L'educazione

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Le illusioni nel campo educativo

 

Le illusioni alle quali, nel nostro periodo storico ci abbandoniamo, in quanto tendono a proteggerci dall’ansia e dal senso di colpa, sono numerosissime e tutte molto tragiche. Ne elenchiamo soltanto qualcuna delle più grossolane e diffuse.

•    Ci illudiamo che ad un essere dai bisogni estremamente complessi, ma che nasce assolutamente immaturo, come l’uomo, per il suo sviluppo basti la presenza prezzolata di educatrici e baby-sitter ed i ritagli di tempo dei suoi genitori.

•    Ci illudiamo che il giovane o anche l’adulto non abbia più bisogno di indicazioni e regole di comportamento o che sia impermeabile alle sollecitazioni positive o negative che provengono dagli altri adulti o dai mass -media.

•    Ci illudiamo di poter moltiplicare le nostre energie tra casa, figli, lavoro, attività sociali, attività ludiche, in modo tale che nessuno ne soffra.

•    Ci illudiamo che le nostre case e le nostre città sempre più inquinate e non fisiologiche per la crescita dei minori e per una vita sana degli adulti, riescano a soddisfare con l’opulenza delle vetrine gli uni e gli altri.

•    Ci illudiamo che sia possibile un’attività educativa effettuata da un solo genitore.

•    Ci illudiamo che il denaro, i beni materiali e le ricchezze di una società opulenta possano saziare il cuore di uomini, donne e bambini.

•    Ci illudiamo che l’istinto possa guidare ogni uomo o donna che si sposi o voglia formare una famiglia, e che pertanto non sia necessaria una lunga e impegnativa preparazione da parte dei suoi genitori e degli altri educatori.

•    Ci illudiamo che migliaia di situazioni scabrose, violente e diseducative non lascino traccia nella mente e nel cuore dei minori e degli adulti, solo perché virtuali.

•    Ci illudiamo che i genitori possano controllare e selezionare tutti o almeno buona parte dei messaggi che entrano nelle case.

•    Ci illudiamo che i disturbi psichici di cui soffrono sempre più numerosi adulti e bambini abbiano solo cause organiche o genetiche per cui usciamo assolti tutti: genitori, educatori, politici, giornalisti, registi ecc..

•    Ci illudiamo che i problemi che sconvolgono e uccidono i nostri giovani: droga, morti del sabato sera, AIDS, gravidanze indesiderate ecc., possano essere risolti solo con l’informazione.

•    Ci illudiamo di essere una società che rispetta il bambino solo perché lo ha scritto nella Carta dei suoi Diritti.

Accanto alle illusioni nate dalla buona fede, vi sono poi le bugie, le tante bugie con le quali vengono coperte finalità ed intenti poco nobili se non proprio truffaldini. Queste bugie vengono propinate con dovizia di mezzi di comunicazione pertanto, con il tempo, assumono caratteri di realtà e verità incontestabili anche  nei confronti di persone colte ed impegnate.

 

Tratto dal libro di E. Tribulato "L'educazione negata"   Edizioni E.D.A.S.

I genitori

 

GENITORE GENETICO – BIOLOGICO – AFFETTIVO - EDUCATIVO

C'è un genitore genetico; che è quello che mette i propri geni nella formazione del bambino: papà e mamma al momento della fecondazione danno ai figli il loro patrimonio genetico con tutte le caratteristiche somatiche e psicologiche.

C'è un genitore biologico; che è quello che mette al mondo un figlio.

C'è un genitore affettivo; che è quello che ama o ha una relazione affettivamente valida con il minore.

C'è un genitore educativo; che è quello che riesce a sviluppare tutte le potenzialità di un bambino.

Sarebbe importante che queste quattro componenti: genetica, biologica, affettiva e educativa si ritrovassero nelle stesse persone, perché di una cosa siamo certi, che le dinamiche affettive cambiano molto e sono più complesse e difficili da affrontare sia nei genitori sia nei figli quando questi elementi non si ritrovano insieme, negli stessi genitori.

Tramandare nei figli i propri geni, significa in qualche modo prolungare la propria vita e quindi se stesso, nel futuro. Significa che in quel bambino c'è qualcosa di tuo. Curare seguire, mettere al mondo un bambino che ha un altro patrimonio genetico, fa nascere difficoltà sia nell’amore, che nel dialogo e nell’accettazione reciproca. E’ più difficile aprirsi, comunicare, amare educare qualcuno che non senti pienamente tuo “sangue del tuo sangue.” Anche per un figlio il senso di appartenenza è fondamentale. Vi è in lui difficoltà ad accettare pienamente e amare uno o entrambi i genitori con cui non vi è un legame completo, mentre nel frattempo vi è un aumento della conflittualità interiore. La stessa difficoltà, ma in misura minore, si ha anche nei confronti dei parenti: nonni, zii, cugini. Anche la relazione con questi diventa più complessa e difficile quando non vi sono normali legami familiari.

Queste problematiche si trovavano fino a qualche decennio fa solo nei figli cosiddetti “naturali” e nelle situazioni di adozione. Oggi sono diventate molto più frequenti a causa delle fecondazioni eterologhe, delle “intime amicizie”, delle “relazioni affettuose”, dei “compagni di vita”, delle convivenze e matrimoni  con persone divorziate o separate con figli. Anche in questo caso si dice che i minori devono “adattarsi” a convivere con più genitori, con vari fratellastri e con nonni e zii di varia provenienza. Non ci accorgiamo o facciamo di tutto per rimuovere e negare il fatto che con molta superficialità e tanta incoscienza stiamo collocando sulle spalle dei nostri figli dei pesi psicologici che alla lunga diventeranno insopportabili.

Molto spesso leggiamo che solo da qualche decennio i minori sono protetti, mentre prima erano in balia  di genitori o altri adulti che potevano picchiarli, sfruttarli, violentarli, senza problema. Ciò è parzialmente vero solo sul piano legislativo. Ma non è affatto detto che ciò che è scritto nelle leggi di uno stato si traduca nella realtà, anzi, se non sono presenti delle norme morali ed etiche nell’animo degli adulti e se non vi è una maturità personale e familiare che le sostenga, a nulla valgono le leggi scritte, a nulla valgono i tribunali.

E’ molto più facile che sia ben applicata una legge scritta nella mente e nel cuore delle persone, che non una legge scritta nei codici.

Né sono la prova le mille e mille violenze fatte sui minori di cui stiamo parlando, le quali non solo non diminuiscono con l’aumentare delle leggi di protezione, ma aumentano a dismisura.

 

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

 

Lo stile educativo materno e paterno

 

L’educazione materna ha aspetti molto diversi da quella paterna. Basta guardare il modo in cui i genitori prendono il proprio bambino. La madre lo tiene tra le braccia per cullarlo, accoglierlo, abbracciarlo e proteggerlo da qualunque rischio o problema. Il padre tende invece a prendere il bambino per i fianchi e lo porta in alto, come ad offrirlo al mondo, come per stimolarlo ad affrontare la vita con forza, con sicurezza e coraggio. Basta guardare il modo in cui i genitori fanno giocare i loro bambini nelle villette di quartiere. Le madri li rincorrono e li apostrofano continuamente per evitare che corrano troppo, che si facciano male, che sudino o che prendano freddo, mentre contemporaneamente fanno loro mille raccomandazione per evitare rischi per se e per gli altri. I papà invece li lasciano liberi, anzi li spingono a correre, salire, saltare, giocare, osare sempre di più, e sempre meglio, sia nei giochi sia nelle attività “ serie.”

Così come si è spesso accusato ingiustamente l’uomo d’autoritarismo, come se questi fosse l’unico depositario d’ogni dispotismo e d’ogni atteggiamento contrario alla libertà e all’accoglienza, allo stesso modo si accusa sistematicamente la donna e quindi la madre di atteggiamenti iperprotettivi e permissivi nei confronti dei figli, come se i problemi legati al permissivismo presenti nella nostra società fossero appannaggio soltanto delle donne. Ciò non è mai stato vero, poiché troviamo atteggiamenti autoritari o permissivi in entrambi i sessi ma in verità, così come spesso succede in molte idee stereotipate, c’è un fondo di verità.http://www.cslogos.it/uploads/images/BAMBINI/Diapositiva10.JPG

 

 

Vi sono, infatti, sicuramente delle differenze tra uomo e donna, tra padre e madre riguardanti il modo in cui sono fatte delle richieste d’ubbidienza ai figli e il modo con la quale sono affrontate le disubbidienze e i castighi. L’uomo tende per sua natura a fare delle richieste più precise, chiare, ferme, definitive e lineari. Queste richieste sono di solito meno legate alle emozioni, all’ansia e alle paure del momento rispetto a quelle effettuate dalla donna. Inoltre questa, tende a fare delle richieste più generiche, che quindi si prestano all’ambiguità e alle interpretazioni. Ad esempio, una delle richieste più frequenti della madre al figlio che esce da casa è espressa con una frase del tipo: “Cerca di tornare presto .”  Questa richiesta può essere interpretata in maniera non vincolante e quindi come un invito cui si può o no soprassedere. D’altra parte nell’espressione “tornare presto”, non c’è indicata un’ora ben precisa perciò l’orario di rientro può essere interpretato in maniera molto elastica a secondo della sensibilità, ma anche dell’esigenza momentanea del ragazzo. L’uomo, il padre, tende invece a dare delle direttive cui conformarsi in modo molto più preciso: “Mi raccomando, devi essere a casa entro le otto.” C’è una richiesta e un limite chiaro, preciso, e inequivocabile.

Anche per quanto riguarda l’eventuale sanzione vi sono alcune differenze. La madre, tende a minacciare molto spesso delle punizioni che non applica o che applica in maniera incostante secondo il suo stato d’animo in quella circostanza, il padre è in genere più coerente in quello che dice.

Vi è una certa differenza anche nel tipo di punizioni, la madre tende a punire il figlio stimolando il suo senso di colpa, manifestando la sua sofferenza, il suo dispiacere, mettendolo davanti alle ansie e alle paure che le ha provocato con il suo comportamento. “ Stanotte sei tornato tardi, mi hai fatto spaventare, mi hai fatto stare in ansia, ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa per strada, non sono riuscita a dormire”. Oppure: " Ero in ansia, mi batteva il cuore, non sono andata a letto per aspettarti.” E’ con questo tipo di espressioni che la madre rimprovera, punisce, redarguisce il figlio cercando di far breccia nel suo animo e nel suo cuore in modo tale da ottenere un comportamento migliore.

Il padre tende a chiarire immediatamente i castighi che il figlio dovrà subire se si sottrae alla regola.

Sono in genere castighi e punizioni ben chiare, definite, certe, ineluttabili, legate a precise trasgressioni, bilanciate rispetto alla colpa, senza o con scarsi coinvolgimenti emotivi. “Se torni più tardi rispetto all’orario che ti ho dato, domani non esci.”

Il ragazzo a questo punto, potrà, dentro di sé imprecare per le dure leggi della vita e dei genitori e della famiglia che non gli permettono di fare ciò che vuole, ma ha la possibilità di conformarsi alle regole in maniera chiara e ineluttabile, per cui non avrà dubbi, perplessità o sensi di colpa. In definitiva le punizioni, i contrasti e le discussioni diventano rari e, affettivamente poco coinvolgenti.

La donna, mettendo come causa determinante dei veti e dei desideri le sue ansie e le sue paure, non dà vere regole e norme, ma stimoli a che il comportamento del figlio sia il più vicino al suo sentire che può essere diverso da un giorno all’altro da un momento all’altro. Ciò lascia molto, troppo spazio ai comportamenti e atteggiamenti del figlio per cui le indicazioni e le richieste rischiano spesso di essere inefficaci. Le paure, i veti, le ansie si possono accettare o no in base alla maggiore o minore sensibilità del figlio in quella circostanza.

L’uomo tende a sottolineare invece i motivi più reali, concreti e veri che lo spingono a quella determinata linea educativa: “I bravi ragazzi tornano presto a casa”, dice il padre “non fanno i fannulloni in giro fino a tardi”. Oppure: “ Restare fino a tardi fuori casa aumenta il rischio di fare cattivi incontri.” “ Mi sembra giusto che la sera si vada a letto ad una certa ora per evitare di dormire durante il giorno.” O ancora: “Vi sono degli orari per stare svegli, per divertirsi, come vi sono degli orari per studiare, dormire, per stare in casa, per dialogare con i genitori o con gli altri familiari.”

Molte donne inoltre, vivono i sentimenti dei figli come fossero i loro. Se i figli gioiscono anche loro sono felici, se i figli soffrono anche loro sono lacerate dal dolore. Questo coinvolgimento emotivo nasce dall’intimo rapporto madre - figlio, indispensabile per ascoltare e capire i bisogni più profondi, ma, nel campo educativo, se non è compensato dall’atteggiamento paterno, più forte e distaccato, quest’empatia diventa un grave limite, giacché impedisce un’educazione autorevole, lineare e coerente.

                     

                   ATTEGGIAMENTI EDUCATIVI  MATERNI

La madre:

culla;

accoglie;

protegge;

abbraccia;

è più permissiva;

fa delle richieste più generiche, legate alle emozioni e all’ansia del

momento;

fa molte minacce che spesso non attua;

utilizza punizioni di tipo affettivo;

le richieste vengono giustificate  come suoi bisogni;

vive i sentimenti dei figli come fossero i propri

                 ATTEGGIAMENTI EDUCATIVI PATERNI

Il padre:

Stimola ad affrontare la vita con forza, sicurezza e coraggio.

Fa delle richieste più precise, chiare ferme, definitive e lineari.

Le punizioni sono previste e graduali.

Tende a dare delle punizioni senza utilizzare l’arma affettiva.

Le richieste vengono giustificate da motivi educativi, sociali e morali.

Riesce ad essere più distaccato rispetto al sentire dei figli.

Come ben si vede gli stimoli, i valori e gli atteggiamenti educativi dell’uomo e della donna, sono diversi ma ancora una volta complementari. Gli uni e gli altri sono indispensabili per vivere e per affrontare bene ed in sicurezza la vita ed il mondo. Solo se vi è armonia tra la prospettiva maschile e quella femminile il bambino, e poi il giovane, può trovare un sano e costruttivo equilibrio.

Ciò attualmente è molto difficile da ottenere per vari motivi.

1.    Il ventaglio di atteggiamenti educativi presente nell’ambito sociale che si riflette inevitabilmente sulle singole famiglie è molto ampio, molto più ampio che in passato; per tale motivo i genitori, confusi da una babele di linee educative, più o meno alla moda, hanno difficoltà a sceglierne una che sia confacente alle loro idee ed al loro modo di vivere e pensare e soprattutto hanno difficoltà a seguirla con coerenza.

2.    Il tipo di comportamenti considerati leciti, produttivi, utili, morali, si è ampliato enormemente rispetto a quelli considerati dannosi, inutili, immorali. Per tale motivo tutto o quasi tutto è diventato lecito, utile, o comunque comprensibile e accettabile. La società si è sempre di più conformata su un tipo d’educazione sempre più elastica e permissiva, che tende a bollare d’autoritarismo e maschilismo ogni tentativo di riequilibrare in senso autorevole i modelli educativi. Non si riesce a trovare, pertanto, nell’ambiente sociale, ma spesso anche in quello familiare, un atteggiamento educativo uniforme che giustifichi e sostenga limiti e norme.

3.    I genitori, a causa del ruolo unico cui sono stati educati e al quale aspirano, non riescono ad attuare quella linea educativa mediana che nasceva dal bilanciamento della prospettiva maschile con quella femminile.

4.    Manca spesso l’accettazione ed il sostegno del ruolo altrui a causa dell’atteggiamento concorrenziale presente spesso tra i coniugi.  La madre, può essere tenera e dolce con i figli, se accetta, sostiene e valorizza la forza e la fermezza del suo uomo. Il padre può essere autorevole se accetta che le norme e direttive siano, in parte adattate dalla maggiore flessibilità della madre.

Se queste realtà non vengono modificate adeguatamente  vi saranno continui contrasti tra i coniugi che non riusciranno ad avere una coerente linea comune oppure vi sarà il disimpegno educativo da parte di uno o di entrambi i coniugi.

 

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

 

Necessità di due genitori

 

Quali potrebbero essere i motivi per i quali ogni bambino che nasce ha bisogno di due genitori e non di uno solo?

