L'ambiente psicologico

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Personalità dei genitori e sviluppo del bambino

 

Molte delle caratteristiche dell’ambiente dove vive il bambino sono date soprattutto dalla personalità dei suoi genitori, in primis della madre. Se il corpo e il sangue della madre sono insostituibili per costruire il corpo ed il sangue del bambino, le sue caratteristiche psicologiche, le sue capacità comunicative, la sua disponibilità all'ascolto, alle cure e all'accoglienza, sono altrettanto insostituibili per modellare la struttura psicologica del nuovo essere umano, la sua identità personale e sessuale, le sua capacità sociali e relazionali, la sua salute mentale.

Per Winnicott, infatti, ‹‹…la salute mentale dell’individuo è fondata sin dall’inizio dalla madre che fornisce ciò che ho chiamato un ambiente facilitante, tale cioè da permettere ai processi di crescita naturali del bambino e alle interazioni con l’ambiente, di evolversi in conformità al modello ereditario dell’individuo. La madre, senza saperlo, sta gettando le basi della sua salute mentale. Non solo. Oltre la salute mentale, la madre (se si comporta in modo giusto) sta ponendo le fondamenta della forza, del carattere e della ricchezza della personalità dell’individuo››.[1]

Per Wolff , mentre le madri che hanno gravi o moderati disturbi della personalità contribuiscono sia alla disarmonia coniugale che allo sviluppo di disordini comportamentali nei loro bambini, il disturbo della personalità del padre deve essere piuttosto imponente per sortire simili effetti.[2]

Per BOWLBY i bambini piccoli sono più sensibili agli atteggiamenti emotivi di chi sta loro intorno più che a qualsiasi altra cosa.[3] I disordini di personalità fra i genitori di bambini con disturbi comportamentali sono riscontrati in misura nettamente maggiore. Precisamente, oltre la metà dei bambini disturbati ha madri che presentano serie difficoltà nei rapporti con gli altri. Anche i padri di questi bambini sono disturbati più spesso dei padri dei bambini normali, ma la differenza è minore.

‹‹Le persone che soffrono di disturbi psichici, psiconevrotici, sociopatici o psicotici mostrano sempre un deterioramento della capacità di strutturazione dei legami affettivi. Deterioramento che spesso è grave e duraturo››.[4]

 

Pur non negando i fondamentali rapporti madre-figlio non dovrebbero, però, essere sottovalutate le caratteristiche psicologiche dei familiari e delle persone che il bambino incontra nella sua vita sociale e scolastica in quanto, ogni persona presente nell’ambiente ove il bambino vive e si sviluppa, dà degli apporti positivi o negativi alla sua esistenza. D'altro canto, oggi come ieri, accanto alle madri, in sostituzione temporanea delle madri impegnate in altre occupazioni, (sostituzione che può durare pochi minuti o poche ore ma che in alcuni casi si protrae per giorni, mesi e anni), vi sono sempre stati altri soggetti che hanno dato il loro apporto, sia in senso positivo che negativo.

 

Dalle caratteristiche di queste persone, dalle capacità di questi uomini e donne di creare e mantenere attorno al bambino una realtà accogliente, amorevole, calda, affettuosa, dialogante, deriveranno la nascita e la robustezza dell’Io stesso e le caratteristiche fondamentali del nuovo essere umano.

Per BOWLBY infatti ‹‹Anche se l'osservazione dei bambini a livello clinico sembra indicare in alcuni casi l'origine dei disturbi infantili nell'ignoranza dei genitori di fattori come gli effetti patologici della mancanza di cure materne o di punizioni premature ed eccessive, più frequentemente si constata che il disturbo deriva da problemi affettivi dei genitori, problemi di cui sono solo in parte consapevoli e che non riescono a controllare.[5] E ancora per WOLFF ‹‹Quando gli adulti subiscono gravi crisi, i loro bambini ne soffrono indirettamente; e quando i bambini devono superare ostacoli interiori o sfavorevoli circostanze di vita nei loro primi anni di vita il loro comportamento da adulti ne è spesso danneggiato››.[6]

 Le influenze reciproche tra le generazioni.

Giacché i bambini non possono essere separati dalle influenze dei loro genitori, tra le generazioni esiste un processo continuo di influenze reciproche. ‹‹E’ assai probabile che genitori soddisfatti, i quali svolgono in modo adeguato le loro funzioni sociali, abbiano figli bene adattati ed è estremamente probabile che quei bambini che superano gli stress dell’infanzia in modo soddisfacente diventino, persone bene adattate nella vita successiva››.[7]

Possiamo allora affermare che se tutto procede bene, se la madre e le altre persone intimamente vicine al bambino hanno caratteristiche e comportamenti adeguati, vi saranno maggiori possibilità che nel mondo interiore del bambino alberghino il sorriso, la soddisfazione di sé e degli altri, la serenità, il calore, l'apertura e la fiducia verso se stessi e verso la vita. In caso contrario il suo mondo e quindi anche il suo Io sarà invaso dalla sofferenza, dalla delusione e dai conflitti. Sofferenza, delusione e conflitti che egli manifesterà attraverso svariati sintomi che nel bambino piccolo saranno il pianto, il lamento, i disturbi somatici, l’irrequietezza e, nei casi più gravi, la chiusura agli altri e al mondo mentre, nei bambini più grandi, predomineranno le paure, l’aggressività, l’instabilità motoria, l’irritabilità, la depressione ecc..

I messaggi affettivi che il bambino riceve dall’ambiente esterno possono allora colorare il suo Io di sentimenti positivi, come l’amore, la gioia, la speranza, il piacere, il desiderio, l’affetto. In definitiva, se tutto procede bene, il risultato sarà un buon equilibrio psichico, in caso contrario, se i messaggi psicoaffettivi non sono validi, il suo mondo e quello attorno a lui sarà investito di elementi negativi, come la rabbia, l’aggressività, l’instabilità emotiva, l’inquietudine, la paura, l’ansia, la depressione, la tristezza, il rifiuto, la chiusura, la conflittualità.

Bisogna aggiungere, inoltre, che le qualità positive non sono stabili: hanno bisogno, per essere conservate, dello sforzo continuo, della comunanza emotiva e del sostegno degli altri. Pertanto se noi riusciamo a produrre specifici miglioramenti nell’ambiente in cui vivono i nostri bambini, ciò contribuirà anche alla loro salute mentale da adulti.[8]

Gli esseri umani si sviluppano anche con genitori o persone non perfette in quanto il bambino possiede vari strumenti di difesa per sopperire ai difetti dei genitori e di chi ha cura di loro. Ciò, però, può avvenire entro certi limiti, al di là dei quali la sofferenza che deriva da questi contatti non idonei o nettamente traumatizzanti determina, anche nel bambino con un ottimo patrimonio genetico, disturbi psichici che si diffonderanno, a sua volta, nel tessuto sociale rendendolo globalmente più instabile, fragile, aggressivo, poco adeguato alla vita relazionale.

 Le variabili ambientali.

Spesso, quando si parla dell’influenza delle caratteristiche dell’ambiente sul disagio dei minori, la prima osservazione che viene fatta è che nella stessa famiglia, con gli stessi genitori, vi sono figli con situazioni psicologiche molto diverse. Alcuni, ad esempio, hanno gravi problematiche psicologiche, mentre altri non accusano disturbi psichici eclatanti.

In realtà, a parte le componenti genetiche e le malattie ed i traumi fisici che bisogna sempre tenere in giusta considerazione, l’ambiente in cui vive il bambino ha, come tutti gli ambienti nei quali convivono gli esseri viventi, una notevole variabilità. Può capitare allora che una condizione ambientale favorevole si trasformi in una sfavorevole e viceversa, non solo dopo mesi o anni, ma anche dopo pochi giorni od ore. Può capitare, inoltre, che il bambino con le stesse persone, ma in momenti diversi, si ritrovi ad instaurare delle relazioni interpersonali molto differenti.

Le variabili ambientali nelle quali il bambino cresce e vive possono dipendere, tra l’altro:

  1. Dall'età dei genitori.

  2. Dall'esperienza dei genitori.

  3. Dalla composizione della famiglia e dalle qualità degli altri educatori.

  4. Dalle particolari situazioni vissute dalla sua famiglia, ma anche dalla rete familiare ad essa collegata.

  5. Dalla qualità, dalla quantità e dal tipo di lavoro o impegno extra-familiare.

  6. Dal modo con il quale sono avvertiti e utilizzati i servizi sociali.

  7. Dal modo con il quale sono vissute le relazioni personali con il neonato e poi con il bambino.

 

1.     L’età dei genitori.

I genitori, nel tempo, modificano i loro atteggiamenti verso la vita, il lavoro, i minori. Quando si è più giovani si hanno più energie da spendere, si è meno emotivi, vi è una maggiore grinta ed impeto nell’affrontare ogni avvenimento, ma vi è anche meno pazienza e costanza. Soprattutto è presente una maggiore propensione ad impegnare il proprio tempo e le proprie energie nel lavoro per poter costruire un futuro economico sicuro e forte per sé e per la propria famiglia. I rapporti di coppia, nei genitori giovani, soffrono di maggiore variabilità: a periodi ricchi di amore e di passione, possono succedere periodi di gelo, conflittualità o crisi. Vi è inoltre, globalmente, una minore accettazione dei limiti e delle difficoltà dell’altro: sia adulto sia bambino Al contrario, i genitori più maturi hanno meno entusiasmo, sono più fragili emotivamente, spesso sono affetti da problemi e disturbi fisici e psichici, ma sono anche più indulgenti, più pazienti, più disposti a capire le esigenze altrui, per cui accettano meglio e più di buon grado i limiti della persona che hanno accanto.

2.     L'esperienza dei genitori.

Tutti noi impariamo, soprattutto, mediante i dettami dell’esperienza e quindi apprendiamo anche dai nostri errori. Per tale motivo i nostri convincimenti, oltre che le nostre azioni, si modificano e si modellano, adattandosi. Una madre o un padre alla prima esperienza genitoriale non ha e non può avere le stesse qualità di un genitore che ha potuto usufruire di pregresse esperienze educative.

3.     La composizione della famiglia e le qualità degli altri educatori. 

Le componenti ambientali, nello sviluppo della personalità, possono modularsi in modo diverso a seconda del numero e delle qualità delle persone incontrate sul suo cammino. Accanto ai genitori ruotano delle figure importanti: nonni, zii, cugini, vicini di casa, amici di famiglia, insegnanti. Ognuno di loro può dare un personale apporto positivo o negativo, sia nei confronti dei genitori stessi che dei loro figli. Queste presenze umane possono notevolmente modificarsi con il tempo, a causa dei trasferimenti, dei decessi, per un maggiore o minore impegno dedicato alla famiglia o al bambino, per la maggiore o minore disponibilità da parte dei genitori stessi di accogliere o rifiutare il loro apporto ed il loro intervento.

4.     Particolari situazioni vissute dalla famiglia e in particolar modo dai genitori in quel periodo di tempo o in quel particolare momento.

Un lavoro che si acquista o si perde, una malattia che interviene, un lutto fortemente sofferto, un amore che si intensifica o si interrompe, un rapporto che si sfalda, gli avvenimenti della giornata, la stanchezza e lo stress in un determinato periodo, le frustrazioni o le gratificazioni, una notizia lieta, triste o drammatica, sono tutte condizioni che possono modificare lo stato d’animo della persona o delle persone che hanno cura del bambino, così da influenzare la relazione con questi in quel momento, ma anche nei periodi successivi. Cosicché, se queste condizioni permangono possono modificare in modo durevole l’ambiente di vita del minore, rendendolo più o meno favorevole al suo sviluppo.

5.     La qualità, la quantità e il tipo di lavoro o impegno extra-familiare.

Il modo di vivere il lavoro e l’importanza che viene data agli apporti economici si può modificare con il tempo. Così come vi sono altre condizioni che modificano la propensione verso gli impegni all’esterno della famiglia. Intanto vi è la maggiore o minore possibilità di impiego legata alla congiuntura economica del paese dove i genitori vivono. Cambia nel tempo anche il valore che viene dato all’impegno lavorativo o alle attività extra-familiari. In alcuni periodi storici, come i nostri, viene notevolmente valorizzato non solo ogni impiego lavorativo ma sono esaltati anche tutti gli impegni extra-familiari, sia di tipo ludico, sia di carattere sociale o politico, in quanto sono giudicati come elementi essenziali e prevalenti rispetto alla cura dei minori. In altri periodi storici, invece, il valore della relazione affettiva e dell’educazione dei figli è prevalente o comunque non in subordine ai bisogni economici e agli impegni ludici e sociali.

6.     Il modo con il quale sono avvertiti e utilizzati i servizi.

I servizi sociali offerti alle famiglie e ai genitori cambiano nel tempo. Questi sono notevolmente aumentati negli ultimi anni. Insieme all’aumento dell’offerta è notevolmente aumentata la richiesta e quindi il valore che ad essi viene dato da parte delle famiglie. Attualmente sono visti come essenziali, non solo per permettere ad entrambi i genitori di lavorare e di “realizzarsi”, ma sono giudicati, spesso a torto, importanti per lo sviluppo dei minori in quanto dovrebbero apportare maggiori conoscenze e migliori capacità socializzanti.

7.     Il modo con il quale sono vissute le relazioni con il bambino.

I rapporti che si vengono a stabilire tra i genitori, familiari e bambino sono diversi in base a numerose variabili riguardanti, come abbiamo detto, il sesso, l’aspetto somatico, l’epoca d’insorgenza della gravidanza, le caratteristiche del parto che può essere più o meno facile, più o meno doloroso e traumatizzante. Queste relazioni sono, inoltre, molto influenzate dai primi comportamenti del neonato. Un bambino che nei primi giorni dopo la nascita appare durante il giorno sereno, si attacca al seno con facilità, prende abbondante latte e la notte dorme e fa dormire tranquillamente i suoi genitori, non vi è dubbio che ha molte più possibilità di essere giudicato e vissuto bene, rispetto ad un bambino che, per motivi vari, anche di tipo organico o genetico, non si alimenta regolarmente, strilla spesso e lascia insonni papà e mamma. Inoltre, sia i genitori che i familiari sono notevolmente influenzati dal sesso del neonato. Il desiderio o la delusione riguardanti le caratteristiche sessuali ancora oggi, nelle nostre società, non sono ininfluenti. ‹‹Che seccatura doversi occupare di un bambino maschio per il quale va bene ogni cosa che gli metti addosso mentre sarebbe stato bello e ne sarei stata felice di occuparmi di una bella femminuccia da vestire e adornare con i vestitini più ricchi e leziosi!›› ‹‹Che peccato avere una figlia femmina con la quale non si posso fare tutti giochi e tutte le attività che invece piacciono ai maschi, come andare alla partita, parlare di sport, correre e giocare, fare la lotta e così via!›› La piacevolezza di un particolare sesso è condizionata dai sogni, dalle fantasie e dalle esperienze infantili, ma subisce anche il peso degli stereotipi culturali presenti in un dato momento in un certo contesto sociale. Lo stesso discorso vale per l’aspetto somatico. ‹‹Come avrei desiderato un bambino biondo e con gli occhi azzurri e invece è nato questo bimbo che ha i capelli di un nero corvino e gli occhi sono più scuri dei miei››. È importante anche l’epoca di insorgenza della gravidanza. ‹‹Che disgrazia rimanere incinta giusto ora che avevo vinto quel concorso a cui tenevo tanto, che mi poteva permettere di sistemarmi per tutta la vita!›› O al contrario: ‹‹Che fortuna che questo bimbo sia arrivato in un momento in cui mi sento delusa dal lavoro e cerco uno stimolo profondo, di tipo materno, che mi riscaldi l’animo!›› L’influenza sul modo di sentire e di legarsi ad un bambino è data anche dalle sue caratteristiche genetiche e dal suo iniziale modo di rapportarsi con la madre o con chi ne ha cura. Se i genitori hanno coltivato in sé, per anni, l'immagine positiva di un bambino “pacioccone e grassottello” che ride e scherza tra le proprie braccia, rimarranno sicuramente delusi di un figlio magrolino, inappetente e serioso. La relazione che si instaura con il bambino è, pertanto, biunivoca. Abbiamo detto che così come il bambino giudica la madre anche la madre giudica il bambino. Ad esempio, per un certo tipo di madre particolarmente esigente un bambino è buono e merita di essere trattato con dolcezza, affetto e tenerezza, se si adatta ai suoi orari e ai suoi desideri. Un bambino è cattivo se non si integra rapidamente con le sue aspettative e con i suoi bisogni del momento. Pertanto verso questo bambino è difficile, per questo tipo di madre, controllare i suoi sentimenti aggressivi e reattivi. Come dire: ‹‹Tu mi metti in difficoltà con il tuo comportamento ed io ti punisco con il mio contegno››. Naturalmente sono le persone nevrotiche o con maggiori disturbi psicologici quelle che si lasciano andare a questo tipo di comportamenti poco razionali e corretti.

In definitiva: ‹‹I genitori hanno differenti sentimenti e si comportano in modo diverso nei confronti di ciascun figlio››.[9]

 

 


[1] D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Cortina Raffaello, Milano, 1987, p. 50.

[2] Cfr. S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore, Roma,1970, p. 138

[3] Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 17

[4] J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 75.

[5] J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 17.

[6] S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore, Roma,1970, p. 227

[7] S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore, Roma,1970, p. 227

[8] Cfr. S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore, Roma,1970, p. 227

[9] D. W. WINNICOTT, La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando Armando Editore, Roma, p. 62.

 

 

 

 

 

Le qualità materne

 

‹‹Ancor prima di apprendere il linguaggio, tutti gli esseri umani, compresi quelli di livello mentale più basso, hanno imparato certi modelli di rapporto con una madre o chi per essa li allevi. Questi primi modelli divengono le fondamenta, completamente sotterranee ma molto solide, sulle quali poi tante cose verranno a sovrapporsi.››[1] Dalle caratteristiche del neonato e della madre nasce la complessità di questo rapporto che può essere costituito da incontri e da scontri, da accordi o da disaccordi emotivi, gratificante o frustrante per l’uno e per l’altro.[2]

Poiché tra il bambino e la madre è presente inizialmente un’unione simbiotica.  Per ACKERMAN ‹‹Le facoltà di stabilizzazione della madre, consone con le esigenze di crescita e del cambiamento, devono coprire i bisogni delle due persone che funzionano come una sola. Ogni deficienza o distorsione nelle facoltà omeostatiche della madre si riveleranno immediatamente sotto forma di cattivo funzionamento della complementarità e dell’interscambio tra la madre e il figlio. Ne risulterà un indebolimento dello sviluppo omeostatico dell’infante.››[3] Per tali motivi vi può essere, agli occhi e al cuore del bambino, una “madre buona” e “una madre cattiva”.

 

 

 

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Caratteristiche della madre "buona"

Per un neonato una madre è buona quando:

  • ·         Sa leggere nel suo animo e nel suo volto i suoi bisogni, le sue necessità, le sue speranze e i suoi desideri. Per WINNICOTT ‹‹una buona madre sa quello di cui il bambino ha bisogno in quel determinato momento.››[4]
  • ·         Comprende e conosce tutto ciò che gli procura soddisfazione, gioia, serenità e sicurezza ma anche tutto ciò che gli dà ansia, angoscia, paura, tensione, insicurezza. PerSULLIVAN la tensione dovuta a dei bisogni del bambino, induce tensione nella madre. Questa tensione viene vissuta come tenerezza e come impulso ad attività che portino sollievo ai bisogni del bambino.[5]
  • ·         Rapidamente si adatta e impara a offrire elementi positivi per il suo animo, nel mentre riesce ad allontanare le cause che procurano emozioni negative. ‹‹Questa capacità di adattamento è la cosa più importante per lo sviluppo emotivo del bambino e la madre si adatta alle sue necessità, soprattutto all’inizio, quando egli è in grado di afferrare soltanto le situazioni più semplici.››[6] Le capacità di adattamento sono indispensabili, in quanto i bambini sono notevolmente diversi gli uni dagli altri mentre cambiano nel tempo i loro bisogni e le loro esigenze.
  • ·         Sa rendere calda e accogliente la sua casa, mediante l’amore. Sa illuminarla con il suo sorriso. Riesce a renderla viva e palpitante con la sua presenza.
  • ·         È capace di accogliere il figlio tra le sue braccia con naturalezza e spontaneità, trovando facilmente per lui la posizione migliore per allattarlo e per farlo sentire a proprio agio: protetto e sicuro.
  • ·         Con il suo sorriso e con le sue parole, sa offrire al cuore del neonato numerosi segnali di presenza, distensione, comunione e condivisione.
  • ·         Riesce a proteggerlo da tutte le situazioni che potrebbero provocargli traumi o stress eccessivi, paura e ansia: i rumori forti e improvvisi, i bruschi urti e toccamenti, le eccessive variazioni di temperatura, i frequenti cambiamenti della routine quotidiana.
  • ·         È lieta quando il figlio dorme, ma è altrettanto lieta quando è sveglio e vuole mangiare, giocare, comunicare con lei.
  • ·         Riesce senza sforzo a trarre soddisfazione, gratificazione e gioia dai suoi compiti di cura ed educazione.
  • ·         È felice quando il suo piccolo vuole stringere le sue mani, vuole toccare le sue braccia, il collo, i capelli ed il seno.
  • ·         Non teme di essere svegliata nel cuore della notte per placare la fame, la sete, le sofferenze e i fastidi del suo piccolo.
  • ·         Si attiva prontamente e con piacere a soddisfare non solo i suoi bisogni fisici ma anche quelli affettivi, come quando il piccolo, per allontanare le ansie e le paure, ha bisogno e desidera la sua presenza, cerca il suo contatto, aspetta le sue coccole, vuole inebriarsi del suo profumo.
  • ·         Non va in crisi per i suoi strilli che sembrano irrefrenabili, in quanto ha fiducia in sé stessa, nelle sue capacità di capire e rispondere adeguatamente ai bisogni del figlio, ma ha anche fiducia e stima nelle capacità del bambino di superare, con il suo aiuto, i momenti di crisi e di sconforto.
  • ·         Non giudica il figlio un piccolo diavoletto pronto a piangere a più non posso pur di mettere in difficoltà lei e gli altri che lo accudiscono. Non lo vede come un crudele tiranno che le impedisce di riposare o dormire quando e come desidera. Non lo sente come un monello capriccioso, mai contento e pago; né come un piccolo essere insubordinato che vuole mangiare, dormire o rimanere sveglio fuori dagli orari canonici per i pasti, il sonno, la veglia.
  • ·         Si diverte insieme a lui in molti momenti della giornata: quando bisogna cambiarlo e il suo pancino, le sue manine, sono là pronti per essere baciati e accarezzati; o quando è l’ora del bagnetto e il piccolo è felice di far sprizzare l’acqua della vaschetta tutt’intorno alla stanza.
  • ·         La madre buona gioisce, insieme al figlio, delle sue prime “bravate”, come quando finalmente riesce a togliersi le fastidiose scarpette di lana e può agitare i piedi nudi in aria o, ancor meglio, quando questi piedini li può golosamente leccare e succhiare!
  • ·         Anche lei commette degli errori ma, dalle reazioni del figlio, impara presto in che cosa e dove e perché ha sbagliato e si corregge rapidamente.
  • ·         Coerentemente, cerca di mantenere nelle cure e negli orari una buona stabilità e continuità in modo tale da evitare gli eventi imprevisti, così odiosi per i bambini piccoli, in quanto fonte di allarme e insicurezza. Per BOWLBY, infatti, ‹‹Abbiamo ampie prove del fatto che gli esseri umani di ogni età sono più sereni e in grado di affinare il proprio ingegno per trarne un maggior profitto, se possono fidare del fatto che al loro fianco ci siano delle persone fidate che verranno loro in aiuto in caso di difficoltà.›› La persona fidata, nota anche come figura di attaccamento, può essere considerata come quella che fornisce la sua compagnia assieme a una base sicura da cui operare.››[7]
  • ·         Non prova schifo per i “regali” liquidi e solidi maleodoranti che il suo bambino le elargisce nei momenti meno opportuni e non si arrabbia nel dover pulire il suo sederino mentre, pronta per uscire, ha appena indossato l’abito più elegante e ha messo il profumo più seducente, per fare e far fare bella figura a lui e a lei.
  • ·         Non ha fretta. Non ha fretta quando deve cambiarlo. Non ha fretta quando lui si attacca al seno o al biberon, non ha fretta di farlo addormentare, non ha fretta quando deve pulirlo o fargli il bagnetto. Una buona mamma non ha mai fretta, insomma.
  • ·         Non vede la TV quando lo allatta o con lei vuole giocare, perché giudica spettacoli belli e interessanti il faccino del suo bambino quando, con i suoi splendidi sorrisi la guarda, quando, con le sue smorfiette e i suoi grandi sbadigli, vuole addormentarsi.
  • ·         Non parla al telefonino quando lui mangia o vuole giocare con lei. Sa che se è bello parlare con le amiche o con i propri genitori e parenti, è ancora più bello parlare con il proprio bambino.
  • ·         Non alza mai la voce, né tanto meno grida. La madre buona parla dolcemente, non si arrabbia ma comprende e dimentica.
  • ·         Non lo trascura o lascia continuamente suo figlio in mani estranee. Né tanto meno mette suo figlio in quei luoghi istituzionali chiamati nidi, ma che nulla hanno del vero nido familiare. Sa che per suo figlio la sicurezza e la serenità sono il suo viso caldo e luminoso, la sua voce tranquillizzante, il suo corpo che odora di latte e di madre.

