L'ambiente psicologico

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Ambiente diffidente e sospettoso

 

L’adulto diffidente e sospettoso ha quasi sempre un difficile rapporto con l’altro in quanto teme che questi lo voglia sfruttare, danneggiare o ingannare. Dubita della lealtà o dell’affidabilità sia degli amici sia dei colleghi e familiari. Egli prova difficoltà a confidarsi con chi gli è vicino, a causa di un timore ingiustificato che, quanto confidato, possa rivolgersi contro di lui. Scorge significati nascosti o minacciosi anche per piccoli rimproveri od osservazioni. Porta rancore in quanto ha difficoltà a perdonare il male fattogli dagli altri. Reagisce con rabbia e frustrazione agli attacchi al proprio ruolo. Sospettoso, teme della fedeltà del coniuge o del partner sessuale (DSM – IV – TR.).

L’incidenza che può avere un genitore diffidente e sospettoso nei riguardi dei propri figli è facile da comprendere. Un ambiente familiare è fatto di adulti che si fidano reciprocamente e vedono nell’altro un compagno, un amico, un sostegno, un’altra persona capace di ascoltare, capire e aiutare. Il comportamento e l’atteggiamento sospettoso porta facilmente i genitori allo scontro su varie tematiche. Sulla gelosia: “Tu non mi dici tutto di quello che fai durante la giornata, di come trascorri il tuo tempo fuori casa, per cui io temo che tu mi tradisca”. Sugli aspetti economici della vita familiare: “Non capisco cosa ne fai dei miei e dei nostri soldi. Forse li sperperi? Forse li conservi in un conto segreto tutto tuo? Forse li usi per fare dei regali alle tue amanti?” Nei rapporti con i figli: “Penso che le parole che dici, i comportamenti che tieni, le concessioni che fai, abbiano come fine una relazione privilegiata con nostro figlio, a scapito mio. Penso che tu voglia rubare tutto il suo affetto per legarlo maggiormente a te”.

Altrettanto problematici saranno i rapporti con i parenti dell’altro coniuge i quali, spesso, sono visti con sospetto: “Perché è venuta tua madre oggi? Cos’ha in mente? Non sopporto che quando io non sono in casa tua madre venga a spiare da noi. E poi, di cosa parlate insieme?” La sospettosità porta ad una scarsa fiducia che spesso si traduce in scontri occasionali, i quali possono diventare abituali, nel momento in cui l’altro, piuttosto che accettare un controllo sempre più invasivo, si ribella. Si viene allora a creare all’interno della famiglia un clima di scontro e di reciproche aggressività, che mette in serie difficoltà il normale sviluppo psicoaffettivo dei figli. Anche nei confronti di questi, la giusta attenzione dei luoghi, dei coetanei e adulti frequentati, può trasformarsi in un controllo eccessivamente inquisitorio che non lascia spazio ad un’adeguata autonomia e responsabilità.

Naturalmente la situazione peggiora quando dalla sospettosità si passa al delirio: di riferimento, di persecuzione, di gelosia ecc. In questi casi i minori sono costretti a confrontarsi con degli adulti i quali, piuttosto che lavorare per rendere concreta e chiara la realtà e la vita, con le loro parole e con i propri comportamenti la presentano in modo alterato e deformato. E ciò, inevitabilmente, porta ansia, confusione e angoscia nei minori. 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

 

Ambiente aggressivo e violento

 

Non è difficile avere l’immagine mentale dell’aggressività.  Essa è fatta di occhi iniettati di sangue a cui segue il bisogno di colpire e fare del male a qualcuno, come può essere una persona o un animale, ma anche a qualcosa, come può essere un oggetto da rompere o distruggere. Essa è fatta di parole che bruciano e scottano più del fuoco, mentre riescono a sconvolgere e atterrire chi le ascolta, più delle azioni. Essa è fatta di gesti che arrecano sofferenza e dolore o che mimano la sofferenza e il dolore che si vorrebbe infliggere all’altro.

Sono occhi e gesti capaci di ferire, lacerare, rompere, distruggere. L’aggressività è fatta, quindi, di comportamenti, che tendono da una parte a far aumentare nell’altro la paura, l’ansia, la frustrazione ed il disgusto, dall’altra servono a scaricare un bisogno interiore di cui a volte ci si vergogna e ci si pente, mentre altre volte si gode degli atti compiuti. Essa è fatta di pensieri e desideri distruttivi che possono arrivare fino ad agognare la morte della persona odiata.

L’aggressività fa parte delle componenti umane e accompagna gli animali e gli uomini fin dalla loro nascita. Dobbiamo, allora, distinguere un’aggressività fisiologica, come quella presente nella collera usata soltanto per difendere il proprio corpo, la propria vita, i propri diritti, i propri bisogni e le persone amate, da un’aggressività patologica, che si mette in moto in occasioni ed in situazioni nelle quali non vi è alcuna minaccia diretta o indiretta verso la persona o verso gli oggetti da questa amati.

Non è difficile che un ambiente irritabile e collerico diventi anche un ambiente aggressivo e violento nel quale un minore possa subire maltrattamenti di ogni tipo.

 

 

 

 

Vi sono fondamentalmente due tipi di maltrattamento:

Intanto vi è un maltrattamento psicologico fatto di reiterate violenze verbali o di un’eccessiva pressione psicologica sul minore mediante un’elevata presenza di critiche e rimproveri per ogni suo gesto e per ogni suo comportamento (stile ipercritico). In questi casi il bambino psicologicamente maltrattato è spesso svalutato, schernito, deriso, umiliato e terrorizzato con minacce e punizioni eccessive, prolungate ed ingiuste. Questi genitori e adulti difficilmente notano i comportamenti positivi ed adeguati del bambino, mentre sono sempre pronti a sottolineare ed evidenziare ogni suo errore o difetto. Il minore avverte di essere affettivamente respinto dai genitori e familiari che usano dei comportamenti e dei modelli relazionali che portano la vittima a pensare che valga poco, o che non sia amata e desiderata.

Nel maltrattamento fisico, che spesso si associa a quello psicologico, la vittima presenta le conseguenze delle percosse sotto forma di lividi, ematomi, lesioni cutanee, fratture e bruciature, in varie parti del corpo. Queste lesioni possono essere dal punto di vista fisico lievi, quando non necessitano di ricovero; di grado medio, quando è necessario il ricovero ma non vi è pericolo di vita per il bambino; gravi quando il bambino è in serio pericolo di vita o lamenta delle conseguenze importanti sul piano dell’integrità fisica.

Sono più frequentemente maltrattati i minori disabili i quali sono 1,7 volte più a rischio dei bambini normali. E tra questi sono maggiormente abusati i maschi.

Le conseguenze psicologiche del maltrattamento sono numerose e spesso gravi, in quanto è una grave frustrazione e trauma non essere amato e accettato. Per tali motivi si può avere un blocco nell’evoluzione psicoaffettiva del minore, con alterata organizzazione del sé. Frequente è la presenza di un pianto costante, la sfiducia in se stesso ma anche la difficoltà a fidarsi degli altri e, conseguentemente, il rifiuto di contatti fisici o di approcci relazionali. Non mancano le paure e quindi l’eccessiva attenzione ai pericoli dell’ambiente circostante. I bambini oggetti di abuso è come se stessero sempre in guardia contro gli altri. Sono presenti, inoltre, crisi di panico, disturbi dell’apprendimento, dello sviluppo intellettivo, del linguaggio. In questi bambini si può evidenziare una maggiore vulnerabilità alle malattie e la presenza di legami di attaccamento insicuri. Per un certo periodo i minori maltrattati possono presentarsi timidi e remissivi, ma in seguito, soprattutto nella fase adolescenziale, vi è il rischio che diventino, a loro volta, aggressivi e arroganti verso i più piccoli e deboli: “Gli adolescenti che hanno subito abusi da piccoli hanno più del 50% di probabilità di commettere reati violenti rispetto ai loro coetanei, cosa che dipende anche dalla loro frequenza in ambienti degradati”.[1]  Inoltre i bambini maltrattati diventati adulti è facile che, a sua volta, maltrattino i loro figli, per cui il maltrattamento è un fenomeno ripetitivo, che viene trasmesso da una generazione all’altra. Secondo lo stesso autore si potrebbe pensare ad un effetto epigenetico.

“Finora le conseguenze dell’abuso venivano assimilate a quelle legate ad altre forme di grave stress, le quali comportano un’attivazione dell’ipotalamo e dei surreni che producono in forte quantità il cortisolo, l’ormone che caratterizza, insieme ad altre molecole, la reazione a fattori stressanti. Ora però, i risultati di una recente ricerca indicano che gli effetti dell’abuso fisico e sessuale infantile, possono essere ben più gravi di altre forme di traumi o stress e lasciare una vera e propria “impronta genica” che può alterare il funzionamento del cervello, in particolare della corteccia frontale, attraverso dinamiche di tipo “epigenetico”. Il termine “epigenesi” sta ad indicare che i fattori ambientali possono far sì che i geni si comportino (o meglio si esprimano) in modo diverso, senza che i geni stessi si modifichino”.[2]

Le cause delle violenze fisiche da parte degli adulti verso i bambini possono essere diverse. Vi sono:

  1. 1.        Cause educative
  2. 2.        Cause sociali
  3. Cause personali
1.      Cause educative

Queste nascono da una risposta educativa eccessiva e sproporzionata da parte degli adulti a situazioni che possono essere presenti in tutte le famiglie e in tutti i luoghi dove sono presenti dei minori i quali, proprio per la loro età e per lo scarso controllo motorio ed emotivo, possono essere fastidiosi, pasticcioni, rumorosi ecc. Pertanto i maltrattamenti sui bambini possono esercitarsi sia in famiglia sia presso le istituzioni cosiddette “educative” e di “cura e sostegno alle famiglie”, soprattutto quando, come negli asili nido e nei centri per bambini disabili, gli ospiti di queste istituzioni non sono in grado di denunciare le violenze subite, a causa dell’età o degli handicap presenti.

In alcuni di questi ambienti i maltrattamenti fisici e psicologici possono essere utilizzati in maniera sistematica allo scopo di adeguare o correggere i comportamenti dei minori ritenuti pericolosi o non opportuni e adeguati al vivere sociale. Per fortuna, mentre in passato l’uso dei maltrattamenti fisici era frequente e sistematico, attualmente tali comportamenti sono nettamente diminuiti, in quando si è compreso che la violenza fisica stimola delle reazioni emotive che impediscono al bambino la interiorizzazione delle norme. In definitiva il bambino esegue quanto richiesto non perché ne sia convinto ma solo per evitare la punizione ed il dolore fisico. Pertanto, nel momento in cui pensa che può evitare la punizione, ritorna ad utilizzare il comportamento primitivo.

 

 

 

 

2.      Cause sociali

 Spesso i maltrattamenti fisici e psicologici si attuano per altri motivi che nulla hanno a che fare con le necessità educative. Possono provocare comportamenti aggressivi e violenti lo stress e l’eccessiva tensione nervosa, causati da rapporti coniugali o familiari conflittuali; da sovrabbondanti impegni lavorativi; da difficoltà economiche; da isolamento ed emarginazione dal contesto sociale; da condizioni abitative inadeguate; da presenza di famiglie monoparentali (ragazze madri, genitori single, divorziati, vedovi). Inoltre, oggi che i rapporti sentimentali sono spesso allargati ad amanti e “amici particolari”, la tensione interiore e l’eccessivo stress possono essere causati dalle difficoltà e dalle frustrazioni nel gestire questi legami alternativi, che presentano notevoli caratteristiche di variabilità e fluidità, ma che, sul piano emotivo, possono essere altrettanto coinvolgenti dei legami duraturi e stabili.