In fondo molti esseri viventi, anche animali superiori, come i gatti, i cani, gli elefanti, gli orsi vivono e sono educati da un solo genitore, mentre altri utilizzano l’apporto di papà e mamma, come i gorilla, i lupi, i leoni, i castori, i pinguini ed i cigni.

I motivi vanno ricercati nella particolare complessità dell’essere umano.

Nel cucciolo d’uomo, le sue capacità affettive, le enormi potenzialità intellettive e relazionali, le grandi capacità comunicative, oltre che la sua sete di cultura, non possono essere soddisfatte solo da un genitore, ad esempio solo da una madre.

 Una donna, una madre, ha un patrimonio d’umanità immenso dentro di sé ed è capace di dare apporti preziosi per lo sviluppo del figlio. Le sue capacità comunicative, l’affettività, l’intensa sensibilità, le tenerezze che riesce a dare, sono fondamentali nell’educazione del minore.

Ma anche un papà apporta e dà elementi insostituibili di carattere, d’intelligenza, d’affettività. La forza, la linearità, il coraggio, la sicurezza, la coerenza, la fermezza, caratteristiche di un buon padre, sono altrettanto importanti degli apporti materni in tutte le età.

APPORTI PATERNI                      

Forza

Linearità

Coraggio

Sicurezza

Coerenza

Fermezza

APPORTI MATERNI

                   

Capacità comunicative

Affettività

Sensibilità

Tenerezza

Disponibilità

Capacità di cure

Tanto importanti gli apporti dell’uno e dell’altro che ogni bambino non può esserne privato senza averne un danno più o meno grave, in base all’età in cui è costretto a farne a meno ed in rapporto alla possibilità da parte di altre figure: zii, nonni, amici, in grado di sostituire il genitore mancante.

Purtroppo sono numerose le occasioni in cui il genitore separato, vedovo, o una ragazza madre, provano a sostituirsi al genitore assente. Una mamma cerca di sostituire il papà, un papà cerca di fare anche da mamma.

I risultati di questa vicarianza, non sono così ottimali come quando sono presenti le due figure. Kaplan riferisce che: ”Più del 50% degli eroinomani che vivono in città, appartiene a famiglie di divorziati o nelle quali è stato presente un solo genitore.” 

 I motivi sono diversi.

•    Ognuno di noi può dare ciò che è e ciò che ha. Difficilmente può inventarsi realtà, capacità, qualità, sentimenti, emozioni, diverse da quelle che possiede. Il patrimonio genetico, ormonale che ogni uomo e ogni donna possiede dalla fecondazione, le esperienze di vita, i vissuti relazionali, condizionano ogni attimo della nostra esistenza e non possono essere sostituiti o aggiunti ad altri, solo attraverso l’uso della nostra volontà, se non in minima parte.

•    Due realtà permettono al bambino di proiettare sentimenti interiori diversi. Quando la mamma rimprovera un bambino questa, in quel momento, può diventare ai suoi occhi l’elemento “cattivo“, da cui momentaneamente allontanarsi, per avvicinarsi maggiormente e utilizzare l’altra realtà, quella “buona”, rappresentata dal papà e viceversa. Questa possibilità gli permette di trovare sempre un elemento consolatore e quindi di non rimanere in balia dell’angoscia. Quando questo meccanismo non è possibile perché manca uno dei due genitori, il bambino sarà costretto a trovare all’esterno della famiglia l’elemento “buono” con conseguente senso di colpa, in quanto può essere vissuto come un tradimento del genitore. E’ come se dicesse a se stesso: “ Io mi allontano da mia madre, per cercare una persona che mi capisca; e questo non è giusto.”  L’altra possibilità è di chiudersi in se stesso cercando nell’intimo del proprio cuore l’elemento consolatore buono. Questa soluzione, però, è ancora più drammatica perché può portare a difficoltà ad aprirsi agli altri e al mondo.

•    Molto spesso, nella vita d’ogni persona, vi sono dei momenti di crisi, di malessere fisico e psicologico. Tali malesseri sono a volte ciclici come nella donna, il cui umore e quindi la sua disponibilità all’altro, è spesso condizionato dalla situazione ormonale. Altre volte questi malesseri sono causati dalle avverse o difficili circostanze della vita: il tradimento di un amico, un capoufficio particolarmente severo, una malattia. In queste situazioni l’avere “di scorta“, un genitore sereno, calmo, disponibile, affettuoso, è fondamentale per la salute psichica del minore.

•    Due genitori, permettono al bambino di vivere e risolvere in maniera armoniosa il legame edipico, vale a dire l’amore che per Freud ogni bambino o bambina all’età di tre - sei anni vive e prova nei confronti del genitore del sesso opposto. Se i genitori sono due, egli potrà momentaneamente e tranquillamente “innamorarsi” del genitore dell’altro sesso e successivamente, nell’età adolescenziale, potrà abbandonare quest’amore impossibile notando che l’oggetto del suo amore ama, riamato, l’altro genitore che gli è accanto. Questa realtà, che non può negare, lo spingerà e costringerà a cercare il suo amore all’esterno della famiglia. Se ciò non avviene l’amore edipico avrà difficoltà ad essere superato.  Il bambino ad esempio, non notando accanto alla madre un padre, potrà pensare che sia giusto e naturale questo suo sentimento che gli permette di sostituirsi al padre mancante, dando amore alla madre sola. Quest’amore edipico non superato lo potrà legare per molto, molto tempo al genitore dell’altro sesso impedendo lo sviluppo di un amore esterno alla famiglia.

•    Un genitore solo sarà più facilmente spinto ad un attaccamento morboso nei confronti dei figli, impedendo loro, anche se in modo indiretto, i normali investimenti affettivi al di fuori della famiglia.

•    Nel campo educativo il genitore che è costretto, o ha scelto di vivere questo ruolo da solo, si trova molto spesso in situazioni difficilmente superabili. A volte ha paura di lasciare spazio ad altre figure educative, in quanto può diventare geloso del proprio primato e del riconoscimento affettivo. Tende ad oscillare da un comportamento troppo rigido, ad uno troppo permissivo, senza riuscire a trovare il giusto equilibrio. Lo attanaglia il dubbio, l'incertezza di non fare ciò che più serve nei confronti del figlio. Non sa, non capisce quale sia il comportamento educativo più corretto. L’impossibilità di confrontarsi e di dialogare con un altro, la mancanza d’aiuto lo rende ansioso, timoroso, insicuro. Gli manca inoltre la possibilità di mediazione nei confronti dei figli che solo un altro genitore potrebbe dare.

I casi in cui è presente un solo genitore sono, purtroppo, numerosi. Mentre fino a qualche decennio fa la causa più consueta che portava a queste situazioni difficili era la morte di uno dei due coniugi e quindi la vedovanza, nell’attuale società le cause più frequenti sono altre: il lavoro, la separazione, il divorzio, la solitudine della ragazza madre.

 

 

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

 

La gestione dell'adolescenza

 

La gestione dell’adolescenza è difficile. 
E’ difficile perché il genitore avverte nella ricerca dell’indipendenza del figlio la perdita o la messa in discussione della sua autorità. In ogni cambiamento c’è una perdita ma c’è anche un’acquisizione. Quindi se i genitori perdono qualcosa, come la sua stima incondizionata, la fiducia illimitata, acquistano anche qualcosa: un rapporto più paritario, più maturo e responsabile. 
Nei genitori vi è, inoltre, la paura per le esperienze che il figlio farà. Essi temono, e ne hanno tutti i motivi, le esperienze negative o traumatizzanti e pertanto nutrono il desiderio più o meno conscio che tutto torni come prima. 
C’è spesso un’incapacità nel distinguere il normale dal patologico: a volte i genitori accentuano la patologia, altre volte sminuiscono di molto i problemi. 
Nel primo caso corrono il rischio di vedere il cambiamento come anormalità: “Mio figlio prima era buono, affettuoso, ubbidiente, studioso, adesso sembra impazzito, tutto ciò che fa è sbagliato, abnorme.” Sicuramente l’adolescente fa delle cose eccessive, strane, diverse da quelle che faceva prima, ma tra l’anormalità vera e l’eccesso, la ribellione, la tensione fisiologica dell’adolescente, vi è una bella differenza. 
Nel secondo caso i genitori non riescono ad accettare e ammettere la patologia presente. 


Per evitare autocritiche, molti genitori non vedono o si rifiutano di vedere gli elementi patologici presenti nei loro figli, neanche quando degli specialisti li comunicano chiaramente.

Se fuma o beve eccessivamente sono pronti a difenderlo: “ Una sigaretta non ha fatto mai male a nessuno; un poco d’alcool fa bene al cervello ed al cuore.” 

Se usa droghe leggere commentano: “Adesso tutti i ragazzi fumano queste porcherie .”

Se spaccia spinelli o droghe pesanti: “ E’ perché ha bisogno di soldi e suo padre, tirchio, non gliene dà a sufficienza .”

Se si droga con l’eroina: “ E’ perché, poverino, non riesce a farne a meno.” 

Non vedere la patologia evita le autocritiche, e protegge dalle risonanze emotive, ma non fa attivare nel cercare le cause del problema e nel trovare l’aiuto più efficace. Soprattutto vi è difficoltà a riconoscere le cause del disagio.
Spesso sono usati dei meccanismi di negazione dei propri comportamenti errati.

Nel caso di separati, quasi sempre la colpa è dell’altro coniuge, che non segue il figlio, che si disinteressa della sua educazione o che è troppo debole o permissivo.

Nelle coppie non separate la colpa è quasi sempre degli altri: le cattive compagnie, la televisione, gli altri adulti, la società.

Che gli altri, gli adulti, i giovani, la società abbiano oggi delle responsabilità non c’è dubbio, ma questo non attenua la responsabilità individuale della coppia di genitori.
Affinché l’adolescenza si svolga in maniera serena, duri per il tempo indispensabile alla nascita di un nuovo uomo o di una nuova donna, sono necessarie diverse condizioni.

 

Che i minori siano portatori di una grande ricchezza interiore.


Una ricchezza fatta di benessere psicologico, serenità, equilibrio, adeguata maturità sessuale. Non siano portatori, quindi, di problematiche inconsce non risolte dovute a gravi e/ o frequenti errori educativi o a carenze affettive.
Quando ciò non avviene, notiamo, in questo periodo, un accentuarsi di tutti i segnali della sofferenza psicologica. Si evidenziano in modo evidente elementi patologici di tipo comportamentale, nevrotico o peggio, psicotico. 
Le sofferenze psicologiche infantili si manifestano nell’adolescenza sotto forma di aggressività, disforia, fughe, tentativi di suicidio, anoressia, bulimia, abuso di alcool, uso di droghe oppure con paure, tic, ipocondria, somatizzazioni e, nei casi più gravi, sotto forma di depressione o schizofrenia. Ricordiamo, quindi, che un adolescente sereno nasce da un bambino sereno.

 

Che i genitori siano capaci di molta pazienza.

La santa cui tutti i genitori dovrebbero rivolgersi nelle loro preghiere del mattino e della sera è “Santa Pazienza!” Purtroppo non la trovate nel calendario, ma vi assicuro che è lei, e soltanto lei, che ci può soccorrere nelle mille disavventure domestiche che gli psicologi chiamano pomposamente “rapporto genitori - figli.” 
Chi se non lei ci può sostenere quando i bimbi piccolissimi strillano a più non posso e noi dopo averli cullati, allattati, cambiati, fatto fare il ruttino di prammatica, non sappiamo più che cosa fare per farli stare buoni e per permettere a noi di dormire o almeno di riposare. Chi, se non lei, può fermare le nostre mani che cercano, per il giusto castigo il loro culetto quando, verso i due - tre anni perdono ogni rassomiglianza con mamma e papà per acquistare tutte le caratteristiche di un antico condottiero: Attila. Solo lei, solo questa umile santa che il Santo Padre dovrebbe studiare di portare sugli altari, durante il periglioso cammino dell’adolescenza, è capace di aiutare i genitori nella gestione del figlio brufoloso e della giovane contestatrice.
Solo lei potrà assistere i genitori mentre questi aspettano, trepidanti, che la bufera ormonale finisca e con essa l’altalena, tra momenti di allegria estrema e di estrema malinconia, tra momenti di affettuosità alternati ad altri di scontrosità, tra mutismo e desiderio di dialogo.

Che si riesca ad attuare un confronto sereno.

 

Vi sono vari modi per reagire alle contestazioni, alle critiche, al fiume d’idee, a volte poco coerenti, dell’adolescente: 
•    Andare “ l’un contro l’altro armato.“ Genitori contro i figli e viceversa, con acredine e distruttività reciproca in modo tale da costringere l’altro a cambiare le proprie idee, le proprie opinioni, i propri comportamenti, Cioè iniziare una guerra all’ultimo sangue, dall’esito incerto, ma dalle sicure, distruttive conseguenze, nella relazione con il figlio.
•    Oppure accettare passivamente, e quindi uniformarsi acriticamente ai suoi pensieri, alle sue opinioni, ai suoi comportamenti. Accettarli, anche se li sentiamo errati, anche se avvertiamo chiaramente che da questi può derivare un danno per lui o per la famiglia. Accettarli anche se diversi, troppo diversi e lontani dai nostri, e dalla realtà; ed in tal modo farsi amico e alleato il figlio, trascurando le proprie idee ed il proprio compito.
•    Ci sembra invece più corretta una terza via, che è quella del confronto. Confronto per far capire idee e valori universali pur rispettando le sue idee ed i suoi valori. Confronto, senza colpi bassi, in maniera affettuosa, civile, amorevole, ma in modo fermo e deciso per tenere fede ai propri principi, alle proprie idee, al proprio ruolo. Confronto pur cercando di capire le idee dell’altro, pur ascoltando i bisogni e le idee dell’altro. Solo in questo modo è possibile sviluppare e educare nel ragazzo, le sue capacità di riflessione e critica, in modo tale che le informazioni che gli provengono dai mass-media, dagli altri giovani, dal mondo, non siano assorbite passivamente e accettate acriticamente ma vengano a poco a poco vagliate, analizzate e, quando è necessario, autonomamente respinte.
•    
    Come dice P. Lombardo occorre distinguere i sentimenti dalle azioni. 
“Bisogna abituarsi a rispettare i sentimenti e i giusti desideri di autonomia di un giovane, ma rimanere fermi ed intransigenti su alcuni dannosi comportamenti. Quando un’azione è inaccettabile, il ragazzo va ripreso e messo davanti alle sue responsabilità.”   
C’è il rischio che il genitore, ricordando la sua sofferenza durante l’adolescenza, che comporta spesso qualche pena a causa delle problematiche di cui abbiamo parlato, leghi questa sofferenza all’atteggiamento dei propri genitori e quindi tenda ad avere nei confronti dei figli un comportamento totalmente diverso.

Come dire: “Io nell’adolescenza ho sofferto, i miei figli non voglio che soffrano.” Come è possibile non farli soffrire? Accontentandoli di tutto, per esempio. Prevenendo addirittura i loro desideri. Accettando tutte le loro richieste. Sottovalutando i rischi. Dando loro tutto ciò che normalmente dovrebbe essere negato. 

 

 

Che il dialogo genitori-figli, ma anche adulti - giovani sia continuo ed efficace.


Non è certamente facile il dialogo con i figli adolescenti e ciò per vari motivi: 
•    spesso il linguaggio è ridotto a pochi monosillabi: “Sì”, “No”, “Forse” “Non so.” In altri casi il dialogo è soprattutto fatto di richieste sempre più numerose e pressanti cui è difficile dire sempre di sì; d’altra parte i “no” determinano, bronci e chiusure che portano il figlio ancora di più a chiudersi a riccio;
•    l’adolescente tende a vedere come unici soggetti di dialogo i propri coetanei discriminando in modo massiccio tutti i “matusa”;
•    la contestazione delle idee degli adulti è quasi un obbligo morale cui ogni adolescente sente di non dovere e non poter rinunciare;
•    le prospettive da cui si discute sono diverse. Sono diversi i ruoli, le responsabilità, i bisogni, le esperienze, le realtà interiori vissute.

I figli vivono e scoprono il presente, i genitori portano oltre all’esperienza del presente anche quella del passato e devono essere attenti al futuro.

I figli cercano di soddisfare i loro bisogni di affetto, sessualità, piacere, comunione e avventura con i coetanei, in un cocktail confuso,

.

