetanei nei giochi e nelle attività che vengono di volta in volta proposti nella classe e a scuola. 

Un bambino che spesso attua dei comportamenti disturbanti, se non chiaramente sconcertanti in quanto si innervosisce per un nonnulla, per ore gioca allo stesso gioco e con gli stessi oggetti, saltella da una parte all’altra della classe, si fa del male o aggredisce gli altri bambini, ride senza costrutto. 

Un bambino estremamente sensibile a ogni stimolo eccessivo, che si spaventa facilmente quando nel suo ambiente sono presenti rumori, confusione e grida. Un bambino che ha una enorme sfiducia negli altri. Sfiducia che lo porta ad avere notevoli difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sia con gli adulti sia, soprattutto, con i coetanei dai quali, tra l’altro, si sente poco accettato a causa del suo comportamento “strano” ed imprevedibile. 

Un bambino emotivamente molto fragile anche di fronte alle minime frustrazioni per cui non accetta di sbagliare, non sopporta di essere rimproverato o ripreso, mentre i cambiamenti facilmente scatenano o accentuano le sue paure ed ansie. 

Dall’altra abbiamo un’istituzione, la scuola che ha determinate regole indispensabili per il suo buon funzionamento. Vi è un’istituzione che ha dei bisogni imprescindibili di ordine e disciplina, che si pone dei precisi obbiettivi, che usa strumenti pedagogici  tarati soprattutto per una fascia di bambini “normali”.

Una scuola che ha delle richieste esplicite nei suoi confronti:

  • amerebbe che egli restasse nella sua classe con gli altri bambini allo scopo di facilitare la socializzazione, ma l’ambiente classe con troppi bambini, con troppi rumori con eccessive sollecitazioni, accentua la sua tensione interiore;

  • desidererebbe che lui avesse fiducia negli insegnanti, ma sappiamo che questi bambini hanno scarsa fiducia in ogni essere umano e, soprattutto, hanno timore delle persona non familiari;

  • vorrebbe che lui apprendesse, mentre spesso questi bambini hanno gravi difficoltà ad apprendere;

  • aspirerebbe a che lui dialogasse e socializzasse con i coetanei, mentre sappiamo che per le sue note difficoltà relazionali gli altri bambini gli creano ansia e tensione;

  • vorrebbe che egli potesse accettare le norme e regole della classe  e della scuola, ma ogni norma e regola viene vissuta da questi bambini come un’imposizione e una violenza.

 

Pertanto se la scuola vuole essere di vero aiuto ai bambini affetti da disturbi della sfera autistica deve necessariamente proporsi obbiettivi diversi da quelli soliti, deve necessariamente attuare delle modalità di gestione alternative a quelle che solitamente attua.

Gli obiettivi.

Per quanto riguarda gli obiettivi al primo posto la scuola deve porre il miglioramento della serenità interiore.

Il secondo obiettivo deve riguardare la ricerca di una maggiore fiducia di questo bambino negli altri e nel mondo.  

L’obiettivo didattico non può che venire in un secondo momento, quando questo particolare allievo ha superato le sue ansie, le sue paure, le sue notevoli difficoltà psicoaffettive e relazionali.

Una maggiore serenità interiore.

Per ottenere una maggiore serenità interiore abbiamo la necessità di creare attorno al bambino affetto da autismo un ambiente particolarmente ovattato, silenzioso, tranquillo, sereno. In quanto per questi bambini molto sensibili può risultare patogeno anche un  normale ambiente di classe.

Poiché l’ambiente della classe è, per questi bambini troppo rumoroso e presenta troppi stimoli a causa del numero degli allievi, l’ideale, almeno inizialmente, sarebbe inserire il bambino con tali problematiche in un locale ampio, ben illuminato, ma silenzioso e tranquillo, con un unico operatore adulto particolarmente disponibile e capace di ascolto.  Solo successivamente, quando avremo chiaramente notato che la sua maturazione affettiva e la sua serenità interiore sono molto migliorate, potremo inserire accanto a lui, ma con molta gradualità, prima altri adulti e poi altri bambini con i quali poter stabilire una buona intesa reciproca.

 

In questo locale ovattato metteremo molti giocattoli con caratteristiche e finalità diverse in modo tale che il bambino utilizzi quei materiali e quei giochi che ritiene, in quel momento, più adatti alle sue esigenze. 

Il gioco.

 

Ricordiamo che il gioco rappresenta la strada maestra per la crescita di ogni essere umano, in quanto il gioco è per ogni bambino:

  • piacere e godimento di esperienze fisiche e affettive

  • strumento di esplorazione e conoscenza: del proprio corpo e del corpo degli altri, degli oggetti inanimati, del mondo che lo circonda e della natura

  • esplorazione e conoscenza delle emozioni e dei sentimenti;

  • stimolo allo sviluppo motorio e intellettivo. Mediante il gioco il bambino stimola e sviluppa il suo pensiero, la progettualità, l’agilità, la forza, la memoria, la coordinazione occhio-mano, la spazialità;

  • veicolo privilegiato di comunicazione e socializzazione. Con il gioco il bambino allarga il contesto delle sue relazioni; apprende a comunicare più efficacemente con gli altri. Comprendendo il punto di vista di chi ha di fronte, diventa consapevole dei suoi sentimenti e dei suoi bisogni. Impara l’importanza delle regole e la loro accettazione;

  •  mezzo per lo sviluppo della creatività e della fantasia;

  • mezzo per contattare e controllare le proprie emozioni. Giocando il bambino riconosce la gioia della vittoria, il sapore bruciante della sconfitta, il calore dell’amicizia, dell’affetto e dell’amore. Impara ad affrontare i piccoli contrasti e le tensioni che si avvertono nel rapporto con se stessi e con il prossimo. Allorché assume la veste di gioco simbolico, drammatico, di ruolo e di finzione assolve, attraverso rituali iterativi e meccanismi di identificazione e di proiezione, ad una preziosa funzione liberatoria e terapeutica, esorcizzando paure e angosce e liquidando impulsi aggressivi, distruttivi e vissuti di ostilità;

  • palestra per l’autonomia personale e sociale;
  • occasione per rafforzare la volontà. Molti giochi di pazienza, di costruzione, competitivi e di squadra, plasmano il carattere e servono ad instaurare un progressivo controllo sulle proprie emozioni e pulsioni;
  • opportunità per recuperare un contatto con la natura. Il rapporto diretto con questa è fondamentale nello sviluppo dei minori, come degli adulti. Per milioni di anni l’essere umano si è sviluppato attraverso il contatto con la terra, con i fiori e i frutti delle piante, con la vivacità e l’amore degli animali, con le acque dei fiumi e dei ruscelli.

Metteremo, allora, nella stanza del bambino affetto da disturbo autistico giocattoli e materiali, così che possa eventualmente effettuare  svariati tipi di giochi: sensomotori, di costruzione, imitativi, di abilità, rappresentativi, compensativi, immaginativi, di acquisizione  e così via. 

 

Non trascureremo, quindi, oggetti e materiali naturali come il legno, la sabbia, la creta, l’acqua. Materiali questi dei quali questi bambini sono particolarmente attratti. Non mancherà, naturalmente, del materiale didattico specifico adeguato al livello di conoscenze del bambino.

 

 

 

 

Maggiore fiducia negli altri e nel mondo.

Dopo aver creato attorno al bambino un ambiente particolarmente sereno e tranquillo abbiamo il compito di realizzare con lui un rapporto particolare fatto di fiducia, stima e affetto reciproco.

Per fare ciò abbiamo bisogno di rispettare al massimo ogni sua esigenza e bisogno. Nello stesso tempo abbiamo il dovere di tenere in debito conto il suo mondo interiore nel quale, come abbiamo detto, si intrecciano in maniera convulsa irritabilità, sentimenti aggressivi, paure, ansie, inquietudini. Sentimenti ed emozioni questi che lo confondono e lo spaventano.

Potremo fare ciò solo se lasceremo che sia lui, di volta in volta, a scegliere, inventare e portare avanti il gioco o l’attività preferita.

La terapia del gioco libero autogestito.

 

 

 

La migliore modalità di gioco che abbiamo sperimentato con i bambini seguiti dal Centro studi Logos di Messina è quella del gioco libero autogestito.

 

 

 

1.     Giochi guidati. In questo caso i genitori, gli insegnanti o altri  adulti, in base agli obiettivi che si propongono, utilizzando strumenti e metodologie particolari guidano il gioco dei bambini così da ottenere determinati risultati.

 

2.     Giochi liberi. In questo caso i bambini sono totalmente indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono soltanto delle norme e delle regole che essi stessi si danno giorno per giorno, momento per momento.

 

 

 

Inoltre i giochi possono essere gestiti alternativamente da entrambi i partecipanti o da uno solo di essi (gioco autogestito). In questi casi è bene che sia solo il bambino a noi affidato a condurre il gioco e, se durante l’attività egli ci coinvolgerà o accetterà il nostro supporto, il nostro compito sarà soltanto quello di aiutarlo a realizzare il suo gioco e non il nostro. In conclusione sarà lui il leader e noi i gregari.

 

 

 

 

I motivi di questo inusuale approccio che però, per la nostra esperienza, riesce a conseguire importanti e stabili risultati positivi, sono essenzialmente due:

1) innanzitutto se siamo noi a scegliere, data la estrema sensibilità di questi bambini, è molto facile sbagliare e sbagliando non solo non miglioreremo la sua condizione ma rischieremo di accentuarla. Se, invece, lasceremo la scelta a loro la possibilità di errore si annulla;

2) questi bambini, come abbiamo già detto, sono estremamente sensibili alle frustrazioni e spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno in quanto sono anche molto diffidenti e reattivi nei confronti degli altri esseri umani. Pertanto ogni nostra iniziativa, anche la più lodevole rischia di bloccarli e disturbarli, mettendoli in ansia o facendo aumentare di molto la loro ansia e le loro paure che già sono a livelli altissimi.

Per evitare di peggiorare il loro mondo interiore e il difficilissimo rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani limitiamoci, quindi, soltanto a collaborare attivamente ai loro giochi, anche se possono sembrarci ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio crudeli e perversi.

Evitiamo  di proporre i nostri giochi anche se questi, ai nostri occhi, potrebbero essere giudicati più intelligenti, più utili, più ricchi di valenze educative, più costruttivi, più interessanti e vari.

Il motivo è semplice: se lo stimoliamo eccessivamente o peggio lo costringiamo a partecipare alle attività da noi scelte,  rischiamo di confermare ai loro occhi la difficoltà e l’incapacità che hanno gli adulti nel capirli, nell’accettarli e nel rispettare i loro bisogni e le loro difficoltà.  

Per essere ancora più espliciti e chiari, se il gioco del bambino che stiamo seguendo in quel momento  consiste nel lanciare  in aria i giocattoli, per poi calpestarli quando sono a terra, aiutiamolo a sfogare così la sua rabbia e il suo bisogno aggressivo e distruttivo porgendogli i giocattoli da buttare in aria e calpestare e, perché no, facciamo anche noi il suo stesso gioco ridendo insieme a lui.

Se vediamo che egli colpisce con forza una bambola con le mani o con una racchetta da tennis, non solo dobbiamo riuscire a non scandalizzarci per l’apparente crudeltà, ma dobbiamo poter capire come aiutarlo ad esprimere al meglio la sua aggressività fornendogli se possibile altre bambole da colpire, così che possa finalmente esprimere e sfogare pienamente la sua collera repressa.

Se riesce a liberare la sua aggressività e distruttività colpendo uno scatolo con un tagliacarte, forniamogli molti “nemici scatoli” da infilzare.  

Questi bambini, in definitiva, non sono bambini da educare ma da liberare.

Liberare dalle loro paure, dalle loro angosce, dall’aggressività repressa, dai sensi di colpa, dalla rabbia accumulata in anni di sofferenza.

 

 

 

 

La comunicazione.

Se riusciamo ad instaurare questo tipo di relazione ci accorgeremo molto presto del loro grande desiderio di comunicare.