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In definitiva una madre è “buona” quando riesce a soddisfare i bisogni fisici e psicoaffettivi del proprio bambino. Per WINNICOTT le caratteristiche innate presenti nei bambini sono capaci di supplire, almeno in parte, alle deficienze materne, per cui non è assolutamente necessario che una madre sia perfetta. Una madre sufficientemente buona, è già adatta a dare al figlio quanto è necessario per il suo sano sviluppo.

 

Caratteristiche della madre "cattiva"

 

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Al contrario di quanto abbiano sopra detto, per un neonato una “madre è cattiva” quando:

  • ·        Si assenta eccessivamente senza tenere in giusta considerazione le ansie e le paure del figlio. Per questi, infatti, è nefasta ogni separazione dalla madre,[8] in quanto la sua mancanza lo priva di fondamentali e stabili punti di riferimento. Sappiamo che queste ansie e paure spingono il bambino ad una situazione di sofferenza e caos per cui, in tali situazioni, tendono a prevalere le emozioni negative. Per BOWLBY[9] con l’allontanamento della madre il bambino percorre tre fasi. Nella prima fase, che può durare molti giorni, il bambino protesta per l’assenza della madre chiedendo di lei, piangendo copiosamente ed andando in collera anche per futili motivi. Nella seconda fase (fase della disperazione) il bambino, dato che le sue speranze di far tornare la madre non hanno esito positivo si calma ma si strugge dal desiderio che essa torni. Spesso queste due fasi si alternano. Nella terza fase (fase del distacco), il bambino sembra essersi dimenticato della madre. Appare disinteressato quando si parla di lei e quando lei ricompare a volte dà segni di non riconoscerla. In ognuna di queste fasi il bambino è facilmente soggetto ad eccessi d'ira e ad episodi di comportamento distruttivo, spesso di tipo violento.[10] Quando la madre ritorna a casa, per un po’ rimane insensibile e non manifesta alcuna esigenza. Quando crolla si manifestano i suoi sentimenti ambivalenti. Da una parte vi è un aggrapparsi alla madre, per cui quando questa lo lascia anche se per poco tempo, manifesta angoscia e collera intense, dall’altra manifesta verso di lei notevole ira ed aggressività, come a punirla per il suo comportamento. Se però il distacco è stato eccessivo vi è il rischio che il bambino non si leghi più con la madre.[11] Se la cura del bambino è affidata ad una persona con caratteristiche nettamente materne, la scomparsa della madre non viene avvertita prima dei tre mesi, in quanto egli non è consapevole delle persone e degli oggetti come entità distinte da lui, successivamente, ma soprattutto dopo i sette mesi, egli ne soffre moltissimo. Verso i quattro anni, quando il bambino è in una fase egocentrica, può addirittura pensare che la madre sia scomparsa perché lui è stato cattivo.[12]
  • ·        Modifica frequentemente le sue normali abitudini, senza tener conto che i bambini, come tutti i piccoli degli animali, sono esseri abitudinari. Essi avvertono tranquillità e fiducia solo quando attorno a loro gli avvenimenti si svolgono sempre nel medesimo modo. I cambiamenti, specie se repentini e non adeguatamente preparati, li mettono in ansia e li caricano di paure che, agli occhi degli adulti, appaiono strane ed eccessive, mentre in realtà sono solo la logica conseguenza di comportamenti ed atteggiamenti non adeguati.
  • ·        Compie frequentemente su di lui o fa compiere dagli altri (medici, terapisti, puericultrici ecc.), azioni sgradevoli o dolorose.
  • ·        Vive il rapporto con il figlio con ansia e paura. Una madre ansiosa si allarma troppo spesso e inutilmente. Si allarma se qualche volta mangia poco, non mangia o mangia troppo. Si inquieta se all’ora consueta non fa, come dovrebbe, la sua brava cacchina o ne fa troppa. Ha paura che con il suo seno possa infettarlo e lava e striglia il capezzolo affinché sia perfettamente pulito e sterile non tenendo conto del desiderio che ha il bambino di soddisfare la sua fame e la sua sete, ma anche di sentire il “sapore e l’odore vero” del corpo di lei. Si angoscia per i motivi più banali: a volte teme che il viso del figlio sia troppo rosso, altre volte che sia troppo pallido. Alcune volte teme di vederlo “troppo sonnolento”, altre volte “troppo sveglio per essere “normale”. La mente inquieta di una madre ansiosa non riesce a distinguere correttamente il confine tra normalità e patologia, tra benessere e malattia, per cui coinvolge il bambino in visite, controlli, terapie e cure assolutamente inutili ma spesso controproducenti per il benessere psicologico suo e del neonato.
  • ·        Avverte il figlio come un estraneo capriccioso e incontentabile, difficile da capire e soprattutto impossibile da soddisfare. ‹‹Cos’altro devo fare per lui: l’ho allattato, l’ho pulito, l’ho cambiato e continua a strillare come un ossesso. Gli do il mio seno e sputa il capezzolo. Gli do il latte e strilla mentre sembra affogarsi. Più lo cullo e più si agita inquieto. No, questo non è un bambino: è un diavolo scatenato.››
  • ·        Al contrario di quanto abbiamo appena detto, può essere estremamente fredda e imperturbabile. Indifferente a tutto ciò che riguarda il figlio. Sorda ai suoi richiami, continua a leggere il libro che l'entusiasma. Insiste a vedere nella TV il programma preferito. Continua a chiacchierare con le amiche o con chiunque sia disposta ad ascoltarla. A questo tipo di madre importa poco che il figlio dorma o sia sveglio, sorrida o strilli, si agiti o ammiri tranquillo il mondo che lo circonda. Quando è costretta a dargli da mangiare o da bere, quando deve cullarlo per farlo addormentare, lo fa di malavoglia, come un dovere da adempiere, per evitare di essere disturbata troppo dai suoi strilli o di essere incolpata dalla suocera o dal marito di disinteressarsi del bambino. Il suo momento più felice è quando può depositare il figlio in mani altrui, non importa quali. Possono essere le mani del marito, quelle della madre o della suocera, quelle della baby - sitter o della tata. L’importante è che qualcuno le tolga quel peso e quell’incombenza così che possa ritornare alle sue occupazioni preferite.
  • ·        È rigida nelle cure e nella soddisfazione dei bisogni del neonato: ‹‹Se il pediatra mi ha detto che devo allattarlo ogni quattro ore è inutile che lui strilli: se non sono trascorse le quattro ore io il latte non glielo do.›› ‹‹Il pediatra mi ha raccomandato di tenerlo ben coperto e quindi è inutile che lui scalci infastidito dal caldo per cercare di togliersi le coperte che gli ho messo addosso, io continuerò a rimetterle.››
  • ·        Non è capace di leggere i bisogni del figlio, né riesce a comprendere gli oscuri misteri del pianto infantile, per cui non è coerente nei suoi atteggiamenti. Spesso, quando il bambino piange, mette in pratica in maniera altalenante i consigli ricevuti, senza mai essere in grado di capire fino in fondo se ciò che sta facendo sia un bene oppure no, se i suoi comportamenti avranno degli effetti positivi o negativi.
  • ·        Ha notevoli difficoltà ad apprendere dagli errori, per cui le indicazioni suggerite dagli atteggiamenti del figlio, ma anche quelle espresse dalle persone che la circondano o dai medici consultati, non modificano o modificano molto poco il suo errato comportamento.
  • ·        Si chiede ogni giorno: ‹‹Cosa ho fatto di male per essere nata donna e quindi dover accudire questo mostriciattolo chiamato bambino? ›
  • ·        Vede la sua realizzazione in tutto ciò che fa o potrebbe fare, piuttosto che in tutto ciò che vive o potrebbe vivere. Più si adopera più si sente capace e forte. Quando non si occupa di qualcosa si sente depressa, triste, e spenta. Sente perduto irrimediabilmente il tempo trascorso ad occuparsi di cose ‹‹ che tutte le donne sono capaci di fare››, proprio per la loro biologia femminile, come mettere al mondo un bambino, allattarlo, pulirlo, vezzeggiarlo. Queste azioni le giudica insulse oltre che noiose ed indegne di una vera donna.

Se dovessimo sintetizzare, potremmo allora dire che una madre è “cattiva” quando non riesce, vuoi per i suoi limiti, vuoi per sue scelte, a soddisfare e vivere con gioia i bisogni fisici e psicoaffettivi del suo bambino. Pertanto la quantità, la durata e l’intensità delle frustrazioni che gli fa subire sono eccessive.

Da quanto abbiamo detto si può concludere che l’appagamento affettivo del neonato non si misura, quindi, solo dalle generiche manifestazioni di simpatia o dalle parole amorose pronunciate nei suoi confronti. La soddisfazione affettiva è fatta di impegno nei confronti dei suoi bisogni fisici e psicologici, impegno continuativo e fattivo, espresso e attuato in un clima d’amore, gioia, serenità ed equilibrio.[13]

Chi è la madre?

Tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che per la crescita serena di un bambino il rapporto con la madre è il più importante e fondamentale. Ma chi è la madre nei primi giorni e nelle prime settimane di vita del nuovo essere umano? Come abbiamo detto, alla nascita il bambino non ha ancora la consapevolezza di qualcosa al di fuori di lui. Non ha ancora lo sviluppo del sé, né ha il concetto di una persona diversa da un’altra. Quando questo qualcosa al di fuori di lui comincia a formarsi e a concretizzarsi ( la diade) tutto l’ambiente esterno assume il contorno di ciò che noi chiamiamo “madre”.

Pertanto la madre "buona" è fatta dal suo seno caldo da cui sgorga il nutrimento ma anche l’appagamento.

La madre "buona" è il suo ventre morbido e accogliente, sono le sue braccia che l’accolgono, cullano e confortano, quando l’angoscia l’attanaglia.

La madre "buona" è anche un ambiente pulito e luminoso nel quale non vi sono rumori eccessivi o improvvisi, né tanto meno grida irritate o scoppi di collera.

La madre "buona" è un papà che sa cullarlo e proteggerlo e sa accarezzare il suo corpo con dolcezza, sa rendere la sua compagna della vita serena e sicura.

 

 

 

 

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La madre "buona" è una nonna o un nonno che dolcemente si relazionano con lui e, nel contempo, danno consigli e insegnano alla puerpera ma anche al nuovo padre, come soddisfare i bisogni del loro figlio, le sue necessita, i suoi desideri, ma anche come sopire i suoi timori e le sue inquietudini. Una madre buona è un nonno o una nonna che si impegnano a far capire ai novelli genitori i significati del pianto che sembra sempre uguale in ogni circostanza ma che a poco a poco si differenzia e quindi uguale non è.

 

 

 

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Una madre "buona" è anche la sensazione che ha il bambino quando tra i genitori vi è reciproco rispetto, benevolenza e disponibilità unita a una calda, serena, intesa. Intesa che egli avverte dalle braccia rilassate e serene che l'accolgono, dal tono della loro voce, dall'attenzione che essi hanno tra di loro.

 

Allo stesso modo abbiamo il dovere di estendere il concetto di madre "cattiva".

 

 

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Una madre "cattiva" può avere anche l’aspetto di una nursery dove i bambini sono accuditi in maniera asettica e formale da personale “specializzato”, ma incapace di relazionarsi in maniera calda e accogliente con i piccoli ospiti, mentre alle madri e ai bambini viene sottratto quel momento magico e prezioso nel quale la loro unione, la loro vicinanza e il loro contatto, avrebbe dovuto portare ad un dialogo proficuo, ad una forte intesa e ad uno stretto legame. Legame indispensabile sia alle mamme sia ai bambini per instaurare ed iniziare bene un comune, proficuo cammino.

Una madre "cattiva" può essere un ambiente ospedaliero o di riabilitazione poco attento ai bisogni psicologici dei piccoli. Per WINNICOTT in alcuni casi le offese sono attuate anche dai medici, dalle infermiere e dal personale che assiste il bambino nei giorni nei quali si trova in una struttura di ricovero. Questo personale, a volte, è più preoccupato della pulizia, della gestione e dell’organizzazione della struttura, che non delle emozioni e sentimenti che si agitano e vivono nell’animo dei loro piccoli ospiti.[14]

Una madre "cattiva" può avere l’aspetto di un asilo nido dove il personale che si occupa dei bambini non ha le qualità, le capacità e l’amore materno, ma soprattutto non garantisce al bambino quel dialogo, quella continuità, stabilità e comunione che lui va cercando.

Una madre "cattiva" può essere anche un padre che teme di distogliere attenzione e tempo alle sue mille occupazioni, trascurando così suoi compiti specifici di cura nei confronti del figlio.

Una madre "cattiva" può avere il volto di una nonna o di un nonno i quali, piuttosto che dare il proprio apporto e la propria vicinanza e assistenza ai genitori e al bambino, preferiscono impegnare il proprio tempo in altre occupazioni, privando il nipotino di quella molteplicità di apporti che avrebbero potuto e dovuto arricchirlo e soddisfarlo.

Una madre "cattiva" può avere l’aspetto di due genitori o di una famiglia nella quale imperversa la conflittualità, la freddezza, lo scontro e la lotta. Una famiglia nella quale gli atteggiamenti aggressivi, la violenza verbale e non, la diffidenza e l’intransigenza sono frequenti e usuali.

 

Ci sembra giusto quindi ampliare così come hanno fatto molti studiosi prima di noi: Sullivan, Fromm, Horney, Erikson, Haley, il concetto di madre, all’ambiente che circonda il bambino, in quanto è questo ambiente che, in molti casi, condiziona positivamente o negativamente il suo mondo interiore. Per LIDZ ‹‹La famiglia, naturalmente, non è il solo fattore che influenza l’evoluzione del fanciullo. Tutte le società dipendono da altre istituzioni che, al di fuori della famiglia, provvedono al suo processo di acculturazione, e tale esigenza aumenta nella misura in cui la società diventa più complessa.››[15]

Per tali motivi, ogni volta che un bambino viene danneggiato, dobbiamo sentircene tutti responsabili, individualmente e collettivamente, senza scaricare le colpe solo sulle spalle della madre o del padre. Il bambino cosiddetto “disturbato” non è, pertanto, soltanto il frutto di una madre o un padre con problemi ma è anche la conseguenza di una società malata che direttamente e indirettamente agisce negativamente sui minori.

Dobbiamo, inoltre, necessariamente specificare, che a differenza di noi adulti, il bambino piccolo, non fa, almeno inizialmente, della madre buona o cattiva un problema etico o morale. Per il neonato i comportamenti di chi a cura di lui sono una questione vitale. Se una madre è buona egli ha la possibilità di sopravvivere e crescere bene; se non lo è, vi è il grave rischio che possa essere danneggiato notevolmente nel suo sviluppo fisico e/o psichico.

Bisogna, inoltre, aggiungere che la stessa persona che cura il neonato, lo stesso gruppo familiare, lo stesso ambiente, possono essere buoni o cattivi a seconda delle circostanze o in momenti diversi. Buoni quando il loro comportamento è confacente ai bisogni e desideri del neonato, cattivi quando non lo è. Poiché, come dice SULLIVAN, la madre buona è simbolo di soddisfazione imminente, la madre cattiva è simbolo di malessere e di angoscia.[16] È  naturale allora che il bambino instauri un maggior legame, intesa e disponibilità con la madre buona, mentre reagisce nei confronti della madre cattiva con più irritabilità, inquietudine, aggressività, scarso o modesto legame e dialogo se non con netta chiusura. Per questo motivo se avverte che al suo richiamo arriva la madre con caratteristiche positive di disponibilità, affettuosità, tenerezza, egli si quieta, ma se arriva la madre “cattiva”, in quanto ansiosa, tesa, irritabile, disattenta o con scarsa disponibilità, egli continua a piangere e si accentua la sua inquietudine. Ciò innesca un circolo vizioso: più la madre trascura o non comprende le necessità del bambino, più il bambino risponde con irrequietezza, pianto, rifiuto dell’alimentazione, disturbi gastrointestinali, diminuzione delle difese immunitarie e quindi con più malattie. Tali malattie e disturbi, a sua volta, mettono in crisi la già scarsa pazienza di questi genitori e familiari, i quali risponderanno con maggiore ansia e nervosismo che si trasmetterà al bambino accentuando i sintomi di malessere.

Le varie tipologie materne.

Abbiamo parlato di madre buona e di madre cattiva. In realtà tra questi due estremi vi sono tutte quelle madri e tutti quegli ambienti familiari nei quali da una parte vi è per il bambino il massimo della gratificazione, del benessere e della serenità, mentre dal lato opposto vi è per lui il massimo della sofferenza e dell’ansia. Pertanto, tra una madre che potremmo dire molto buona e una molto cattiva non vi è una netta separazione ma un continuum di atteggiamenti e quindi di tipologie “materne” nelle quali l’infante si ritrova a relazionarsi.

 


[1]  SULLIVAN H. S. ( 1962), Teoria interpersonale della psichiatria, Milano, Feltrinelli Editore. P. 22.

[2]  DE NEGRI M. e altri (1970), Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, p. 127.

[3]  N.W. ACKERMAN, Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino,  p.101.

[4]  D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Cortina Raffaello, Milano, 1987, p.93.

[5]  SULLIVAN H. S. ( 1962), Teoria interpersonale della psichiatria, Milano, Feltrinelli Editore. P. 58.

[6]  D. W. WINNICOTT, Il bambino e il mondo esterno, Giunti e Barbera, 1973, p. 143.

[7]  J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 109.

[8]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 55.

[9]  Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 51

[10]  Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 52.

[11]  Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 52.

[12]  Wolff S. (1970), Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore, Roma, p. 8

[13] Cfr. M. DE NEGRI M. e altri (1970), Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, p. 143.

 

 

Il bambino prima della nascita

 

 

 

 

 

 

L'essere umano, quando sboccia nel ventre materno, è già in relazione con l’ambiente esterno, in quanto l’utero non è solo culla ma è anche il primo mondo con il quale egli entra in contatto. Ed è questo mondo esterno che contribuisce a costruire il suo mondo interiore. Già, verso i cinque mesi di gravidanza, la madre si accorge dai suoi movimenti se egli dorme tranquillo, oppure è sveglio o è inquieto. Già verso la metà della gravidanza sente i suoni, prende dal sangue della madre gli alimenti che gli servono, avverte il dolore. Già condiziona, senza volerlo e senza averne coscienza, il corpo ma anche la psiche della madre, per adattare l'uno e l'altra ai suoi bisogni essenziali.

A sua volta però questo piccolo essere umano che si sta formando, è capace di dare al mondo che lo circonda, ed in primis alla madre, al padre e agli altri familiari ma anche alla società in cui vive, qualcosa che, se a volte è causa di ansia e inquietudine, il più delle volte viene vissuto come un regalo prezioso, desiderato e bramato. Ai suoi genitori può dare, infatti, ancora senza saperlo e senza volerlo, la realizzazione dei loro sogni. Il piacere e l’orgoglio della maternità e paternità realizzate. La gioia immensa di partecipare, inizialmente con il loro corpo e poi con le loro cure, con le loro parole, con l’affetto, con le attenzioni e sacrifici, alla formazione del più importante e complesso essere vivente da noi conosciuto. Quando mamma e papà accarezzano insieme il pancione, si ritrovano più uniti, più solidali, più vicini, ma anche più forti e decisi ad affrontare il mondo per modificarlo in senso positivo per loro, ma soprattutto per il loro bambino. Essi, di fronte al mistero della vita che hanno contribuito a creare, si sentono più desiderosi e disponibili alle tenerezze, più pronti all’accoglienza, più sicuri nelle sfide. Ai nonni e agli altri familiari il piccolo che deve nascere può dare il piacere di sapere che fra qualche mese potranno avere tra le loro braccia una nuova gioiosa vita, un piccolo caldo, allegro, cucciolo d’uomo con cui dialogare, comunicare e scambiare. Alla comunità e società degli umani sicuramente egli si offre come un nuovo mattone indispensabile per la stessa esistenza della società ma anche per il suo progresso e la sua espansione.

