L'educazione

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Pubblicità ed educazione dei minori

 

La pubblicità ha lo scopo di informare sull’esistenza e sulle caratteristiche di un determinato prodotto, sulla sua necessità nella vita quotidiana, sull’importanza che esso può rivestire per il benessere dell’individuo.

La pubblicità attraverso il coinvolgimento razionale, ma specialmente istintivo ed emotivo, cerca di coinvolgere, convincere e stimolare all’acquisto del prodotto stesso. Ciò ottiene utilizzando tutti gli strumenti della persuasione: la semplicità, la bellezza, la ripetitività, il sesso, il potere. Il suo uso è aumentato enormemente su tutti i mezzi d’informazione, ma anche per strada, sui campi di gioco, sulle magliette, sugli autobus urbani ecc.. Non è praticamente possibile sfuggire ai mille messaggi pubblicitari da cui si è bombardati continuamente.

Le conseguenze sono numerose e tutte hanno dei risvolti educativi di notevole importanza.

•    Poiché viene esaltata l’importanza della funzione degli oggetti, questi assumono con il tempo una rilevanza sproporzionata nella relazione tra i sessi, nella vita affettiva ed emotiva dell’individuo, della coppia e della famiglia. E’ l’oggetto che ci rende gradevoli agli altri, interessanti, buoni, affettuosi, prestanti, forti, felici. Ciò naturalmente è falso, ma diventa gradualmente un concetto condiviso e condivisibile dalla massa delle persone, le quali si sentono buone solo se regalano o portano in famiglia certi oggetti; forti, intraprendenti e gradevoli se fanno uso di un determinato prodotto e così via. Ciò ci fa pensare a quel padre che abbiamo incontrato qualche tempo fa il quale si considerava il migliore dei padri giacché si sacrificava nel lavorare anche la domenica e le feste per permettere ai figli di avere gli oggetti firmati che avevano i suoi compagnetti “In modo tale che non subiscano dei traumi nel confronto con gli altri ragazzi”, diceva. Quel padre, purtroppo, non è un caso così raro come sembra. Molti padri e madri sono convinti in buona fede, perché la pubblicità martellante lo ha detto loro migliaia di volte, che non avere gli stessi oggetti griffati che hanno i compagni costituisca un trauma psichico per i figli e pertanto, privare se stessi di un sano riposo ed i figli di una presenza affettuosa e dialogante è un sacrificio indispensabile. Naturalmente è esattamente il contrario ma questo non è in linea con la società dei consumi.

•    Al centro della vita affettiva e relazionale non ci sono più le caratteristiche, le qualità ma anche gli sforzi, i sacrifici fatti dalla persona per migliorarsi e migliorare l’ambiente di vita ma i prodotti che l’accompagnano. I sentimenti provati e vissuti sono anch’essi collegati agli oggetti: “La felicità è…”, “l’amore è…”, “la gioia è…”, “l’amicizia è…”: un’automobile, un orologio, un televisore, una lavatrice, regalata, posseduta, comprata, desiderata, usata. Poiché quanto promesso non viene poi mantenuto, la delusione è cocente e spinge all’acquisto di un nuovo prodotto con la speranza che quest’ultimo mantenga le promesse fatte, per cui le nostre case sovrabbondano di splendide cose ma risultano povere, sempre più povere di vero amore, di vera gioia, di vera comunione umana; eppure sappiamo benissimo che l’importanza degli oggetti nella vita affettiva è modesta. La felicità, la serenità, la gioia, l’amore, dovrebbero essere ricercati nel rapporto con se stessi, con gli altri, con la natura e con la divinità e non in un pezzo di vetro o plastica, né in un marchingegno elettronico.

•    L’uso continuo di messaggi a sfondo sessuale, studiati in modo particolare per vendere o fare accettare un prodotto, determina assuefazione, perciò gli stimoli seduttivi non sono più riconosciuti o valorizzati nella relazione tra i sessi se non assumono caratteristiche particolarmente spiccate. Per tale motivo le donne occidentali sono costrette, pur di cercare di sedurre e stimolare l’interesse sessuale degli uomini, ad accorciare sempre di più le gonne e ad usare biancheria e modi sempre più eccitanti e stimolanti sessualmente per risvegliare lo scarso interesse maschile.

•    Un altro elemento negativo legato alla pubblicità e la diffusione di falsi valori. Spesso attraverso la pubblicità sono veicolati falsi valori e falsi obiettivi. Ad esempio, il termine felicità è uno dei più usati ma questa viene intesa come possesso di qualcosa o di qualcuno, come piacere o come divertimento e non come serenità interiore, crescita, conquista, vicinanza agli altri e a Dio. La bellezza diventa solo sesso e forme provocanti. La bontà, un regalo costoso. La forza è vista come capacità di soggiogare e schiacciare l’altro e non come capacità di impegno e sofferenza per aiutare gli altri o per vincere se stessi ed i propri impulsi distruttivi e regressivi. L’obiettivo della vita diventa il piacere, la gioia, il divertimento, la conquista sessuale, la bellezza esteriore, l’acquisto di “oggetti simbolo” che di volta in volta possono essere: la macchina prestigiosa, la moto, la villa, il telefonino. La vita diventa allora qualcosa da conquistare, mordere e utilizzare con grinta, il più rapidamente e affannosamente possibile, bandendo la noia e la banalità, ma anche la riflessione, l’intimità, il pudore, l’ascolto.

•    La pubblicità condiziona pesantemente molte scelte della vita quotidiana. Queste sono spesso orientate dal numero e dalla qualità degli innumerevoli spot pubblicitari cui assistiamo giornalmente; per tale motivo le case sovrabbondano di prodotti spesso superflui, inutili se non dannosi, accatastati negli armadi ed in ogni angolo delle abitazioni. Oggetti però che è possibile comprare solo se si riesce a guadagnare molto e quindi l’imperativo di occupare buona parte del proprio tempo e delle proprie energie nel lavoro.  La conseguenza più immediata e che in tal modo sono trascurati e messi in secondo piano gli affetti e la famiglia.

•    Anche le nostre idee, il linguaggio, la vita di ognuno di noi appare livellata e condizionata dal mercato. Secondo uno studio recente dell’Eurispes (istituto di studi politici, economici e sociali), “la pubblicità determina i modelli di comportamento, tende a formare i bisogni. Non fornisce al pubblico, elementi di riflessione critica, ma produce condizionamento. Il consumo diventa valore in sé mentre vengono ignorati i comportamenti razionali di acquisto.”

•    Inoltre la pubblicità spinge a rapportarsi più al presente che al futuro. E’ oggi che bisogna comprare, avere, possedere, è oggi che si deve rubare il piacere dell’oggetto o di quel servizio. Non c’è nella pubblicità il domani, tanto meno c’è un progetto di vita che si apra nel futuro e che nel futuro abbia espressione e concretezza.

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LA PUBBLICITA’ ED I BAMBINI

Se tutto ciò che abbiamo detto è grave per gli adulti lo diventa ancora di più per i soggetti in età evolutiva: bambini, ragazzi, giovani.

 Mentre l’adulto riesce, anche se solo in parte, a difendersi e a contrastare l’aggressione della pubblicità voltando pagina quando legge il giornale o cambiando canale e interrompendo l’audio nella TV, i bambini non riescono a fare ciò, anche perché a loro, incantati da un mondo platinato, brillante, bello, luccicante che li blandisce nei loro desideri e sogni, la pubblicità piace. Per tale motivo si sorbiscono ogni anno senza protestare circa quindicimila comunicati commerciali.

Il soggetto in età evolutiva avendo meno capacità critiche dell’adulto assume, come verità, quanto gli è proposto. Poiché ha difficoltà a distinguere la realtà dalla fantasia e a criticare quanto vede subisce, più degli adulti, un condizionamento notevole che lo spinge ad innamorarsi dei prodotti commercializzati e quindi a chiederli con insistenza. Inoltre, ciò che viene amato e desiderato da bambini tende a rimanere nella mente anche nell'età adulta, quindi, anche quando essi saranno più grandi, ricercando la felicità collegata all’infanzia, tenderanno a cercare quei prodotti diventati simbolo di un’età ricca di coccole, di affettuosità, di consolazioni.

Le conseguenze più gravi si hanno quando la pubblicità s’inserisce in un programma cui il bambino assiste. In questi casi egli, non riuscendo a capire e a distinguere ciò che è pubblicità da ciò che non lo è, avverte nella sua mente un affastellarsi di immagini, pensieri e parole, che si mescolano l’uno con l’altro in un groviglio inestricabile.

L’IPOMOBILITA’

Numerosi studi hanno dimostrato i danni dovuti alla scarsa attività motoria. L’essere umano che per millenni ha basato la sua vita sul movimento: per lavorare, per cacciare, per viaggiare, ha bisogno, per un sano sviluppo psichico e fisico, di una frequente e costante attività motoria a tutte le età. Tale attività migliora, e di molto, la circolazione sanguigna nei vari distretti, compresi quelli cerebrali, stimolando un migliore metabolismo negli organi e apparati che si riflette, in modo benefico, sull’umore, sull’attenzione, sull’ansia e la tensione. La moderna civiltà, che ha basato il suo sviluppo nel cercare in tutti i modi di “liberare” l’uomo dalla fatica fisica mediante le macchine, tende a privare sempre di più l’uomo di questo bisogno essenziale. La televisione, con i suoi programmi che coprono l’intera giornata, i computer, gli schermi dei videogiochi, oltre che l’uso improprio dell’automobile, diminuiscono di molto la possibilità di un sano esercizio fisico, provocando una serie di danni a vari livelli: muscolare, osseo, cardiaco, ormonale, cerebrale.  A tutte le età, ma soprattutto nell’età infantile e nell’anziano la scarsa motilità cui li costringe la TV può portare ad alterazioni dell’umore e del comportamento: maggiore chiusura, malinconia, tristezza, irritabilità, ansia, insonnia, apatia, disinteresse.

 

Tratto dal libro di E. Tribulato "L'educazione negata" Edizioni E.D.A.S.

Famiglie estese e famiglie ridotte: il figlio unico

 

 

Famiglie estese e famiglie ridotte

Si è notato come il benessere fisico e psichico dei minori sia direttamente proporzionale al numero e alla qualità delle persone legate a questi da stabili vincoli affettivi e di parentela. Quando accanto ad un cucciolo d'uomo sono presenti, nei suoi bisogni materiali, nelle necessità affettivo – relazionali, ma anche nei suoi giochi e nelle sue scoperte, degli esseri umani numerosi, qualitativamente validi, e a lui legati da vincoli affettivi stabili, le attenzioni, la quantità e la qualità del dialogo, i contatti capaci di apporti positivi aumentano in modo considerevole.

 Per Lidz[1]:

 “Quando la famiglia nucleare composta da genitori e figli, non è nettamente separata dall’ampio contesto dei parenti (nonni, zii e zie, cugini ecc.), le varie funzioni della famiglia vengono divise fra i parenti. I genitori sono aiutati nell’allevamento dei figli i quali, a turno, possiedono molti genitori “sostituti”. Gli effetti delle anomalie e delle deficienze dei genitori, e quindi l’influenza della loro personalità, sono fortemente diminuiti”.

Per Zattoni e Gillini[2]: quando il bambino entrava in un contesto di famiglia allargata fatto di cascina, cortile o persino di paese “…i piccoli erano un bene comune, senza che questo venisse proclamato a parole; se il bambino combinava qualche guaio, veniva redarguito dagli adulti presenti; così come, se faceva sfoggio di qualche capacità, aveva un naturale “pubblico” adulto che gli batteva le mani”. Ciò non avviene quando la rete sociale e parentale è molto ridotta o, come spesso avviene nel mondo occidentale negli ultimi decenni, è quasi assente. In questa condizione è facile che i piccoli dell'uomo soffrano di carenze in molti momenti della loro crescita e del loro sviluppo. Soffrono nel momento dell'attesa e della nascita, in quanto le ansie dei genitori non saranno affrontate e quindi placate o ridotte da persone più mature ed esperte che potranno consigliare, rasserenare e accogliere le paure sia della madre sia del padre. Soffrono nei primi mesi di vita, in quanto mancherà ai loro genitori una guida autorevole e serena che li indirizzi sulle tante problematiche da affrontare in questo periodo, che è anche il momento più delicato e decisivo per l'instaurarsi di un sano e felice rapporto e legame genitori-figlio. Soffrono quando questi genitori sono costretti ad affrontare in solitudine i numerosi malanni o disturbi psichici e somatici dei figli. In questi casi l'intervento del pediatra o dello specialista non sempre è sufficiente a sedare le ansie di papà e mamma. E per finire, i bambini soffrono quando avrebbero bisogno di iniziare a socializzare con i fratelli o con i cugini, con i quali vi è un’antica e prolungata frequenza e invece sono costretti a confrontarsi, in ambienti affollati, con gruppi di coetanei sconosciuti, vocianti e spesso irritati e irritabili, in quanto frustrati a causa della lontananza dai genitori e dalle rassicuranti mura domestiche. Per tali motivi tutti i piccoli dell'uomo, come quelli di molti animali, dovrebbero avere la fortuna di crescere in ambiti familiari ricchi di capacità umane ma anche estesi.

Il figlio unico

Nell’essere figlio unico vi sono certamente dei vantaggi. Non è necessario dividere con altri fratelli l’amore dei genitori. Questi, se vogliono, possono tranquillamente dedicare tutte le affettuosità e tutto il tempo che hanno a disposizione, a questo figlio. Inoltre, se si è più piccoli, evi sono più fratelli, è facile dover subire le angherie del fratello maggiore. Ma anche quest’ultimo sarà costretto a sopportare le prepotenze del fratello minore quando questi, approfittando della maggiore protezione dei genitori che gli è accordata, potrà impossessarsi dei suoi giocattoli o fumetti, scappando subito dopo, per nascondersi dietro la gonna della mamma e così farsi proteggere. Questa mamma, d’altra parte, difendendolo, non mancherà di dire l’odiosa, aborrita frase: “Tu sei grande, accontenta tuo fratello che è piccolino”. Sarà, inoltre, più facile per i genitori accontentare il figlio unico nei suoi bisogni e nei suoi desideri costosi, in quanto le finanze della casa non devono essere ripartite tra due o tra tanti elementi.

 

 

Accanto a questi aspetti positivi ve ne sono, però, molti altri negativi. Essere figlio unico significa:

  •   rinunciare a molti stimoli di tipo competitivo, nel conquistare e poi mantenere l’affetto dei genitori mediante i comportamenti più opportuni, affettuosi, dialoganti e collaboranti;
  •   perdere precocemente il piacere e le esperienze ottenute mediante i giochi infantili in quanto, giocando e dialogando spesso con persone adulte, i figli unici sono stimolati a diventare precocemente adulti negli atteggiamenti e nei comportamenti;
  •   essere costretti a confrontarsi molto presto con il mondo degli adulti senza aver prima sperimentato il rapporto protetto con altri minori con i quali si è già stabilito un legame affettivo e di sangue;
  •   non avere la possibilità di comparare esperienze, idee, riflessioni e pensieri con altri minori, diversi per età e per sesso ma che vivono gli stessi valori familiari;
  •   non avere la possibilità di trovare nei fratelli maggiori dei fondamentali modelli di riferimento, da imitare ed introiettare;
  •   non poter giocare con minori che vivono e partecipano dello stesso clima familiare, che hanno un analogo stile di comportamento e che condividono i medesimi valori;
  •   non poter utilizzare e godere di una realtà e di una presenza calda e rassicurante, nel momento in cui i genitori sono assenti per lavoro, quando uno di loro viene a mancare o nei momenti di crisi della famiglia. Crisi che può sopravvenire a causa di gravi conflitti coniugali o, peggio, per la frattura della coppia genitoriale;
  •   dover affrontare la genitorialità senza aver avuto preziose esperienze educative e di cura di bambini piccoli. Per Winnicott:[3] “…ogni bambino che non sia passato attraverso questa esperienza e che non abbia mai visto la madre allattare, lavare e curare un bambino piccolo, è meno ricco del bambino che è stato testimone di questi avvenimenti”;
  •   confrontarsi frequentemente con dei genitori permissivi o ansiosi. I genitori dei figli unici, vivono con più apprensione e paura il loro ruolo. Hanno timore che al loro unico erede capiti qualcosa di grave, e poiché hanno anche ansia e timore di perdere il suo affetto, hanno difficoltà a porre in essere comportamenti autorevoli, in quanto temono che lui reagisca negativamente e distruttivamente di fronte ad atteggiamenti educativi severi;
  •   non essere rafforzati, mediante la nascita del fratellino, dall’idea che i genitori si vogliono ancora tanto bene da scommettere sul futuro, arricchendo la famiglia di un nuovo elemento;
  •   fare esperienze di ruoli diversi, così da prepararsi a vivere in gruppi più vasti, e alla fine, nel mondo:[4]
  • avere difficoltà ad allontanarsi dalla famiglia in quanto schiacciati e legati dalla responsabilità di dover lasciare dei genitori che, in mancanza di altri figli, rimarrebbero soli.

 

Tratto dal libro: "Mondo affettivo e mondo economico-Conflitto o collaborazione" Di Emidio Tribulato

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[1] Lidz T., (1977), Famiglia e problemi di adattamento, Torino, Editore Boringhieri, p. 30.

[2] Zattoni M.,  G.Gillini, G., (2003), “Di mamma non ce né una sola”, Famiglia oggi, N°2, Febbraio, p. 12.

[3] Winnicott D.W., (1973), Il bambino e la famiglia, Firenze, Giunti e Barbera, p. 146.

[4] Winnicott D.W., (1973), Il bambino e il mondo esterno, Firenze, Giunti e Barbera, p. 148.

 

 

Separazione, divorzio e difficoltà educative

 

Il mondo del bambino inizialmente è limitato alla propria casa e ai propri genitori, per tale motivo è diverso dal mondo degli adulti che è ampio, perché fatto di numerosi e complessi rapporti familiari, amicali, professionali e di mille conoscenze. Compito degli adulti dovrebbe essere pertanto quello di dargli un mondo pacifico anche se non dell'Eden; invece, quando avverte tra loro conflitto, freddezza, aggressività, tutto il suo essere è pervaso, sconvolto e squassato dal conflitto, dall'aggressività, dalla tensione; pertanto ogni disturbo della relazione dovrebbe essere ”curato” o con l’aiuto di persone mature e responsabili o mediante specialisti nella terapia della coppia e della relazione.

D’altra parte, anche quando la separazione è già avvenuta, le conseguenze e le tensioni non diminuiscono di molto. Per tutti questi motivi, nel caso di separazione o di divorzio, è raro che entrambi i genitori riescano a seguire e curare l’educazione e la crescita dei figli in maniera adeguata, a causa della mancanza di stima, affetto, apertura e disponibilità reciproca e a motivo della perdita d’autorevolezza. Inoltre, lo scontro tra i genitori, che spesso si trasforma in guerra aperta, coinvolge anche i figli che sono costretti a schierarsi con l’uno o con l’altro.

In genere questi tenderanno ad allearsi con il genitore al quale sono stati affidati, in quanto  è il genitore più vicino, quello che li cura di più, ma anche quello che ha tutta la possibilità di parlare male dell’altro, senza che quest’ultimo possa difendersi.

    Lo schierarsi, porta inevitabilmente ad una perdita di stima e quindi di autorevolezza nei confronti del genitore avvertito come colpevole. A sua volta, quest’ultimo, non sentendosi più amato e rispettato, tenderà a rispondere con altrettanta acredine o con freddezza.

Il rapporto genitori – figli, pertanto, si deteriora rapidamente, e molto spesso anche definitivamente.

    Da ciò nasce quella “lacerazione interna” di cui parlano i figli dei separati o divorziati.  Lacerazione in quanto, ogni figlio vorrebbe apprezzare e amare entrambi i genitori.

Dalla lacerazione discende il frequente vissuto di colpa.

Non è raro, come conseguenza di quanto abbiamo detto, il rifiuto del figlio di restare anche per poche ore con il genitore non affidatario, sia per sfuggire al senso di colpa e alla tensione interiore, sia per l’acredine reciproca, che spezza rapidamente i legami affettivi preesistenti.

Più raramente, specie nel periodo adolescenziale, con la fine della fase edipica, può accadere che il genitore accusato, diventi quello con cui il figlio convive. Ciò è facilitato dall’atteggiamento polemico e contestatore caratteristico di quest’età e dalla necessità, da parte del genitore affidatario, d’interventi educativi tendenti a limitare o reprimere i comportamenti e gli atteggiamenti più problematici.

L’adolescente tenderà allora a manifestare aggressività, irritabilità ed atteggiamento dispettoso ed irrispettoso nei confronti del genitore che si cura di lui e che vorrebbe, anche per questo, tutta la sua solidarietà e comprensione. La risposta di quest’ultimo, a tali accuse ed aggressività che ritiene assolutamente illegittime ed ingiuste, scatena spesso altrettanta aggressività e rifiuto verso il figlio ritenuto immeritevole di tanti sacrifici.

Manca spesso inoltre, in queste situazioni, un dialogo efficace.

Questo, che dovrebbe essere continuo e spontaneo, è limitato per il genitore non affidatario alle poche ore settimanali concesse dal giudice, spesso in un clima di sospetto e diffidenza reciproca. Per il genitore affidatario, invece, la difficoltà nasce soprattutto dalla carenza di una figura che l’aiuti, l’accompagni, e lo collabori nell’attività educativa, ma anche dall’essere costretto ad assumere un doppio ruolo, maschile e femminile, di padre e di madre. 

Inoltre, per accaparrarsi l’amore del figlio conteso, è frequente la tendenza, in entrambi i coniugi, ad essere più permissivi di quanto si sarebbe voluto e si dovrebbe; come conseguenza di ciò si ha, nei figli, una frequente presenza di comportamenti capricciosi ed infantili.

E’ nota, inoltre, l’utilizzazione di questi con lo scopo di aggredire l’altro coniuge. Tale aggressività e bisogno di vendetta possono durare molti anni: se c’è qualcosa di duraturo nella coppia separata o divorziata è la loro reciproca aggressività, capace di durare per tutta la vita. I figli sono spesso utilizzati come arma impropria per minacciare, colpire, sfruttare, assoggettare, difendersi dall’ex marito o moglie. Nel momento della separazione, frequentemente, ognuno dei coniugi cerca di togliere qualcosa all’altro, di ferire, sminuire e far del male all’altro. Da ciò la frase abusata, ma vera, che “i genitori separati litigano a colpi di bambino”, cioè utilizzano il bambino per farsi del male.

Le minacce sono spesso del tipo: “Se non mi dai più soldi non ti faccio vedere i figli.” “Se mi chiedi troppo, ti tolgo il figlio più amato” ecc.. I minori spesso avvertono di essere usati come arma o mezzo di scambio e ricatto per cui la stima nei confronti dei genitori, intesi come adulti responsabili, forti, equilibrati, fonte di sicurezza, serenità e amore, non può che risultare gravemente compromessa.

Il coinvolgimento dei parenti e degli amici, nei casi di separazione o di divorzio, è frequente. Anche loro, vuoi spontaneamente, vuoi perché trascinati nella contesa, si sentono moralmente costretti a schierarsi, dividendosi per l’uno o l’altro fronte. Con ciò, alimentando e accentuando gli elementi di rottura ed inimicizia, privando così, sia l’uno che l’altro coniuge, dell’apporto amicale.

Ricco poi di complesse problematiche interiori è, per i figli, l’accettare la presenza di un’altra persona accanto al proprio padre o alla madre.

E’ molto facile, infatti, che la solitudine, il bisogno di dialogo, di affetto e di una vita sessuale normale, spinga alla ricerca di un nuovo partner. Ciò disturba notevolmente l’immagine che ogni figlio tende a farsi dei propri genitori e della propria famiglia. Il genitore per i figli è circondato da un alone di serietà e purezza particolare. Un padre non si fidanza: lo ha già fatto una volta con la mamma e basta. Non corteggia, non s’innamora, non ha rapporti sessuali, non si sposa con altre donne. Per il figlio queste realtà possono solo riguardare il passato, ma non il presente. Nel suo immaginario i rapporti sessuali sono accettati già con molta difficoltà solo nei confronti della propria madre o padre, con estranei sono visti e giudicati come una cosa impudica e sconcia.

Tra l’altro, oggi, vi è la tendenza, da parte di genitori sempre più infantili, di far partecipare i figli delle proprie esperienze amorose. Per cui, mentre prima l’amante era presentato come un amico, fino a pochi mesi prima del matrimonio, oggi i figli sono costretti a partecipare a tutta la vita amorosa e sessuale dei genitori. Da ciò un accentuarsi del disagio interiore e del giudizio negativo verso di loro e gli adulti in genere.   

Anche in questo caso si prospetta, come risolutore del problema, “l’adattamento.” Si dice: “I figli, come i coniugi, si devono adattare alla nuova situazione.” Ma a quale prezzo? Vale, anche in questo caso ciò che abbiamo detto prima sull’adattamento.

Con il nuovo matrimonio o convivenza vi è l’inserimento di nuove figure che si pongono come paterne o materne.

Se si tengono in giusto conto le caratteristiche così particolari di unicità, globalità, indissolubilità del rapporto genitore - figlio, si comprenderà bene come l’inserimento di figure che dovrebbero aggiungersi o sostituire quelle che lui conosce e che si sono profondamente radicate nel suo animo, sia traumatico e fonte di conflittualità interiore notevole. Spesso quest’inserimento porta a dei giudizi severi da parte dei figli: “Perché lo ha fatto, forse io non gli/le bastavo?”