Anche in questo caso però, abbiamo il dovere di accettare in modo pieno ed incondizionato il loro modo di comunicare senza mai imporre il nostro.

Ciò non è così semplice come sembra. Anzi è talmente difficile che spesso siamo disposti ad applicare tutti i tipi di terapie nei loro confronti: logoterapia, ippoterapia, psicomotricità, delfinoterapia, terapia occupazionale, terapia del comportamento, ecc.. ma non siamo disponibili ad attuare un dialogo che tenga conto dei loro desideri,  dei loro bisogni e delle loro esigenze.

Questo tipo di dialogo è difficile in quanto in ogni adulto che si confronta con un bambino, specialmente se questo adulto ha il ruolo di insegnante, tende a prevalere in modo deciso l’atteggiamento educativo.

Quest’atteggiamento è tanto più eclatante nel rapporto con un bambino affetto da disturbo autistico. 

  • Se le  sue parole o i suoi gesti inconsulti, inusuali e stereotipati ci mettono in imbarazzo ed in difficoltà davanti agli altri, cosa fare se non pregarlo di non comportarsi in questo modo, oppure minacciarlo, punirlo o bloccarlo, affinché smetta, una buona volta, di dire cose inutili o desista nel compiere quei gesti sempre uguali che ci esasperano e umiliano come genitori e come operatori?

  • Se egli non ci guarda direttamente negli occhi. 

    Questo suo atteggiamento ci umilia, ci  confonde, ce lo fa sentire lontano, per cui cercheremo di fare la cosa che ci sembra più giusta e corretta che può essere quella di stimolarlo in ogni modo a guardarci, interpellandolo o mettendoci davanti a lui.

  • Se non accetta il contatto con il nostro corpo e non si fa abbracciare

    o, peggio, non vuole che sia toccata la sua mano, come dimostragli il nostro amore se non stringendolo di più a noi?

  • Se non parla,

    cosa fare se non insegnargli a parlare?

  • Come accettare poi che egli si faccia volontariamente del male?

    Che sbatta la testa nel muro? Che si dia pugni nel viso o nel corpo? Che si laceri la pelle con le unghie? Che si morda le dita? Che sbatta i giocattoli o le bambole al muro? In tutti questi casi è istintivo e ci sembra anche logico e consequenziale rimproverarlo o fargli capire in maniera a volte delicata, altre volte, quando siamo esasperati, in maniera brusca,  che “questi gesti non si fanno, che non è bello, che non è giusto, che i bambini buoni ed educati non fanno queste cose”. Ci sembrerà, pertanto, spontaneo ma anche logico intervenire, anche fisicamente, per togliere le mani dal suo viso o dalle braccia per evitare che si graffi: Ci sembrerà logico e naturale allontanarlo dalla parete su cui sbatte il capo o strappargli dalle mani la povera bambola che sta picchiando e sbattendo al muro senza apparente motivo.

  • Se parla, ma ripete in modo sgrammaticato le frasi che ha sentito dalla mamma o da altri adulti come trattenersi dal correggerlo e dal cercare di fargli pronunziare le frasi in modo corretto?

  •  E se ride quando non dovrebbe,

    in modo incongruo, sgangherato e senza alcun costrutto, come non cercare di correggerlo  perché manifesti la sua allegria nei modi e nei tempi opportuni?

  • Per non parlare delle attività didattiche.

    Se ha tre - quattro anni il nostro dovere ed impegno didattico ci porterà a cercare di fargli effettuare tutte le attività che possono preparare le sue mani e la sua mente al grafismo, alla lettura, al numero, al calcolo, alle relazioni spazio temporali e così via. Se ha compiuto cinque – sei anni ci sentiremo impegnati e responsabilizzati affinché apprenda la tecnica della lettura, della scrittura, individui e utilizzi i numeri e le quantità e, se possibile, conosca alcuni degli argomenti studiati nella sua classe di appartenenza.   

 

Purtroppo, tutti questi comportamenti che ci sembrano logici, spontanei e naturali non sono utili a questi bambini, anzi peggiorano il loro mondo interiore e quindi fissano ancor di più o accentuano i loro disturbi.

Dobbiamo riuscire a comportarci in modo diverso, molto diverso da come siamo di solito fare e da come istintivamente vorremmo operare.

1.      Possiamo riuscire in questo se pensiamo a questi come a dei bambini costretti a vivere giorno per giorno una grande sofferenza. Questa sofferenza li stimola a difendere il proprio Io dall’angoscia che potrebbe sommergerli, utilizzando strumenti primitivi di difesa, come possono essere la chiusura nei confronti del mondo esterno o l’uso di stereotipie. Per tali motivi non dobbiamo assolutamente essere noi a proporre il modo giusto di comunicare ma devono essere loro a scegliere di volta in volta i momenti e le forme più opportune di dialogo. Perché solo loro sanno quello che in quel momento si agita nel proprio animo e, quindi, solo loro conoscono ciò di cui hanno bisogno in un determinato momento e non noi.  

2.      Mettiamoci in ascolto del loro animo con grande empatia in modo tale da capire immediatamente ciò che fa loro piacere e ciò che li fa soffrire. Ciò che li libera e ciò che li limita o blocca.

3.      Rispettiamo il loro spazio psicologico e fisico. 

Anche questo atteggiamento e comportamento non è facile attuarlo in quanto vorremmo che questi bambini capiscano subito o comunque rapidamente che noi siamo loro amici, che gli vogliamo bene, che non abbiamo nessuna intenzione di far loro del male. Per raggiungere questo obbiettivo il modo migliore ci sembra quello di avvicinarci il più presto possibile al loro corpo, così che avvertano meglio i nostri sentimenti. Purtroppo, però, nel rapporto con questi bambini questo comportamento è errato in quanto, dall’altra parte, vi è tanta paura e tanta diffidenza. 

Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, limitiamo al minimo l’impatto che potrebbe avere sul loro animo la nostra presenza fisica, in modo tale che non l’avvertano mai e in nessun momento come invasiva. Inizialmente il posto migliore che possiamo scegliere è quello più lontano da loro, aspettando di capire quando è il caso di avvicinarci un po’ di più per collaborare al loro gioco. Ma se notiamo fastidio per questo nostro comportamento attendiamo con animo sereno, gioioso, disponibile e fiducioso che siano loro, dopo qualche minuto, qualche ora o qualche giorno a diminuire questa distanza fisica.

Nel momento in cui avranno più sicurezza in sé stessi, più fiducia in noi, più stima di noi, meno paura, sicuramente lo faranno. Si avvicineranno inizialmente utilizzando dei contatti apparentemente casuali o mediati da un oggetto o da un gioco, ma poi, gradualmente, ci faranno capire il loro desiderio di un contatto fisico più prolungato e coinvolgente.

4.      Evitiamo di porci come insegnanti. Di fronte a dei bambini che non parlano, non leggono, e,a volte, non conoscono o mostrano di non conoscere molti elementi culturali; di fronte a dei bambini che ai nostri occhi e al nostro metro di giudizio si comportano male o in modo non adeguato alle circostanze, siamo portati ad insegnare: a parlare, a comunicare, a ben comportarsi con gli altri e verso di noi.

Bisogna saper resistere a questa forte tentazione in quanto i bambini affetti da autismo non hanno nulla da imparare fino a quando non manifestano apertamente il loro desiderio di apprendere. Evitiamo allora di porci come l’insegnante di fronte all’allievo. Anche se siamo insegnanti; anche se loro sono nostri allievi; anche se sono stati inseriti a scuola per imparare; anche se la scuola è il luogo in cui si insegna ed in cui si apprende. 

L’imparare è l’ultima delle loro necessità e l’ultimo dei loro bisogni. Mostriamoci invece noi desiderosi di apprendere. 

  1.  Dobbiamo essere noi ad imparare ad amare il silenzio, in quanto questi bambini più di ogni cosa, cercano un ambiente silenzioso, tranquillo e sereno. Non c’è nulla che dia loro più fastidio del continuo vociare, mentre, al contrario, il silenzio li quieta. 
  2. Dobbiamo noi  imparare a non muoverci e agitarci troppo, in quanto i nostri movimenti, specie se bruschi, li disturbano e li spaventano.
  3. Dobbiamo noi imparare a restare alla giusta distanza da loro e a partecipare con gioia ai loro giochi.

Se siamo disposti a fare tutto questo. Se siamo disposti a stare zitti. Se siamo disposti a non programmare per loro nessuna attività e nessun gioco allora, dopo qualche settimana o, al massimo, dopo qualche mese, ci accorgeremo con immensa gioia che qualcosa di molto importante è cambiato nel mondo interiore di questi bambini.

Dal viso più disteso scopriremo che il loro animo è, ora, più sereno.

Dall’aumento dei momenti nei quali riusciamo ad essere in comunione con loro, dal maggiore attaccamento nei nostri confronti, ci accorgeremo che il muro che avevano creato per difendersi dagli altri si sta sgretolando gradualmente, mentre sempre più spesso e per un tempo maggiore, sono disposti a lasciare appesa al muro la corazza che li proteggeva dal “mondo cattivo”.  

Dopo qualche giorno o al massimo dopo qualche mese, noteremo che riescono più facilmente e per un tempo più lungo ad abbandonare le stereotipie, le ecolalie, le ecoprassie, l’auto ed etero – aggressività. Ci accorgeremo, in definitiva, che la maggiore serenità interiore acquisita permette loro di  ricominciare un graduale cammino di maturazione psicoaffettiva, mentre, insieme all’aumento della loro fiducia in noi, è anche aumentata la fiducia negli altri e nel mondo.

Solo allora noteremo la loro disponibilità ad accettare  delle piccole variazione ai loro giochi o addirittura ci accorgeremo che sono disponibili ad accogliere un gioco da noi proposto e a loro congeniale. 

Alla domanda che spesso ci viene fatta se vi devono essere dei limiti alla espressioni del gioco libero autogestito, la risposta che diamo sempre è che il solo limite che noi vediamo è quando il loro gioco o la loro attività comporta un reale, importante pericolo per  sé e per gli altri.

5.      Rispettiamo i loro tempi. I bambini affetti da autismo sono diversi l’uno dall’altro per composizione genetica, per i vissuti traumatici trascorsi, per il tipo di difese che hanno messo in atto, per il loro retroterra familiare, per la maggiore o minore gravità dei problemi psicoaffettivi presenti nel loro animo. Non possiamo allora immaginare dei tempi che siano uguali per tutti. A ognuno di loro dobbiamo permettere di seguire una propria strada. Senza mai forzare. Senza mai avere fretta di arrivare ad una meta da noi prefissata e programmata. Anche in questo caso essi hanno bisogno del nostro rispetto più che della nostra sapienza.

6.      Cerchiamo di modificare il loro ambiente di vita. Se l’insegnante riesce ad avere con questi bambini una relazione efficace come quella che abbiamo descritto si noteranno, come abbiamo detto sopra, in un periodo abbastanza breve, dei progressivi miglioramenti che però possono essere molto più importanti e rapidi se riusciremo anche a modificare qualche componente patogena dell’ambiente in cui questi bambini vivono. 

 

Per fare ciò dobbiamo analizzare e poi cambiare in meglio tutti i comportamenti e le situazioni che possono essere nocivi al loro sviluppo psicoaffettivo, sia che questi elementi ambientali patogeni si trovino nella sua famiglia, sia che siano attivi nella scuola o nei vari ambienti da loro frequentati. 