 

3.      Cause personali

In alcuni casi l’aggressività sui minori può essere provocata da adulti che presentano problematiche psicologiche, esistenziali e sociali. Questi adulti gestiscono con notevoli difficoltà le normali attività di cura necessarie per un bambino. Queste difficoltà si ampliano notevolmente quando il minore presenta delle problematiche, come patologie neonatali, malattie croniche, disabilità fisiche e psichiche, gravi problemi dell’apprendimento, pianto continuo, disturbi delle condotte alimentari, eccessiva irrequietezza, comportamenti distruttivi e violenti. Non vi è dubbio che la difficile gestione di queste ed altre problematiche comporti, nei genitori o nelle persone più immature e psicologicamente fragili che hanno in cura il bambino, uno stato di stress il quale, travalicando facilmente le loro capacità di autocontrollo, si trasforma in atteggiamenti o comportamenti aggressivi e rabbiosi. Questi atteggiamenti, è bene dirlo, spesso non sono né voluti né desiderati, tanto che lasciano nell’animo di questi adulti notevoli sensi di colpa che aggravano la loro precaria ed instabile condizione psichica.

Gli adulti che nel loro rapporto educativo più facilmente tendono ad effettuare violenza sui minori, in quanto non sono in grado di gestire le proprie emozioni ed i propri impulsi aggressivi e distruttivi, presentano spesso problematiche psicologiche e sociali di vario tipo: carenze affettive e relazionali, disturbi notevoli della personalità, tossicodipendenza, malattie nevrotiche o psicotiche, disadattamento sociale. Nella loro storia personale ritroviamo frequentemente conflitti e crisi coniugali, separazioni, condizioni socio-economiche scadenti, emigrazione, coinvolgimenti giudiziari, assenza di valori di riferimento.

La stessa difficoltà nel controllo delle pulsioni aggressive è stata evidenziata nei genitori o familiari troppo giovani o, al contrario, troppo avanti negli anni e nelle famiglie monoparentali.

I racconti di Marcello

 I racconti di Marcello, un bambino di sei anni, sono un vivido ritratto dell’ambiente familiare e scolastico nel quale viveva e con il quale era costretto a relazionarsi giornalmente.

Primo racconto

C’era una volta un deficiente che si chiamava Gianmarco. Un giorno la madre gli ha detto: “non buttare quella pianta se no ti ammazzo”, lui che era un deficiente è andato in balcone e butta la pianta sotto, e pensa: “Ora mia mamma mi ammazza”. C’era un aeroplano e disse: “Ancora peggio perché la pianta può rompere l’aeroplano”. L’aeroplano si è schiantato nel palazzo sono morte duemila persone. La madre disse: “È andata la casa a fuoco?”, e il bambino disse di sì. La madre l’ha buttato dalla finestra.

Secondo racconto

C’era una volta il mio compagno Stello. Una volta aveva fatto una scemenza stupida -stupida. Noi abbiamo un balcone a scuola. Lui ha fatto uscire la maestra, ha preso le piante e le ha buttate fuori. E la maestra lo ha rimproverato e mandato dal direttore. Una volta ha fatto lo stupido e la maestra ha chiamato la madre che lo stava ‘miscando” (picchiando). Lui è entrato come un cagnolino. Il direttore ha chiamato la mamma, che gli ha alzato le mani e lui è morto. Lo hanno sepolto a scuola e ai funerali hanno chiamato anche le autorità degli Stati Uniti.

Terzo racconto

C’era una volta Cristiano Bestia. Un giorno è voluto andare dalla maestra e gli ha chiesto: “Posso andare in bagno?” E la maestra gli dice: “No! Te lo scordi!” E poi Cristiano si fa la pipì addosso. Hanno dovuto chiamare i pompieri e gli hanno dato una mutanda dei pompieri. Stava scrivendo un compito di matematica e doveva fare 1+1, lui pensa quanto fa e scrive 1000. Così la maestra di matematica lo ha sbattuto fuori e gli ha rotto la testa. La maestra ha chiamato sua mamma e gli ha detto: ”Lo scriva in un’altra scuola!” Sua mamma è grossa e a Cristiano gli ha dato una botta facendolo sbattere (fuori) dalla finestra. Sotto c’era un’autombulanza, l’hanno messo lì e ricoverato al pronto soccorso. Era tutto rotto tranne il cuore. L’hanno dimesso sulla sedia a rotelle. È tornato a scuola e gli ha chiesto di nuovo alla maestra se poteva uscire e la maestra gli ha dato un altro schiaffo e l’hanno ricoverato di nuovo. Ritornato di nuovo a scuola con la sedia a rotelle, ha chiesto di nuovo di uscire, l’hanno sbattuto al muro e alla fine muore.

Quarto racconto

C’era una volta Stello e sua madre, che erano andati al mare e poi Stello ha chiesto alla madre se poteva fare il bagno ed è annegato, perché non sapeva nuotare. Sua mamma lo ha chiamato: “Vieni qui cretino!” E gli ha dato una timpulata (uno schiaffo), e così lui è morto nel mare. C’era il suo fantasma, sua mamma si è spaventata e gli ha dato un calcio. Lui è morto di nuovo e la cosa si è ripetuta tante volte.

Quinto racconto

C’era un ragazzo di nome Giacomo di un anno. La mamma esce a fare la spesa il bambino accende il fornello e incendia tutta la casa. Poi si arrampica al balcone e si butta giù, facendosi malissimo al cervello. Il pompiere arriva e dice: “Ma che cavolo fai?” Muore. Lo portano in chiesa e al cimitero. Poi il suo fantasma ripercorre la stessa storia per duecento volte e poi muore per sempre.

Sesto racconto: Desiderio di adozione

“C’era una volta un bambino che si chiamava Marco e si era perso. Un giorno ha trovato una casa e ha pensato di entrarci. C’erano tante cose vecchie e poi è uscito a giocare. Poi si è annoiato e se ne andato nel bosco. Nel bosco c’erano un maschio e una femmina grandi. Hanno trovato questo bambino ed hanno pensato di adottarlo. Sono tornati a casa e il bambino non era più solo”.

I racconti di Marcello non hanno bisogno di molti commenti, in quanto la quotidiana realtà di un certo tipo di scuola e di famiglia ne esce vivida e realistica: le botte, gli schiaffi, le aggressioni fisiche e verbali descrivono un ambiente e dei comportamenti educativi sicuramente poco consoni allo sviluppo di un bambino di sei anni. Come si può notare dai racconti, gli adulti: la madre, l’insegnante, il direttore, non sono mai sotto accusa. Sotto accusa sono gli stessi bambini, cioè le vittime. Come dice Giancarlo Tirendi: “L’odio provato per il genitore maltrattante verrà spostato su altri oggetti, consentendo così di conservare una buona relazione con il padre (o la madre) a livello cosciente”.[3]

L’ultimo racconto è però molto diverso dagli altri. In questo il protagonista: Marco, sente prepotentemente il bisogno di allontanarsi dalla sua famiglia nella quale vi era un clima violento. Tanto che inizialmente si accontenta di restare da solo. Solo successivamente emerge il desiderio di cercare una coppia di genitori diversi dai suoi che possano adottarlo.  

Lupi travestiti d’agnelli

“C’era una volta un lupo che passeggiava e in giro c’era un agnellino. Questo lupo si nascondeva e diceva all’agnellino: “Sei carino e bellino e da mangiare!” L’agnellino impaurito, va dai genitori che poi vanno a chiedere spiegazioni al lupo: lui risponde che non è vero che voleva mangiarlo.

Il lupo esce dalla tana, va dall’agnellino e gli dice: “Hai detto ai tuoi genitori che ti voglio mangiare?” “Sì dice l’agnellino”. Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno. Così il lupo grande non lo mangia. Così gli dice il lupo piccolo: “L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare”. Una sera spunta il lupo, l’agnellino era con i genitori. Il lupo saluta i genitori e loro ricambiano. I genitori volevano sapere come mai lui non avesse mangiato l’agnellino, perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino.

Da notare intanto in questo racconto di un altro bambino, Tonino, come le parole più frequenti siano: “lupi, mangiare ed agnellino”. Queste tre parole colorano di notevole, incredibile violenza e angoscia tutto il racconto. La seconda cosa da evidenziare è che i personaggi hanno continuamente degli atteggiamenti ambivalenti: a volte sembra vogliano proteggere la piccola, fragile vittima, mentre in altri momenti la tradiscono o sono ansiosi di aggredirla e sbranarla o farla sbranare. Pertanto, insieme alla paura della violenza estrema nel bambino: l’essere mangiato, pur essendo buono, piccolo e docile come un agnellino, vi è l’assenza di ogni speranza e di ogni fiducia negli altri, anche nei cosiddetti “amici” che sono pronti in ogni momento a tradirti. Il lupacchiotto che sembra proteggere in un primo momento l’agnellino (Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno) un momento dopoè pronto a darlo in pasto alle sue fauci (L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare). Questa sfiducia si allarga, in un terribile crescendo, anche ai propri genitori! (perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino).

Tutto ciò rispecchia le realtà interiori di questi bambini i quali, in seguito ai comportamenti dei genitori e degli adulti aggressivi, perdono ogni punto di riferimento affettivo e ogni sicurezza nell’ambiente che li circonda. Quali certezze avere, su chi e su che cosa poter contare e avere fiducia, quando le persone che lo picchiano frequentemente nei momenti di irritazione ed insofferenza sono le stesse che in altri momenti lo hanno abbracciato, baciato e consolato?

Un cuore stanco di essere picchiato.

Le violenze subite da Daniela prima dell’adozione si riflettono in questa storia:

  

“C’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori. Lo picchiavano perché combinava guai. Il cuore è andato via e si è sposato, ha avuto dei figli: una si chiamava Emanuela e l’altro si chiamava Marco. Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli, ( a me non piace quando picchiano i figli!) E vissero tutti felici e contenti.”

Innanzi tutto è da notare come la bambina metta in evidenza non il dolore del corpo che subisce le botte dei suoi genitori ma il cuore (c’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori), come a voler sottolineare che la cosa che soffre di più, in seguito alle violenze subite è soprattutto l’animo del bambino. Anche questa bambina, almeno in parte giustifica queste violenze (lo picchiavano perché combinava guai). La bambina cerca di sfuggire a questo ambiente violento, sognando di sposarsi ed avere dei figli e quindi avere una famiglia propria nella quale non si picchiano i bambini ed i genitori vanno d’accordo. Famiglia che rispecchia, in realtà, quella adottiva dove la bambina ormai viveva (Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli).