Il nuovo compagno difficilmente sarà accettato pienamente e quindi non potrà avere, nei confronti dei figli non propri, quella dignità, quell’autorità e responsabilità che sono appannaggio del vero genitore.

Se poi, come spesso avviene, con il nuovo matrimonio si aggiungono anche altri figli di precedenti unioni, le dinamiche relazionali si complicano ulteriormente. Questi, infatti, sono portatori non solo di un diverso patrimonio genetico e un diverso cognome, ma anche di diverse esperienze educative. Portano, nella nuova famiglia, tutta una rete di dinamiche affettive e relazionali che è difficile gestire in maniera corretta. I rapporti tra fratelli sono molto conflittuali per loro natura. Questa conflittualità non può che aumentare nelle famiglie così dette “allargate o multiple”, giacché le diverse appartenenze dei fratellastri accentuano le gelosie, le invidie, le rivalità.

Diminuisce quindi il senso di appartenenza familiare e il grado di sicurezza ed integrità nei confronti del mondo esterno.

Si sono paragonate questo tipo di famiglie alle parentele spirituali dei padrini e delle madrine o alle famiglie patriarcali. Nulla di meno vero di questo. Le famiglie patriarcali avevano dei saldi e inequivocabili legami di stile educativo e di sangue, che le tenevano unite attorno all’anziano patriarca, cosa che manca completamente in questo tipo di unioni, nelle quali l’elemento disgregante è prevalente ed i genitori non solo non hanno il carisma del patriarca, ma somigliano piuttosto a dei giovani naufraghi in cerca di una tavola su cui aggrapparsi. Né si possono paragonare alle parentele spirituali date dalle madrine e dai padrini, poiché queste nascono da scelte, operate dai genitori, di persone che s’impegnano a restare vicini ai minori nei loro bisogni spirituali. Quindi sono persone di aiuto e supporto ad una famiglia chiaramente definita e stabile nella sua composizione.

Molto spesso i conflitti si evidenziano già prima che si sia formato un nuovo vincolo. Alcuni figli lottano per restare con i nonni o altri parenti. Altri preferiscono defilarsi dalla nuova situazione vivendo da soli, piuttosto che con il nuovo patrigno o matrigna o con gli altri fratellastri. Il nuovo venuto, ed i suoi parenti, sono visti come figure minacciose pronte a sottrarre loro il vero genitore o come ladri desiderosi di rubare loro il suo affetto.

In molti casi il nuovo fidanzato o la nuova fidanzata, i loro figli ed i loro parenti sono vissuti come persone che sconvolgeranno un equilibrio interiore che con tanta fatica erano riusciti ad conquistare.

Altri figli infine, pur rimanendo in apparenza nel nuovo nucleo familiare cercano e trovano all’esterno, nel branco, negli amici, nei coetanei o in qualche altro adulto, quella serenità, continuità e stabilità che ogni minore desidera ardentemente.

La presenza nella stessa casa di persone che non presentano lo stesso patrimonio genetico, nuovi genitori, fratellastri, sorellastre, fa aumentare il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto, all’interno della famiglia.

I figli dei separati e dei divorziati, in ogni caso, sono costretti a farsi carico di responsabilità eccessive e sproporzionate, spesso non gestibili in maniera efficace e serena. Ciò in quanto, il genitore che è rimasto solo a dover affrontare i mille nuovi problemi di sopravvivenza e per giunta in un clima di conflittualità, facilmente avverte il bisogno d’appoggiarsi all’affetto e al consiglio del figlio per far fronte ad un futuro incerto ed oscuro; tenderà, allora a trattare il figlio come se fosse un sostituto dell’ex coniuge. Ciò spinge il minore ad assumere il ruolo di capofamiglia e di confidente dei problemi economici o sentimentali del genitore.  

D’altra parte il figlio, venendo a contatto con l’infelicità genitoriale, è obbligato a diventare precocemente adulto per sostenere e rassicurare il proprio genitore –bambino.

Questi avvenimenti segnano per sempre in modo negativo lo stato psichico dei minori.

Conseguenze psicologiche.

Più aumenta il numero delle persone con immaturità, o con disturbi psichici, più si deteriora il tessuto sociale attuale, mentre viene compromesso il futuro stesso della società.

Le conseguenze psicologiche di quanto abbiamo detto possono essere, nei minori di famiglie separate o divorziate, molto gravi e numerose. L. Cian evidenzia: “ …la presenza di carenze affettive, la mancanza di equilibrio e di formazione di una identità personale stabile (la cosa sembra più grave se vi è differenza di sesso fra il genitore affidatario ed il bambino), sensibili deficit cognitivi nell’apprendimento, minore efficacia nell’interiorizzazione dei modelli normativi, solitudine, depressione, difficoltà a mettersi in relazione, più elevato rischio di comportamenti devianti, maturazione precoce in qualche modo forzata (specie se il genitore affidatario è molto assente dal nucleo familiare).” 

Lo stesso autore evidenzia che a scuola gli insegnanti constatano in questi bambini di genitori separati “ tristezza, depressione, condotte asociali o antisociali, pigrizia e mancanza d’impegno, fenomeni d’autocolpevolizzazione rispetto alla separazione dei genitori.” 

Altri autori evidenziano: ansia per il futuro, solitudine, confusione, depressione, aggressività, disturbi dell’apprendimento e del comportamento, senso di perdita e del lutto. Più grave quando vi è un figlio unico che quando vi sono più fratelli e sorelle.  

“ Per un bambino è inconcepibile vivere separato dalla propria famiglia, poiché in quell’ambiente trova le radici del suo esistere, il significato della sua appartenenza, il senso del divenire persona adulta.” 

 Ciò evidentemente aggrava, in maniera esponenziale, le problematiche della comunità in quanto più aumenta il numero delle persone con immaturità, o con disturbi psichici, più si deteriora il tessuto sociale attuale, mentre viene compromesso il futuro stesso della società.

Nel caso dell’adolescente è facile che tenda a cercare al di fuori della famiglia e dell’ambiente di vita, quella serenità, quelle attenzioni, quella gioia di cui è stato privato, purtroppo, a volte, affidandosi ad altri giovani o adulti che non solo non sono in grado di dare un aiuto efficace, ma tendono a proporre comportamenti e stili di vita gravemente a rischio.

Si è cercato di quantificare il rischio corso dai figli di genitori separati, il cui padre è assente sul piano educativo e si è visto che è triplo il rischio di difficoltà scolastiche e nella socializzazione; doppio il rischio per quanto riguarda il subire violenze, abusi, l’uso di droghe, di fumo e d’alcool.

 Tratto dal libro di E. Tribulato"L'educazione negata" Edizioni E.D.A.S.

Genitori permissivi

 

Come un forte vento che spira, a volte verso una direzione, altre volte nella direzione opposta, piegando al suo passaggio tutto ciò che incontra, come un fuoco che rapidamente dilaga sui monti, nel permissivismo come nell’autoritarismo sono coinvolti non solo singoli individui o piccoli gruppi sociali, ma spesso, questi atteggiamenti tendono ad interessare vari strati sociali o addirittura intere popolazioni, comprese le strutture politiche, amministrative e religiose. 
Il motivo di ciò è difficile da comprendere se non si accetta il fatto che l’essere umano è coinvolto, per sua natura, da atteggiamenti e comportamenti contrapposti che in qualche modo rompono o sono divaricanti rispetto ad un recente passato, sottovalutando, dimenticando o cancellando insegnamenti ed esperienze più lontane.  


In una società che assume un’impronta permissiva, le regole e le leggi gradualmente assumono contorni e soprattutto applicazioni particolari con ampliamento a dismisura della sfera delle libertà individuali.
In tale contesto i regolamenti e le leggi diventano sempre più comprensivi dei bisogni e delle necessità dei singoli, a scapito dei bisogni collettivi, quali quelli della famiglia, dei figli, della società.
In altre società come in quella italiana, pur essendo vigenti leggi molto severe, queste sono interpretate con molta comprensione e molta liberalità. La loro applicazione non avviene o avviene solo saltuariamente come nei casi più gravi ed eclatanti, mentre in quelli che non danno scandalo o immediata preoccupazione sociale, le norme vengono raggirate o molto edulcorate. 
Ciò spesso avviene o si diffonde gradualmente in tutti i settori e livelli amministrativi, ma anche nella sfera religiosa e morale: dalla famiglia, alla scuola; dall’esercito alle chiese, dal parlamento alla giustizia.  Per tale motivo gli atteggiamenti dei superiori o dei responsabili assumono caratteri di eccessiva comprensione, tolleranza, flessibilità, indulgenza, condiscendenza. 
Chiudere un occhio o entrambi diventa la norma. Capire chi sbaglia, chi pecca, chi commette un crimine o un'inosservanza della legge o dei regolamenti, diventa bontà, magnanimità, virtù. Certi particolari sono rivelatori di questo clima di benevolenza e di condiscendenza eccessiva.

Ad esempio nelle nostre scuole superiori e da qualche tempo anche nelle scuole medie, è invalso l’uso della “vacanza – sciopero” o della “ vacanza – occupazione.” Cioè delle vacanze sostenute da motivazioni molto spesso così labili e pretestuose che i giovani stessi che attuano quello che è chiamato impropriamente “sciopero od occupazione” non le conoscono o non ci credono affatto; eppure in giorni canonici come il sabato, in quelli che permettono di fare lunghi ponti o nei giorni in cui è più conveniente “riposarsi” dopo altre precedenti vacanze, lo “sciopero” è là pronto per essere utilizzato allungando i giorni di vacanza, per permettere di effettuare la settimana corta o semplicemente per impedire il pericolo di interrogazioni o l’ascolto di noiose lezioni. In queste occasioni molti docenti e autorità scolastiche assumono degli atteggiamenti a dir poco ambigui, per non dire di piena complicità creando dei presupposti diseducativi di cui solo pochi avvertono la valenza. Per tali motivi:

a)    il numero dei giorni di scuola e quindi di formazione si riduce notevolmente con grave danno alla cultura e alla formazione di intere generazioni.
b)    si alimenta nei giovani il sentimento di onnipotenza: “Siamo noi che decidiamo quando fare o non fare il nostro dovere”;
c)    si educa alla fuga dalle responsabilità, dal sacrificio e dagli impegni;
d)    si introduce tra educatori ed educandi una complicità perversa che riguarda gli impegni e i doveri reciproci: “ Io ti permetto di non fare lezione, tu mi permetti di fare vacanza”, con conseguente perdita di autorevolezza e stima nei confronti degli educatori e degli adulti in genere.

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Un altro tra i numerosissimi esempi che potremmo fare si ritrova nelle nostre chiese. Fino a qualche decennio fa i confessionali erano pieni di penitenti, ma le comunioni erano scarse rispetto ai frequentatori della S. Messa in quanto l’accostarsi alla comunione comportava la consapevolezza del peccato e l’importanza della sua purificazione mediante la confessione e la promessa di non commetterlo più. Attualmente avviene il contrario: i confessionali sono vuoti, ma le persone che si sentono in grazia di Dio e quindi fanno la comunione sono moltissime. 

Ci chiediamo: “Ci si sentiva forse troppo indegni e peccatori allora, per cui ci si accostava alla comunione con gran timore e responsabilità sui propri comportamenti, oppure ci si sente più puri, più santi, o comunque si avverte la divinità più disponibile al perdono e all’accoglienza, oggi?”
In altri casi invece, come nella società americana attuale, le leggi e la repressione hanno un andamento schizofrenico, in nome della libertà individuale vengono accettati comportamenti personali e collettivi ad alto rischio o chiaramente lesivi della personalità dei minori, nel contempo i reati più gravi vengono severamente puniti. 

Come dire:“Tu fin da piccolo puoi essere sottoposto a migliaia di stimoli alla violenza, alla sopraffazione, all’odio, e alla distruzione da parte della TV, dei giornali, dei videogiochi, dei film. Fin da piccolo puoi subire i traumi più pesanti e disturbanti nati dalla “libertà” degli educatori: separazioni, divorzi, allontanamento da uno o entrambi i genitori, aggressività familiare, carenze affettive ed educative, piccoli e grandi traumi da parte dei coetanei, degli adulti che girano per casa, “ nuovi fidanzati” di papà e mamma, nuovi amanti, giochi d’adulti. 

Chiudo un occhio e non oso punirti se dici le parolacce, se sei aggressivo o strafottente con i genitori e con i professori e gli altri adulti. Non m’interessa se nel tuo cuore attecchiscono al posto dei valori dell’amore, della tolleranza, dell’affetto, della disponibilità i disvalori diffusi nella nostra società: potere, denaro, sesso, arroganza.

Sono comprensivo e pronto a capirti se fai uso d’alcool o di droga. Puoi benissimo comprare tutte le armi che vuoi e diventare sempre più bravo nel colpire una sagoma umana al cuore, o nel frequentare delle palestre che t’insegnano a colpire e colpire forte l’avversario, ma, se uccidi in uno scatto d’ira una persona antipatica o aggressiva con la pistola nuova che papà e mamma ti hanno regalato per Natale, diventi un criminale degno della pena capitale.”
E’ un disegno e un percorso ideologico perverso, che inserisce pene severissime per atti gravi, mentre è permissivo per le piccole mancanze che però sono il presupposto e preparano quelle gravi. Soprattutto questo tipo d’atteggiamento, falsamente liberale, non riesce a creare un clima educativo e formativo, solido, serio, stabile, con una visione ampia e profonda della realtà interiore del bambino e del giovane. 
La logica perversa si fonda sull’assunto, errato, che è la volontà dell’essere umano che guida in definitiva ogni sua azione, mentre le influenze ambientali hanno scarso valore. Sappiamo, per contro, che ciò è vero solo parzialmente, poiché la volontà è spesso piegata nel bene e nel male dai vissuti interiori fatti di valori, norme, esperienze, paure, ansie, depressione ecc.. 

                             
            
 CARATTERISTICHE DEI GENITORI PERMISSIVI

•    Viziano i figli.
•    Non si fanno rispettare da loro.
•    Fanno spesso appello alla coscienza, al giudizio e alla capacità di scelta dei figli.
•    Credono eccessivamente nelle capacità educative dell’esperienza.
•    Giustificano ampiamente se stessi e sono molto tolleranti nei riguardi dei comportamenti dei figli.
•    Dicono rari e timidi “no”.
•    Fanno molte minacce ma raramente le attuano.

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Viziano i figli.  
 
Viziare un figlio significa essere eccessivamente indulgenti di fronte alle sue richieste, concedendogli su richiesta o, altre volte, anticipando i suoi desideri, molto di più di quanto non gli serva in quel momento per la sua crescita, evitandogli ogni difficoltà e ogni sacrificio.
In altri casi non è solo un problema di quantità, ma anche di qualità, giacché al figlio sono concesse delle cose e delle esperienze che non gli sono per nulla utili perché premature o fuorvianti, o lesive della sua personalità, ma, poiché sono da lui cercate e desiderate, o comunque poiché sono “comuni e di moda”, diventa quasi un obbligo offrirle.  
Si possono fare molti esempi: ai bambini piacciono e sono molto utili i giocattoli, ma regalar loro continuamente o eccessivamente significa farli utilizzare male, giacché essi non hanno il tempo di scoprire tutte le loro potenzialità. Soprattutto significa spegnere in loro il piacere del desiderio, del sogno, dell’attesa, dell’evento tanto più bello quanto più raro e agognato.
Ai giovani piace stare tra loro in gruppo; ma ciò è utile solo ad a condizione che sia un gruppo formato da persone sane, che il tempo trascorso nel gruppo non sia eccessivo e sia alternato da un tempo almeno altrettanto lungo trascorso con gli adulti: poiché però è “usanza” che i giovani stiano sempre insieme, ci si adegua senza tenere conto degli aspetti limitanti e pericolosi di tale pratica. 

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Non si fanno rispettare dai figli.

 Il rispetto nasce da molti elementi, dalle qualità della persona, dalle sue virtù, maturità, autorevolezza; ma nasce anche dal ruolo e dal modo di porsi nei confronti dei figli: se ci si pone come amici, con caratteristiche vicine all’età dell’educando per il piacere di sentirsi giovane tra i giovani o per una visione distorta del ruolo genitoriale, il rispetto dei figli diventa minimo o scompare del tutto. Per cui i genitori saranno trattati e maltrattati come se fossero dei coetanei scocciatori e seccatori.

Fanno spesso appello alla coscienza, al giudizio, alla capacità di scelta dei figli.

Che i genitori gradualmente e tenendo in giusto conto e valore l’età dei figli, la loro capacità di gestione, la loro maturità, l’ambiente con cui vengono in contatto, facciano appello alla loro coscienza, al loro giudizio e capacità di scelta è non solo un bene, ma elemento essenziale nell’educazione. I genitori autoritari che tendono a svalutare molto tutti questi elementi nel figlio, assumendoli in prima persona, impediscono o soffocano queste potenzialità. 

Purtroppo i genitori permissivi cadono nell’errore opposto: supponendo nel figlio capacità di giudizio, di coscienza, e d’uso della volontà superiori a quelli realmente possedute, per cui pretendono da loro delle responsabilità eccessive che non sono in grado di gestire adeguatamente; anche in questo caso è un problema di criterio ed equilibrio, piuttosto che di scelte radicali tra libertà individuale e controllo da parte delle figure educanti. 

Credono eccessivamente nelle capacità educative dell’esperienza.

I genitori permissivi credono eccessivamente nelle capacità educative dell’esperienza. E’ vero che l’esperienza è maestra di vita e che da esperienze errate si possono trarre molti utili insegnamenti, ma è anche vero che ogni realtà deteriore lascia nell’animo umano una traccia indelebile che può spingere e sostenere verso traguardi più alti e degni dell’uomo, come pure può umiliare, condizionare e schiacciare la parte più nobile e produttiva dell’animo, condizionando in senso negativo tutta la vita di un giovane. 

Giustificano ampiamente se stessi e sono molto tolleranti nei riguardi dei comportamenti dei figli.


Tra genitori e figli è giusto che ci sia solidarietà, complicità, sostegno reciproco, ma contemporaneamente è bene che, fin da piccoli, i figli sappiano assumersi le proprie responsabilità nelle scelte che operano, sia nel bene sia nel male. Dare agli altri: insegnanti, amici, società, stato, televisione, torti che possono essere in tutto o in parte frutto di scelte individuali, significa deresponsabilizzarsi e deresponsabilizzare chiudendosi in un mondo ovattato che preclude o sminuisce ogni responsabilità personale. 
Anche la tolleranza, che significa rispettare le idee altrui, quando è eccessiva può contribuire a sottovalutare o a negare principi e valori, per tale motivo può portare a situazioni di rischio morale, psicologico, fisico o sociale. 

Dicono rari e timidi “no”.

I “no” dei genitori permissivi sono rari, ma soprattutto non sono coerenti con i successivi comportamenti. Spesse volte questi “no” si trasformano in un “sì“ o in un “nì”: in pratica si trasformano in un’accettazione passiva e non convinta della volontà del figlio. Quando, poi, questi genitori riescono a mantenersi fermi nella loro posizione iniziale, ne soffrono tanto e si sentono talmente in colpa, che quasi chiedono scusa e perdono al figlio per il comportamento avuto e cercano di rimediare concedendo cose che prima non si sarebbero sognati di concedere.

Fanno molte minacce ma raramente le attuano. 

I genitori permissivi, spesso, in preda all’esasperazione gridano, urlano, litigano, rimproverano, minacciano di punizioni severissime, ma poi difficilmente attuano quanto minacciato.  
Altre volte puniscono ma, successivamente, accettano che il figlio faccia quello che essi precedentemente avevano negato.
Per farsi ubbidire e per fare in modo che i figli si comportino adeguatamente puntano soprattutto sulla relazione affettiva e sul senso di colpa. Per tale motivo si aspettano un comportamento adeguato e ubbidiente come scambio d’amore e di riconoscenza e non perché sia giusto e corretto quanto da loro richiesto. “ Ritorna presto se non mi vuoi far soffrire, preoccupare, restare in pena”, dice la madre al figlio che non intende tornare a casa in un'ora canonica.
A volte i genitori permissivi vedendo nelle malefatte e nella disubbidienza dei figli tratti di un carattere forte, vivace e aggressivo ne sono lieti, per cui il loro rimprovero nasconde un intimo orgoglio e soddisfazione che vengono immediatamente percepiti dai minori.

Il genitore permissivo si accosta a volte ai comportamenti dei figli con grande ansia e trepidazione. Spesso non sa il modo corretto per affrontarli, ogni suo comportamento gli fa nascere mille dubbi, mille perplessità, che i libri e i suggerimenti di psicologia e pedagogia spesso non aiutano a fugare. Rimprovera, grida, impreca per poi pentirsi. Proibisce per poi concedere. Cerca il consiglio o l’aiuto d’altri adulti più autorevoli ma poi non riesce a seguire le loro indicazioni o si oppone e sconfessa le loro azioni in quanto le avverte come troppo dure e “crudeli” nei confronti del figlio. Altre volte preferisce vivere in una beata incoscienza.  La supervisione sui figli diminuisce e diventa altalenante: in alcuni giorni è massima, in altri si perde completamente. Egli si affida, allora, in maniera completa, alle capacità di critica e di scelta di questi o confida sul caso o sulla provvidenza divina. In ogni caso finisce per abdicare al proprio ruolo d’educatore e cessa d’essere modello d’identificazione, pertanto non riesce più a portare avanti quei valori essenziali per l’individuo e per il corretto vivere civile.   
Quando il genitore permissivo si accorge che i suoi comportamenti hanno provocato la rovina fisica o/e morale del figlio reagisce in modo istintivo e spesso aggressivo nei confronti del figlio stesso. Le “madri coraggio” spesso sono madri che per molti anni non hanno per nulla dimostrato “coraggio” nei loro mille comportamenti quotidiani; quando denunciano e mandano in galera i figli che le aggrediscono, le picchiano o le derubano per procurarsi la droga, reagiscono con un estremo e totale gesto di rifiuto e d’aggressività alle mille angherie che hanno subito senza riuscire a reagire ef
ficacemente e razionalmente.

 

 

CAUSE DEL COMPORTAMENTO PERMISSIVO

1.    La mancanza di  un capo famiglia.
La presenza di due autorità al posto di una permette più facilmente ai figli di giocare sul conflitto che si crea in queste situazioni per ottenere quanto desiderato, anche perché è noto che la presenza di due persone al vertice di un’istituzione, grande o piccola che sia, comporta spesso una grave carenza di direttive e norme uniformi e coerenti. Sappiamo infatti che spesso due autorità = nessuna autorità.

2.    Presenza del genitore unico.
Quando i due genitori si presentano con ruoli diversi e complementari da entrambi accettati e valorizzati, come in un gioco di squadra ognuno svolgerà il proprio compito sapendo di potere contare su quello del compagno: la madre che ha un ruolo più tenero e permissivo si appoggerà all’autorità paterna e viceversa. In questo caso il risultato sarà ottimale in quanto  bilanciato. Quando invece i due genitori si presentano con un ruolo unico è facile che questo venga ad essere sbilanciato in un senso o nell’altro.
                  
3.    I motivi ideologici.
Nel comportamento permissivo entrano in gioco, altre volte, motivi ideologici: si porta alle estreme conseguenze il concetto di libertà e d’autocoscienza, per questo si confida e ci si affida eccessivamente alla capacità del minore di effettuare libere scelte senza pensare che la coscienza e la volontà umana maturano gradualmente con gli anni, perciò solo nell’adulto si ha quella maturità e pienezza cognitiva, capace di poter dare la giusta valutazione ai fatti e alle azioni, comportandosi di conseguenza. Né si tiene nel giusto conto che anche nell’età adulta sono indispensabili norme, divieti e sanzioni, che stimolino la volontà ad attivarsi verso delle scelte positive e utili per l’individuo e per la comunità tanto che ogni società ne elenca nelle sue leggi e regolamenti una quantità impressionante. 

4.    Il rifiuto dell’autorità e della autorevolezza.

Come abbiamo detto parlando dell’autorevolezza se questa viene vista come violenta, antiliberale e non moderna, e pertanto viene rifiutata e bollata di autoritarismo, i genitori e gli educatori vengono spinti volenti o nolenti verso atteggiamenti permissivi più accettati e valorizzati.

5    La fragilità e immaturità dei genitori.
In altri casi sono prevalenti le strutture caratteriali che rendono questi genitori deboli e fragili psicologicamente, tanto da non sopportare la propria o l'altrui sofferenza.  Identificandosi nel figlio cercano di evitargli ogni pena per paura di infliggergli traumi e complessi psicologici. E’ come se l’Io bambino che soffriva per le proibizioni dei genitori, avesse il sopravvento sull’adulto responsabile che ha dei doveri ben precisi sul minore il quale dovrebbe sapere che anche la sofferenza fa parte del bagaglio umano e contribuisce alla formazione del carattere e della personalità.    In questi casi si crea un circolo vizioso: genitori immaturi o fragili daranno vita a figli più immaturi e fragili, i quali a loro volta rischiano di far peggiorare la situazione nelle generazioni successive. 

6.    La ridotta sensibilità verso il male morale e sociale.
In altri genitori permissivi appare ridotto al lumicino o in alcuni casi scomparso il concetto di peccato e di male. Ogni atteggiamento viene ad essere capito, accettato e giustificato anche in nome di una modernità e attualità nei comportamenti. Pertanto essi accettano lo spinello, il turpiloquio e la sessualità disinibita e totalmente libera da responsabilità come segno di progresso e d’emancipazione da vecchi e antiquati tabù.