Nella loro famiglia possono costituire un grave elemento disturbante il conflitto genitoriale, gli eventuali disturbi psicologici dei genitori o familiari con i quali si trovano più in contatto, allo stesso modo può essere scarso o non adeguato ai loro bisogni il tempo trascorso con i genitori. Possiamo scoprire e modificare in modo positivo i ritmi frenetici a cui questi bambini sono forse sottoposti durante il giorno nell’effettuare le mille terapie proposte dai vari specialisti. Possiamo cercare di cambiare in meglio una gestione di questi bambini troppo oppressiva, se non traumatica a causa di continui rimproveri e frustrazioni. Possiamo,inoltre, cercare di diminuire un loro uso eccessivo della TV e dei video giochi così da lasciare più spazio al gioco libero e spontaneo

 

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Attività presenti nelle schede programmate

 

 

 

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> Leggo anch'io

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> I giorni della settimana

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> Quantità e numeri

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> Il doppio e la metà

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> Numerare per due - cinque - dieci

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> Numeri romani

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> Geometria e matematica

L'immagine “http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.> La grammatica

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF“LEGGO ANCH’IO”

 

Obiettivo di questo lavoro è quello di rendere la lettura accessibile a un numero il più vasto possibile di alunni. Sappiamo infatti che la lettura analitica, la quale implica la sintesi e l'analisi sillabica,  presenta delle difficoltà notevoli insite nei processi percettivi e logici che sottendono questo tipo di attività. Quando infatti il bambino si ritrova a leggere una sillaba, partendo dalla conoscenza delle consonanti e delle vocali, è costretto ad unire l'elemento fonico della consonante che, in qualunque modo la si pronunci viene avvertita sempre come unita ad una vocale, con un altro elemento fonico  presente nella parola scritta: un'altra consonante o una vocale. In ogni caso è costretto mentalmente ad eliminare dalla consonante la parte fonica riguardante la vocale, prima di unirla agli altri elementi presenti nella parola. Ad esempio, per leggere "pane" il bambino è costretto a pensare al suono della "p" che può essere pronunciata come "pi" "pu" o in altro modo ancora, ma che in ogni caso non è mai un suono puro e chiaro.  A questo suono deve poi associare la vocale "a" sottraendo il suono "i" o "u". La stessa cosa deve fare per la sillaba "ne". Quando si trova davanti a digrammi o trigrammi, questa attività diventa ancora più complessa in quanto per leggere ad esempio "stra" è costretto ad unire suoni diversi: "su" - "tu"- "ru" - "a", sottraendo ad ogni consonante il suono vocalico.

Anche nella scrittura, in cui si attua l'analisi uditiva delle parole, l'operazione è altrettanto difficile, pertanto sono necessarie capacità intellettive di buon livello. Per il Meazzini i fattori cognitivi “fanno riferimento all’insieme di abilità  che stanno alla base di quelle necessarie alla lettura. Infatti l’allievo, il quale non sia sufficientemente abile nella discriminazione visivo - acustica, nell’attribuzione di significato a stimoli visivi ed acustici, nel completamento cognitivo, ecc. incontrerà indubbiamente ostacoli difficilmente sormontabili nel processo di acquisizione delle abilità di lettura.” 

Nella lettura sillabica invece il bambino pronuncia, associa e memorizza i suoni delle sillabe in maniera chiara ed inequivocabile in quanto ogni configurazione grafica ha un suono preciso e netto. Per tale motivo nel programmare una lettura facilitata abbiamo scelto il metodo sillabico, in quanto, tra l'altro, per i motivi sopraddetti consideriamo la sillaba e non la consonante l'elemento base e quindi il primo mattone di ogni parola.

Per favorire al massimo la chiarezza, l'apprendimento, la memorizzazione  e l'utilizzazione delle sillabe, ognuna di queste, nel metodo proposto in "Leggo anch'io" viene sottoposta ad un percorso cognitivo ben preciso, che è stato individuato  mediante continue verifiche sul campo.

1° tipo "Presentazione della sillaba"

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/apprendimento%20programmato/Diapositiva96.JPG

 

La presentazione della sillaba di cui si vuole l'apprendimento, avviene con tutti i caratteri ed è ripetuta più volte nella stessa pagina. Abbiamo preferito usare tutti i caratteri per evitare che il bambino sia notevolmente limitato nell’utilizzare, nella vita di ogni giorno, lo strumento della lettura. La sillaba viene collegata quindi all'immagine e alla parola che contiene la sillaba stessa nella parte iniziale. Questa parola viene poi ripetuta più volte con diversi segni grafici, in modo tale da dare al bambino subito il senso del legame che esiste tra la sillaba, l'oggetto e la parola scritta.

2° tipo: Ricerca della sillaba bersaglio.

 In queste schede, utilizzando sempre tutti i tipi di caratteri, la sillaba da apprendere, "sillaba bersaglio", dovrà essere evidenziata e riconosciuta, mediante un'attività di confronto, in mezzo ad altre sillabe similari per suono e forma grafica, per poi essere letta a voce alta, mentre nel contempo le altre sillabe saranno ignorate.

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3° tipo: Lettura della sillaba con tutti i caratteri.

La sillaba viene presentata per la lettura con tutti i caratteri e con la vocale che segue o precede la consonante, in modo tale che il bambino si abitui a pronunciarla in entrambi i modi.

 

4° tipo: lettura di parole con l'aiuto delle immagini.

Con questa attività l'allievo imparerà a leggere le parole  che contengono la sillaba in esame. La lettura verrà facilitata dalla presenza di numerose immagini che suggeriscono il contenuto della parola. Abbiamo fatto in modo che le parole da leggere contengano soltanto elementi sillabici che il bambino già conosce.

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5° tipo: lettura di frasi.

In queste schede vengono presentate, corredate sempre da immagini, delle frasi semplici che contengono sia la sillaba in oggetto che le sillabe già conosciute dal bambino.

6° tipo: leggi e associa.

La finalità di questa attività consiste nello stimolare le capacità di comprensione della lettura. Pertanto, l'allievo dovrà attuare un processo di associazione tra le parole lette e le immagini corrispondenti.

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 7° tipo: associazione fonetica.

 

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Il bambino, attraverso un gioco fonetico, dovrà associare la sillaba alle parole che la contengono nella parte iniziale, scartando quelle che invece non hanno lo stesso suono. In tal modo egli eserciterà le funzioni di analisi del suono delle parole, indispensabile soprattutto nella scrittura.

  8° tipo: lettura di parole senza senso.

La sillaba in esame, unita alle sillabe già presentate con la stessa consonante, dovrà essere in questo tipo di schede letta in parole "senza senso", in modo tale da completare l'apprendimento, avendo eliminato non solo l'immagine che poteva suggerire la parola, ma anche il suo significato.

 

ALTRE ATTIVITA' CONSIGLIATE

L'apprendimento di ogni sillaba viene effettuato quindi attraverso varie attività associative, discriminative, di confronto e di utilizzazione. In ogni caso non dovrà mai essere presentato il suono della consonante, in quanto ciò complicherebbe l'apprendimento senza apportare alcun beneficio. Potranno invece essere effettuati altri giochi fonetici che utilizzano le sillabe, tra i quali indichiamo:

1° Ricerca di tutte le sillabe collegate ad una consonante: ad esempio PA- PE- PI -PO - PU; TA- TE- TI -TO-TU;LA- LE-LI-LO-LU ecc…

2° Arriva un bastimento carico di …

In questo gioco i bambini  dovranno, a turno, ricercare tutte le parole che contengono nella parte iniziale una determinata sillaba. Ad esempio: “Arriva un bastimento carico di PA” (patate, pazzi, papà, padelle ecc.)

3°Le parole incatenate.

Un bambino dirà una parola e gli altri, a turno, dovranno pronunciarne un'altra che inizia con la sillaba finale della parola detta. Ad esempio PANE - NEVE-VELA- LAMA- MAMMA- MARE- REMO- MOBILE ecc. senza ripetere le stesse parole. Viene eliminato chi non sa inserire una parola nuova nella catena verbale.

4° Sottolinea la sillaba.

Vengono scritte alla lavagna o sul quaderno  due o  tre sillabe. Il bambino dovrà sottolineare le sillabe pronunciate chiaramente dall'educatore o dagli altri bambini. Vince chi fa meno errori.

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Questo tipo di programma di lettura sillabica facilitata potrà essere utilizzato da tutti i bambini normali e non, che abbiano almeno quattro anni di età mentale.

SCRITTURA

Nel caso in cui il bambino presenti delle capacità di prescrittura sufficienti si consiglia di far scrivere sul quaderno sia le sillabe che le parole di volta in volta incontrate nelle schede del quarto, quinto e sesto tipo. La scrittura sarà effettuata utilizzando sia lo stampatello maiuscolo che il corsivo.

Nel caso in cui il minore non avesse ancora capacità di prescrittura sufficienti, è bene prepararlo mediante delle schede apposite. Nel contempo potrà esercitarsi a scrivere mediante il computer oppure potrà utilizzare dei cartoncini in cui sono trascritte le sillabe conosciute dal bambino. Con queste egli potrà formare parole  e piccole frasi.

PER SCARICARE LEGGO ANCH'IO CLICCA QUI

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIFI GIORNI DELLA SETTIMANA

Mediante l’utilizzazione di questa serie di schede programmate ad inserimento progressivo, il bambino potrà, in breve tempo, non solo conoscere i giorni della settimana uno di seguito all’altro, ma anche il giorno che precede e il giorno che segue quello indicato. Ciò al fine di una maggiore conoscenza culturale e per poter collocare correttamente gli elementi temporali della sua vita.

 

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http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIFQUANTITÀ E NUMERI

Gli obiettivi di queste schede riguardano la discriminazione, il riconoscimento, la scrittura del simbolo numerico e la corrispondenza con la quantità equivalente .

Per facilitare l’apprendimento è stato utilizzato lo schema di programmazione per unità di apprendimento descritta precedentemente.

 

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SCRITTURA DEI NUMERI e VERIFICA

Abbiamo inserito alcune schede per la scrittura dei numeri.

Tali schede in “Voglia di crescere” cartaceo possono essere notevolmente ampliate coprendo con un foglio bianco la parte destra e poi quella sinistra di ogni foglio, in modo tale che il bambino si eserciti a scrivere il numero o a disegnare la quantità corrispondente.

Per scaricare sul tuo computer "Quantità e numeri" clicca qui

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIFQUANTITÀ E NUMERI OLTRE IL DIECI

Queste schede programmate seguono “Quantità e numeri” ed hanno come finalità la discriminazione, il riconoscimento del simbolo numerico e la corrispondenza con quantità equivalenti di numeri oltre il dieci.

Mentre il gruppo di schede programmate “Quantità e numeri” entro il dieci è stata inserito al quinto livello, “Quantità e numeri oltre il dieci “ è stato inserito al sesto livello.

 Nelle schede a scelta aperta dei CD il bambino dovrà scrivere il numero esatto corrispondente alle quantità indicate sul rettangolo giallo e poi cliccare.

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIFIL DOPPIO E LA METÀ

 

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Questo gruppo di schede a scelta multipla incrociata è stato programmato mediante la tecnica dell’inserimento progressivo per il rapido e precoce apprendimento del concetto di doppio e di metà fino al numero cento. Per facilitarne l’acquisizione, abbiamo posto inizialmente sia i  simboli numerici che le quantità. Le unità sono state simbolizzate con delle palline disposte su base cinque,  alla decina è stata data la configurazione di un rettangolo e al centinaio quella di un quadrato.

Tali quantità, progressivamente, sono state eliminate in modo tale da rendere il compito più complesso.

Nella seconda parte del lavoro le domande  sono a scelta aperta, in modo tale che il bambino scriva e disegni nella parte bianca del foglio  il risultato, sia  sotto forma di quantità che di  simbolo numerico. In tal modo  l’apprendimento viene verificato e pienamente completato.

 Queste schede sono state inserite al settimo livello.

 

Per scaricare sul tuo computer "Il doppio e la metà" clicca qui.

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIF NUMERARE PER DUE – CINQUE - DIECI

 

In questo sussidio didattico si è utilizzato un sistema programmato ad inserimento progressivo allo scopo di facilitare al massimo l’apprendimento della numerazione progressiva e regressiva. Per una migliore comprensione del concetto di numerazione, nella prima parte del lavoro sono presenti sia le quantità che 

simboli numerici: in tal modo il bambino potrà avere contezza del concetto di progressione e di regressione. Anche in queste schede, alle quantità è stata data una particolare configurazione spaziale su base cinque, in modo da permettere una più facile comprensione e memorizzazione. L’unità è stata simbolizzata con una pallina, la decina  con un rettangolo, il centinaio con un quadrato. Progressivamente le quantità sono state elimi-nate, in modo tale da completare l’apprendimento senza l’aiuto di queste.