I genitori hanno il compito di mettere ordine in questi loro bisogni, in modo tale che il soddisfarli sia di utilità e non di danno, porti ad una crescita e non ad una regressione, porti alla vita e non alla morte, porti alla gioia e non a dolore, porti al futuro e non li imprigioni nel presente; 


•    gli adolescenti vivono la realtà, immersi in una doccia ormonale che esalta e trasfigura la realtà. I genitori hanno il dovere di correggerne la rotta indirizzandone il corso verso acque più placide, sicure e tranquille. 

Pertanto deve essere più intenso ma diverso il dialogo, tenendo presente la realtà psicologica in cui gli adolescenti vivono. Diverso perché più attento, pacato e delicato che nel passato. Diverso giacché dovrebbe tendere a capire e farsi capire pur mantenendo la chiarezza dei ruoli. Quando si afferma: “I genitori devono essere come degli amici per i figli”, bisognerebbe aggiungere: “Mantenendo il ruolo di genitori.” Per tale motivo è giusto ascoltare con pazienza ed apertura ma continuando ad educare e a guidare. Continuando a prospettare obiettivi e mete chiare. Continuando ad assumersi tutte le responsabilità necessarie nel dire di “no”, quando occorre, nel dare dei limiti, delle norme e anche delle punizioni, quando servono. 
La condivisione di esperienze emotive è certamente utile per capire e farsi capire. Tale condivisione deve permettere all’adolescente, mediante esperienze maturanti fatte con gli adulti, di spiccare un salto di qualità: “ Tu adesso sei più grande: facciamo qualcosa insieme, aiutami nel mio lavoro, impara come si fa questa cosa, assumiti questa responsabilità, attivati in questa situazione.” Non deve, al contrario, trasformare noi in adolescenti, nell’illusione che serva a farci accettare. 
Purtroppo, in questo periodo storico sembra che i genitori e gli educatori in genere, nei confronti degli adolescenti, abbiano effettuato una sorta di tregua e alleanza. Al figlio non sono fatte che delle richieste minime. I divieti, rari, riguardano solo richieste assurde. Si cerca, tenendo conto delle risorse economiche della famiglia, di vietare il meno possibile e di concedere il più possibile. I limiti e le concessioni spesso non s’inseriscono in un progetto educativo, e quindi non tengono presente le esigenze di crescita e maturazione del figlio, ma tengono conto solo della situazione economica della famiglia. 
Il quadro dell’adolescente risulta come svuotato da quelle tensioni che ne avevano costituito la caratteristica tipica: non c’è l’adolescente arrabbiato, ma c’è l’adolescente sazio, pago dei mille piaceri che gli sono giornalmente offerti su un piatto d’argento. C’è l’adolescente annoiato, che passa da una cena all’altro, da un divertimento all’altro. Un adolescente in terapia così descrive la serata tipo del sabato sera: ci si incontra con gli amici in un bar del centro, per prendere un aperitivo, poi ci si mette d’accordo per la serata.

Si va, ad esempio, alla festa di Giovanni che fa il compleanno, portando il regalo che la mamma ha comprato per l’occasione. Si balla, si mangia, si chiacchiera, poi, dopo mezzanotte, quando nei condomini non si può più far “caciara”, si va alla ricerca d’una discoteca.

Naturalmente prima di entrare si fa rifornimento di pasticche “per tenersi su, per divertirsi di più”. In discoteca si balla, si bevono alcolici, ci si eccita con le cubiste, si cerca di “cuccare” qualche ragazza, ci si stordisce con la musica a tutto volume; poi, se ci si annoia, si cerca un altro locale “più da sballo”, dove si beve ancora e si consumano le ultime pasticche. Tra l’una discoteca e l’altra una “canna”, un po’ di sesso in macchina o sulla spiaggia, e dopo, è mattina, si comprano dei cornetti caldi prima di tornare a casa. Durante il tragitto, spesso una gara con la macchina, “così per tenersi svegli.”
 Eppure i nostri padri sapevano benissimo a cosa porta questo tipo di educazione. 

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Collodi lo descrive molto bene quando Pinocchio e Lucignolo vanno nel paese dei balocchi.  Un paese in cui è sempre vacanza, un paese in cui ci si diverte sempre e a più non posso, ma da cui si esce “asini”. E cioè animali non solo stupidi e ignoranti, come vuole l’idea comune, ma animali pronti ad essere sfruttati fino alla loro morte, anzi anche dopo, essendo utilizzata la loro pelle per fare tamburi.

Che i genitori accettino e seguano i cambiamenti che avvengono nei rapporti con i figli.

  Mentre durante il periodo edipico la femminuccia è più legata al padre ed il maschio alla madre, durante il periodo adolescenziale vi dovrebbe essere un maggior legame con il genitore dello stesso sesso in modo tale che vi sia un completamento dell’identità sessuale, mediante l’introiezione della caratteristiche specifiche. Per tale motivo i genitori dovrebbero sapersi porre come modelli d’equilibrio, saggezza e serietà senza lasciarsi trascinare dal caos adolescenziale.

La loro presenza, soprattutto quella del genitore dello stesso sesso, dovrebbe essere costante nel guidare, nel proporre valori, obiettivi e strade per raggiungerli nel modo più rapido ed efficace ma dovrebbe anche servire a trasmettere gli antichi e basilari valori, ricchi di saggezza e di valenze positive. 
L’adolescente ha bisogno di adulti per diventare uomo e non di altri adolescenti che lo condannerebbero in un limbo d’immaturità ed instabilità. 
Per quanto riguarda il contrasto con i genitori, questo, se non eccessivo, è fisiologico. Il bambino, per diventare uomo, ha bisogno di confrontarsi, di sfidare, di contrastare i propri genitori per rompere definitivamente l’amore edipico in modo da potersi aprire ad altri affetti e altri amori, all’esterno della famiglia. 
E’ un po’ quello che succede in tutti gli amori: essi si possono rompere con più facilità, quanto maggiore è lo scontro e quanto più il confronto è traumatico. È più difficile la rottura dolce di un grande amore! Quindi una certa tensione e aggressività, tra genitori e figli, fa parte della fisiologia dell’adolescenza.

Questo non significa che genitori e figli, fisiologicamente, debbano odiarsi, ma non bisogna neanche avere paura di una certa tensione, proprio perché serve a rompere un legame e quindi permette un salto qualitativo. 

Che i genitori sappiano affrontare il figlio adolescente con piena unità d’intenti.

L’adolescenza dei figli può attuare un cambiamento interiore e risvegliare problematiche inconsce sopite. Ciò può modificare, a volte profondamente, il rapporto di coppia.
Un figlio o una figlia adolescente possono far riemergere sentimenti di nostalgia per un periodo che si ricordava felice e spensierato e quindi spingere alla regressione adolescenziale uno o entrambi i genitori, nella ricerca dell’Eden perduto.

Allo stesso risultato può portare un sentimento di rivalsa per ciò che non si è avuto o non si è vissuto bene o pienamente. “Io soffrivo perché mio padre o mia madre non mi permettevano di fare certe cose: non voglio che mio figlio/figlia viva la stessa sofferenza, perciò gli permetto di fare tutto ciò che a me fu negato.”
Nell’uno e nell’altro caso, l’adulto tende ad instaurare con i figli una complicità di amico/a più che di genitore. Un amico che tutto accetta, comprende e favorisce pur di ottenere la “felicità” del figlio. 
 Spesso questo crea delle alleanze che prima non esistevano. Mentre fino a qualche mese prima i genitori si trovavano insieme nell’affrontare l’educazione del ragazzo, adesso si ritrovano su fronti opposti. Un genitore “amico”, confidente, pronto a lottare con e per i figli contro l’altro, “nemico”, che non capisce, che non accetta, che contrasta la ricerca della loto felicità. 
Naturalmente questo non dovrebbe avvenire. I genitori dovrebbero continuare ad essere uniti quanto e più che nell’infanzia. Dovrebbero sostenersi a vicenda nell’affrontare gli ardui problemi educativi. 

Nel momento in cui uno di essi, trascinato dall'emotività, dalle ansie o dalle paure, instaura un’alleanza con i figli adolescenti contro l'altro, non solo si perde come genitore, ma rende enormemente difficile, se non impossibile, il rapporto educativo.
Ogni genitore dovrebbe profondamente rispettare e amare i figli, ma deve anche, serenamente, riuscire ad analizzare i problemi ed i veri bisogni di quest’ultimo in modo tale da essere guida sicura, autorevole e stabile in ogni situazione.  
Non è possibile un’azione educativa senza che vi siano delle tensioni, senza che vi sia un minimo di contrasto e quindi di sofferenza per i figli e per i genitori. Queste bisogna affrontarle serenamente, da adulti responsabili; senza lasciar trasformare il proprio ruolo di genitore in un ruolo filiale o amicale; ma soprattutto senza rompere l’unità della coppia, indispensabile alla vita familiare. 



Vedere i genitori solidali nell’attività educativa, è per i figli fonte di sicurezza, equilibrio e stabilità. Vedere i genitori disuniti e non concordi provoca dubbi, incertezze, ma soprattutto inimicizia e frattura verso il genitore “cattivo.”

“ Se papà mi dice una cosa e la mamma ne dice un’altra; se la mamma è d’accordo con me contro il papà, vuol dire che la mamma è buona e il papà è cattivo.

Se la mamma, che è un adulto ed un genitore, la pensa come me ed in modo diverso da papà, vuol dire che tutto ciò che lui mi dice non è giusto e quindi io non sono tenuto a farlo. Se c’è qualcuno che sbaglia non sono io, non è la mamma ma è sicuramente papà.” 
Nella mente dei figli si formano pensieri come questi; per tale motivo l’accettazione dell’autorità, dei limiti e delle norme diventa estremamente più difficile. La sofferenza di tutta la famiglia si accentua con danno irreparabile per tutti. 

 

Che il padre si assuma pienamente e coraggiosamente l’onere derivante dal proprio ruolo.


Così come nella prima infanzia è prevalente e fondamentale il ruolo materno, poiché la donna ha maggiori capacità nell’accudimento e nell’allevamento della prole, nell’adolescenza dovrebbe essere in primo piano il ruolo paterno; e ciò per vari motivi:
•    per i padri è più facile assumere un ruolo autorevole, lineare, deciso, quando gli adolescenti assumono atteggiamenti aggressivi, petulanti, ricattatori. Atteggiamenti questi che, invece, mettono più facilmente in crisi la fragilità affettiva e l’emotività femminile; 
•    i padri resistono meglio alle mode del momento. Per cui riescono, con più efficacia, a contrastare attività, comportamenti ed atteggiamenti incongrui o rischiosi, anche quando questi sono molto diffusi e quindi di moda, nell’ambito dei gruppi giovanili o sono presenti in molte famiglie;
•    il genitore maschio si fa meno coinvolgere dagli atteggiamenti seduttivi dei figli, quindi riesce meglio a resistere ai ricatti affettivi posti in essere dagli adolescenti.
•    l’uomo si identifica più difficilmente con i figli e quindi riesce ad essere più facilmente una guida autorevole e serena; 
•    i padri, infine, hanno una visione educativa a più ampio respiro temporale e sociale. Per tale motivo, non vedono soltanto il benessere o il malessere dell’oggi, ma anche quello del futuro uomo o donna, non vedono solo il benessere individuale ma anche quello familiare e sociale.

Affinché i padri possano svolgere il loro compito sono però necessarie almeno tre condizioni:

devono esserci,

devono essere stati educati a svolgere nel migliore dei modi il loro ruolo paterno

devono poterlo svolgere pienamente appoggiati dalle madri e dalla società.
 

Purtroppo, come abbiamo già detto, oggi queste condizioni si avverano sempre più raramente. Spesso i padri mancano: perché i genitori sono separati, divorziati o la madre è una donna nubile; più spesso i padri sono assenti perché troppo impegnati nel lavoro e nelle attività al di fuori del contesto familiare.

Per quanto riguarda la loro formazione non sempre avviene in maniera da valorizzare le caratteristiche maschili; ed infine, anche quando ci sono e sono bensì preparati e disponibili ad impegnarsi in senso educativo, sono spesso ostacolati da un ambiente sociale o da madri troppo permissive.  

 

Che la frequenza con il gruppo dei pari avvenga senza pericolosi eccessi.

La frequenza con il gruppo dei pari, così come avviene nel bambino, è un passaggio obbligato, per la conquista della propria autonomia e per la costruzione dell’identità personale. Essa può avvenire in un rapporto a due o in un gruppo. L’incontro con il gruppo dei pari, a sua volta, può essere di tipo formativo e quindi guidato oppure spontaneo o libero. 
Il rapporto a due ha il significato di un dialogo con qualcuno che ha problemi e caratteristiche simili alle tue; è scambio di compagnia e d’affetto tra pari; è ricerca di complicità nel programmare incontri e avventure.
Spesso si cerca un amico che abbia caratteristiche simili alle proprie o complementari. Con lui si affrontano tutti o quasi i temi che fanno o molto soffrire o molto gioire: la scuola, l’amore, il futuro, la famiglia. Con l’amico del cuore si gioca, si ascolta musica, si vedono i film e le trasmissioni più esaltanti, si va alle partite. Queste amicizie a volte nascono nell’adolescenza, ma il più spesso sono la continuazione di un rapporto nato molti anni prima: nella fanciullezza. In un caso o nell’altro siamo felici quando notiamo nell’amico interesse, sostegno, aiuto, accettazione, mentre ci fanno soffrire i suoi tradimenti, l’incomprensione, o la sua indifferenza.
L’amico del cuore non può essere scelto dai genitori. Sia la scelta, che la gestione appartengono ai figli, ma, data l’importanza di queste amicizie nella formazione e nell’evoluzione verso l’età adulta, abbiamo il dovere di guidare queste scelte, favorendo le amicizie sane e disincentivando quelle pericolose o dannose. Dice un vecchio proverbio “ Chi pratica con lo zoppo, all’anno zoppica.” E questo proverbio non si riferiva agli handicappati! 
Questa guida è più facile attuarla prima che queste amicizie nascano piuttosto che dopo che si è stabilito un forte legame affettivo. Per tale motivo l’attenzione nei confronti del figlio e delle persone e ambienti da lui frequentati dovrebbe essere costante e vigile.


I gruppi formativi. 
Sono dei gruppi che aiutano a diventare più facilmente e rapidamente donne e uomini, attraverso l’esperienza e la guida di adulti maturi e responsabili, che sanno utilizzare positivamente la grande vitalità e creatività dei giovani e le loro immense energie, indirizzandole nella crescita e nel raggiungimento di traguardi che possono essere di tipo artistico, musicale, sociale, sportivo, culturale. 
Questi gruppi hanno, a differenza dei gruppi spontanei, finalità, scopi ed indirizzi educativi ben precisi, giacché c’è un progetto, un programma, una metodologia già sperimentata nel tempo, finalizzata ad aiutare i ragazzi ed i giovani nella loro crescita. 
Quando i partecipanti si incontrano non si parla a ruota libera, non si sta insieme solo per divertirsi o per scacciare la monotonia, ma s'impara a progettare e a perseguire obiettivi formativi, spirituali, culturali, artistici o di solidarietà sociale. 
Gli adolescenti, quando il gruppo è ben gestito, si abituano a dare più che a ricevere; a proporre positivamente, più che a lasciarsi trascinare dagli altri; a partecipare, più che a chiudersi nel proprio Ego.
È bene quindi scegliere quei gruppi e quelle associazioni che hanno finalità educative trasmesse mediante l’aiuto, il sostegno, l’amore nei confronti delle persone più bisognose: handicappati, anziani, poveri, emarginati. “ Ma deve trattarsi di un gruppo educante, dove si impara a ridimensionare le proprie utopie, ad onorare la parola data, a farsi perdonare per gli errori che si commettono, ad accettare l’altro e se stesso e le rispettive sconfitte, a costruire insieme”;  deve, inoltre, essere un gruppo che abbia delle regole e che insegni a rispettare le regole. 