Possibili conseguenze  sui minori
  1. Qualsiasi forma di violenza può comportare nella personalità in formazione, delle conseguenze psicologiche e relazionali a breve, medio e lungo termine, sul processo di crescita e, conseguentemente, dei disturbi psicopatologici o devianze nell'età adulta. I bambini sottoposti a frequenti episodi di aggressività e/o violenza, evidenziano spesso paure, tristezza, irrequietezza, scarso rendimento scolastico, disturbi dell'attenzione, perdita di fiducia in se stessi ma anche negli altri, senso d’impotenza, disperazione, tendenza all’isolamento, difficoltà nelle relazioni intime. I sintomi più gravi possono presentarsi sotto forma di amnesie, alterazioni dello stato di coscienza, disforie, autolesionismo, rabbia esplosiva o inibizione.
  2. Per quanto riguarda la gravità del danno causato da un ambiente violento, questa è tanto maggiore quanto più piccolo è il bambino e quanto più duratura è l’esposizione all’ambiente traumatico. L’esperienza ci dimostra però che se si riescono a modificare, mediante interventi opportuni, le condizioni nelle quali vive il bambino, i disturbi presentati dal minore recedono rapidamente anche se non completamente.
  3. Per quanto riguarda le dinamiche che si realizzano in seguito ai comportamenti aggressivi da parte dei genitori o da parte degli altri educatori ed adulti con i quali è in contatto il bambino, si possono configurare varie situazioni:
  • Intanto vi può essere un’accettazione del giudizio negativo dato dagli adulti: “Se i miei genitori, la mia insegnante o i miei nonni, mi puniscono così frequentemente e così severamente, devo essere veramente molto cattivo”. Si può avere pertanto, da parte del bambino, una notevole perdita dell’autostima ed un’accettazione dell’immagine negativa che proviene dal suo alterato ambiente di vita.
  • In alcuni casi, viceversa, il bambino può pensare di essere lui “buono”, mentre invece ha dei genitori o dei familiari e altri educatori “cattivi”. In queste situazioni si può instaurare un problema di perdita. Un genitore, un padre o una madre sono per definizione buoni. Un genitore cattivo è un falso genitore, un finto genitore che non esiste o che, se esiste, è meglio che gli succeda qualcosa di grave, è meglio che muoia, così da non poter più nuocere. Ma poiché è difficile che questo tipo di desideri così punitivi e distruttivi, sia accettato dal super Io del bambino, è facile che per evitare gravi sensi di colpa, il suo Io cerchi in tutti i modi di rimuovere questi pensieri e desideri nell’inconscio. Pertanto, l’ansia consequenziale a questi pensieri negativi continuerà a persistere e si potrà manifestare mediante comportamenti e sintomi esattamente opposti al desiderio iniziale. Ad esempio, il bambino potrà evidenziare un’intensa paura che il papà, che è stato aggressivo con lui, muoia o si faccia del male. Questo timore lo potrà portare ad avere un’attenzione eccessiva e patologica nei confronti di questo genitore.
  • In altri casi questi desideri negativi e distruttivi possono condurre ad una grave disistima ma anche a comportamenti autopunitivi: “Se io ho pensieri di questo genere sono un pessimo bambino e quindi è giusto che soffra e che gli altri mi puniscano”.
  • Un’altra modalità utilizzata dai bambini quando avvertono che un genitore è “cattivo”, è quella di far coppia con l’altro genitore. “Se papà è cattivo, la mamma che è buona, ha bisogno di un uomo affettuoso e comprensivo accanto a sé: io voglio essere quest’uomo buono che vuole bene alla mamma senza mai farla soffrire o abbandonarla”. In questi casi il legame con la madre viene rafforzato e rischia di perpetuarsi anche nell’età adulta, quando dovrebbe essere sostituito da legami amorosi e affettivi vissuti all’esterno del nucleo familiare.
  • Vi è poi un’ulteriore modalità di vivere l’aggressività genitoriale che è quella di far propri i comportamenti educativi dei genitori e degli adulti pensando, erroneamente, che essere genitori ed adulti significa far soffrire i figli e i bambini a loro affidati. In questo caso viene ad essere compromesso nel bambino il suo futuro ruolo di genitore e di educatore. Pertanto, il danno ricevuto si trasferirà nel tempo ad altri esseri umani.
  • Inoltre, come nel racconto del lupo e dell’agnellino, il bambino osservando nei genitori e negli adulti dei comportamenti notevolmente contrastanti rischia di perdere ogni punto di riferimento affettivo e ogni sicurezza nei riguardi dell’ambiente che lo circonda.

 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

[1] Oliverio A., (2008), “Abusi e DNA”,  Mente e cervello, , psicologia contemporanea, settembre-ottobre, p. 69.

 

[2] Oliverio A., (2008), “Abusi e DNA”,  Mente e cervello, , psicologia contemporanea, settembre-ottobre, p. 70.

 

[3] Tirendi Giancarlo, “Il maltrattamento infantile: semplice violenza o patologia?”, Solidarietà, anno IX N° 24, p. 96.

 

 

 

 

Ambiente triste o depresso

 

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Una delle condizioni che più incidono negativamente sul benessere dei minori è un ambiente triste o decisamente depresso. SPIEGEL descrive così i vissuti di una persona depressa: L’immaginazione si arresta, il flusso delle idee rallenta, le emozioni si appiattiscono. Vi è limitata trasmissione e ricezione di comunicazioni. Sembra che l’impulso a comunicare sia perduto.[1]

 

Come per le piante è fondamentale la luce dei raggi del sole, per un bambino sono essenziali, tanto da non poterne fare a meno, il sorriso e la gioia di chi vive insieme a loro o incontra frequentemente nella sua vita.

L’essere umano, alla nascita, possiede geneticamente un grande potenziale positivo, fatto di innata vitalità, ottimismo, gioia e dinamismo. Queste potenzialità permettono al bambino di affrontare meglio e superare brillantemente molte vicissitudini della vita. Tuttavia, quando attorno a lui l’ambiente è frequentemente, se non costantemente, saturo di malinconia, tristezza e scoraggiamento, anche questo genetico, potenziale ottimismo, questa innata luce e gioia interiore, gradualmente si affievoliscono e rischiano di spegnersi.

Non è affatto facile vivere con dei genitori che hanno difficoltà a godere dei piccoli piaceri della vita. Allo stesso modo è difficile per un bambino vivere con una mamma o con un papà che si sentono interiormente spenti, svuotati, chiusi e soli nelle loro malinconie. E’ penoso vivere accanto a persone che hanno perduto la luce della speranza, che non riescono a godere il presente, mentre hanno scarse prospettive e mille incognite per il futuro. E’ angoscioso, per degli esseri umani in formazione, rilevare nel loro ambiente di vita una costante tristezza e malinconia, o avvertire negli adulti che li curano, i segnali di un costante senso di frustrazione e sfiducia negli altri e nel mondo, provocato anche da cose di poco conto.

Poiché i bambini hanno bisogno di mille cure, stimoli al dialogo e sollecitazioni positive, questi sono difficili da offrire quando nell’animo dei genitori prevale l’apatia e l’apparente distacco nei confronti dei bisogni e delle necessità, sia degli stessi figli sia della famiglia.

Inoltre, i bambini, specie se piccoli, hanno necessità di giocare, scoprire, correre, saltare, insieme ai genitori. Ciò è impossibile quando questi ultimi sono in preda all’apatia, al distacco o predominano nel loro animo costanti sentimenti depressivi. Questi genitori che non hanno alcuna voglia di partecipare alle sollecitazioni e ai giochi dei figli, come non hanno alcuna voglia di gite, piccoli piaceri o divertimenti spengono anche nei figli l’entusiasmo, la gioia e le iniziative.

Se da una parte la comunicazione diminuisce in quantità, anche gli oggetti della comunicazione sono particolari in questi genitori: essi non hanno desiderio di comunicare se non le loro malinconie e pene.

Nei casi più gravi, poiché ogni attività richiede per i depressi sforzi immani, a causa dei ridotti stimoli interiori e del notevole stato di indecisione, anche il semplice provvedere all’alimentazione e alla pulizia del neonato o del bambino, diventa un compito improbo, se non impossibile. Il motivo va ricercato non solo nell’apatia e nell’astenia ma anche nel fatto di non trarre alcun piacere e gratificazione da ogni loro atto. Le madri affette da grave depressione, se riescono ad alzarsi dal letto, si aggirano per la casa disperate, in quanto non sanno cosa fare e come provvedere anche ai bisogni essenziali dei loro figli. I padri con la stessa patologia si ritrovano sprofondati in un divano con una birra in una mano ed il telecomando nell’altra, senza aver voglia di fare nulla, ma anche incolpandosi di questa loro inattività e scarsa disponibilità a darsi da fare per la famiglia e per i figli. Frequenti sono quindi, nei depressi, i sentimenti di autosvalutazione e colpevolizzazione che accentuano il loro già grave disagio.

Questi sentimenti negativi, nei casi estremi, possono provocare in loro una tale disperazione da spingerli ad effettuare gesti inconsulti, come liberarsi dei bambini e/o tentare il suicidio. D’altra parte un figlio che avverte i genitori con questo tipo di problematiche, ha difficoltà ad aprirsi per avere conforto e sicurezza. Egli, infatti, da una parte ritiene impossibile che questo tipo di genitore risponda ai suoi bisogni, dall’altra sa che con le sue richieste di aiuto e supporto peggiorerebbe lo status psichico del papà o della mamma.

 

Per capire meglio i vissuti di questi minori riportiamo due racconti di Maria, una bambina di sei anni che presentava difficoltà e disagio nell’ambito della scuola, paure, eccessivo e patologico attaccamento alla figura materna, frequente ed eccessiva conflittualità con il fratello. La mamma di Maria  da anni soffriva di nervosismo, ansia, con lunghi periodi di umore malinconico o chiaramente depresso.

 

 

‹‹C’era una volta una bambina che andò in una casa nel bosco a prendere dei fiori. Quando il proprietario della casa vide che la bambina aveva preso i suoi fiori si arrabbiò tantissimo e la cacciò via.

La bambina aveva l’ombrello con sé, e non appena si mise a piovere la bambina di nome Serena aprì l’ombrello. Il proprietario non era più arrabbiato e la invitò a casa sua. La bambina accettò l’invito, ma non riusciva a passare in mezzo ai fiori. Il proprietario disse alla bambina di cogliere tutti i fiori per poter passare, tuttavia c’era anche un albero che ostruiva il passaggio. Il signore prende allora un coltello e lo dà alla bambina per tagliare l’albero. Tagliato l’albero la bambina decise in un primo momento di entrare in quella casa, poi però, avendo smesso di piovere, se ne ritornò a casa sua cantando una canzoncina. Ritornata a casa la mamma le chiese dove era stata per tutto quel tempo, e lei rispose che era a casa di una persona. Dopodiché la bambina Serena si preparò la borsa e andò a scuola››.

 

Da questo racconto possiamo cogliere alcuni elementi. Intanto il desiderio ed il bisogno di gioia e di socializzazione che è presente in ogni bambino. Questo desiderio viene però frustrato dai comportamenti nervosi, arrabbiati o ambivalenti degli adulti, ma anche da numerosi impedimenti che sembrano opporsi a quanto desiderato. E così qualcosa di bello come sono dei fiori o degli alberi, diventano degli ostacoli, quasi insormontabili, che è necessario recidere, strappare e tagliare, per potersi fare strada così da raggiungere l’obiettivo . Vi è poi evidente il difficile dialogo con una madre che, presentando le caratteristiche psicologiche sopra descritte, non riusciva a dare l’ascolto e, soprattutto, l’aiuto ed il supporto indispensabile (Ritornata a casa la mamma le chiese dove era stata per tutto quel tempo, e lei rispose che era a casa di una persona.) Impossibile dire tutto a questo tipo di madri. Impossibile dire le proprie difficoltà perché non potrebbero dare l’aiuto necessario per superarle. Meglio comunicare solo gli elementi essenziali e superficiali della propria esistenza e basta.

 

La stessa bambina raccontò un’altra storia:

‹‹C’era un arcobaleno e brillava tanto. Una volta c’erano dei bambini che andavano a vederlo, e al tramonto loro sono andati a casa. Andavano perché brillava e ci giocavano sotto.

 

L’altra mattina si mise a piovere e i bambini si preoccupavano perché l’arcobaleno era sparito. Sono andati a vederlo un’altra volta e dissero: “Dov’è l’arcobaleno?” E si accorsero che la pioggia lo aveva rovinato. Questi bambini erano tristi perché non potevano più giocare alla luce dell’arcobaleno. Così andarono dalla mamma e le dissero: “Mamma, perché l’arcobaleno è rovinato?” E la mamma rispose: “Perché la pioggia l’ha spazzato via.” I bambini si preoccuparono, ma il mattino seguente era ricomparso l’arcobaleno e i bambini erano felici che era ritornato: la pioggia non l’aveva spazzato via, ma solo non l’aveva fatto vedere.

 

Erano così felici che hanno chiamato la mamma e hanno giocato, e si sono accorti che non si deve piangere per una cosa, perché tanto, viene subito››. 