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Questa attività è stata inserita al settimo livello.

 

Per scaricare sul tuo computer "Numerare per due - cinque - dieci" clicca qui

 

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIFNUMERI ROMANI

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Per l’apprendimento dei numeri romani si è utilizzato il sistema programmato ad inserimento successivo, con risposta a scelta multipla incrociata.

L’educatore facendo leggere al minore il numero arabo presente nella parte alta della scheda, chiederà di farlo associare all’equivalente numero romano presente nella parte bassa. In una fase successiva, coprendo con un foglio le risposte il ragazzo potrà effettuare le schede a scelta aperta scrivendo, su un foglio a parte, egli stesso i numeri romani. In tal modo potrà effet-tuare una sistematica autocorrezione.

Questo gruppo di schede è stato inserito al decimo livello.

Per scaricare sul tuo computer "Numeri romani" clicca qui.

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIFGEOMETRIA E MATEMATICA

Per le tematiche inerenti la geometria è stato utilizzata la programmazione a gruppi.

Le tematiche di geometria sono proposte in ordine logico, che sarebbe bene seguire, in ogni caso però l’insegnante, avendo a disposizione l’indice, può far effettuare al ragazzo un percorso individuale.

Il docente utilizzerà la prima scheda di presentazione per spiegare all’allievo i contenuti di cui si parlerà nel gruppo proposto per l’apprendimento. Nelle schede successive, di approfondimento e di verifica, non sarà pertanto necessaria alcuna spiegazione.

Queste schede sono state inserite al decimo livello.

Per scaricare sul tuo computer "Geometria" clicca qui.

Per scaricare sul tuo computer "Matematica" clicca qui.

 

 

http://www.cslogos.it/uploads/images/ALTRE%20IMMAGINI/ANI002.GIFLA GRAMMATICA

    L’album di grammatica si propone l’apprendimento delle nozioni fondamentali della lingua italiana, per gli alunni delle scuole elementari.

Poiché l’apprendimento di tali nozioni è particolarmente complesso, abbiamo pensato di utilizzare come strumento didattico, la programmazione a gruppi, in modo tale da ottenere un apprendimento rapido e facile, anche per quei bambini che presentano difficoltà nello sviluppo logico e cognitivo.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

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Voglia di crescere: "Un po' di storia"

Era un pomeriggio del 1985 quando, dopo aver accompagnato i genitori di Nino alla porta, mi vennero incontro le mie due bambine, Katia e Daniela. Capii dai loro visi infuriati che qualcosa di grave era successo. Non si perdettero in preamboli: “ Papà, ora basta! Quel bambino che ci hai affidato è una peste” e giù un elenco di malefatte che capii si riferivano al piccolo Nino che era appena uscito. “Ha staccato la testa a tutte le nostre bambole, stava soffocando Lilli”. Lilli era la gatta di casa che, ai loro occhi e al loro cuore, era molto più sacra delle bambole. “L’ha inseguita per tutta la casa, la voleva strozzare.” Terminarono la loro filippica con un ultimatum: “Papà, ora basta! Non vogliamo più che quel bambino entri nella nostra stanza.”

Non avevo mai visto le mie figlie così infuriate e refrattarie nei confronti di quelli che io chiamavo, e questo le faceva ingelosire, “i miei bambini” e cioè i bambini disabili. Pensai che avevo chiesto troppo affidando loro, per il tempo necessario ad effettuare l’anamnesi con i genitori, quella piccola peste che era appena uscita. Pensai che forse avevo ottenuto l’effetto opposto a quello che mi ero prefisso: che anche loro amassero questi bambini. Erano forse passati circa sei mesi quando mi richiamarono quegli stessi genitori, per una visita di controllo. Questa volta, memore delle minacce, mi proposi di evitare di affidare il bambino alle cure delle mie figlie, pertanto feci entrare tutti insieme: i genitori e Nino nello studio. Mi dissero subito che le cose erano molto cambiate ed in meglio. Nino era molto più sereno, attento, collaborante e anche più capace di capire e ragionare. Quando rifeci i test mi accorsi subito anch’io che qualcosa era cambiato: quel bambino così difficile ed instabile adesso collaborava con gioia alle prove che di volta in volta gli proponevo. Adesso si muoveva come un ometto nella stanza senza coinvolgere nella sua traiettoria paralumi, sedie e ninnoli che rimanevano miracolosamente integri al loro posto.

Cercai di capire cos’era successo. Per la prima volta avevo dato ai genitori del materiale di stimolazione, cosa che fino ad allora avevo consegnato sempre agli insegnanti per aiutarli nel loro lavoro. Poiché i genitori di Nino venivano da un’altra regione, mi sembrò più opportuno affidare questo compito educativo ad essi. Il risultato era stato migliore di quanto mi potessi aspettare. 

Da allora iniziò quel cammino fatto di collaborazione ed intesa con i genitori, che venivano messi in primo piano e responsabilizzati nell’educazione dei loro piccoli. Da allora capii che l’instabilità, di cui spesso sono accusati i bambini ritardati o disabili in genere, aveva altre cause. Cause non legate direttamente al loro ritardo ma al modo con cui questo veniva affrontato. Da allora nacque l’idea di creare un programma di stimolazione logico-cognitiva, facilmente utilizzabile anche dai genitori con scarsa cultura ma con tanta voglia di partecipare attivamente alla crescita del loro bambino.

Da allora ho cercato di diffondere un concetto di integrazione molto più ricco e coinvolgente, anche se molto più complesso e difficile da applicare.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

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Voglia di crescere nei bambini svantaggiati

 

 

 

Emidio Tribulato - "Voglia di crescere" nei bambini svantaggiati

 

Il significato di svantaggio socio- culturale o ambientale è  molteplice.

  1. Può comprendere quei bambini che vivono una realtà veramente povera di stimoli culturali: in definitiva, bambini di famiglie culturalmente deprivate che poco hanno e poco possono dare ai loro figli. Questi casi stanno diventando sempre più rari nel mondo occidentale per merito delle scuola dell’obbligo e della diffusione di strumenti culturali e d’informazione ad una fascia di popolazione sempre più vasta. Questi bambini nel momento in cui vengono inseriti nella scuola pubblica presentano dei tratti caratteristici. Mentre inizialmente appaiono svegli, intelligenti, ben integrati con gli altri coetanei, a causa di una migliore conoscenza delle realtà extrascolastiche, che li pone all’ammirazione dei compagnetti per i quali appaiono leader indiscussi, in un secondo tempo vengono emarginati, messi in un angolo in quanto più sporchi degli altri, più ignoranti degli altri, con un linguaggio meno ricco degli altri. Essi stessi tendono a chiudersi in quanto avvertono sulla loro pelle la diversità. Per tale motivo sono portati a non comunicare neanche le esperienze che conoscono molto bene, per paura di sbagliare o di essere canzonati.
  2. Nella nostra società occidentale si sta diffondendo attualmente un’altra categoria di soggetti svantaggiati. Sono tutti quei bambini che, pur vivendo in famiglie colte e ricche culturalmente, a causa della scarsa presenza e dell’insufficiente impegno dei genitori a livello educativo, in quanto impegnati nel lavoro ed in altre attività più o meno importanti, presentano difficoltà nell’apprendimento. In queste famiglie nessuno dei genitori si attiva in maniera sistematica ed efficace con il bambino nello svolgere le attività scolastiche.
  3. Un altro tipo di svantaggio socio- ambientale e culturale è quello presente nella nostra società sempre di più multietnica. A causa dell’emigrazione massiccia che ha portato sulle sponde della nostra penisola popoli diversi per razza, religione, cultura e valori, sono in aumento quei bambini che hanno ricevuto e ricevono dalla loro famiglia e dal loro ambiente stimoli culturali e sociali diversi da quelli normalmente richiesti dalla scuola e dalla media borghesia del nostro paese. Questi bambini, ricchi di specifiche culture, tradizioni e valori, sono considerati svantaggiati solo in quanto non condividono i più frequenti elementi culturali presenti nel gruppo classe.

 

Tutti questi soggetti per un verso o per l’altro “svantaggiati”, se non vengono aiutati rapidamente a recuperare conoscenze e competenze presenti nel resto della classe, a causa delle continue frustrazioni alle quali sono sottoposti, assumono dei comportamenti caratteristici: diventano più aggressivi o più chiusi rispetto al gruppo classe; presentano scarso interesse e partecipazione allo studio e alle attività scolastiche; diminuisce in loro l’autostima; hanno difficoltà a controllare il proprio comportamento nelle diverse situazioni.  Possono, inoltre, avere difficili rapporti relazionali con i compagni e con gli insegnanti, per cui tendono a sfuggire alle frustrazioni dell’ambiente scolastico mediante una minore frequenza o assumendo dei ruoli comportamentali che li mettono al centro dell’attenzione del gruppo anche se in modo negativo. Diventano allora più sfrontati, con scarse inibizioni, più intolleranti della disciplina.

In tutti questi casi scegliendo soprattutto le schede ricche di elementi culturali,“Voglia di crescere” può risultare prezioso in quanto permette di recuperare in modo molto rapido lo scarto tra loro ed i compagni utilizzando le sue caratteristiche di strumento con contenuti molto ricchi ma proposti in modo estremamente graduale, facile ed interessante.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

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Voglia di crescere nei bambini sordi

 

 

 

 

Chi è il sordo?

Prima di rispondere a questa domanda diciamo subito chi non è:

•    non è un malato in quanto non ha bisogno di cure;

•    non è un bambino che non parla perché affetto da mutismo elettivo, autismo o altri problemi psicoaffettivi;

•    non é un bambino che non parla perché ha disturbi fonatori;

•    non ha alterazioni di altre funzioni sensoriali oltre l’udito;

•    non é un bambino che non parla perché affetto da ritardo mentale, anche se la sordità, in un certo numero di casi, può associarsi al ritardo mentale.

Quando è presente solo il deficit uditivo il bambino sordo potenzialmente  potrebbe recepire, elaborare e rispondere adeguatamente a qualunque messaggio.

Abbiamo detto potenzialmente. In realtà se questi bambini non sono aiutati adeguatamente, il deficit potrebbe impedire lo sviluppo del pensiero, la crescita interiore, le possibilità dello sviluppo sociale, affettivo e intellettivo del soggetto.

La sordità limita la possibilità di comprendere e decodificare la realtà che in cui viviamo.

Noi, attraverso l’udito, controlliamo l’ambiente che ci circonda 24 ore al giorno. Da queste informazioni siamo stimolati a ragionare e a dare le risposte più adeguate.

La vista, da sola, ci fa constatare la realtà, ma non ci fa capire le cause. Abbiamo quindi bisogno delle parole e dei pensieri. Il suono desta in noi curiosità, desiderio di sapere, bisogno di approfondire le conoscenze.  Suscita la fantasia; favorisce la creatività, ci coinvolge emotivamente; ci arricchisce culturalmente; ci dà il senso del pericolo; dà chiarezza al tempo e indicazioni dello spazio; ci permette di classificare e selezionare.

È, insieme agli altri organi di senso, il fondamento dello sviluppo intellettivo e psicoaffettivo. Il bambino matura perché sente, in quanto il suono dà input per la maturazione corticale mediante le normali acquisizioni delle esperienze che, giorno dopo giorno, vanno a costituire il suo patrimonio intellettivo.

È strumento basilare della comunicazione con la quale entriamo in contatto con gli altri.

Se con il bambino sordo non riusciamo a superare i problemi di percezione e decodificazione, in modo tale che egli possa apprendere e arricchire la sua mente di parole, pensieri e riflessioni, abbiamo fallito il nostro scopo. Vi è il rischio, in questi casi, che la percezione dell’Io corporeo sia compromessa e approssimativa. Il bambino avrà difficoltà di astrazione. Avrà una elaborazione concettuale molto limitata, concreta, rigida, personale; non sufficiente per valutare e incidere sulla realtà in modo efficace. Avendo difficoltà nel capire e farsi capire tenderà a irrigidirsi ed a chiudersi in se stesso. Anche la comunicazione e l’intesa tra genitori e figlio potrebbe essere compromessa.