I gruppi spontanei.
Questi si formano per aggregazione di uno o più soggetti al fine di vivere momenti di dialogo o di divertimento. In questi, non essendoci un progetto educativo che li sostenga, né una guida efficace la spinta maturativa è scarsa, anzi, poiché seguono le leggi dei gruppi spontanei, c’è il grave rischio, nel caso in cui siano frequentati in maniera eccessiva da parte degli adolescenti, di una loro involuzione in atteggiamenti più immaturi, più irresponsabili e deteriori rispetto alla media dei partecipanti.
Nella psicologia dei gruppi spontanei il ruolo di leader, anche se non riconosciuto, è spesso attuato dalla persona più immatura ed irresponsabile, in quanto è l’elemento che fa più divertire, che fa le proposte più strane ed inusuali. In altri casi, quando non c’è un vero leader il gruppo si muove ed opera mettendo in comune gli elementi deteriori ed infantili di ogni partecipante. Questo comporta spesso un peggioramento nei comportamenti e negli atteggiamenti sia dei singoli sia del gruppo nel suo insieme; si corre il rischio d’una sua trasformazione in banda giovanile, ”il branco”, che utilizza la forza e la violenza del gruppo per commettere azioni antisociali, sciocche e distruttive. Poiché queste bande non hanno contenuti o ideali, gli adolescenti ed i giovani, per farne parte, per paura di non essere accettati, per istintiva omologazione, per emergere, accettano di compiere le azioni più assurde ed imprevedibili.
Succede allora che giovani “normali”, inseriti in un gruppo composto da soggetti “normali”, figli di famiglie altrettanto “normali”, compiano delle azioni di vandalismo: come rompere i vetri delle auto, o i lampioni, incendiare i cassonetti, imbrattare i muri delle case o dei vagoni o peggio, si uniscano per fare violenza ad altri adolescenti o ad adulti. In queste situazioni violentare una ragazza che si è appena incontrata, lanciare pietre dai cavalcavia dell’autostrada per colpire qualche ignaro automobilista, dare fuoco ad un barbone, rubare nei supermercati, costringere a drogarsi, diventa divertimento e gioco entusiasmante. 
In altre bande prevalgono giochi di emulazione estremamente rischiosi: come le gare di moto o di auto, il saltare sui treni, lo sdraiarsi sui binari o sull’asfalto per allontanarsi all’ultimo istante prima di essere travolti, il lanciarsi contro un muro per poi fermarsi all’ultimo momento. Dice infatti P. Lombardo: “  Rifugiandosi nella massa, l’uomo perde ciò che è più essenziale al suo essere uomo, alla sua umanità: cioè la sua responsabilità. Non appena uno agisce come fosse soltanto la parte di un tutto e quando in questo tutto si identifica, immediatamente avverte il sentimento di essersi liberato da ogni responsabilità…. La massa è una somma di esseri spersonalizzati”   
Come esito del cambiamento nei rapporti tra maschi e femmine, gli adolescenti di entrambi i sessi tendono a vivere insieme la vita dei gruppi sia spontanei sia organizzati, con conseguenze che avrebbero dovuto essere facilmente immaginabili. Sia alle ragazze che ai ragazzi viene a mancare quel confronto, quella scoperta, ricerca, valorizzazione e approfondimento delle proprie caratteristiche sessuali che si ottiene quando giornalmente si è immersi e ci si confronta con coetanei dello stesso sesso. 
Pertanto si vengono a svilire, sfumare e perdere, importanti elementi culturali e comportamentali legati alle caratteristiche sessuali specifiche. Diminuiscono i giochi, le fantasie, i dialoghi, i pensieri legati alla propria femminilità o mascolinità, mentre si vivono e acquisiscono elementi dell’altro sesso. Inoltre il cameratismo e la fratellanza, dovuti alla frequenza continua, fanno diminuire di molto l’interesse. L’altro non è più vissuto come ideale e sogno, immaginario e magnifico che, per essere accettati, spinge e stimola alla crescita e al miglioramento personale, ma è vissuto spesso come “seccatura”, a volte con noia, altre volte con modesto interesse sessuale ma sempre, senza grandi entusiasmi.

Che il tempo libero sia limitato e proporzionato alla capacità di farne buon uso.

Come abbiamo già detto precedentemente il buon uso del tempo libero è inversamente proporzionale alla sua quantità. Maggiore è il tempo libero più difficile è usarlo bene. Questo è tanto più vero quanto più il tempo libero si trascorre, durante la notte, in ambienti a rischio come le discoteche, insieme con gruppi spontanei. 

Purtroppo, il tempo libero degli adolescenti si è allargato a dismisura, in quanto le richieste d’impegno nell’ambito familiare e scolastico, si sono ridotte al lumicino. Si ha quasi paura di chiedere ai figli di collaborare alla gestione familiare e di partecipare agli impegni sociali della famiglia nell’ambito della rete parentale, poiché si pensa di distrarli da quelli che sono visti come i compiti basilari e cioè lo studio e la scuola.

Questo è un errore grossolano. Lo studio dovrebbe rappresentare solo uno degli impegni dei figli, per tale motivo non dovrebbe totalizzare le loro energie. Il rischio è di limitare le loro esperienze, ma anche la loro capacità di donazione. D’altra parte l’impegno scolastico è attualmente molto limitato e limitante: le bocciature sono sempre più rare, il numero di vacanze o di giorni utilizzati come vacanze è notevole. 

Che i genitori e gli educatori propongano mete e obiettivi ricchi di valori umani, sociali e spirituali.

Un bambino è l’essere che tende a chiedere: affetto, amore, protezione, conforto, giocattoli. 

L’adulto si caratterizza per la grande possibilità di scambio con gli altri, sia a livello affettivo, che sociale ed economico. Anche il bambino scambia, ma soltanto a livello affettivo. I suoi baci, le carezze, le attenzioni, le parole d’affetto e di amore contraccambiano quello che l’adulto dà. Quando, come succede nella nostra società, gli adulti lasciano che persista nel ruolo infantile, l’adolescente e poi il giovane continuano a chiedere.

Chiedono, mai sazi, giocattoli più evoluti e costosi: come la moto, la macchina sportiva, la chitarra elettrica; chiedono giochi e piaceri eccessivi nella quantità ma soprattutto di basso livello come qualità; mangiare la pizza ogni sabato sera, scherzare per ore con gli amici, andare nelle discoteche e nelle paninoteche, vivere la sessualità senza responsabilità. Chiedono senza dare, in contraccambio, neanche la tenerezza e l’affettività che davano da bambini. 
Sarebbe invece importante che gli educatori proponessero mete e obiettivi ricchi di valori umani, sociali e spirituali. Sarebbe importante che la vita dei minori si aprisse agli altri uomini e alle altre donne più che agli oggetti ed ai piaceri. Sarebbe importante proporre dei punti di riferimento scelti tra i grandi personaggi, di grosso spessore umano e sociale sia del presente che del passato, in modo tale da aiutarli ad andare al di là della corporeità, per ricercare gli elementi spirituali del nostro essere. Il tutto si dovrebbe tradurre in un impegno massiccio per gli altri; per i più deboli e indifesi: per gli handicappati, gli anziani, i bambini. 
Come dice Don Antonio Mazzi i giovani cercano qualcuno in cui avere fiducia, per avere un indirizzo. “Il primo problema che sentono è quello spirituale. Avvertono dentro di sé un gran desiderio di fare qualcosa di buono della propria vita, ”  

Che la possibilità di usare denaro e beni materiali sia molto limitata.

L’uso di beni e di denaro dovrebbe essere molto parco durante tutta la vita del bambino ma soprattutto dovrebbe essere limitato al massimo durante l’adolescenza in quanto, in questo periodo, il rischio di usare male il denaro o gli oggetti ludici aumenta considerevolmente.
La nostra società dei consumi vede la gioia legata al soddisfacimento dei beni materiali, per cui continua a ripetere come un ritornello: “Più denaro avete, più spendete, di più oggetti vi circondate, più sarete felici e soddisfatti.”

Ci si accorge troppo tardi che questa affermazione è fondamentalmente falsa; la vera gioia e serenità nascono dall’interno, non dal denaro, né tanto meno dagli oggetti posseduti.  
La maggiore ricchezza, l’abbondanza di beni materiali, lo scarso numero di figli, ha ampliato notevolmente la possibilità di utilizzare da parte del giovane una gran quantità di beni e di denaro: il telefonino, lo stereo, i videogiochi, il televisore in camera, il videoregistratore, il computer, il collegamento con internet, la moto da città, il fuoristrada, la macchina fotografica digitale, la telecamera; sono solo alcuni degli oggetti di cui il giovane si circonda giorno e notte.

A volte sono stati comprati direttamente, altre volte sono regali di parenti, nonni, zii e amici compiacenti.
Insieme a questi oggetti il giovane possiede spesso anche notevoli somme in denaro liquido, dovute ai regali o ad una ricca paghetta settimanale.

Avere in tasca molti soldi è un notevole rischio per l’adolescente in quanto li può utilizzare male: per il fumo, l’alcool, la droga, la pornografia, la prostituzione. Tra l’altro il denaro gli permette di fare quelle gare e quelle bravate che richiedono moto ed auto particolarmente veloci e costose. Avere troppo denaro in tasca, senza averlo sudato, porta il giovane a cullarsi nella sua condizione attuale per cui non avrà alcuna preoccupazione di finire gli studi e di iniziare a lavorare. Infine avere troppi soldi da spendere frequentemente per i suoi capricci, gli fa perdere il gusto delle cose, che, come abbiamo detto, sono tanto più belle quanto più sono rare e difficili da conquistare.

Che agli adolescenti arrivino dei messaggi chiari e lineari.

Non sempre agli adolescenti arrivano dei messaggi chiari e lineari. 
•    Si vuole da loro che siano maturi globalmente, ma poi, quasi sempre, quello che interessa e preoccupa i genitori è il profitto scolastico.
•    Si vuole che maturino come futuri padri e madri, ma, contemporaneamente, nulla o quasi si fa per prepararli a questo ruolo, che implica grandi capacità di sacrificio, ascolto e dono, ma anche tanta capacità gestionale indispensabile in ogni famiglia: saper cucinare, cucire, educare e allevare un bambino, pulire, usare gli elettrodomestici, gestire gli introiti, programmare ed affrontare le spese, riparare, dipingere ecc.. La possibilità di creare una nuova famiglia è allontanata sempre di più e mantenuta in una specie di limbo, nell’attesa che finiscano i lunghi decenni di studio che precedono, a loro volta, un’improbabile sistemazione lavorativa.
•    Si vuole che i maschi abbiano caratteristiche di dolcezza, tenerezza e massima disponibilità e collaborazione con le donne nei lavori femminili, per “alleggerire” queste dei lavori domestici, ma poi ci si meraviglia se in loro, mentre si sviluppano alcune capacità in più nella cura e nell’allevamento, si perdono determinazione, forza, coraggio e sicurezza mentre nel contempo aumentano le tendenze omosessuali.
•    Alle ragazze, da una parte si chiede di essere belle, femminili, seducenti e materne, dall’altra si vuole da loro efficienza, controllo, competizione, aggressività.
•    Si vorrebbe che la coppia che si forma vada incontro ad un matrimonio felice, ma poi, soprattutto nelle donne, si instilla il sospetto che l’uomo sia pronto a sopraffare e ad approfittare di lei, per cui bisogna saper affilare le armi “per difendere i propri diritti contro tutto e contro tutti”, e perché no, anche per sapersi imporre quando è possibile. Pertanto nulla bisogna sacrificare a beneficio della famiglia e al benessere di coppia.

Che l’obiettivo degli educatori e della società sia il rapido superamento dell’adolescenza.

L’adolescenza dovrebbe essere una condizione di rapido passaggio verso la fase adulta ed invece, nella nostra società, si sono inseriti mille motivi per rallentarla, e prolungarla  all’infinito. Statisticamente un diplomato guadagna di più di un lavoratore che ha solo la licenza media.

Un laureato guadagna di più di un diplomato; un laureato che ha una specializzazione, che conosce bene l’inglese, che ha frequentato un corso per computer e ha partecipato a qualche master guadagna di più di un semplice laureato; per cui i segnali sono chiari: per arrivare ad una vera sistemazione che permetta di guadagnare molto bisogna essere laureati, specializzati, aver fatto un corso di inglese, uno per computer e se possibile anche un master.

Non importa poi se a questo traguardo si arriva stanchi, senza alcuna voglia di mettere su famiglia e ad un’età in cui i nostri nonni andavano in pensione! Non importa se il matrimonio è celebrato quando le cicogne non riescono più a posarsi sui comignoli neanche se vi sono portate dai pompieri, perché l’artrosi impedisce loro di volare! 

 

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

 

 

Genitori, lavoro ed educazione

 

Le cause più frequenti dell’allontanamento dei genitori dai compiti educativi sono, nel mondo occidentale, rappresentate dai normali impegni lavorativi e sociali.

Questo tipo di “normalità degli impegni” fa notevolmente aumentare il numero di “orfani bianchi.” Sono questi i figli di genitori che, pur convivendo sotto lo stesso tetto, sono talmente assorbiti dalle attività esterne, da non riuscire a dare una presenza continua, costante ed efficace. Per questi genitori le possibilità educative diventano difficili, rare e saltuarie.  

Il lavoro in città diverse.

Tradizionalmente era il lavoro dell’emigrante che provocava ciò. Attualmente, a questa motivazione classica, si è aggiunto l’impegno lavorativo dei genitori in città o regioni diverse. Non sono rare le famiglie in cui i due genitori vivono in città poste a centinaia di chilometri l’una dall’altra, in quanto, ognuno di loro, sente di avere diritto alla realizzazione lavorativa: “Ho studiato per vent’anni, mi sono sacrificato per ottenere questo posto di lavoro, non intendo rinunciarvi, anche se si trova in una città diversa da quella dove risiede la mia famiglia”. I diritti individuali spesso prevalgono su quelli familiari. 

In altri casi è la speranza di un maggior benessere economico a spingere verso queste scelte: “Perché rinunciare alla promozione?” “Perché rinunciare ad un lavoro più remunerativo?” In molti casi non si può parlare di pendolarismo, ma l’assenza assume per i figli caratteri simili a quelli dell’emigrazione.

I figli rivedono il genitore lontano per lavoro, solo il sabato e la domenica o occasionalmente, addirittura solo durante le grandi festività: a Natale, a Pasqua o nel periodo delle ferie estive.

Il genitore con cui vivono, in genere la madre, coadiuvata dai nonni materni, è costretta ad assumersi quasi tutti gli oneri e le responsabilità formative. La famiglia si costruisce pertanto attorno ad un’unica figura: la madre, tranne che questa non venga assorbita più o meno completamente nel nucleo originario. In questo caso assumono maggior rilevanza affettiva i nonni.

Le conseguenze educative.

•    I figli sono costretti a subire la situazione presente nelle famiglie monogenitoriali, in cui vi è l’assenza di uno dei genitori, soprattutto il padre.

•    Questi, d’altra parte, non riesce, nei rari momenti in cui è presente, ad assumere un ruolo educativo coerente, lineare e stabile. Il più delle volte si limita a fare la parte del papà buono che, per motivi di lavoro, è costretto a vivere lontano dai figli, ai quali non può dare un normale apporto educativo, ma che può colmare di regali ogni volta che ritorna a casa.

•    Spesso, la separazione porta nei coniugi uno scollamento nel rapporto coniugale, a causa di gelosie, tradimenti, alleanze patologiche. La gestione della famiglia diventa di esclusivo appannaggio della madre e dei nonni, soprattutto di quelli materni.

•    La coppia, inoltre, è costretta a subire, più facili stimoli al tradimento “consolatorio” da solitudine e bisogno affettivo e sessuale non soddisfatto; con conseguenze traumatiche sul futuro stesso della coppia e della famiglia.

•    Queste famiglie, a volte, vanno in crisi allorquando il genitore lontano, o perché ha raggiunto l’età della pensione, o perché ha ottenuto l’avvicinamento, ritorna a vivere insieme alla famiglia. La causa di ciò è dovuta a difficoltà di adattamento dei coniugi e dei figli nel vivere un ménage familiare cui non erano abituati. Spesso il genitore che ritorna lamenta di essere trattato da estraneo, non si sente partecipe nelle decisioni. I figli, a loro volta, avvertono i suoi interventi educativi come un’illecita intrusione in quanto dentro il loro animo alberga spesso il risentimento per le sue prolungate assenze.

 

 

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Il lavoro nella stessa città.

Anche il lavoro nella stessa città, negli ultimi decenni è diventato causa d’allontanamento e scollamento del nucleo familiare.

Oltre che un problema di quantità, il lavoro può creare problemi nella qualità della relazione.

Esso, infatti, può creare un coinvolgimento emotivo nella persona, occupando i suoi pensieri, prelevando buona parte delle sue energie, impegnando la volontà oltre i limiti accettabili dagli altri doveri e compiti, come quelli di padre e di madre, di marito e di moglie. 