In questo secondo racconto effettuato sei mesi dopo, quando già la bambina era in terapia e mostrava segni di miglioramento, si evidenzia ancora una volta quella spinta propulsiva vitale verso la gioia presente in ogni bambino, alla cui luce è bello restare e giocare, per poi ritornare carichi di energie positive alla vita di sempre. Ma anche in questo racconto è presente l’atteggiamento pessimistico e distruttivo della madre che soffriva di depressione (‹‹ Mamma perché l’arcobaleno è rovinato?›› E la mamma rispose: “Perché la pioggia l’ha spazzato via››.) Per fortuna, dopo le iniziali preoccupazioni, l’arcobaleno ritorna e cioè gli elementi positivi della vita bussano di nuovo all’animo della bambina, pertanto le è possibile dare al racconto una bella conclusione ricca di luce e ottimismo (“Erano così felici che hanno chiamato la mamma e hanno giocato, e si sono accorti che non si deve piangere per una cosa (che si immagina perduta), perché tanto viene subito››.)

 

 Da notare che alla partecipazione ai momenti di gioia che adesso ella riesce a vivere (l’arcobaleno), la bambina fa di tutto per coinvolgere anche la madre. Si invertono i ruoli: non sono i genitori a scacciare le ombre nere dall’animo dei bambini ma in questo, come in tanti altri casi, può avvenire anche il contrario.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1] R. SPIEGEL, La comunicazione nei disturbi psichiatrici, in S. ARIETI (a cura di), Manuale di psichiatria, Boringhieri, Torino, 1970, p 2136.

 

 

 

Ambiente eccessivamente pignolo e perfezionista

 

Per quanto riguarda il disordine, vi sono delle persone che vivono tranquillamente in mezzo alla confusione e al caos, che loro definiscono “ordine sparso”, senza fare una piega, quasi senza accorgersi dello scompiglio che è loro intorno. La loro stanza somiglia ad un mercatino dell’usato. Sulla loro scrivania non vi è un centimetro libero su cui posare una matita, mentre i libri, i quaderni, le squadrette ma anche i fazzoletti, più o meno usati, i telefonini, le foto, le cicche di sigarette e molto altro ancora, sono ammucchiati alla rinfusa e scivolano o fanno capolino da tutte le parti.

Vi sono invece altre persone che non sopportano il ben che minimo disordine. Queste, definite pignole o perfezioniste, pongono la massima attenzione ai dettagli, alle regole, alle liste, all’ordine, alla perfetta organizzazione della propria vita. Se guardano una scrivania, nulla sfugge ai loro occhi attenti: né un granello di polvere, né tanto meno un libro o dei fogli fuori posto. Quando fanno visita alle case degli amici, sono capaci, mentre sono seduti a tavola per mangiare, di alzarsi, chiedendo naturalmente il permesso al capo famiglia, per sistemare il quadro che hanno di fronte, in quanto hanno notato, e ciò li fa soffrire, essere leggermente spostato a destra o a sinistra rispetto alla verticale. Le loro matite sono sempre perfettamente temperate. Sui mobili di casa vi sono pochi soprammobili e tutti con il centrino sotto. Quando a questi oggettini è stata assegnata una certa posizione, quella devono mantenere per anni. Vanno incontro a guai la consorte o la colf se osano spostarli di qualche centimetro o cambiarne l’orientamento.

 

 

Queste personalità si caratterizzano quindi per la preoccupazione ed il bisogno eccessivo di ordine, perfezione, controllo mentale e interpersonale, con conseguente scarsa flessibilità e apertura.

Inutile dire che nel loro lavoro gli sbagli non sono ammessi. Tutto quello in cui si applicano deve essere perfetto. Per questo motivo possono essere anche dei buoni e attenti lavoratori anche se l’eccesso di perfezione è a scapito di un buon rendimento complessivo. Queste persone trascurano lo svago e le amicizie e sono rigidi nei loro comportamenti, con testardaggine portano avanti le loro idee e i loro progetti, non sono mai soddisfatti di se stessi e degli altri. E così se fanno spesso autocritica, per cui non riescono a non pensare agli errori che hanno commesso, nello stesso tempo non riescono ad evitare di criticare e correggere continuamente i figli, l’altro coniuge o, se insegnanti, gli alunni, i loro genitori ed i colleghi, per tutto quello che questi non fanno o non fanno bene come dovrebbero.

I perfezionisti insistono nella stessa attività molto dopo che gli altri hanno smesso. Poiché hanno l’attitudine a primeggiare, pianificano ogni cosa in modo tale da non essere sottoposti ad eventuali critiche, ma finiscono per avere risultati peggiori degli altri in quanto essendo il “meglio nemico del bene”, dedicano molto più tempo del necessario alle attività che intraprendono, per cui sono costretti a rinviare le scadenze. Alla fine la loro produttività risulta minore di quella dei colleghi. Inoltre, poiché non riescono a fare tutto e bene si demoralizzano facilmente e rischiano di avere un calo di autostima e pericolosi sbalzi d’umore.

L’incontro di queste persone con i bambini, specie se piccoli, quando esse hanno il ruolo di genitori, nonni, zii, ma anche insegnanti o educatori in genere, non è dei più felici e ciò, nonostante i bambini, per loro natura, siano dei tradizionalisti. Essi si sentono sicuri solo se nella giornata non vi sono troppe novità; vogliono andare a letto sempre con lo stesso rituale. Quando si alzano desiderano che sia la stessa persona ad accudirli nelle pulizie. Quando è l’ora della pappa vogliono mangiare accompagnandosi sempre con la stessa persona e gli stessi oggetti. Molti bambini hanno un biberon o una loro tazza per il latte preferita, che non vogliono si cambi anche se vecchia e sbeccata. Pertanto, amano che le cose si ripetano allo stesso modo. Pur tuttavia gli stessi bimbi, in altri momenti della giornata vogliono godere della massima libertà. Amano e godono nel mettere tutto in disordine e pertanto spargono per terra i giocattoli come il contadino sparge i semi sulla terra appena arata. Spesso, quando mangiano, per la gioia del cane e del gatto di casa, il cibo si trova ammucchiato a terra, sotto il tavolo o sulla loro sedia. Alcuni pezzi di mela o di pasta non è raro ritrovarli nella parte opposta del tavolo, se non sui muri o tra i capelli loro e degli altri commensali. Per non parlare degli orari. I bambini vivono le ore della giornata così come li vivevano gli uomini delle caverne, quando il tempo veniva scandito in modo grossolano dal moto del sole, della luna e da alcune fondamentali funzioni: alzarsi, cacciare, lavorare, mangiare, dormire.

Se la ricerca di perfezione non è eccessiva, per cui queste persone accettano benevolmente anche un certo numero di errori e di imperfezioni, la loro vita e quella degli altri scorre abbastanza bene. Anzi, sia loro sia i minori ad essi affidati ottengono buoni risultati. Se invece la ricerca di perfezione è eccessiva, e quindi patologica, i loro figli e/o i minori che si trovano in contatto con loro, sono soggetti a continui, pesanti stress, a causa dei numerosi rimbrotti, delle innumerevoli accuse e lamentele, degli eccessivi, esasperanti distinguo.

Non vi è dubbio che l’impatto di un tipo di personalità eccessivamente precisa, ordinata, pignola sull’educazione, la cura e la relazione, porti molta sofferenza ai piccoli. Poiché, ad esempio, sono sacri gli appuntamenti per i controlli periodici, è impossibile pensare che i figli non prendano o non assumano il farmaco prescritto all’ora decisa dal medico. Il loro peso dovrà essere in linea con i dettati della scienza più avanzata e aggiornata. Quando il bambino è piccolo l’uso della bilancia è continuo. Per evitare l’ansia questo strumento deve dare, almeno settimanalmente, il responso prescritto dal pediatra. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il rito del bagnetto, che deve avvenire sempre ad una certa ora, mentre la temperatura dell’acqua deve essere esattamente quella ideale. Quando il bambino è più grandetto i contrasti tra il pargolo, per sua natura un po’ pasticcione e pigro in molti momenti della giornata e un padre, una madre o dei nonni perfezionisti, non possono non sfociare in continui, stressanti suggerimenti: “Ricordati che devi ordinare tutti i tuoi giocattoli”. “Mancano quindici minuti al momento in cui dobbiamo uscire di casa per entrare in macchina e andare a scuola”, e poi… “Mancano dieci minuti, otto minuti...” e così via in un can down preciso quanto ossessivo ed esasperante. Se il pediatra ha consigliato nella dieta cinquanta grammi di pastina a pranzo, è quasi un crimine pensare che ne possa mangiare un grammo in meno o in più. Lo stesso avviene per la pulizia: “Ti sei lavato i denti?” Se il bambino non risponde o non corre a lavarsi i denti, questa frase sarà ripetuta fino alla noia e all’esasperazione. Non parliamo poi dello svolgersi delle funzioni fisiologiche. Se il pupo ritarda a dare ogni giorno il suo solido e poco profumato bisognino, questi genitori o familiari vanno in crisi e cercano subito un blando lassativo per rimediare alla disattenzione dell’intestino!

Soffrono questi minori affidati alle loro cure in quanto lo spazio sia fisico sia psicologico nel quale possono muoversi è eccessivamente limitante. La scarsa autostima e la paura di sbagliare attanaglia questi bambini, mentre viene ad essere scoraggiata l’autonomia personale per la scarsa fiducia che questi genitori e familiari hanno negli altri, visti come coloro che non riescono a fare mai le cose nel modo giusto e nei tempi giusti. L’altro coniuge ed i figli sentono di vivere costretti dentro un binario dal quale non possono sfuggire per percorrere strade, almeno in parte, diverse. Questi genitori spesso impongono ai figli e all’altro coniuge il loro stile perfezionistico per cui vogliono che il bambino faccia tutto e bene, in quanto il suo valore è determinato dal successo che ottiene a scuola, come nello sport. Non accettando gli sbagli ogni sbaglio diventa una tragedia!

La sofferenza provocata dal loro comportamento al coniuge e ai figli, ha difficoltà ad arrivare alla coscienza del genitore perfezionista, in quanto il disagio che essi provano se non intervengono è maggiore e più acuto di quello che immaginano possano provocare agli altri. Per fortuna, quando alcuni di questi adulti perfezionisti sono seguiti costantemente, pur soffrendo interiormente, riescono ad accettare il fatto che almeno in alcune situazioni, è necessario vivere con lo stile dei bambini e non con quello dei loro genitori.

 In alcuni casi da parte dei figli si può avere una reazione aggressiva e gravemente disturbante, inizialmente nei confronti del mondo esterno e poi anche nei confronti dei loro genitori e delle loro famiglie. Il caso che riportiamo ne è un esempio.