    La frustrazioni nel sentirsi diverso e non compreso potrebbe provocare degli atteggiamenti sospettosi e aggressivi verso i normali, con conseguenti difficoltà relazionali con i genitori e con gli estranei e quindi emarginazione.

Purtroppo l’handicap uditivo, già grave anche nelle società semplici, diventa sempre più limitante a mano a mano che la società diventa più complessa ed avanzata a causa di linguaggi specifici o tecnici.

Basta leggere un giornale o un libro che parla di economia, di informatica, di sociologia, ingegneria o altro per capire come i linguaggi specifici ed i sottocodici siano in grande aumento. In una società contadina, com’era quella preindustriale, il vocabolario indispensabile per una buona comunicazione era molto più ridotto e quindi per i sordi era tutto molto più semplice.

Da tutto ciò si desume che il benessere psicologico e le possibilità di integrazione reale di questi soggetti dipendono dalla loro capacità comunicativa e dalla ricchezza del loro vocabolario. In questo senso “ Voglia di crescere” e "Voglia di essere" possono risultare molto utili in quanto in questi due programmi sono presenti un gran numero di schede per lo sviluppo culturale, della comprensione e del linguaggio espressivo. Per questo motivo, con riguardo ai soggetti sordi, qualunque sia la loro età mentale, si consiglia di effettuare il programma base a partire dal primo livello, in modo tale da utilizzare al meglio tutti gli stimoli culturali e verbali presenti in ogni tipo di attività. Per l'apprendimento della lettura può essere utilizzato proficuamente "Leggo anch'io" in quanto questo sussidio utilizza una metodologia (le sillabe e non le lettere dell'alfabeto) molto adatta nelle situazioni di sordità. La ricchezza di immagini e l'estrema gradualità faciliteranno, inoltre, di molto l'apprendimento della lettura e della scrittura.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

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Voglia di crescere nei disturbi psicoaffettivi

 

 

 

Anche se “Voglia di crescere” è nato per aiutare lo sviluppo logico - cognitivo dei bambini con ritardo intellettivo, il suo utilizzo negli anni si è ampliato anche a patologie diverse. Sempre di più viene utilizzato, ad esempio, nei soggetti affetti da disturbi psicoaffettivi, forse perché sempre più spesso ci vengono segnalati da parte degli insegnanti e dei genitori, bambini portatori di problematiche psicologiche  più o meno gravi, che vanno dal disagio affettivo, al Disturbo da Deficit  di Attenzione, ai disturbi della condotta, ai disturbi d’ansia o ipocondriaci e, nei casi più gravi, alle psicosi infantili e ai disturbi generalizzati dello sviluppo, tra i quali il disturbo autistico.

 

Tutti questi bambini presentano sintomi vari ma facilmente riconducibili ad una situazione di disagio e/o chiara sofferenza psicologica. I sintomi più frequenti sono noti: discontinuità nell’impegno educativo, difficoltà nell’ascolto, nella comunicazione o nella rielaborazione personale, labilità nell'attenzione, difficoltà nella memorizzazione, scarsa autostima; difficoltà a controllare il loro comportamento nelle diverse situazioni scolastiche, labilità affettiva, difficili rapporti relazionali con i compagni e con gli insegnanti, insofferenza alle regole e norme scolastiche, disturbi psicosomatici, depressioni, e, nei casi più gravi fobie, stereotipie, ecolalie, distacco dalla realtà, notevole difficoltà nella comunicazione.

 

Le difficoltà nell’apprendimento da parte dei soggetti con disturbi psicologici si possono facilmente comprendere se si pensa che l’attenzione è necessariamente selettiva, pertanto, come dice John M. Daley, “…non siamo in grado di far fronte contemporaneamente a tutti gli aspetti potenzialmente percepibili dell’ambiente; tendiamo perciò a selezionare l’informazione in arrivo.”  Le ansie, le paure, i problemi interiori insoluti o conflittuali agiscono come stimoli che si sovrappongono agli apprendimenti. Stimoli che il soggetto a volte riesce a trascurare, mentre altre volte, a causa della loro intensità e pregnanza, impediscono che l’attenzione sia rivolta allo studio o alla richiesta dell’insegnante.

L’altra causa che rende difficile e a volte impossibile l’apprendimento, riguarda la difficoltà di fermare l’attenzione per quei momenti indispensabili alla comprensione e alla memorizzazione. Il bambino o l’adulto con gravi problematiche interiori si ritrova come un viaggiatore su un treno super veloce. Sballottato e trascinato dalla sua corsa non è in grado di cogliere, mediante la riflessione, tutti quegli elementi e quei particolari indispensabili per ottenere una buona comprensione.

Per tali motivi l’obiettivo primario in questi soggetti deve necessariamente riguardare la loro serenità interiore, perché è questa la premessa indispensabile per ogni apprendimento. Insistere, come spesso viene fatto, con minacce, rimproveri e ricatti affinché l’attenzione sia rivolta allo studio e all’apprendimento non comporta nulla di positivo. Infatti, anche se momentaneamente lo stimolo forte e violento che noi mettiamo in atto, cattura per un momento la sua attenzione, la violenza che stiamo esercitando peggiora di molto il suo mondo interiore.

I motivi della recrudescenza delle problematiche psicoaffettive li abbiamo ampiamente descritti in due nostri libri: L’educazione negata” Edizioni E.D.A.S. e "Il bambino e il suo ambiente"  al quale si può fare riferimento. Se dovessimo elencare le cause che portano sempre più spesso i bambini a manifestare più o meno gravi segni di sofferenza psicologica, potremmo così riassumerle.

•    Cause legate agli educatori: immaturità; inadeguatezza al compito educativo e formativo; scarsa presenza o mancanza di uno o di entrambi i genitori; separazione; divorzio; convivenza; conflittualità coniugale.

•    Cause legate all’ambiente educativo: perdita di importanti valori sia personali che familiari, religiosi e sociali; aumento dei disvalori; influenza nociva dei mass- media; utilizzazione impropria dei servizi sociali.

Oggi, più che in passato, per quanto riguarda i disturbi che hanno una prevalente causa psichica, vengono frequentemente riproposte o sottolineate cause organiche o genetiche. I motivi di questo attuale orientamento organicistico sono diversi:

•    privilegiare le cause organiche o genetiche significa diminuire o cancellare ogni responsabilità educativa, sia da parte dei genitori e familiari sia da parte dell’ambiente sociale in genere;

•    privilegiare le cause organiche significa inoltre sostenere le costose ricerche di tipo medico alle quali vengono dedicate immense risorse;

•    mettere in primo piano gli elementi organici in questi disturbi stimola il pubblico e la classe medica ad un uso sconsiderato e diffuso di psicofarmaci, non solo nell’età adulta ma anche nell’età infantile. E questo, è evidente, fa la felicità delle case farmaceutiche.

Senza nulla togliere a questi studi, sarebbe bene concentrare la nostra attenzione sulle cause psicologiche di tipo educativo, affettivo e relazionale in quanto, a nostro avviso, sono le più importanti e frequenti ma, soprattutto, sono quelle sulle quali possiamo e dobbiamo intervenire con un atteggiamento educativo adeguato e con una presa a carico della famiglia del bambino.

Che siano le più importanti e frequenti ce lo dimostra la stessa clinica. Quando, anche se parzialmente, vengono rimossi alcuni atteggiamenti educativi errati o alcune cause che perpetuano continui  traumi psichici, quando al bambino viene data la possibilità di vivere più serenamente i rapporti con se stesso, con i genitori e con il mondo che lo circonda, i miglioramenti riscontrati sono notevoli in tutti i soggetti anche i più gravi.

Questo ci dimostra essenzialmente tre cose:

  1. la prima è che la sintomatologia manifestata non ha o ha in modo molto modesto cause organiche o genetiche;
  2. la seconda è che gran parte delle cause dei traumi infantili non deve essere ricercata nelle rare violenze perpetrate da orchi pedofili, ma in violenze più sottili e frequenti delle quali con difficoltà ci rendiamo conto che sono presenti in molti aspetti della nostra società e in tante, troppe famiglie “normali”;
  3. la terza è che il bambino ha notevoli capacità di miglioramento  solo che vengano rimosse o diminuite le cause che gli creano sofferenza.
 

Pertanto la prima e più importante cura verso i minori dovrebbe consistere nel rimuovere le cause che gli creano continuo disagio.

 

I genitori.

Per quanto riguarda i comportamenti ed il ruolo dei genitori, ricordiamo che l’armonia familiare è  fondamentale per lo sviluppo psicoaffettivo di ogni bambino e va  ricercata ad ogni costo, anche con l'aiuto degli specialisti che si occupano del disagio delle coppie e delle famiglie spesso presenti nei buoni Consultori Familiari. Gli attriti tra i coniugi, le incomprensioni reciproche, le accuse, i litigi o i continui atteggiamenti di freddezza, portano a uno sconvolgimento dell'animo del minore con conseguente insicurezza, ansia e paura. Il sentire invece che i genitori si vogliono bene, si rispettano e si sostengono vicendevolmente, stimola nel bambino sentimenti di gioia, serenità e fiducia nel mondo e negli altri.

È inoltre indispensabile che entrambi i genitori (soprattutto la madre durante i primi anni di vita) siano presenti in modo pieno ed attivo nell’educazione del minore. È bene pertanto programmare le attività lavorative, in modo tale che siano perfettamente rispondenti alle necessità dei figli. Non è affatto vero che la qualità della presenza dei genitori possa controbilanciare la diminuita quantità; questa è solo la foglia di fico con la quale cerchiamo di coprire la vergogna di trascurare i nostri figli o è lo scudo con il quale ci difendiamo dai sensi di colpa. I bambini hanno bisogno di dedizione  continua, costante, attenta, da parte dei propri genitori per molti anni e niente e nessuno può efficacemente sostituire gli apporti dati dagli educatori primari.

  I bambini durante la loro crescita hanno bisogno della presenza serena e costante dei genitori in molti momenti della giornata, in modo tale da poter dialogare con loro e assimilare con gradualità e nel modo giusto gli elementi fondamentali dell’esperienza umana, dei valori e del vivere civile.  Pertanto i minori hanno bisogno di apporti elevati sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.

Affinché i figli abbiano serenità ed equilibrio interiore è  necessario che i genitori abbiano nei confronti di essi un atteggiamento affettuoso, sereno, gioioso, evitando rimproveri e punizioni inutili ed eccessivi.

Se si dovessero presentare dei problemi, si affrontino con spirito di amicizia e in un clima sereno, dal momento che accentuarne la gravità o colpevolizzare il minore non aiuta a risolverli, ma al contrario, li aggrava enormemente.

La coerenza e la linearità nel comportamento nelle varie occasioni aiuta moltissimo il bambino, in quanto gli permette di avere dei punti di riferimento precisi . 

È pertanto necessario che tutto ciò che i genitori ritengono giusto e utile venga concesso senza discussioni inutili, ma ciò che si giudica dannoso o non concedibile non sia mai concesso da entrambi i genitori. Evitare pertanto di cedere ai ricatti psicologici, dopo aver spiegato le ragioni del “no”. Un eventuale compromesso non deve essere deciso in presenza di crisi nervose, ma dopo un sereno ragionare insieme.

Si ricorda inoltre che un bambino sereno, che si sente accettato, amato, valorizzato, sarà stimolato a "fare" e ad "imparare". Un bambino a cui manchino queste esperienze di affetto, di calore, di sicurezza, tenderà a chiudersi nel suo mondo, a non aver fiducia in se stesso e negli altri, a "non fare", per paura di fare male o di non riuscire.

Inoltre è da tenere presente che ogni bambino ha bisogno per il suo regolare sviluppo di due figure genitoriali: un papà ed una mamma. I motivi vanno ricercati nella particolare complessità dell’essere umano.