Spesso è il datore di lavoro che chiede e pretende dal lavoratore, non una parte ma tutte o quasi le sue energie, la sua fantasia, il suo interesse, in modo tale da rendere l’impegno di questi sempre più produttivo. Queste richieste, non solo sono viste come sacrosante, ma anzi viene bollato di discredito il lavoratore che si occupa e preoccupa molto dei doveri familiari e coniugali, i quali vengono giudicati come esigenze sociali accessorie.

Ciò può accadere sia per gli uomini che per le donne, sia per il padre che per la madre; quando è coinvolto però solo un genitore, la presenza dell’altro accanto alla famiglia, ai figli, nella casa, porta ad una divisione dei compiti sociali. Uno dei due si assume il compito di produrre ricchezza materiale, l’altro il ruolo di produrre ricchezza affettiva, relazionale, educativa. Allorquando invece sono entrambi i coniugi coinvolti, la società, la famiglia, i figli, possono risentirne in maniera grave.

Viene, infatti, “prodotto” solo benessere materiale, mentre la povertà affettiva, relazionale, educativa, invade i singoli ed i gruppi. In definitiva, quindi, tutta la società diventa più povera.

Le reazioni di persone coinvolte in maniera pesante ed eccessiva nel lavoro intra o extrafamiliare, sono abbastanza note: l’individuo vive, pensa, respira, in funzione di ciò che deve fare, in funzione degli impegni e delle realizzazioni che ha in mente.

Tende ad estraniarsi dal coniuge, dai figli, dagli amici e dalle relazioni. Naturalmente questa pressione e stress psicologico, ha bisogno di momenti di compensazione e di fuga. Momenti che però non sono vissuti in maniera fisiologica, ma in modo eccessivo e stressante.

Per tale motivo accanto ad ore e giorni di frenetica attività, si alternano soprattutto nei giorni canonici come i sabati, le domeniche, o le notti, momenti di divertimento frenetico o di completo riposo nella speranza di recuperare e di riacquistare quanto perduto o assorbito nelle attività lavorative.

Se sul piano della tensione nervosa si recupera qualcosa, ciò produce però degli effetti negativi sulle relazioni. Queste vengono vissute in modo superficiale o nevrotico. E’ difficile l’ascolto, ed è ancora più difficile un intervento sereno e mirato al superamento dei problemi che di volta in volta si presentano.

La persona si impoverisce sempre di più, tende ad entrare in crisi ed ad accusare non colui o quella cosa che gli ha sottratto energie, ma gli altri: il marito, la moglie, gli amici, di non riuscire ad entrare in sintonia, di non riuscire a comprenderla o ad avere normali rapporti.

E’ un circolo vizioso che allontana sempre di più l’individuo da se stesso, dagli altri, dalla società.

Mentre inizialmente questo coinvolgimento è funzionale ad un miglior rendimento lavorativo, successivamente, anche il lavoro ne risente, ne soffre, ne paga lo scotto: la persona privata del suo equilibrio psicologico ed affettivo non riesce a dare e produrre quanto produceva prima. Riesce a dare poco e male, il numero degli errori aumenta e anche il rendimento diminuisce progressivamente.

L’impegno sociale.

Accanto alle attività lavorative ve ne sono altre apparentemente di grande spessore umano e sociale che però, sommate alle prime, producono risultati analoghi, sono le militanze sociali, politiche o religiose.

Succede a volte, e la cosa potrebbe essere comica se non fosse tragica, che mentre siamo occupati con passione ed impegno a risolvere i problemi e le difficoltà degli altri: coppie con problemi, bambini, anziani, handicappati, svantaggiati, ecc. va alla malora la nostra vita di coppia, trascuriamo i nostri figli, lasciamo soli i vecchi genitori.

Siamo soprattutto occupati a “fare”, non importa che cosa e dove, l’importante e che sia un “fare”, gratificante e qualificante fuori della propria famiglia, mentre siamo poco o nulla disponibili alla cura, all'ascolto, al dialogo con le persone che sono a noi più vicine, con le persone verso le quali dovremmo avere degli obblighi e dei doveri ben precisi.

Altre volte, e ciò avviene sempre più frequentemente, nelle ricche e opulente società occidentali, sono impegni sicuramente più futili o ludici come la cura della propria bellezza: la palestra, la piscina; oppure le cene con gli amici, i giochi, i balli ad occupare papà e mamma.

Queste ed altre attività similari, vengono però avvertite come molto importanti per la propria vita e per la realizzazione personale. Sono sentite come “bisogni” imprescindibili del corpo e della mente, quindi non si riesce a rinunciarvi o a limitarle.

I motivi di ciò vanno ricercati nell’alienazione di una società che continuamente stimola, per motivi economici a vivere senza mai accontentarsi di ciò che si ha e che si è. E’ la nostra una società basata sui beni di consumo, che spinge a comprare e consumare sempre di più, con la vana promessa di raggiungere in questo modo la felicità. E’ una società che stimola a migliorare il proprio aspetto nella prospettiva e nella speranza di sentirsi meglio. “Se sei triste e insoddisfatta è perché il tuo naso è troppo grande, il tuo seno troppo piccolo, i tuoi fianchi troppo larghi; per sentirsi meglio basta mettersi nelle mani di un chirurgo che penserà a stringere, allargare, sostenere, modellare e quindi insieme alla bellezza ti darà serenità e gioia.” E’ una società che invita al divertimento ed al piacere nella chimera di raggiungere piena soddisfazione personale.

Giacché le promesse restano solo promesse, gli inviti alla ricerca del benessere, mentre si vive nel malessere, diventano sempre più numerosi e si prolungano all’infinito.

S’innesca allora un circolo vizioso: si è invitati a superare lo stress del lavoro e della vita quotidiana acquistando di più e spendendo di più > per spendere di più e consumare di più sono necessari più soldi e più lavoro > impegnandosi di più nel lavoro aumenta lo stato di malessere e di disagio; si ritorna al punto di partenza in una spirale senza fine.

 

CONSEGUENZE DEL DEFILARSI DALL’ATTIVITA’ EDUCATIVA

 Il defilarsi per motivi più o meno importanti dall’attività educativa e di accudimento comporta inevitabilmente una delega sempre maggiore verso gli “altri.” Per l’uomo e quindi per il padre l’altro è la madre, in quanto la donna viene vista come la persona più capace di cure e di relazioni con i bambini e più efficiente nella gestione della casa. Per la donna “l’altro”, che si dovrebbe impegnare maggiormente è sicuramente il papà, in quanto tende a trascorrere più tempo nel lavoro e quindi al di fuori della famiglia.

Entrambi i genitori sono però d’accordo almeno su un punto, che ad impegnarsi maggiormente dovrebbe essere la scuola e gli insegnanti, in quanto professionisti dell’educazione e quindi pagati per svolgere tale compito! Ma anche i nonni, “ che non hanno nulla da fare”, le baby- sitter, e gli insegnanti di doposcuola, “che sono pagati per questo”.

 A sua volta questi, con il libro di psicologia e pedagogia in mano, si difenderanno dicendo, giustamente, che l’attività educativa deve svolgersi soprattutto in famiglia e che gli insegnanti hanno un compito di supporto a completamento dell’attività  dei genitori e nel frattempo affidano il bambino con problemi ad un’insegnante di sostegno o all’équipe psicopedagogiche scolastiche, le quali, a loro volta o cercheranno di stimolare la scuola ed i genitori, “ad un maggior impegno” o affideranno il bambino ad uno specialista per una psicoterapia “ che cercherà di risolvere i suoi problemi”
                                                  
Ma intanto il bambino continua a rimanere solo. Solo con i suoi dubbi e le sue perplessità. Solo con i suoi timori, le sue insicurezze i suoi bisogni non soddisfatti.

BISOGNO DI UNA PRESENZA ATTIVA DEI GENITORI

La necessità in quantità e qualità di presenza dei genitori è insita nella specie, non varia, né è sostanzialmente modificabile, se non in tempi lunghissimi, al variare dell’ambiente o della società.

La necessità di dialogo, di affetto, di comunicazione, di rapporto con le figure genitoriali, di un bambino del duemila, non è, nelle sue qualità fondamentali, molto diversa da quella di un coetaneo dell’età della pietra.

D’altra parte, la probabilità che si creino paure, ansie, insicurezze se questi bisogni fondamentali non sono soddisfatti pienamente, è sostanzialmente uguale.

E’ necessario quindi che le persone che si occupano di bambini seguano la fisiologia dello sviluppo, senza mai forzarla o contrastarla. In caso contrario, lo scotto da pagare può inizialmente essere soltanto un più o meno grave vissuto di disagio, che però, a lungo andare, può avere nella sua vita futura, delle conseguenze invalidanti, come una nevrosi, un disturbo del comportamento sociale o, nei casi più gravi, una psicosi. “ Una risposta incompiuta ai bisogni infantili da parte dei genitori tende a mantenere immodificate nel tempo le richieste affettive del figlio, prolungando una condizione di profonda dipendenza emotiva che ostacola la costruzione di relazioni adulte.” 

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

 

Educare ai valori

 

 

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Mi piace pensare ai valori morali, spirituali e sociali, come ad oggetti preziosi che, persone singole, gruppi o popoli hanno scoperto nel loro animo o nell’incontro con gli altri, durante il lungo, faticoso e spesso drammatico cammino della storia. Questi “oggetti preziosi,” con cura sono stati raccolti, valorizzati e poi tramandati ai posteri, affinché fossero d’aiuto e di sostegno alla specie umana.

Come gioielli di famiglia, le persone e le civiltà più attente, prima di metterli nei loro forzieri li hanno esaminati, saggiati e confrontati, per scoprirne le reali qualità, per evitare quindi di conservare e tramandare ai loro figli degli oggetti inutili o, peggio dannosi. Alcuni di questi gioielli hanno mantenuto nei secoli e in tutte le civiltà, il loro valore, mentre la bontà ed il valore di altri sono risultati effimeri, giacché più legati alle caratteristiche storiche di una certa epoca o alle qualità e bisogni di particolari popoli.

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Questi oggetti preziosi, dalle civiltà che li hanno posseduti, sono stati giustamente protetti contro i ladri, contro il degrado e contro i falsari che avrebbero potuto farli sparire o sostituirli con copie di nessun valore.

Purtroppo, come avviene con i veri gioielli, c’è sempre qualcuno che li perde, qualcuno che li svende in cambio di denaro o di altri oggetti apparentemente più attraenti ma che alla prova dei fatti si rivelano inutile paccottiglia.

Purtroppo, come avviene per certi oggetti preziosi relegati in soffitta o nel buio dello scantinato, c’è sempre qualcuno che li ignora e li abbandona, come cose vecchie e inutili, per seguire la moda del momento, scoprendo troppo tardi il loro valore.

Alcuni di essi sono talmente importanti che ogni bambino che nasce li ha in dote dalla natura, altri, invece, attendono di essere donati dai genitori ai figli, dai governanti ai popoli, dalle religioni ai fedeli.

Fuor di metafora, possiamo dire allora che singoli uomini, interi popoli e soprattutto le religioni, si sono accorti già da migliaia d’anni che certe caratteristiche umane e alcuni comportamenti, atteggiamenti e realtà, erano importanti per il benessere individuale o collettivo.

Erano fondamentali per una corretta vita civile, per la salvaguardia dei rapporti umani, per lo sviluppo della specie, per il benessere sociale, dell’individuo e del gruppo. Queste idee di base, questi beni, sono stati individuati, definiti e raccolti dagli individui più attenti o più ricchi di saggezza e diffusi nelle comunità. Mediante le religioni, le tradizioni orali e scritte, le leggi, sono state tramandate alle generazioni successive, in modo tale da riconoscere dei contenuti, e quindi delle competenze, stabilire delle priorità, fissare dei confini morali, definire regole di comportamento e trasmettere ad ogni generazione futura tutto il senso della vita,

Alcuni sono il prodotto dell’esperienza, e della tradizione, dell’umanità, altri, come la scienza ha sempre sottolineato, sono insiti nel DNA d’ogni essere umano poiché utili o indispensabili alla diffusione e alla difesa della specie. Per le religioni, sono scolpiti da Dio nell’animo d’ogni uomo nel momento del suo concepimento ma la loro scoperta e valorizzazione, avviene attraverso l’educazione o la personale ricerca interiore.

Purtroppo nei secoli, e non soltanto nel passato, alcuni comportamenti negativi per l’individuo, per i popoli o per la specie, sono stati spacciati per veri valori. I disvalori hanno scacciato quelli genuini; e di disvalori, è particolarmente ricca, suo malgrado, la nostra civiltà occidentale.

E’ come se alcune pietre, veramente preziose, fossero state tolte dallo scrigno di famiglia e sostituite con altre false: il sotterfugio, la menzogna, la concorrenza sleale, la corruzione, la vanità, la ricchezza, la bellezza esteriore, la furbizia, il potere, l'imbroglio, la tracotanza, vanno a sostituire la lealtà, la correttezza, l’onestà, la bontà, l’umiltà, la semplicità ecc.. L'abbondanza di piacere, la libertà più sfrenata, la libidine, il divertimento e le feste assurgono a fine ultimo dell’esistenza. Un uomo o una donna diventano importanti se sono ricchi, se hanno un vestito firmato, se possiedono un grande potere sugli altri, se si divertono a più non posso, se sanno approfittare della vita e degli altri per il loro tornaconto. Questi disvalori scacciano e si sostituiscono alle qualità morali, spirituali, culturali e sociali che ogni uomo dovrebbe possedere.

Spesso questo è attuato trincerandosi dietro una falsa idea di progresso e modernismo.

Così come non è vero che tutto ciò che è vecchio o antico è di per se, meglio di ciò che è nuovo, è altrettanto vero che non tutto ciò che è moderno è migliore di ciò che antiche tradizioni avevano prospettato.

 Anzi, nel campo educativo, la tradizione è fondamentale poiché porta ai genitori d’oggi le esperienze positive o negative del passato affinché   il meglio senza commettere gli stessi errori. “ Tradizione significa trasmettere, tramandare alle nuove generazioni, ciò che di più bello e prezioso si è conquistato nella vita.” 

 

I valori sono universali ?

Alcuni sono sicuramente universali, e cioè validi per tutti gli esseri umani, per tutti i popoli ed in tutte le epoche.

Altri sono invece legati alla realtà contingente e quindi alle caratteristiche geografiche e politiche della popolazione, per questo variano in base alle epoche, ai luoghi e alle caratteristiche dei popoli.

Per i nostri nonni era modesto il valore dell’ecologia giacché il problema dell'inquinamento della terra era ancora trascurabile. Questo valore è sottolineato ed è diventato predominante nella nostra epoca a causa dei gravi danni che l'uomo, con i processi d’industrializzazione selvaggia e di modifica dell'ambiente ha provocato al pianeta. Per gli indigeni dell'Amazzonia, il valore della vegetazione ed il vivere in armonia con la natura era elemento fondamentale della loro civiltà, poiché la loro sopravvivenza dipendeva dall’esistenza di questi elementi. Questo valore era meno pressante nelle società occidentali che vivevano di commercio e d’agricoltura perciò venivano, con disinvoltura tagliati gli alberi per fare posto alle strade o ai campi coltivabili.

Naturalmente, l'insegnamento dei valori è tanto più efficace quanto più è vissuto in prima persona ed è sentito fortemente sia dai genitori sia dagli altri educatori. Il compito di questi viene a sua volta facilitato o reso difficile, se non impossibile, dall'atteggiamento della società civile nel suo complesso.

I valori non sono per nulla in contrasto con la libertà, che è tra l'altro uno dei valori più importanti, ma, al contrario, le danno senso e corpo. I limiti imposti alla libertà individuale dagli altri valori non mortificano la libertà, ma, la esaltano, poiché le danno finalità e scopo. L'individualismo e l'edonismo, al contrario di quanto spesso è affermato, mortificano e rendono sterile la libertà individuale  rendendola fine a se stessa, alla stregua di un prodotto da consumare.

I valori che hanno caratteristiche d’universalità sono diversi: la famiglia, l’amore, l'onestà, la fedeltà, il lavoro, il rispetto per la vita, la pace, l'altruismo, la generosità, la libertà, la verità, la bellezza, la giustizia, la fratellanza, l’uguaglianza.

 Ne approfondiremo solo alcuni dei più trascurati.