Non vi è pertanto un solo momento nel quale il bambino prende dall’esterno e non dà; come non vi è un solo attimo in cui il nuovo essere umano dà e non prende dal mondo esterno. Pertanto, sia nel bene sia nel male egli modifica in senso positivo o negativo il mondo che lo circonda e, a sua volta, è da questo modificato.

Non sempre abbiamo coscienza di questo scambio. Non sempre questo scambio è voluto e desiderato, ma costantemente, a tutte le età e in tutte le condizioni nelle quali ci troviamo esso avviene.

D’altra parte queste interazioni, sono presenti anche nel mondo non vivente: l’acqua di un fiume non modifica forse il paesaggio ed il letto in cui scorre, permettendo a mille forme di vita vegetali ed animali di crescere e svilupparsi lungo il suo alveo? E un fiume non è forse modificato da tutti gli elementi che lo circondano: alberi, rocce, animali, esseri umani che possono alterare o ostacolare il suo procedere verso il mare?

Non basta forse una frana per modificare il suo corso? E le sue acque cristalline alla sorgente non possono forse essere inquinate dagli animali, compreso l’uomo, che le utilizzano?

Come abbiamo detto questi scambi sono presenti in tutti gli esseri viventi e nell’ambiente fisico, ma è diversa la qualità degli scambi e anche la loro complessità.

Ed è per questo motivo che le teorie su come, cosa, perché e quanto venga scambiato tra gli esseri umani e l’ambiente che li circonda, sono tante e non sempre coerenti tra loro. Ed è per questo motivo che studiando le ipotesi che gli studiosi si sono affannati a cercare e sperimentare per poi metterli in campo e diffonderle con i loro articoli ed i loro trattati, si ha la netta sensazione di un impegno molto più arduo e complesso rispetto alle nostre povere possibilità. Ma ciò non ci esime dal trascurarle o peggio dal non tenerle in alcun conto nei nostri quotidiani comportamenti.

Il primo contatto con la madre


 

Abbiamo detto che il primo contatto dell’essere umano con il mondo esterno è rappresentato dal corpo, dal sangue, ma anche dagli umori della madre. Non sappiamo esattamente cosa avverte della vita psichica della madre l’embrione e poi il feto. Certamente non i suoi pensieri e le sue riflessioni. Sicuramente non può aver contezza se questa donna ha, accanto a sé, un uomo e una famiglia che sa accoglierla e proteggerla, rassicurarla e confortarla, ascoltarla e consigliarla, o se, al contrario, ella è sola ad affrontare questo meraviglioso ma impervio cammino.

Il nascituro, sicuramente, non ha ancora la possibilità di avvertire pienamente se la madre è preda degli impegni, del lavoro e delle angosce del vivere quotidiano che la inseguono e sommergono oppure se, serenamente e coerentemente con il suo impegno di madre, sta costruendo per il suo bambino, rilassandosi, un ambiente sicuro, caldo e confortevole come un nido.

Sappiamo però che prima della nascita il bambino già avverte le conseguenze che i vissuti della madre hanno sul corpo di lui, in quanto il benessere della madre diventa il suo benessere, come il malessere della madre rischia di diventare il suo malessere. Sappiamo che all’inizio della sua avventura umana, la comunicazione è solo biochimica, ormonale, immunologica, ma questa poi, gradualmente, con lo sviluppo delle capacità percettive, diventa piena e completa.

Pertanto, ogni variazione della fisiologia, come dell’assetto biochimico e ormonale della donna influenza, oltre il corpo e la mente di questa anche il corpo e poi, nel momento in cui si è formata, anche la mente del bambino che la donna stessa porta in seno.

Già dal battito del cuore della madre, dalla tensione del suo addome e da altri mille segnali biologici il nascituro avverte se la madre si sta spendendo con ansia per tante, troppe incombenze oppure si sta concentrando sul suo mondo interiore cercando, per il suo bambino, tutte quelle caratteristiche materne che a questi servono.

 

 Elementi positivi e negativi durante la gravidanza

Esaminiamo adesso che il bambino che si sta formando nel ventre materno modifica dell’ambiente circostante, come lo modifica  e da cosa è modificato.

Ancor prima che la madre sappia di aspettare un bambino quest'ultimo ha iniziato a modificare il corpo di lei, ma anche alcuni aspetti del modo di vivere e sentire se stessa ed il mondo. Uno dei segnali principali che la madre riconosce facilmente è, infatti, la scomparsa delle mestruazioni e quindi la mancanza di una nuova ovulazione. Il sospetto, che con gli appositi esami diventa certezza, che un essere umano si sta formando dentro di lei, non passa sicuramente inosservato; anzi, per tante donne, è l’evento clou della loro vita e della loro esistenza.

D’altra parte i sentimenti della madre, prima e durante la gravidanza, possono influenzare profondamente il suo atteggiamento riguardo al bambino che nascerà, così come possono condizionare il modo con il quale lo accoglierà e si comporterà nei suoi confronti.[1]

Allo stesso modo i suoi sentimenti, prima e durante la gravidanza, condizioneranno la sua vita futura. Necessariamente subiranno una qualche modifica i rapporti con il padre del bambino, il lavoro e gli altri impegni, la famiglia e gli amici. Nulla sarà come prima! Aspettare un bambino può significare che un sogno si è realizzato. Un sogno nato in un momento lontano della sua vita. Un sogno sbocciato quando da bambina ha iniziato a giocare con la sua prima bambola ‹‹che voleva sempre la pappa e lei doveva continuamente preparagliela se no quella piangeva, cosicché doveva cullarla a lungo prima che, finalmente, si addormentasse tranquilla.›› Oppure quel sogno era sgorgato quando, per la prima volta, la mamma le aveva dato il permesso di toccare, ma solo per un momento e molto delicatamente, le manine o il corpicino del fratellino appena nato; o quando, avendo più fiducia in lei, le aveva permesso di poggiarlo un attimo sul piccolo grembo di lei, o ancora quando, fidandosi delle sue capacità, aveva affidato a lei le cure del fratellino per qualche minuto e lei, in quei momenti, si era orgogliosamente sentita una mammina amorevole.

Aspettare un bambino può significare il completamento di un rapporto di coppia nato molti anni prima tra i banchi di scuola e condotto con impegno, coerenza e fiducia per molto tempo, prima di essere coronato dalla cerimonia del matrimonio e poi, finalmente, dall’attesa di un figlio.

Per una coppia ritenuta sterile, il sapere di aspettare un bambino è già qualcosa di diverso. Dopo mille sacrifici, dopo tante attese, dopo infinite delusioni, la gioia inaspettata può avere caratteristiche sconvolgenti che, a volte, proprio per questi motivi e per la paura che questa nuova vita svanisca fugacemente, non si riesce a gustare fino in fondo.

Aspettare un bambino può significare, purtroppo, ben altro. Quando è solo il frutto di un incontro occasionale, della passione di una notte, o è solo la conseguenza di un errore commesso in due, una nuova vita umana può accendere nell'animo dei genitori tinte fosche e drammatiche

Aspettare un bambino può significare, in una famiglia estremamente povera e disagiata, dover affrontare nuovi sacrifici, nuove rinunce, nuovi e più pesanti impegni.

Queste ed altre mille situazioni diverse hanno la capacità di avvolgere il nuovo germoglio dell’umanità in un caleidoscopio di sentimenti ed emozioni che possono comportare notevoli conseguenze materiali, psicologiche e sociali le quali, a loro volta, influiranno, sia in senso positivo che negativo, sulla qualità della relazione, non solo tra genitori e figlio, ma anche tra  familiari e nuovo nato, tra società e novello cittadino.

 

Condizioni facilitanti il benessere del feto e poi del bambino

Giacché le variabili sono tante, numerose e complesse, non è possibile definire con buona approssimazione le conseguenze che le molteplici situazioni avranno sul futuro benessere del nuovo essere umano. Possiamo soltanto ipotizzare, utilizzando alcuni elementi di studio e le esperienze personali, solo alcuni fra i tanti scenari possibili.

Durante la gravidanza vi sono delle condizioni che potremmo definire facilitanti un buon percorso relazionale.

a)     La maturità personale dei genitori.

b)    Un’età adeguata.

c)     La serenità dell’ambiente.

d)    La positiva e costante comunione con il nascituro.

e)     La capacità di avvertire il bambino come un dono.

f)      Una realtà di coppia stabile.

a)    La maturità personale dei genitori.

I genitori giovani, ma maturi, sono molto favoriti nell’educazione dei figli dalla maggiore forza, vivacità e serenità interiore e dal migliore controllo delle pulsioni. Pertanto questi genitori sono capaci di affrontare e vivere meglio tutte le esperienze di vita, non solo quelle facili e gioiose ma anche quelle difficili e tristi. Essi sanno selezionare e oculatamente scegliere quanto può essere utile al nascituro e all’intera famiglia senza farsi influenzare eccessivamente dalle mode del momento. I genitori maturi hanno, inoltre, la capacità necessaria per riuscire a limitare i loro bisogni individuali. Pertanto, sono lieti di donare il proprio tempo, le proprie energie, le loro attenzioni, la loro presenza, la loro disponibilità al figlio che nascerà limitando, quando è necessario e per il tempo necessario, tutte le altre attività ludiche o lavorative, senza nulla rimpiangere: né la tenera e comoda dipendenza dai genitori d’origine, né gli effimeri divertimenti e passatempi dell’età adolescenziale, né il gratificante lavoro. Essi sono capaci di creare attorno al figlio che nascerà l’ambiente a lui più favorevole, allontanando sia gli inquinanti fisici, come i farmaci, i cibi adulterati e le radiazioni pericolose, sia gli inquinanti psicologici come l’ansia, la fatica, la tensione interiore, la conflittualità e lo stress, in quanto sanno che questi rappresentano dei potenziali rischi per il nascituro.

I genitori maturi hanno, inoltre, maggiori capacità di scegliere con attenzione ed oculatezza il momento in cui aspettare un figlio. Essi vogliono essere e sentirsi pronti ad accoglierlo bene. Pronti dal punto di vista fisico, in quanto persone adulte ma non troppo avanti con gli anni. Pronti dal punto di vista economico, in quanto capaci di mantenerlo ed educarlo dandogli il necessario anche se non il superfluo. Pronti dal punto di vista sociale, in quanto coppia unita in modo stabile e duratura mediante un vincolo responsabilizzante come quello del matrimonio.

b) Un’età adeguata

Per quanto riguarda l’età è difficile indicarne una ideale, in quanto si può essere maturi e capaci di educare bene un bambino quando ancora, per la legge italiana, non ci si può sposare; come, d’altra parte, si può essere affettivamente immaturi ad un’età nettamente avanzata. Ciò in quanto la maturità di una persona è solo in parte legata all’età cronologica. E’ noto però che fisiologicamente l’età troppo giovane, al di sotto dei diciotto anni comporta, oltre che possibili problemi di natura organica, difficoltà educative dovute ad una scarsa autorevolezza e alla presenza di comportamenti eccessivamente amichevoli e poco consoni al ruolo genitoriale.[2] Di contro, nell’età troppo avanzata, al di sopra dei trentacinque anni, nella relazione e nell’educazione di un bambino concorrono negativamente, oltre l’ampio divario generazionale, la più intensa emotività, la maggiore fragilità psicologica, la minore elasticità mentale. Pertanto, tra i genitori attempati ed i loro figli sono più frequenti i legami ansiosi e patologici. Come lasciare, ad esempio, che il figlio scelga liberamente la strada da percorrere nella vita quando, vivendo una situazione di fragilità e malinconia, lo si vorrebbe più intensamente e per un tempo più lungo legato a sé?

Non è da sottovalutare, inoltre, una più intensa inquietudine nei figli di genitori attempati dovuta alle più gravi e frequenti malattie presenti  in questi ultimi insieme ai timori per la loro scomparsa.

Oggi che le cause delle maternità precoci sono dovute essenzialmente alla estrema libertà sessuale di cui godono gli adolescenti, gli interventi di prevenzione non possono che essere di tipo educativo. Pertanto non dovrebbe mancare, nei confronti degli adolescenti così come verso i giovani, una costante guida autorevole e morale da parte dei genitori e dei familiari. D’altra parte le istituzioni pubbliche dovrebbero farsi garanti delle immagini e dei contenuti che sono proposti giornalmente ai minori, in modo tale da valorizzare e stimolare in questi un uso attento e responsabile della sessualità, evitando di farla apparire, come spesso avviene in numerosi film e spettacoli, come un piacevole gioco, un divertente passatempo o soltanto uno dei modi con i quali si possono esprimere i sentimenti amorosi.

c)     La serenità dell’ambiente.

Il fragile essere umano che si sta formando nel ventre materno, ha la necessità di crescere e svilupparsi in un ambiente sereno. E poiché, prima della nascita, l’ambiente del bambino è dato soprattutto dalla madre, il piccolo ha bisogno che questa donna viva l’esperienza della maternità con distensione, gioia e ottimismo, in quanto queste condizioni facilitano molto gli aspetti biologici della gravidanza e l’instaurarsi di un positivo e fisiologico rapporto madre – figlio.

Una madre psicologicamente equilibrata e serena, riesce infatti ad affrontare molto meglio gli eventuali malesseri e problemi che si dovessero presentare durante i nove mesi di attesa, senza paure eccessive e senza andare facilmente e inutilmente in ansia. Ansia e paure che, se durevoli o troppo intense, rischiano di compromettere e danneggiare il fisiologico decorso della gravidanza.

Se è vero che l’equilibrio e la serenità della madre sono dati soprattutto dalle sue caratteristiche psicologiche, è altrettanto vero che l’aiuto ed il sostegno che può ricevere dalle persone che le sono vicine e con le quali entra in contatto, è fondamentale. In molte culture viene prestata un’enorme attenzione alle donne in attesa, verso le quali viene attuata una notevole protezione da parte delle loro famiglie e di tutta la comunità nella quale vivono, al fine di evitare loro ogni trauma sia fisico sia psicologico.

Intanto è fondamentale l’apporto del marito, o comunque del padre del bambino. Questi, durante tutto il periodo della gestazione e dell’allevamento del bambino, ha il compito di creare attorno alla madre e nella famiglia, un ambiente il più tranquillo, caldo e confortevole possibile, in modo tale da permettere alla sua donna di lasciarsi andare, nei confronti del figlio, a quell’atmosfera particolare e a quell’intimità speciale, che è indispensabile al fine di intraprendere il fondamentale rapporto empatico con la loro creatura. Compito del padre è inoltre quello di metterla al riparo, con il suo lavoro e le sue attenzioni ed il suo comportamento, da attività faticose e da ambienti inquinanti o stressanti che potrebbero danneggiare il prodotto del concepimento.

Per WENNER: Una buona madre ‹‹…ha un rapporto stretto con il marito ed è desiderosa e felice di far conto del suo aiuto. A sua volta è capace di dare spontaneamente agli altri, compreso al proprio bambino. Al contrario una donna che ha grosse difficoltà emotive, durante la gravidanza e il puerperio ha grosse difficoltà nel fare affidamento sugli altri. Essa è incapace di manifestare il suo desiderio di sostegno, oppure lo fa richiedendolo in modo aggressivo, riflettendo in ambedue i casi la sua mancanza di fiducia che ciò possa verificarsi .››[3]

 

Altrettanto importante è l’apporto degli altri familiari i quali hanno anche il compito di offrire con la loro presenza, con le loro parole ed i loro comportamenti, segnali inequivocabili di sostegno, disponibilità e supporto alla coppia, così che questa possa meglio capire, vivere e affrontare gli eventi sia positivi sia negativi di questa fase particolare della vita della madre e del bambino.

Di particolare importanza è il compito delle donne della famiglia: madre, suocera, zie, cugine più anziane. Queste dovrebbero essere in grado di sostenere, aiutare, consigliare le neo-mamme soprattutto nelle prime settimane del suo rientro a casa dopo il parto. Compito che dovrebbero svolgere con dolcezza, serenità e affetto, rispettando i bisogni della puerpera senza per altro essere eccessivamente invadenti ed opprimenti. In molti paesi ed in molte culture questo supporto è costante e stabile. Ciò purtroppo non sempre avviene nei moderni paesi occidentali nei quali, per motivi vari: impegni lavorativi eccessivi, chiusura della coppia nei confronti della rete parentale, notevoli distanze fisiche tra l’abitazione della madre in attesa ed i suoi familiari, la neo-mamma rimane sola, in balia dei suoi dubbi, insicurezze e scarse conoscenze sulla migliore gestione sia della gravidanza sia, in un momento successivo, del neonato. Infatti le conoscenze ottenute dalla lettura di libri e riviste sull’argomento non riescono a fornire loro un sufficiente supporto per un compito molto complesso e variegato che necessita di molte esperienze pratiche.

I medici, d’altra parte, non si possono sottrarre all’obbligo di costruire, coltivare e mantenere con le loro parole e con i loro comportamenti nell’animo della madre e della famiglia della gestante un buon equilibrio e benessere psichico, evitando tutte quelle visite, terapie ed esami inutili o superflui che potrebbero provocare stress sia alla madre che al suo piccolo.

d)    La positiva e costante comunione con il nascituro.

 

In condizioni di normalità il legame con il figlio spesso precede, almeno nella fantasia e nel cuore dei genitori, l’evento stesso della gravidanza. Questo legame dovrebbe diventare tangibile quando la nuova vita bussa alla porta dell’esistenza e chiede di svilupparsi e crescere non solo come elemento organico e materiale, ma anche e soprattutto come essere umano ricco di capacità intellettive, affettive, relazionali e morali.

Quando questo legame è solido, continuo ed emotivamente gioioso, il cuore dei genitori e dei familiari diventa ampio, caldo e accogliente, per cui hanno scarsa importanza tutti quegli esami che tendono ad evidenziare una possibile disabilità al solo scopo di mettere poi la coppia nella tremenda alternativa di effettuare o no un aborto terapeutico o eugenetico. Se i genitori hanno fiducia nelle capacità e possibilità della natura, non accetteranno neanche di praticare quell’eccesso di esami clinici e visite ginecologiche che fanno soffrire sia la donna sia il nascituro, ma si atterranno soltanto a quelle ritenute utili ed indispensabili. E non importa, come invece oggi viene suggerito, che la madre senta il dovere di fare ascoltare una tenue e distensiva musica sinfonica al bambino che vive nel suo ventre: il battito calmo del suo cuore che vive e gusta l’attesa con serenità e gioia e il suo canto spontaneo, mentre attende alle normali occupazioni quotidiane, saranno, per il figlio che deve nascere, le migliori melodie. E non importa che la madre sia obbligata o spinta a raccontargli delle favolette. C’è tempo per le favole. Le voci serene, provenienti da una casa in cui regna l’armonia, saranno, nei mesi dell’attesa, le sue favolette preferite.

e)     La capacità di avvertire il bambino come dono.

Quando l’essere umano che si sta formando ha la fortuna di essere accolto da genitori e da una famiglia aperta alla vita, generosa nei confronti di se stessi e degli altri, l’attesa di un bambino può dare molto in quanto, quel nuovo cucciolo d’uomo assolutamente unico e irripetibile, è avvertito come un dono. Un dono al piccolo che nascerà. Un dono a se stessi, alla propria famiglia e alla società. Un dono per il mondo. E se i genitori e gli altri familiari sapranno costantemente comunicargli in ogni momento della sua vita questa disponibilità interiore, il bambino sentirà, dentro di sé e attorno a sé, questa splendida realtà: essere per tutti un regalo e mai un peso. Ciò sarà per lui fonte di sicurezza, calore e gratitudine. Servirà a rafforzare l’autostima. Sarà utile nel creare un legame solido, stabile e ricco di fiducia, con i suoi genitori e con la realtà che lo circonda.

Ma i doni vanno accettati così come sono. Se, invece, i genitori hanno delle attese e un’immagine irrealistica del figlio che dovrà nascere, se si aspettano solo delle qualità positive: ‹‹Sarà, intelligentissimo, bellissimo, sanissimo, incapace di fare capricci; sarà sicuramente in grado di rispondere ad ogni mia esigenza e aspirazione conscia e inconscia››, in questi casi la delusione e la frustrazione non potranno che essere pesanti ed invalidanti nei riguardi della relazione genitori - figlio. Così come saranno dolorosi i risvolti nei confronti del figlio, il quale  si avvertirà incapace di dare piacere e gioia ai suoi genitori, come ogni bambino vorrebbe.[4] D’altra parte, se il figlio si conforma a questa eccessiva ed irrealistica idealizzazione vi sarà il rischio di contribuire ad una ipertrofia dell’Io con segni di onnipotenza che può portare a vivere in maniera eccessiva ogni frustrazione, nel momento in cui, nel corso della vita, sarà costretto a confrontarsi con i suoi limiti e con i suoi errori.[5]

f)      Una realtà di coppia stabile.

 

La presenza di una coppia stabile, costituita da due persone di sesso opposto, unite da un saldo legame sociale, è elemento essenziale sia per vivere bene la gravidanza, sia per la futura educazione ed allevamento del bambino. La presenza di un saldo legame sociale, come può essere quello del matrimonio, in tutti i popoli ed in tutte le epoche è consequenziale a questa necessità. I motivi che rendono importante una condizione di coppia stabile e quindi di famiglia, sia durante la gravidanza che dopo, sono numerosi:

1.     l’essere umano è estremamente complesso per essere educato da un solo genitore;

2.     durante la gravidanza non sono rari i momenti difficili;

3.     la vita interiore del bambino necessita di due figure genitoriali;

4.     i possibili motivi di crisi o malessere possono essere più facilmente superati se accanto al bambino sono presenti due genitori;

5.     due genitori di sesso opposto permettono di introitare più facilmente una corretta identità e ruolo sessuale;

6.     la funzione educativa risulta più semplice quando sono presenti due genitori;

7.     un genitore solo ha maggiori problemi economici;

8.     la coppia è essenziale per una buona socializzazione del minore.

 

 

 1.     L’essere umano è estremamente complesso per essere educato da un solo genitore.

L’uomo è l’organismo più complesso da noi conosciuto. Le sue notevoli possibilità nel linguaggio, nell’intelligenza, la sua vita sociale e relazionale, la sua cultura, non possono essere sviluppate e realizzate senza l’intervento di più esseri umani, ognuno con un suo compito specifico. La madre, proprio perché portatrice di qualità particolari di tipo femminili, ha la possibilità di far crescere nel bambino, maschio o femmina che sia, quelle qualità affettive, emotive, relazionali, proprie del genio femminile, che sono indispensabili al nuovo essere umano. Mentre un padre, se è educato e si adopera in senso maschile, così come dovrebbe, può aggiungere al patrimonio materno le caratteristiche virili: la forza, il coraggio, la razionalità, la coerenza, la linearità e la fermezza. Qualità che sono altrettanto utili sia ai maschietti che alle femminucce.