Nel cucciolo d’uomo, le sue capacità affettive, le enormi potenzialità intellettive e relazionali, le grandi capacità comunicative, oltre che la sua sete di cultura, non possono essere soddisfatte solo da un genitore, ad esempio solo da una madre.

 Una donna, una madre, ha un patrimonio d’umanità immenso dentro di sé ed è capace di dare apporti preziosi per lo sviluppo del figlio. Le sue capacità comunicative, l’affettività, l’intensa sensibilità, le tenerezze che riesce a dare, sono fondamentali nell’educazione del minore. Ma anche un papà apporta e dà elementi insostituibili di carattere, d’intelligenza, d’affettività. La forza, la linearità, il coraggio, la sicurezza, la coerenza, la fermezza, caratteristiche di un buon padre, sono altrettanto importanti degli apporti materni in tutte le età.

Per tale motivo anche quando sia presente una situazione di separazione o divorzio è fondamentale lavorare con serenità, impegno e sacrificio per superare le divergenze, i dissapori, le differenze di carattere, le difficoltà  di dialogo che potrebbero aver causato la separazione. Bisogna tener presente che la vita della coppia può subire dei disturbi più o meno gravi come un normale organismo: può avere un lieve malanno, come può ammalarsi seriamente, pertanto, è giusto affidarsi ad un esperto che ci aiuti a guarire il nostro rapporto, prima di considerarlo finito.

In ogni caso, in situazioni di conflittualità o separazione tra i coniugi, sono indispensabili alcuni accorgimenti per limitare il danno psicologico al bambino.

•    Evitare assolutamente, davanti ai bambini, screzi e aggressività anche solo verbali. Teniamo presente che il mondo del bambino è tutto nella sua casa e nei suoi genitori. Quando nella sua casa o tra i suoi genitori vi è palese conflittualità, disistima e violenza, la vita interiore del bambino viene segnata negativamente.

•    Evitare di parlare male dell'altro coniuge in presenza del bambino ma anzi sottolineare tutti i lati positivi, in modo tale che egli non avverta né odio, né rancore, né desiderio di ripicca e vendetta nelle nostre parole e nelle nostre azioni.

•    Favorire e non ostacolare in alcun modo il rapporto del figlio con l'altro coniuge, in quanto per una buona crescita affettiva ogni bambino ha bisogno di entrambi i genitori.  Per ottenere ciò sarebbe importante che il coniuge affidatario preparasse queste visite con atteggiamenti di gioia, sottolineando, così come abbiamo detto prima, gli aspetti positivi dell’altro coniuge. Questi, a sua volta, dovrebbe riuscire ad inserirsi con delicatezza e serenità in un dialogo con il bambino, fatto di giochi, di sorrisi, di affettuose dimostrazioni.

•    Sarebbe, inoltre, molto importante permettere al bambino di vivere con entrambi i genitori quanto più  ore e occasioni possibile, nel caso essi non siano manifestamente ostili l’uno nei confronti dell’altro.

•    Il modo di gestire il rapporto con i figli non dovrebbe tanto basarsi sugli accordi legali, quanto sulle necessità affettive del minore; in quanto un bambino non è un oggetto da possedere perché se ne ha diritto o da non cedere per gli stessi motivi, ma una persona che si ha il dovere di aiutare a crescere con equilibrio, affetto costante, delicatezza e giusto criterio.

Molti altri consigli per un migliore approccio educativo si potranno trovare nel nostro libro “L’educazione negata.” 

 

Gli insegnanti.

Altra figura fondamentale nell'educazione dei minori è l'insegnante. Questa molto spesso è la prima figura d’adulto con cui il bambino stabilisce un rapporto affettivo e di dialogo, al di fuori della famiglia. L'insegnante è, inoltre, l'adulto che più d’ogni altro, può aiutare il bambino a rapportarsi ed integrarsi in maniera positiva ed efficace con i coetanei e con l’ambiente extrafamiliare.

Egli è anche uno dei fondamentali attori nella trasmissione della cultura alle nuove generazioni. Dopo la famiglia, è anche il primo e principale adulto, con cui i minori possono approfondire e confrontare le idee e i concetti che man mano acquisiscono. L'insegnante, inoltre, aiuta e media il passaggio del minore dalla famiglia alla società, al mondo del lavoro.

Dopo quella dei genitori, la figura del maestro infatti si affaccia nell'animo del bambino come immagine ideale di uomo e donna adulti e spesso vi permane, in senso positivo o negativo, per tutta la vita. Il poter instaurare un buon rapporto con una o più figure di insegnanti è per lui importante in quanto ha bisogno di introiettare delle valide e serene figure di adulti. Per il bambino, infatti, trovare qualcuno che comprenda i suoi bisogni essenziali, che non lo giudichi severamente, che sappia dargli gioia, sicurezza e fiducia in se stesso, è fondamentale.

Perché avvenga tutto ciò è necessario comprendere e accettare una realtà fondamentale: a questi bambini, ai bambini con problematiche psicologiche, anche se involontariamente, è stato fatto del male.

Sono bambini che manifestano una sofferenza interiore più o meno grave. Sono bambini che hanno nel loro animo paure e ansie. Sono bambini spesso spaventati, sfiduciati, disillusi. Vanno allora non educati ma liberati. Liberati dalle loro paure, dalle ansie, dalla sfiducia che hanno verso gli altri, il mondo, l’umanità. L’apprendimento o l’aspetto educativo verranno in seguito. Dopo, quando saranno più sereni. Dopo, quando saranno più ottimisti. Dopo, quando avremo conquistato la loro fiducia. Pertanto:

1.    è necessario che tra la scuola e la famiglia si instauri un rapporto di effettiva ed efficace collaborazione. È bene che gli insegnanti valorizzino nel loro animo e nei confronti dei genitori l’immagine del bambino sottolineandone le qualità positive e le capacità. Per far ciò è indispensabile avere un atteggiamento di fiducia nella propria possibilità di ottenere i risultati voluti e nella possibilità che il bambino si relazioni in maniera positiva e produttiva. I genitori dovranno, a loro volta, comprendere, sostenere e collaborare con la scuola e i docenti mettendo in risalto, nei confronti del figlio, le capacità, l’impegno ed il sacrificio degli insegnanti;

2.    nel programmare gli apprendimenti i docenti dovranno considerare attentamente lo sviluppo del bambino. Proporre delle attività troppo complesse non solo non aiuta lo sviluppo psicologico del minore ma anzi, lo inibisce e lo rende più difficile;

3.    il rapporto da stabilire con questi bambini che presentano problematiche psicologiche, dovrebbe avere quindi come base il rispetto e l’ascolto. L’ascolto della loro sofferenza ed il rispetto per i bisogni fondamentali. Mentre nel rapporto educativo prevale la richiesta: io ti chiedo di fare qualcosa, con questi bambini dovrebbe prevalere l’ascolto: io cerco di capire qual è in questo momento il tuo bisogno e, se vuoi, partecipo con te a qualcosa che tu mi proponi. Il protagonista deve essere pertanto lui, il bambino non l’educatore;

4.    nei bambini poi, con rilevanti problematiche psicoaffettive, come l’autismo, le psicosi infantili o le gravi forme di nevrosi, gli obiettivi didattici hanno ancora più scarsa valenza, in quanto l'obiettivo principale dovrà puntare ad ottenere una maggiore serenità interiore, che è premessa insostituibile di ogni apprendimento. L’impegno principale non può essere di tipo didattico, ma relazionale. Per tale motivo è necessario che l'insegnante ed i genitori cerchino di avere nei confronti del minore un atteggiamento sereno e gioioso che nasce da una reale accettazione e comprensione delle sue difficoltà. In questi casi si suggerisce una partecipazione attiva ai suoi giochi ed alle sue attività, anche se queste dovessero sembrare poco costruttive o inadeguate rispetto ai classici obiettivi scolastici. L'alleanza con il bambino, infatti,  può permettere di fargli sentire il nostro affetto, la nostra disponibilità e apertura nei suoi confronti. Il costringerlo ad effettuare attività non desiderate, invece, potrebbe essere avvertita da lui come un’ulteriore violenza e quindi potrebbe aggravare la chiusura e i comportamenti abnormi;

5.    quando l’alleanza si è attuata e stabilizzata sarà possibile proporre delle attività gradevoli e graduate come quelle presenti in “Voglia di Crescere” partendo da un livello sicuramente facile per il minore. Bisogna però essere sempre attenti alla situazione di estrema fragilità emotiva di questi bambini; pertanto, si eviterà di insistere quando si rendono manifesti i primi segni della stanchezza o della tensione.

L’utilizzo di “Voglia di crescere” nei disturbi psicoaffettivi non ha certamente lo scopo di migliorare le capacità logiche e percettive che, in molti  casi, se non è presente una situazione di regressione, sono perfettamente normali. Questo programma si inserisce invece in alcuni bisogni fondamentali del bambino con disturbi psicologici: il bisogno di un’attività giocosa, la necessità di evitare le frustrazioni dovute agli errori, la difficoltà di prestare un’attenzione lunga e costante.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

Per scaricare gratuitamente sul vostro computer questo libro cliccate qui.

 

Voglia di crescere nei bambini con capacità intellettive ai limiti della norma

 

 

 

 

Questi bambini, che hanno capacità intellettive normali anche se non eccelse per cui sono etichettati come un “po’ lenti nell’apprendimento” ma che hanno alle spalle una famiglia disponibile ad aiutarli, non dovrebbero rappresentare un problema se, prima di iniziare le attività scolastiche più  problematiche: scrittura, lettura e aritmetica, si aspettasse che i centri deputati a tali apprendimenti avessero il tempo di maturare pienamente. Sarebbe pertanto auspicabile che tali bambini fossero inseriti nell’ambiente scolastico qualche mese o un anno dopo gli altri. In alternativa dovrebbero effettuare, prima di andare nella scuola elementare, un programma di stimolazione che permetta loro di sviluppare rapidamente quelle aree non pienamente  mature.

Ciò molte volte non avviene in quanto questi bambini, al compimento dell’età: a sei anni prima della riforma e ora addirittura a cinque anni e sei mesi, sono inseriti accanto a coetanei che hanno capacità nettamente superiori alle loro; ma soprattutto sono messi in difficoltà di fronte a compiti per i quali non sono ancora perfettamente maturi.

Per questi bambini si consiglia di attuare il programma Voglia di crescere” iniziando dal livello appena inferiore alla loro età cronologica fino ad arrivare almeno alla fine del livello successivo a quello della loro età. Per l’apprendimento della lettura sarebbe bene utilizzare immediatamente “Leggo anch’io”. In questo modo non solo li avremo messi alla pari con i coetanei ma avremo dato quella “marcia in più” che potrà permettere loro  di inserirsi nelle attività scolastiche in modo efficace e  produttivo, senza complessi di inferiorità e senza tentennamenti.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

Per scaricare gratuitamente sul vostro computer questo libro cliccate qui.

 

Voglia di crescere e ritardo mentale

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Il programma “Voglia di crescere” può essere utilizzato, come vedremo, in diverse situazioni di disabilità ma la prima e più importante situazione di handicap per la quale è nato e che cerca di affrontare efficacemente, è quella del ritardo mentale.

 

Chi è il bambino con ritardo mentale?

 

Non è sempre facile rispondere a questa domanda.

Ognuno di noi ha una sua immagine mentale, ma non sempre questa immagine corrisponde alla realtà. Ricordo ad esempio un’insegnante, un po’ anziana e tarchiatella, la quale intervenendo stizzita durante un incontro effettuato  in una scuola elementare per l’aggiornamento del personale, andando subito al dunque, a questa domanda rispose che l’emblema dei bambini con ritardo mentale l’avevano tutti i bambini della sua classe di quell’anno: “Uno più incapace e stupido dell’altro non se ne salva nessuno.”