Il figlio della maga

La nostra équipe di neuropsichiatria infantile era stata chiamata d’urgenza dalla preside di una piccola scuola elementare del nostro circondario, per il caso di Tommy, un bambino descritto come “terribile”, in quanto da giorni metteva a soqquadro tutta la scuola, impedendo di fare lezione. A questa richiesta da pronto soccorso, non potevamo che rispondere rapidamente, recandoci nella scuola disastrata. In questa, poiché non esisteva un ambulatorio medico, fummo costretti a raccogliere le informazioni necessarie seduti davanti ad un tavolo sistemato alla fine di un lungo corridoio, sul quale davano le varie aule. Appena arrivati fummo circondati dalle insegnanti e dai bidelli che non vedevano l’ora di informarci delle ultime monellerie del piccolo Tommy: un bambino di sei anni con un comportamento irrequieto, instabile e distruttivo. Questo comportamento si manifestava scappando dalla sua classe, inseguito, dapprima dalla sua maestra, alla quale ben presto, per darle man forte, si aggregavano altre insegnanti ed il personale ATA. Il bambino si divertiva ad entrare in tutte le classi allo scopo di scaraventare a terra, al suo passaggio, le sedie, i libri, e le cartelle dei compagni. Altro suo svago preferito era quello di prendere nelle sue scorribande dal tavolo degli altri alunni, tutte le matite che riusciva ad arraffare per poi romperle e lanciarle contro gli inseguitori. Non avevamo neanche finito di ascoltare una benché piccola parte delle malefatte del piccolo Tommy, che la scena alla quale insegnanti e bidelli erano consueti assistere giornalmente, si presentò davanti ai nostri occhi. Come conferma di quanto ascoltato, un bambino bello, biondo, con gli occhi azzurri, più alto rispetto ai suoi coetanei, uscì dalla sua aula, ridendo di gusto, mentre dietro di lui cominciò subito a formarsi un corteo di inseguitori che cercavano di riprenderlo. Questo bambino, a mano a mano che usciva dalle varie classi, teneva in alto come trofeo, il bottino appena arraffato, che poi scaraventava contro gli insegnanti e i bidelli, i quali si trovavano investiti da penne, quadernoni, libri e soprattutto spezzoni di matite.

Poiché per completare l’anamnesi avevamo bisogno di parlare con i suoi genitori, tutto il personale, trafelato dal tanto correre, fu felice di indicarci la casa dove viveva il piccolo Tommy. Casa che era proprio vicino alla scuola. Ci avvertirono, però, che la madre era la maga della zona, a sua volta figlia di un mago famoso e quindi di non meravigliarci, dato anche il carattere del figlio, di quello che, eventualmente, avremmo visto e incontrato nella sua casa. Avendo già verificato abbastanza delle prodezze di Tommy, eravamo ansiosi di conoscere i genitori, ma anche la casa dove questo novello “Ivan il terribile” viveva e si allenava alle sue gesta distruttive. Suonato alla porta, ci accolse una gentile, giovane signora che ci fece subito accomodare in salotto. La sorpresa fu grande. Non solo la signora che ci aveva accolto non aveva l’aspetto di una strega, ma anche la sua casa non somigliava affatto a quella catapecchia piena di gufi, serpenti impagliati e pipistrelli svolazzanti, che era presente nel nostro immaginario. Per di più non vi era alcun segno o traccia sulle pareti o a terra, degli esiti della distruzione operata dal terribile figlio. La casa era arredata bene e con gusto moderno. Non mancavano sulle mensole e dentro le apposite vetrine, numerosi fragili ninnoli di cristallo. Vasi decorati si trovavano poggiati su delicate colonnine di alabastro le quali, a sua volta, erano poggiate su un pavimento di marmo lucidato a specchio. No! Non era proprio la casa che ci si può aspettare da una maga e per giunta madre di un rampollo del genere di quello che avevamo appena lasciato a scuola. Non potevamo, a questo punto, esimerci dal chiedere se veramente lei era la madre di Tommy e se quella era veramente la casa che lui abitava giornalmente. La giovane donna ci guardò stupita di quella richiesta: “Certo che sono sua madre e che questa è la sua casa”. “Certo che lui abita qui e che qui fa i suoi compiti”, rispose.

A questo punto dobbiamo confessare che l’immagine che ci balenò davanti agli occhi fu quella di un bambino recluso nella sua stanzetta, forse anche strettamente legato o incatenato a qualche anello infisso nella parete, allo scopo di evitare di distruggere la sua splendida e ordinata dimora! Chiedemmo allora di vedere la sua stanza. Ma anche lì, incredibilmente, regnava un ordine perfetto ed una pulizia sovrana. I trenini, le macchinine ed i pupazzetti erano tutti ben allineati sulle mensole. Disegnato sul folto tappeto arancione, al centro della stanza, ci guardava solo un orsetto sorridente; non vi era un solo pezzetto di carta, né una matita inavvertitamente dimenticata a terra. Tutto era perfettamente lindo e rassettato. Non ricordavo di avere mai visto una stanza così. Soprattutto non ricordavo di avere mai visto così la stanza dei miei figli!

La madre, notando il nostro stupore, ci confermò che lei era un tipo molto ordinato e che ci teneva a che, anche il suo unico figlio, lo fosse altrettanto, per cui se a scuola Tommy si comportava in quel modo, le uniche responsabili erano le maestre che lasciavano i bambini a briglia sciolta e non li sapevano educare.

 Non è escluso che la diagnosi fatta dalla madre, in linea di principio, potesse essere corretta ma, mettendo insieme anche altri elementi, fummo più propensi a pensare che il piccolo Tommy fosse vittima di un eccesso di ordine da parte di una madre troppo perfettina e che, se questo ambiente troppo limitante, in alcuni minori ed in alcuni ambienti comporta un controllo eccessivo dell’esuberanze di un bambino, in altri casi o in altri ambienti, soprattutto quando le condizioni lo permettono, può stimolare un comportamento opposto, fatto tra l’altro di instabilità, distruttività e scarsa aderenza alle norme e alle regole comuni.

Le ossessioni e le compulsioni

Abbiamo parlato di un ambiente che subisce l’influenza di una personalità troppo amante della perfezione. D’altro tenore, e molto più invalidante, è l’ambiente influenzato dai soggetti affetti da una vera e propria patologia rappresentata dalla sindrome ossessiva - compulsiva. La prevalenza di questo disturbo in tutto l’arco della vita è del 2-2,4% [1].

Le ossessioni sono pensieri e immagini angoscianti e ripetitivi che l’individuo spesso realizza essere senza senso ma che non riesce a scacciare dalla mente. Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi che la persona si sente costretta a compiere per alleviare l’ansia provocata dai pensieri ossessivi.

I comportamenti ossessivi si manifestano spesso in mille piccole “manie”, ad esempio, il lavarsi le mani più volte, il bisogno di controllare ripetutamente se il portone di casa o il rubinetto del gas è aperto o chiuso, se il freno a mano dell’auto è stato ben inserito ecc. Queste “manie” fanno soffrire chi ne è affetto e nello stesso tempo rendono la vita difficile, se non impossibile, alle persone che vivono insieme a loro.

 Le persone affette da tali problematiche, per diminuire la loro ansia angosciante si sentono costrette a compiere ripetutamente, a volte fino allo sfinimento, una o più azioni fisiche o mentali, i “rituali ossessivi”. La paura dello sporco le può portare, ad esempio, a lavarsi le mani continuamente e a sterilizzare la casa con una miriade di detersivi. La paura di eventuali disgrazie le può spingere a ripetere determinate formule mentali o gesti scaramantici.

La vita di questi soggetti è notevolmente limitata da queste operazioni che devono effettuare, in quanto questi rituali, nel tempo, si fanno sempre più complessi, elaborati e lunghi. Gli stress e le frustrazioni, che queste persone fanno subire ai minori siano essi figli o alunni sono notevoli e difficilmente gestibili dall’Io del bambino. In questi casi non bastano sicuramente i consigli; per questi adulti sono necessari immediati ed adeguati interventi terapeutici.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1] Kaplan, H.I., Sadock B. j., (1993), Manuale di psichiatria, Napoli,  Edises, p. 452.

 

Ambiente carico di paure o di fobie

 

La paura, anzi le paure, perché di solito sono più d’una, accompagnano l’essere umano dalla culla alla tomba, pertanto sono comuni anche negli adulti.

 

Il Galimberti[1] così la definisce:

 

 “Emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia. La paura è spesso accompagnata da una reazione organica, di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo alla situazione d’emergenza, disponendolo, anche se in modo non specifico, all’apprestamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta e fuga”.

 

Se nell’ansia non vi è una paura specifica ma molte situazioni possono provocare uno stato di allarme, nelle paure e nelle fobie si teme un oggetto o una situazione particolare (oggetto fobico). Le persone affette dalle paure sanno che l’emozione che avvertono è eccessiva e irrazionale, tuttavia non possono fare a meno di provare l'ansia che le accompagna. Le statistiche ci informano in maniera precisa sulla frequenza degli incidenti mortali dovuti ai vari mezzi di trasporto e da queste si evince che l’aereo è uno dei mezzi più sicuri. Ma sapere tutto ciò non diminuisce affatto l’ansia provata dalle persone che hanno paura dell’aereo. I piccoli ragni, presenti spesso nelle case di campagna, sono assolutamente innocui, tranne che per gli insetti di cui sono ghiotti, ma il sapere tutto ciò non consola affatto chi ha paura di loro.

Pertanto nell’emozione paura c’è la percezione, non importa se reale o immaginaria, di una minaccia all’esistenza o all’integrità biologica dell’organismo proprio o altrui. È, quindi, un’emozione proiettata nel futuro, anche se determina effetti nel presente: si ha paura di ciò che accadrà o che potrebbe accadere. La paura è proporzionale al rischio al quale si pensa di essere esposti: ciò vale a dire che la paura è in funzione del pericolo percepito e anche della propria vulnerabilità. Quando l’entità del rischio è sconosciuta, la paura è massima e se è carica di presentimenti di morte, si definisce terrore.

La paura provoca delle risposte che vanno dal desiderio di eliminare o distruggere le circostanze o le persone che la provocano (condotte aggressive), alla fuga (condotte di evitamento) dalla situazione, luogo o persona ritenuta minacciosa (fuga dell’oggetto o evento fobogeno).

 Le paure e le ansie si trasmettono ai figli creando in loro altrettante paure ed ansie.

Le fobie

Si parla di fobia quando l’ansia di fronte ad un oggetto o ad un evento di cui si ha paura, è notevole, opprimente e non può essere contenuta con argomenti razionali. Si parla di fobia, inoltre, quando vi è qualcosa che va al di là del controllo volontario, per cui è incontrollabile e invincibile e provoca un’attivazione emotiva sproporzionata rispetto alla situazione che il soggetto sta vivendo. La fobia porta a dei comportamenti di evitamento che, a lungo andare, limitano in modo drammatico il normale proseguimento della vita del minore.

Le fobie si distinguono dalle paure anche perché non scompaiono di fronte a una verifica della realtà. Nelle fobie le reazioni fisiologiche atte alla difesa o alla fuga, che sono presenti anche nella paura, sono molto più intense, per cui si attiva rapidamente l’evitamento della situazione temuta, ad esempio, mediante la fuga. Per tale motivo il soggetto che soffre di fobie prevede in modo accurato tutte le situazioni che lo possono mettere in ansia e le evita sistematicamente. Ciò comporta una limitazione della propria vita sociale, più o meno grave in base all’oggetto fobico.  Ad esempio, l’adulto che ha fobia dell’aereo rischia di perdere tutte le possibilità lavorative e di svago che questo mezzo di trasporto permette. Il bambino che ha fobia della scuola rischia di perdere le opportunità culturali e socializzanti di questa istituzione.

Gli oggetti fobici possono essere numerosissimi e possono cambiare con il passare degli anni. Tutti gli oggetti, gli animali, le persone e le situazioni strane o comunque potenzialmente pericolose, possono far scattare una o più fobie. La paura dell’aereo (aerofobia) preoccupa le compagnie, che cercano di farla superare ai loro potenziali clienti istituendo dei corsi specifici. La paura dei luoghi chiusi (claustrofobia), come l’ascensore, è invece ben gradita ai condomini in quanto diminuisce le spese per l’energia elettrica. Ma vi è anche la paura dei luoghi troppo scoperti (agorafobia), la paura dell’altro sesso (androfobia e ginofobia), o in generale di tutto ciò che riguarda la vita sessuale.

Ben gradita alle case produttrici di detersivi è la diffusa paura dello sporco (acatartofobia) che fa aumentare le loro vendite. Ma anche molto diffusa in epoca di globalizzazione e di emigrazione clandestina è la paura dello straniero. Da non dimenticare, inoltre, la paura di soffrire una grave malattia (ipocondria), la paura degli animali (zoofobia), degli insetti (entomofobia)e così via.