2.     Durante la gravidanza non sono rari i momenti difficili.

Il periodo della gravidanza e poi del parto è spesso contrassegnato da momenti difficili, per cause organiche e psicologiche, in quanto il corpo e la mente della donna sono messi a dura prova dai numerosi e complessi adattamenti, indispensabili per ben accogliere la nuova vita che si sta formando. Soprattutto l’equilibrio interiore della madre può essere turbato a causa della maggiore fragilità emotiva, dall’ansia e dalle paure che possono sorgere nel suo animo, nel momento in cui è costretta ad affrontare questa nuova, sconvolgente esperienza e le varie difficoltà e problemi che possono sopravvenire nel corso dei nove mesi. Le sue ansie, su come procederà la gravidanza e le sue paure: di un bambino malformato, di un parto prematuro, della morte del feto, della sua morte, risulteranno notevolmente attenuate se, accanto a questa donna, vi è un uomo, padre del bambino, legato a lei da vincoli sociali e di amore, capace di esserle vicino e di rassicurarla. La certezza di non essere sola in quei momenti e nei possibili frangenti che potrebbero coinvolgerla, rende la donna più serena e sicura. E questa serenità e sicurezza inevitabilmente sarà trasmessa al bambino che porta in seno.

3.     La vita interiore del bambino necessita di due figure genitoriali.

 

Il bambino ha, nei confronti dei genitori ma anche del mondo che lo circonda, sentimenti contrastanti fin dalla nascita. Se ottiene dalla persona che lo cura e che gli sta accanto quanto desiderato in quel momento: costante attenzione, tenerezza, piacere e soddisfacimento dei suoi bisogni, egli prova amore verso questa persona. Egli è lieto di quest’amore e gode di questo sentimento positivo che appaga il suo animo e riempie il suo cuore di serenità e sicurezza. Ma se quella stessa persona, in un dato momento, per un motivo qualunque, non è più in sintonia con lui per cui lo rimprovera, lo contrasta nei suoi desideri o non l’accontenta così come dovrebbe, questa persona assume l’aspetto di un essere cattivo, per cui nei suoi confronti, è facile che egli provi risentimento e a volte desiderio di morte e distruzione. Ciò lo spinge a cercare comprensione e attenzione altrove. Se accanto alla sua mamma vi è un padre, in quel momento verso di lui disponibile e capace di accoglienza e cura, la sua tristezza si placa, la sua fame di gioia si sazia, il suo cuore si rasserena ed è più facile, per questo bambino, recuperare l’equilibrio interiore che è andato momentaneamente in crisi. Cosicché permane in lui una buona fiducia, apertura e vitalità interiore che lo incoraggia ad aprirsi agli altri e al mondo. Ma se ciò non gli è possibile, in quanto accanto alla madre non vi è un padre, non vi è un uomo legato a lui da vincoli di sangue e di amore, che possa accogliere e soddisfare i suoi bisogni, rimane intrappolato nei suoi desideri e pensieri negativi. Infatti, distruggere o odiare consciamente o inconsciamente la persona che in quel momento gli appare cattiva, è come distruggere e odiare l’unica fonte di amore, piacere e cure a sua disposizione, per cui è come distruggere e odiare se stesso ed il mondo. In tali condizioni il bambino proverà a trovare all’esterno della famiglia o nel proprio Io l’elemento “buono”. I limiti di questa possibile strategia e difesa sono evidenti in quanto non sempre, all’esterno della sua famiglia, vi sono persone affidabili, costantemente disponibili, presenti e a lui strettamente legati da vincoli d’amore e quindi vi è il reale rischio di avere altre delusioni che accentueranno la sua rabbia ed il suo pessimismo. Tra l’altro può essere contemporaneamente invischiato dai sensi di colpa verso il proprio genitore in quanto, la ricerca di un amore al di fuori della sua famiglia può essere vissuto come un tradimento verso la persona che, fino a quel momento, ha avuto cura di lui. L’altra possibilità, il chiudersi in se stesso, cercando nell’intimità del proprio Io l’elemento consolatore buono, lo costringe a rinunciare al sentimento di fiducia e apertura verso gli esseri umani e verso il mondo e ciò, inevitabilmente, porterà una notevole riduzione della spinta vitale e sociale e quindi lo costringerà alla chiusura e alla solitudine.

4.     I possibili momenti di crisi o malessere possono essere più facilmente superati se accanto al bambino sono presenti due genitori.

Sappiamo che la vita di una persona, anche la più sana ed equilibrata, subisce dei momenti di crisi per cause organiche o psicologiche. Non sono rare le malattie che possono impedire o mettere in difficoltà le capacità di cura e di attenzione di uno dei genitori, come non sono rare le problematiche psicologiche, anche momentanee o reattive a qualche evento difficile o luttuoso, che possono impedire il sereno e costruttivo rapporto con i figli. Tali malesseri fanno parte della condizione umana. La possibilità che in tali frangenti vi sia un altro o un’altra che sostituisca, in tutto o in parte, il genitore in difficoltà, permette al bambino quella continuità educativa e di cure di cui egli non può fare a meno.

5.     Due genitori di sesso opposto permettono di introitare più facilmente una corretta identità e ruolo sessuale.

Se accanto al bambino vi sono costantemente due figure genitoriali di sesso opposto, è possibile garantire al bambino una corretta identità e un adeguato ruolo sessuale. Qualità queste fondamentali per un buon equilibrio psichico, che gli potranno permettere di vivere serenamente i rapporti affettivi ed amorosi con l’altro sesso e, nello stesso tempo, gli daranno in futuro la possibilità di offrire alla propria donna e ai propri figli le specifiche caratteristiche maschili: forza, determinazione, coerenza, linearità; o le caratteristiche specifiche femminili: dolcezza, capacità di ascolto e di cure, comprensione, tenerezza, accoglienza.

6.     La funzione educativa risulta più semplice quando sono presenti due genitori.

 

 

Quando sono presenti due genitori è più facile che nelle funzioni educative si stabilisca un gioco di squadra nel quale ognuno dei due assume su di sé un compito specifico nel quale è sostenuto e aiutato dal compagno. Sapere di poter contare su un altro dà sicurezza e serenità, allontana i dubbi, le perplessità e le paure, per cui il risultato sarà sicuramente migliore che non pensando o pretendendo di assumere su di sé tutti i ruoli e tutti i compiti.

Oggi purtroppo questa esigenza viene sempre di più sottovalutata a causa della falsa, maggiore sicurezza sulle proprie capacità economiche, fisiche e psichiche, ma anche a motivo dell’eccessiva e mal riposta fiducia nei confronti dei servizi sociali che dovrebbero accompagnare la persona sola lungo il corso della sua esistenza. ‹‹Perché preoccuparsi di avere accanto a sé un uomo, il padre del bambino, quando io guadagno benissimo per cui posso tranquillamente fare a meno dell’apporto materiale di quest’uomo? ›› ‹‹Perché preoccuparsi di avere accanto un uomo quando io possiedo un carattere forte e deciso per cui non avrò problemi dell’affrontare con grinta e determinazione tutte le possibili difficoltà che la vita potrà presentarmi? ›› ‹‹Perché chiedere l’aiuto di un uomo quando sono certa che lo stato mi assisterà con i suoi servizi sociali, con i suoi medici e con le sue istituzioni, sia durante sia dopo la gravidanza?››

Abbiamo detto sopra che i servizi danno una falsa sicurezza in quanto non hanno, per loro natura, nessuna delle caratteristiche necessarie ad un compito educativo primario. Compito educativo che necessita di essere sostenuto da un legame affettivo stabile, responsabile e continuo nel tempo.

Pertanto, un genitore solo rischia di oscillare, nella quotidiana attività educativa, da un comportamento troppo rigido ad uno troppo permissivo, senza riuscire a trovare il giusto equilibrio, in quanto è attanagliato dal dubbio e dall'incertezza di non fare ciò che più serve nei confronti del figlio. Non sa, non capisce quale sia il comportamento educativo più corretto, in quanto non ha la possibilità di confrontarsi e di dialogare con un altro. La mancanza d’aiuto e di sostegno lo rende facilmente ansioso, timoroso ed insicuro. Il genitore solo è privo, inoltre, della possibilità di mediazione nei confronti dei figli. Cosa questa che solo la presenza di un altro può permettere.

Inoltre, un genitore che svolge il suo difficile compito in solitudine, rischierà, più facilmente, di essere coinvolto in un rapporto con i figli eccessivamente inglobante, con conseguente attaccamento ansioso o morboso. A sua volta questo patologico attaccamento, nonché la gelosia del proprio primato e del riconoscimento affettivo, potrà nel tempo limitare o impedire alla prole i normali investimenti affettivi ed amorosi al di fuori della famiglia.

Quando a guidare una famiglia è solo una madre, sono frequenti nella donna il senso di solitudine, l’insicurezza e la paura di non farcela, di non riuscire, di non saper bene educare il figlio e quindi la presenza di ansia e di sensi di colpa. La madre single si chiede se davvero è in grado di dare al figlio tutto ciò che gli serve. Pesa eccessivamente ogni decisione, avendo continuamente paura di sbagliare, tende ad oscillare tra atteggiamenti permissivi e autoritari senza mai trovare un equilibrio stabile, una linea di condotta coerente. [6] Accanto a queste paure vi sono il timore ed il sospetto di trasmettere ai figli le proprie insicurezze ed ansie, tanto da impedire loro di raggiungere un sano equilibrio. Vi è inoltre il rischio di instaurare un rapporto simbiotico con i figli, che possono assumere di volta in volta il ruolo di amici e amiche così da sostituire l’amore per un uomo. Questi rapporti simbiotici rischiano di limitare la loro crescita affettiva e sociale.

Ma anche il padre single ha i suoi problemi. L’uomo non essendo geneticamente predisposto per le cure intime e personali, nel vivere quotidianamente con i figli fa fatica ad assumere un rapporto flessibile, caldo, delicato ed accogliente, in quanto con difficoltà egli vede e sente le sfumature emotive nei dialoghi e nelle situazioni, pertanto è più propenso a dare risposte immediate ai problemi della famiglia, piuttosto che a far rivivere e far sedimentare le emozioni dei figli.

7.     Un genitore solo ha maggiori problemi economici.

Quando è solo un genitore a guidare una famiglia, spesso le condizioni economiche sono più ristrette e precarie.

8.     La coppia è essenziale come strumento di socializzazione.

È la coppia che dà concreto e vivente esempio di come si gestisce un rapporto interpersonale, fatto di accettazione dell’altro per quello che è e non per quello che si pretende che sia, mentre, nello stesso tempo permette di evidenziare la bellezza del servizio reciproco tra i coniugi. E’ il vivere in coppia che può permettere di dimostrare al bambino come si possa condurre una vita comunitaria organizzata non su supporti gerarchici ma su una parità integrativa. E’ la coppia che abitua il bambino ad uscire dall’io per costruire il noi.[7] È , infine, la coppia che aiuta e supporta il superamento della fase edipica.

 

 


[1]  Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e  Barbera, 1965, p. 45

[2]  In Italia oltre 4700 mamme hanno meno di 19 anni. La maggiore concentrazione è al sud: Sicilia 780, Campania (644) Puglia (441). Dati Adnkronos Salute 2008)

[3]  WENNER in J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 111

[4]  M. ZATTONI - G.GILLINI,  “Di mamma non ce né una sola”, in Famiglia oggi, 2003, N° 2, p.19.

[5]  M. ZATTONI - G.GILLINI,  “Di mamma non ce né una sola”, in Famiglia oggi, 2003, N° 2, p.20.

[6]  J. STEFANI, “Donne al timone”, in Psicologia contemporanea, 2006, 195, p.15.

[7]   C.A. MORO, “Diritti del minore e diritti degli adulti: uno scontro insolubile?”, in La famiglia, n° 166, anno XXVIII, luglio agosto, 1994, p. 22.

 

 

 

 

Ambiente esterno e ambiente interno

 

Attorno a noi ma anche dentro di noi vive e si agita un mondo complesso e articolato: l’ambiente.

Chiamiamo ambiente interno quel mondo interiore fatto di carne e sangue, di ormoni e geni, di cellule e apparati, ma anche di pensieri e sogni, di speranze e delusioni, di momenti di serenità e inquietudine, di gioie e angosce, di amori e odi, di sentimenti accoglienti o rabbiosi, di conflitti e desideri.

Definiamo ambiente esterno il mondo su cui ci muoviamo e interagiamo. Questo, com’è facile comprendere, è costituito soprattutto di persone. Alcune di queste sono molto vicine al nostro cuore e quindi fondamentali per la nostra vita, la nostra crescita o la nostra stessa sopravvivenza. È da queste persone che ricaviamo buona parte della nostra gioia e serenità interiore; è da queste persone che traiamo la nostra forza, il nostro equilibrio, la nostra maturità. Ma è anche dall’incontro con queste donne e questi uomini che derivano molte delle nostre tristezze, sofferenze e angosce.

 

Queste persone possono essere per noi importanti e fondamentali, come i genitori, i fratelli, i familiari, gli amici, con i quali condividiamo i pensieri più intimi, le gioie più profonde, i dolori più laceranti ma non sono affatto da sottovalutare tutti gli altri esseri umani con i quali, in qualche modo, siamo in contatto durante il giorno. Anche quelli, quindi, con i quali scambiamo solo un freddo saluto o un garbato “buongiorno”. Anche questi, sebbene in modo molto minore, sono importanti per il nostro benessere o malessere psicofisico.

Molte di queste persone non sono da noi scelte: non sono scelti i genitori e tutti i familiari con i quali si è instaurato un legame di sangue o di appartenenza; non sono scelti gli insegnanti, i compagni di scuola o di sport, così come non sono scelti i colleghi di lavoro o di studio.

In alcuni casi, invece, abbiamo la possibilità e la fortuna di selezionare noi, con cura, le persone con cui rapportarci. Scegliamo gli amici più cari con i quali condividere parte della nostra vita. Scegliamo gli amori più importanti e profondi con i quali vivere duraturi sentimenti teneri e caldi o anche dei progetti importanti.

Per quanto riguarda la frequenza, con alcuni abbiamo dei rapporti quasi quotidiani, con altri i contatti sono più sporadici, con altri ancora i rapporti sono rari. Quando le relazioni sono frequenti e intime, accettiamo più facilmente le frustrazioni che da queste persone possono venire, giacché sono compensate dalle gioie e dalle gratificazioni che abbiamo avuto o che speriamo di avere in contraccambio. Siamo, invece, più sensibili e reattivi nei confronti delle persone sconosciute o da poco conosciute. Da queste ci attendiamo almeno un rispetto formale.

Variano anche i sentimenti che proviamo o che scambiamo. Con alcuni esseri umani scambiamo amore, con altri risentimento e odio, con altri desideri e passioni, mentre alcuni ci sono in parte o in tutto indifferenti.

Persone sono, anche quelle che ascoltiamo e vediamo alla radio, alla TV, mediante il computer su Internet. Persone sono quelle che ci hanno preceduto e che hanno lasciato con i loro scritti e con le loro parole, pensieri, storie, fantasie, riflessioni, opinioni. Persone sono quelle che con le varie arti: musica, pittura, scultura, architettura, comunicano a noi, anche dopo secoli e millenni, bellezza, armonia, piacere, gioia, ma anche malinconia, angoscia e tristezza. Tutti questi esseri umani, anche se non li abbiamo mai conosciuti direttamente o sono morti da migliaia di anni, hanno lo stesso la capacità di commuoverci, divertirci, istruirci e farci apprendere verità fondamentali. Anche questi esseri umani hanno il potere di farci crescere, renderci più sereni e forti o, al contrario, nonostante il trascorrere del tempo, hanno ancora il potere di turbarci, affliggerci; hanno il potere di farci, in definitiva, del male.

Ma l’ambiente esterno non è fatto solo di esseri umani. Gli animali, le piante e anche gli oggetti e l’ambiente fisico nel suo complesso, possono contribuire molto sia al nostro benessere sia al nostro malessere psicologico.

Ad esempio, non è indifferente il tipo di casa che ci accoglie. Così com’è piacevole entrare e vivere in una casa soleggiata, pulita, ordinata, calda, ampia e solida, al contrario è sicuramente sgradevole condurre la propria esistenza in una casa umida, fredda, sporca, buia o diroccata.

Non è indifferente vivere accanto a strade asfaltate nelle quali corrono auto rombanti e camion puzzolenti oppure avere la possibilità di abitare in un parco verde e tranquillo o in una campagna odorosa, così da godere della ricchezza, della bellezza, dei profumi e dei colori della natura.

Persone, animali, piante, oggetti, ambienti naturali, tutti sono fondamentali per la nostra vita fisica e psichica in quanto tutti sono in grado, anche se in modo diverso, di migliorare o peggiorare il nostro mondo interiore e quindi sono capaci di creare e promuovere il nostro benessere oppure di spingerci verso il malessere.

Dei due ambienti: quello interno e quello esterno, sappiamo che l’uno condiziona l’altro, l’uno è legato all’altro, l’uno è capace di essere modificato in senso positivo o negativo dall’altro.

Sofferenza o gioia possono nascere dalla nostra costituzione genetica (patrimonio di base di natura genetica), [1] dai disordini biochimici e ormonali o dalle malattie che ci possono colpire in qualunque momento della nostra vita. Allo stesso modo però, sofferenza e gioia possono nascere dal rapporto positivo o negativo, facile o difficile, normale o disturbato, caldo o freddo, intenso o raro che abbiamo avuto e che abbiamo ogni giorno con il mondo esterno a noi, con il quale ci relazioniamo.

Per AJURIAGUERRA ‹‹Non esiste sviluppo comprensibile al di fuori del suo ambiente.››[2] FREUD ribadì con forza l'evidenza che le radici della nostra vita emotiva risiedono nell'infanzia e soprattutto nella prima infanzia. Ma anche BOWLBY afferma: ‹‹Il punto di vista che sostengo, come si potrà notare, si basa sulla convinzione che gran parte dei disturbi psichici e dell'infelicità siano dovuti ad influenze ambientali su cui siamo in grado di intervenire e che possiamo modificare.››[3] E ancora lo stesso autore: ‹‹L’esperienza clinica e una lettura delle prove lascia pochi dubbi sulla veridicità dell’affermazione che molti disturbi psichici siano il risultato di un lutto patologico o che tali disturbi comprendano molti casi di stati d’angoscia, di depressione ed isteria, e più di un tipo di disturbi del carattere.››[4]

Per ACKERMAN ‹‹L’eredità fissa dei limiti al potenziale sviluppo della personalità, ma a darle una forma concreta è l’esperienza sociale.››[5]

Pertanto, tutto e tutti possono provocare delusioni cocenti, conflitti laceranti, angosce opprimenti; come, per fortuna, tutto e tutti possono essere apportatori di serenità e gioia, piacere e benessere, calore e apertura.

Nonostante queste conoscenze siano ben note fin dall'antichità, ciclicamente, nei vari periodi storici e nelle diverse società, l’accento viene posto a volte su una causa, a volte su un’altra. In alcune epoche ed in alcune culture è sottolineato il ruolo dell’ambiente interno, mentre in altre epoche ed in altre culture viene prevalentemente proposta all’attenzione l’influenza dell’ambiente esterno. A volte si evidenziano soprattutto le influenze legate al nostro patrimonio genetico, altre volte sono le malattie causate da microbi, virus e batteri ad essere in primo piano. In altri periodi storici ed in altre culture si pone l’accento sulle patologie legate ad una alterazione dell’assetto ormonale o biochimico, in altre per quelle dipendenti dalle condizioni economiche e sociali.

Non vi è dubbio che delle molteplici realtà che accompagnano e si attivano in senso positivo o negativo sulla formazione del benessere o malessere dell'essere umano negli ultimi decenni gli elementi genetici siano stati ampiamente sopravvalutati a scapito delle componenti sociali, ambientali e relazionali.

 

Continuamente l'opinione pubblica viene informata della scoperta di un nuovo gene che avrebbe una marcata influenza su questa o quella malattia, su questo o quel disturbo o comportamento abnorme o eccessivo. Ciò ha sviluppato nella mentalità comune la falsa opinione che buona parte delle malattie e dei disagi di tipo psicologico di cui soffriamo noi adulti ma anche i nostri figli come le nevrosi, le dipendenze, l'autismo, l'instabilità psicomotoria, i disturbi del carattere o del comportamento, le psicosi depressive e quelle dissociative, l'omosessualità ecc., siano su base genetica e, pertanto, incurabili fino a quando gli studiosi non siano riusciti a modificare i geni interessati, così da curare i nuclei e le aree cerebrali geneticamente alterate. La fiducia e le aspettative poste in queste ricerche da parte di un’opinione pubblica poco informata, diventano enormi e incongrue, perché è da questi studiosi, dai farmaci o dalle tecniche da loro prodotti e non dai nostri comportamenti personali, di gruppo e sociali che si attende la o le soluzioni dei tanti gravi problemi che ci assillano.

Ciò mette in scarsa luce e svilisce quanto constatato e studiato dagli illustri studiosi dell’animo umano.