Naturalmente non poteva essere vero, in quanto è molto difficile che tutti i bambini della scuola e del comprensorio con questa patologia si fossero concentrati in quella classe, per la disperazione della povera e sfortunata insegnante. Nella statistica riportata da Militerni non dovrebbero superare il 2-5% della popolazione generale.  In quel caso è più facile l’ipotesi che fosse l’insegnante a giudicare male i suoi alunni in quanto si era fatta un’idea errata dei bambini con ritardo.

 

Che aspetto ha il bambino con ritardo mentale?

Alcuni sono colpiti dall’aspetto fisico a volte sgraziato, dalle caratteristiche del volto, dall’andatura impacciata; altri notano il linguaggio, nettamente più infantile e povero rispetto all’età; altri le difficoltà negli apprendimenti scolastici, altri ancora i grossi limiti da loro presentati nella vita sociale e nell’autosufficienza: difficoltà nel vestirsi, spogliarsi ed alimentarsi autonomamente.

Tutti questi elementi possono essere indicativi nel fare diagnosi di ritardo mentale, ma non possono essere sufficienti. Solo un’accurata anamnesi e i test o le scale di sviluppo effettuati correttamente possono confermare o non la presenza di questa patologia attraverso il punteggio ottenuto nelle varie prove, che si tradurrà nel quoziente intellettivo: il famoso Q.I. che metterà in evidenza un notevole divario tra l’età mentale del soggetto e la sua età cronologica.

 

Età cronologica ed età mentale.

Se l’età cronologica corrisponde all’età anagrafica di un bambino, per età mentale intendiamo l’età cronologica che avrebbe un bambino con quel determinato sviluppo logico, o come dice A. Anastasi: “ come l’età equivalente a quella dei bambini normali il cui rendimento il soggetto avesse eguagliato." Si tratta quindi di mettere a confronto il bambino in esame con prove a cui sono stati sottoposti i bambini normali e da questo confronto ricavare un punteggio che esprima il suo grado di sviluppo.

Ma ciò è vero fino ad un certo punto. Se, infatti, un ragazzo ha un’età cronologica di quattordici anni  ma ha un’età mentale di quattro anni, non significa che sarà esattamente come un bambino di quattro anni. Egli possiede, infatti, esperienze, maturazione fisica, affettiva e sessuale di un ragazzo di quattordici anni e non di un bambino di quattro. L’età mentale ci dà quindi una equivalenza relativa a certe aree dello sviluppo logico esaminato e non ci indica la globale personalità del soggetto.

I test che vengono utilizzati e le persone che utilizzano questi test devono però essere in grado di misurare quella realtà così complessa che noi chiamiamo “intelligenza”. Sappiamo, infatti, che questa qualità che caratterizza l’essere umano, ha varie sfaccettature ed è composta da molteplici elementi.

Fa parte dell’esperienza comune il notare in alcune persone notevoli capacità motorie ma scarse capacità linguistiche. Così come non è difficile incontrare altre persone che hanno notevoli capacità speculative o filosofiche, in presenza di scarse capacità pratiche. Per queste ultime parlare di Kant o di Hegel  non è un problema, mentre sembrano avere difficoltà insormontabili nelle attività pratiche o manuali: i loro nemici giurati sono le serrande da sistemare o le spine elettriche che non fanno il loro dovere.

Il quoziente intellettivo normale non è come spesso si pensa, uguale a 100 ma può variare da un Q.I. di 85 a un Q.I. di 120, anzi, se nella fascia di normalità inseriamo tutti quei soggetti che sono ai limiti della norma, il quoziente intellettivo “normale” si allarga e comprende tutte le persone che hanno un Q.I. che va da 70- 75, fino a 120. Solo al di sotto di questo limite si potrà parlare di ritardo mentale.

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Per gli insegnanti e la società civile le conseguenze di questa fascia così ampia di normalità sono notevoli.

Per quanto riguarda gli insegnanti, dovendo necessariamente gestire nella loro classe bambini “normali” con una differenza di punteggio ai test di quasi cinquanta punti, i docenti dovranno necessariamente adattarsi, per quanto riguarda la capacità di apprendimento, a situazioni molto diverse, in quanto possono ritrovarsi ad insegnare a bambini “normali” con un quoziente intellettivo di 119 e contemporaneamente insegnare ad altri bambini “normali” con un Q.I. di 76. Per questo motivo il problema della stimolazione intellettiva  che ha la funzione di migliorare le capacità logiche di base, non dovrebbe interessare soltanto i soggetti con chiara disabilità ma dovrebbe costituire un ottimo allenamento per tutti i bambini, specie se con capacità intellettive non eccelse anche se rientranti nella norma.

I genitori d’altra parte, per non rendere molto complessa l’attività didattica degli insegnanti, dovrebbero  prevedere per i bambini “meno svegli” o un inserimento ad un’età più matura o un periodo di stimolazione logico-cognitiva, in modo tale da migliorare le capacità di base preparando, così, i loro figli ad apprendimenti complessi come la lettura o la scrittura, l’aritmetica.

Ciò anche per evitare quel fenomeno curioso per cui mentre nella popolazione generale il ritardo mentale non supera il 2-5%,  nella popolazione scolastica stranamente arriva all’otto - dieci per cento. Il motivo è ovvio: le varie équipe scolastiche, pressate dagli insegnanti  che evidenziano in alcuni alunni normali, per i motivi che abbiamo detto prima, difficoltà negli apprendimenti curriculari, pur di concedere l’insegnante di sostegno vedono il ritardo mentale anche dove non c’è.

 

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I suoi problemi.

Il bambino con ritardo mentale può presentare varie problematiche. Le difficoltà nell’autonomia personale: vestirsi, spogliarsi, lavarsi, l’uso del bagno, alimentarsi da soli, erano in passato le maggiori cause di afflizione per i  genitori. Per fortuna questi motivi, a causa di una migliore educazione e stimolazione dei minori, appaiono ora meno frequenti, meno gravi e più facilmente superabili. Permangono in alcuni casi i problemi legati alle attività scolastiche e all’autonomia sociale. Questi problemi, se non ben affrontati, rimangono e sono motivo di ansia e preoccupazione per i genitori e per gli insegnanti. Per quanto riguarda ad esempio le attività scolastiche, se lo sviluppo logico e percettivo non raggiunge livelli sufficienti, si manifestano inevitabilmente problemi legati agli apprendimenti curriculari. Tali attività presuppongono infatti delle capacità intellettive notevolmente maggiori di quelle presenti in bambini con ritardo mentale, che non siano stati adeguatamente stimolati. Ad esempio, la capacità di analisi e di sintesi sillabica indispensabile nella scrittura e lettura analitica, che è quella più frequentemente usata nelle scuole, necessita di un’età mentale di almeno cinque - sei anni, e così le capacità spaziali che servono a distinguere le varie lettere dell’alfabeto, maturano quando si è acquisita un’età mentale di almeno cinque anni.

 L’apprendimento dell’orologio presuppone la conoscenza non solo dei numeri ma anche di concetti complessi come: la metà, l’intero, il quarto, i tre quarti. Anche le capacità temporali, indispensabili nella lettura per distinguere nel dettato le sillabe che sono pronunciate prima da quelle successive, necessitano di livelli intellettivi molto spesso superiori a quelli presenti nel bambino con ritardo mentale all’età in cui questi viene inserito a scuola. Lo stesso per le capacità spaziali indispensabili per la lettura sia analitica che sillabica. Ad esempio, le lettere “p – q - d – b “ sono formate dagli stessi elementi ma con una configurazione spaziale diversa.

Allo stesso modo sono difficili alcune attività sociali: come fare amicizia con i coetanei, aggregarsi in modo autonomo a gruppi spontanei o organizzati, l’uso dei mezzi e servizi pubblici, avere rapporti affettivo sentimentali e sessuali validi e stabili.

Tutti questi sono obiettivi difficilmente realizzabili se non supportati da buone capacità nello sviluppo logico, presupposto indispensabile per avere la necessaria responsabilità, capacità educativa ed autonomia economica.

Nasce pertanto il problema se questa realtà sia modificabile oppure no e, se modificabile, di quanto possa esserlo. Se la risposta dovesse essere, infatti, negativa rimarrebbe soltanto la possibilità di apprendimenti strettamente connessi con le potenzialità che la malattia di base ha lasciato nel bambino. Se invece pensiamo che questa realtà sia, almeno in parte, modificabile, allora possiamo sperare in una crescita  globale di questi bambini, che può portare ad apprendimenti fino ad ora preclusi.

Molti elementi ci fanno essere ottimisti nel pensare che la stimolazione logico - cognitiva possa migliorare le capacità di base di questi soggetti.

    Il primo elemento di ottimismo nasce dall’esperienza quotidiana: tutti noi rimaniamo sbalorditi nel vedere, ad esempio al circo equestre, giocolieri, funamboli e trapezisti effettuare esercizi molto difficili, complessi e molto ma molto lontani dalle nostre possibilità.

 

 

 

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Queste maggiori capacità nell’equilibrio e nei riflessi, queste notevoli e incredibili capacità motorie, hanno sempre una base genetica oppure sono dovute a lunghi e faticosi allenamenti effettuati fin dalla più tenera età con metodologie, strumenti e tecniche precise e raffinate, spesso tramandate di padre in figlio? Sarebbe poco realistico affermare che tutti questi soggetti, come tutti gli sportivi, i musicisti e i tecnici che hanno capacità notevoli, abbiano anche un patrimonio genetico superiore alla norma. Sappiamo invece che il lungo, costante e graduale esercizio fa fruttare al meglio le normali capacità umane.

Il secondo elemento di ottimismo nasce dalle ricerche sperimentali che evidenziano in modo chiaro le capacità di  adattamento, modellamento e sviluppo della mente umana in seguito a stimoli e a processi di apprendimento.

Ciò è dimostrabile sia sul piano anatomico che fisiologico. Sul piano anatomico una corteccia cerebrale che è stata sottoposta a numerosi stimoli e apprendimenti, appare all’esame microscopico come una struttura  a rete più fitta e più ricca di connessioni e terminazioni nervose, rispetto ad una corteccia poco stimolata. Anche sul piano fisiologico, quando l’individuo è sottoposto a stimoli frequenti e ben graduati apprendimenti, si evidenziano nette modificazioni avvenute nelle diverse aree cerebrali e nei rapporti tra queste.

Il terzo motivo nasce dall’immagine stessa dei bambini ritardati che è notevolmente cambiata negli ultimi decenni. Per quanto riguarda ad esempio i bambini Down, che prima venivano descritti come portatori di gravi deficit sia sul piano motorio, che linguistico e nell’autonomia personale, questi attualmente sono visti come capaci non solo di una buona autonomia personale e sociale ma anche di apprendimenti scolastici come la lettura, la scrittura, l’aritmetica. Ciò non è dovuto ad interventi di tipo medico, ma ad approcci educativi più fisiologici, incisivi ed adeguati rispetto al passato.

Il quarto motivo nasce dall’esame delle metodologie, dei materiali, delle tecniche di stimolazione oggi esistenti per lo sviluppo logico e cognitivo. Questi, ad un esame appena approfondito, appaiono molto lontani dalla perfezione. Anzi, più ci approfondiamo nello studio e nella ricerca di strumenti idonei, più ci rendiamo conto di errori, grossolane imperfezioni e imperdonabili incongruità presenti negli strumenti di stimolazione normalmente utilizzati. Ma, nonostante ciò, i bambini sottoposti a stimolazione intellettiva migliorano notevolmente. Quanto potranno ottenere questi bambini nel momento in cui saremo riusciti a costruire strumenti e metodologie notevolmente più corretti, attenti ed adeguati?

Quando educare.

L’educazione del bambino con ritardo mentale dovrebbe iniziare fin dai primi mesi di vita, come meglio diremo in seguito, mediante una stimolazione logico – cognitiva globale che interessi tutte le aree e le potenzialità del soggetto. Ciò in quanto le capacità di modellamento, di sviluppo, di apprendimento e memorizzazione delle aree cerebrali sono massime nel bambino piccolo mentre diminuiscono con l’età. Ricordiamo infatti che un bambino è capace, in pochi mesi, di imparare una lingua con migliaia di parole e di concetti; di memorizzare milioni di informazioni visive, tattili e cenestesiche; di effettuare migliaia di categorie e di ragionamenti logici; un adulto no.