A volte le fobie e le paure nascono da un cattivo rapporto avuto in passato con l’oggetto fobico, per cui si è rimasti traumatizzati da quel primo incontro o scontro; molte volte, invece, l’oggetto fobico viene investito da paure ancestrali non legate ad alcuna esperienza traumatica specifica. Ad esempio, è insita nella specie umana la paura degli insetti e dei topi in quanto portatori di malattie; dei luoghi aperti in quanto vi è il rischio di essere assaliti; dei luoghi chiusi, dai quali è difficile fuggire e così via. In alcuni casi, però, non vi è alcun collegamento razionale tranne che con dei vissuti profondi della persona nei quali troviamo importanti elementi di sofferenza e conflittualità.

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Tipi di fobie

 

Le fobie semplici o monosintomatiche sono generalmente scatenate da luoghi, oggetti, persone, animali o situazioni ben precisi e circoscritti: ad esempio, una paura intensa o irrazionale dei serpenti, dei coltelli, dei luoghi alti, della polvere, dell’acqua, del volare, dell’altezza e così via.

 

Nelle fobie complesse o multisintomatiche vi èun sentimento di timore verso tutto e tutti, per cui questo tipo di fobie sono molto invalidanti. Le fobie complesse, nel tempo, possono invadere zone sempre più ampie della vita di una persona e creare uno stato di allerta permanente.

 

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Conseguenze sui minori

 

Le conseguenze sui minori di un ambiente nel quale dominano paure e fobie, dipendono molto dall’intensità con la quale queste emozioni sono vissute, ma anche dal tipo di paure o di fobie. Se queste sono limitate a un particolare oggetto, animale o cosa che un genitore o un familiare cerca di non incontrare, l’influenza negativa sulla vita sociale del bambino può non essere notevole. Ad esempio, se la paura riguarda solo l’uso dell’ascensore, il problema non si presenta particolarmente grave: basta avere buone gambe e muscoli allenati per evitarne l’uso. Me se la paura, o peggio la fobia, riguarda le autostrade o tutti i mezzi di trasporto in generale, le limitazioni alle quali si costringeranno i figli saranno molto pesanti e numerose. Non solo, ma la possibilità che questi assistano ad una crisi d’ansia e quindi si traumatizzino nel vedere la madre o il padre in una situazione psichica notevolmente alterata, diventa molto più frequente. Altrettanto coinvolti sono, inoltre, i minori che vivono con persone che hanno paura dello sporco o del disordine. In questi casi i bambini saranno continuamente rimproverati, richiamati o puniti, per non essersi lavati sufficientemente o per aver lasciato in disordine le loro cose o i loro giocattoli. Questi minori, inoltre, saranno costretti ad assistere a svariate liti tra il coniuge affetto da queste patologie e l’altro che, essendone immune, si ribella alle costrizioni imposte dal coniuge disturbato.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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[1] Galimberti U., (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, p. 19.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carenze affettive

 

Crescita intellettiva e crescita affettivo-relazionale

La crescita intellettiva ed affettiva di un bambino è strettamente condizionata dalla quantità e dalla qualità degli stimoli ricevuti. Nonostante il sistema nervoso di un neonato sia già programmato per il suo sviluppo umano, le specifiche potenzialità genetiche si attueranno in maniera piena, ricca ed armonica, soltanto se egli avrà ricevuto nei tempi e nei modi opportuni e quindi nei modi e nei tempi adeguati alla sua fisiologia, i necessari stimoli tattili, odoriferi, visivi e uditivi sotto forma di parole, carezze, baci, toccamenti, idee, sorrisi, immagini, giochi e attività psicomotorie. In caso contrario il suo sviluppo cerebrale si arresterà o si attuerà in modo parziale o non corretto.

 

Mentre nell’adulto noi possiamo in parte distinguere gli stimoli affettivi da quelli intellettivi, nel bambino molto spesso questa distinzione non è facile e non è neanche possibile in quanto, per i cuccioli dell’uomo, le due componenti sono strettamente connesse.

Quando un padre apre le braccia e incita il bambino a fare i primi passi, quando una madre tenendolo sulle ginocchia sfoglia un libro figurato o quando la sera entrambi i genitori raccontano al bambino una favoletta prima di andare a letto, non sono solo un padre o una madre che stimolano la sua motricità grosso motoria, o arricchiscono il suo lessico e la sua fantasia: essi svolgono anche, e soprattutto, una funzione squisitamente affettivo – relazionale fatta di comunione reciproca, incoraggiamenti, rassicurazioni e dialogo. Per tale motivo, nonostante l’enorme mole di stimoli che provengono dai libri, dalla TV, dai video giochi, da Internet o dai computer, anche oggi e forse soprattutto oggi, si può ben a ragione parlare di bambini che soffrono di carenze di stimoli ambientali. In quanto se è vero che questi strumenti hanno di molto arricchito la vita intrapsichica dei minori in alcuni settori, l’hanno però impoverita in altri.

 

Se, infatti, queste nuove tecnologie hanno dato un notevole apporto di stimoli visivi, uditivi e della coordinazione visuo – motoria, dall’altra, rispetto al passato e rispetto alle popolazioni nelle quali i bambini possono effettuare, insieme ai loro genitori e familiari, attività e giochi per molte ore al giorno, all’aria aperta, immersi nell’ambiente naturale, vi è stato un notevole impoverimento di esperienze e stimoli.

I contatti fisici ed emotivi e le esperienze che provengono dagli adulti, con i quali vi è un forte legame affettivo, sono diventati negli ultimi decenni troppo scarsi e limitati. Sono, inoltre, nettamente diminuiti i contatti diretti e spontanei con il mondo vegetale e animale che anch’esso possiede notevoli proprietà affettivo – relazionali.

Mentre globalmente vi è nella nostra società, una carenza di stimoli efficaci allo sviluppo armonico dei minori, al suo interno vi sono poi delle situazioni ancora più critiche. Infatti, così come vi è ad un estremo un ambiente familiare molto attento verso il minore al quale viene dato molto, ma contemporaneamente molto viene chiesto, vi è, nella situazione opposta, un ambiente notevolmente freddo e indifferente, nel quale il minore passa quasi inosservato, come fosse inesistente.

 

Ciò avviene quando i genitori, nonostante aspettino un figlio, continuano a condurre la loro vita di sempre: lui al lavoro fuori casa, mentre lei è impegnata nelle sue faccende domestiche o anche in attività esterne alla famiglia. Quando poi il figlio nasce, la madre lo accudisce come fosse uno dei tanti impegni ai quali è costretta a dedicarsi, una delle tante incombenze della giornata, senza sforzarsi minimamente e senza riuscire ad avere con il piccolo uno stretto rapporto dialogico. Queste madri, anche quando stanno accanto al figlio, non ricercano e non si lasciano andare a quel profondo e solido legame particolare che il bambino ricerca e del quale non può fare a meno. Queste madri disattente, mentre allattano il piccolo, anche quando non sono impegnate al telefono o con la Tv, non vivono la relazione in modo profondo, in quanto i loro pensieri vagano sulle cose da fare dopo quella noiosa occupazione. Quando possono preferiscono delegare agli altri, a chiunque sia disponibile, le indispensabili cure. La loro mente, distratta dagli impegni, dai progetti o peggio dalle passioni o amori del momento, non riesce a vivere e gustare in modo pieno e coinvolgente il rapporto con il figlio.

Quando, per un qualunque motivo, esse hanno la necessità di allontanarsi da casa e dal piccolo per giorni o per mesi, per motivi di studio, di lavoro o altre incombenze, si impegnano soltanto a trovare qualcuno che in loro assenza si occupi di lui: gli dia da magiare, lo pulisca e lo metta a letto.

 

La carenza affettiva.

Durante tutta l’età evolutiva esiste una fame affettiva in tutti i settori della vita di relazione. Quando questa fame non viene soddisfatta, lo sviluppo psicoaffettivo del bambino risentirà di gravi conseguenze. Della carenza affettiva la madre non è l’unica responsabile. Responsabili sono anche gli altri familiari. In quanto, se nei primi diciotto - venti mesi questa richiesta di un solido legame affettivo si rivolge esclusivamente alla madre, a mano a mano che il bambino acquista posizione nel mondo circostante, il bisogno di affetto, dialogo, cure, sicurezza e protezione, viene richiesto anche all’ambiente familiare.

Le carenze affettive si possono manifestare nelle varie età. Vi può essere una carenza affettiva della prima infanzia, una carenza affettiva dell’età prescolare, e una dell’età scolare. La gravità della sindrome carenziale dipende dall’età del bambino e dalla durata dell’assenza della madre. Minore è l’età del bambino e tanto più lunga è stata la carenza affettiva, tanto più gravi e più difficilmente recuperabili saranno gli esiti. In ogni caso le conseguenze delle carenze affettive causate da una madre poco attenta o disponibile possono essere attutite da un padre o da familiari vicini e disponibili alle cure del bambino. Al contrario modeste carenze della madre nella cura del figlio possono essere accentuate dall’assenza o dallo scarso coinvolgimento paterno o di altre figure familiari come quelle dei nonni e degli zii.

Bisogna inoltre considerare le caratteristiche individuali. Alcuni bambini sono particolarmente sensibili alle carenze affettive e, pertanto, quando queste carenze si presentano, reagiscono con sintomi importanti e gravi, mentre altri le accettano meglio e reagiscono con sintomi più blandi e passeggeri. La maggiore capacità di resistenza e la maggiore capacità di recupero non dovrebbero però illudere i genitori in quanto, spesso, una reazione apparentemente neutra nasconde ed alimenta delle invisibili ferite e dei sotterranei risentimenti.

 

 

Carenze affettive acute e croniche.

La carenza affettiva può presentarsi in modo acuto o cronico. Una carenza affettiva acuta è, ad esempio, quella nella quale la madre, pienamente disponibile e vicina al bambino fino a quel momento, è costretta, per un motivo qualsiasi, ad allontanarsi dal figlio per qualche tempo. Una carenza cronica, invece, è quella che si ha quando, pur non essendoci un allontanamento reale, la madre ed i familiari a lei vicini, hanno costantemente o frequentemente un comportamento ed un atteggiamento nei confronti del minore caratterizzato da scarsa attenzione, cura, impegno, disponibilità all’ascolto e al dialogo.

I danni da carenza affettiva possono essere in tutto o in parte recuperati o possono accentuarsi nel tempo. Se la madre, ma anche gli altri familiari, nel momento in cui si accorgono del disagio del bambino cercano, mediante maggiore cura, accoglienza, dialogo, di essere più vicini ai bisogni del bambino, i guasti procurati dalla carenza affettiva possono essere mitigati ed in buona parte recuperati. Le conseguenze saranno più gravi, ed in parte irreversibili se, come spesso accade, il disagio espresso dal bambino viene ignorato o peggio mal valutato. Non è raro, infatti, veder giudicare il pianto, gli scatti di collera, la chiusura e una più accentuata irritabilità del bambino, come insopportabili capricci, ai quali rispondere con atteggiamenti repressivi e punitivi, nell’intento di farli cessare. 

 

Il caso di Dario ne è un esempio.

 

Un viaggio di lavoro

 

Quando la madre di Dario, per motivi di lavoro, andò in Africa, il figlio aveva quasi due anni. La donna pensava di averlo lasciato in buone mani in quanto aveva affidato il bambino al padre e ad una tata che viveva stabilmente in famiglia. Dopo alcuni mesi, al ritorno dall’incarico espletato brillantemente, non immaginava di dover affrontare una così brutta e difficile situazione.

Dario manifestava chiari segni di sofferenza e di regressione: non la guardava più negli occhi, appariva depresso, pensieroso, piangeva e gridava per un nonnulla, aveva dimenticato molte delle parole che conosceva.