IL VALORE DELLA FAMIGLIA

In tutte le inchieste fatte, il valore della famiglia risulta spesso ai primi posti sia per i bambini, che per i giovani o gli adulti. Tutti sono, tutti siamo convinti del valore della famiglia come apportatrice d’educazione, sicurezza, amore, accoglienza, aiuto, sostegno, conforto. Ma se si va a vedere quanti lavorano al fine di migliorare quest’istituto naturale e quanti, invece direttamente o indirettamente lo trascurano, lo contrastano, lo deteriorano, allora è un altro discorso. Come per i boschi, tutti amiamo il verde delle foreste perché gli alberi ci comunicano serenità, benessere, vita; perciò siamo convinti che senza di essi, in una terra deserta, non potremmo sopravvivere, ma poi c’è chi li taglia per farvi crescere il grano o farvi pascolare le pecore, c’è chi abbandona cartacce e ciarpame nonché  lascia cadere le cicche delle sigarette spesso, purtroppo, ancora accese, senza pensare che con la sua noncuranza sta distruggendo un patrimonio di tutti. C’è chi pensa di arricchirsi costruendo al loro posto degli orribili palazzi o delle grandi autostrade. Infine c’è chi li incendia per il piacere di assistere ad un gran bel falò.

Tutti siamo convinti del valore della famiglia ma poi c’è chi lo distrugge votando delle leggi che favoriscono l’individualismo, leggi che accentuano lo stato di conflittualità tra i coniugi e tra questi ed i figli, leggi che minano l’autorità e credibilità dei genitori. Tutti sono a favore delle famiglie ma poi le sfruttano per favorire il mercato dell’informazione o dell’intrattenimento o per rimpinguare le casse dello stato. Tutti vogliono delle buone, anzi ottime famiglie ma poi nessuno o pochi si occupano del benessere dei loro membri o di formare dei buoni genitori.

Il problema, quindi, non è di evidenziare il valore della famiglia ma di individuare tutti quegli elementi (leggi, disposizioni, regolamenti, abitudini, stili di vita) che possano favorire questa istituzione e quelli che, invece, la compromettono e la distruggono.

IL VALORE DELL’ONESTA’ E DELLA LEGALITA’

“ Se un giovane non viene chiamato ad essere protagonista nella legalità, tenderà a diventare tale nell’illegalità. ”P. Lombardo 

Perché l'onestà dovrebbe essere un valore e non soltanto un dettato morale, se, in fondo, quando io tolgo qualcosa ad un altro divento semplicemente più ricco o più potente, senza molta fatica?

Anche trascurando i dettati morali che riguardano l’onestà e la giustizia, la disonestà dal punto di vista sociale e quindi in definitiva anche a livello personale, è deleteria; infatti, se mi approprio di qualcosa che non mi appartiene è vero che diventerò più ricco, a scapito di un altro o di altri ma, nel momento in cui anche gli altri faranno la stessa cosa il male fatto si ritorcerà inevitabilmente su di me, o su persone a me care.

Rubare, appropriarsi indebitamente di qualcosa, commettere un'ingiustizia, come favorire una persona od un gruppo al posto di un altro che ne avrebbe più diritto o lo meriterebbe di più, comporta tutta una serie di conseguenze negative a cascata che alimentano di molto il disagio individuale e sociale. La rabbia, la collera, l'aggressività, il desiderio di vendetta, di ritorsione e di rivalsa della persona o delle persone offese si riverseranno inevitabilmente non solo su chi è stato disonesto, ma anche sulle persone corrette od oneste con cui si troverà a contatto. Aumenta inoltre, in chi commette l'illegalità o l'ingiustizia, il disagio interiore, a causa del senso di colpa.

L’illegalità, come una "mala erba", si riproduce e si diffonde rapidamente invadendo gradualmente i terreni che n’erano indenni. Essa impedisce la crescita delle piante utili utilizzando il loro nutrimento e si amplia in modo sempre più invasivo e capillare.

Gradualmente, ma rapidamente, la sensibilità verso i comportamenti illegali o disonesti diventa più labile e aleatoria nell'animo umano, e quindi predominerà la tendenza a giustificare ed accettare atti assolutamente non giustificabili, né accettabili.

Anche se è vero che non esiste e non è mai esistita una società senza illegalità, è pur vero che vi sono società in cui questa è efficacemente giudicata, combattuta e limitata e altre, come la nostra, in cui vi è una sua diffusione massiccia poiché, molti comportamenti sicuramente da biasimare, sono non solo tollerati ed accettati, ma sono giudicati favorevolmente dalla massa delle persone, con la scusa che “il fine giustifica i mezzi.”

Spesso, inoltre, sono coinvolte e quindi ne danno pessimo esempio, proprio le persone che più d’ogni altra dovrebbero rispecchiare l’onestà e con forza contrastare e limitare l’illegalità.

IL VALORE DELLA FRATELLANZA

Istintivamente ci apriamo a chi ha caratteristiche simili alle nostre.  Abbiamo più fiducia verso le persone che parlano la nostra stessa lingua, hanno costumi e ordinamenti sociali simili ai nostri, professano la stessa religione.  Al contrario tendiamo a difenderci e proviamo sentimenti di paura, rifiuto e scetticismo verso chi, al contrario, ha linguaggio, religione, colore della pelle, comportamenti diversi. Di questo non ci dovremmo né meravigliare, né scandalizzare.

Questa diffidenza istintiva è un retaggio atavico inserito nei nostri geni. Per migliaia di anni "l'altro" è stato identificato con il pericoloso aggressore che da terra o dal mare invadeva villaggi, città, nazioni per conquistare, distruggere, uccidere, assoggettare. Per tale motivo non bollerei di razzismo chi, istintivamente, ha dei moti di difesa controllati verso persone e popoli con caratteristiche diverse.

Mi preoccuperei invece di quelli che non cercano di controllare ed indirizzare correttamente questi moti istintivi ma, al contrario, tendono ad alimentarli in maniera assurda ed immotivata, fino a trasformarli in atti gratuiti di rifiuto, discriminazione ed aggressione. Queste persone nel frattempo, rabberciano con argomentazioni di comodo, motivi che possano giustificare i propri atteggiamenti di rifiuto o, peggio, di violenza. In genere ciò è fatto rilevando i comportamenti negativi degli "altri", trascurando i loro apporti positivi.

Ci si dimentica che tutti gli uomini nascono uguali e che spesso sono proprio gli atteggiamenti di rifiuto e d’emarginazione che inaspriscono gli animi ed i caratteri. Alimentare la diffidenza ed il sospetto verso chi è diverso da noi, porta i minori ad atteggiamenti di difesa, di rifiuto e chiusura, che sicuramente non giovano né a loro, né alla società in cui si troveranno a vivere e operare da adulti.

D'altra parte le società occidentali, molto ricche di beni, ma molto povere di bambini, si comportano come potenti calamite, che attraggono al loro interno sempre di più i popoli del terzo mondo i quali, al contrario, sono molto poveri di beni di consumo, ma hanno un grande potenziale umano.  Per tale motivo le società occidentali saranno costrette a diventare sempre di più società multietniche e multireligiose.

Ad una società multietnica si perviene attraverso un lungo sforzo da parte di chi riceve il flusso migratorio e da parte di chi si deve adattare a culture non sue. “Sarebbe auspicabile che, in presenza di siffatti eventi odierni, a cagione dei quali pochi o molti abbandonano patria, famiglia, tradizioni culturali per sopravvivere, la coscienza di chi li ospita manifestasse sentimenti d’accoglienza e di solidarietà, non di commiserazione e di rigetto. Per attuarli bisogna però averli coltivati a lungo negli ambienti di formazione (famiglia, scuola, associazioni giovanili), … 

Il contatto iniziale è sempre difficile, perché è dominato da ansie, paure, pregiudizi, dovuti alla fatica di capirsi e di trovare l’accordo.

Ciò esige il coraggio di vincere timori, antitesi, di sfatare l’impressione di avere di fronte degli estranei. “Gli atteggiamenti difensivi, nel gruppo maggioritario, sono spontanei ed universali. In codesto senso l'etnocentrismo, reperibile in tutti i gruppi, è una forma di tutela dei propri schemi mentali riconducibili alla formazione impartita nei relativi contesti. Questi schemi mentali sono inconsciamente assunti come veri; quelli degli altri popoli sono giudicati non condivisibili e quindi da respingere in via pregiudiziale.”   Gli altri hanno da apprendere dalla nostra civiltà, non noi da loro.

Educare, invece, fin dall’infanzia i minori alla solidarietà, all'apertura e all'accoglienza del povero, del forestiero e dell’emarginato, ma anche alla riconciliazione, significa inserire nella vita sociale prospettive migliori di collaborazione, attenzione ed incontro reciproco. 

Nella solidarietà si condividono i problemi, le necessità ed i bisogni altrui; al contrario, nell'egoismo ci si chiude, si respinge, si rifiuta l'altro ed i problemi che porta, anche con l'uso della violenza.

Il maggior ostacolo alla solidarietà è il pregiudizio, che è l’opinione che ci si forma senza riflettere o preoccuparsi di giudicare imparzialmente. Il pregiudizio spinge il soggetto ad un comportamento ostile verso altre persone senza che vi siano valide ragioni.

 Quanto all’origine, il pregiudizio è in parte congenito ma in buona parte è acquisito attraverso gli insegnamenti degli adulti. L’infanzia è l'età più adatta per acquisirli in quanto, in questa età, vi è un maggior conformismo ai genitori, i quali possono inculcare ai minori pregiudizi e rivalità etniche, mediante interventi diretti: impedendo di frequentare certi gruppi, dando insegnamenti specifici, o con interventi indiretti mediante i vissuti di un’atmosfera familiare intollerante.   Ma anche in altre età, come nell'adolescenza, si è disponibili al pregiudizio.

Il pregiudizio a volte utilizza la religione come motivo d’attacco o di difesa.

Il contrario del pregiudizio è la tolleranza che non è mancanza di credenze, non è indifferenza morale o indulgenza acritica, ma è un modo più attento, aperto e sensibile d’incontrare e dialogare con l'altro.

IL VALORE DELLA VITA

Il valore della vita,  soprattutto della vita umana, ha delle basi innate, mentre molti elementi sono acquisiti mediante l'educazione. Se, istintivamente, ci ripugna l'omicidio e, soprattutto nei bambini, è forte anche l'avversione per l'uccisione degli animali, non possiamo d'altra parte negare la presenza dell’aborto, né le stragi d’esseri umani che ogni giorno sono effettuate in ogni parte del mondo a causa di guerre, rivoluzioni, rapine, vendette e altro; come non possiamo sottovalutare la morte di migliaia d’animali sacrificati non solo per la nostra alimentazione o per ricerche scientifiche, ma anche per motivi ludici: la caccia.

Non dimentichiamo inoltre che, molti produttori sfruttano giornalmente per spettacoli cinematografici, televisivi e teatrali il sottile piacere presente istintivamente nell'essere umano per la guerra, per la distruzione e l'uccisione. La morte, come spettacolo, è diventata, insieme con il sesso e i sentimentalismi, una delle componenti fondamentali di una miriade di prodotti mass - mediali, mentre la produzione ed il commercio di armi e di strumenti di distruzione di massa sono fra le attività più floride del mondo.

Si assiste pertanto ad una situazione tragicomica per cui, se da una parte l'uccisione di una vita umana è punita in molte legislazioni con il massimo della pena: l'ergastolo o la pena di morte, dall'altra le stesse legislazioni accettano che dell'uccisione della vita umana si faccia sistematico e continuo spettacolo, commercio e, a volte, anche propaganda, da ammannire in ogni ora del giorno e della notte, per 365 giorni l'anno, a svariati milioni di bambini, adolescenti, giovani e adulti. “In media, ogni bambino americano assiste sul piccolo schermo a 45 atti di violenza al giorno quasi sempre a base di armi.”

Come dire: “Io ti diverto mediante la rappresentazione di spettacoli in cui sono compiuti sugli essere umani e sugli animali le azioni più turpi ed efferate; io ti pubblicizzo, ti invito a comprare e ti vendo milioni di strumenti per uccidere e distruggere; ti addestro a farlo nel modo migliore e più efficiente, ma nel frattempo mi aspetto da te, che faccia strage solo di "cattivi" per cui ti punisco con il massimo della pena se ti capita di uccidere anche un " buono.”

A nulla valgono poi le statistiche che riportano le conseguenze di queste politiche educative "illuminate"! Statistiche che evidenziano come ogni giorno, negli Stati Uniti, dieci bambini si tolgono la vita o sono uccisi con un’arma da fuoco e che i bambini che si sono tolti la vita con tale mezzo sono tremila l’anno e che dal 1986 le ferite da proiettili in minori di sedici anni sono triplicate. Dal 1992 quaranta stati degli U.S.A hanno modificato le loro leggi e reso più facile processare i minorenni alla stregua degli adulti.  “In Virginia ed Arkansas per esempio basta aver compiuto quattordici anni; nell’Illinois e North Carolina 13 anni, nel Vermont si scende a dieci anni e nello stato di New York addirittura a 7.” 

L'elemento istintivo innato dovrebbe portarci a capire, accettare, aiutare e diffondere ogni forma di vita, poiché la nostra stessa esistenza è legata a quella delle altre vite: vegetali, animali e soprattutto umane. Se prendiamo in mano una piantina avvertiamo i suoi bisogni: di luce, nutrimento, acqua; ma, insieme ai suoi bisogni sentiamo che quella piccola, quasi insignificante vita vegetale ricambia le nostre cure dandoci serenità, pace, gioia, per non parlare del nutrimento e della stesa aria che respiriamo.

Ancora di più, se tra le braccia teniamo un animaletto, riconosciamo i suoi bisogni di nutrimento, affetto, coccole, giochi, ma avvertiamo nel frattempo i mille suoi doni: compagnia, conforto, tenerezza, calore e gioia.

Certamente più ricco è lo scambio che avviene tra esseri umani.

Se tra le nostre braccia c'è un bambino, se accanto a noi c'è un collega, un amico o ancora di più una persona amata e che ci ama, sentiamo forte la responsabilità e gli impegni verso di questi ma, nello stesso tempo, avvertiamo l'intima gioia che il rapporto con un altro essere umano ci dà in termini di dialogo, compagnia, aiuto, sostegno, amicizia, amore. Si può allora affermare che lo scambio tende ad essere paritario: più un essere è complesso, maggiori sono le sue richieste, ma anche maggiori sono i suoi apporti.

Il rapporto con la vita dipende dalla maturità e dalla serenità del soggetto. Per dialogare positivamente con gli altri esseri viventi bisogna possedere una certa maturità e serenità interiore, per cui il rapporto con la vita è tanto più attento e positivo quanto più l'essere umano è maturo, sereno e disponibile; al contrario è tanto più problematico e distruttivo quanto più la persona è immatura, disturbata o affetta da problemi psicologici.

 La persona serena e matura, quindi, tende ad amare e rispettare tutti gli esseri viventi ma soprattutto tende ad amare rispettare e proteggere gli esseri umani; la persona immatura o con disturbi psichici più o meno gravi tenderà ad avere difficoltà con tutte le forme di vita, soprattutto con le più complesse che richiedono molte capacità d’attenzione, di dialogo e d’impegno. Forse è per questo che nella nostra società vi è un graduale ma costante regresso nelle capacità d’amare e rispettare la vita umana, per cui il rapporto con altri esseri umani è sostituito da rapporti più semplici come quelli che si possono intrattenere con gli animali o con i vegetali o, peggio, con gli oggetti.

Questi ultimi che non chiedono nulla o quasi, che non parlano se non al nostro comando, che non disturbano, che non ci costringono al dialogo, all'attività educativa, al sacrificio, all'esempio, alla coerenza, stanno diventando sempre di più i nostri amici di cui ci circondiamo, con i quali dialoghiamo, dai quali cerchiamo gratificazione. E’ un dialogo triste, è un rapporto povero, è una gratificazione misera, ma per molti è diventata l’unica possibile.

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

Genitori autorevoli

 

Un buon genitore sa essere autorevole.

Per Lombardo: “Per educare occorre sommare la forza della ragione a quella del cuore, perché solo così si assumono i tratti dell’autentica autorevolezza.”  

Che cosa dà sicurezza a un ragazzo, a un bambino, a un giovane ma anche all’essere umano adulto?

Una cosa che dà sicurezza è sicuramente il sentirsi amato e rispettato. Dà sicurezza sentire che attorno a noi, accanto alla nostra anima, c’è qualcuno che ci ama, qualcuno che ascolta i battiti del nostro cuore, i suoi bisogni e riesce a soddisfarli.  Qualcuno che ci dà tenerezza, dialogo, comprensione e che sa intravedere e rispettare la nostra individualità.