Per AJURIAGUERRA ‹‹Senza alcun dubbio esistono dei pattern caratteristici di ogni specie, trasmessi per via ereditaria, che si manifestano sotto forme equivalenti in un insieme di individui della stessa specie. Ma i pattern possono essere attivati dall’ambiente, dagli stimoli tattili, visivi, uditivi, etc., (disinnesti sociali) - o modificati per l’assenza o per l’azione qualitativamente o quantitativamente inadeguata degli apporti dell’ambiente.››[6]

Per ISAACS ‹‹Possiamo affermare che, in genere, quanto più i piccoli di una determinata specie animale hanno bisogno di assistenza e quanto più a lungo rimangono dipendenti dai genitori, tanto più sono dotati di intelligenza e di spirito di adattamento, tanto meno vivono seguendo le regole fissate dalle leggi dell’ereditarietà e dalla genetica.››[7] Per OSTERRIETH ‹‹In breve, qualunque sia l'importanza e il peso dei fattori ereditari, l'uomo non è condizionato soltanto da questi: lo è altrettanto dalle condizioni in cui vive e in cui il suo sviluppo è avvenuto.››[8]

E ancora lo stesso autore: ‹‹Si può senz'altro affermare che le circostanze della vita e le esperienze dell'individuo determinano in larga misura il modo in cui la sua struttura ereditaria troverà espressione.››[9] E ancora: ‹‹Si sottovaluta che il più delle volte si trasmettono non malattie ma predisposizioni verso certe malattie piuttosto che altre. Si trasmette una maggiore o minore sensibilità ai traumi psichici piuttosto che disturbi o malattie psichiche. Anche perché perfino nei gemelli veri non vi è un uniforme comportamento per cui parecchie attitudini e tratti del carattere si trovano nell'individuo in quanto sono stati incoraggiati dall'ambiente, mentre altri sono stati costantemente inibiti.››[10] 

e WINNICOTT: ‹‹Al giorno d’oggi parliamo molto spesso di bambini disadattati: ma i bambini disadattati sono tali perché il mondo non è riuscito ad adattarsi correttamente a loro all’inizio e durante i primi tempi.››[11]

Se un bambino è sereno e sicuro oppure infelice e non in armonia con la società, dipende in gran parte dall’adeguatezza o meno delle prime cure che ha ricevuto.[12] E ancora WOLFF: ‹‹Le esperienze dell’infanzia non vanno perdute. Quando esse sono positive, l’individuo raggiunge la maturità conservando intatte le sue potenzialità riguardo ai rapporti umani, al lavoro, alla felicità. Egli risponde all’ambiente in modo realistico e sa adattarsi al mutare delle circostanze. Quando le esperienze infantili lo stressano in modo schiacciante, si ha un arresto dello sviluppo della personalità e può essere messo in movimento uno schema di comportamento disadattato, che si ripeterà per tutta la vita. Esso, come un destino malvagio, impedisce per sempre all’individuo di realizzare appieno le sue potenzialità nella vita adulta.[13] Arresto nello sviluppo non significa, però, che da quel momento tutto diverrà statico ma che vi sarà una deviazione della personalità con un ritardo nelle manifestazioni di cambiamento che caratterizzano il corso normale dello sviluppo di un minore.››

Sempre lo stesso autore ‹‹Certe circostanze possono essere dannose per i bambini, non per ciò che esse procurano, ma per ciò che non procurano: esse possono privare i bambini di essenziali esperienze di apprendimento.››[14]

Purtroppo però nell’attesa che le ricerche genetiche diano i loro frutti, si trascurano, sia nell'ambito della prevenzione, sia nell’ambito degli interventi terapeutici lo studio degli aspetti ambientali e relazionali. Per cui, come ben dice OSTERRIETH,  ‹‹La nozione fatalistica di ereditarietà incoraggia facilmente ad astenersi da ogni sforzo di educazione e da ogni tentativo per modificare l'ambiente nel quale il bambino cresce; essa costituisce, come ha detto qualcuno, un imponente guanciale di pigrizia pedagogica.››[15]

 

Questo atteggiamento spinge a considerare molte malattie psichiche come malattie croniche da fronteggiare soprattutto con gli psicofarmaci o con terapie abilitative e riabilitative fino a quando un improbabile, futuro intervento genetico potrà affrontarle ed eliminarle. Nel contempo siamo tutti assolti. Sono assolti i genitori che trascurano i loro figli e li costringono, con i loro incongrui ed egoistici comportamenti, ad innumerevoli sofferenze. Sono assolti i politici e gli amministratori che possono impunemente utilizzare i soldi pubblici ed indirizzare buona parte delle risorse per migliorare il benessere economico o peggio per costruire sempre più strumenti di guerra, trascurando il benessere sociale, quello familiare e di coppia e, quindi, l'ambiente di vita del bambino, come del giovane, dell'adulto o dell'anziano. Sono assolti i servizi presenti sul territorio, ai quali non si chiede l’efficacia dei loro interventi ma soltanto la quantità delle visite effettuate.

Inutile dire che è un messaggio sostanzialmente falso e fuorviante in quanto, se l'umanità ha sempre compreso e accettato la presenza della componente genetica nello sviluppo umano, nel contempo si è sempre attivata a che le componenti ambientali fossero le migliori possibili, al fine di evitare l'insorgenza o l’aggravarsi delle malattie del corpo e della psiche. Ed è proprio in queste ultime che prevalgono nettamente le componenti affettivo – relazionali e quindi prevalgono la comunicazione, il dialogo e lo scambio emotivo.

Altrettanto falso e fuorviante ci appare l'assunto per il quale nelle malattie prevalentemente o esclusivamente genetiche o organiche la disabilità che ne consegue porti automaticamente alla sofferenza del soggetto interessato e della sua famiglia, mentre è ampiamente dimostrato che la disabilità genetica od organica è solo una delle componenti che interagiscono su un substrato molto più complesso e variegato. Pertanto, così come la perfezione fisica non porta necessariamente gioia, equilibrio e serenità interiore, non è scontato che la disabilità si accompagni sempre a persone e famiglie infelici, tristi e angosciate. 

 

 Influenza dell’ambiente

 

Se un seme che porta in  sé, nei suoi geni, un progetto di vita che può essere quello di un grande maestoso albero, nei primi giorni della sua esistenza sarà circondato da un caldo, umido, leggero humus che, come un nido lo avvolgerà, lo riscalderà, lo aiuterà a germogliare e lo nutrirà sufficientemente e se poi nei riguardi di questo germoglio, gli insetti, gli animali ma anche le persone che lo circonderanno saranno benevoli e gli daranno ciò che gli serve per crescere, possiamo ben sperare che da questa piccola vita, quasi solo un progetto, si sviluppi una robusta piantina che avrà maggiori capacità nell’affrontare le insidie dell’ambiente. Ma se al contrario, un seme che porta lo stesso patrimonio genetico è circondato da un ambiente ostile come quello dato da una scarsa umidità, da un freddo intenso o da eccessivo calore, mentre nel contempo gli animali o gli esseri umani attorno a lui, piuttosto che a proteggerlo saranno intenti a schiacciarlo e calpestarlo, il risultato sarà sicuramente lesivo per quel seme tanto che quella speranza di vita cesserà di esistere.

 

Ma l’ambiente interviene anche quando il seme si è trasformato in alberello. Infatti, quando nella foresta la sua piccola tenera cima svetterà insieme a quelle degli altri alberi, se gli insetti, i vermi e gli animali grandi o piccoli che vivono e prosperano attorno a questo alberello saranno pronti ad accoglierlo e a scambiare elementi di vita, le possibilità che cresca alto, rigoglioso e forte, così da dare, a tempo giusto, i suoi fiori ed i suoi frutti, aumenteranno sensibilmente. Al contrario, se l’ambiente che lo circonderà sarà portatore di ferite laceranti o di traumi eccessivi non è difficile che prevarranno, insieme alla sofferenza, elementi di malattia, di deformità, se non di morte, qualunque sia il suo patrimonio genetico.

In ogni caso, però, quest’essere vivente ha già subìto, nel bene o nel male, le modifiche dell’ambiente attorno a lui, ma anch’egli ha contribuito a modificare, con la sua presenza, l’ambiente che lo circonda.

Pertantonell’ambito degli esseri viventi, ma anche in quello degli oggetti dell’ambiente fisico, l’influenza reciproca è la regola e non l’eccezione.

 Il tempo e l’ambiente

Nei riguardi degli esseri viventi lo scambio con l’ambiente non è sempre costantemente favorevole o sfavorevole. Questo scambio può essere in certi periodi ed in certi momenti positivo, mentre in altri periodi ed in altri momenti può risultare negativo. Se, però, l’elemento sfavorevole agisce quando l’essere vivente è piccolo e fragile, le conseguenze negative non potranno che essere ben più gravi che non quando le stesse condizioni lesive o negative agiranno quando l’essere vivente è già grande e robusto.

Vi è un’ulteriore componente legata al tempo.

Il contadino sa che vi è un periodo adatto alla semina, per cui, per essere certo di non sbagliare, guarda e si attiene al calendario ed è attento alle fasi lunari. Lo stesso contadino sa anche che vi è un tempo adatto a concimare, un tempo adatto alle potature e un tempo nel quale le piantine vanno ben protette per evitare che i venti e le tempeste impetuose li sradichino o rompano i loro teneri rami. Ed infine sa che vi è un tempo nel quale raccogliere i frutti maturi.

Come tutti gli esseri viventi anche gli esseri umani hanno dei tempi biologici che non possono essere misconosciuti o trascurati. Non è indifferente il periodo della propria vita nel quale mettere al mondo un figlio, come non sono indifferenti il tipo di cure, protezioni ed atteggiamenti e comportamenti educativi che bisogna dare nel modo opportuno e durante le varie fasi della sua crescita.

 


[1]  J, DE, AJURIAGUERRA, Manuale di psichiatria del bambino, Masson, Milano, 1993, p. 11.

[2]  J. DE, AJURIAGUERRA, Manuale di psichiatria del bambino, Masson, Milano, 1993, p. 116.

[3] J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 22

[4]  J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 61.

[5]  N.W. ACKERMAN, Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, p. 69.

[6]  J. DE, AJURIAGUERRA, Manuale di psichiatria del bambino, Masson, Milano, 1993, p. 116.

[7]  S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, 1995, p. 20

[8]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 19.

[9]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 19

[10]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 18

[11]  D. W. WINNICOTT, Il bambino e la famiglia, Giunti e Barbera, Firenze, 1973, p. 130.

[12]  Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982, p. 2.

[13] S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore,1970, Roma, p. 9.

[14] S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore,1970, Roma, p. 10.

[15]  P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, 1965, p. 10

 

 

 

 

 

 

 

Il bambino e il suo ambiente

 

Attorno a noi, ma anche dentro di noi, vive e si agita un mondo complesso e articolato: l’ambiente.

Chiamiamo ambiente interno quel mondo interiore fatto di carne e sangue, di ormoni e geni, di cellule e apparati, ma anche di sentimenti ed emozioni, di pensieri e desideri, di speranze e delusioni, di gioie e angosce, di amori e odi, di rabbia e accoglienza. Questa realtà interna o intrapsichica è, in fondo, più reale della realtà materiale, in quanto la percezione della realtà esterna è notevolmente influenzata proprio dalla realtà psichica; pertanto è quest’ultima che agisce maggiormente su di noi.

 

Definiamo ambiente esterno il mondo su cui ci muoviamo e interagiamo. Un modo fatto di persone, animali, oggetti, ambienti naturali e artificiali.

L’Io, tranne che nell’infanzia, nei sogni, nei deliri o nelle allucinazioni, mediante l’esame di realtà riesce a distinguere gli stimoli provenienti dal mondo esterno, da quelli provenienti dal mondo interno. Pur tuttavia il contatto con la realtà esterna non è uguale in tutte le persone, così come non è uguale neanche in tutti i momenti della vita. Esso è massimo durante la veglia e minino durante il sonno,nel quale il nostro cervello esclude, quasi totalmente, la realtà esterna. Ma anche durante il giorno, il contatto con la realtà esterna diminuisce molto quando siamo distratti dalla stanchezza, dallo stress o quando le preoccupazioni e le frustrazioni ci costringono a chiuderci in noi stessi. Ciò è maggiormente evidente quando prevalgono nel mondo interiore istanze e problematiche difficili, tristi e angosciose o quando siamo travolti da conflitti ed emozioni intense, come la paura, l’ansia, la gelosia e l’ira.

Nei bambini questo allontanarsi dal mondo esterno per vivere e seguire le interne emozioni, accade più facilmente. Pertanto molti genitori si sgolano, nel tentativo di “far tornare sulla terra” per svolgere gli impegni quotidiani, i bambini assorti nei loro pensieri; ma anche gli insegnanti si lamentano quando dei bambini perfettamente normali, dopo alcune ore trascorse in classe, si distraggono e seguono più le loro fantasticherie ed i loro sogni ad occhi aperti, che le spiegazioni degli argomenti scolastici. Ciò è più evidente nei bambini che presentano problemi psicoaffettivi, per cui, tanto più gravi sono le problematiche psicologiche, tanto più labile, scarso, incerto e saltuario è il legame con la realtà esterna. Questo legame è notevolmente carente nei bambini con Disturbo pervasivo dello Sviluppo, nei quali è massimo il bisogno di restare chiusi ed immersi nel mondo interiore e minimo il desiderio, ma anche la possibilità di rimanere in contatto con il mondo esterno.

L’uomo si è sempre posto il problema di come questi due ambienti dialoghino tra loro e di quanto l’uno influenzi l’altro. La millenaria osservazione attuata nell’ambiente vegetale e animale gli ha dato le prime risposte. Se un seme che porta in sé, nei suoi geni, un progetto di vita, che può essere quello di un grande maestoso albero, ricco di frutti succosi, nei primi giorni della sua esistenza sarà circondato da un caldo, umido, leggero humus che, come un nido lo avvolgerà, lo riscalderà, lo aiuterà a germogliare e lo nutrirà sufficientemente e se poi nei riguardi di questo germoglio, gli insetti, gli animali ma anche le persone che lo circonderanno saranno benevoli e gli daranno ciò che gli serve per crescere, possiamo ben sperare che da questa piccola vita, quasi solo un progetto, si sviluppi una robusta piantina, che avrà notevoli capacità nell’affrontare le insidie dell’ambiente. Ma se al contrario, un seme che porta lo stesso patrimonio genetico è circondato da un ambiente ostile, come quello dato da una scarsa umidità, dal freddo intenso o da eccessivo calore, mentre nel contempo gli animali o gli esseri umani attorno a lui, piuttosto che a proteggerlo saranno intenti a schiacciarlo e calpestarlo, il risultato sarà sicuramente lesivo per quel seme, tanto che quella speranza di vita potrà cessare di esistere.

 

Sappiamo anche che l’ambiente esterno interviene anche quando il seme si è trasformato in alberello. Quando nella campagna la sua piccola tenera cima svetterà insieme a quelle degli altri alberi, se gli insetti, i vermi e gli animali grandi o piccoli che vivono e prosperano attorno ad esso saranno pronti ad accoglierlo e a scambiare elementi di vita, le possibilità che cresca alto, rigoglioso e forte, così da dare, a tempo giusto, i suoi fiori ed i suoi frutti, aumenteranno sensibilmente. Al contrario, se l’ambiente che lo circonderà sarà portatore di ferite laceranti, di traumi intensi o ripetuti, non è difficile che prevalgano gli elementi di malattia, di deformità, se non di morte. Qualunque sia il suo patrimonio genetico.

In ogni caso quest’essere vivente ha già subìto, nel bene o nel male, le modifiche dell’ambiente attorno a lui, ma anch’egli ha contribuito a modificare, con la sua presenza, l’ambiente che lo circonda in quanto, se e quando gli sarà possibile farlo, anch’egli cercherà di adattarsi e difendersi dall’ambiente circostante. Non sempre abbiamo coscienza di questo scambio. Non sempre questo scambio è voluto e desiderato ma, costantemente, a tutte le età e in tutte le condizioni nelle quali ogni essere si trova a vivere, esso avviene.

D’altra parte queste interazioni sono presenti anche nel mondo non vivente: l’acqua di un fiume non modifica forse il paesaggio ed il letto in cui scorre, permettendo a migliaia di forme di vita vegetali ed animali di crescere e svilupparsi lungo il suo alveo? E un fiume non è forse modificato da tutti gli elementi che lo circondano: alberi, rocce, animali, esseri umani, i quali possono alterare e/o ostacolare il suo procedere verso il mare? Non basta forse una frana per modificare il suo corso? E le sue acque, cristalline alla sorgente, non possono forse essere inquinate dagli animali, compreso l’uomo, che le utilizzano?

Pertantonell’ambito degli esseri viventi, ma anche in quello dei non viventi come può essere un ambiente fisico, l’influenza reciproca è la regola e non l’eccezione.

Come abbiamo detto, questi scambi sono presenti in tutti gli esseri viventi, così come nell’ambiente fisico, ma è diversa la qualità degli scambi e anche la loro complessità. Ed è per questo motivo che le teorie su “come”, “cosa”, “perché” e  “quanto”, sia scambiato tra gli esseri umani e l’ambiente che li circonda, sono tante e non sempre coerenti tra loro. Ed è per questo motivo che studiando le ipotesi che gli studiosi si sono affannati a cercare e sperimentare, per poi metterle a disposizione di tutti e diffonderle con i loro articoli ed i loro trattati, si ha la netta sensazione di un impegno molto più arduo e complesso, rispetto alle nostre povere capacità. Ma ciò non ci esime dal trascurarle o peggio dal non tenerle in alcun conto, nei nostri quotidiani comportamenti.

  1. Per quanto riguarda gli esseri umani, probabilmente siamo ancora molto lontani dal dare una risposta definitiva alla problematica di quanto e come agisca l’ambiente esterno sul loro sviluppo, in quanto nell’uomo le influenze reciproche sono molto più ricche e complesse; ma, come dice Bowlby[1]:

 “Sappiamo che oggi il compito centrale della psichiatria dello sviluppo è proprio quello di studiare l’interazione senza fine tra mondo interno e mondo esterno e il modo in cui uno influenza costantemente l’altro, non solo durante l’infanzia, ma anche durante l’adolescenza e la vita adulta. Appare ormai evidente che gli avvenimenti accaduti all’interno della famiglia durante l’infanzia e l’adolescenza giocano un ruolo importante nel determinare se una persona crescerà mentalmente sana o no”.

 

Gli esseri umani e il loro ambiente

Negli esseri umani l’ambiente esterno è costituito da molti elementi: persone, animali, piante e altri elementi naturali, ma è anche costituito da oggetti, come può essere un libro, un televisore o un telefonino.

Per quanto riguarda le persone, alcune di queste: come i genitori, i fratelli, i familiari, gli amici, con i quali condividiamo i pensieri più intimi, le gioie più profonde, i dolori più laceranti, sono molto vicine al nostro cuore, pertanto la loro influenza sarà sicuramente maggiore e fondamentale per la nostra vita, il nostro benessere o malessere, ma anche per la nostra stessa sopravvivenza.

Tuttavia non bisogna affatto sottovalutare tutti gli altri esseri umani con i quali, in qualche modo, siamo in contatto durante il giorno. Anche questi, con i quali scambiamo solo un freddo saluto o un garbato “buongiorno” o “buonasera”, anche questi, sebbene in modo minore, sono importanti nell’illuminare di sprazzi di gioia le nostre giornate o al contrario nel turbare, per un tempo più o meno lungo, il nostro animo.

Molte di queste persone non sono da noi scelte: non sono scelti i genitori e tutti i familiari con i quali si è instaurato un legame di sangue o di appartenenza; non sono scelti gli insegnanti, i compagni di scuola o di sport; così come non sono scelti i colleghi di lavoro o di studio. Solo in alcuni casi abbiamo la possibilità e la fortuna di selezionare noi stessi, con cura, le persone con cui rapportarci. Scegliamo, ad esempio, gli amici più cari con i quali condividere parte della nostra vita e il nostro tempo libero. Scegliamo gli amori più importanti e profondi con i quali vivere duraturi sentimenti teneri e caldi o anche dei progetti importanti.

Per quanto riguarda la frequenza, con alcuni avremo dei rapporti quasi quotidiani, con altri i contatti saranno più sporadici, con altri ancora i rapporti saranno saltuari, se non rari. Quando le relazioni sono frequenti e intime, accettiamo più facilmente le frustrazioni, le ansie, le inquietudini che da queste persone possono provenire, giacché sono compensate dalla ricchezza della relazione, fatta di presenza, ascolto, conforto, stimolo e aiuto, della quale siamo grati. Siamo, invece, più sensibili e reattivi nei confronti delle persone sconosciute o da poco conosciute. Da queste ci attendiamo costantemente almeno un rispetto formale.

Variano anche i sentimenti che proviamo o che scambiamo. Con alcuni esseri umani scambiamo amore, con altri risentimento e odio, con altri desideri e passioni, mentre alcuni, inevitabilmente, saranno per noi, in parte o del tutto indifferenti.

Persone sono anche quelle che ascoltiamo e vediamo sui mezzi di comunicazione: alla radio, sugli schermi della tv, mediante il computer, sulla rete Internet, sui cellulari. Persone sono anche quelle che ci hanno preceduto e che hanno lasciato, con i loro scritti e con le loro parole, i pensieri, le storie, le fantasie, le riflessioni e opinioni dei quali è ghiotta la nostra mente. Persone sono quelle che con le varie arti: musica, pittura, scultura, architettura, riescono a comunicarci, anche dopo secoli e millenni, bellezza, armonia, piacere e gioia, ma anche altre volte malinconia, angoscia e tristezza. Tutti questi esseri umani, anche se non li abbiamo mai conosciuti direttamente o sono morti da migliaia di anni, hanno lo stesso la capacità di commuoverci, divertirci, istruirci e farci apprendere alcune verità fondamentali sempre attuali. Anche questi esseri umani hanno il potere di farci crescere, renderci più sereni e forti o, al contrario, nonostante il trascorrere del tempo, hanno ancora il potere di turbarci; hanno il potere di infliggerci del malessere.  

 

L’ambiente esterno non è fatto solo di esseri umani. Gli animali, le piante e anche gli oggetti e l’ambiente fisico nel suo complesso, possono contribuire molto sia al nostro benessere sia al nostro malessere psicologico. Ad esempio, non è indifferente il tipo di casa che ci accoglie: così com’è piacevole entrare e vivere in una casa soleggiata, pulita, ordinata, calda, ampia e luminosa, al contrario è sicuramente sgradevole condurre la propria esistenza in una casa umida, fredda, sporca, buia o diroccata. Non è indifferente vivere accanto a strade asfaltate nelle quali corrono auto rombanti e camion puzzolenti oppure avere la possibilità di abitare in un parco verde e tranquillo o in una casa di campagna odorosa, così da godere della ricchezza, della bellezza, dei profumi e dei colori della natura.

Persone, animali, piante, oggetti, ambienti naturali, tutti influenzano la nostra vita fisica e psichica, in quanto tutti sono in grado, anche se in modo diverso, di migliorare o peggiorare il nostro mondo interiore e quindi sono capaci di creare e promuovere il nostro benessere, come sono in grado di spingerci verso il malessere.

Dei due ambienti: quello interno e quello esterno, sappiamo che l’uno condiziona l’altro, l’uno è legato all’altro, l’uno è capace di essere modificato in senso positivo o negativo dall’altro.