7.    La maggiore ricchezza e benessere materiale.
La maggiore ricchezza ed il maggior benessere materiale inducono ad essere economicamente più liberali anche per far partecipare i figli delle maggiori entrate familiari ottenute spesso sacrificando il dialogo e la cura verso di loro. In pratica viaggi, regali, e contribuzioni economiche in cambio d’affetto, dialogo, cure e attenzioni costanti e stabili.

8.    I maggiori svaghi dei genitori.
La ricerca spasmotica e continua di divertimenti e la presenza d’atteggiamenti disinibiti e liberali che gli adulti si concedono nella vita sociale, sessuale e sentimentale, li spinge ad essere a loro volta liberali con i figli come per giustificare e sdrammatizzare i loro comportamenti evitando nel frattempo  sensi di colpa e d'indegnità. 

9.    La conflittualità dei genitori.
Frequente causa del permissivismo è la conflittualità tra i i due sessi e tra i genitori che porta ad una situazione concorrenziale nei confronti dei figli. 
E’ come se ognuno dei due genitori, che vivono una situazione di sfiducia e aggressività reciproca cercasse in tutti i modi di dimostrare ai figli di essere il genitore “buono” a lui alleato contro l’altro quello “cattivo”, che “non ama” e “non capisce.”  Come conseguenza vi è la lotta per avere qualche spicciolo d’attenzione e d’amore da parte dei figli sottraendolo all’altro genitore. 

CONSEGUENZE DEL COMPORTAMENTO PERMISSIVO


Le conseguenze del permissivismo sul bambino e poi sul giovane e sull’adulto sono note e descritte fin dall’antichità e riguardano vari settori del carattere e del comportamento.

La fragilità di fronte alle frustrazioni

 

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La fragilità alle frustrazioni nasce inevitabile quando accanto a noi vi sono persone disposte sempre, o comunque spesso, a soddisfare ogni capriccio, ogni richiesta, ogni desiderio. In questi casi vi è una visione distorta del mondo che viene considerato soltanto come occasione e fonte da cui trarre piacere, soddisfazione, accoglienza e non anche come luogo di confronto, di mediazione, di collaborazione, donazione e sacrificio. Inoltre, il trovare sempre qualcuno disposto ad accoglierci, accontentarci e perdonarci non dà quelle giuste sollecitazioni affinché si fortifichino il carattere e la personalità. 
Tale fragilità si manifesta nel bambino con pianto frequente e atteggiamento “lagnoso” per motivi anche banali. E’ questo un pianto che difficilmente si riesce a placare se non concedendo ciò che egli chiede, pur sapendo che si ripresenterà puntuale al prossimo diniego. 
Nel giovane la fragilità assume i contorni di un atteggiamento gregario nei confronti dei coetanei che dimostrano forza, arroganza, autorità, con difficoltà a resistere alla loro influenza anche quando essi propongono atteggiamenti e comportamenti contrari alla morale e ai valori in cui si è cresciuti e si crede.
Dipendenti dagli adulti, continuano a chiedere loro aiuto e assistenza, anche quando avrebbero l’età e le capacità per farne a meno. Fuggendo le responsabilità, il comportamento infantile li spinge alla continua ricerca di piaceri banali. Avendo difficoltà a resistere alle frustrazioni e alle delusioni, immancabili nella vita, si rifugiano nella tossicodipendenza e nei casi più gravi nell’autolesionismo e nel suicidio.                                                                     


 I disturbi del comportamento.

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I disturbi del comportamento sono anch’essi molto spesso presenti nella vita di questi soggetti i quali, non avendo imparato ad esercitare la propria libertà, a causa di una mancanza parziale o totale d’autocontrollo, ed avendo una scarsa capacità di valorizzare i bisogni degli altri e le loro necessità e diritti, fin da piccoli manifestano comportamenti provocanti, irritanti, distruttivi, aggressivi. 
Quando essi raggiungono l’età adolescenziale o adulta diventano, più rilevanti i comportamenti asociali o chiaramente devianti. La mancanza di regole “porta ad evasioni stupide o drammatiche,   in quanto non riescono spesso ad effettuare neanche scelte utili per se stessi.  Poiché la mancanza di disciplina è vista come mancanza d’attenzioni, cure e sollecitudini, ma anche come fragilità e debolezza dei genitori, si evidenziano, verso questi ultimi, segni di scarsa stima, sfiducia, aggressività. L’inconscio desiderio d’autorità li spinge a cercare nei capi delle bande, quell’autorevolezza che manca nei loro genitori. 

 L scarsa autonomia.
Anche l’autonomia personale e sociale risente degli atteggiamenti permissivi. I bambini e i ragazzi continuano a chiedere agli adulti prestazioni cui potrebbero far fronte autonomamente in quanto pienamente capaci, sia dal punto di vista motorio, che fisico ed intellettivo. I genitori e gli adulti tendono ad essere schiavizzati da questi piccoli tiranni che necessitano e pretendono le cose più disparate e semplici, che richiederebbero soltanto un minimo di fatica, impegno e sacrificio: il tenere in ordine la propria stanza o l’aiutare i genitori nelle mille occupazioni in casa e fuori, appare loro, come un immane impegno impossibile da affrontare, che è quindi meglio far fare agli altri. 
A volte gli adulti non vengono neppure ringraziati per quello che fanno e danno ogni giorno. Altre volte il ringraziamento si esprime in modo puramente formale e seduttivo, in quanto finalizzato ad ottenere in seguito più facilmente quanto richiesto. 
Anche nell’adolescenza e nella giovinezza, l’aiuto familiare è minimo. L’impegno per lo studio sembra assorbirli completamente, perciò sentono questo e soltanto questo come lavoro ed occupazione. Tutto il resto, i mille quotidiani bisogni della famiglia e della società sono lasciati ai genitori e agli adulti. Per loro il tempo libero diventa solo divertimento.  Si dedicano raramente a qualcosa di costruttivo per sé e per gli altri come la lettura di un libro, le attività sociali, l’aiuto e la collaborazione familiare. “Il divertimento sembra la maggiore ricerca della nostra gioventù, i luoghi di divertimento sono diventate delle isole di piacere e stordimento morale”  
Nei riguardi del lavoro, poiché tali giovani non hanno mai imparato ad accettare la vita come dovere, collaborazione e sacrificio, l’impegno è molto scarso. Spesso lo rimandano con mille scuse, come rimandano in un futuro il più lontano possibile impegni importanti come il matrimonio, la maternità e la paternità. 
Per questi giovani è molto più comodo vivere uno o più rapporti amorosi liberi da impegni domestici in quanto la famiglia di origine è un caldo e accogliente nido da abbandonare il più tardi possibile.  


I sintomi di disagio interiore

               L’avere tutto, l’essere sempre accontentati da parte dei genitori, il vivere avvolti nella bambagia, piuttosto che dare felicità, molto spesso produce sofferenza psicologica.
I doni, i molti regali ottenuti facilmente, gli oggetti di cui il giovane si circonda e dai quali è circondato non gli danno il piacere della conquista né “autentiche soddisfazioni.”   Quando avvertono che il mondo esterno alla famiglia raramente ha atteggiamenti morbidi e accettanti come quelli con i quali sono abituati a convivere, capiscono a proprie spese che, nei confronti dei “ figli di mamma”, i coetanei tendono ad essere più agguerriti e aggressivi, in quanto ne avvertono l’intima debolezza. 
Non protetti dal debole carattere, schiacciati dal proprio egoismo, non riuscendo ad aprirsi all’amore vero e alla donazione di sé, crolla l’autostima ed emergono la tristezza e l’ansia.
Poichè l'uomo è fatto per l'azione, le conquiste e le difficoltà da affrontare sono le cose che danno più senso e sapore alla vita. L’avere tutto, subito e senza problemi, produce invece insoddisfazione, mancanza di equilibrio interiore, incoerenza, instabilità emotiva.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "L'educazione negata Edizioni E.D.A.S.

Lo sviluppo dell'identità di genere

 

Dr. Emidio Tribulato

 L’identità di genere è il vissuto che la persona ha di sé come maschio o come femmina. Quando l’individuo avverte una costante, chiara e netta consapevolezza di appartenere ad uno specifico genere sessuale, per cui può dire a se stesso e agli altri: “Io sono maschio”.  Oppure “Io sono femmina”,  noi diciamo che la sua identità sessuale è chiaramente ben definita. Al contrario quando la persona, qualunque siano le sue scelte sessuali, qualunque siano le sue caratteristiche anatomiche, non riesce a collocarsi in un sesso specifico noi diciamo che non ha una chiara identità sessuale.

L’identità sessuale va quindi nettamente distinta dal ruolo sessuale che è dato dal comportamento che l’individuo attua esprimendo le sue caratteristiche sessuali.

   

 Pertanto, come nel caso dell’omosessualità, si può avere un’identità correttamente aderente alle proprie caratteristiche anatomiche, ma al tempo stesso possono essere presenti dei comportamenti e delle scelte sessuali caratteristiche del sesso opposto.

Cosa concorre all’identità di genere?

Gli elementi che concorrono a rendere chiara, concreta e stabile l’identità di genere sono numerosi e si attivano durante tutta la vita dell’individuo. 

L’essere umano diventa maschio o femmina attraverso una lunga e complessa strada. Una strada che inizia dal ventre materno, più precisamente dall’incontro dello spermatozoo del padre con l’ovulo materno, continua poi durante la gestazione fino e oltre la fase puberale.

Gli apporti genetici

Il primo sostanziale apporto è dato dai geni. Se uno degli ovuli materni, che sono portatori sempre di cromosomi X, incontra uno spermatozoo  paterno X l’embrione sarà indirizzato verso il sesso femminile.

Se invece l’ovulo materno, che è sempre portatore di cromosomi X, incontrerà uno spermatozoo con corredo cromosomico Y, l’embrione tenderà a diventare un maschio.

Abbiamo detto tenderà, perché la strada per la completa differenziazione sessuale è lunga e complessa. Basta una qualunque alterazione ormonale, fisica, educativa o psicologica perché questa differenziazione non avvenga, resti incompleta o si alteri. Altri elementi, come gli apporti ormonali specifici, si aggiungeranno, infatti, ben presto e accompagneranno ogni individuo durante tutta la vita. Questi apporti ormonali specifici saranno, a loro volta, completati dagli elementi educativi e psicologici.

Gli apporti ormonali

Prima della nascita.

Per quanto riguarda gli apporti ormonali, questi già si attivano nella fase embrionale. Se l’embrione è portatore di cromosomi maschili XY, questi cromosomi stimoleranno la formazione della proteina HY. Questa proteina, a sua volta, avrà il compito di indirizzare la formazione del testicolo primitivo il quale, pur non producendo ancora spermatozoi, è capace di produrre ormoni maschili come il testosterone. Questo ormone maschile diffondendosi in tutto il corpo e collegandosi ai vari recettori: genitali – ossei – muscolari – cerebrali ecc., cercherà di indirizzare tutti gli organi verso il genere maschile. Anche il cervello subirà l’effetto ormonale per cui sarà mascolinizzato.

 

 

 

 

 

 

 

 

  Nel contempo lo stesso ormone lancerà un messaggio che tenderà a inibire la formazione degli organi interni ed esterni caratteristici del sesso femminile. Qualcosa di simile avverrà per  i cromosomi femminili XX i quali stimoleranno la formazione delle ovaie primitive, dalle quali sarà riversato in tutto il corpo l’estradiolo con il compito di indirizzare la formazione delle ovaie, dell’utero, delle tube, della vagina ma anche di femminilizzare il cervello e gli altri organi e apparati interni ed esterni.

  

 

 

 

Sappiamo però che gli ormoni sono solo dei messaggeri. E, come tutti i messaggeri, hanno un compito ingrato che può anche fallire in modo parziale o totale, per cui: il messaggio può non essere sufficiente e chiaro già in partenza; può non arrivare in tempo; può non essere accettato in uno o più organi ed apparati; può, pur essendo stato accettato, non essere interpretato ed eseguito correttamente. Ciò comporta che alcuni organi possono indirizzarsi in maniera coerente con il messaggio mentre altri possono, per motivi vari, non farlo. Si possono avere allora degli organi genitali maschili in un cervello femminile o al contrario un cervello maschile  in concomitanza con organi genitali interni ed esterni di tipo femminile. Come vi possono essere dei cromosomi di un sesso e organi genitali del sesso opposto. Infatti 1/20.000 maschi nasce con cromosomi sessuali femminili (XX). 1/100.000 femmine nasce con cromosomi sessuali maschili (XY). In 1/30.000 nascite vi è un individuo con cromosoma XX e genitali interni sia maschili che femminili. Inoltre 1/700 maschi ha un cromosoma XXY. Queste eccezioni ci confermano che la formazione di un essere umano, maschio o femmina che sia, è molto più complessa di quanto noi non pensiamo.

Dopo la nascita.

Dopo la nascita gli apporti ormonali continueranno ad esercitare la loro funzione durante tutta la vita dell’individuo. Per l’uomo saranno fondamentali gli ormoni provenienti dai testicoli, dalla prostata, dai surreni, dall’ipofisi. Per la donna saranno importanti gli ormoni provenienti dalle ovaie, dai surreni e dall’ipofisi.

 

 

Per quanto riguarda la pubertà questa, dal punto di vista ormonale, è una tappa fondamentale. Basti pensare che il peso dei testicoli che è di appena 2 grammi nel bambino aumenta a venti anni fino a 12 grammi, per arrivare a 34 grammi nell’adulto. Ciò comporta quella doccia ormonale che tende tra l’altro a stabilizzare e completare l’identità sessuale degli adolescenti. Notevoli modificazioni fisiologiche si hanno nella donna nella menopausa a causa del notevole calo degli estrogeni, della scomparsa della produzione ciclica di progesterone e dell’aumento delle gonadotropine FSH e LH. Nell’uomo con l’avanzare dell’età, il calo del testosterone è lieve ( solo dello 0,5% l’anno) ma costante. Da non dimenticare inoltre che variazioni del quadro ormonale si possono avere in seguito a malattie ed interventi chirurgici.

L’inquinamento ormonale.

 

 

 Purtroppo, a causa del notevole inquinamento ormonale presente nelle società più ricche, a questi ormoni provenienti dall’interno del nostro corpo (endogeni), bisogna aggiungere l’incidenza perturbatrice delle sostanze ormonali assunti dall’esterno (esogeni). Ogni giorno con i farmaci, con l’acqua, con le carni e con il latte, senza volerlo e senza saperlo assumiamo sostanze ormonali o che hanno funzione di stimolo ormonale che incidono negativamente sia sullo sviluppo dell’embrione e poi del feto, sia sul normale assetto ormonale del bambino, dell’adolescente e poi del giovane e dell’adulto.

Anche gli stili di vita, ad esempio attività sportive o lavorative poco idonee al genere femminile o maschile concorrono a modificare in senso femminile o maschile la normale fisiologia ormonale dell’individuo.

Le esperienze educative, psicoaffettive e relazionali

Alle componenti genetiche, anatomiche e ormonali si aggiungeranno nello sviluppo della sessualità e dell’identità di genere, le esperienze psicologiche, ambientali e gli atteggiamenti educativi che i genitori e gli educatori porranno in essere nel rapporto con il bambino. Sono importanti: l’accoglienza, l’accettazione, la valorizzazione, l’educazione.

Accoglienza e accettazione.

L’accoglienza e l’accettazione di un figlio dovrebbero prescindere dal sesso. I genitori, ma anche tutte le persone che formano l’ambiente familiare ed amicale che circonda il bambino, dopo lo splendido momento dell’incontro, dovrebbero con gioia accettarlo e valorizzarlo per le sue caratteristiche umane e personali, attivandosi solo per migliorarle, senza preferenze e senza idee di superiorità o inferiorità di un sesso rispetto all’altro.

Spesse volte invece, la realtà sessuale di un figlio è avvertita in modo diverso sia per motivi ideologici, che per cause economiche o per tradizioni locali. A volte, anche solo per motivazioni personali, vi è una maggiore accoglienza di un figlio maschio rispetto ad una femmina o viceversa. Ciò chiaramente può alterare il primitivo rapporto genitore-figlio ma può avere anche degli sviluppi negativi sulla sua identità sessuale, per tale motivo se, ad esempio, i genitori sono felici del fatto che il figlio sia maschio e valorizzano e stimolano le sue caratteristiche sessuali, l’identità ed il ruolo di genere avranno un valido supporto e complemento, se, al contrario quel bambino troverà un genitore che desiderava ardentemente un figlio di sesso opposto, lo stimolo ed il supporto verso una corretta identità sessuale sarà modesto.

Valorizzazione delle caratteristiche sessuali specifiche

Vi possono essere inoltre, dei genitori o degli atteggiamenti sociali che tendono a valorizzare e stimolare le differenze sessuali ed altri che, come avviene spesso oggi nella nostra società occidentale, tendono, mediante l’educazione, a sminuire e sfumare le differenze sessuali, in modo tale che di fronte alle scelte di vita vi sia un atteggiamento simile. 

Negli ultimi decenni è andata sempre più diffondendosi l’idea che le differenze d’atteggiamento e comportamento sessuale non siano utili alla società, giacché questa, specie nel campo lavorativo, richiede uguali prestazioni ad uomini e donne. Queste ultime d’altronde, volendo e sognando di conquistare gli ultimi baluardi di attività lavorative che una volta erano appannaggio maschile, come la difesa, la polizia o le attività imprenditoriali, fanno di tutto per incrementare le capacità muscolari e gli atteggiamenti aggressivi propri dei maschi.

Ma anche i rapporti tra i sessi sono visti più facili e meno problematici se tra loro non sono evidenti elementi di differenza sessuale. Ragazzi e ragazze, secondo queste teorie fraternizzerebbero più facilmente avendo non solo indumenti, linguaggio e comportamenti simili, ma anche vissuti comuni nei confronti di se stessi, della politica, dell’ambiente, dell’amore, del sesso.

Da ciò discende tutta una serie d’atteggiamenti e comportamenti dei genitori e degli educatori, tendenti a sminuire e svalutare le caratteristiche che tradizionalmente sono tipiche del proprio sesso, mentre d’altra parte è vista come importante conquista ed arricchimento l’appropriarsi di caratteristiche del sesso opposto.

I modelli educativi tendono, inoltre, ad accentuare la vicinanza sessuale: “E’ meglio che femminucce e maschietti stiano assieme il più possibile per capirsi ed intendersi meglio.” Tendono a dare gli stessi stimoli: “E’ meglio che utilizzino gli stessi giocattoli, gli stessi giochi e lo stesso linguaggio; svolgano le stesse materie scolastiche; facciano attività di tempo libero uguali.”

Vi è, inoltre, attualmente la tendenza a frustrare le caratteristiche salienti legate alle differenze sessuali “Non essere maschilista”, è l’accusa più facilmente rivolta ai maschietti esuberanti; “Non comportarti come una femminuccia”, è l’accusa rivolta alle bambine che esprimono con il pianto le loro emozioni.

La frequenza e la presenza attiva con dei genitori e degli educatori di entrambi i sessi.

Questo concetto dovrebbe essere scontato. Un bambino e una bambina per una corretta identità sessuale hanno la necessità di avere accanto a sé due genitori di sesso diverso così come hanno bisogno di rapportarsi con educatori di sesso diverso.

I genitori, ma anche gli altri adulti significativi come gli insegnanti, hanno infatti lo specifico  compito di aiutare lo sviluppo di una corretta identità e ruolo sessuale nei minori,

Per LIDZ: “Il mantenimento del corretto ruolo sessuale da parte dei genitori nel corso della loro unione ha un’importanza decisiva nel guidare il fanciullo a svilupparsi positivamente come uomo o come donna”;[1] se questo manca per cui i ruoli risultano confusi, sfumati o peggio ribaltati, il fanciullo mancherà di un modello valido di riferimento.

Gli stimoli specifici.

Oltre a proporre il proprio corretto stile di vita maschile o femminile, i genitori si dovranno impegnare nel dare ai figli stimoli specifici per meglio indirizzare l’identità e i ruoli sessuali. Questo compito la madre svolge già prima che il bambino nasca, preparando il corredino più adatto ma, soprattutto, preparando, nel proprio intimo, quegli atteggiamenti e quei comportamenti più idonei ad aiutare e rendere concreta una corretta identità e ruolo sessuale.

Questa preparazione interiore oggi è resa più facile dalla conoscenza prematura del sesso, ma anche quando ciò non era possibile, i genitori predisponevano il loro animo ad aiutare la natura nella definizione di una corretta identità. La scelta dei colori, nella nostra società occidentale: rosa per le femminucce e azzurro per i maschietti; la scelta delle fogge del vestiario: vestitini, pizzi, merletti per le femminucce, vestiti più sobri e pantaloncini per i maschietti, avevano e hanno lo scopo di far individuare facilmente il rispettivo sesso in una fase dello sviluppo nella quale i due sessi potrebbero confondersi.

E’ un messaggio per il neonato e successivamente per il bambino, ma è anche un messaggio per la comunità dei parenti e amici. Come dire e chiedere a tutti: “Mi raccomando, trattate questo bambino come femmina o, al contrario. come maschio.”

Noi siamo ciò che portiamo dentro il nostro corpo, noi siamo ciò che portiamo nella nostra mente e nel nostro cuore, ma noi siamo anche come gli altri ci vedono e come noi ci vediamo.

Se avere degli organi genitali di un determinato sesso contribuisce notevolmente allo sviluppo di una corretta identità sessuale, altrettanto importante è l’immagine che gli altri hanno di noi. Pertanto il nome, i vestitini, i colori, sono messaggi di identificazione per sé stessi e per gli altri, affinché si costruisca un vissuto interiore coerente e quindi ci si comporti di conseguenza e vada in porto, in modo corretto, il progetto di differenziazione sessuale già presente nei geni fin dal concepimento.

L’educazione.

Questo impegno per una corretta differenziazione sessuale continua mediante gli atteggiamenti ed i comportamenti familiari.

Entrambi i genitori ma soprattutto la madre si dedicheranno ad educare e sviluppare nelle femminucce un’intensa sensibilità, una calda emotività, atteggiamenti comprensivi, dolci e teneri. Si impegneranno a sviluppare nelle figlie ottime capacità nella cura e nella comunicazione, sia verbale, sia non verbale. Un linguaggio per ascoltare. Un linguaggio per capire e rispondere adeguatamente ai bisogni più immediati ed istintivi. Qualità queste indispensabili per capire, amare e accudire i bambini piccoli, ma anche i ragazzi e i giovani adolescenti.

L’attività di differenziazione continuerà, giorno dopo giorno, mediante una serie di messaggi ed elementi culturali propri dello stile femminile. Uno stile che si evidenzierà nel modo di vestire, nel modo di relazionarsi con le altre donne e con gli altri uomini, con i vicini, con la rete parentale ed affettiva.

Uno stile che mette al primo posto i valori della famiglia, dei sentimenti e il mondo affettivo relazionale.

Nel contempo, entrambi i genitori ma soprattutto il padre si impegneranno per rendere chiara e definita l’identità ed il ruolo sessuale maschile valorizzando e stimolando varie funzioni.

Intanto una motilità più agile, impetuosa e forte. Il massimo della coerenza nelle azioni. La linearità e la determinazione nelle decisioni. Il coraggio e la sicurezza nell’affrontare i pericoli ed i compiti che si dovessero presentare. Il piacere nella cura e protezione delle donne e dei bambini. L’uso di un linguaggio più asciutto e scarno che vada dritto al nocciolo del problema. Un controllo dell’emotività, affinché le decisioni e le scelte di vita non siano influenzate eccessivamente dalle emozioni e dai sentimenti del momento. Stimoli all’avventura e all’azione. Stimoli ad osare per raggiungere obiettivi sempre più avanzati e importanti per il bene familiare e sociale.

Nello stile maschile che entrambi i genitori comunicheranno al figlio vi saranno inoltre: la necessità della sobrietà negli indumenti, nel cibo, nell’uso degli oggetti; l’importanza di uno spiccato senso dell’onore, per evitare di essere banderuola e voltagabbana nei confronti della propria famiglia e della società; stimoli ad una visione molto ampia della realtà interna ed esterna che tenga conto non solo della situazione attuale ma valuti correttamente le indicazioni del passato e i possibili sviluppi futuri.

I genitori hanno quindi il compito di dare ad entrambi i figli quei vissuti ed esperienze specifiche di cui sono portatori.

Se tutta la vita relazionale tra i genitori ed i figli dovrebbe essere attenta allo sviluppo di una corretta identità sessuale, vi sono dei momenti particolarmente importanti che la psicologia ha individuato: i primi due - tre anni di vita, la fase edipica, l’adolescenza.

La fase edipica.

Nella fase edipica che inizia verso i tre - quattro anni, si sviluppa quell’amore e quella preferenza verso il genitore di sesso opposto che Freud chiamò amore edipico. Un amore vero, reale, anche se vissuto in un contesto molto diverso: più protetto, meno intenso e coinvolgente, rispetto a quello che sarà vissuto da adulto.