La personalità del ritardato mentale.

Il bambino con ritardo mentale ha una personalità simile a quella dei bambini “normali”; essi, pertanto, somiglieranno ai loro genitori non solo per il nasino, per gli occhi o il colore dei capelli ma anche per alcuni tratti del carattere. Tratti del carattere che però si completeranno, come per tutti gli altri bambini, con l’importante concorso dell’ambiente circostante. Ambiente che può essere accogliente, affettuoso, allegro, comprensivo, dialogante o al contrario traumatizzante, emarginante, scostante, freddo, triste, scarsamente vicino ai bisogni più profondi. 

Nei vecchi test di neuropsichiatria infantile un capitolo era dedicato alla personalità del ritardato mentale. Questi veniva descritto come un soggetto con una più facile instabilità, irritabilità, scontrosità, aggressività. Queste caratteristiche non sono state inventate dagli studiosi ma risentono delle difficili situazioni in cui, venivano e purtroppo vengono ancora oggi a trovarsi i soggetti che presentano questa o altre disabilità.

L’emarginazione e la segregazione negli istituti “specializzati”, creava, a causa della deprivazione affettiva, delle gravi situazioni psicologiche con conseguenti sintomi di irritabilità e aggressività.

Ma anche adesso, che buona parte degli istituti sono chiusi, la vita dei bambini con ritardo mentale non è facile. Questi hanno, dal punto di vista affettivo - relazionale gli stessi bisogni degli altri, ma spesso non sono trattati come gli altri già fin dalla nascita. Gli errori presenti nell’educazione sono numerosi e hanno una notevole importanza sul loro sviluppo psichico.

Ad esempio l’atteggiamento pietoso e ansioso dei parenti e delle persone che conoscono la situazione di tali bambini condiziona in modo negativo il sentire dei loro genitori: il vedere il bambino con ritardo diverso, non normale e fonte di problemi, può comportare per questi ultimi frustrazione e angoscia. Questi sentimenti non possono non ripercuotersi sull’autostima e sul benessere psicologico del figlio disabile. Ogni figlio vorrebbe essere per i propri genitori fonte di gioia, gratificazione e benessere e non causa di tristezza, preoccupazione, vergogna e dolore.

  mille consigli e suggerimenti, a volte poco appropriati, che vengono da varie fonti: “Al figlio della tal dei tali è stata consigliata la frequenza nell’asilo nido.” “Fa logoterapia, psicomotricità, ippoterapia. “È stato visitato in una clinica superspecializzata di Ginevra” e così via, aumentano nei genitori l’ansia del fare e del fare quanto più possibile. Si acuisce, in tal modo, il loro stress nell’inserire nelle attività quotidiane i mille impegni consigliati. Sul bambino si ripercuote la stanchezza dei genitori, ma anche lo stress derivante dalle tante attività che spesso non solo non aggiungono nulla ma, al contrario, traumatizzano il bambino stesso.

Non è il numero o la durata delle attività che fa una buona educazione speciale ma la qualità di queste attività e la loro rispondenza ai bisogni reali: fisici, intellettivi e psicoaffettivi.

Si continua poi con le attività scolastiche. Sta diventando ormai prassi comune inserire questi bambini nell’asilo nido e nella scuola materna il più precocemente possibile “per avere più stimoli” e “per farli socializzare con gli altri bambini”, come si dice di solito. Niente di più errato di questa prassi se, come abbiamo detto nel capitolo sulla socializzazione, si riflettesse appena un attimo sulla fisiologia dello sviluppo umano la quale vuole che il distacco dall’ambiente familiare e dai suoi genitori avvenga non prima dei tre – quattro anni di maturazione globale. Pertanto, inserire un bambino di quindici mesi con ritardo mentale significa molto spesso inserire un essere umano di appena sette - otto mesi di età mentale in un ambiente avvertito da quest’ultimo come non familiare e quindi freddo, ostile, inospitale e quindi pauroso. Questa modalità priva il bambino del caldo contatto con la madre e l’ambiente familiare, mentre nel contempo introduce sintomi di disagio psicologico che non solo spesso annullano ogni tentativo di maggiori acquisizioni ma, il che è peggio, fanno diminuire di molto ogni futura possibilità di apprendimento.

Se il bambino non è sereno e pago di stimoli affettivi non solo non apprende di più ma il suo ritardo si accentua e si aggrava. Per essere ancora più chiari, il rischio è che al posto di diminuire un handicap se ne aggiunga un altro!

Altri errori troviamo nell’inserimento scolastico vero e proprio. Molto spesso tra i banchi della scuola elementare, con la penna in mano e davanti ad un normale libro di lettura e un quaderno, sta un bambino con un’età cronologica di sei anni ma con un’età mentale di tre – quattro anni, senza i requisiti indispensabili per le attività richieste. Non vi sono spesso i requisiti di attenzione e stabilità necessari per sopportare ore e ore di impegno scolastico; non vi sono i requisiti percettivi, spaziali, logici, di pregrafismo per l’apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo. La frustrazione in tali condizioni è molto facile che sopraggiunga e angosci il bambino anche se ha accanto un’insegnante di sostegno che l’aiuti. Ora dopo ora, giorno dopo giorno egli è costretto a constatare che gli altri fanno, apprendono e producono molto ma molto di più di quanto lui non riesca ad apprendere e a produrre nonostante tutti i suoi sforzi. Tale situazione non fa poi che aggravarsi negli anni successivi, in quanto il distacco tra lui e gli altri diventa sempre più ampio.

 

Cause.

Le cause del ritardo mentale sono numerosissime. Vengono distinte in due grandi categorie: genetiche e acquisite. Mentre le anomalie genetiche sono presenti già nel patrimonio genetico del prodotto del concepimento, le cause da fattori acquisiti sono rappresentate da alterazioni patogene che agiscono “dall’esterno” sul sistema nervoso centrale nei periodi prenatale, perinatale o post-natale.

 

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Le cause genetiche, a sua volta si distinguono in alterazioni geniche e aberrazioni cromosomiche. Delle alterazioni geniche fanno parte le malattie congenite del metabolismo, le facomatosi e le altre alterazioni encefaliche eredo – degenerative. Delle aberrazioni cromosomiche con anomalie nel numero e nella struttura fanno parte la sindrome di Down, di Turner, di Klinefelter, di Angelman, di Prader-Willi e la sindrome dell’X – fragile.

 

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Le cause acquisite sono anch’esse numerosissime e si distinguono in:

•    cause prenatali: infezioni acute materne come la rosolia e la toxoplasmosi; le malattie croniche materne come il diabete, le cardiopatie, le endocrinopatie; le intossicazioni sia accidentali che voluttuarie come l’uso di droghe;

 

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•    cause perinatali: sono quelle che intervengono verso la fine della gravidanza ed entro la prima settimana di vita del bambino. Le condizioni patologiche che causano sofferenza fetale possono riguardare la placenta, il travaglio, il parto ed il periodo neonatale;

 

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•    cause postnatali: queste possono intervenire dopo la prima settimana di vita extrauterina e possono essere dovute a traumi, infezioni, disturbi metabolici, intossicazioni, gravi carenze ambientali.

 

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In definitiva, poiché l’ encefalo è uno degli organi più complessi ma anche più delicati del nostro organismo, questo può subire, numerose ed invalidanti lesioni a causa di traumi, agenti batterici, virali o di metaboliti presenti in circolo sia in eccesso che in difetto. Ma poiché, tranne qualche eccezione, le cause che hanno provocato il ritardo non sono più attive, è assolutamente inutile oltre che controproducente continuare, come si fa spesso, ad effettuare esami e controlli per andare a scoprire particolari biochimici o anatomici insignificanti. C’è il rischio che molti di questi esami si traducano solo in ulteriori traumi psichici per il bambino.

 

Gli obiettivi.

 

Gli obiettivi sono essenzialmente tre:

1)    Il primo obiettivo che ogni educatore dovrà porsi è quello di fare in modo che ogni bambino con ritardo mentale sviluppi la sua personalità in modo sereno, gioioso, armonico, interagendo in maniera efficace con la sua famiglia e, successivamente, con i compagni e gli altri adulti. È su questa base di serenità, di gioia e di armonia interiore che è possibile costruire il secondo obiettivo.

2)    Il secondo obiettivo ha come fine il miglioramento delle capacità di base del soggetto in tutte le aree dello sviluppo: dal linguaggio alla memoria, dalle capacità logico – percettive allo sviluppo cognitivo; dall’autosufficienza alla motilità fine e grosso motoria.

3)    Il terzo obiettivo si propone, invece, di avvicinare alle possibilità del soggetto gli apprendimenti culturali e scolastici. Ciò, come abbiamo visto parlando dell’apprendimento programmato e delle ricerche semplici, è possibile mediante vari accorgimenti.

I comportamenti educativi che noi consigliamo dovrebbero prevedere:

 1)    lasciare che durante i primi mesi di vita la relazione affettiva tra i genitori ed il bambino si esprima liberamente e spontaneamente. Evitare pertanto altre terapie o interventi, specie se potenzialmente traumatizzanti, tranne che non siano assolutamente indispensabili o non  siano presenti danni organici e neurologici evidenti. Ma anche in questi casi bisogno valutare bene il rapporto danno- beneficio. A volte uno scarso, improbabile beneficio a favore della motricità può essere pagato con un grave danno psicologico!
 

b)    solo verso l’ottavo - nono mese, come un altro bel gioco da fare insieme alla mamma e al papà,  sarà utile iniziare “Voglia di crescere a partire dal livello zero del programma. Abbiamo detto “come un bel gioco da fare insieme” e quindi senza ansia, senza forzature, senza costrizioni ma divertendosi insieme madre –figlio, padre – figlio. Completato il livello zero si consiglia di continuare gli altri livelli ripetendo ogni livello sia quello cartaceo che quello interattivo  almeno una volta; 

c)    iniziare l’inserimento nella scuola materna quando il bambino ha già un’età mentale di almeno tre anni ed è, come abbiamo detto nel capitolo della socializzazione, maturo per il passaggio dall’ambiente familiare ad un ambiente istituzionale. In ogni caso il periodo di tempo che il bambino dovrebbe trascorrere nella scuola materna non dovrebbe superare le quattro ore;

d)    evitare assolutamente di lasciare a scuola il bambino durante il pranzo o peggio durante le ore pomeridiane, che vanno trascorse in famiglia, nella sua casa, nel suo cortile con i genitori, i nonni, i fratelli, gli zii, i compagnetti;

e)    continuare il programma “Voglia di crescere” fino alla fine del quinto livello e solo allora, se lo sviluppo logico e del linguaggio è adeguato a quello di un bambino di almeno quattro anni, è bene iniziare la lettura sillabico -  fonematica facilitata mediante “Leggo anch’io”;

f)    iniziare la frequenza presso la scuola elementare quando il bambino conosce i numeri fino al dieci e ha già effettuato la prima parte di “Leggo anch’io”. Sa già quindi leggere brevi frasi utilizzando delle sillabe semplici;

g)    nella scuola elementare l’insegnante dovrebbe suddividere il tempo a disposizione in modo equanime tra attività prettamente scolastiche: lettura, scrittura, aritmetica ecc.; attività di sviluppo logico percettivo e attività ludiche, motorie ed espressive. Per evitare che il bambino si ritrovi con impegni per lui troppo complessi, sarebbe bene fargli frequentare sempre la classe o le classi più vicine al suo sviluppo logico e cognitivo, sia utilizzando la ripetenza, sia mediante l’uso delle classi aperte.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

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http://www.cslogos.it/uploads/images/ADULTI/Diapositiva3.JPGIn questa sezione sono raccolte le esperienze più significative effettuate dagli operatori e dai genitori, che sono state fatte pervenire al Centro Studi Logos di Messina

 

 

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