C’è un altro caposaldo della sicurezza, purtroppo spesso trascurato nelle società permissive, ed è quello di sentire che accanto a noi vi è una persona autorevole.

Se l’autorità compete di diritto ad ogni educatore, uomo o donna che sia, poiché, avendo un’età maggiore dell’educando ha dei doveri nei suoi confronti, l’autorevolezza purtroppo non è di tutti gli educatori, giacché necessità di qualità che sono in parte innate, mentre in buona parte si sviluppano ad opera dell’ambiente. In ogni caso sono volute e alimentate dall’individuo stesso.

                                      IL GENITORE AUTOREVOLE

•    E’ consapevole dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.

•    Ha una grande forza interiore.

•    Rispetta profondamente il figlio e sa dargli un’equilibrata fiducia.

•    Sa farsi rispettare.

•    Ha stima dei figli.

•    Sa dare il giusto spazio alla libertà.

•    Sa dare norme e limiti chiari.

•    Sa essere flessibile ma non elastico.

•    Incarna i valori che propone.

•    E’ una persona matura e saggia.

•    Non ha bisogno della violenza per farsi ubbidire o per affermare le proprie idee.

•    Non ha paura del figlio.

•    Infligge punizioni giuste, equilibrate e limitate nel tempo.

E’ consapevole dei propri diritti, ma sa che il diritto all’autorità ha per contraltare tutta una serie di doveri.

Ogni genitore ha diritto al rispetto e all’ubbidienza da parte dei suoi figli.

Ma ha anche diritto ad autonome scelte educative che non possono e non devono essere condizionate dagli interventi esterni alla famiglia se non in minima parte. 

Purtroppo negli ultimi decenni il peso di questi interventi, nati per risolvere problematiche particolari e situazioni limite, si è fatto via via sempre più pesante, sia sul piano dei rapporti tra i coniugi che sulla gestione familiare e sui mezzi e strumenti educativi, esautorando, di fatto, i genitori di molti diritti gestionali senza dare, ed era pura illusione pensare di poterlo fare, risposte alternative giuste ed efficaci.

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Si è creata attorno alla famiglia una babele e una selva di leggi, regolamenti e sentenze che non solo ne limitano la funzionalità ma impediscono il sereno svolgersi della vita familiare, creando intensa conflittualità tra i coniugi e,  nell’animo dei giovani, perplessità, incertezze, dubbi e in definitiva paura ed ansia nei confronti dell’istituto matrimoniale e familiare.

Lo stesso stato e gli stessi giudici che discutono se un padre o una madre possono o no dare uno scappellotto al loro figlio ribelle non sembrano poi curarsi molto delle violenze che giorno dopo giorno, ora dopo ora si abbattono sui minori. Violenze che nascono dall’invadenza e dai condizionamenti della pubblicità, dall’azione diseducativa e lesiva dei mass media e  della rete internet, dal capillare spaccio di droga, dalle carenze affettive e così via.

Per quanto riguarda i doveri, ogni genitore ha:

•    dovere di “servizio” nei confronti dei figli; 

•    dovere alla linearità e alla coerenza tra ciò che l’educatore dice e ciò che fa;

•    dovere di intraprendere insieme all’educando un cammino comune, lento, faticoso, a volte doloroso, ma che si assume nella consapevolezza di un fine importante;   

•    dovere di una posizione che non può essere allo stesso livello dell’educando, giacché la necessità di essere ascoltati e ubbiditi gli impone comportamenti e atteggiamenti che non devono confonderlo con il figlio.

Il genitore autorevole ha grande forza interiore.

La forza interiore è fondamentale in mille occasioni della vita: per affrontare i problemi e le mille difficoltà d’ogni giorno, per vincere i dubbi e le incertezze nelle scelte, per chiarire dentro di sé le istanze interiori, per superare la tristezza e il dolore. Dolore e lutto per la perdita di persone care o che rappresentavano molto per la nostra esistenza. Non è pensabile, infatti, eliminare dalla vita la perdita delle persone care, come non è possibile eliminare gli elementi negativi che ci fanno soffrire: la frustrazione per qualcosa a cui si ha diritto e non ci è accordato; per qualcosa che volevamo o potevamo raggiungere e non abbiamo ottenuto. Non è possibile, abbiamo detto, ma forse non sarebbe neanche utile.  Servono le frustrazioni, per spingere più in alto il nostro sguardo, per stimolare le migliori capacità dell’uomo, in modo tale da superare noi stessi e le miserie della vita.

Anche le ansie, sono un elemento comune e inalienabile dalla vita. Soltanto una gran forza interiore ci potrà far superare l’ansia dell’attesa, di qualcosa che si desidera o che si vuole raggiungere. L’ansia come preoccupazione per le persone che ci sono care.

Così come ci vuole una gran forza interiore per vincere le delusioni: per un lavoro che non riusciamo ad ottenere, per qualcosa di noi che gli altri non rispettano, per una bocciatura o per le tante ingiustizie che si incontrano in ogni piega della società e che spesso non si possono eliminare o allontanare, per cui bisogna soltanto saperle affrontare. Anche l’aggressività degli altri è una realtà inalienabile. Non possiamo illuderci che il giovane e poi l’uomo possano vivere in un Eden fatto solo d’amore.

Quando i genitori hanno dentro di sé questa forza interiore, possono affrontare serenamente i mille problemi della vita quotidiana e soprattutto possono trasmetterla ai figli. Quando invece prevalgono la fragilità, la paura, l’inquietudine, l’emotività, l’autosvalutazione, per cui troppo spesso si pensa di commettere degli errori o di aver fallito, allora diventa veramente difficile essere genitori ma anche trasmettere all’altro qualità che non si possiedono, caratteristiche che non si hanno.

 Il genitore autorevole rispetta profondamente il figlio e sa dargli un’equilibrata fiducia

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 Il genitore autorevole sa rispettare, nel cammino verso la maturità e l’autonomia, la personalità e individualità, la libertà di giudizio del figlio. Non abusa della sua fiducia e credulità. Lo considera importante e ha stima di lui. Ha fiducia nelle sue capacità, possibilità e potenzialità.

Attenzione, però: non è fiducia l’incoscienza. Non è fiducia mettere la testa sotto la sabbia come lo struzzo, non vedere il pericolo, il rischio, o le gravi difficoltà in cui noi adulti lasciamo i nostri ragazzi soprattutto adolescenti. Non è prova di fiducia, dare più libertà di quanto un giovane possa utilizzare in maniera corretta, possa essere in grado di gestire.

La gestione della libertà è difficile e dipende da molti elementi: il tempo da gestire, la maturità dell’individuo, il luogo in cui bisogna gestirla, le persone che ci aiuteranno e così via.

Un genitore autorevole rispetta il figlio, ma sa farsi rispettare.

 

Il cercare a tutti i costi di “essere amici dei figli”, nasconde spesso la debolezza di carattere di un genitore. Se per amicizia intendiamo confidenza, dialogo, rispetto, possibilità di aprirsi all’altro, l’amicizia con il figlio è un bene; ma accanto a questi elementi relazionali deve permanere sempre, da parte del genitore, la funzione di guida e di sostegno morale.

E’ invece veramente preoccupante l’amicizia quando viene a mancare l’autorità. In questi casi il genitore tende a adattarsi al figlio, vivendo le sue stesse esperienze e condividendole, venendo così ad assume un artefatto ruolo giovanile. Volendo imitare e conquistare il figlio, rincorre i suoi atteggiamenti più moderni e spregiudicati, come il farsi chiamare per nome, dimenticando che ogni età ha la sua dimensione, la sua bellezza, i suoi doveri.

I genitori oggi esigono talmente poco rispetto per la propria persona che rischiano la stima dei figli.  Se si conoscono i propri limiti ci si sente sicuri e si stima la persona che responsabilmente dà quei limiti. In caso contrario nasce l’insicurezza e la disistima.

Il rispetto degli altri, soprattutto verso chi ha una funzione pedagogica e quindi di guida, ed in particolare modo dei genitori, degli insegnanti, dei leader, è essenziale per una buona crescita educativa; quindi è necessario fare rispettare il proprio ruolo, non ammettendo che sia canzonato o svilito. E’ giusto fare rispettare la maggiore età ed esperienza, poiché stimola il minore ad accettare i propri limiti e i ruoli che sono fondamento d’ogni vivere civile e quindi lo spinge ad impegnarsi e prepararsi ad assumere lui stesso un giorno un ruolo con maggiori onori ma anche con maggiori responsabilità.

Se il ruolo degli educatori è svilito, evidentemente quest’obiettivo non sarà più presente nell’animo e nella mente del giovane. Saremo amici, uguali ad altri amici, compagni uguali ad altri compagni. Per qual motivo un ragazzo dovrebbe cercare maggiori responsabilità ed oneri se questi non hanno alcuna contropartita? Dove può trovare la spinta maturativa e il desiderio di abbandonare il ruolo infantile ed adolescenziale trovando negli adulti le stesse caratteristiche degli amici?

 Il genitore autorevole ha stima dei figli.

La stima di sé è elemento indispensabile di sicurezza, gioia, forza interiore; quando qualcuno ha una buona stima di noi ci sentiamo più forti, più coraggiosi, più disponibili a dare e a ricevere, più aperti e intraprendenti, più ricchi. Quando invece qualcuno, soprattutto le persone a noi più care e più vicine come i nostri genitori, hanno poca stima nei nostri riguardi, la tristezza, l'inquietudine, l'insicurezza ci assale. Ci sentiamo piccoli e indifesi per cui reagiamo con la chiusura, con l'apatia, con il disinteresse, oppure con aggressività verso chi ci ha fatto provare questa sensazione negativa. Il risentimento può allargarsi anche ad altre persone, che nulla hanno a che vedere con il nostro stato d'animo ma che sono coinvolte in questa situazione di malessere.

E' giusto e sacrosanto criticare gli atteggiamenti ed i comportamenti inadeguati o poco consoni al vivere civile, ma bisogna farlo senza "togliere la propria considerazione per il valore della dignità altrui.”   In caso contrario l'altro si considererà un poco di buono, un fallito, un incapace, un essere inutile e spregevole. Sono da evitare, inoltre, l'ironia ed il dileggio: sono molto meglio “le critiche costruttive.” 

E’ giusto ed è utile anche confermare, approvare e lodare non solo i buoni risultati ma mettere in evidenza soprattutto gli sforzi di crescita cui possono seguire esiti negativi.   Quando un ragazzo s’impegna pienamente nello studio o nel lavoro ma, per motivi non dipendenti dalla sua volontà, non riesce a raggiungere i risultati voluti, è bene che trovi accanto a sé, il cuore dei suoi genitori che lo confortano e lo incoraggiano ad andare avanti, apprezzando il suo impegno e gli sforzi della sua volontà.

I genitori però non possono limitarsi a dire: “Bravo” o “Sono orgoglioso di te”, devono anche fare in modo che lo siano veramente, con il loro impegno, aiuto e abnegazione. Purtroppo ciò spesso manca nei genitori d’oggi, i quali sono pronti a difendere il proprio figlio con le unghie e con i denti di fronte ad insegnanti e educatori che evidenziano in lui problemi e difficoltà ma poi fanno poco o nulla affinchè egli le superi.

Il genitore autorevole sa dare il giusto spazio alla libertà.

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Poiché l’autorità non è in contrasto con la libertà; anzi, aiuta ad acquisire quella vera, egli ama la libertà e sa che questa è fondamentale nella crescita e nello sviluppo di qualsiasi essere vivente. Uno dei fini basilari dell’educazione è di fare del bambino “un uomo libero. “ Cioè un individuo padrone di se stesso. Capace di effettuare scelte consapevoli e di assumersi le responsabilità del suo stato.  Libero da condizionamenti, soprattutto interiori e quindi libero da complessi, traumi, conflitti all’interno della propria coscienza e del proprio Io; libero da un eccessivo orgoglio, dalla superbia, dall’egoismo; libero di realizzare i valori più alti dell’umanità.

 Per tali motivi, è indispensabile che il figlio apprenda a far buon uso di tale libertà operando delle scelte attente e responsabili tra i suoi molteplici desideri mentre deve riuscire a comprendere gradualmente e ad accettare i limiti della propria indipendenza sia nel personale interesse che, responsabilmente, negli interessi della società.

Il bambino, quindi, ha bisogno di spazio. Lo spazio fisico gli permette di muoversi, di giocare, di correre, di scoprire, di inventare, di creare; quello psicologico gli permette, mediante delle scelte libere e consapevoli, di cercare, scoprire e trovare nella vita una strada propria, da percorrere insieme a compagni di viaggio che saranno prima i suoi familiari, poi gli amici e quindi, da adulto, la persona da amare e con cui formare una famiglia.

Questo spazio psicologico può essere percorso e vissuto meglio e più facilmente approfondito se sono accettate ed osservate due condizioni di base.

1.    La prima è che sia proporzionale all’età e allo sviluppo. Un bambino piccolo può utilizzare bene uno spazio molto ristretto, fatto inizialmente soltanto dei suoi genitori: si perderebbe o si confonderebbe nel muoversi in uno spazio troppo ampio. Un bambino più grande, con più esperienza e maturità, riesce a padroneggiare uno spazio maggiore nel quale fanno parte anche i suoi parenti più stretti e poi gli amici del cuore, senza danno, senza inquietudine e ansia. Pertanto, con molta gradualità, il ragazzo ed il giovane potranno avvicinarsi senza molti problemi anche agli estranei.

2.    La seconda è che questo spazio abbia caratteristiche utili per l’educando. E’ necessario, pertanto, valutare attentamente rischi e benefici dei luoghi psicologici in cui si muove il minore e delle persone che frequenta. Se egli si muove e vive in un ambiente inquinato e quindi a rischio, anche quando avrà buone capacità di critica, la possibilità di fare o di farsi del male sarà sempre presente e attuale. Vi sono, nella nostra società del benessere, oggi, molti spazi neutri. Spazi in cui non si evidenzia né una chiara utilità né un preciso danno; anche questi è giusto che siano percorsi ma in maniera molto limitata.  L’assenza di finalità educative di queste realtà e quindi la mancanza di un loro specifico apporto positivo, si traduce lo stesso, se frequentati eccessivamente, in un danno per i minori.

Il genitore autorevole sa dare norme e limiti chiari. Sa essere flessibile ma non elastico.

Poiché il concetto di libertà implica automaticamente quello di responsabilità, compito dell’educatore è fare in modo che il bambino che sta crescendo e l’uomo che si sta formando siano responsabili e quindi capaci di controllare i propri istinti, desideri e bisogni senza soffrire eccessivamente per le costrizioni che il mondo reale necessariamente darà. Un bambino è libero quando sa utilizzare e mettere al frutto questa libertà, sa rispettare quella degli altri, sa porsi dei limiti, sa accettare i limiti che gli altri gli pongono. E' libero quando sa chiedere ma nello stesso tempo sa limitare le richieste, sa accontentarsi, riesce a postergare la soddisfazione dei suoi bisogni.

L’educatore autorevole amando la libertà sa che per poterla vivere pienamente essa ha bisogno di limiti, regole e norme ben precise.

 

Le regole e le norme sono indispensabili per rispettare gli altri e se stessi. Poiché fanno parte di un progetto educativo globale, che i genitori e gli educatori vogliono far percorrere all’educando, essi variano notevolmente in base all'età, alle qualità, alle caratteristiche di quest’ultimo e dell’ambiente che lo circonda.

 Il bambino deve sapere con chiarezza e certezza, ciò che è giusto fare e ciò che non è giusto. Distinguere ciò che è possibile, da ciò che non lo è. Ciò che è bene da ciò che è male. Ciò che è utile a lui, alla famiglia, ai genitori, alla società da ciò che non lo è. Ciò che è indifferente, quindi né utile né inutile, da ciò che è dannoso, quanto è dannoso e perché è dannoso.

Poiché è bene che l’educando sappia distinguere esattamente ciò che può fare da ciò che non può fare, ciò che gli è utile da ciò che non lo è, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, sono necessari dei “sì” chiari, precisi e definitivi ma anche dei “no”, altrettanto netti e chiari, anche se detti con amorevolezza e gentilezza.

Dei “no”, che abbiano il valore di un limite, di una norma, e quindi non si modifichino solo perché il figlio piange o protesta energicamente ma, eventualmente, siano adattati, in base alle circostanze e alla maturità di lui, con la giusta flessibilità.