Un amore esclusivo, un amore geloso, un amore possessivo, un amore seduttivo verso il genitore dell’altro sesso. Questo sentimento sarà una palestra protetta e sicura per imparare a gestire le future emozioni, come quelle date dall’innamoramento ed i futuri intensi ed esclusivi sentimenti affettivi, ma sarà anche uno strumento per migliorare l’identità sessuale. Dirà la bambina: “Se papà è un uomo e io sono una donna, per farmi amare da papà dovrò cercare di essere come la mamma”. Introiterà allora, così, tutte le caratteristiche femminili della madre, la sua dolcezza, la sua tenerezza, le sue capacità di donare e curare i più piccoli, i suoi modi per ottenere quanto desiderato attraverso atteggiamenti non diretti ecc.. Al contrario avverrà per il maschietto.

Affinché “l’amore edipico” svolga correttamente il proprio compito sono, però, necessarie alcune condizioni: vi devono essere due genitori di sesso opposto, che vivano con pienezza e rispetto reciproco il loro ruolo ed il loro rapporto d’amore, ma anche due genitori presenti ed attivi nell’educazione e nel dialogo con i figli.

Le amicizie ed i rapporti sociali.

Anche le amicizie ed i rapporti sociali sono importanti. Mentre le amicizie nell’ambito dello stesso sesso migliorano l’identità sessuale, attraverso lo scambio e la comunicazione di sentimenti, pensieri, sogni, esperienze con il gruppo dei pari, le amicizie con il sesso opposto permettono di capire meglio gli elementi caratteristici dell’altro sesso e quindi preparano all’intesa e all’incontro amoroso. Pur essendo utili entrambi, nel periodo dell’infanzia e della fanciullezza sono da favorire nettamente le prime, perché è da una buona e corretta identità sessuale che può nascere la possibilità di una migliore intesa. L’eccessiva frequenza con il sesso opposto, così come avviene oggi nella nostra società, sia a livello scolastico sia durante il tempo libero, rischia di confondere il corretto sviluppo dell’identità sessuale, toglie mistero e incanto all’incontro, mentre nel contempo banalizza i rapporti con l’altro sesso.

La scuola.

Anche la scuola dovrebbe contribuire alla costruzione di una corretta identità valorizzando le singole peculiarità di genere nell’ambito della formazione degli alunni e non, come avviene oggi, livellando gli apprendimenti. Il programmare e poi attuare stili educativi come se l’umanità fosse caratterizzata da un unico sesso, costringe, limita e soffoca le caratteristiche specifiche, con notevole danno per la donna e per l’uomo che si stanno formando. Se a questo si aggiunge la netta e prevalente presenza di insegnanti donne il contributo della scuola per il corretto raggiungimento dell’identità sessuale non solo si azzera, ma rischia di essere di segno negativo sia per i maschietti che per le femminucce.

Sappiamo infatti che l’identità sessuale non è qualcosa di fermamente e definitivamente concluso, né al momento della nascita, né dopo i primi anni di esistenza; essa ha bisogno in ogni fase della vita di continui, incessanti apporti. In caso contrario può confondersi o deviare in qualunque momento.

L’importanza di una corretta identità sessuale.

A questo punto dobbiamo chiederci se all’individuo, alla famiglia e alla società sia più utile e funzionale una differenziazione sessuale importante e sostanziale, oppure no.

Per quanto riguarda l’individuo quando l’identità non è chiara e definita ritroviamo spesso insoddisfazione, ansia, depressione, in quanto come dice LIDZ: “La sicurezza della propria identità sessuale è un fattore d’importanza fondamentale per conseguire una stabile identità delI’Io. Fra tutti i fattori che contribuiscono a formare le caratteristiche della personalità, il sesso è il più decisivo. Le incertezze e le insoddisfazioni relative alla propria identità sessuale possono contribuire all’eziologia di molte nevrosi, deficienze del carattere e perversioni.”[2] E DI PIETRO aggiunge: “In chiave antropologica la sessualità è propriamente una condizione di esistenza; infatti, prima ancora di essere funzione procreativa e pulsionale profonda, essa è dimensione strutturale della persona che segna in profondità tutta l’esperienza e l’autocoscienza dell’individuo...”[3]

Ciò nasce dal fatto che in questi casi nell’Io albergano emozioni e sentimenti diversi ed, a volte, contrastanti. L’Io si ritrova spesso diviso tra pulsioni non omogenee, tra modi di comportamento, tra scelte e doveri diversi e antitetici; da ciò ansia e confusione. Se una donna avverte che la femminilità che sgorga spontanea dal suo animo e che le appartiene è accettata dagli altri e dalla società, può liberamente manifestare la sua accentuata sensibilità, il suo senso di fragilità, il suo bisogno di tenerezza e di sicurezza, mentre nel frattempo può offrire accoglienza, cura e disponibilità, senza porsi alcun problema, sicura dell’accettazione e della valorizzazione degli altri.  Se al contrario questo suo sentire e di conseguenza questo suo approccio alla relazione le è proibito, ridicolizzato, messo in dubbio o criticato, le verrà difficile e spesso penoso ogni atteggiamento, ogni scelta, ogni gesto.

Lo stesso dicasi per il maschio. Se il suo essere forte, coraggioso, lineare, coerente, deciso, sicuro di se, è apprezzato, valorizzato, accettato e accolto dalla società, egli potrà viverlo pienamente e manifestarlo senza problemi, senza tentennamenti, senza dubbi, senza rimpianti. Se al contrario il suo sentire è colpevolizzato, svilito, criticato, limitato, c’è il rischio che in lui venga a crearsi  un senso di colpa, d’impotenza, di frustrazione. Vi è soprattutto il rischio che il suo atteggiamento oscilli continuamente da un estremo all’altro senza riuscire ad avere quella stabilità necessaria per un buon equilibrio psichico e per un buon rapporto interpersonale.

Anche l’approccio verso l’altro sesso è notevolmente compromesso se il modo di rapportarsi è simile o confuso. Se la sensibilità, la fragilità, la dolcezza, la capacità di tenerezze e cure, più squisitamente femminili sono accolte, valorizzate e controbilanciate dalla forza, dalla decisione, dalla linearità del maschio, le possibilità d’intesa, d’unione, di dialogo, di complicità sono notevolmente maggiori, rispetto ad una situazione in cui nella relazione vengono ad essere portate caratteristiche similari.

I deficit sull’identità sessuale influenzano inoltre la fertilità, poiché il grado di fertilità è influenzato dal modo di sentire e vivere il proprio essere sessuato.

C’è poi un problema ancora più importante che è notevolmente sottovalutato. L’uomo è un essere molto complesso e questa complessità si evidenzia sia nella sua vita interiore, sia nella gestione delle relazioni sociali. Per questo motivo l’umanità, nella sua accezione più vasta, ha bisogno sia delle caratteristiche maschili sia di quelle femminili. L’umanità ha bisogno di forza e di dolcezza, di sensibilità e di sicurezza, d’intraprendenza e di condiscendenza, di duttilità e di fermezza. Se questi due assi ereditari sono portati in maniera chiara, netta e piena, tutta l’umanità sarà più ricca; se invece sono trasmessi in maniera limitata, confusa, contraddittoria, sfumata, instabile, tutta l’umanità diventerà più povera.

Pertanto dovrebbe essere dovere basilare d’ogni società educante, attivare tutta una serie d’atteggiamenti che tendano a stimolare e valorizzare sia la mascolinità che la femminilità, senza appiattimenti e confusione, in modo tale da dare ad entrambi i sessi tutti gli elementi specifici caratteristici delle loro rispettive identità.

Identità di genere non  perfettamente chiare e definite possono presentarsi in molti individui e in molte situazioni. La più caratteristica è quella che porta il nome di transessualismo.

  Il transessualismo o DIG (disturbo dell’identità di genere).

In questo caratteristico disturbo dell’identità di genere vi è la coscienza di avere una identità di genere sessuale diversa da quella presente nel proprio corpo e soprattutto nei propri genitali. Spesso infatti in questo disturbo vi è il forte desiderio di modificare il proprio corpo al fine di renderlo aderente al sesso vissuto interiormente.

 Per il DSM IV I criteri diagnostici per identificare il transessualismo sono i seguenti:

1.      Una forte e persistente identificazione col sesso opposto.

2.      Un persistente malessere riguardo al proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso.

3.      Il disagio non è concomitante con una condizione fisica intersessuale.

4.      Questa problematica causa disagio clinicamente significativo o una compromissione dell’area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento.

Ad esempio nei ragazzi “Male– o-female” (M-F)

vi è :

1.      Il desiderio di essere donna.

5.      Il bisogno di indossare abbigliamento femminile in modo costante.

6.      Forte ammirazione per le donne, con una intensa identificazione.

7.      Amicizie prevalentemente femminili nei giochi.

8.      Avversione per i giochi tipicamente maschili, rudi, competitivi e fisici.

9.      Avversione per le caratteristiche del corpo maschile e quindi del proprio corpo.

10.  Cambiamento di impostazione vocale.

11.  Modo di comportarsi, di camminare, di sorridere, di muoversi di tipo femminile.

 Non bisogna confondere i soggetti DIG con i  travestiti i quali si identificano con il proprio sesso anatomico. Per questi l’indossare abiti del sesso opposto è indice di una componente feticistica e quindi è sessualmente stimolante.

Il transessualismo va distinto anche dalle forme di intersessualità biologica nelle quali sono presenti contemporaneamente caratteristiche anatomiche ma anche a volte ormonali sia maschili sia femminili (Sindrome di Klinefelter – Sindrome di Turner).

 Un grave disturbo dell’identità di genere si ha anche nel transgenderismo.  A questa categoria appartengono persone che hanno un’identità sessuale diversa da quella presente nei loro organi genitali ma li accettano e non intendono modificarli.  

 

Si distingue un Transessualismo primario nel quale la consapevolezza della diversa identità sessuale risale già alla fanciullezza e un Transessualismo secondario nel quale il disagio nei confronti del proprio corpo avviene in epoca post puberale, sebbene spesso vi sia un’alternanza di periodi nei quali queste persone stanno bene con il proprio corpo e altri nei quali lo rifiutano e vorrebbero modificarne le caratteristiche sessuali. Accanto a questi due tipi di transessualismo è presente anche un Transessualismo reattivo nel quale viene individuata la causa psicologica scatenante (ad esempio una situazione di persistente e continuo abuso sessuale).

Dei bambini DIG che diventano da adulti transessuali gli studiosi presentano varie percentuali che vanno dal  2 al 25% . In Olanda le donne con identità di genere maschile sono 1: 30.000, mentre gli uomini con identità di genere femminile sono 1:10.000

Nei transessuali maschi il nucleo basale dell’ipotalamo denominato BSTc è di dimensioni identiche al nucleo basale delle donne eterosessuali.

In Italia già dal 1982 (legge n° 164/82) il legislatore ha dettato delle norme per la rettifica nell’attribuzione del sesso. In questo percorso notevolmente lungo e complesso sono coinvolti a vario titolo varie figure professionali: andrologi, ginecologi, chirurghi plastici, endocrinologi, psicologi specialisti in problemi sessuali, psichiatri, avvocati e giudici. Sono infatti necessari, in una prima fase, accertamenti di carattere psicologico, psichiatrico, cromosomico e ormonale mentre nella seconda fase sono necessari tutta una serie di interventi di tipo ormonale, chirurgico e psicoterapico. Ciò al fine di evitare pentimenti, disfunzioni e squilibri nella personalità. Solo nell’ultima fase saranno affrontati i problemi legali. Nonostante ciò i casi di pentimento riguardano 1-3% degli interventi.

Dopo la transizione si è notato che i soggetti tendono ad accentuare ed esaltare gli elementi caratteristici del sesso di elezione.

 

In sintesi, per lo sviluppo di una corretta identità sessuale, sarebbe opportuno:

•         Evitare terapie ormonali non indispensabili durante la gravidanza, l’allattamento ma anche successivamente.

•         Utilizzare cibi privi di sostanze ormonali.

•         Aiutare la formazione dell’identità e del ruolo di genere sottolineando e valorizzando le caratteristiche specifiche di ogni genere.

•         Stimolare attività, interessi e comportamenti caratteristici  dei due sessi.

•         Effettuare percorsi educativi per maschietti e femminucce differenziati in alcuni settori caratteristici.

•         Evitare una promiscuità eccessiva e forzata soprattutto durante la fase di latenza.

•         Evitare allo stesso modo un’eccessiva separazione tra i due sessi.

•         Evitare rapporti omosessuali continui e frequenti.

•         Evitare sport e attività lavorative nei quali sono messi in risalto e valorizzate le qualità e le capacità del sesso opposto.

•         Non favorire atteggiamenti e comportamenti del sesso opposto.

•         Evitare un’intensa e frequente conflittualità tra i genitori.

Educazione e ruolo di genere

 

Chiediamoci quale tipo di educazione è più conveniente per il futuro benessere della coppia e per la funzionalità di una futura famiglia.

Vi può essere, infatti, un’educazione che tende a valorizzare ed esaltare le diversità sessuali e di conseguenza i diversi ruoli sessuali e un’educazione che tende a sfumare o se possibile cancellare le diversità sessuali e di conseguenza la diversità nei ruoli sessuali.

Questa prima domanda si può tradurre a sua volta in tre quesiti:

1.    E’ possibile, mediante un’educazione che non valorizzi le differenze sessuali ma che attivamente le contrasti, far scomparire le differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti di quelli che diventeranno uomini e donne, mariti e mogli, padri e madri? E’ possibile, in altre parole, ottenere, mediante un’educazione opportuna, un’omogeneizzazione dei vissuti, dei comportamenti, degli istinti nei due sessi?

2.    Se non fosse possibile cancellarli, è possibile far diminuire questi atteggiamenti specifici dei due sessi?

3.    E’ conveniente per l’intesa di coppia e per l’educazione della prole, per la funzionalità delle famiglie fare questo?

La risposta al primo quesito è no. Non è possibile, almeno allo stato attuale delle conoscenze, far scomparire le differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti, in quanto queste differenze sono inscritte nei geni. Tornando all’esempio fatto precedentemente del progetto di una casa e della sua esecuzione, è certamente possibile che, in corso d’opera, si cambi la realizzazione di un manufatto. Ad esempio, come spesso avviene tra i “furbetti” di casa nostra che vogliano aggirare le severe leggi sull’edilizia presenti in Italia, è possibile, se si ha un terreno agricolo a disposizione, costruire prima un bel pollaio, la cui autorizzazione si ottiene facilmente, per poi trasformarlo in tanti appartamentini che renderanno molto di più di un pollaio. Purtroppo, anche se questo è possibile, tanto che viene fatto, qualcosa del progetto iniziale resta, ed è evidenziabile anche dopo tutte le trasformazioni effettuate. Anzi avviene, come vedremo, un fenomeno particolare per cui quegli appartamenti, costruiti utilizzando il progetto di un pollaio, non saranno più pollaio, ma non saranno neanche vere case. Quello che ne viene fuori è un ibrido che ha i difetti dell’uno, senza avere i pregi dell’altro. Per tale motivo non è possibile che uomini e donne vivano, sentano, pensino allo stesso modo, tranne un radicale cambiamento genetico che non sappiamo se e quando potrà avvenire e se è conveniente che avvenga.

Ma, e rispondiamo subito al secondo quesito: E’ possibile diminuire l’incidenza genetica che ci fa essere maschi o femmine con tutte le caratteristiche che noi conosciamo, mediante comportamenti educativi diversi? La risposta è sì.

In un mio viaggio in Spagna, nella regione dell’Andalusia, mentre la guida ci accompagnava a vedere una delle tante belle case andaluse, fui colpito nel vedere alcune piante di arancio, potate in modo da tappezzare, come fossero dei rampicanti, le pareti di un cortile. Giacché sono nato e vivo in Sicilia, patria degli agrumeti, ho avvertito come un brivido scorrere lungo la schiena, vedendo come la natura di quegli alberi sempre verdi, così belli e maestosi fosse stata, così scioccamente, violentata e sacrificata. Non c’era ombra di dubbio che quegli spagnoli fossero riusciti a trasformare un albero maestoso e grande, in un simulacro di rampicante che tappezzava una parte del cortile. Ma, a parte la curiosità che suscitava, l’utilità era modesta: non si presentava come un vero rampicante perché il tronco era troppo grosso per tappezzare bene la parete, ma non aveva neanche le caratteristiche di una vera pianta d’arancio in quanto, essendo stata sacrificata la sua natura, troppo modesti per qualità e quantità sarebbero stati i suoi frutti.

Effetto caricaturale ed effetto predominanza.

Lo stesso avviene quando si cerca di modificare o di contrastare un progetto genetico importante come quello riguardante l’identità ed il ruolo di genere. Il risultato che si ottiene è spesso un ibrido, che non ha né le caratteristiche dell’uno né quelle dell’altro, né i pregi dell’uno, né quelli dell’altro.

Quello che si ottiene lo abbiamo definito effetto caricaturale.

Quando guardiamo un uomo che, alle prese con un bambino piccolo, vezzeggia, si muove, sorride, coccola come una tenera mammina, quale sensazione ne abbiamo se non quella di un effetto caricaturale di donna e di madre?

E lo stesso quando si vedono delle donne soldato con abbigliamento maschile, con taglio di capelli maschile, con cipiglio da uomo e con un linguaggio sboccato, quale sensazione ne ha un osservatore anche molto disattento, se non quella di un effetto caricaturale di maschio?

Questo effetto nasce dal fatto che non riuscendo a cogliere l’essenza di un certo tipo di realtà e di comportamento, vengono imitate, esagerandole, alcune caratteristiche più evidenti, ma anche più esteriori, che sono poi le meno importanti. Queste caratteristiche però non qualificano le vera femminilità, né la vera mascolinità.

E’ in definitiva quello che fa un caricaturista o un imitatore, il quale, allo scopo di far ridere, accentua alcuni particolari del soggetto: il naso, la testa pelata, la pancia, le gambe storte, la vocetta squillante, tutte caratteristiche che però non rispondono alla parte più profonda, intima ed importante del personaggio da imitare, ma solo a qualcuno degli attributi più eclatanti.

Le conseguenze di queste modificazioni non sono però indifferenti. Quando un uomo o una donna si trovano di fronte a queste persone, con caratteristiche confuse o ambigue, potranno anche essere curiosamente interessati proprio alla loro ambiguità, ma pochi sognano di innamorarsene, ancora meno di sposarne qualcuno e di formare con questi una famiglia.

Ancora più evidenti sono i bisogni ed i vissuti dei bambini. Poiché questi, per loro natura, amano e cercano persone con caratteristiche ben nette e definite, il loro interesse e l’attaccamento verso questi personaggi è minimo.

L’altro effetto che si è avuto nell’ambito sociale potremmo chiamarlo effetto predominanza. Quando si cerca, come è stato fatto, di fondere in un’unica realtà il mondo affettivo e quello economico e dei servizi, il risultato che si ottiene è quello di una prevalenza o predominanza in alcuni settori dei valori dell’uno, ad esempio dei valori maschili e quindi del mondo dell’economia e dei servizi, mentre in altri settori prevalgono i valori femminili e quindi quelli del mondo affettivo relazionale, senza che si ottenga un corretto equilibrio tra l’uno e l’altro.

Per riconoscere l’effetto predominanza basta guardarsi attorno. Uomini e donne lavorano con lo stile ed i valori caratteristici del mondo dell’economia e dei servizi. Prevalgono e vengono esaltati l’amore per il potere e per il guadagno, la grinta e l’arroganza, la fretta e il dinamismo. Le donne manager proprio per “l’effetto caricaturale” sembrano accentuare queste caratteristiche, pertanto si muovono, vestono, si relazionano, si attivano come dei super maschi, mentre nel contempo, diminuiscono le capacità, l’amore e l’impegno verso la famiglia, i figli, e la cura dei più deboli.

Lo stesso avviene nei comportamenti, nel linguaggio e nell’approccio sentimentale e sessuale. Non avendo il modello maschile, nessun’altra concorrenza, questo predomina e viene accentuato sia nei maschi che nelle femmine in modo abnorme. Soprattutto vengono accentuati i suoi limiti ed i suoi difetti. Prevale un linguaggio aggressivo, volgare, sboccato, rispetto ad un linguaggio sereno, rispettoso, educato. Prevale l’uso ludico e libero della sessualità, rispetto al suo impiego responsabile e finalizzato ad un progetto familiare e di vita. Prevale l’infedeltà sulla fedeltà, la superficialità sulla profondità del rapporto, l’aggressività sull’accoglienza e sulla comprensione.

Al contrario, nei modelli educativi, predomina il modello femminile e quindi prevalgono gli atteggiamenti di dialogo, accoglienza, comprensione, perdono, con tutti gli eccessi di tipo permissivo. Sono presenti allora: rari e timidi “no”; notevole tolleranza e giustificazione dei comportamenti negativi; accettazione passiva della volontà e dei bisogni individuali e personali; concessioni eccessive; scarsa coerenza nei comportamenti. In questo campo, invece, vengono ampiamente sottovalutati i valori maschili come il coraggio, la determinazione, la forza, la responsabilità, la linearità, l’autonomia, le norme e le regole, i bisogni sociali. Ai modelli femminili si adeguano, accentuandoli ed esagerandoli, sia gli uomini che le donne, ma anche le leggi e l’attuazione di queste. Con grave danno per i singoli, le famiglie e la società.

Adesso rispondiamo all’ultimo quesito: se, come abbiano appena detto, è possibile, almeno in parte, ottenere questo cambiamento mediante un attento stile educativo, è conveniente farlo?

La risposta più che essere data da noi vorremmo che scaturisse dall’osservazione della realtà.

La realtà, l’esperienza e la scienza ci danno conferma che, nel mondo naturale, l’evoluzione ha intrapreso da sempre la linea della specializzazione. Questa direttrice è stata scelta quando dalle amebe primitive si è passati ad esseri più complessi, fino ad arrivare, attraverso una sempre maggiore specializzazione, agli uccelli ed ai mammiferi.

La specializzazione è stata scelta nel campo della sessualità, pertanto si è passati dagli organismi non sessuati ad altri ermafroditi e poi agli animali con chiare e nette differenze sessuali.

E’ stata scelta nell’ambito degli organi ed apparati: l’evoluzione ha abbandonato molto presto gli organismi più semplici, nei quali le stesse cellule potevano effettuare numerose funzioni, per migrare verso organismi più complessi, nei quali i vari tessuti e organi avevano dei compiti specifici. Successivamente, a mano a mano che l’organismo diventava più complesso, si rendevano necessarie ulteriori specializzazioni. Non più soltanto generiche cellule nervose, ma nuclei e aree di secondo e terzo livello di specializzazione: aree specifiche per la visione, per le attività motorie, per l’olfatto ecc.. Ed in seguito, se ciò non bastasse, all’interno di queste specifiche aree, altre sotto - unità si specializzavano per compiti ancora più particolari. Ad esempio, nell’area della visione si riconoscono gruppi di cellule con l’unico scopo di evidenziare chi il colore, chi le forme, chi la grandezza e la disposizione delle linee.

Lo stesso è avvenuto nell’ambito delle società: è stata scelta la specializzazione nei trasporti come nei mestieri. Nelle società più semplici ognuno faceva tutto. Non c’erano meccanici, come non c’erano gli addetti all’ecologia, i muratori, i tessitori, gli avvocati o i medici. Man mano che le società diventavano più complesse sono nati, come esigenza imprescindibile, mestieri specifici. Più è aumentata la complessità, più numerose e specifiche sono state le specializzazioni. Attualmente le industrie non chiedono dei generici operai, ma non chiedono neppure dei meccanici che già sono una specializzazione, ma cercano saldatori, fresatori, tubisti, addetti alla gestione informatica delle macchine e così via.

Questa tendenza la ritroviamo in tutti i campi. Nel campo medico: cardiologi, pediatri, neuropsichiatri, dermatologi, angiologi, podologi, ematologi ecc.. Nel campo della legge: avvocati civilisti, penalisti, matrimonialisti, avvocati del lavoro, commercialisti, amministrativisti, tributaristi, ecc.

Vi è pertanto una regola generale: maggiore è la complessità di un organismo, maggior grado di specializzazione si rende necessario. Ebbene, come abbiamo detto, le funzioni della coppia genitoriale sono estremamente complesse e delicate perché possano essere svolte senza una previa specializzazione e senza dei ruoli specifici.

La riprova della non convenienza a ricercare un unico ruolo ed un’unica identità sessuale si ha dall’osservazione storica degli avvenimenti.

RUOLO SEPARATO O RUOLO UNICO?

Come è risaputo la rivoluzione nel ruolo femminile, la parziale, ma sempre più desiderata e diffusa indipendenza della donna rispetto alle cure familiari e la sua entrata massiccia nel mondo della produzione e dei servizi iniziò con l’affermazione di alcuni principi:

Il principio di uguaglianza: uomini e donne sono uguali non solo come valore ma anche come natura. Le piccole differenze presenti nei comportamenti e nelle inclinazioni sono dovute all’educazione diversa ricevuta dai genitori. Per dimostrare il principio di uguaglianza veniva evidenziato il fatto che le donne alle quali era stata preclusa per secoli tutta una serie di mestieri e attività maschili, avevano dimostrato ben presto di essere bravi medici, ottimi avvocati, coraggiosi aviatori, bravi macchinisti delle ferrovie. Allo stesso modo gli uomini, ai quali era preclusa la cura e l’allevamento della prole, erano anche in grado di cucinare, cambiare i pannolini ed addormentare un bambino, mettere in moto la lavatrice, lavare i piatti e spingere una carrozzina per portare a spasso il pupo.