La madre, pensando che questi comportamenti ed atteggiamenti del figlio fossero dovuti a dei capricci, piuttosto che farsi perdonare, coccolandolo maggiormente, pensò bene di usare nei confronti del piccolo un atteggiamento più fermo e deciso, conclusosi con l’iscrizione ad una scuola materna dove la madre sapeva che insegnava una maestra particolarmente burbera e severa. Infine, arguendo che la tata che aveva lasciato con lui durante la sua assenza, non avesse fatto bene il suo dovere, non stimolando la comunicazione del figlio, la  licenziò su due piedi.

Quando verso i cinque anni arrivò alla nostra osservazione, la situazione psicologica del bambino si era ulteriormente aggravata. Egli presentava marcato disinvestimento in tutte le relazioni, sia verso i coetanei, sia verso gli adulti; momentanei ma ripetuti scollamenti con la realtà; grave instabilità ed irrequietezza motoria; atteggiamento depresso; importanti disturbi nella comunicazione con un linguaggio molto ridotto e con presenza di ecolalie e uso di frasi e parole improprie. Il bambino presentava, inoltre, ecoprassie, facili crisi di pianto e, se contrariato, atteggiamenti aggressivi.

 

La madre cercava di contenere con un atteggiamento sempre più deciso e fermo i comportamenti più disturbanti di Dario, ma con scarso o momentaneo risultato. 

I danni da carenze affettive possono, come abbiamo detto, essere in tutto o in parte recuperati da altre persone che intervengono successivamente. Ciò lo ritroviamo, ad esempio, nei bambini adottati. In questi casi i genitori adottivi si sforzano e spesso riescono a soddisfare le carenze affettive del piccolo, rimediando, almeno in parte, ai danni subiti precedentemente.

 

Cause delle carenze affettive.

La scarsa e/o saltuaria presenza dei genitori nella vita dei figli è testimoniata dalla realtà quotidiana e da numerose statistiche. Vi è un calo nel numero delle ore trascorse accanto ai figli. Ma vi è anche un calo nella qualità del tempo trascorso accanto alla prole. Negli ultimi decenni, infatti, se da una parte sono aumentati in maniera vertiginosa le opere, gli articoli, i saggi che tendevano a valorizzare l'importanza della presenza genitoriale, dall'altra gli stessi genitori sono stati, e lo sono sempre di più, bombardati da una serie di stimoli esterni che tendono a sviare la loro attenzione, il loro impegno e anche il loro tempo dalla cura dei figli.

 

Le cause delle carenze affettive sia acute che croniche sono numerose:

  •          Molto tempo viene sottratto dagli impegni lavorativi.Nelle moderne società occidentali vi è l'invito, che è quasi un obbligo, dell’impegno di entrambi i genitori nel lavoro dentro e fuori casa. Ciò viene indicato come un segno di modernità, democrazia e necessità per le famiglie e per la società. È anche visto come obiettivo primario da raggiungere per migliorare il PIL (Prodotto Interno Lordo), per dare maggiore ricchezza alla nazione, per permettere la “realizzazione” della donna nell'ambito sociale così da “liberarla” dalla schiavitù della casa, dei figli e dei fornelli. L'impegno lavorativo esterno alla famiglia è segnalato anche come obbligo per migliorare la cultura della donna e darle maggiore autonomia, così da non essere dipendente dall'uomo. Necessità ed obbligo che servono anche a diminuire le retribuzioni e quindi il costo delle merci così da rendere il nostro paese più competitivo in un mercato globale.
  •          Sono aumentati i motivi che portano ad una lontananza fisica dalla prole. La ricerca di un lavoro gratificante e appagante, sia sul piano economico sia sul piano sociale e personale, spinge uomini e donne a cercare attività lavorative non solo lontane dalla propria abitazione ma, a volte, anche lontane dalla propria città o regione.
  •          Molto tempo è dedicato sia dagli uomini sia dalle donne a godere, per quanto possibile, di vari tipi di divertimenti fatti di incontri tra amici, balli, vacanze, cene conviviali.
  •          Vi è poi l'invito pressante a migliorare l’aspetto fisico o a contenere i danni inferti dal tempo sul viso e sul corpo mediante la frequenza delle palestre, dei centri benessere, ma anche delle sale operatorie per interventi di chirurgia estetica.
  •          Non mancano poi gli inviti a migliorare la propria cultura mediante la frequenza di lauree, corsi, master, tirocini, aggiornamenti. Viene, infatti, affermato continuamente dagli economisti che una società moderna non si accontenta di una modesta cultura di base ma necessita di persone che abbiano un bagaglio di istruzione di tipo universitario e oltre.

 

  •          Si è inoltre sollecitati a dedicare parte del proprio tempo e delle proprie energie all’agone sociale e politico.
  •          Non è da sottovalutare, inoltre, la frequente disarmonia all’interno delle coppie e delle famiglie. Quando i genitori impegnano buona parte delle proprie energie nell’affrontare l’altro, nel difendersi dall’altro, nell’accusare l’altro, nel far del male all’altro, coinvolti da sentimenti che sconvolgono l’animo, come la gelosia, l’aggressività, la delusione, la sofferenza e la rabbia, spesso non hanno la possibilità di vivere ed esprimere pienamente quei teneri e delicati sentimenti di cui hanno bisogno i figli. Non vi è, inoltre, sufficiente disponibilità e serenità indispensabili per la cura e l’ascolto dei loro bisogni.

  • ·         La maggiore libertà sentimentale e sessuale della quale godono e si fanno vanto le società occidentali, ha portato ad una sensibile diminuzione non solo del tempo trascorso con i minori, ma anche della disponibilità all’impegno e alle cure.
  • ·         L’allontanamento da parte degli uomini e delle donne dalla cura dei figli è causato anche dalla perdita di competenza. Nonostante oggi vi sia una notevole maggiore cultura di tipo tecnico - professionale, sono di fatto notevolmente diminuite le conoscenze riguardanti la relazione con i minori, così come sono diminuite le acquisizioni riguardanti una maggiore sensibilità e competenza nel campo affettivo – relazionale. Tutto ciò contribuisce ad allontanare uomini e donne dalle cure dei figli in quanto i genitori non riescono ad avere nei loro confronti un rapporto sereno e stabile che è anche la premessa per un rapporto gratificante e appagante.
  •          Se tutto ciò non bastasse le moderne società devono fare i conti con gli strumenti che hanno invaso le nostre case e le nostre vite: televisori, computer, consolle di video-giochi, telefoni cellulari e così via. Questi strumenti che hanno stravolto la vita di tutti i giorni e che si propongono di migliorare la comunicazione tra persone, in realtà, utilizzati in maniera massiccia ed impropria, non solo sottraggono tempo ma sperperano anche energie da dedicare al dialogo e alla cura della prole.

 Le conseguenze delle carenze affettive

Le conseguenze delle carenze affettive sono numerose:

  1. Alle nuove generazioni non sono più trasmessi quegli elementi della cultura di base dell'umanità, del loro territorio e della loro famiglia che sono l'humus non solo formativo ma soprattutto psicologico sul quale i bambini e poi gli adolescenti e i giovani hanno bisogno di affondare le radici del proprio Io per avere stabilità, sicurezza e chiarezza.

  2. Il forte legame che dovrebbe unire i genitori ai figli diventa fragile, debole, incapace di sostenere, guidare, confortare.

  3. La saltuaria, incostante, instabile presenza dei genitori impedisce ai figli quello sviluppo interiore capace di costruire e poi difendere e rafforzare l’Io.

  4. La scarsa e saltuaria presenza impedisce di affrontare in tempo e con gli opportuni provvedimenti i disagi nascenti. Sempre più spesso uomini e donne, padri e madri “non hanno tempo”. “Non hanno tempo” da dedicare ai figli nel momento in cui dovrebbero contribuire alla loro crescita e alla loro formazione ma “non hanno tempo” neanche quando si evidenziano gravi problematiche che dovrebbero essere affrontate con costanza, dedizione e collaborazione con gli operatori. Sempre più spesso, negli ambulatori di neuropsichiatria infantile, quando il bambino, nonché la famiglia, necessitano di una terapia o di un sostegno psicologico, è presente uno scaricabarile: i papà lasciano alle madri questo compito, le madri, troppo occupate, fanno venire le nonne o affidano alle tate o alle baby - sitter l’incombenza di accompagnare il bambino per la terapia. Tutto ciò, nonostante si insista molto sul fatto che non è solo il bambino ad essere malato ma che disturbata è tutta la famiglia dove questo bambino vive.

  5. La mancanza di un legame profondo e valido tra i genitori ed i figli instaura frequenti e numerosi conflitti tra loro. Questi conflitti tendono a scatenare negli uni e negli altri diffidenza, ansia, rabbia, livore, aggressività, insoddisfazione.

Come conseguenza di tutto ciò compaiono segni di disagio come la chiusura, l’opposizione, l’ansia, l’insicurezza, i comportamenti aggressivi, l’enuresi, l’encopresi, le crisi di pavor nocturnus, l’isolamento ecc..

I bisogni affettivi raccontati dai bambini

 I bambini, nei  loro racconti, evidenziano dei precisi bisogni affettivi ma anche il disagio da essi provato quando questi bisogni non sono soddisfatti. 

Caldo o freddo?

I bambini, spesso, hanno un’idea ben chiara su cosa serve loro nella vita e cosa desiderano veramente

‹‹Vi era un bambino che si trovava a volte in un ambiente caldo, altre volte in un ambiente freddo. Ma non era contento di ciò. Un giorno fece una scelta: “Preferisco il caldo.”  Se ne andò per trovare il caldo e viverci a lungo. La sua scelta era giusta. Il freddo lo rendeva triste. Il caldo lo faceva sentire forte e felice››.

Quando un bambino non ha dalla famiglia la serenità necessaria ha la tentazione di chiudersi e di limitare i rapporti con la vita e con gli altri (l’ambiente freddo). In altri momenti, invece, preferisce l’apertura alla vita, anche se questa apertura può essere causa di frustrazioni, in quanto è costretto a mettere in gioco la sua sensibilità. La decisione finale è però chiara e netta: se ne andò per trovare il caldo e viverci a lungo. Il freddo lo rendeva triste. Il caldo lo faceva sentire forte e felice.

 

 

 

 

 

‹‹C’era una volta un bambino che andava scrivendo su tutti gli alberi che incontrava “ciao”, perché si sentiva solo e non aveva amici. Quello che faceva era un modo per fare amicizia con gli alberi anche se sapeva che non si doveva fare. Un giorno lo incontrò un taglialegna e con la scusa che pure lui aveva a che fare con gli alberi, gli diede qualche consiglio. Questo taglialegna gli servì come amico per confidarsi e per esprimere tutto quello che aveva dentro, così con calma affrontarono questo discorso e questa persona lo convinse che era una cosa sbagliata sia per lui che per gli alberi. Il taglialegna non si fermò qua, ma andò a dirlo a tutte le persone che conosceva per trovare qualche amico al bambino. Così organizzò una festa e invitò tutti gli amici e i parenti ed ebbe tanti amici››.

Anche questo racconto è indicativo su cosa desiderano i bambini. Essi hanno bisogno di amici e se hanno difficoltà a trovarli si accontentano anche di “amici alberi”. Ma è solo quando qualcuno li aiuta a trovare amici veri, in carne e ossa, che essi sono veramente felici e soddisfatti.