  1. Sofferenza o gioia possono nascere dalla nostra costituzione genetica (patrimonio di base di natura genetica)[2], dai disordini biochimici e ormonali o dalle malattie che ci possono colpire in qualunque momento della nostra vita. Allo stesso modo però, sofferenza e gioia possono nascere dal rapporto positivo o negativo, facile o difficile, normale o disturbato, caldo o freddo, intenso o raro, che abbiamo avuto e che abbiamo ogni giorno con l’ambiente esterno a noi, con il quale ci relazioniamo. È naturale allora che sulla base di come abbiamo interpretato le nostre prime esperienze con i genitori, l’inconscio ci induca a pensare che il mondo ci accetta e ci approva, oppure ci rifiuta e disapprova.[3]

Pertanto, tutto e tutti possono provocare delusioni cocenti, conflitti laceranti, angosce opprimenti; come, per fortuna, tutto e tutti possono essere apportatori di serenità e gioia, piacere e benessere, calore e apertura. In definitiva ogni persona umana porta con sé in ogni momento della sua vita elementi biologici, psicologici e sociali che sono intimamente legati e fusi gli uni agli altri, così che è estremamente difficile, se non impossibile, separarli.

Rapporto tra ambiente esterno e ambiente interno

Per quanto riguarda il rapporto tra ambiente interno e ambiente esterno, molti autori si sono cimentati nel ribadirlo, ma anche nel cercare di spiegarne le modalità con le quale questo rapporto si instaura ed evolve.

Non solo Freud e gli altri psicoanalisti ma anche molti altri autori hanno ribadito con forza, in tutte le loro opere, l'evidenza che le radici della nostra vita emotiva risiedono nell'infanzia e soprattutto nella prima infanzia.

Per Osterrieth[4]:

 “Non si ereditano l’intelligenza, la capacità di concentrazione, la pigrizia, la virtù o il senso degli affari, come si eredita una collana di perle o un servizio da tavola. L’ereditarietà non assicura probabilmente la trasmissione di caratteristiche psicologiche o morali belle e fatte, come si pensa comunamente. E certamente più giusto pensare che ciò che si trasmette, siano predisposizioni, sensibilità o insensibilità, che permettano l’acquisizione nel corso della vita di certe attitudini o di certe caratteristiche di comportamento. Inoltre è necessario che le circostanze consentano a queste predisposizioni di manifestarsi e offrano le modalità secondo le quali esse si plasmeranno”.

 

E ancora lo stesso autore:

“È forse utile ricordare che, in realtà, organismo e ambiente sono in continua interazione, e che, secondo le caratteristiche dell’ambiente, certe tendenze ereditarie saranno non soltanto permesse ma favorite, concretizzandosi in attitudini o in tratti di carattere, altre saranno inibite, e appariranno solo in forma alterata, altre infine non saranno mai stimolate e le reazioni concomitanti non si verificheranno mai”[5].

“In breve, qualunque sia l’importanza e il peso dei fattori ereditari, l’uomo non è condizionato soltanto da questi: lo è altrettanto dalle condizioni in cui vive e in cui il suo sviluppo è avvenuto[6]”.

“Si può senz'altro affermare che le circostanze della vita e le esperienze dell'individuo determinano in larga misura il modo in cui la sua struttura ereditaria troverà espressione”. E ancora: “Si sottovaluta che il più delle volte si trasmettono non malattie ma predisposizioni verso certe malattie piuttosto che altre. Si trasmette una maggiore o minore sensibilità ai traumi psichici piuttosto che disturbi o malattie psichiche. Anche perché perfino nei gemelli veri non vi è un uniforme comportamento per cui parecchie attitudini e tratti del carattere si trovano nell'individuo in quanto sono stati incoraggiati dall'ambiente, mentre altri sono stati costantemente inibiti”[7].

Per De Ajuriaguerra[8]:

 “Non esiste sviluppo comprensibile al di fuori del suo ambiente”.

 “Senza alcun dubbio esistono dei pattern caratteristici di ogni specie, trasmessi per via ereditaria, che si manifestano sotto forme equivalenti in un insieme di individui della stessa specie. Ma i pattern possono essere attivati dall’ambiente, dagli stimoli tattili, visivi, uditivi, etc., o modificati per l’assenza o per l’azione qualitativamente o quantitativamente inadeguata degli apporti dell’ambiente”.

Bowlby[9] afferma:

“Il punto di vista che sostengo, come si potrà notare, si basa sulla convinzione che gran parte dei disturbi psichici e dell'infelicità siano dovuti ad influenze ambientali su cui siamo in grado di intervenire e che possiamo modificare”.

“Se un bambino è sereno e sicuro oppure infelice e non in armonia con la società, dipende in gran parte dall’adeguatezza o meno delle prime cure che ha ricevuto”[10].

Per Ackerman[11]:

 “L’eredità fissa dei limiti al potenziale sviluppo della personalità, ma a darle una forma concreta è l’esperienza sociale”.

 

Per Bettelheim[12]:

 “La teoria freudiana pone l’accento sia sull’immodificabilità di gran parte della nostra eredità evolutiva, sia sull’importanza delle prime esperienze: benché non sia possibile modificare minimamente tale eredità, le prime esperienze determinano le modalità in cui essa troverà espressione nella personalità di ciascuno”.

“Le prime esperienze infantili non solo influiscono sulla formazione dell’autostima e sulla percezione di sé in rapporto agli altri, ma determinano anche il modo in cui interpreteremo le esperienze successive”[13].

Per Mastrangelo (1975 p.307)*:

“Quanto ai fattori ambientali intesi in senso lato, prevalgono quelli legati all’assenza della madre o di entrambi i genitori, oppure alla personalità frustrante dei genitori, (a volte già frustrati come figli e quindi rifiutanti i propri figli).  essi concorrono, come oggi viene opportunamente sottolineato all’insorgere o all’aggravarsi dell’iniziale “difficoltà di comunicazione”.

L’influenza dell’ambiente nello sviluppo degli esseri viventi è tanto maggiore quanto maggiore è la sua complessità per cui, come dice Portmann citato da Osterrieth[14]:

“l’animale nasce in certo qual modo “pronto”, per la vita, biologicamente “compiuto”o quasi, ma richiuso, si potrebbe dire, nelle possibilità, relativamente ridotte e immutabili, che questa compiutezza gli assicura. Il bambino “incompiuto”, al contrario, procederà nella propria formazione corporea e andrà provvedendosi dei mezzi di adattamento a contatto dell’universo sociale e materiale nel quale si trova prematuramente immesso, rispondendo a condizioni necessariamente incerte e variabili. Non disponendo di meccanismi belli e fatti, siamo costretti a fabbricarceli; di qui la nostra infanzia è la risposta all’incompiutezza iniziale, all’impotenza pressoché totale del bambino, che aveva così colpito Jean-Jacques Rousseau”.

Lo stesso concetto è ripreso da Isaacs[15]:

“Possiamo affermare che, in genere, quanto più i piccoli di una determinata specie animale hanno bisogno di assistenza e quanto più a lungo rimangono dipendenti dai genitori, tanto più sono dotati di intelligenza e di spirito di adattamento, tanto meno vivono seguendo le regole fissate dalle leggi dell’ereditarietà e dalla genetica”.

e Winnicott[16]:

“Al giorno d’oggi parliamo molto spesso di bambini disadattati: ma i bambini disadattati sono tali perché il mondo non è riuscito ad adattarsi correttamente a loro all’inizio e durante i primi tempi”.

Per Wolff[17]:

“Le esperienze dell’infanzia non vanno perdute. Quando esse sono positive, l’individuo raggiunge la maturità conservando intatte le sue potenzialità riguardo ai rapporti umani, al lavoro, alla felicità. Egli risponde all’ambiente in modo realistico e sa adattarsi al mutare delle circostanze. Quando le esperienze infantili lo stressano in modo schiacciante, si ha un arresto dello sviluppo della personalità e può essere messo in movimento uno schema di comportamento disadattato, che si ripeterà per tutta la vita. Esso, come un destino malvagio, impedisce per sempre all’individuo di realizzare appieno le sue potenzialità nella vita adulta”.

Arresto nello sviluppo non significa, però, che da quel momento tutto diverrà statico ma che vi sarà una deviazione della personalità con un ritardo nelle manifestazioni di cambiamento che caratterizzano il corso normale dello sviluppo di un minore.

Sempre la stessa autrice aggiunge:

 “Ma certe circostanze possono essere dannose per i bambini, non per ciò che esse procurano, ma per ciò che non procurano: esse possono privare i bambini di essenziali esperienze di apprendimento”.[18]

A questo riguardo non possiamo non ricordare quello che dicono Imbasciati, Dabrassi e Cena[19]:

“Sappiamo che la maturazione cerebrale è in relazione all’esperienza e che questa inizia ad essere esperita già dal feto. È l’esperienza che regola lo sviluppo micromorfologico e funzionale del cervello”.

Gli stessi autori[20] aggiungono inoltre:

“Si è ritenuto a lungo, e in parte tuttora alcuni ritengono, che la maturazione del tessuto nervoso, quale si riscontra morfologicamente e fisiologicamente, dipenda esclusivamente dalla realizzazione del programma genetico che riguarda il completamento morfofunzionale di tutti gli organi corporei e che investirebbe pertanto anche il cervello, che verrebbe così “completato” gradualmente, prima e dopo la nascita, nei primi mesi. La mente scaturirebbe così dalla maturazione biologicamente predeterminata del cervello. Al contrario si è dimostrato che la maturazione è un processo che avviene solo se c’è l’esperienza: non solo, ma che la qualità dell’esperienza determina il tipo di maturazione. […] Gli studi sugli animali hanno da tempo dimostrato che l’architettura istologica corticale è in relazione al tipo di apprendimento cui l’animale è stato sottoposto. Più moderne tecniche, tra cui i metodi di neuro-immagini (PET), mettono in evidenza, anche nell’uomo, come sia l’esperienza che viene acquisita, ossia il tipo di apprendimento conseguito, che condiziona la cosiddetta maturazione neurale”.

Per Stefana e Gamba[21]:

“In definitiva è esperienza comune quanto “il sistema psiche” sia assai più complesso di qualsiasi altro sistema conosciuto: è perciò inevitabile, “fisiologico”, che le nostre conoscenze sullo stesso e sulle patogenesi dei disturbi che lo affliggono siano ancora parziali. Conseguentemente non ci si può limitare la chimica e la fisiologia del cervello, o anche il comportamento osservabile, o i riscontri che la moderna tecnologia diagnostica permette, poiché l’importanza di tali approcci al paziente e alla sua psicopatologia non esaurisce la comprensione dell’essere umano e della sua esperienza, che si inserisce in un contesto e in un ambiente la cui scissione dagli elementi di comprensione introduce una semplificazione non priva di rischi. Non si tratta quindi di abbandonare alcuni strumenti classici, ma di arricchirli: “per vedere nella mente di un altro, noi dobbiamo ripetutamente immergerci nel profluvio delle sue associazioni e dei suoi sentimenti; dobbiamo noi stessi essere lo strumento che lo scandaglia, abbandonando una semplicistica separazione dicotomica tra aspetti biologici e influenze psicosociali. Non è questione di “aut-aut, ma di et-et o meglio, una questione di indistricabile fusione (intesa come stato di confluenza) degli uni nelle altre”.

L’evoluzione biologica è quindi la piattaforma su cui si inserisce l’evoluzione psicologica e sociale.

Nonostante queste conoscenze siano ben note da decenni, ciclicamente, nei vari periodi storici e nelle diverse società, l’accento viene posto a volte su una causa, a volte su un’altra. In alcune epoche ed in alcune culture è sottolineato il ruolo dell’ambiente interno, mentre in altre epoche ed in altre culture, viene prevalentemente proposta all’attenzione della società l’influenza dell’ambiente esterno. A volte si evidenziano soprattutto i fattori legati al nostro patrimonio genetico, altre volte sono le malattie causate da microbi, virus e batteri ad essere messe in primo piano. Così come in alcuni periodi storici ed in alcune culture si pone l’accento sulle patologie legate a un’alterazione dell’assetto ormonale o biochimico, in altre  sono messe in risalto le influenze nefaste delle condizioni socio-economiche.

Non vi è dubbio che delle molteplici realtà che accompagnano e si attivano in senso positivo o negativo nella formazione del benessere o del malessere dell'essere umano, negli ultimi decenni gli elementi genetici e biologici siano stati ampiamente posti in netta evidenza e, quindi sopravvalutati, a scapito delle componenti sociali, ambientali e relazionali che sono per lo più sottaciute, mentre in alcuni casi si prova addirittura a cancellarle.

Continuamente l'opinione pubblica viene informata della scoperta di un nuovo gene che avrebbe una marcata influenza su questa o quella malattia, su questo o quel disturbo o comportamento abnorme o eccessivo. Ciò ha sviluppato nella mentalità comune la falsa opinione che buona parte delle malattie e dei disagi di tipo psicologico di cui soffriamo noi adulti ma anche i nostri figli come le ansie, le fobie, le dipendenze, l'autismo, l'instabilità psicomotoria, i disturbi del carattere o del comportamento, le psicosi depressive e quelle dissociative, siano su base genetica e, pertanto, incurabili fino a quando non si riuscirà a modificare i geni interessati, così da curare i nuclei e le aree cerebrali geneticamente alterate. La fiducia e le aspettative poste in queste ricerche da parte di un’opinione pubblica poco informata, diventano enormi e incongrue, poiché è dai genetisti o dai farmaci sperimentati e prodotti e non dai nostri comportamenti personali, di gruppo, politici e sociali che si attende la o le soluzioni dei tanti gravi problemi che assillano i bambini.

 

Ciò mette in scarsa luce e svilisce quanto constatato e studiato dagli illustri studiosi dell’animo umano.

Purtroppo però nell’attesa che le ricerche genetiche diano i loro frutti, si trascura, sia nell'ambito della prevenzione, sia nell’ambito degli interventi terapeutici lo studio degli aspetti ambientali e relazionali. Per cui, come ben dice Osterrieth[22]:

“La nozione fatalistica di ereditarietà incoraggia facilmente ad astenersi da ogni sforzo di educazione e da ogni tentativo per modificare l'ambiente nel quale il bambino cresce; essa costituisce, come ha detto qualcuno, un imponente guanciale di pigrizia pedagogica”.

Questo atteggiamento spinge a considerare molte malattie psichiche come malattie croniche e incurabili, da fronteggiare soprattutto con gli psicofarmaci o mediante terapie abilitative e riabilitative, fino a quando un improbabile, futuro intervento genetico potrà affrontarle ed eliminarle. Nel contempo siamo tutti assolti. Sono assolti i genitori che trascurano i loro figli e li costringono, con i loro incongrui ed egoistici comportamenti, ad innumerevoli sofferenze. Sono assolti i politici e gli amministratori, che possono impunemente utilizzare i soldi pubblici ed indirizzare buona parte delle risorse per migliorare il benessere economico o peggio per costruire sempre più strumenti di guerra, trascurando il benessere sociale, quello familiare e di coppia e, quindi, l'ambiente di vita del bambino, come del giovane, dell'adulto o dell'anziano. Sono assolti i servizi presenti sul territorio, ai quali non si chiede l’efficacia dei loro interventi ma soltanto il numero delle prestazioni effettuate.

Inutile dire che è un messaggio sostanzialmente falso e fuorviante in quanto, se l'umanità ha sempre compreso e accettato la presenza della componente genetica e biologica nello sviluppo umano, nel contempo si è sempre attivata a che le componenti ambientali fossero le migliori possibili, al fine di evitare l'insorgenza o l’aggravarsi delle malattie del corpo e soprattutto di quelle della psiche, nelle quali prevalgono nettamente le componenti affettivo – relazionali e quindi prevalgono la comunicazione, il dialogo e lo scambio emotivo.

Influenza dell’ambiente sugli esseri viventi

Nei riguardi degli esseri viventi lo scambio con l’ambiente non è sempre costantemente favorevole o sfavorevole. Questo scambio può essere, in certi periodi ed in certi momenti positivo, mentre in altri periodi ed in altri momenti può risultare negativo. Come tutti gli esseri viventi anche gli uomini hanno dei tempi biologici che non possono essere misconosciuti o trascurati.Non è indifferente il periodo della propria vita nel quale gli eventi positivi o negativi vanno ad incidere sull’essere umano. Ad esempio, l’assenza della madre o del padre per alcune settimane non ha la stessa valenza sulla psiche di un figlio se questo evento avviene quando il bambino ha pochi mesi o quando ha diversi anni. In particolare, se l’elemento sfavorevole agisce quando l’essere vivente è piccolo e fragile, le conseguenze negative saranno molto più gravi che non quando le stesse condizioni lesive o negative agiranno quando l’essere vivente è già grande e robusto. “L’ipotesi è che quanto più precoce è il danno tanto più probabile è che esso lasci un segno nella struttura che si va delineando” (Pesavento e altri, p.55)*. “L’aver sperimentato eventi di vita avversi negli anni passati e/o nel corso degli ultimi dodici mesi, incrementa in modo significativo il rischio di insorgenza di disturbi psicopatologici (internalizzanti ed esternalizzanti) sia in età prescolare, che in quella scolare e adolescenziale”[23].

 

 

 

Inoltre, se l’elemento sfavorevole agisce per breve tempo, il danno sarà minore che se agisce per molto tempo (effetto cumulativo di più eventi negativi). “Le ricerche cliniche e scientifiche hanno evidenziato come i bambini e gli adolescenti ”fragili”, che hanno sperimentato eventi negativi nell’arco della loro vita, a volte con effetto cumulativo nel tempo, siano maggiormente a rischio per lo sviluppo di diversi disturbi ed inoltre siano maggiormente esposti alla sperimentazione di situazioni potenzialmente “traumatiche”[24].

Non sono da trascurare, inoltre, le differenze di genere sessuale. Uno stesso elemento stressante o traumatico non ha la stessa valenza negativa se colpisce una femminuccia o un maschietto.

 

In sintesi per quanto riguarda gli eventi di vita è importante evidenziare:

  1. La qualità dell’evento: vi possono essere eventi di vita positivi per la psiche dell’individuo, eventi di vita negativi o neutri.
  2. Gli eventi di vita possono essere recenti o appartenere a un passato più o meno lontano (eventi pregressi).
  3. Gli eventi possono essere singoli o possono ripetersi nel tempo.
  4. Gli eventi possono essere più o meno gravi (peso dell’evento in base alle sue conseguenze psico-sociali).
  5. Il peso dell’evento varia, inoltre, in base alla fase evolutiva del bambino e al suo livello di sviluppo[25].
  6. Gli eventi hanno un peso diverso in base al genere sessuale.
  7. La concomitanza o non con altre patologie organiche o psichiche, ha influenza sugli eventi.

Ma così come eventi sfavorevoli possono danneggiare un bambino, allo stesso modo situazioni favorevoli possono aiutarlo nella sua guarigione, per cui sono molto importanti e utili tutti i tentativi che si propongono di modificare in senso positivo il suo ambiente di vita.

 


[1] Bowlby J., (1988), Rivista di psichiatria, vol. 23, giugno, p. 58.

[2] De Ajuriaguerra J., (1993), Manuale di psichiatria del bambino, Milano, Masson, p. 11.

[3] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p. 25.

[4] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, pp. 15-16.

[5] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, p. 16.

[6] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, p. 19.

7. Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, p. 18.

[8] De Ajuriaguerra J., (1993), Manuale di psichiatria del bambino, Milano, Masson, p. 116.

[9] Bowlby  J., (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 22.

[10] Bowlby  J., (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 2

[11] Ackerman N.W., (1970), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Boringhieri, p. 69.

[12] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p. 23,

[13] Bettelheim, B., (1987), Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, p. 26.

[14] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 23.

[15] Isaacs S., (1995), La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni - Figli e genitori, Roma, Newton, p. 20.

[16] Winnicott D.W., (1973), Il bambino e la famiglia, Firenze, Giunti e Barbera, p. 130.

[17] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 9.

[18] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 10.

[19] Imbasciati A., Dabrassi  F., Cena  L., (2007), Psicologia clinica perinatale, Padova, Piccin Nuova Libreria, p. 4.

[20] Imbasciati A., Dabrassi  F., Cena  L., (2007), Psicologia clinica perinatale, Padova, Piccin Nuova Libreria, p. 7.

[21] Stefana  A., Gamba  A., “2013”, “Semeiotica e diagnosi psico(pato)logica”,  journal of psychopathology, 19, p. 357.

[22] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 10.

[23] Sogos C. et al., (2009), “Dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana”, Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Vol.76, p. 462.

[24] Sogos C. et al., (2009), “Dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana”, Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Vol.76, p. 461.

[25] Sogos C. et al., (2009), “Dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana”, Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Vol.76, p. 464.

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La scuola per i genitori

 

Chi insegna ai genitori e ai familiari le tante nozioni fondamentali per una corretta educazione affettiva? Dove si trovano le scuole per genitori e chi sono i docenti?

Ogni tipo di educazione richiede infatti contenuti ed esperienze, maestri efficaci nel trasmettere e verificare le competenze e allievi disponibili ad accogliere gli insegnamenti, e poi luoghi e tempi nei quali è possibile effettuare l’attività formativa ed il tirocinio.

Se è vero che non c’è mai stata una scuola o un’università così come l’intendiamo noi, con una cattedra, un programma ministeriale e voti in pagella, per essere dei buoni genitori, fin dalle origini della specie umana per i piccoli e i giovani di entrambi i sessi non sono mancati per loro gli insegnanti, i contenuti da imparare, i tirocini da effettuare e le prove d’esame da superare, in quanto, questo tipo di formazione è stato sempre fondamentale per lo sviluppo della specie umana.

 I maestri.

Per quanto riguarda i maestri, chi è un maestro efficace?

Un maestro è efficace quando è vicino all’allievo e lo segue con costanza ed abnegazione passo dopo passo, nel suo cammino. Un maestro efficace ama l’allievo e lo comprende. E’ saggio, sereno, disponibile, maturo e autorevole. Rispetta l’allievo e si fa rispettare.[1]

Sue qualità e capacità sono la tranquillità interiore, la bontà d’animo, l’autorevolezza, la capacità di ascolto e di comunicazione. Un maestro efficace deve, inoltre, credere fermamente nel suo lavoro formativo ed avere idee chiare sui contenuti e sulle metodologie da mettere in campo.

Queste qualità e conoscenze, come per tutti i maestri, in parte devono essere già nel suo bagaglio culturale, in parte saranno apprese nel rapporto diretto con gli allievi. E, come per tutti i buoni maestri, egli deve essere attento alla maturazione conseguita da questi, in modo tale da comunicare e far attuare agli allievi le esperienze necessarie con gradualità, nel modo giusto e al momento giusto, utilizzando tutto il tempo necessario allo scopo.