Il principio di parità e di giustizia: avendo pari qualità e dignità era giusto avere pari responsabilità e funzioni nella società, nel lavoro extrafamiliare e domestico, nelle relazioni sessuali ed affettive, nella gestione politica ed economica, come nell’ambito religioso ed ecclesiastico. La pari responsabilità nelle decisioni familiari significava che uomo e donna, marito e moglie avevano gli stessi diritti nel prendere ogni decisione nei riguardi dei figli, della famiglia e del lavoro. Quindi ogni decisione, dalla più piccola alla più importante, doveva essere posta al vaglio dell’uno e dell’altro e attuata solo se veniva accettata da entrambi. La parità nell’ambito sociale aveva come conseguenza che sia agli uomini che alle donne non venisse precluso alcun lavoro, in base al sesso. Donne soldato, aviatore, imbianchino, minatore andavano benissimo, come andavano benissimo uomini negli asili nido, nella scuola materna, o puericultori. Era altrettanto giusto che uomini e donne impiegassero pari tempo ed energie nella cura dei figli e dei familiari anziani. Bisognava allora che gli uomini si dedicassero ad occupare, per le attività domestiche e per la cura dei bambini e dei familiari, la stessa quantità di tempo impiegata dalle donne. Pur non potendo ancora l’uomo partorire era giusto che almeno soffrisse, insieme alla donna, partecipando ai dolori del travaglio e del parto. Se era concesso agli uomini essere “cacciatori” e fare delle proposte sentimentali e sessuali alle donne, altrettanto dovevano poter fare le donne nei confronti degli uomini. E così come gli uomini potevano usufruire di un vasto campionario di donne che vendevano il loro corpo, era giusto che anche gli uomini si decidessero a vendere le loro prestazioni sessuali ed il loro corpo alle donne che desideravano trascorrere qualche minuto in loro compagnia. Bisognava pertanto superare al più presto, tutte le discriminazioni in campo religioso, in quanto non era giusto che solo gli uomini potessero fare i preti, i vescovi, i cardinali ed i papi. Anche la carriera ecclesiastica doveva essere aperta alle donne, perché diventasse effettiva, per entrambi i sessi, la pari dignità.

Il principio di sussidiarietà: il rapporto tra uomini e donne doveva prevedere l’aiuto reciproco e l’interscambiabilità dei ruoli. In tal modo i figli, anche con la momentanea o prolungata assenza di un genitore, ne avrebbero avuto sempre un altro di riserva, capace di essere di volta in volta madre o padre, a seconda dei casi e delle necessità. Un genitore unico avrebbe potuto cullare il bambino, dargli la pappa, cambiargli il pannolino, mentre l’altro era fuori a dirigere il traffico, in missione, in un’altra città a tenere una lezione all’università, o in un altro Stato  a pilotare un aereo. In questo modo la responsabilità del mondo degli affetti e delle relazioni e quella del mondo dell’economia e dei servizi, sarebbe stata equamente divisa al 50% tra uomini e donne, tra padri e madri, tra mariti e mogli.

Il principio di libertà: il rapporto tra uomo e donna doveva essere improntato alla massima libertà reciproca. I divieti da parte dell’uno o dell’altra dovevano essere minimi. L’intesa fra questi due generi doveva fondarsi sul dialogo, sull’amore e sull’accettazione reciproca, non su imposizioni o vecchi dogmi.

Purtroppo le cose non avvengono solo perché noi le desideriamo e razionalmente le programmiamo, in quanto non sempre riusciamo a scorgere tutti gli elementi che influiscono sul problema che volevamo affrontare e risolvere. Quando trascuriamo, come abbiamo fatto in questi decenni, alcuni fattori importanti ed essenziali, ciò che otteniamo dai nostri comportamenti è molto diverso da quanto programmato, desiderato o auspicato.

Nelle società che hanno scelto la strada dell’impegno paritario d’entrambi i coniugi nel mondo affettivo e del lavoro, le cose non sono affatto avvenute come ci si aspettava.

Quando nei primi decenni del novecento iniziò la tendenza all’uguaglianza dei ruoli, iniziò anche una sfida, che per molti non è ancora conclusa, per contemperare sia da parte femminile che da parte maschile il mondo affettivo e di cura ed il mondo economico e dei servizi. Lo scopo che si voleva ottenere era quello di armonizzare, in modo tale che nessuno ne soffrisse, l’indipendenza della donna rispetto al ruolo tradizionale nel campo familiare ed affettivo e quello da poco assunto nel campo della produzione.

Nel momento in cui le donne madri iniziarono a lavorare lontano dalla casa, dalla famiglia, alle dipendenze di altri, per molte famiglie aumentò sin quasi a raddoppiare il reddito familiare e con esso si ebbe un miglioramento notevole del tenore di vita, del risparmio e degli investimenti. 

Questa soluzione sembrò quindi essere l’uovo di Colombo per ottenere insieme ad una maggiore realizzazione femminile, una maggiore ricchezza delle famiglie e della comunità. Perché avere un solo stipendio quando era possibile averne due? Perché non dare ai figli più benessere e più mezzi per il loro avvenire? Perché far godere solo una persona, l’uomo, dei benefici della cultura più avanzata: diploma, laurea, dottorato, master? Perché far godere sempre l’uomo della sicurezza ottenuta mediante l’indipendenza economica, e non anche la donna? Perché non liberare la donna dalla schiavitù dei fornelli e darle un posto più prestigioso nell’ambito culturale, sociale, economico e politico?

Naturalmente ci si accorse subito che questo travaso dell’impegno della donna all’esterno della famiglia non avveniva in modo indolore.

Chi avrebbe effettuato tutte le attività che erano state fino a quel momento appannaggio della donna come cucire, cucinare,  pulire la casa, curare i bambini, gli anziani, i malati?

La risposta non sembrava affatto difficile. Intanto era necessario ottenere una maggiore collaborazione da parte degli uomini e poi era sufficiente comprare, con il maggior reddito, gli strumenti e le macchine necessarie.

Per quanto riguarda il primo punto: la collaborazione degli uomini, non è stata un’impresa facile ottenerla  e ciò per vari motivi. Gli uomini educati ed abituati ad un certo ruolo e ad un certo stile di vita, difficilmente erano disposti a cambiarlo. Inoltre, date le caratteristiche maschili nella gestione delle proprie energie questi, dopo aver dato fondo a tutte le proprie risorse nel lavoro esterno alla famiglia, si aspettavano, al ritorno a casa, un meritato riposo e non sopportavano o accettavano altri lavori e altri impegni. Un secondo motivo nasceva dal dover sopportare più che accettare una realtà non condivisa. Alle donne in carriera il discorso fatto dai loro mariti era pressappoco questo: “Ti piace e ci tieni a lavorare anche all’esterno della famiglia per la tua realizzazione personale e per la tua indipendenza economica, pertanto arrangiati.” Questo atteggiamento naturalmente aveva come conseguenza la nascita o l’accentuazione dei contrasti nell’ambito della coppia.

Più facile fu ottenere la collaborazione della macchine idonee a diminuire il lavoro femminile all’interno delle case. Cucine a gas, frigorifero, lavatrice, lavastoviglie, aspirapolvere, forno a microonde ed altre furono, e sono tuttora, strumenti indispensabili nel momento in cui buona parte dell’attività lavorativa della donna si era spostata fuori dalle mura domestiche.

Tra l’altro l’utilizzo di queste macchine e le maggiori possibilità economiche, nell’ambito industriale, funzionarono da volano per innescare una serie di eventi positivi. Più acquisti, più produzione, più ricerca, minori costi, maggiori capacità di acquisto, più diffusione di oggetti e strumenti nell’ambito delle famiglie, maggior benessere economico. Il volano dell’economia cominciò a girare molto più velocemente rispetto al passato.

Accanto a questi effetti positivi furono subito notate le conseguenze negative sia di tipo economico, sia di tipo affettivo – relazionale. Dal punto di vista economico più aumentavano gli strumenti necessari per diminuire gli impegni e le fatiche della donna, più aumentavano per le famiglie le spese: per l’acquisto, per le riparazioni, per l’energia necessaria a far funzionare le macchine e per lo smaltimento dei rifiuti. Aumentarono anche i bisogni femminili e maschili, per ben presentarsi ogni giorno in società. Dovendo vivere tutto il giorno, gomito a gomito, con altre donne e con altri uomini e non sfigurare davanti ai loro occhi e nei loro apprezzamenti, aumentarono le spese personali per l’acquisto degli indumenti e per la cura del corpo. Aumentarono anche le spese per i trasporti. Non più un’automobile ma due, per spostarsi e andare e tornare dal lavoro. Aumentò anche, conseguentemente, sia l’inquinamento globale che lo stress. Stress causato dalla fretta, dal moltiplicarsi degli impegni. Stress dovuto al tempo sempre più lungo necessario per gli spostamenti da casa per e dal luogo di lavoro. Stress dovuto al difficile e spesso conflittuale rapporto con colleghi e superiori. Stress nel vivere con ritmi non confacenti ad un essere umano. Stress dovuto all’aumento della conflittualità tra uomo e donna. Giacché, a causa di tanto stress dentro e fuori casa, si avvertiva la necessità di maggiori gratificazioni e piaceri, aumentò anche la spesa per il soddisfacimento dei bisogni ludici ma anche per l’uso di psicofarmaci.

L’aumento delle spese portò come conseguenza un aumento dei bisogni economici. Da qui la necessità di lavorare di più sia per gli uomini che per le donne.

Per coprire i bisogni affettivi, relazionali, di assistenza e cure, lasciati scoperti dalle donne che andavano a lavorare fuori della famiglia, nacquero e si diffusero numerosi servizi. Questi, anche se inizialmente erano molto scarsi, nel giro di pochi anni aumentarono di numero in modo considerevole. Numero però mai sufficiente a coprire i bisogni sempre crescenti. Furono istituite le case di riposo per gli anziani, gli asili nido comunali, regionali e privati per i bambini piccoli, e poi le scuole materne, gli asili aziendali, il tempo prolungato ed il tempo pieno nelle scuole, i centri per i disabili.

Furono necessari gli scuolabus per prelevare ed accompagnare i minori a scuola e viceversa, per riaccompagnarli a casa. Il servizio da parte delle baby-sitter, i servizi di custodia nelle scuole per i bambini i cui genitori erano costretti dagli orari di lavoro a lasciarli anzitempo e prenderli dopo l’orario scolastico. Aumentò il servizio gratuito di custodia dei bambini da parte dei nonni, o di qualche zia compiacente. Furono istituite poi le mense aziendali ed i buoni pasto, in modo tale da evitare di ritornare a casa nella pausa pranzo. E ancora fu necessario l’aiuto degli insegnanti di doposcuola per fare effettuare i compiti ai figli.

Naturalmente, buona parte di questi servizi aggiuntivi, aveva un costo che gravava o sulle singole famiglie o sulla comunità nel suo complesso.

Attualmente, mentre è in continuo costante aumento dentro le mura domestiche l’uso di macchine sempre più sofisticate e di servizi rivolti alla normale gestione della casa e della famiglia, è in notevole espansione anche la richiesta di personale specializzato con funzioni di tipo pedagogico, psicologico e psichiatrico. Personale necessario a coprire i bisogni per le piccole e gravi disfunzioni dovute all’incremento delle patologie psichiche dei minori, delle coppie e delle famiglie.

Se gli adulti vengono seguiti dagli psichiatri e dagli psicologi, molti bambini con problemi sono seguiti o curati da pedagogisti, psicologi e neuropsichiatri infantili. Questo personale specialistico viene attivato, sia per risolvere problemi già esistenti, sia per coprire le carenze affettive presenti nelle famiglie.  Questo costosissimo personale a volte ha la funzione soltanto di orecchie o di cuori, disposti ad ascoltare, finalmente, pensieri ed emozioni.

Per gli adolescenti con problemi di tossicodipendenza vengono attivati i Sert  e le comunità terapeutiche. Per le giovani anoressiche e gli alcoolisti le cliniche specializzate o i gruppi di auto aiuto. Per le coppie in difficoltà i consultori familiari e i consulenti e terapisti della coppia e della famiglia.

Se non bastasse, negli ultimi decenni molte famiglie benestanti si stanno organizzando con camerieri tutto fare per coprire le residue esigenze della cura della casa (pulizia della casa, preparazione degli alimenti),  mentre le esigenze affettive e di compagnia degli anziani anche se perfettamente autosufficienti vengono affidate alle badanti. 

Si possono allora distinguere tre fasi: una prima fase nella quale era necessario coprire solo alcune esigenze di tipo materiale; una seconda fase nella quale era necessario coprire anche le esigenze psicologiche, di assistenza e cura; una terza fase, quella attuale, nella quale è necessario coprire le esigenze patologiche in notevole aumento riguardanti la coppia, i bambini, gli adolescenti, i giovani, le persone mature e gli anziani.

A questo punto è chiaro che ci si trova inseriti senza volerlo, e credo senza averne una chiara cognizione, in un circolo vizioso: il trascurare il mondo degli affetti, se da una parte fa aumentare il reddito pro capite, dall’altra fa crescere la necessità di strumenti e servizi sostitutivi ma, e questo è il fattore che dovrebbe più allarmare il mondo della politica, dell’economia e dei servizi: con l’aumento delle situazioni di disagio e di malattia è necessario l’intervento di personale specializzato e l’attivazione di servizi e strutture che fanno lievitare i costi, sia per lo Stato  sia per le famiglie. Gli economisti come L. Bruni dell’università di Milano hanno, infatti, evidenziato che: “La crescente indigenza delle famiglie è anche conseguenza di una crescente carestia di rapporti di gratuità, dello sfilacciamento delle reti familiari e comunitarie. – Per crescere un bambino ci vuole l’intero villaggio -, recita un saggio proverbio africano. Ma quando il villaggio non c’è più per crescere il bambino (o per assistere l’anziano) c’è bisogno del mercato: baby-sitter, badanti, asilo nido, servizi di cura, eccetera, che prendono il posto dei rapporti mancanti. Il valore economico del “capitale relazionale” è enorme, ce ne accorgiamo quando viene meno e dobbiamo ricorrere al mercato.” 

Per comprendere meglio quanto detto mi permetto di riferirvi il caso di una famiglia da noi seguita qualche anno fa.

Questa famiglia era composta da due genitori e tre figli. La mamma, una professionista, alla domanda di come si svolgesse la loro vita familiare mi riferì che, fin dall’inizio del matrimonio, si era dedicata preferibilmente alla sua professione per un motivo molto semplice e facilmente comprensibile: “Io sono una professionista, una mia ora vale 50 euro; se io assumo una colf per la pulizia della casa spendo 8 euro l’ora, guadagnando così 42 euro. Se faccio lo stesso con la cuoca, che prepara il pranzo per me e per i miei figli e che pago 10 euro, ne guadagno 40. Se a questi aggiungo una brava insegnante per aiutare i bambini nei compiti, che mi costa 15 euro, ne guadagno altri trentacinque.

Questa professionista si lamentava di avere dei gravi conflitti con il marito (tanto che fu poi costretta a dividersi da questi) e di avere, nonostante tutti i suoi sacrifici, tutti e tre figli con problematiche psicologiche più o meno gravi.

Ma questo non è tutto. Dopo alcuni anni, stranamente, nonostante tutti questi suoi “guadagni” che si aggiungevano a quelli del marito, si era accorta di non riuscire a sbarcare il lunario, perché il numero di persone e delle terapie e quindi di spese che doveva sostenere per affrontare la difficile situazione che si era venuta a creare nel tempo, aumentavano ogni giorno di più e lei era costretta a lavorare anche nei fine settimana per cercare di rimediare i soldi necessari.

La madre di cui sopra, nei suoi calcoli corretti ma incompleti, non aveva valutato il fatto che nel trascurare il mondo degli affetti si producono dei danni notevoli ai singoli, alla coppia e alla funzionalità della famiglia nel suo complesso, danni che hanno spesso delle ricadute economiche non indifferenti.

Nonostante quello che abbiamo riferito sia un caso limite, l’esperienza di questi anni maturata nella cura dei bambini in difficoltà, ci conferma ogni giorno di più che il sottovalutare da parte dei singoli e della società il mondo delle emozioni e dei sentimenti, produce dei notevoli guasti che si evidenziano sul piano del benessere individuale, sulle famiglie, sulle coppie, come sui rapporti sociali. Questo malessere ha dei risvolti economici non indifferenti.

Infatti, per ogni bambino, giovane o adulto con problematiche psicologiche di una certa rilevanza, a carico della famiglia e/o della società, sono da mettere in conto:

•    costi per visite, esami ed interventi specialistici che coinvolgono spesso numerosi centri ed operatori. Frequentemente per un problema psichico vengono interessati oltre al medico di base, almeno tre specialisti e due – tre strutture ospedaliere, con conseguenti numerosi esami che, negli ultimi anni, sono diventati sempre più costosi: test mentali e di personalità, EEG, TAC, REM, esami cromosomici ecc.. Questi esami clinici spesso vengono considerati di routine in molti centri;

•    costi per effettuare interventi educativi e riabilitativi presso centri e strutture specializzate. Queste terapie spesso si protraggono per diversi anni;

•    costi, nell’ambito scolastico, per attuare un insegnamento individualizzato con l’aiuto degli insegnanti di sostegno. Anche queste spese devono essere sostenute per diversi anni;

•    costi per il trasporto in queste strutture;

•    costi per comprare o utilizzare materiale didattico speciale;

•    costi, nei casi più gravi, per l’assistenza scolastica, mediante l’ausilio di personale specializzato;

•    costi per gli interventi psicoterapici individuali, di coppia e familiari anch’essi della durata di diversi anni;

•    poiché per le visite, i ricoveri, i controlli e gli interventi riabilitativi e terapeutici, sono coinvolti necessariamente i genitori o altri parenti, bisogna anche considerare i costi consequenziali al loro impegno;

•    costi per l’assistenza ospedaliera  o domiciliare;

•    costi di tipo assistenziale e pensionistico quando il recupero non ha dato buoni frutti;

•    a tutte queste spese bisogna aggiungere quelle indirette legate all’influenza negativa che i soggetti con problematiche psicologiche provocano nei confronti delle famiglie e dei soggetti normali ed i mancati guadagni dovuti ad una parziale, scarsa, o nulla attività lavorativa dei soggetti interessati da patologie psichiatriche. Infatti, purtroppo, frequentemente, tutti gli interventi su esposti non permettono un recupero totale e spesso neanche parziale delle capacità lavorative del soggetto;

•    se poi, come spesso accade, quando si trascura o si sottovaluta l’importanza del mondo affettivo, anche il rapporto tra i coniugi va a rotoli, a queste spese bisogna aggiungere quelle per portare avanti le cause di separazione e di divorzio e quelle per mantenere un’altra casa con tutti i costi dei servizi che risultano praticamente raddoppiati;

•    per non parlare di quanto lo Stato  è costretto a spendere quando vengono posti in essere comportamenti delinquenziali per i quali sono necessari tribunali, carceri, centri di recupero e così via. 

La carenza dell’impegno verso il mondo affettivo.

Cosa ci conferma che vi è una carenza nell’impegno verso il mondo affettivo e della relazione?

Sono molti i segnali che ci indicano uno scarso impegno nei confronti del mondo affettivo-relazionale.

•    La diminuzione del tempo trascorso in casa da parte dei genitori.

•    La diminuzione del tempo trascorso con i figli.

•    Un aumento nell’uso della TV e dei video giochi.

•    L’aumento nell’utilizzazione delle baby-sitter.

•    L’aumento nel coinvolgimento dei nonni, degli altri parenti e dell’asilo nido per la cura e la custodia dei minori.

•    L’aumento dell’uso di cibi surgelati; precotti, cibi pronti da asporto già cotti.

•    L’aumento delle occasioni nelle quali la famiglia o i vari componenti consumano i pasti fuori casa.

•    L’aumento nell’utilizzazione di insegnanti esterni per seguire i figli nei compiti.

•    L’aumento nell’uso di badanti per gli anziani.

•    La diminuzione dell’assistenza familiare ai soggetti malati o infortunati;

•    L’uso eccessivo ed improprio dei servizi sanitari, anche per situazioni facilmente gestibili in famiglia.

•    Lo scarso o patologico legame che si stabilisce con i figli.

•    Gli scarsi momenti di dialogo e cura nei confronti dei vari componenti la rete affettiva e familiare.

•    Un aumento del tempo trascorso lontano dai genitori, da parte dei figli.

L’aumento del malessere psicoaffettivo e relazionale.

Altrettanto numerosi sono i segnali che indicano un aumento del malessere psicoaffettivo e relazionale.

•    La rete familiare diventa sempre più piccola, povera, sfilacciata, incapace di accoglienza ed aiuto.

•    La vita di coppia è sempre meno gratificante, sempre più conflittuale, tanto che molti uomini ed un gran numero di donne preferiscono rimanere soli che sposarsi o convivere.

•    Si assiste ad una diminuzione nel numero dei matrimoni.

•    Aumenta l’età media degli sposi.

•    Vi è un netto aumento delle violenze nell’ambito familiare.

•    Aumentano i figli nati al di fuori del matrimonio.

•    Aumentano i casi di separazione e di divorzio.

•    Diminuisce il desiderio di maternità e paternità.

•    La vita sessuale nella coppia diventa sempre più povera e insoddisfacente.

•    Aumentano i casi di infedeltà prematrimoniale e matrimoniale.

•    Vi è una maggior presenza di legami affettivi precari, superficiali senza un progetto ricco, ampio e proiettato nel futuro.

•    Vi è un aumento dei disturbi psichici anche gravi sia in età infantile sia durante l’adolescenza o la giovinezza.

•    Vi è un aumento dei fenomeni devianti  ed una diffusione massiccia dei disvalori come il sesso, il denaro ed il potere.

•    Vi è un aumento nell’uso di psicofarmaci, alcool e droghe.

Il rapporto uomo - donna.

Per quanto riguarda il rapporto uomo – donna ci si aspettava certo una certa resistenza maschile nel momento in cui venivano avanzate delle richieste di parità. Era prevedibile che il rinegoziare ogni aspetto della vita di coppia e familiare avrebbe comportato, specialmente nei confronti della prima generazione maschile e nella fase di adattamento, un aumento della conflittualità, ma credo che non ci si aspettasse affatto quanto poi è avvenuto. Anche perché le premesse sembravano molto promettenti.

Intanto l’accettazione dei diritti femminili sembrò non incontrare se non una marginale resistenza sul piano politico ed istituzionale. Anzi, moltissimi uomini, nell’ambito della politica, del sindacato, come della Chiesa accolsero, facendoli propri, i proclami di liberazione femminile, alla stessa stregua degli altri proclami libertari, impegnandosi ad attuarli mediante tutta una serie di leggi che sancivano buona parte delle richieste.

 Anche nell’ambito culturale la maggioranza degli studiosi fece propri questi nuovi principi nella relazione tra i sessi. Questi studiosi di varie discipline psicologiche, politiche e sociali diventarono essi stessi paladini del nuovo corso egualitario che si voleva instaurare. I pochi che osarono dubitare della bontà di questi principi, vennero bollati come antiquati retrogradi maschilisti, legati ancora ad un superato mondo arcaico contadino.

Nell’ambito religioso, anche se la dottrina della Chiesa cattolica sull’ordinazione dei vescovi e sacerdoti continuava ad escludere le donne, tuttavia, pur di dimostrare di accettare e far propri i princìpi egualitari, venivano spiegate e piegate a questi principi le indicazioni sui ruoli maschili e femminili nell’ambito della famiglia contenute nel Vecchio, come nel Nuovo Testamento, nelle Lettere degli Apostoli, come nei Padri della Chiesa. Tutte le espressioni che davano al marito il ruolo di capo famiglia, venivano spiegate come concetti nati in una società ed in un’epoca ad impronta maschilista e quindi non più attuali.

Nonostante queste premesse sembrassero le migliori per favorire una nuova intesa tra uomini e donne, tuttavia, come un fiume che scorre in profondità e si allarga formando immensi tunnel sotterranei e buie caverne che poi, improvvisamente, crollano con tutto quello che la natura e gli uomini vi hanno costruito sopra, qualcosa non è andato per il verso giusto. Ed i motivi sono numerosi.

“Innanzi tutto se noi siamo uguali, se tra noi non vi devono essere differenze, perché solo l’uomo deve fare gli approcci sessuali e sentimentali e la donna deve fare la difficile e rifiutare o accuratamente scegliere? Perché questa possibilità e libertà di esprimere i propri desideri, impulsi e bisogni non deve essere offerta anche alle donne?” Che poi questo si traduca in una accentuazione massiccia del tradimento, sia prima, sia dopo il matrimonio, e quindi in una notevole sofferenza per entrambi i sessi, per la famiglia, per la società, è solo una trascurabile conseguenza del diritto alla parità tra i sessi.

“Se noi siamo uguali, e se tra noi non vi devono essere differenze, perché non vestire allo stesso modo? Perché non avere entrambi lo stesso linguaggio? Perché non frequentare gli stessi luoghi? Perché non avere gli stessi stili di comportamento nel muoversi e nel gestire?” Peccato però che ai maschi, donne e ragazze che vestono come loro, parlano come loro, dicono parolacce come loro, interessino poco o nulla. E se vi è un qualche interesse questo nasce solo da motivi ludici o sessuali. Ma anche le donne, nonostante siano per loro natura più disponibili degli uomini ad accettare le mode del momento, non dimostrano molto entusiasmo verso gli uomini con caratteristiche femminili.