 

Un cuore in cielo

 

 

Una bambina di dieci anni che a causa di gravi carenze affettive ed educative da parte di entrambi i genitori, viveva in istituto di suore insieme ad un altro fratello ed un’altra sorella, vede soltanto in Gesù, nella Madonna e nei Santi la possibilità di avere amore e attenzioni:

 

‹‹C’era una volta un cuore che stava in cielo. Era grande e bello e rosso d’amore. Questo cuore era di una persona femmina, piccola, che aveva due anni, era una bambina e si chiamava Alessia che si era fidanzata con Gesù e gli aveva dato il suo cuore. Alessia aveva una famiglia e i suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù. Gesù era contento e la mamma Maria e i discepoli gli buttavano fiori sul cuore e a lui gli faceva piacere stare con loro, era contento…I suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù)››.

 

Da notare la sua identificazione con una bambina piccola di due anni. È  come se la ragazza desiderasse regredire ad un’età nella quale si immagina che i bambini siano felici. Accanto a questo desiderio di regressione vi è in questo racconto anche un desiderio di fuggire dalla triste realtà nella quale si trova (È andato in cielo e si è sposato con Gesù. Gesù era contento e la mamma Maria e i discepoli gli buttavano fiori sul cuore e a lui gli faceva piacere stare con loro, era contento…I suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù).

Una bimba nella tomba

‹‹C’era una volta una bambina che si chiamava Tindara. Un giorno morì perché i suoi genitori non la volevano più. Quando l’hanno messa nella tomba lei era viva, ma poiché non riusciva a liberarsi morì. ››

Questo racconto è della stessa bambina. In questo caso la bambina esprime nel modo più truce le sue reali sofferenze (un giorno morì perché i suoi genitori non la volevano più), ma anche gli incubi più terribili (Quando l’hanno messa nella tomba lei era viva, ma poiché non riusciva a liberarsi morì). Ci chiediamo: liberarsi da cosa? Probabilmente si riferisce al bisogno di scacciare da sé il peso terribile che opprime i bambini affetti da carenze affettive.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

Ambiente autoritario

 

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La persona autoritaria ama imporre agli altri le proprie opinioni, i propri pensieri, i propri bisogni, i propri desideri ma anche le proprie decisioni. Le persone autoritarie tendono a pensare per stereotipi culturali. Non ammettono discussioni, esigono dagli altri un’obbedienza assoluta e non tollerano deviazioni a quanto richiesto. Esaltano l’inflessibilità e poiché accettano soltanto cieca obbedienza, hanno difficoltà a porsi in ascolto delle necessità altrui. In definitiva le persone autoritarie non riescono a vedere gli altri come capaci di volontà, desideri e decisioni autonome.

La persona autoritaria considera il comandare un piacere e un bisogno. Un piacere, nell’accorgersi che gli altri fanno quanto loro si chiede; un bisogno, in quanto il comando dà loro maggior sicurezza interiore e l’illusione di essere superiori agli altri.

Questo tipo di ambiente, pertanto, è ricco di arroganza, aggressività, oppressione, scarso rispetto dei bisogni altrui. Soprattutto è evidente in questo ambiente uno scarso rispetto per i più deboli e quindi per i minori. L’ambiente autoritario si può trovare ovunque: in una casa, in una scuola, o in un altro tipo di istituzione. In questo ambiente, nell’educazione dei minori, sono frequentemente utilizzati i castighi, le repressioni, le punizioni. Pertanto i bambini subiscono, per quello che dovrebbe essere “il loro bene”, continui e ripetuti atti di violenza, il più spesso psicologica, ma a volte anche fisica.

L’ambiente autoritario tende a modellare personalità chiuse, inibite, dipendenti o, al contrario, persone con atteggiamenti reattivi, aggressivi e di rivolta sia nei confronti dell’adulto tiranno, sia in generale nei confronti del mondo esterno. Ciò in quanto gli atteggiamenti autoritari impediscono l’interiorizzazione delle norme.

Una madre autoritaria.

 

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Dario era figlio di una madre con le caratteristiche sopra descritte. Era lei a sapere sempre e in ogni occasione cosa andava bene per il figlio, per cui imponeva le proprie idee e convinzioni su tutto: su cosa e come studiare; con chi e come fare amicizia o socializzare; su cosa e quanto mangiare; quali materie studiare durante il pomeriggio prima, e quali studiare dopo; quali amici frequentare e così via. Pertanto trascinava e imponeva al figlio di attuare, in ogni occasione, quanto da lei disposto. Nello stesso tempo però, non potendo tutto controllare, non potendo tutto dirigere, lo lasciava libero di vedere la tv fino alle tre del mattino, senza poter attuare alcuna selezione sui programmi. Faceva ciò per non essere disturbata dalle paure del bambino che era costretto a cercare la compagnia di uno schermo Tv sempre acceso per riuscire ad addormentarsi. Gli permetteva, inoltre, di giocare con i video – giochi più violenti e paurosi, in quanto questi giochi, a suo dire, “lo distraevano”.

 

Una delle caratteristiche degli adulti autoritari è proprio questa: se per un verso sono estremamente direttivi in certi settori che loro giudicano essenziali, in altri sono estremamente liberali e tolleranti. È come se scegliessero una o alcune condizioni che ritengono fondamentali, trascurando tutto il resto. In definitiva, il loro stile educativo oltre ad essere notevolmente repressivo, non è né armonico né equilibrato. 

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

Ambiente disponibile e sicuro

 

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E’, infatti, difficile pensare a dei genitori che non abbiano la disponibilità al dono gratuito e generoso. Ma questa disponibilità non sempre è uguale.

Sono più facilmente disponibili al dono gratuito le persone più mature e psicologicamente serene. Quando si è affettivamente e psicologicamente piccoli o immaturi si tende più a chiedere che a dare. Allo stesso modo, quando si sta psicologicamente male, si ha fame di piaceri semplici e banali e si è più propensi a pretendere dagli altri che a offrire agli altri. Giacché, per qualche motivo, nella propria infanzia si è avuto poco o male.

La disponibilità al dono gratuito nasce anche da alcuni valori familiari trasmessi, mediante l’educazione, alle nuove generazioni. Si può avere un’educazione che mette in primo piano l’arrivismo sociale, il potere, l’efficienza, le capacità intellettive e culturali, l’aggressività nei confronti della vita per cui è fondamentale accumulare per sé onori, ricchezze e glorie, oppure, ed è ciò che si aspettano le nuove generazioni, è possibile attuare un’educazione che tenda a stimolare e far maturare nei futuri padri e nelle future madri, nei futuri cittadini, il piacere di aprirsi agli altri, la gioia dell’intesa, del rapporto e del dono.

 

 

 

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Ambiente sicuro e ambiente insicuro.

Una delle componenti principali indispensabili per il sereno sviluppo psicoaffettivo del bambino è il vissuto soggettivo della sicurezza.

Per capire cosa si prova quando egli perde in cuor suo il senso della sicurezza, basta ricordare lo sguardo angosciato che hanno i bambini in certe occasioni. L'immagine classica è quella di una esperienza che molti di noi, da genitori o da figli, hanno fatto almeno una volta nella loro vita. Papà e mamma vanno insieme al loro bambino ad una festa popolare. Vi sono le giostre che girano lentamente mentre la banda suona il solito allegro motivetto. Vi sono i palloncini colorati che guardano dall’alto la folla. Non manca l’odore dolce del torrone di mandorle che si diffonde e si mischia con quello più robusto e acre dei ceci tostati posti insieme alla sabbia fine nel gran padellone sopra il fuoco. Il bambino guarda estasiato i giocolieri che fanno volteggiare le palle colorate e si ferma, mentre i genitori, per un attimo distratti, continuano a camminare. Poi si volta pensando di trovarli accanto a lui ma non li vede più e si ritrova solo. Li cerca tra la folla, corre di qua e di là, mentre nel contempo l'ansia comincia a crescere nel suo cuoricino che batte sempre più forte e gli occhi si fanno sempre più tesi ed arrossati. Ad un tratto il bambino, scoraggiato, si ferma, lancia uno sguardo smarrito attorno a lui e, certo di averli perduti per sempre, scoppia in un pianto angosciato.

I motivi che danno al bambino un senso di sicurezza o di insicurezza sono tanti. Ne elenchiamo solo qualcuno.

Poiché il bambino, ma anche i piccoli degli altri animali, sono esseri abitudinari, essi avvertono tranquillità e fiducia solo quando attorno a loro gli avvenimenti si svolgono sempre nel medesimo modo. I cambiamenti, specie se repentini e non adeguatamente preparati, li mettono in ansia e li caricano di paure che, agli occhi degli adulti, appaiono strane ed eccessive, mentre in realtà sono solo la logica conseguenza di comportamenti ed atteggiamenti non adeguati.

Giacché fonte primaria della sicurezza per il bambino sono la propria madre ed il proprio padre, ma anche gli altri familiari, elemento importante di questa sicurezza è la costante presenza delle due figure genitoriali nella sua casa e nella sua vita. Specialmente quando il bambino è piccolo, una madre o un padre poco o saltuariamente presenti comportano per il suo animo insicurezza. Così come avverte insicurezza quando il suo ambiente familiare viene sconvolto da nuove presenze che si inseriscono nell’ambito familiare: nuove fidanzate e nuovi fidanzati di papà e mamma, nuovi fratellastri e sorellastre, nuovi nonni.

Contribuiscono alla sicurezza del bambino la coerenza e la linearità del comportamento degli adulti. Il bambino ha bisogno di sapere cosa può fare e cosa non può fare. Cosa è concesso e cosa è proibito. Cosa è giusto e cosa è sbagliato. Quando i genitori lanciano segnali contrastanti legati molto spesso soltanto allo stato di benessere o alle inquietudini presenti nel loro animo in quel momento, egli non sa come rapportarsi correttamente con loro e nell’ambiente di vita.

Sono motivi di sicurezza anche la gioia e la serenità che avverte nell'animo e negli occhi dei familiari attorno a lui nell'affrontare i problemi, gli ostacoli e le vicissitudini quotidiane.

Si sente sicuro, inoltre, quando i genitori usano tra di loro e con lui parole ferme, decise, ma con un tono sereno, affettuoso, ricco di ascolto e di dialogo.

Sensazione di allarme e quindi di insicurezza viene vissuta dal bambino quando, prima dei tre anni, è allontanato da casa, anche per poche ore e lasciato in ambienti a lui non consueti in compagnia di persone sconosciute.

Anche le gravi difficoltà economiche possono essere fonte di insicurezza sia perché il bambino avverte nell’ambiente attorno a lui l’ansia e la preoccupazione per questa difficile situazione, sia perché nel confronto con gli altri si sente sminuito e “diverso”.

 

 

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Notevole insicurezza prova a causa di disaccordi o disarmonia familiare.[1] Quando sono presenti dei contrasti persistenti tra i genitori egli avverte paura e il rischio della rottura del legame familiare e di perdita di uno o di entrambi i genitori.

Poiché il bambino ha bisogno di sentirsi accettato ed amato dai suoi familiari, fonte di sicurezza è il potere dire in ogni momento: ‹‹Io sono qualcosa di importante e buono per papà e mamma. Loro sono contenti e orgogliosi di me. Di quello che io sono, di quello che io faccio, di come mi comporto››. Il bambino, invece, avverte perdita della sicurezza quando le sgridate, i richiami ed i rimbrotti sono frequenti ed eccessivi. In questi casi è facile che sopraggiunga la paura di perdere la stima di sé, così come pensa di avere perduto la stima e l’amore dei suoi genitori o degli adulti in genere. Ciò potrebbe comportare la paura di essere abbandonati (angoscia abbandonica).  

Il senso della perdita della sicurezza può essere acuto o cronico. In entrambi i casi il bambino prova, insieme alla paura, dolore e sofferenza. Le conseguenze sono più gravi quando la perdita della sicurezza è cronica, piuttosto che quando l’evento traumatico si risolve in breve tempo.

 

 

 

[1] M. DE NEGRI e altri, Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, 1970, p. 116-117.

 

 

 

 

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