Bisogna invece evitare di esser elastici; cosicché una norma possa essere interpretata in modo eccessivamente difforme o possa essere sconvolta nella sua interpretazione; quindi le regole, le norme, le indicazioni, devono essere fatte rispettare senza rigidità eccessiva, ma anche senza troppa elasticità che le renderebbe povere, non congruenti e ne svilirebbe il contenuto.

Se diciamo ad un figlio adolescente di ritornare a casa alle otto, ciò non significa che alle otto e un minuto, debba scattare la punizione, il rimprovero, o la reprimenda. Ma è altrettanto utile però stimolarlo alla puntualità e sostanziale accettazione e rispetto della norma, per cui non è accettabile, che il figlio si presenti  mezzora o un’ora più tardi, perché questo significherebbe stravolgere l’indicazione data, non abituarsi alla puntualità, alla lealtà, alla coerenza.

Questi “no” non dovrebbero essere numerosi. Ciò per permettere all’educando ampie possibilità di scoperte, di scelte e l’assunzione graduale di sempre maggiori responsabilità.

Un sano ed equilibrato rapporto educativo è possibile solo se, il genitore autorevole è sostenuto e confortato dall’ambiente familiare e sociale che lo circonda. Quando questo non avviene, per cui l’altro coniuge, gli altri educatori o l’ambiente sociale in cui la famiglia vive, tendono a svilire, svalutare o peggio contrastare una linea educativa autorevole, diventa estremamente difficile ottenere l’ubbidienza o proporre norme e limiti.  Come conseguenza di ciò ritroviamo o una frattura del rapporto con i figli, con il coniuge e gli altri educatori o, quel che è peggio, un abbandono dell’impegno educativo che si traduce in un aumento della vasta schiera dei genitori assenti o permissivi.

L'altro genitore, familiare o gli altri adulti dovrebbero fare proprie queste norme e aiutare i minori a rispettarle, in modo tale che possano tradursi in punti fermi, in paletti entro cui essi possano muoversi liberamente, sapendo di agire bene e correttamente, sia nei confronti di se stesso che verso gli altri. Quando queste circostanze si verificano i limiti e le norme potrebbero essere molto pochi ed essere necessarie soltanto nella fase iniziale del processo educativo; successivamente potrebbero scomparire quasi completamente, perché già interiorizzati dal soggetto e incarnati in tutti i suoi comportamenti. 

Ciò attualmente è molto difficile da ottenere, giacché il ventaglio degli atteggiamenti da parte dei genitori e degli educatori non solo è troppo ampio e confuso, ma soprattutto è spostato nettamente in senso permissivo, conseguentemente non si riesce a trovare nell’ambiente sociale, ma spesso anche in quello familiare, un atteggiamento educativo uniforme che giustifichi e sostenga limiti e norme.

Il “no” può e deve nascere quando la richiesta può comportare per il figlio una situazione di reale rischio fisico, morale o sociale. Questa condizione è la più facilmente compresa e accettata dal minore. Più difficile da comprendere, e quindi da accettare, è la necessità di portare avanti un progetto formativo che sviluppi le varie capacità e potenzialità del minore.

Se, per esempio, diciamo ad un giovane che siamo contenti che vada ogni tanto ad una festa, difficilmente potrà capire il perché molte feste non sono utili. Se una festa è un bene, tante feste dovrebbero essere ancora meglio. E’ difficile che comprenda, e forse non è neanche il caso di spiegarlo, che il nostro scopo è anche quello di aiutarlo a conservare il piacere del nuovo, del diverso, dell’eccezionale, del bello, del meraviglioso, della scoperta, facendo in modo che non sia banalizzata “la festa.”

E’ difficile che il giovane riesca a capire che una limitazione o un ostacolo al desiderio,  esalta l’oggetto del desiderio stesso, lo rende ancora più bello, più splendido, lo fa gustare ancora di più; com’è difficile che riesca a capire che ci sono delle limitazioni che servono a sviluppare la sua volontà, a forgiare il suo carattere o a dare stimoli all’autonomia e all’indipendenza. Le limitazioni, infatti, se non sono eccessive, rafforzano e danno maggiore grinta all’essere umano, lo aiutano a crescere ed a porsi su un piano di maggiore consapevolezza, liberandolo dalle dipendenze infantili.

I “no” vanno se possibile spiegati all’educando, pur sapendo che non sempre egli è in grado di capire o di accettare le motivazioni. A volte non è in grado di capire per motivi legati all’età o all’immaturità. La differenza tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il bello ed il brutto, tra il vero e il falso si conquista gradualmente negli anni. Altre volte è difficile per l’educando capire in quanto si trova in una situazione ed in un ruolo in cui gli sfugge la complessità del progetto formativo dei genitori. Dal suo punto di vista, i nostri scopi appaiono troppo lontani, indefiniti, oscuri.

In altri casi, i nostri obiettivi e valori si scontrano con quelli di una società che n’è priva o porta avanti esigenze e bisogni opposti a quelli utili e necessari ad una sana educazione. Quest’incomprensione non deve limitare e bloccare il nostro agire, per tale motivo nonostante ciò, dobbiamo ugualmente porli e farli rispettare. Se io dico ad un bambino piccolo che non ha ancora avuto la dolorosa esperienza della scottatura, che il fuoco brucia e che può farsi del male, il bambino non capirà o capirà solo parzialmente che il fuoco è pericoloso. Fargli fare l'esperienza del fuoco che fa male e che brucia potrà sì essere una lezione, ma questa lezione potrebbe lasciare indelebili cicatrici! Lo stesso avviene se mettiamo dei limiti al tempo libero di un adolescente. Difficilmente questi potrà capirne lo scopo, o gli scopi dell'educatore come quelli di evitare rischi inutili, aiutarlo a concentrare la sua attenzione sugli impegni e non solo sulle attività piacevoli, stimolare la sua crescita, responsabilità, condurlo a valorizzare gli elementi piacevoli della vita evitando quindi di banalizzare gli incontri, le feste, l’amore, il sesso.

Un genitore autorevole incarna i valori che propone.

L’autorità educativa si evidenzia non solo nel proporre princìpi etici, religiosi o sociali, ma anche e soprattutto nell’incarnare tali valori. Ad esempio ciò che un educatore dice riguardo all’onestà è importante, ma se dimostra, anche nelle piccole occasioni d’essere onesto è molto meglio. C’è sempre uno scarto tra princìpi e valori che si propongono e quelli che si riesce a vivere concretamente, ma non vi è dubbio che quanto più questo scarto è ridotto, tanto meglio e più profondamente si riesce a seminarli e farli crescere nell’animo di un giovane.

Il genitore autorevole è anche una persona matura e saggia.

 

Essere maturi significa aver fatto un percorso di vita, che rende possibile capire gli altri, farsi capire dagli altri, essere capaci di guida, di ascolto e di conforto, poiché si è pervenuti ad un buon livello di crescita e d'integrazione tra le varie componenti della personalità. La saggezza è invece, una ricchezza interiore che ci permette di dare la nostra esperienza, il nostro sostegno, consiglio e incoraggiamento nei modi e nei tempi più opportuni. Queste doti facilitano i processi d’identificazione, ma anche di confronto, quando è necessario. 

I nostri giovani che stanno molte ore con gli altri coetanei, con questi potranno sicuramente giocare e divertirsi, ma il confronto è parziale e limitante, giacché si ritrovano tra persone che hanno problemi, esigenze, livelli di maturazione molto simili. Per tale motivo, i coetanei difficilmente potranno essere guida efficace, fonte d’esperienza, sostegno ed identificazione. Queste qualità si possono soltanto ritrovare in un adulto maturo, responsabile e saggio.

Un genitore autorevole non ha bisogno della violenza per farsi ubbidire e per affermare le proprie idee.

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Basta poco alla persona autorevole per farsi ubbidire. Il rispetto, il fascino, la fiducia, la serenità, l’autorità che emana, la capacità di essere comprensive e ferme nello stesso tempo, permette a queste persone di ottenere obbedienza senza bisogno di utilizzare la violenza e limitando al massimo le punizioni, i ricatti, le minacce. Spesso esse non hanno bisogno neanche di alzare la voce per ottenere quanto richiesto.

I genitori autorevoli non hanno paura del figlio.

I genitori psicologicamente più labili, emotivamente più fragili, spesso hanno paura dei comportamenti aggressivi e distruttivi del figlio, per cui sono costretti a subire continui ricatti. Le minacce possono essere esplicite: “Se non mi concedi questo vado via di casa”, “non ti parlo più”, “mi metto a gridare”, “non studio”, “non vado a scuola”, “non mangio”; oppure, il più spesso, implicite mediante l’utilizzazione di comportamenti e d’atteggiamenti con i quali l’esperienza gli ha dimostrato che può ottenere quanto desiderato.

In tutti i casi cedere significa incamminarsi in una strada fatta di concessioni in seguito a continue pressioni e ricatti. Un buon genitore dovrebbe riuscire, anche con notevole sacrificio e sofferenza, a respingere ogni tentativo di questo genere.

Un genitore autorevole infligge punizioni giuste, equilibrate e limitate nel tempo.

Per quanto riguarda le punizioni è un’illusione tragica il pensare che si può non usarle mai nell’educazione d’un bambino, d’un giovane o d’un adulto. In ogni caso se vi sono dei limiti e delle norme da far rispettare, è indispensabile che chi non li rispetta nonostante li conosca e sia maturo per farlo, ne paghi le conseguenze; anche perché la punizione, se è giusta e non ecces-siva, ristabilisce l’equilibrio e controbilanciando la mancanza; essa pertanto evita sensi di colpa e d’indegnità nei minori come negli adulti e aggressività repressa nell’educatore.

La persona saggia e autorevole sa però che le punizioni sono necessarie solo se l’educando

ha la consapevolezza della mancanza fatta, ed è in grado di controllare efficacemente le proprie azioni; quindi non ha senso castigare i bambini piccoli se ancora non hanno raggiunto la consapevolezza dei loro comportamenti o se non possono averne il controllo. Se un bambino maneggia ancora in maniera maldestra gli oggetti, non è sicuramente colpevole se lascia cadere e, quindi, rompe qualcosa che, incautamente, gli abbiamo lasciato tra le mani.

In questo caso i responsabili siamo noi e non lui; se non v’è ancora il concetto di proprietà, che matura dopo i tre - quattro anni, non vi può essere una punizione per furto. Lo stesso vale per le bugie di un bambino negli anni della prima infanzia, periodo in cui ancora la fantasia si confonde con la realtà.  In questi casi è giusto soltanto un richiamo e un lieve rimprovero, per iniziare a far comprendere, accettare e far propri gradualmente i principi e i valori etici. Né ha senso la punizione quando il soggetto non aveva alcuna volontà di eludere la norma o la richiesta. Ad esempio quando il fatto è avvenuto per il verificarsi di un evento occasionale. “Io avevo fatto di tutto per tornare in orario ma un guasto (reale!) alla macchina me l’ha impedito.” Come è giusto perdonare o trattare benevolmente un’unica mancanza, mentre è corretto essere più severi quando la mancanza si ripete: “Errare humanum est, perseverare diabolicum.”

Per essere giusta ed efficace la punizione deve inserirsi in un disegno educativo sereno e lineare,   non dovrebbe nascere dallo sfogo di un malumore, da un momento di collera, né da paure o ansie immotivate dell’educatore.

Le punizioni date in un momento immediatamente successivo alla colpa sono meglio collegate a questa. Se un genitore castiga troppo frequentemente o impone punizioni eccessive, quasi sicuramente troveremo qualcosa che non va nelle sue capacità educative o nello sviluppo del bambino. Quando un genitore è autorevole e la sua linea educativa è chiara, precisa e ferma, quest’evenienza si presenterà raramente.

Se, ad esempio si è dato un orario ben preciso, si è spiegato il motivo per cui è necessaria la puntualità ed è chiara anche l’eventuale punizione, il bambino, il ragazzo, il giovane ha tutti gli elementi per controllare i suoi comportamenti.  Sa che cosa deve fare, perché deve farlo e qual è l’eventuale punizione. Conosce anche in positivo, l’accettazione dei genitori e lo spazio che ha a disposizione. “ I miei genitori sono contenti che io esca, perciò è una cosa buona uscire, è bello parlare e divertirsi con gli amici in modo sano e costruttivo.” La certezza e la chiarezza dei diritti, come delle norme, dei limiti e delle pene, fa diminuire notevolmente il numero delle infrazioni.

Ciò sanno bene i nostri amici giuristi. 

Invece, il non conoscere i propri diritti o il sottostare a  pene aleatorie scritte solo sui codici ma raramente applicate, fa aumentare notevolmente il numero e la gravità dei reati e porta a comportamenti sempre più devianti e deviati. Per tale motivo, un rimprovero chiaro, netto o un piccolo castigo applicato senza tentennamenti o marce indietro, nel momento opportuno, evita mille rimbrotti, rimproveri e castighi notevolmente più gravi e numerosi in futuro.

L’ultima cosa che vogliamo dire a questo riguardo è di non utilizzare, se non raramente e in situazioni eccezionali, le armi affettive con le quali gli educatori cercano di ottenere qualcosa o di infliggere una punizione stimolando il senso di colpa. “Se tu fai questo mi fai soffrire, morire, dispiacere, mi fai stare male, uccidi tua madre.” Le armi affettive tendono a provocare disagio interiore, ansia, sensi di colpa che possono accentuare piuttosto che risolvere i problemi di comportamento.

Dove stanno i padri autorevoli?

Già da qualche anno, sempre più frequentemente gli psicologi, i sociologi, i pedagogisti, esprimono a gran voce, dopo ogni segno di follia giovanile, la necessità che i genitori, soprattutto i padri, seguano i figli con autorevolezza.

“A.A.A. Padri autorevoli cercasi” è l’appello che viene costantemente ma invano lanciato, anche perché sembra che di questi genitori o padri autorevoli ne sia scomparsa ogni traccia. Purtroppo se non sono evidenziate e risolte le cause che portano a questa quasi estinzione, pensiamo che l’appello continuerà a cadere costantemente nel vuoto.

 “A.A.A. Padri autorevoli cercasi”, dovrebbe trasformarsi in “A.A.A. Società responsabile, attenta e coerente cercasi.” Chi se non una società responsabile e attenta potrebbe dar vita a padri ed educatori autorevoli? La loro scomparsa è stata provocata da una serie d’interventi assolutamente irresponsabili da parte di molti settori di quella stessa società che adesso, nei momenti in cui avverte più intensa la crisi delle giovani generazioni, li richiede a gran voce.

Per troppi decenni in maniera massiccia, da parte dei legislatori, dei mass - media, dei politici e degli stessi sociologi, psicologi e pedagogisti che adesso richiedono a gran voce padri autorevoli, le caratteristiche sopra descritte sono state tradotte e presentate in maniera negativa.

COME SI DISTRUGGE L’AUTOREVOLEZZA

•    La maturità e la saggezza sono state viste come saccenteria e vecchiaia.

•    Gli atteggiamenti responsabili, come interventi fuori del tempo e della storia, lontani dalla realtà del 2000.

•    La serenità è stata vista come freddezza, insipienza e noia.

•    La virilità nei comportamenti come maschilismo ed oscurantismo.

•    La linearità come rigido militarismo.

•    I limiti e le norme come offesa alla libertà e ai sacrosanti diritti individuali e collettivi. “Per carità non irreggimentiamo i nostri giovani, non li facciamo diventare come dei soldatini”, è stato per anni il ritornello degli specialisti di turno.

•    La coerenza e la fermezza sono state viste come autoritarismo, aggressività, dittatura del padre padrone; quindi, se i figli ubbidiscono, sono visti come delle marionette in mano ai loro genitori tiranni; se non lo fanno, ne hanno molti buoni motivi.

•    Sia che venisse dai professori, dai politici o dai genitori, ogni atteggiamento che chiedeva responsabilità, attenzione, coerenza è stato bollato di autoritarismo.

•    Le punizioni come gratuita violenza esercitata sui minori.

Sappiamo per certo invece e non da ora, ma dall’inizio dei tempi, che l’unire l’affetto, la dolcezza, la sensibilità, la tenerezza, alla fermezza e alla sicurezza, non è un controsenso.

 E’ ciò che ogni buon genitore ha fatto, ogni genitore può fare, deve fare. Non facciamo quindi mancare ciò che è indispensabile: non facciamo mancare dei genitori e degli educatori autorevoli accanto ad ogni bambino, così come accanto ad ogni giovane.

 

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

 

 
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