“Se entrambi, uomini e donne siamo esseri umani liberi, chi o che cosa può imporre costumi ed atteggiamenti castigati? Chi o che cosa può indicare che vi è un limite alla decenza nel modo di vestire, di parlare o di comportarsi?” Peccato però che questi atteggiamenti poco decorosi, agli occhi dei maschi appaiano spesso come una sfrontata disponibilità sessuale, pertanto il tipo di approccio verso queste ragazze o donne, ha quasi esclusivamente un’impronta di libero e spensierato gioco sessuale, con dolorose ricadute in chi sperava in qualcos’altro.

“Se noi siamo uguali, se abbiamo gli stessi diritti di scelta, se siamo liberi e maggiorenni, chi o che cosa potrà decidere del luogo dove andare a lavorare, dove trascorrere le vacanze, le persone da incontrare, le attività da intraprendere? Nessuno, certamente.” Peccato che questo smembri le famiglie e renda estremamente difficili l’educazione dei figli e la fedeltà sia dell’uomo che della donna.

“Se noi siamo uguali, se tra noi non vi devono essere differenze, se abbiamo gli stessi ruoli, chi o che cosa potrà essere o valere come discriminante per decidere delle scelte, su che cosa fare e non fare? Chi deve fare un certo tipo di lavoro piuttosto che un altro? E soprattutto come deve essere fatto un certo tipo di lavoro?”

Nelle attività industriali, commerciali o dei servizi ma anche nelle comuni esperienze di convivenza in una stessa casa, è noto ciò che succede quando non vi sono compiti chiaramente definiti.

In un corso nell’ambito di un progetto di prevenzione del disagio psicologico tenuto qualche anno fa nella nostra città per studenti fuori sede, avevamo ipotizzato come possibili problemi per questi universitari, la lontananza dal paese natio, la nostalgia per i genitori, le difficoltà ad integrarsi in un nuovo ambiente, in una nuova città. Pertanto avevamo impostato gli incontri su queste tematiche. Ci accorgemmo subito che non avevamo centrato gli obiettivi del corso. Buona parte dei problemi riportati dai giovani, non erano legati alla nostalgia della casa natia e dei genitori, né erano dovuti alla perdita delle amicizie dell’infanzia o alle difficoltà di mettere radici in una grande città. Buona parte dei problemi nascevano, invece, dalla difficile convivenza di più giovani nella stessa casa. Convivenza tra persone che, almeno in teoria, non avrebbero dovuto avere di questi problemi, in quanto dello stesso sesso, con gli stessi interessi, senza particolari legami e doveri se non quelli di studiare e divertirsi. Il problema principale, portato da questi universitari nelle discussioni di gruppo, era la divisione dei compiti. In parole povere: chi, quando e come doveva lavare la cucina, il corridoio ed il bagno, costituiva il tema principale dei contrasti e delle acerrime discussioni tra i giovani e soprattutto tra le giovani studentesse. Nonostante alcuni di loro, dividendo tutti i compiti in modo equilibrato, avessero definito prima, almeno in teoria in modo perfettamente equanime, cosa bisognasse fare, come bisognasse farlo e soprattutto chi dovesse eseguirlo, nascevano lo stesso discussioni infinite. Perché “C’è sempre qualcuno che vuol fare il furbo e quando è il suo turno o non fa quello che dovrebbe o lo fa male, o non così bene come dovrebbe.”

La realtà che dovremmo riuscire ad accettare è che ognuno di noi, soprattutto se di genere diverso, ha un suo modo di vedere le cose, un suo modo per affrontarle, un suo modo per risolverle.

I conflitti sono molto meno intensi e la gratificazione è molto maggiore quando ad una persona viene affidato un compito specifico, quando quel compito per il quale è stata a lungo preparata, ha la possibilità di svolgerlo bene, e quando per quel compito questa persona viene ampiamente gratificata da parte di chi usufruisce del suo servizio.

Al contrario, se siamo in due a dover svolgere un compito è difficile, se non impossibile, dividerlo equamente, pertanto è facile che nasca dell’attrito per quello che l’altro non fa o non fa bene. Se siamo in due a dover eseguire un compito la gratificazione ottenuta è molto inferiore, non solo perché il piacere provato bisogna dividerlo in due, ma anche perché non lo sentiamo pienamente nostro. E tutte le cose non avvertite come nostre danno scarso piacere e scarsa soddisfazione. Aumentano i contrasti, aumentano i musi lunghi, aumenta l’insoddisfazione personale. Diminuisce la gioia ed il piacere nell’eseguire quel compito, diminuisce il senso del dovere e di responsabilità.

Quest’ultimo è forse l’evento più grave.

Se un determinato compito è affidato solo o prevalentemente ad una sola persona che ne è anche responsabile, questa si prepara ad assolverlo al meglio, si impegna al massimo per eseguirlo bene in quanto, sia in caso di fallimento che di riuscita, a questa persona soltanto saranno riconosciuti i meriti o imputati i demeriti. Se si è in due o più di due, vi è sempre la possibilità di scaricare sull’altro o sugli altri i demeriti e di prendere su di sé i meriti.

Questo è ciò che in realtà è successo nelle esperienze di condivisione dei compiti e dei ruoli.

La responsabilità e l’autorità condivisa su tutti gli aspetti educativi e formativi, data ai due genitori, si è ulteriormente ampliata ai nonni, agli insegnanti e agli operatori dei servizi. Quando qualcosa non va per il verso giusto, e sono sempre più numerose le occasioni nelle quali le cose non procedono bene, vi è o la negazione del problema: “Mio figlio non ha alcun disturbo, sta meglio di me e di lei; è solo capriccioso” o la responsabilità, per istintiva difesa personale, viene inevitabilmente scaricata sugli altri. “Sono stati i suoi compagni che lo hanno traviato.” “E’ colpa di suo padre sempre assente.” “E’ stata sua madre permissiva che lo ha rovinato.” “Sono gli insegnanti incapaci e impreparati che non lo hanno capito.” “E’ colpa della psicologa alla quale lo avevamo affidato che non ha saputo fare il suo lavoro.”

Il rifiuto di ogni responsabilità sull’educazione dei figli, porta sempre più genitori a denunciare o picchiare gli insegnanti per essersi permessi di bocciare o rimproverare il loro figlio ignorante o maleducato. Nella nostra quotidiana attività professionale di neuropsichiatria infantile abbiamo potuto notare che, per alcuni genitori, è già offensivo aver loro semplicemente comunicato che il figlio ha dei problemi psicologici che bisognerebbe affrontare.

LA PROPOSTA DEL 50%

Perché è così difficile impegnarsi in modo equanime nel mondo affettivo ed economico affinché nessuno ne soffra?

Molti per la verità, soprattutto nell’ambito religioso, non avrebbero assolutamente voluto che il mondo della produzione fosse privilegiato rispetto a quello degli affetti, in quanto prevedevano le conseguenze nefaste sulla coppia, sulla famiglia e sull’educazione della prole. Pertanto, proponevano che l’uomo e la donna si dividessero equamente questi due fondamentali impegni.

Era ed è ancora per molti psicologi, sociologi, educatori e uomini di chiesa, “la proposta del 50%”.

In pratica, per attuare questa proposta, il marito e la moglie, l’uomo e la donna, dovrebbero impegnare il proprio tempo e le proprie energie dividendole equamente tra casa e lavoro; tra mondo dell’affettività e mondo della produzione e dei servizi.

In questo modo nessuna delle due realtà ne soffrirebbe. Uomini e donne avrebbero la stessa gratificazione. Entrambi i sessi avrebbero doppie capacità e doppie competenze.

Tutto ciò, purtroppo, non è avvenuto.

In realtà è avvenuto ben altro. E’ avvenuto quello che alcuni prevedevano.

Nonostante gli uomini portino a spasso i propri figli nella carrozzina o lavino i piatti, non si sono mai veramente coinvolti, né si sono impegnati, se non raramente, ad utilizzare metà del proprio tempo, della propria preparazione e delle proprie energie a favore del mondo degli affetti. Ma, quel che è peggio, la donna, nonostante l’intenso e connaturato istinto materno, dapprima gradualmente e ora, negli ultimi anni, precipitosamente, ha quasi del tutto abbandonato il mondo degli affetti per riversare  le proprie energie ed il proprio tempo sul mondo dei servizi e della produzione. E anche quando si occupa della famiglia e dei figli lo fa con lo stile e con i valori imposti dal mondo economico e non con quelli caratteristici del mondo affettivo, per cui risulta spesso inadatta a questo ruolo.

Come mai i conti non tornano? Come mai se due persone fanno un lavoro diverso il mondo affettivo non ne risente ed invece, se entrambi i coniugi si impegnano nei due mondi e quindi cercano di contemperare le esigenze del lavoro con quelle familiari, il mondo degli affetti risulta deprivato, se non del tutto abbandonato?

Il problema nasce dal fatto che solo un numero esiguo di persone: uomini e donne che siano, anche quando se lo propongono, riescono a mantenere un equilibrio anche solo vicino al 50%.

Per quanto riguarda le donne, una parte di loro, una minoranza, dopo le prime esperienze o dopo la nascita del primo figlio, ritorna ad una divisione dei ruoli. In genere la donna ritorna ad un ruolo prevalente nell’ambito familiare ed affettivo e l’uomo ad un ruolo prevalente nel campo del lavoro e degli impegni sociali.

Delle donne che optano per la famiglia solo una parte, però, lo fa convinta di avere fatto la scelta migliore, per le altre si tratta di un necessario ripiego imposto dalle circostanze. Per il resto delle donne la prevalenza dell’impegno, anche se non sempre del tempo dedicato, è a favore del mondo economico.

Ma perché avviene ciò? Che cosa spinge un gruppo così numeroso di uomini e donne ad impegnare buona parte delle proprie energie, del proprio tempo, della preparazione e della loro passione a favore del mondo economico e dei servizi?

Le cause.

Le cause dell’abbandono o della diminuzione dell’impegno affettivo-relazionale sono numerose.

Per accettare e fare accettare incondizionatamente l’impegno sociale e lavorativo delle donne e per contrastare quelle persone ed istituzioni che presagivano il danno e pertanto erano contrarie a questo cambiamento di ruolo, sono state suggerite e presentate una serie di motivazioni che hanno trovato accoglienza nelle società occidentali sia in ambito sociologico, che politico e religioso.

Si è cominciato con il valorizzare il duplice impegno femminile come necessità improrogabile per alcune famiglie più bisognose: “Quella donna ha necessità di lavorare: perché il marito è disoccupato; perché la sua famiglia manca dei mezzi indispensabili di sussistenza; perché i figli e loro stessi morirebbero di fame; perché hanno troppe bocche da sfamare.”

Successivamente si è detto che erano delle eroine e delle stacanoviste le donne che lavoravano dentro e fuori casa in quanto, per amore della famiglia e dei figli, si sobbarcavano un doppio, anzi triplo servizio: come donne lavoratrici, come madri e come mogli.

Non era da meno il mondo a regime comunista che si proponeva di dare dignità e libertà alla donna solo se questa si fosse impegnata non solo nei lavori domestici ma anche in tutte le attività extrafamiliari. In questo modo la donna, offrendo incondizionatamente le sue braccia e la sua mente entro e fuori della famiglia, avrebbe dato il suo apporto prezioso alla costruzione dello Stato  comunista. Basta andare a Mosca per notare come nelle foto, nei dipinti, nelle statue e nelle manifestazioni del regime non mancava mai l’esaltazione della donna contadina, operaia, capotreno, ma anche  ingegnere, aviatrice, astronauta ecc..

Il tema della liberazione veniva evidenziato anche nel mondo capitalista; questo, avendo bisogno di molta manodopera a basso prezzo, per decenni ha ripetuto il falso ritornello per il quale “la donna era stata per millenni schiava dell’uomo tiranno. Schiava legata ai fornelli, alle pappine e alle cacche dei bambini. La nuova e moderna società aveva il dovere di ridarle, con il lavoro all’esterno della famiglia, completa libertà, nuovo valore e nuova dignità”.

Negli anni sessanta e settanta poi, la ribellione verso tutte le autorità, compresa quella paterna con la consequenziale liberazione da questa, presentava il popolo dei padri come un popolo di padri padroni. Un popolo di autoritari tiranni, pronti a limitare, proibire, castigare e punire mogli e figli se disubbidivano o se osavano ribellarsi al loro dominio. Padri per altro descritti come affettivamente lontani, deputati solo al sostentamento economico e alla somministrazione delle punizioni.

Per giustificare la diminuzione del tempo trascorso con il marito ed i figli veniva proclamato lo slogan secondo cui: “Non è importante la quantità di tempo messo a disposizione della famiglia e dei figli, quanto la qualità”.

A questi slogan se ne aggiungevano molti altri come quello che recita: “La donna può dare un contributo importantissimo ed essenziale di sensibilità ed umanità alla vita sociale e politica del paese se verrà inserita nelle varie attività e servizi ed in tutti i contesti politici ed istituzionali”.

Come conseguenza di ciò venivano propugnati comitati, assessorati, ministeri “per le pari opportunità”, in tutte le istituzioni con l’obiettivo di ottenere almeno la metà di presenze femminili nei vari impieghi ed in ogni posto di potere,  non importava se fosse di tipo politico, industriale, dei servizi.

Che siano solo degli slogan non è difficile dimostrarlo. Intanto è risaputo che l’educazione dei minori ha bisogno di una disponibilità molto elevata, sia in qualità che in quantità, com’è risaputo che l’energia che la natura ci ha messo a disposizione e che possiamo spendere per le varie attività ed impegni lavorativi, non la possiamo aumentare se non per un breve periodo. Si tratta allora di ben distribuire questa energia. Si può concentrarla in poche ore o diluirla in molte ore. Oppure si può canalizzarla tutta per un solo impegno o dividerla in due o dieci impegni. Alla fine la quantità di energia impiegata è sempre la stessa. Se per un breve periodo forziamo le nostre potenzialità potremmo aumentare la quantità dei risultati ma a scapito della qualità.

Per quanto riguarda poi la presunta schiavitù della donna, è possibile definire schiava una persona alla quale viene dato il compito più importante per il genere umano, che è quello di dar vita e poi curare, aiutare a crescere e maturare altre donne e altri uomini?

Agli schiavi si danno i lavori più umili, non gli impegni al più alto livello di prestigio.

E’ possibile definire schiava una madre e contemporaneamente darle onori e glorie come a una dea? Eppure in molte religioni una delle divinità più importanti era la dea madre.

E’ possibile che “l’uomo schiavista” prenda per sé gli aspetti più pesanti e rischiosi del genere umano lasciando alle schiave i lavori meno pesanti e pericolosi?

Vi è mai stato un tiranno che abbia sacrificato la sua vita per un suo schiavo? Eppure non si contano gli uomini che hanno sacrificato la loro vita per salvare le loro donne.

E’ possibile che una schiava allevi dei figli maschi in modo tale che da adulti diventino a loro volta aguzzini delle donne?

E’ possibile che metà del genere umano abbia mantenuto in schiavitù l’altra metà dell’umanità per milioni di anni senza che vi sia stata mai una ribellione, se non negli ultimi decenni?

Senza dimenticare, tra l’altro, che a questa “ribellione” hanno partecipato e partecipano, sostenendola con foga, moltissimi uomini. La qual cosa dovrebbe per lo meno destare qualche sospetto!

 

Educazione sessuale

 

Emidio Tribulato  

LA SESSUALITA’   

La sessualità è fatta di molte componenti.

 

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La componente genetica.

L'uomo e la donna hanno in ogni cellula del proprio corpo un patrimonio genetico in parte uguale, in parte diverso, che ha la funzione di indirizzare i due sessi verso caratteristiche anatomiche, psicologiche e comportamentali diverse. L’abbiamo paragonato allo schema di un progetto che si svilupperà bene nel tempo, se le condizioni saranno tutte favorevoli.

 

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La componente ormonale.

Una delle condizioni affinché il progetto diventi realtà è data dall’assetto ormonale dell’individuo che ha delle caratteristiche comuni e delle caratteristiche specifiche nei due sessi, sia nella fase embrionale che durante tutto il corso della vita.

 

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Le caratteristiche anatomiche.

A parte i genitali esterni chiaramente diversi, vi sono numerose differenze che riguardano lo sviluppo muscolare, l’altezza, la distribuzione del grasso, il peso dei vari organi ecc..

Le differenze riguardano anche la funzionalità cerebrale.

 

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La componente psicologica.

Ogni essere umano ha un suo particolare modo di avvertire dentro di sé l’Identità di genere, cioè la percezione sessuata di sé “ Io sono maschio” oppure “Io sono femmina.” Nei transessuali il modo di avvertire la propria sessualità non corrisponde alle caratteristiche del corpo, per cui il transessuale maschio che si sente donna, avverte il proprio corpo maschile come estraneo al proprio sentire femminile, e quindi desidera cambiarlo affinché diventi simile al proprio vissuto e viceversa per il transessuale con caratteristiche esterne femminili.

La componente sociale.

Ogni uomo ed ogni donna hanno un suo modo di sentire e vivere il rispettivo ruolo di genere: “Io sono maschio e quindi mi comporto da maschio.” Il ruolo di genere riguarda perciò i comportamenti dell’individuo, nei confronti con il proprio e l’altro sesso, ma anche nei rapporti con la società. Non sempre le due cose vanno insieme, non sempre all’identità di genere corrisponde un ruolo di genere: di qui i comportamenti omosessuali.

Quando una società cambia i suoi stili educativi, le aree più coinvolte nei cambiamenti riguardano molto spesso l'affettività e la sessualità. Tali cambiamenti comportano delle modifiche così radicali e profonde nella popolazione, che la struttura stessa della società ne viene ad essere interessata ed a volte compromessa. Modifiche nel modo di vivere e sentire l'amicizia, l'innamoramento, l'amore, il rapporto tra i sessi, il fidanzamento, il matrimonio e l’uso della sessualità, sono già avvenute in passato molte volte: pensiamo soltanto alla storia ebraica, a quella greca e romana e molte altre volte, quasi sicuramente avverranno in futuro, nella ricerca di un equilibrio tra esigenze, spesso contrapposte, di tipo individuale, sociale e familiare. Sappiamo, dalla storia umana, che questo equilibrio è molto instabile, per cui in certi periodi prevalgono le esigenze sociali, in altre quelle familiari o di clan, in altre quelle individuali.

SVILUPPO DELLA SESSUALITA’

Come si diventa maschi o femmine?

L’essere umano diventa maschio o femmina attraverso una lunga strada. Una strada che inizia dal ventre materno, più precisamente dall’incontro dello spermatozoo del padre con l’ovulo materno. Continua poi durante la gestazione fino alla fase puberale.

Se l’ovulo che ha lo stesso corredo cromosomico - XX - incontra uno spermatozoo - XX - l’embrione sarà indirizzato verso il sesso femminile.

Se invece l’ovulo materno incontrerà uno spermatozoo con corredo cromosomico XY l’embrione tenderà a diventare un maschio.

 

 

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Abbiamo detto tenderà, perché la strada per la completa differenziazione sessuale è lunga e complessa. Basta una qualunque alterazione sia ormonale sia fisica o educative e psicologica perché questa differenziazione non avvenga, resti incompleta o si alteri. Altri elementi, come gli apporti ormonali specifici, si aggiungeranno, infatti, ben presto e accompagneranno ogni sesso durante tutta la vita. Questi apporti ormonali saranno, a loro volta, completati dagli elementi educativi e psicologici.

 

Esperienze educative e psicologiche.

Accanto alle componenti genetiche, anatomiche e ormonali sono fondamentali nello sviluppo della sessualità e quindi dell’identità di genere, le esperienze psicologiche, ambientali e gli atteggiamenti educativi che i genitori e gli educatori porranno in essere nel rapporto con il bambino. Sono importanti: il riconoscimento, l’accoglienza, l’accettazione, la valorizzazione, l’educazione.

L’accoglienza e l’accettazione di un figlio dovrebbero prescindere dal sesso. I genitori, ma anche tutte le persone che formano l’ambiente familiare ed amicale che circonda il bambino, dopo lo splendido momento dell’incontro, dovrebbero con gioia accettarlo e valorizzarlo per le sue caratteristiche umane e personali, attivandosi solo per migliorarle, senza preferenze e senza idee di superiorità o inferiorità maschile o femminile.

Spesse volte invece, la realtà sessuale di un figlio è avvertita in modo diverso sia per motivi ideologici, che per cause economiche o per tradizioni locali. A volte, anche solo per motivazioni personali, vi è una maggiore accoglienza di un figlio maschio rispetto ad una femmina o viceversa. Ciò chiaramente può alterare il primitivo rapporto genitore-figlio ma può avere anche degli sviluppi negativi sulla sua identità sessuale, per tale motivo se, ad esempio, i genitori sono felici del fatto che il figlio sia maschio e valorizzano e stimolano le sue caratteristiche sessuali, l’identità ed il ruolo di genere avranno un valido supporto e complemento, se, al contrario quel bambino troverà un genitore che desiderava ardentemente un figlio di sesso opposto, lo stimolo ed il supporto verso una corretta identità sessuale sarà scarso.

Vi possono essere inoltre, dei genitori o degli atteggiamenti sociali che tendono a valorizzare e stimolare le differenze sessuali ed altri che, come avviene spesso oggi nella nostra società occidentale, tendono, mediante l’educazione, a sminuire e sfumare le differenze sessuali, in modo tale che di fronte alle scelte di vita vi sia un atteggiamento simile. 

Negli ultimi decenni è andata sempre più diffondendosi l’idea che le differenze d’atteggiamento e comportamento sessuale non siano utili alla società, giacché questa, specie nel campo lavorativo, richiede uguali prestazioni ad uomini e donne. Queste ultime d’altronde, volendo e sognando di conquistare gli ultimi baluardi di attività lavorative che una volta erano appannaggio maschile, come la difesa, la polizia o le attività imprenditoriali, fanno di tutto per incrementare le capacità muscolari e gli atteggiamenti aggressivi propri dei maschi.

Ma anche i rapporti tra i sessi sono visti più facili e meno problematici se tra loro non sono evidenti elementi di differenza sessuale. Ragazzi e ragazze, secondo queste teorie fraternizzerebbero più facilmente avendo non solo indumenti, linguaggio e comportamenti simili, ma anche vissuti comuni nei confronti di se stessi, della politica, dell’ambiente, dell’amore, del sesso.

Da ciò discende tutta una serie d’atteggiamenti e comportamenti dei genitori e degli educatori, tendenti a sminuire e svalutare le caratteristiche che tradizionalmente sono tipiche del proprio sesso, mentre d’altra parte è vista come importante conquista ed arricchimento l’appropriarsi di caratteristiche del sesso opposto.

I modelli educativi tendono quindi ad accentuare la vicinanza sessuale: “E’ meglio che femminucce e maschietti stiano assieme il più possibile per capirsi ed intendersi meglio.” Tendono a dare gli stessi stimoli: “E’ meglio che utilizzino gli stessi giocattoli e giochi, lo stesso linguaggio, svolgano le stesse materie scolastiche, facciano attività di tempo libero uguali.” Tendono a frustrare le caratteristiche salienti legate alle differenze sessuali “Non essere maschilista”, è l’accusa più facilmente rivolta ai maschietti esuberanti; “Non comportarti come una femminuccia”, è l’accusa rivolta alle bambine che piangono!

A questo punto dobbiamo chiederci se all’individuo, alla famiglia e alla società sia più utile e funzionale una differenziazione sessuale importante e sostanziale, oppure no.

Per quanto riguarda l’individuo quando l’identità non è chiara e definita ritroviamo spesso insoddisfazione, ansia, depressione. Ciò nasce dal fatto che all’interno dell’Io albergano emozioni e sentimenti diversi ed, a volte, contrastanti. L’Io si ritrova spesso diviso tra pulsioni non omogenee, tra modi di comportamento, tra scelte e doveri diversi e antitetici; ciò gli crea ansia e lo confonde. Se una donna avverte che la femminilità che sgorga spontanea dal suo animo e che le appartiene è accettata dagli altri e dalla società, può liberamente manifestare la sua accentuata sensibilità, il suo senso di fragilità, il suo bisogno di tenerezza e di sicurezza, mentre nel frattempo può offrire accoglienza, cura e disponibilità, senza porsi alcun problema, sicura dell’accettazione e della valorizzazione degli altri.  Se al contrario questo suo sentire e di conseguenza questo suo approccio alla relazione le è proibito, ridicolizzato, messo in dubbio o criticato, le verrà difficile e spesso penoso ogni atteggiamento, ogni scelta, ogni gesto. Lo stesso per il maschio. Se il suo essere forte, coraggioso, lineare, coerente, deciso, sicuro di se, è apprezzato, valorizzato, accettato, accolto dalla società, egli potrà viverlo pienamente e manifestarlo senza problemi, senza tentennamenti, senza dubbi, senza rimpianti. Se al contrario il suo sentire è colpevolizzato, svilito, criticato, limitato, c’è il rischio che lui venga continuamente accompagnato dal senso di colpa, d’impotenza, di frustrazione; soprattutto c’è il rischio che il suo atteggiamento oscilli continuamente da un estremo all’altro senza riuscire ad avere quella stabilità necessaria per un buon equilibrio psichico e per un buon rapporto interpersonale.

Anche l’approccio verso l’altro sesso è notevolmente compromesso se il modo di rapportarsi è simile o confuso. Se la sensibilità, la fragilità, la capacità di tenerezze e cure, più squisitamente femminili sono accolte, valorizzate e controbilanciate dalla forza, dalla decisione, dalla linearità del maschio, le possibilità d’intesa, d’unione, di dialogo, di complicità sono notevolmente maggiori, rispetto ad una situazione in cui nella relazione vengono ad essere portate caratteristiche similari.