 

L’istituzione che ha avuto le maggiori responsabilità di questi studi è stata sempre la famiglia. Il luogo nel quale si sono svolti le lezioni ed i tirocini è stato per lo più la casa o gli ambienti vicini alla casa. I maestri efficaci sono stati sempre i familiari, ma in parte anche gli amici. E dei familiari, per le donne, si sono impegnate soprattutto le madri e le altre donne della famiglia, così come per i maschi, maestri efficaci sono stati soprattutto i padri ma anche tutti gli altri uomini dell’entourage familiare: i nonni, gli zii, nonché gli insegnanti della scuola e gli adulti in genere. Ognuno di loro con costanza, abnegazione e sacrificio, sapendo dell’importanza del loro compito non trascurava di dare conoscenze ed esperienze affinché alla fine si formassero uomini e donne maturi, pronti non solo ad affrontare i problemi della società e del lavoro ma anche quelli della coppia e della famiglia. Uomini e donne sicuri e capaci nell’amalgamare le differenze, valutare e risolvere correttamente i problemi, le divergenze ed i dissidi, per poi essere a loro volta validi professionisti dell’educazione, cura e formazione di altri esseri umani.

In definitiva, così come avviene in tante professioni e mestieri, chi è stato un buon apprendista e allievo avrà la possibilità di diventare, a sua volta, maestro.

Gli allievi apprendevano mediante una serie di strumenti. Innanzi tutto il più valido strumento non è stato il libro ma l’esempio concreto della vita e degli atteggiamenti e comportamenti dei genitori e degli adulti in genere. Gli allievi imparavano, inoltre, mediante le parole che accompagnavano azioni e presenza. Si istruivano guardando e partecipando all’educazione e cura dei fratellini e nipotini più piccoli. Apprendevano con i coetanei mediante i mille giochi di ruolo negli angoli delle case e dei cortili.

In questi giochi l’interpretare il papà e la mamma era il gioco più diffuso. Le future mamme giocando con le bambole e i bambolotti (ne sono state trovate nelle tombe delle bambine di migliaia di anni fa) imparavano a conoscere che cosa è un bambino piccolo, come lo si accudisce, lo si culla, lo si addormenta, lo si educa e cura, lo si stringe al cuore con amore, lo si punisce quando è stato monello.

E’ attraverso questi strumenti pedagogici che veniva trasferita una cultura di base, simile in tutti i ceti sociali ed in tutte le famiglie, simile in tutte le epoche storiche ed in tutti i popoli. Accanto a questa cultura di base venivano comunicate informazioni più aderenti alle specifiche realtà sociali e familiari.

Il tutto in lunghe giornate, accanto alle sorelle maggiori e alle loro madri, senza l’impero della TV, dei videogiochi, dello sport, della danza, delle arti marziali, dell’equitazione, delle lingue straniere e delle mille altre attività, per lo più inutili, con le quali riempiamo le giornate dei nostri figli oggi. Ma soprattutto senza le nuove bambole come le Barbie con le quali le bambine si identificano come ragazze e donne: pronte a incontrare il bel giovane fusto da amare; pronte a comprare i vestiti più alla moda e gli accessori più belli e luccicanti; pronte a diventare veline, cantanti, attrici, in un mondo proiettato ed immerso nel piacere, nel lusso e nel consumismo, mentre poco o nulla imparano su come vivere la maternità e su come instaurare con un bambino piccolo un dialogo efficace ed intimo.

Oggi avvertiamo una grave carenza nel progetto educativo, nei luoghi e nei tempi da utilizzare, nei maestri da impegnare. Mamma e papà spesso sono fuori casa, occupati in mille altre faccende, mentre i bambini sono affidati nel migliore dei casi a dei nonni, nel peggiore dei casi alle baby-sitter, agli asili nido e ai baby-parking.

Anche quando i genitori sono a casa, giacché non è un buon maestro il genitore frettoloso, nervoso, scontroso e attento più al cellulare che alle esigenze di gestione della famiglia, attento più a far quadrare i conti che all’educazione affettiva dei loro figli, il trasferimento delle informazioni da una generazione all'altra si interrompe e si parcellizza in piccoli sporadici appelli senza riuscire a concretizzarsi in un armonico progetto globale.

Gli attuali allievi del mondo affettivo subiscono quindi le conseguenze della frattura della catena formativa. Educati male e poco sui temi affettivo relazionali dai loro genitori, poco e male possono educare i propri figli e nipoti.

 Gli scopi e gli obiettivi.

Vi è poi un problema di fondo ancora più grave e riguarda gli scopi e gli obiettivi del processo educativo. Se abbiamo chiara in mente la finalità dell’attività educativa, cercheremo in tutti i modi di raggiungere l’obiettivo prefissato ma se questa finalità non è chiara, anzi è notevolmente confusa o contraddittoria, sarà impossibile impegnarsi in maniera efficace, corretta e coerente, con il rischio di lasciare tutto al caso o all’istinto.

La non chiarezza del progetto educativo nasce soprattutto dalla confusa visione dell’identità e dei ruoli di genere. Se non si riesce a rispondere in maniera chiara e netta alla domanda di quale sia il ruolo della donna, della moglie e della madre nei confronti della società, dell’uomo, dei figli, e della famiglia e, viceversa, quale dovrebbe essere il ruolo dell’uomo nei confronti della società, nei confronti della sua donna, della famiglia e dei figli, non è possibile definire un preciso piano educativo sia da parte del padre che della madre, oltre che degli altri attori dell’educazione.

Se non riusciamo a dare chiarezza e linearità alle caratteristiche, ai ruoli e compiti dei due generi, maschile e femminile, non è possibile portare avanti alcun progetto educativo credibile e coerente.

Si vuole, infatti, che l’uomo e la donna siano entrambi e contemporaneamente sicuri, forti e autorevoli ma anche teneri, delicati e morbidi. Né troppo maschili, né troppo femminili. Dovrebbero dividere equamente il loro tempo e le loro energie tra il mondo dell’economia e il mondo affettivo-relazionale, senza nulla perdere o limitare, senza a nulla rinunciare,.

Nessuno dei due dovrebbe essere educato ad assumere il compito di responsabile della famiglia, perché la responsabilità all’interno della famiglia dovrà essere condivisa con l’altro.

Nessuno dei due dovrebbe essere educato a prendere iniziative autonome, in quanto tutte le iniziative dovrebbero essere discusse e prese insieme all’altro.

Queste poche e contraddittorie indicazioni andrebbero bene se uomo e donna non avessero caratteristiche specifiche, se caratteristiche opposte potessero convivere nello stesso individuo, e se i bisogni della società fossero costanti ed uniformi.

Insomma, è come se una grossa azienda si illudesse di formare il suo personale in modo tale da poterlo utilizzare contemporaneamente in tutti i settori: nella produzione, nei rapporti con la clientela, nella commercializzazione, nella vendita, nelle ricerche di mercato e così via senza tener conto delle peculiarità di ogni funzione e delle caratteristiche specifiche di ogni impiegato.

 I modelli e gli esempi.

Per quanto riguarda gli esempi da imitare, i comportamenti dei genitori, degli amici, dei parenti o quelli visti alla Tv sono esempi e modelli che il bambino incamera e può ripercorrere. Se i modelli sono inadeguati, incongrui e contraddittori, non solo non avranno alcuna utilità ma, il che è peggio, tenderanno a presentare e trasmettere messaggi negativi, confusi e fuorvianti che dal bambino come dal giovane, saranno ritenuti validi e corretti, con le conseguenze che è facile immaginare. Come non sono sicuramente apportatori di validi esempi il papà o la mamma assenti o scarsamente e distrattamente presenti in casa, frequentemente con atteggiamenti conflittuali, spesso all’inseguimento di un nuovo e più gratificante rapporto sentimentale e sessuale; non sono assolutamente esempi validi quelli dai quali i bambini, i giovani e gli adulti si nutrono tutti i giorni, mediante la TV o i video giochi.

Le esperienze ed i tirocini.

Mancano poi le esperienze personali ed i tirocini. I bambini ricordano più quello che fanno le baby-sitter o le maestre dell’asilo nido, che non quello che hanno fatto le loro madri nei loro confronti. Manca il tirocinio di accudimento ad altri minori in quanto, molti bambini vivranno tutta la loro esistenza da figli unici. Manca soprattutto il tempo dedicato a queste attività fondamentali per il futuro della specie umana.

Come per tante altre necessità che le famiglie di oggi non riescono più a soddisfare, anche per questo tipo di educazione ci si rivolge alla scuola pubblica, senza valutare che l’apporto che può dare l’istituzione scolastica è molto limitato per vari motivi. Innanzi tutto la scuola, e quindi i suoi programmi e gli insegnanti, sono messi alle corde da una cultura che vuole, mediante la preparazione professionale, un ritorno economico per gli enormi investimenti profusi in questa istituzione.

Come dire: “Io impresa, che pago le tasse e investo nell’istruzione una barca di soldi, voglio da te scuola, in cambio, tecnici capaci e professionisti preparati nella varie aree della produzione e del commercio.” Manca, inoltre, come abbiamo detto, la preparazione di base, che avrebbe dovuto essere impartita ai docenti dai loro genitori e dal tirocinio con i fratelli ed altri parenti. Mancano dei programmi formativi e dei contenuti specifici per i due generi.

Ci si affida alla sensibilità e capacità dei singoli insegnanti affinché questi traggano gli opportuni apprendimenti dai contenuti affettivi presenti nelle materie letterarie, storiche, artistiche e religiose. Guai solo a proporre dei programmi diversi per i due generi: si verrebbe subito etichettati come personaggi retrogradi che vogliono restaurare barriere e steccati ormai definitivamente abbattuti.

 I contenuti.

Per quanto riguarda i contenuti, la difformità presente nelle riviste, nei giornali, nei libri e ancora peggio nella televisione, non permette una visione chiara e univoca dei problemi, ma accentua il relativismo riguardo a molti atteggiamenti e problemi affettivo-relazionali.

Vengono proposte, ad esempio, mille idee sui vari linguaggi dell’affettività. Spesso oggi nei telefonini compare, alla fine di ogni messaggio, la sigla TVB che vuol dire: “Ti Voglio Bene.” Ma qual è il significato di questo “Ti Voglio Bene” che i ragazzi ogni giorno inviano ad amici e conoscenti in ogni momento? Ha forse il significato di provare un’emozione speciale di tipo affettivo verso quella persona? Vuole forse comunicare: “Sto bene con te, mi sento eccitato e felice quando sono accanto a te?” Oppure vuol dire: “Sono innamorato di te”? Siamo certi che ha il significato proprio di volere e cercare il bene dell’altro? Come dire “Io lavoro, mi impegno, mi adopero giorno dopo giorno a che tu stia bene”?

Se si chiede a qualche giovane il significato dato da loro a quel TVB vi risponderà che, tranne casi particolari, questa sigla non significa nulla o quasi. Spesso è scritta per abitudine, senza che le venga data alcuna valenza particolare se non quella di chiusura di un testo. “Ci vediamo stasera in piazza TVB.” “Oggi non mi hai passato il compito, sei un cretino TVB”. In definitiva, è un modo per chiudere una conversazione senza sprecare molte energie.

Se poi si esamina come vengono trattati dai mass media temi fondamentali per la vita relazionale e amorosa come il fidanzamento, l’amore, la fedeltà, il matrimonio e la famiglia, si noteranno:

  • ·         contenuti confusi, incongrui e diseducativi;
  • ·         una gran varietà e difformità delle idee. “Per permettere con il pluralismo delle idee di formarsi idee proprie”, viene detto. Per accentuare la confusione nell’animo e nella mente dei giovani e degli adulti, diciamo noi;
  • ·         un accentuato sentimentalismo. Se esiste qualcosa che somiglia ad un sentimento passionale che, il più delle volte viene confuso o spacciato per sentimento amoroso, tutto può essere fatto, tutto viene concesso, tutto è possibile, tutto è lecito;
  • ·         un uso della sessualità per fini puramente commerciali. Nei mass media il sesso, in tutte le forme anche le più bizzarre e patologiche, diventa stimolo per vendere, per far comprare, per far accettare quanto proposto.

Tutto ciò non può non provocare nella mente e nel cuore dei giovani conseguenze veramente tristi oltre che drammatiche, sia sul piano culturale che affettivo.

 Le verifiche.

Per quanto riguarda, poi, le verifiche sulla maturità e qualità di uomini e donne che intendono formare le future generazioni, tali verifiche ormai da decenni mancano quasi totalmente. In passato, nelle famiglie patriarcali, il valore di un giovane o di una fanciulla che intendeva instaurare un legame affettivo stabile, era legato non solo all’aspetto estetico o ai suoi beni dotali ma, genitori, parenti e amici di entrambi valutavano e mettevano sul piatto della bilancia anche e soprattutto le capacità di lavoro, cura e sacrificio; le qualità morali e spirituali; le doti di fedeltà e serietà. Quest’opera di valutazione e verifica attualmente è quasi completamente assente, giacché il legame prematrimoniale o matrimoniale nasce e tiene conto quasi esclusivamente dei sentimenti presenti nella coppia trascurando le qualità e le caratteristiche di personalità dei giovani interessati a formare una famiglia.

 


[1] E. TRIBULATO, L’educazione negata, EDAS, MESSINA, 2005, P.233.

La funzionalità del mondo affettivo

 

DA CHI DIPENDE IL MONDO AFFETTIVO?

Così come la capacità e funzionalità di una ditta è strettamente dipendente e legata agli altri: dirigenti, impiegati, operai, fornitori, allo stesso modo la funzionalità del mondo affettivo relazionale è in rapporto alla possibilità e capacità degli adulti che circondano il bambino.

È il mondo interiore degli adulti che prepara, attiva ed aiuta lo sviluppo del suo mondo affettivo.

Questa funzionalità, solo in piccola parte dipende dal soggetto stesso, perché non è il bambino che può gestire la rete affettiva o trovarsi un ambiente a lui favorevole: sono gli altri che devono cercare e offrire queste cose. La responsabilità di noi adulti è pertanto notevole.

Il cucciolo dell’uomo non è in grado di cercarsi una madre buona, presente. affettuosa, serena, non è in grado di trovarsi un padre attivo, autorevole, affettuoso, dialogante, come non è in grado di trovare una famiglia che viva con serenità e gioia buona parte dei momenti della sua giornata.

Solo in un secondo momento, quando già la sua personalità si è quasi completamente formata, avrà capacità di scelta e di gestione. Solo in un secondo momento potrà discernere ed avvicinarsi agli amici e alle persone che lo fanno sentire bene, che lo accettano, comprendono e valorizzano o, al contrario, potrà allontanarsi dalle persone che lo fanno soffrire o gli rendono la vita difficile.

Le sue capacità nella gestione del mondo affettivo sono pertanto minime alla nascita; aumentano lentamente e gradualmente con gli anni e solo nell’adulto vengono pienamente esplicitate.

COME SI SVILUPPANO QUESTI DUE MONDI

Come tutte le potenzialità umane: motilità, linguaggio, capacità logico - percettive, autonomia, ecc. anche la capacità di saper vivere e gestire il mondo degli affetti, si sviluppa mediante l’educazione. E’ l’educazione che rende concreto e palpabile il progetto di sviluppo presente nei nostri geni.[1]

Così come ogni costruzione necessita oltre che di un progetto preciso che faccia da guida e da riferimento, anche di ingegneri, architetti, operai e muratori, che trasformino quel progetto in pilastri, mura, pavimenti, anche lo sviluppo affettivo, il cui progetto è già scritto nei nostri geni, ha bisogno, per diventare realtà concreta, di un apporto ambientale adeguato e di educatori preparati ed impegnati a tale scopo. L’uomo ha la possibilità di esprimere la sua umanità solo se altri uomini si impegnano ed investono buona parte delle loro energie per questo obiettivo.

D’altra parte, così come alla fine della costruzione di una casa, se questa risulterà invivibile o con i muri pericolanti come la torre di Pisa, è al binomio progetto ed ambiente che daremo la responsabilità e non soltanto ad uno solo degli elementi, anche per l’alterato o patologico sviluppo affettivo - relazionale è nel binomio patrimonio genetico e ambiente che dovremo cercare le cause del fallimento.

Per ambiente intendiamo il luogo e la casa dove nasciamo e muoviamo i primi passi, ma soprattutto le persone che guideranno e accompagneranno questo progetto nella sua realizzazione. Anche l’ambiente fisico e sociale ha la sua importanza: vi è un ambiente che facilità questo lavoro dei genitori, vi è un ambiente che l’ostacola o lo rende impossibile.

Aver raggiunto un certo grado di benessere economico e materiale è sicuramente utile in quanto, se le difficoltà economiche sono eccessive, ne risente in maniera negativa anche il benessere affettivo. Ma anche un benessere materiale eccessivo, così com’è attualmente per larghe fasce delle popolazioni del mondo occidentale, può creare problemi allo sviluppo affettivo del bambino, sia perché l’eccesso di benessere non rappresenta la palestra migliore per sviluppare nell’essere umano la forza e la grinta necessarie per affrontare la vita, sia perché l’abbondanza di denaro conduce spesso i genitori a comportamenti educativi permissivi e, nel minore, stimola il disimpegno, l’apatia, l’abulia, il vizio, l’abuso di alcool o un più facile uso di sostanze stupefacenti.

E’ un grave errore pertanto puntare, come viene fatto attualmente, ad un continuo costante aumento del PIL (Prodotto Interno Lordo). A questo indicatore del livello medio della ricchezza disponibile per abitante si associa il concetto di benessere di una data popolazione. Concetto fondamentalmente falso in quanto, non è assolutamente dimostrato che i popoli più ricchi siano anche i più felici. “Nel settembre 2006 è stato il Governo cinese a incaricare l’Ufficio nazionale di statistica di elaborare un “indice della felicità” del popolo, da affiancare al PIL per rilevare il benessere collettivo e adottare politiche efficaci. Sarà perché, nonostante il boom economico senza pari e i redditi medi pressoché triplicati, uno studio ha dimostrato che la soddisfazione del cinese medio è oggi più bassa rispetto al 1994 ”[2]

Se una madre cucina ottimi pranzetti per i suoi familiari il PIL non aumenta, se invece compra gli stessi cibi nella rosticceria più vicina il PIL aumenta; ma dubitiamo che aumenti il benessere suo, del marito o dei figli. Se un bambino viene curato e assistito dai suoi genitori o dai nonni disponibili il PIL non aumenta ma, se viene affidato alle cure prezzolate di una baby-sitter o di un asilo nido, il PIL aumenta. Ma siamo certi che aumenterà anche la gioia e la serenità di quel bambino? Se una donna o un uomo anziano viene amorevolmente assistito dal marito, dalla moglie o dai figli, il PIL non aumenta, se invece si occupa di lui o di lei una badante o il personale di un gerontocomio il PIL aumenta; ma dubitiamo molto che aumenti anche il benessere dell’anziano. Se giovani ed adolescenti restano a casa a leggere un buon libro o escono con gli amici per fare una bella salutare passeggiata il PIL non aumenta, se spendono cifre notevoli per andare in discoteca il PIL aumenterà; ma chi può dire che per molti di questi giovani abbrutiti dall’alcool, dalle droghe, dalla promiscuità sia aumentato il benessere?

Se la ricchezza globale è alta, così come è alta nel mondo occidentale, il problema non consiste nel cercare di aumentarla ancora di più, ma soltanto di distribuirla più equamente.

Per quanto riguarda il periodo nel quale avviene lo sviluppo affettivo, è sicuramente nei primi mesi e anni di vita che si gioca buona parte della partita. Ciò non toglie che sono importanti anche i vissuti e gli incontri degli anni successivi che potranno dare, oppure no, apporti specifici per la buona costruzione e conservazione di un valido e funzionale mondo affettivo - relazionale.

Così come in una casa sono proprio i primi lavori quelli durante i quali vengono approntate le fondamenta, che assicureranno oppure no la stabilità e la sicurezza dell’edificio, è nei primi anni di vita che si forma la personalità dell’individuo, che può pertanto essere serena o ansiosa, gioiosa o triste, adeguata o inadeguata, responsabile o irresponsabile, dolce o aggressiva, accogliente o reattiva, sana o disturbata, in rapporto a come sono stati vissuti questi primi anni.

Ma, così come per la casa, futuri avvenimenti o disastri ambientali potranno intaccarne le strutture e anche la sua solidità in ogni momento, anche per le personalità più forti e ben strutturate, esperienze e avvenimenti negativi e traumatizzanti potranno incidere in maniera negativa e demolitiva in ogni fase della vita, anche nell’età adulta o nella vecchiaia.

I RESPONSABILI DEL MONDO AFFETTIVO

Come abbiamo detto questi due mondi pervadono le giornate, la mente ed il cuore di uomini e donne di tutte le età; essi possono produrre ricchezza o povertà, possono portare gioia o dolore, possono portare miseria materiale e miseria morale e quindi possono fare stare bene o male tutti i cittadini di uno Stato . Dovremmo a questo punto chiederci chi sono i responsabili dell’uno e dell’altro mondo. Per responsabile intendiamo qualcuno che ha caratteristiche, competenza e preparazione specifica, nello studiare, favorire, difendere, sviluppare, realizzare, diffondere l’una e l’altra realtà. Un ruolo che gli viene affidato e riconosciuto da parte della società; un ruolo che viene valorizzato e preparato.

Nel mondo dell’economia e dei servizi vi sono, a livello istituzionale, vari responsabili: il ministro dell’industria e del commercio, il direttore della banca d’Italia, il ministro dell’economia, il ministro per le attività sociali, il ministro della pubblica istruzione, quello della difesa, della sanità e così via, dopo di loro, una miriade di sottosegretari, funzionari e impiegati, dirigenti d’azienda, sindacati. Tutta una schiera di personaggi che lavorano e si attivano per meglio organizzare e sviluppare le rispettive istituzioni. Buona parte di questo personale era, e lo è ancora, maschile. Pertanto questo mondo veniva e viene gestito fondamentalmente dagli uomini, con uno stile, una cultura, dei valori e delle modalità, prettamente maschili. L’altro sesso, anche se sono sempre più numerose le dirigenti d’azienda, viene utilizzato per lo più se e quando serve, ma soprattutto deve far propri i valori e gli stili del mondo economico, se vuole far bene il proprio lavoro.

Del mondo affettivo non se ne occupa alcun ministero specifico, né vi sono dirigenti impegnati in questo campo. Nonostante forse, mai abbia avuto, a livello istituzionale, nessun organo statale che se ne sia occupato, questo particolare e fondamentale universo per migliaia di anni ha funzionato lo stesso benissimo. Come mai? Il segreto di questo suo ottimo funzionamento sta in una parola: “donne”.