I deficit sull’identità sessuale influenzano inoltre la fertilità, poiché il grado di fertilità è influenzato dal modo di sentire e vivere il proprio essere sessuato.

Vi è, infine un aumento notevole delle situazioni omosessuali e intersessuali, con gravi conseguenze nelle relazioni e nell’integrazione sociale.

C’è poi un problema ancora più importante che è sottovalutato. L’uomo è un essere molto complesso e questa complessità si evidenzia sia nella sua vita interiore, sia nella gestione delle relazioni sociali. Per questo motivo l’umanità, nella sua accezione più vasta, ha bisogno sia delle caratteristiche maschili sia di quelle femminili. L’umanità ha bisogno di forza e di dolcezza, di sensibilità e di sicurezza, d’intraprendenza e di condiscendenza, di duttilità e di fermezza. Se questi due assi ereditari sono portati in maniera chiara, netta e piena, tutta l’umanità sarà più ricca; se invece sono trasmessi in maniera limitata, confusa, contraddittoria, sfumata, instabile, tutta l’umanità diventa più povera.

E’ dovere basilare d’ogni società educante, attivare tutta una serie d’atteggiamenti che tendano a stimolare e valorizzare sia la mascolinità che la femminilità, senza appiattimenti e confusione, in modo tale da dare ad entrambi i sessi tutti gli elementi specifici della loro rispettiva identità.

Per ottenere ciò è necessaria tutta una serie di attenzioni:

1.    Privilegiare la frequenza con lo stesso sesso.

E’ bene che il bambino, l’adolescente ed il giovane abbiano la possibilità di frequentare entrambi i sessi ma è necessario che vi siano, soprattutto nella prima e nella seconda infanzia, molti momenti in cui, il rapporto con il mondo dei pari sia privilegiato e quindi più incisivo e costante.

Non avvenga quindi, quello che purtroppo avviene in questi ultimi decenni, che si sopravvaluti l’importanza del rapporto promiscuo, per cui continuamente e sistematicamente si cerca di mettere in contatto maschietti e femminucce con l’idea di migliorare, in questo modo, l’intesa futura! E’ quello che succede nelle pareti di casa: quando si organizzano festicciole per bambini, in cui si è attenti ad invitare i bambini dell’altro sesso, nonostante questi, data l’età, non abbiano alcun interesse verso il sesso opposto e anzi quella presenza li metta a disagio. Succede a scuola dove gli insegnanti, per evitare che i maschietti bisticcino tra di loro e le femminucce chiacchierino tutto il giorno, non trovano di meglio che mettere nello stesso banco un maschietto ed una femminuccia, mettendo a disagio l’uno e l’altra. La frustrazione non porta benefici alla tranquillità della classe, mentre è di ostacolo alla crescita personale.

2.    Vi sia un percorso formativo che valorizzi le specifiche caratteristiche sessuali.

Questo percorso diversificato, che per millenni ha aiutato una corretta identità e ruolo sessuale e che era presente sia all’interno della famiglia, che della scuola, così come nelle altre agenzie educative, è stato smantellato pezzo per pezzo fino ad essere quasi totalmente eliminato. Le motivazioni sono state diverse ma tutte sono riconducibili all’idea di un errato concetto di parità: “Poiché i ragazzi e le ragazze nella loro vita futura dovranno affrontare problemi comuni è bene che fin da piccoli maturino le stesse esperienze e le stesse capacità”. Si è inoltre formato un altrettanto errato convincimento riguardante l’intesa futura: “Poiché i ragazzi e le ragazze, una volta diventati uomini e donne, dovranno capirsi, accettarsi al fine di trovare un buon accordo di coppia, è bene che compiano questo cammino di comprensione fin da piccoli.” Ricordiamo, ancora una volta, che avere pari dignità non comporta automaticamente avere pari compiti e formazione, e che un miglior rapporto uomo-donna non nasce dall’anticipazione e dal prolungamento del rapporto promiscuo, ma dalla conquista di una buona identità e ruolo sessuale che si acquista con la frequenza, con l’esempio, con il dialogo con persone dello stesso sesso.

E’ dalla diversità che nasce l’entusiasmo verso il sesso opposto, il piacere dell’incontro, lo stimolo alla conoscenza di un mondo diverso e complementare al nostro. Mettere insieme precocemente e per troppo tempo maschietti e femminucce, al contrario, fa diminuire lo stimolo nei confronti dell’altro, toglie poesia e fantasia all’incontro, tarpa le ali al desiderio, fa assumere ad entrambi i sessi comportamenti ed atteggiamenti poco edificanti.

E’ molto strana una società come la nostra, che tende, da una parte, a sviluppare in tutti i campi professionali, il massimo della specializzazione, mentre, per quanto riguarda il ruolo e l’identità sessuale, tende a negare, appiattire, e se possibile cancellare, l’innata tendenza presente nella specie umana, come in molte specie animali, a caratterizzarsi in modo specifico.

3. Il minore sia in contatto con insegnanti e leader di entrambi i sessi.

L’essere umano ha bisogno di far proprie figure diverse e di acquisire elementi educativi da entrambi i sessi e non da uno solo. Non appare positiva la tendenza nelle nostre scuole, specialmente elementari e medie, di una presenza d’insegnanti donne notevolmente maggiore rispetto alla presenza maschile, ciò comporta varie conseguenze negative.

•    Le insegnanti donne tendono a livellare su comportamenti di tipo femminile, l’ambiente della classe, senza peraltro riuscire spesso a mantenere la necessaria disciplina a causa della scarsa autorevolezza presente in molte di loro.

•    Gli alunni maschi, in contatto per diversi anni con figure quasi esclusivamente femminili, hanno difficoltà ad introiettare elementi caratteristici del proprio sesso.

•    Gli alunni maschi, inoltre, costretti a relazionarsi solo con insegnanti donne, si sentono spesso in una situazione d’inferiorità rispetto alle alunne, considerate dalle docenti, più buone, più brave, più responsabili e attente di loro. Avvertono la difficoltà delle insegnanti nel valorizzare le loro qualità specifiche, e nel tenere conto dei loro bisogni: maggiori attività motorie, inventive, costruttive.  Soffrono per il loro orgoglio ferito soprattutto davanti al sesso femminile, rispetto al quale vorrebbero invece primeggiare orgogliosi. Bollati, sia sul piano didattico sia disciplinare, tendono a reagire alle frustrazioni dovute allo sfavorevole confronto, in maniera aggressiva verso le insegnanti e le compagne, oppure cercano di coinvolgerle in comportamenti e atteggiamenti deteriori e volgari.

•    Le alunne, d’altra parte, assediate da maschietti sempre più aggressivi, violenti e poco attenti alle materie disciplinari, tendono o a chiudersi in uno spazio proprio, o a rispondere con altrettanta violenza e volgarità alle provocazioni dei maschi imitandoli nei loro atteggiamenti più deteriori. In definitiva ne scade sia il profitto sia la condotta.

L'EROTISMO DEL BAMBINO

Normalmente si tende a limitare l’erotismo infantile relegandolo nel campo dei “giochi sessuali infantili “, intendendo con questo limitare il senso e lo scopo delle curiosità morbose che mettono in imbarazzo e fanno disperare gli insegnanti e le giovani madri.

In realtà il campo della sessualità infantile è molto ricco e caratteristico, esso si manifesta in vari modi. I giochi con i propri genitali e con gli organi della sfera sessuale in genere sono solo uno dei modi.

Il bambino e la bambina si toccano, si accarezzano, cercano di darsi piacere, a volte da soli, altre volte con bambini dello stesso sesso od opposto.

A volte le attenzioni sono rivolte verso i fratelli e le sorelle, molto spesso verso i cugini o altri vicini con cui il bambino entra in contatto.

C’è in questi giochi il senso dello scoprire assieme gli aspetti anatomici e psicologici della sessualità.

C’è in questo un bisogno e un desiderio di confrontarsi per controllare di essere fatti allo stesso modo e quindi soffocare una paura emergente o, in modo diverso, per sottolineare una superiorità d’età o di caratteristiche che permettano d’innalzarsi anche di poco rispetto agli altri.

C’è inoltre un darsi piacere reciprocamente. Un piacere chiaramente di tipo sessuale poiché, il coinvolgimento emotivo, è molto scarso nella sessualità infantile.

Vi è, infine, un provare a fare qualcosa più grande di loro. Ad esempio un provare a fare un bambino, come si immagina possano averlo fatto i loro genitori, anche se i modi possono far sorridere.

Per quanto riguarda il comportamento da tenere davanti alle manifestazioni erotiche del bambino che si tocca, si masturba o che ha rapporti di gioco sessuale con gli altri compagni, i modi di reazione più frequenti sono purtroppo poco utili e educativi.

Si va dalla proibizione assoluta: “Queste cose non si toccano, o non si fanno“, accompagnate a volte da un giudizio morale: “ Sei uno sporcaccione .“ “Fai cose brutte che fanno soffrire i tuoi genitori e Dio”; a reazioni di evitamento, per cui si ignora o si fa finta di non vedere ciò che il bambino fa; ad altri di accettazione passiva della cosa; ed infine a reazioni di scherno o scherzo.

Ognuna di queste modalità ha degli aspetti positivi uniti ad altri negativi.

Se l’educazione sessuale è stata globale, così come abbiamo detto, ed è stata inserita in un contesto di formazione umana, si possono utilizzare altre possibilità più efficaci e maturanti: ad esempio, si può far notare il valore che hanno gli organi sessuali durante la vita, valore di procreazione, di donazione all’altro, per cui appare necessario e utile un rispetto nella loro utilizzazione.

Si può inoltre evidenziare come vi siano delle età e delle necessarie premesse per utilizzare al meglio le possibilità offerte dalla sessualità.

Per quanto riguarda alcune perplessità che hanno i genitori di farsi vedere o no nudi dai loro figli, o in atteggiamenti amorosi o sessuali, teniamo presente che non è tanto questo tipo di immagine che può sconvolgere o essere educativa nei confronti del bambino.

Se in alcune società ed in alcuni ambienti è scontato un certo modo di intendere l’intimità ed il pudore, in altre il pudore è inteso in senso molto diverso. E’ importante educare il bambino tenendo presente il comune, sano, senso del pudore presente nel proprio gruppo sociale senza eccedere né in un senso, né nell’altro. Ciò per evitare di creare delle abitudini in contrasto sia con i suoi vissuti interiori che con quelli dell’ambiente socio-culturale in cui vive. Nel nostro ambiente culturale appare poco utile e anzi molto criticabile, la possibilità che un bambino veda i suoi genitori nudi o assista ai loro approcci sessuali, in quanto può far sorgere nel bambino dei giudizi poco lusinghieri nei loro confronti; questi potrebbero essere giudicati persone esibizioniste, che mettono in atto atteggiamenti di seduzione o comunque persone con scarsa serietà, responsabilità e valore morale.

GLI EDUCATORI DELLA SESSUALITA’

 Per quanto riguarda gli educatori della sfera affettiva e sessuale, da quanto finora abbiamo detto dovrebbe essere chiaro che, anche in questo campo i primi e fondamentali educatori non possono che essere i genitori, ai quali però si accompagneranno con diverse modalità e importanza tutti gli altri educatori secondari: nonni, zii, fratelli, sorelle, insegnanti, leader ecc.. Inoltre, come per gli altri settori, anche in questo caso è importante l'ambiente educativo in cui gli educandi e gli educatori vivono ed operano.

Per quanto riguarda i genitori essi non possono evitare d'impegnarsi direttamente in questo tipo di formazione, giacché non si può vivere giorno dopo giorno con un bambino od una bambina, con un ragazzo o con una ragazza, senza inviare dei segnali, senza rispondere alle loro domande, senza indicare, chiarire, porre l’accento, su aspetti che contengono elementi di tipo affettivo e sessuale.

In ogni momento, i genitori comunicano il loro modo d’essere uomo o donna, padre o madre, marito o moglie. La loro intesa o aggressività, la comunione o la contrapposizione, il dialogo o i silenzi glaciali che insistono sulla coppia, il ruolo assunto   da ognuno di loro nella famiglia, il rispetto o la scarsa considerazione reciproca, tutto è trasmesso alla prole sia durante l'infanzia, sia negli anni dell'adolescenza o della giovinezza. Inoltre essi, continuamente, nel dialogo con i figli e tra di loro, manifestano la loro opinione, ed esprimono le loro idee sull'amicizia, sui rapporti affettivi, amorosi e sessuali, sul matrimonio, sulla convivenza e sulle altre modalità con cui un uomo ed una donna vivono la loro intesa all'interno della coppia, della famiglia o della società.

E’ possibile lasciare agli altri questo compito? E’ possibile che se ne occupi soltanto la scuola utilizzando i docenti delle varie discipline o mediante l’intervento di specialisti particolarmente preparati per questo tipo d’educazione? E’ possibile lasciarla soltanto alla ricerca istintiva del bambino o affidarla ad un libro, ad una videocassetta, alla televisione o ai compagni? La scuola, come gli altri educatori e strumenti mediali, è fondamentale anche in questo settore educativo ma l'intervento dei genitori è, ancora una volta, il più importante e basilare, perché è il primo a poter essere attuato, perché è il più graduale, e soprattutto perché è vissuto in un rapporto ricco d’emozioni, affetti e legami profondi. Le altre agenzie educative potranno affiancare e completare l’opera dei genitori ma mai potranno sostituirli, poiché non potranno mai dare quelle emozioni e sensazioni, quelle testimonianze e quelle relazioni, che soltanto un padre ed una madre possono dare.

 Chi dei due? La madre o il padre?

Anche in questo caso la domanda potrebbe essere ribaltata. È possibile che l’educazione sessuale sia fatta esclusivamente da uno dei due genitori, dal momento che entrambi vivono con il bambino, entrambi il figlio vede, osserva, con entrambi dialoga? Necessariamente è la coppia genitoriale che si deve impegnare in prima persona ed in prima battuta nell’educazione affettivo - sessuale in maniera armonica, concorde, anche se con sottolineature diverse, proprio perché diversi sono i sessi, i ruoli e le personalità.

Quando?

Non credo che sia possibile impegnarsi in questo tipo d’educazione soltanto in un certo momento della vita del minore, né credo si possa attendere un certo periodo del suo sviluppo per iniziarla.  I figli, infatti, crescono, giorno dopo giorno, portando con sé e sviluppando tutta la ricchezza della propria umanità; per tale motivo, giorno dopo giorno hanno bisogno di crescere anche in questo campo.

 

 

CARATTERISTICHE DELL’EDUCAZIONE AFFETTIVA E SESSUALE

Quali caratteristiche dovrebbe avere l’educazione affettivo - sessuale per essere utile ed efficace?

1.     La chiarezza e la semplicità.

Innanzi tutto è necessaria la chiarezza. L’informazione deve essere chiara e comprensibile.

 Non tutto ciò che è chiaro per noi lo è per il bambino.  Per tale motivo è nostro dovere trovare le immagini e le parole più adatte per esprimere dei concetti complessi, così come si fa con tutti gli altri aspetti della personalità.

Ciò significa che non bisogna nascondersi dietro parole fumose o immagini imprecise o, peggio, non vere. La chiarezza esige anche la semplicità nelle parole e nei paragoni. Non è necessario essere laureati, o specialisti in qualche disciplina medica o psicologica per affrontare efficacemente questo tipo d’educazione. Basta essere genitori attenti, sensibili, vicini, dialoganti. In questo campo, non bisogna sottovalutare i modi e le indicazioni presenti nelle testimonianze che sono tramandate dai genitori ai figli nelle società più sane.

2.     L’esattezza.

Non c’è alcun bisogno di grandi approfondimenti culturali, né è indispensabile conoscere in maniera approfondita la psicologia, la fisiologia o l'anatomia umana, basta l’esattezza presente nella cultura di un normale padre o madre. La correttezza che noi possiamo dare e offrire con le nostre normali conoscenze è più che sufficiente per il bambino.

3.     La serenità.

Elemento fondamentale è anche la serenità. Il bambino percepisce quando dietro le nostre parole c’è ansia, paura, imbarazzo.  Queste emozioni nell’ambito dell’educazione sessuale non sempre possiamo eliminarle, ma sicuramente possiamo sforzarci di controllarle.

 

 

4.     La gradualità.

Nessuno si sognerebbe di fare una lezione d’anatomia dei muscoli e delle ossa delle gambe ad un bambino cui s’insegna a camminare!

Nel campo dell’educazione alla sessualità bisogna seguire la stessa gradualità usata in tutti gli altri settori umani. C’è sempre un momento, un modo per affrontare ogni argomento ed ogni aspetto della sessualità usando il vocabolario più comune nell’ambito socioculturale in cui è inserita la famiglia, in modo tale da favorire nei futuri rapporti con gli altri bambini, un lessico comune.

Si cercherà, com’è normalmente fatto per tutti gli altri organi, di farne capire il valore, la funzione o le funzioni.

Solo quando il bambino sarà più grande e potrà capire che in noi c’è un dentro e un fuori, si potrà parlare di fisiologia e anatomia interna degli organi sessuali, così come si farebbe per il cuore o per altri organi interni.

E’ un errore grossolano, non tenere conto del modo con cui nel bambino avvengono i processi d’acquisizione, ed il modo entro cui egli vive tali realtà. Cercare di saltare delle tappe indispensabili, con un'informazione selvaggia, non serve all'educando in quanto questi spesso oppone un rigetto istintivo, così come si è visto nei primi disastrosi esperimenti.

5.     L’impegno formativo.

L'educazione alla sessualità coinvolge gli elementi intimi e profondi del nostro Io: ecco perchè è giustamente considerata un pilastro formativo delle future generazioni; pertanto, l’impegno formativo da parte dei genitori non dovrebbe essere in discussione. Si discute, invece, animatamente, da qualche decennio nell’ambito scolastico, se in classe sia più utile fare informazione o formazione sessuale.

Se per informazione s’intende l’impegno da parte del corpo docente di dare delle spiegazioni scientificamente esatte, senza entrare nel merito delle scelte di vita, e per formazione s’intende un'attività educativa in cui sono inseriti, accanto a spiegazioni scientificamente esatte, elementi sociali, etici e morali attinenti ad un percorso educativo globale che rispettino la fisiologica maturazione del bambino, non credo che la scelta sia difficile: il compito del docente non può essere solo di tipo informativo. Tale problema si pone nella nostra società a causa di un corpo docente di svariata estrazione culturale ed etica, non sempre selezionato accuratamente, e spesso poco preparato ad affrontare tali problematiche.

Un altro particolare settore dell’educazione sessuale è per le ragazze, l’educazione alla conoscenza dei propri ritmi di fecondità, che si può ottenere mediante i metodi naturali come il metodo Billings.

La ragazzina dovrebbe essere accompagnata sin dai suoi primi cicli alla scoperta della manifestazioni che indicano la sua fertilità. Ciò naturalmente non deve essere visto in senso anticoncezionale ma come dono e ricchezza per la persona, in quanto ha lo scopo di aumentare la consapevolezza del valore della sessualità e quindi di se stessi. I metodi naturali, a differenza di quelli artificiali, infatti,  aiutano a conoscere il proprio corpo e a rispettarlo, rendendo maggiormente consapevoli della possibilità che una nuova vita umana possa sbocciare con l’uso della sessualità.

 

I TEMPI NELL’EDUCAZIONE AFFETTIVA E SESSUALE

Anche questo tipo d’educazione deve essere iniziato fin dalla nascita.

Quando un bambino nasce trova dei genitori e soprattutto una madre che l’accoglie in modo diverso in relazione alla maturazione e alle esperienze psicologiche di base che possiede.

Se la gravidanza è proceduta serenamente, vi è buona intesa tra i coniugi ed esiste una sufficiente maturazione psicologica, la madre sarà felice d’incontrare lo sguardo del suo bambino che fino ad allora ha potuto solo immaginare, ma che ora si trova tra le braccia e quindi può baciare cullare e accarezzare.

Se invece la donna non ha ancora maturato il suo ruolo di madre, accoglierà il parto come un evento liberatorio e anche l’attaccamento verso il bambino sarà tiepido, specie nei primi mesi di questo rapporto.

Durante i primi giorni di vita del neonato l’affettività e la sessualità assumono un ruolo ed un significato fondamentale. Basti pensare al disagio che potrebbe essere vissuto dal bambino strappato dal caldo e confortevole ventre materno, in cui non avverte calore o freddo eccessivo, dove i rumori sono attutiti, le luci sono discrete, il contatto avviene solo con morbide acque. Improvvisamente e rapidamente egli passa in un ambiente rumoroso, troppo freddo o caldo, certamente non così morbido e ovattato come quello precedente.

La reazione più facilmente prevedibile potrebbe essere di tipo depressivo, giacché lo stress della nascita difficilmente potrà far vedere al bambino il mondo sotto una luce rosa. Troppi traumi e soprattutto improvvisi, per non sentire l’ambiente circostante come ostile.

Sappiamo che questa tristezza e diffidenza iniziale potrà cessare solo se il neonato avrà la fortuna d’incontrare delle braccia materne o paterne che lo sappiano accogliere, e quindi dei genitori in grado di capire i suoi bisogni fondamentali.  Soprattutto sappiamo che egli potrà vedere il mondo e se stesso in una luce più gioiosa e ottimista solo se incontrerà una madre dalle cui braccia e dal cui seno potrà avere piacere alle sue labbra, calore al suo cuore, tenerezza al suo corpo.

La vita affettiva e sessuale del bambino in questi primi momenti è interamente vissuta mediante il contatto con la madre ed in particolare con il seno materno, che per il bambino rappresenta il mondo intero. Questo rapporto empatico iniziale è essenziale affinché egli acquisisca fiducia in se stesso, negli altri e nella realtà esterna a lui.

Inoltre, poiché alla nascita non c’è per il neonato differenza tra il sé ed il mondo, quel primo contatto piacevole gli permetterà questa prima basilare distinzione.

 La madre che allatta e si cura del bambino, con il suo atteggiamento, con le parole e con il legame empatico che riesce ad instaurare invia molteplici messaggi: "Mi piaci.". "Sono contenta di stare con te." "Sono felice di abbracciarti." "E' bello nutrirti con qualcosa che mi appartiene: il mio latte.” "Ti sento come un elemento importante della mia vita personale e della nostra vita di coppia.” “Sono contenta del tuo inserimento nella nostra famiglia.”

Altre volte invece i messaggi che sono inviati, anche senza l'uso delle parole, hanno un contenuto negativo: “Che seccatura doversi svegliare e alzare per allattarti e accudirti.” “Che sofferenza sentire la tua bocca che stringe il capezzolo.”  “Che schifo doverti pulire.”  “Chissà quanti problemi mi darai.”  “Che ansia pensare a tutte le fatiche cui sarò sottoposta per causa tua, a tutti i sacrifici che dovrò fare per te.”  “Peccato che tu non sia come avrei voluto che fossi, che non abbia il colore dei capelli, degli occhi o il sesso da me desiderato”!

 

ALCUNE PROBLEMATICHE SUI PRIMI RAPPORTI GENITORI FIGLI
I primi problemi che nascono nella nostra società riguardano proprio la vita del bambino nei suoi primi giorni d’esistenza. Quella piena e completa disponibilità verso il nuovo essere umano che si affaccia alla vita, quell'intimo dialogo di tipo empatico tra padre, madre e figlio è spesso disturbato da varie realtà.

•    La maturazione dei genitori.

La maturazione dei genitori, per quanto concerne l’educazione, il rapporto e la cura dei bambini piccoli, è spesso molto carente. La possibilità, per i ragazzi o i giovani, di assistere e collaborare all'allevamento dei piccoli degli esseri umani è molto limitata, se non assente, a causa del calo delle nascite. Mentre assistiamo quasi giornalmente, nei documentari trasmessi dalla televisione, dellle attenzioni con cui gli animali allevano i loro piccoli, molti ragazzi e ragazze che arrivano al matrimonio sconoscono gli elementi basilari dell’allevamento e dell’educazione degli esseri umani. E’ diventato un evento raro veder crescere accanto a sé giorno dopo giorno un fratellino od una sorellina. Quando questo avviene, i fratelli o le sorelle maggiori che si assumono quest'incombenza, sono lasciati spesso soli, in questo delicatissimo compito, in quanto non sono sostenuti e seguiti dai consigli dei propri genitori o di altri adulti impegnati nelle attività lavorative.