Mentre il mondo economico e dei servizi ha la necessità di una serie di responsabili, organizzati in modo piramidale, impegnati e occupati nel difendere, nel promuovere, studiare, coordinare e gestire al meglio questa multiforme e complessa realtà, il mondo affettivo ha enormemente semplificato il tutto attuando una gestione estremamente parcellizzata che è affidata e coordinata dalle donne. Niente ministri, sottosegretari o dirigenti, ma donne. Donne madri, donne nonne, donne zie, donne cugine, donne figlie, sono riuscite, per millenni, a far funzionare perfettamente il mondo affettivo-relazionale utilizzando una cultura specifica, che veniva tramandata di generazioni in generazioni da madre a figlia, da nonna a nipote, da sorella maggiore a sorella minore, da amica ad altra amica.

Sono state le donne che hanno studiato, difeso, promosso, approfondito, costruito, valorizzato, organizzato e perfezionato nei secoli un sistema per far funzionare al meglio il mondo affettivo-relazionale, utilizzando anche gli uomini, (padri, mariti, zii), quando era necessario e funzionale agli scopi prefissati dal clan femminile.

L’impegno diverso e specifico dei due sessi nei confronti del mondo economico e di quello affettivo, è servito a bilanciare le necessità e i bisogni dell’uno nei confronti delle necessità e dei bisogni dell’altro, in modo tale che ogni realtà avesse un suo spazio e un’appropriata valorizzazione, con un consequenziale buon equilibrio complessivo.

LA PREPARAZIONE AL MONDO AFFETTIVO  

La preparazione al mondo economico e dei servizi è abbastanza ben strutturata, anche se sono molte le lamentele a questo riguardo da parte delle associazioni industriali[3] che vorrebbero un impegno più massiccio e coordinato da parte della scuola per la preparazione all'impiego tecnico e manageriale.

Per la verità, il numero di ore che la società, mediante le scuole, dedica a questa preparazione è notevole. In Italia, nei nostri istituti, è resa disponibile per i contenuti culturali, professionali e tecnici, una quantità di tempo impressionante. Anche se la funzione della scuola di base dovrebbe essere, per legge, di tipo formativo e quindi dovrebbe essenzialmente sviluppare tutte le potenzialità umane del bambino, se questo almeno inizialmente, nella scuola materna ed elementare avviene, per cui la preparazione affettiva e quella culturale vanno di pari passo, successivamente, negli altri ordini scolastici, prevalgono nettamente gli aspetti culturali su quelli affettivo – relazionali e formativi.

Ma anche nella famiglia, l’utilità della preparazione al mondo affettivo è oggi nel mondo occidentale, spesso misconosciuta nonché ampiamente sottovalutata. Si è orgogliosi dei propri figli, nipoti e familiari che hanno conseguito un diploma o meglio ancora una laurea o un dottorato che li porterà ad essere validi professionisti della medicina, della psicologia, dell’ingegneria o della meccanica, come si rimane profondamente delusi quando i propri rampolli non raggiungono gli agognati traguardi. Nel giudizio verso i propri figli e nipoti manca invece, in molti genitori e nonni, sia l’orgoglio sia la delusione per quanto riguarda le loro buone o modeste capacità affettivo – relazionali. Viene ampiamente sottovalutato il fatto che avere buone capacità in questo campo, significa avere in futuro buoni e onesti cittadini, bravi mariti e buone mogli, buoni padri e buone madri.

Né viene correttamente accettato che, dal punto di vista sociale, per il futuro dell’umanità, sia molto più utile un buon padre o una buona madre, un buon marito o una buona moglie, piuttosto che un ottimo scienziato o un grande professionista.

Tenere in braccio un bambino; capire, accogliere e soddisfare le sue esigenze; allattarlo, cullarlo e dialogare serenamente con lui; saper affrontare con coerenza e correttezza i problemi educativi, di cura ed assistenza, presenti nelle varie età della vita; saper gestire le molteplici e varie situazioni, a volte drammatiche, nelle quali una famiglia può ritrovarsi (figli ammalati, figli disturbati, figli con handicap, figli disadattati); trasmettere i valori fondamentali e la cultura di base dell’umanità, sono tutte queste attività ed impegni molto più complessi di quanto non si creda, che richiedono, nonostante l’aiuto dell’istinto, notevoli e precise doti naturali, ma anche una preparazione attenta, lunga e accurata.

Lo stesso si può dire per quanto riguarda la preparazione e la gestione dei rapporti verso l’altro sesso. In qualunque modo si manifestino questi rapporti: se con amicizia, con amore, o ancor meglio se vi sono progetti comuni di lunga durata, come il matrimonio e la famiglia; questi rapporti, questi impegni, contemplano una notevole dose di problemi ai quali i giovani dovrebbero essere preparati fin dall’infanzia. Pertanto, la gestione corretta dei comportamenti e dei sentimenti è notevolmente complessa e non dovrebbe essere affidata solo ad estemporanee e contraddittorie indicazioni.

 

Finalità dell’educazione affettiva.

Per quanto riguarda le finalità, l’educazione all’affettività e alla relazione dovrebbe dare al bambino e poi al ragazzo, al giovane e al futuro uomo, benessere interiore, insieme a buone capacità in varie aree: nell’area del dialogo e della comunicazione; in quella sessuale e sentimentale; nella corretta gestione della vita della coppia; nell’integrazione e conduzione della rete affettiva e familiare; nello sviluppo delle capacità materne e paterne.

 Strumenti e metodi

Per effettuare una buona educazione affettivo – relazionale e sessuale è necessario innanzitutto rispettare i bisogni specifici del bambino, del ragazzo e poi del giovane. Bisogni di cure e attenzioni; bisogni di ascolto e dialogo; bisogni di comprensione e formazione. Inoltre è indispensabile rispettare in modo scrupoloso modi e tempi della sua maturazione ed evoluzione. Per Ackerman infatti: “Quando un individuo matura, conquista un’identità che è insieme individuale e sociale, e questi due aspetti non si possono separare nettamente.”[1]

Nel momento in cui il mondo della produzione costruisce un oggetto può, mediante l’esperienza e le nuove conquiste tecniche, modificare i progetti o le modalità di esecuzione che portano al prodotto finito, accelerando il più possibile alcune fasi della lavorazione, utilizzando nuove macchine, nuovi materiali e diversi e più efficienti procedimenti. Si può inoltre modificare il tipo di personale addetto alla produzione, cercando, mediante alcune strategie, di diminuirlo al massimo. La stessa cosa non è possibile fare nell’educazione affettivo – relazionale. Questa, come tutti gli altri tipi di educazione, ha dei bisogni imprescindibili e immodificabili.

Non possono, attualmente, essere modificati i progetti contenuti nei geni. Non possono essere modificati o sostituiti impunemente gli attori o se volete “i tecnici e specialisti” addetti a questo tipo di produzione. Non possono essere modificati le metodologie e gli strumenti impiegati, né i tempi ed i modi di produzione.

Uno dei principali danni causati dal prevalere del mondo economico è stato quello di aver immaginato e cercato di utilizzare per il mondo degli affetti la stessa filosofia e le stesse regole del mondo economico e dei servizi. Nulla di più errato. Nulla di più illusoriamente dannoso.

 La quantità.

Intanto per quanto riguarda la quantità, ogni bambino che nasce, in base alla sua età e alle sue caratteristiche, ha dei bisogni imprescindibili: ha bisogno di una certa quantità di carezze, di dialogo, di esempi validi, di serenità, di parole affettuose, di presenza, di accoglienza, di vicinanza, di tenerezza, di dolcezza. Non è possibile, senza provocare danni, privare l’essere umano degli stimoli affettivi necessari al suo sviluppo. Al di sotto di una determinata soglia di privazione, si rischia di fargli del male, compromettendo il suo benessere psicologico attuale, ma anche, se la situazione di deprivazione dovesse permanere, il suo equilibrio futuro. Per ottenere, quindi, uno sviluppo affettivo “normale” bisogna soddisfare una certa quantità di bisogni, pena i sintomi da carenza.

Come il nostro corpo ha bisogno di una certa quantità di cibo per crescere e ben svilupparsi, anche il nostro cuore necessita di una certa quantità di cibo per crescere, rinforzarsi e maturare.

Il cibo del cuore è fatto di carezze, coccole affettuose, giochi, abbracci, tenerezze, sorrisi, parole, attenzioni particolari, dialogo.

Così come la carenza di cibo porta nel corpo segni specifici: dimagrimento, anemia, minori difese immunitarie, rachitismo ecc., anche la carenza affettiva, quando è importante e duratura, comporta la comparsa di segnali e poi di sintomi specifici, come il pianto, l’irritabilità, l’instabilità, la tristezza, l’aggressività, le paure, i tic e nei casi più gravi la chiusura, la depressione, la regressione o la fissazione ad un certo stadio di sviluppo del bambino. Così come la carenza o la non corretta alimentazione può predisporre o facilitare l’insorgenza di malattie acute o croniche, allo stesso modo la mancanza o la carenza affettiva può portare a malattie psichiatriche più o meno gravi e durature.

 La qualità.

Per quanto riguarda la qualità, così come il cibo di un neonato è diverso da quello di un bambino di un anno e, a sua volta, questo è diverso da quello di un bambino più grandetto o da quello di un adulto, e quindi l’alimentazione del bambino passa dal latte della madre agli omogeneizzati, alla pastina e poi al normale uso di alimenti, così la qualità e la quantità degli apporti affettivo - relazionali dovranno essere necessariamente diverse, adeguandosi all’età del bambino, ma anche alle sue peculiarità individuali.

Di conseguenza gli apporti affettivi ed educativi dovranno , inoltre, possedere certe caratteristiche peculiari. Devono essere rassicuranti, sereni, privi di ansia, di paure o peggio, di angosce.

La presenza degli “operatori” addetti a questo tipo di “produzione“ deve garantire stabilità, sicurezza, calore, morbidezza, vicinanza, accoglienza.

Il bambino vive male ogni presenza sporadica, ansiosa, fredda, distaccata, aggressiva, con scarse capacità di dialogo e di comprensione dei suoi bisogni e dei suoi problemi. Pertanto, non devono essere delle presenze che portano ansia o che provocano ansia. Non devono essere delle presenze rigide, distaccate. Non devono essere delle presenze bellicose, litigiose o peggio, violente. Non devono essere delle presenze irritanti, stressanti o con disturbi nella comunicazione.

Vi è un continuo e costante scambio tra ambiente sociale e individuo. Se l’ambiente sociale si attiva in modo adeguato, ne riceve grandi vantaggi. Allo stesso modo se si attiva male, disordinatamente, sporadicamente o limitatamente, ne ha un grave danno.

Ad esempio quando una madre sa accogliere il bambino, sa allattarlo, cullarlo, curarlo e sa entrare in un dialogo intimo con lui, fa molte cose e tutte di estrema importanza per la futura vita affettiva di quel bambino, ma fa anche molte cose importanti per la relazione che sta instaurando con quel nuovo essere umano e quindi anche per la propria vita futura. Se quel bambino diventerà irritante, scontroso, aggressivo, o piagnucoloso e quindi diventerà di peso e fastidio se non di grave problema per lei stessa come per il marito e gli altri familiari, molto dipenderà da come è stato attuato e vissuto il rapporto iniziale.

Le caratteristiche individuali di ogni bambino possono far variare in quantità e qualità i singoli bisogni. Vi sono dei bambini più spartani e altri che hanno necessità di continue coccole. Vi sono bambini che piangono offesi per un rimprovero o un atteggiamento lievemente aggressivo e altri che sopportano meglio le frustrazioni. Anche di questi bisogni individuali specifici i genitori e gli educatori dovranno tener conto nell’aiutare lo sviluppo delle capacità affettivo – relazionali.

E’ importante però che questa variabilità individuale non diventi un alibi per coprire le nostre manchevolezze. Come dire: “Io mi sono poco occupato di mio figlio perché pensavo che, per il suo carattere, lui non volesse o avesse bisogno di molte coccole, di molte parole o della mia presenza”

Questi alibi riportati con frasi del tipo: “Io pensavo che,” io non credevo che”, “io mi illudevo che”, sono oggi numerosissimi e costanti. “Io pensavo che il bambino si annoiasse a casa da solo o con la vecchia nonna ed è per questo che l’ho inserito nell’asilo nido dove avrebbe incontrato tanti altri bambini e giovani educatori.” “Io credevo che per lui fosse più divertente andare a scuola con il pulmino nel quale avrebbe trovato molti compagni piuttosto che essere accompagnato da noi genitori.” “Io mi illudevo che questi suoi comportamenti piagnucolosi e lamentosi fossero dovuti al fatto che stava mettendo i dentini e non ai continui bisticci di noi genitori.”

 

[1] N. W. ACKERMAN, Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, Torino, 1968, p.79.


[1] E. TRIBULATO, L’educazione negata, EDAS, MESSINA, 2005, P.53.

[2] R. BIFFI, “La ricerca della felicità”, in Famiglia cristiana, n° 9, 2008, p.38.

Influenza del mondo affettivo sulla vita relazionale e sociale

 

I sentimenti e le emozioni positive o negative dei quali può essere portatore il bambino, influenzano l’essere umano per tutta la vita.

1.      Sarà sicuramente influenzato il modo di vivere le amicizie.

Più facili, più sincere e durature le amicizie di bambini, giovani e adulti che hanno vissuto bene e pienamente il rapporto con i propri genitori e familiari e che hanno avuto una vita affettiva ricca e calda, rispetto a quelli che invece hanno sofferto di una carenza di stimoli affettivi o hanno subito relazioni fredde, patologiche o disturbate.

2.      Sarà influenzato l’apprendimento.

Tutti gli apprendimenti, scolastici e non, richiedono una buona serenità interiore in quanto sia l’attenzione che i processi di memorizzazione avvengono correttamente quando la persona vive in armonia, serenità e pace con se stessa e con gli altri. Non avvengono o avvengono in maniera abnorme quando la persona è in preda all’ansia, alle paure, o ha una personalità affettivamente povera. Ragione ed emozioni non sono separate. La chiave dell’intelligenza e dello sviluppo mentale sta nelle prime relazioni e nelle prime esperienze emotive, vissute attraverso l’eccitante reciprocità con la madre e non sono rappresentate da capacità isolate. Greenspan afferma: “Abbiamo scoperto che le capacità più elevate della mente umana, come l’intelligenza, la moralità e il senso di sé, hanno inaspettate origini comuni”.

Analizzando i primi stadi dello sviluppo della mente “si è visto che ciascuno stadio richiede una serie di esperienze fondamentali e specifiche” [1]e sottili scambi emotivi. Non è l’intelletto a dominare la passione ed i sentimenti ma al contrario.

Anche per Morin ”c’è una relazione stretta fra intelligenza e affettività: la facoltà di ragionare può essere ridotta, se non distrutta, da un deficit di emozione; l’affievolimento della capacità emozionale può anche essere all’origine di comportamenti irrazionali e, per certi versi, la capacità emozionale è indispensabile alla messa in opera di comportamenti razionali.”[2]

3.      Saranno influenzate le capacità nella comunicazione.

Le capacità nella comunicazione sono notevolmente influenzate dal benessere o malessere psicologico. Queste capacità vengono limitate, bloccate o destrutturate fino al mutismo elettivo, alla dissociazione e all’autismo, quando i vissuti interiori sono più o meno gravemente disturbati. Alcuni bambini si chiudono nel loro mutismo elettivo quando il loro Io fragile ed insicuro non riesce a padroneggiare la paura dell’ambiente estraneo.

Francesca, ad esempio, riusciva a comunicare solo tra le mura domestiche e solo con i familiari più stretti: papà, mamma, sorelle, mentre non solo il linguaggio ma ogni comunicazione anche non verbale diventava impossibile quando a piedi o in macchina andava per la strada, ma anche a scuola, come nei negozi o negli uffici. Il suo mutismo elettivo era talmente grave che anche in casa, se qualcuno dei suoi familiari alzava la cornetta del telefono o apriva la porta o la finestra, Francesca bloccava automaticamente qualunque tipo di comunicazione e si chiudeva in un silenzio assoluto. Questo importante disturbo, per fortuna, non le impediva di frequentare le scuole in quanto, per iscritto, riusciva a rispondere correttamente in tutte le materie, tranne quando le venivano fatte delle domande che toccavano anche lontanamente la sua vita personale o sociale. Anche in questo caso non rispondeva e, successivamente, diventava molto più attenta e sospettosa nei confronti di chi temeva volesse infrangere la sua riservatezza.

 Non è meno grave la situazione di alcuni bambini ed adulti logorroici nei quali il disturbo nella comunicazione si manifesta con un’eccessiva verbosità mentre viene sacrificata la capacità di ascolto e la comprensione profonda dell’altro. In queste persone, che parlano tanto ma non sanno ascoltare, vi è uno scollamento tra sé e gli altri, tra i propri bisogni ed i bisogni e le necessità degli altri e quindi difficilmente potranno essere dei buoni genitori, dei buoni coniugi, ma anche nel campo lavorativo avranno notevoli difficoltà e limiti.

4.      Sarà influenzata la capacità di voler bene e di amare.

Molte persone che arrivano all’età adulta con una grande fame affettiva, se sono a volte in grado di provare istintive ed immediate passioni, come il piacere sessuale o l’emozione dell’innamoramento, hanno invece notevoli difficoltà a vivere pienamente l’amore e la cura verso l’altro. Il loro cuore affamato di calore e affetto non è in grado di donare ciò che non ha o non ha ricevuto sufficientemente. Spesso, inoltre, l’aggressività più o meno latente, con la quale vivono il rapporto con se stessi, gli altri ed il mondo, li porta a dei comportamenti arroganti e distruttivi. Con difficoltà potranno esprimere e realizzare il ruolo di padre o di madre. Con difficoltà potranno vivere coerentemente nella vita di coppia la fedeltà. Con difficoltà potranno gestire una relazione seria ed impegnativa, anche perché, la soluzione degli inevitabili conflitti richiede serenità e controllo, che loro non possiedono.

5.      Sarà influenzato il comportamento.

Non solo l’instabilità e la distraibilità ma anche l’aggressività e gli altri disturbi del comportamento come l’impulsività, l’irritabilità, gli atteggiamenti provocatori e ostili, la litigiosità, la suscettibilità e scontrosità, spesso nascono da una vita affettiva carente sul piano della qualità o della quantità.

6.      Saranno influenzate le capacità nella socializzazione, nell’integrazione e nell’autonomia.

 L’ampliamento del mondo affettivo relazionale avviene per gradi, ma in ogni caso nasce dapprima nell’animo del bambino e dopo, e soltanto dopo, si realizza e concretizza con atteggiamenti esteriori.

Spesso si dice, in maniera almeno in parte impropria, che il bambino per poter socializzare ha bisogno dei compagnetti della scuola. In realtà il bambino acquista la possibilità di socializzare con gli estranei, solo se ha vissuto in maniera serena e soddisfacente il rapporto con le figure familiari. E’ solo la bontà di questo rapporto e la serenità dell’ambiente di vita nel quale è vissuto che gli renderanno possibile aprire il proprio animo, il proprio interesse e la propria attenzione costruttiva anche agli estranei. Non solo quindi è inutile, ma è altresì controproducente, tentare di far avanzare un bambino ad un livello di socializzazione più maturo se questa capacità non si è già sviluppata nel suo animo. “L’autonomia ha una gradualità che solo il bambino conosce e dipende dalla sicurezza che gli è venuta dalle risposte della madre date nei tempi e nei modi giusti.”[3] Questo concetto di ampliamento di una capacità, ci è chiaro in alcune funzioni umane, ma non riusciamo spesso a comprenderlo ed ampliarlo come si dovrebbe a tutte le funzioni. Nessuno si sognerebbe, ad esempio, di dar da mangiare delle bistecche ad un bambino che ancora non è in grado di mangiare la pastina. Nessuno si sognerebbe di costringere un bambino a salire delle scale, quando ancora non sa camminare, o peggio non sa stare in piedi, ma poi pretendiamo che il bambino, che non ha ancora acquisito una buona maturità affettiva e relazionale ed una buona integrazione con i genitori e gli altri familiari, “socializzi” con insegnanti e altri bambini a lui estranei.

7.      Saranno influenzate le sue capacità nell’autonomia personale e sociale.

Anche se iscritte nei geni, le fasi dell’autonomia personale e sociale si attuano, e diventano realtà, non solo se qualcuno le stimola e le aiuta a svilupparsi, ma anche e soprattutto se il bambino avverte, attorno a sé e dentro di sé, serenità, sicurezza e appagamento. Egli mangia, si lava, si veste autonomamente, non solo quando le sue capacità intellettive e motorie glielo permettono ma anche quando il suo animo ed il suo cuore sono sereni. Se molto turbato o disturbato egli cercherà ancora l’aiuto degli altri, anche in presenza di buone capacità intellettive e motorie, perché permangono in lui il desiderio ed il bisogno di accudimento.

8.      Saranno influenzate le capacità lavorative.

Per pensare o per impegnarsi in qualunque lavoro, sia ripetitivo ma soprattutto creativo, il benessere psicologico ed affettivo è fondamentale. Se la nostra anima e il nostro cuore sono turbati da ansie, preoccupazioni o peggio dalla tristezza e dalla depressione, le capacità lavorative si ridurranno notevolmente fin quasi ad azzerarsi, oppure si presenteranno in modo altalenante: a volte la stessa persona produce cento, altre volte dieci.

Ricordo a questo proposito la pressante richiesta di una signora depressa la quale mi descriveva la sua condizione angosciante in questi termini: “Quando mi sveglio, la mattina, non mi sento molto male, perché sono a letto, tranquilla, ma poi con il passare dei minuti e delle ore, la mia ansia aumenta sempre di più. Quasi tutti i lavori di casa li fa mia figlia che abita con me, mentre mio marito fa la spesa e provvede agli impegni esterni alla famiglia: andare in banca, pagare le bollette ecc. Purtroppo mia figlia, che lavora fuori casa, vuole che io all’ora di pranzo riempia la pentola e la metta sul fuoco poco prima che lei e mio marito si ritirino, in modo tale da risparmiare tempo. Ma io, dottore, mentre sono a letto durante tutta la mattina penso a questa cosa che dovrò fare e che mi pesa tanto fare. Penso e mi angoscio sempre di più, a quando dovrò alzarmi, riempire quella maledetta pentola e metterla sul fuoco, Non può dire a mia figlia o a mio marito di farlo loro questo lavoro quando tornano a casa?”

Molte persone che passano per fannulloni, inconcludenti o distratti, sempre con la testa fra le nuvole o che mettono a rischio la loro vita e quella degli altri sul lavoro, sono persone con problemi psicologici. Sono persone il cui mondo affettivo è più o meno gravemente turbato o disturbato.


[1] S.GREENSPAN, B. LIEFF BENDERLY, L’intelligenza del cuore, Mondadori, Milano, 1998, p3.

[2] E. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 2001, p.19.

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