•    Gli impegni lavorativi e ludici. 
La trasmissione d’esperienze di accudimento materne e paterne nel corso degli ultimi decenni si è in parte perduta o è disturbata sia dai molteplici impegni sia a causa dello scarso valore che, ormai da decenni, è dato alla famiglia e alle cure familiari, viste più come causa di schiavitù, legame e frustrazione che non come la base stessa della vita dell'individuo e, quindi, della società.
•    Mancanza del supporto dei genitori d’origine.
Manca inoltre alle nostre giovani coppie l'esperienza, il consiglio, il supporto dei genitori d'origine, per cui esse sono private di quella costante e premurosa presenza che permetteva il passaggio di informazioni da una generazione all'altra. I motivi sono noti. Le grandi città, lo stile di vita delle giovani coppie che tendono a rifuggire dalla presenza, a volte ingombrante, dei genitori, l'errato convincimento di poter fare da soli, rende difficile questa presenza e questo supporto. Inoltre è entrato nella logica del razionalismo, spesso imperante, che il pediatra o lo psicologo od un altro "esperto", autore di qualche libro o di qualche articolo nei settimanali più diffusi, sappia molto di più e molto meglio sull'educazione e sull'accudimento dei bambini dell'anziana madre legata ( poveretta!) a principi ed a valori "ormai superati"!
•    Modifica dei ruoli sessuali.
Ormai da decenni vi è un atteggiamento educativo sia nelle famiglie che nella scuola e nella società basato sul tentativo di modificare in modo notevole i ruoli e gli atteggiamenti sessuali. Mentre, infatti, si cerca di stimolare nelle bambine e poi nelle adolescenti e donne una maggiore aggressività, forza, determinazione e reattività per cui: “Le donne non devono farsi mettere i piedi sopra la testa da nessuno, devono reagire, sapersi difendere, saper aggredire, essere indipendenti", dall'altra si cerca di stimolare nell'uomo una maggiore passività e tenerezza: "Gli uomini devono aiutare e collaborare con le donne in casa, saper curare un bambino piccolo, far venire fuori la parte più tenera ed emotiva della loro personalità.” 
Ciò rende difficile, ad entrambi i sessi, esprimere, comunicare e trasmettere, specialmente al bambino piccolo, messaggi sufficientemente adeguati, utili, chiari e coerenti.  Per tali motivi egli non riuscirà a soddisfare il bisogno di avere accanto a se una madre paziente, generosa, dolce, capace di grande ascolto, apertura, tenerezze e accudimento, poiché si ritroverà ad essere gestito nei suoi bisogni più profondi da una “donna manager” capace più di agire che di ascoltare, più adatta a fare che a vivere un rapporto, più preparata dal punto di vista culturale che affettivo.  Un grande impaccio vi sarà anche nell'uomo al quale, la falsa illusione di saper gestire la relazione con il proprio bambino solo perché capace di cambiare il pannolino o di dargli la pappa, lo porterà a trascurare e soffocare e quindi a non trasmettere gli elementi più specifici della sua mascolinità.
•    L’aumento delle problematiche psicologiche.
Non meno importanti sono le conseguenze devastanti dovute a problematiche psicologiche come depressione, ansia e nevrosi così frequenti nei giovani, spesso causate o complicate dall'abuso d’alcool o dall'uso di droghe.
•    Lo stile di vita.
Il bambino piccolo ha bisogno di restare in contatto con persone che sanno adeguarsi ai suoi ritmi molto particolari. Un bambino piccolo può rifiutare il cibo in un dato momento e richiederlo a gran voce un'ora o due dopo. Può essere disponibile al gioco per qualche minuto e poi voler trovare il suo ambiente ideale per schiacciare un pisolino. Ciò impone grande pazienza, elasticità e disponibilità. Le tante e frenetiche attività, in parte lavorative ed in parte ludiche od estetiche, imposte dalla società moderna mal si conciliano con questi ritmi.
•    L’ambiente di vita.
Spesso, fin dalla nascita, il bambino non trova, nei rapporti genitoriali, quell'ambiente sereno, collaborante, comprensivo che lo rasserena e lo rassicura. Frequentemente deve fare i conti con una mamma ed un papà i cui rapporti sono sconvolti da contrasti, invidie, gelosie o aggressività reciproche che lo agitano, lo intimoriscono, lo rendono insicuro e spaurito.
•    La mancanza di uno dei genitori.
La mancanza di uno dei genitori, a causa di separazione, divorzio o di situazioni di ragazza madre, sta diventando sempre più frequente e comune nelle società occidentali con conseguenze gravi sulla vita dei minori.

CONSEGUENZE
Quando non sono presenti una buona maturità e serenità personale ed un giusto equilibrio nella coppia, molti momenti del rapporto padre- madre-figlio diventano problematici in quanto i genitori, sopraffatti dall’ansia e dal disagio reciproco, hanno difficoltà a gestire in modo positivo la relazione con il minore in molti momenti della sua giornata. Tra questi ricordiamo i momenti legati all’alimentazione, all'addormentamento e a tutte le occasioni, numerosissime nei primi anni di vita, di contatto con il corpo e le funzioni fisiologiche. Ad esempio, un bambino che si sporca può, allora, significare fastidio e disappunto per la madre e non occasione di maggiore intimità e dialogo. E’ facile che in queste situazioni prevalga una comunicazione del tipo: "Il tuo corpo è fonte di sporcizia, pena, sofferenza e lavoro per me", invece che un'esperienza, tutto sommato, piacevole. Il modo con cui il figlio è accarezzato, manipolato, lavato e pulito riflette profondamente la serenità e la maturità dei genitori. I bambini non sono così sporchi da rendersi necessario un bagnetto giornaliero. Quel rito è in realtà occasione per far rivivere al neonato, che ha abbandonato l’utero materno, una situazione ricca di calore e di gioia, ma è anche un'occasione per stare insieme, per ricevere e scambiare, mentre si lava, si insapona e si asciuga, carezze e stimoli ricchi di dialogo, d’amore e gratificazione reciproca. 

 

LA FIGURA DEL PADRE NELLO SVILUPPO DELL’AFFETTIVITA’ E DELLA SESSUALITA’

Se nei primi giorni di vita il bambino sa avvertire solo un’unica figura che noi per comodità chiameremo materna, ma che può essere praticamente rappresentata anche dal padre, successivamente il bambino riesce a fare una distinzione tra queste due figure che gli stanno accanto, che lo confortano, lo assistono, lo cullano.
In realtà il bambino riconosce la figura del padre nel momento in cui riesce a distinguerla da quella della madre.
Questo accettare dentro di sé, non più un’unica immagine, ma due persone, non è solo una conquista di tipo percettivo ma è conseguenza della maturità affettiva.
Aprirsi a due persone significa moltiplicare i rischi d’eventuali frustrazioni; per tale motivo solo se quella prima immagine materna è stata positiva, il bambino avrà il coraggio e la forza di aprirsi ad un secondo essere umano.
Dialogare e comunicare con papà e mamma gli permette di proiettare su due persone e non solo su una, le sue paure, i desideri, le fantasie, i drammi interiori.
Può pensare che una di queste sia cattiva e l’altra buona, e questo può farlo anche alternativamente.
Può pensare che tutte le cose buone vengano da uno dei due che gli è amico, mentre le cose cattive vengono dall’altro che gli è nemico.
Naturalmente questa possibilità è certamente superiore a quella primitiva divisione della figura materna in buona e cattiva.
La comunicazione con i genitori, nel bene e nel male, è sempre presente ed in ogni momento nella vita del bambino ed è legata alle loro caratteristiche psicologiche e sessuali.
Ognuno dei genitori è portatore di diverse modalità relazionali dovute al proprio sesso e al proprio ruolo; per tale motivo ogni genitore si pone istintivamente obiettivi diversi ma complementari.
Anche nel momento del semplice gioco il padre o la madre si rapportano con modalità e finalità diverse. La madre tenderà soprattutto ad effettuare giochi verbali e, se si coinvolge in attività motorie, sceglierà quelle meno pericolose e più delicate, in modo tale da proteggere al massimo il corpo del suo piccolo. Il papà, invece, tenderà a stimolare e sfidare il figlio utilizzando una maggiore forza e irruenza, per cui preferirà coinvolgerlo più in attività motorie che linguistiche. Lo inviterà a rischiare. Lo spingerà a superare se stesso, a fare sempre meglio e di più, stimolandolo ad affrontare con forza e grinta le difficoltà ed i pericoli. Per tali motivi fin dalla più tenera età l'uomo e la donna, il padre o la madre, tenderanno a dare stimoli diversi ma complementari. Da una parte la madre tenderà a comunicare un bisogno d’attenzione, prudenza e tenerezza, dall'altro il padre cercherà di sottolineare la necessità di usare il coraggio e la forza per superare gli ostacoli presenti sia nell'ambiente esterno, che nella vita intrapsichica. 

LA FASE EDIPICA
Il bambino e la bambina istintivamente, forse prima ancora di averne una conoscenza ben precisa, hanno spesso per Freud un legame più stretto con il genitore di sesso opposto con il quale cercheranno di avere un rapporto esclusivo d’amore.
Sarà un vero amore anche se impossibile.
Il bambino cercherà d’avere la madre tutta per sé, ne sarà geloso, cercherà di allontanare il padre e, con la fantasia, potrà pensare che il padre muoia o si allontani da casa e lo lasci solo con la madre. 
Per giustificare questo amore cercherà di pensare che non voglia bene all’altro coniuge e che lo maltratti, immaginerà forse che i rapporti sessuali siano un mezzo di sopraffazione e di violenza.
Se si accorgerà che il padre le vuole bene, che tra i due coniugi vi è una buona intesa, che il padre è buono sia con la madre che con lui, cercherà di rinunciare a questo suo amore identificandosi con la figura paterna. 
E’ come se dicesse: “ Se io sono come lui, mia madre mi vorrà bene.” E successivamente: “Se io sono come mio padre, troverò una donna brava e buona come mia madre, che mi amerà e che io potrò amare.”
Se invece si troverà con genitori che non si amano o che non vanno d’accordo, se incontrerà un padre che non lo comprende o una madre che non gli è vicina, questo processo di maturazione attraverso l’identificazione sarà difficile se non impossibile.
Potrà restare in lui quest’amore che chiamiamo complesso edipico.
 “Perché rinunciare a questo amore se il papà è cattivo e fa soffrire la mamma ?” 
L’amore edipico serve a fare esperienza di questo sentimento in un clima protetto. Come il bambino impara l’utilizzo delle mani disegnando, colorando, costruendo, impara a sperimentare, in condizioni di tranquillità e sicurezza, l’amore e tutte le sue componenti, come la gelosia, il bisogno di possesso, la difficoltà nell’intesa. Egli può, in tutta sicurezza, odiare il genitore dello stesso sesso senza che accada nulla di spiacevole o non riparabile. Impara che nell’amore c’è il desiderio di possesso e quello di donazione, c’è il piacere delle effusioni ma anche la sofferenza della gelosia.
La fase edipica aiuterà i figli nel loro processo d’identificazione con il genitore dello stesso sesso. Se io amo la mamma devo essere come papà per farmi amare da lei e quindi devo far miei tutti gli elementi maschili di papà, pertanto imparerò ad essere forte come lui, grande come lui, sicuro, coraggioso, disponibile, deciso come lui.
Tutto ciò gli sarà prezioso per la sua formazione personale e lo aiuterà ad aprirsi ad un futuro ruolo di padre, genitore, uomo. Quanto abbiamo descritto non potrà avvenire se i ruoli non sono netti e chiari ma, come avviene oggi, sono confusi, sfumati, invertiti. Né potrà avvenire in modo fisiologico, se vi è contrasto tra i genitori o quando una delle due figure è assente nella vita familiare. 

PRINCIPI DA TRASMETTERE NELL’EDUCAZIONE AFFETTIVO-SESSUALE
Quali principi dovrebbero essere dati ai minori per una corretta educazione alla sessualità? 
La sessualità nasce con l’essere umano.
Non è qualcosa che si conquista, non è una qualità che compare ad un certo momento della propria vita ed in un altro momento scompare. E’, invece, qualcosa che è sempre in noi e ci accompagna, fin dai primi attimi della nostra esistenza. Già al momento della fecondazione siamo maschi o femmine, poiché nei nostri geni, sono già presenti quei messaggi che tenderanno a portare l’essere in formazione verso l’uomo o la donna. Compito dell’educazione è fare in modo che questo messaggio iniziale si traduca in realtà in modo completo ed equilibrato. 
La sessualità riguarda la globalità dell’essere umano.
 Bisogna sottolineare che la sessualità non riguarda solo i genitali, ma l’intero corpo, anzi l’intera persona. La sessualità è una dimensione essenziale della persona.
Siamo uomo o donna nel nostro modo di vivere e di sentire; siamo uomini e donne nel nostro modo d’amare, di scegliere, nell’approccio ai problemi, nel nostro modo di affrontarli e risolverli.  
La sessualità è elemento fondamentale nella vita della coppia. 
E’ simbolo, ma anche mezzo d’unione affettiva e amorosa. E’ strumento di dialogo, di donazione: attraverso la sessualità si dà all’altro piacere, ma anche conforto sicurezza, gioia, gratificazione, sostegno. E’ mezzo di conoscenza: si fa all’amore nudi, non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente e affettivamente. L’altro si scopre davanti a noi non solo nel corpo ma anche nell’animo e quindi abbiamo la possibilità di conoscerlo meglio, di essergli più vicini, di capirlo maggiormente, di poterlo aiutare con più chiarezza; ma anche di fargli del male, di colpire la parte più delicata ed intima del suo essere se in noi non c’è sufficiente amore, rispetto, delicatezza, comprensione.
La sessualità non si esaurisce in un rapporto fisico, non è un gioco e non è solo piacere. 
Gli organi sessuali non sono giocattoli. La sessualità è una realtà fondamentale per lo sviluppo dell’individuo e della collettività. 
Non può essere banalizzata o strumentalizzata impunemente, pena il deterioramento della società stessa. La sessualità non si esaurisce nel rapporto fisico tra due corpi. Il piacere presente nel suo uso ha delle finalità particolari in quanto spinge all’incontro, al dialogo, al dono, alla procreazione ed alla progettualità. E’ un mezzo per avvicinarsi all’altro, per progettare una vita con l’altro, per donarsi all’altro. Nella coppia è strumento di unità e complicità nella gioia. Questo dovrebbe comportare molto rispetto e molte attenzioni; per tali motivi non dovrebbe essere usata, come sempre più spesso avviene, per motivi ludici o commerciali, per ridere o far ridere. 
La sessualità comporta ruoli diversi ma complementari.
Ruoli come papà e mamma, come uomo e donna, entrambi utili, con la stessa dignità, con la stessa importanza, che si integrano e si completano, si aiutano a vicenda, ma non dovrebbero mai sovrapporsi o confondersi.
Le differenze ci sono e devono esserci e non sono un pericolo, un rischio ma una ricchezza per l’umanità. Queste differenze non solo non limitano l’unione, ma la facilitano diminuendo la conflittualità e promuovendo l’armonia.  
Purtroppo questo tipo di messaggio oggi non arriva, anzi arriva un messaggio opposto: che le differenze sono poche, sono tanto poche che possono essere eliminate o sfumate al massimo, fino a fare le stesse cose, dire le stesse cose, avere gli stessi comportamenti, stare insieme allo stesso modo. Questo tipo di messaggio, come abbiamo visto, non aiuta l’integrazione tra un uomo e una donna, non dà ricchezza all’umanità, non coinvolge in maniera positiva i figli. 
Una visione corretta della propria realtà sessuale non dovrebbe comportare competizione con l’altro sesso ma, al contrario, alleanza e complicità. Lo scopo di un uomo e di una donna non è quello di lottare l’uno contro l’altro, non è quello di sopraffare o vincere sull’altro, ma è quello dell’intesa, della collaborazione, della complementarità, dell’aiuto, dell’integrazione l’uno con l’altro, al fine di ottenere reciproco conforto, assistenza, amore, sostegno.
La sessualità può comportare la nascita di una nuova vita umana e quindi implica responsabilità.
Il piacere sessuale è legato anche alla procreazione che è elemento indispensabile per ogni specie. La conoscenza e l’uso di metodiche contraccettive hanno modificato di molto la scelta del singolo e della coppia. Tuttavia l’uso della sessualità, specie se ciò avviene in un’età non matura, dà ancora oggi luogo a numerose gravidanze non volute, non desiderate, e quindi inaspettate con conseguenze sul piano individuale e sociale come l’aborto o il matrimonio riparatore. 
L’uso completo della sessualità, e quindi l’apertura, anche se solo potenziale, verso una nuova vita umana, dovrebbe avere come presupposto alcune condizioni di base.
1.    Un’età adulta. 
Bisogna essere adulti, a causa del notevole impegno necessario nell’accudire e seguire eventuali figli, i quali hanno diritto di avere genitori sufficientemente capaci di badare, oltre che a se stessi, anche a loro. Soltanto dei genitori adulti possono adeguatamente sopperire ai tanti bisogni, sia materiali sia educativi e spirituali, di un bambino.
2.    Avere sufficienti condizioni economiche. 
Avere un minimo di condizioni economiche appare scontato per il bisogno di sopperire a tutte le necessità materiali: cibo, medicine, cure, indumenti, educazione.  
3.    Non essere portatori di problematiche psicologiche o di malattie organiche di una certa rilevanza.
 Le nevrosi, le ansie le paure, le difficoltà relazionali, il malessere che avvertiamo verso noi stessi o verso gli altri si trasmette ai figli e rende difficile ogni relazione di coppia.
4.    Offrire, ad un eventuale figlio, la possibilità di avere due genitori e non uno.
Un genitore non dovrebbe mai essere lasciato solo nel suo compito, dovrebbe sempre essere affiancato dall’altro, a causa delle numerose necessità psicologiche e relazionali dell’essere umano che difficilmente possono essere soddisfatte solo da un papà o da una mamma.


Tratto dal libro di Emidio Tribulato "L'educazione negata Edizioni E.D.A.S.

 

Educare la volontà

 

“Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accostò a Pinocchio, e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accorse che era travagliato da un febbrone da non si dire.

Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchier d'acqua, e porgendolo al burattino, gli disse amorosamente:

-Bevila, e in pochi giorni sarai guarito.

Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po' la bocca, e poi dimandò con voce di piagnisteo:

- E’ dolce o amara?

- E’ amara, ma ti farà bene.

-Se è amara, non la voglio.

- Da' retta a me: bevila,

- A me l'amaro non mi piace.

- Bevila: e quando l'avrai bevuta, ti darò una pallina di zucchero, per rifarti la bocca.

- Dov'è la pallina di zucchero?

- Eccola qui - disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d'oro.

- Prima voglio la pallina di zucchero, e poi beverò . quell'acquaccia amara..

- Me lo prometti? ...

La Fata gli dette la pallina, e Pinocchio, dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un attimo, disse leccandosi i labbri:

- Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina! Mi purgherei tutti i giorni.

Ora mantieni la promessa e bevi queste poche gocciole d'acqua, che ti renderanno la salute.

Pinocchio prese di mala voglia il bicchiere in mano e vi ficcò dentro la punta del naso: poi se l'accostò alla bocca:

poi tornò a ficcarci la punta dei naso: finalmente disse:

- E’ troppo amara! troppo amara! Io non la posso bere.

- Come fai a dirlo, se non l'hai nemmeno assaggiata?

- Me lo figuro! L'ho sentita all'odore. Voglio prima un'altra pallina di zucchero... e poi la beverò!...

Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po' di zucchero; e dopo gli presentò daccapo il bicchiere,

- Così non la posso bere! - disse il burattino, facendo mille smorfie.

- Perché?

- Perché mi dà noia quel guanciale che ho laggiù su i piedi.

La Fata gli levò il guanciale.

- È inutile! Nemmeno così la posso bere...

- Che cos'altro ti dà noia?

- Mi dà noia l' uscio di camera, che è mezzo aperto.

La Fata andò e chiuse l'uscio di camera.

- Insomma - gridò Pinocchio, dando in uno scoppio di pianto - quest'acquaccia amara, non la voglio bere, “no”, “no”, “no”!...

- Ragazzo mio, te ne pentirai...

- Non me n'importa...

- La tua malattia è grave...

- Non me n'importa...

- La febbre ti porterà in poche ore all'altro mondo.

- Non me n'importa...

- Non hai paura della morte?

- Punto paura!... Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva.

A questo punto, la porta della camera si spalancò ed entrarono dentro quattro conigli neri come l'inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.

- Che cosa volete da me? - gridò Pinocchio, rizzandosi tutto impaurito a sedere sul letto.

 - Siamo venuti a prenderti - rispose il coniglio più grosso

Prendermi?... Ma io non sono ancora morto!...

- Ancora “no”: ma ti restano pochi minuti di vita, avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito della febbre!...

- O Fata mia, o Fata mia - cominciò allora a strillare il burattino - datemi subito quel bicchiere... Spicciatevi, per carità, perché non voglio morire, “no.”.. non voglio morire...

E preso il bicchiere con tutte e due le mani, lo votò in un fiato.

- Pazienza! - dissero i conigli. - Per questa volta abbiamo fatto il viaggio a ufo. - E tiratasi di nuovo la piccola bara sulle spalle. uscirono di camera bofonchiando e mormorando fra i denti.

Fatto sta che di lì a pochi minuti, Pinocchio saltò giù dal letto, bell'e guarito; perché bisogna sapere che i burattini di legno hanno il privilegio di ammalarsi di rado e di guarire prestissimo.

E la Fata, vedendolo correre e ruzzare per la camera, vispo e allegro come un gallettino di primo canto, gli disse:

- Dunque la mia medicina t'ha fatto bene davvero?

- Altro che bene! Mi ha rimesso al mondo!...

- E allora come mai ti sei fatto tanto pregare a beverla?

- Egli è che noi ragazzi siamo tutti così! Abbiamo più paura delle medicine che del male.

- Vergogna! I ragazzi dovrebbero sapere che un buon medicamento preso a tempo può salvarli da una grave malattia e fors'anche dalla morte...

- Oh! ma un'altra volta non mi farò tanto pregare! Mi rammenterò di quei conigli neri, colla bara sulle spalla

e... e allora piglierò subito il bicchiere in mano, e giù…”

                                         

                                          ( Carlo Collodi )

Educare la volontà significa educare le facoltà che ci permettono di decidere e scegliere. Decidere e scegliere con chiarezza, ma anche con fermezza e sicurezza, senza tentennamenti e senza patetici dietro front, ciò che va bene per noi, ma anche per gli altri e per la società; se queste scelte sono titubanti o quando le decisioni sono insicure, parliamo di volontà debole, parliamo di un Io altrettanto debole e fiacco.

Nella pagina di “Pinocchio” che abbiamo riportato, il genio di Collodi in poche righe ci dà una lezione di psicologia infantile e di pedagogia. Il bambino, ma non soltanto il bambino, è portato a scegliere ciò che al momento è più piacevole e gratificante (la zolletta di zucchero), mentre cerca in tutti i modi di evitare ogni sacrificio, ogni rinuncia, ogni impegno (la medicina amara), anche se razionalmente ne dovrebbe riconoscere la necessità (la grave malattia). A questo punto l’adulto educatore (la fatina), non può esimersi dall’impegnarsi nel forgiare la sua volontà, utilizzando dapprima i modi più dolci e poi quelli più fermi e decisi.

Quando non riesce ad attuare questo che è un suo preciso dovere nei confronti del minore, quest’ultimo non solo rischia fisicamente e moralmente (la grave malattia che poteva condurre a morte Pinocchio), ma soprattutto è la sua volontà che non riesce a formarsi e ad irrobustirsi, per questo rimarrà sempre un piccolo bambino viziato (nella specie un burattino). 

Quando un bambino nasce, ha già una primitiva forma di volontà: una volontà istintiva, in cui non c’è filtro tra i suoi bisogni, desideri, richieste e necessità rispetto ai bisogni e alle richieste di chi lo circonda. Chiede cibo nel momento in cui il pancino si svuota, nel momento in cui si fanno sentire i morsi della fame. Chiede presenza e protezione per combattere l'ansia e l'inquietudine. Chiede pulizia quando si sente sporco, a disagio o irritato. Chiede accudimento quando ne sente il bisogno,

Dopo, e soltanto dopo, il bambino si accorge che le sue richieste devono essere compatibili con altre necessità più profonde e con i bisogni e le necessità delle persone gli stanno vicino. Si accorge che vi sono altri bisogni oltre quelli immediati ed istintivi, altre volontà oltre la sua, altri diritti oltre i suoi.

Allora e soltanto allora la volontà si attiva e cresce anche verso se stesso, per cui inizia l’autocontrollo. "Adesso fai bene a chiedere, adesso no.” “La mamma dorme, la mamma riposa, aspetta.” "Questo è giusto chiederlo, questo no.” Impara a filtrare istinti, desideri e bisogni tenendo conto delle necessità più profonde e pregnanti. Ciò lo spinge a sviluppare le capacità d’ascolto.

 Il bambino impara a scegliere. Impara a limitare le scelte. Impara ad indirizzarle su base non solo soggettiva, ma anche oggettiva. Impara ad indirizzarle tenendo conto delle sue esigenze, ma anche tenendo in debita considerazione le esigenze dei genitori prima e poi dei familiari, degli insegnanti, della società dopo e, successivamente, anche in base alle norme morali ricevute ed interiorizzate. “Questo è giusto e quindi è qualcosa che io posso fare o chiedere… questo non è giusto, e quindi è qualcosa che è meglio evitare di fare o di chiedere.” Ma anche "Questo è utile.” “ Questo non è utile.” "E' sufficiente ciò che ho avuto, mi deve bastare.” “Non è sufficiente, ne posso chiedere ancora.”

Che cosa è necessario perché la volontà si sviluppi?

E’ necessario che i genitori, ma anche gli insegnanti, gli educatori e la società nel suo complesso abbiano le idee chiare, per quanto riguarda la necessità di sviluppare la volontà del minore, ma anche conoscano le modalità per raggiungere quest’obiettivo. Sappiano quindi chiedere al minore ciò che egli può e deve dare; sappiano insegnargli a rinviare o a limitare i suoi bisogni, tenendo conto dell'età, del suo sviluppo affettivo e relazionale. Sappiano chiedere con coerenza, linearità, senza titubanze, sbandamenti e senza tirarsi indietro. Sappiano creare delle sane abitudini.

 E' necessario inoltre che tra gli educatori vi siano indirizzi e modalità uniformi, pur nel rispetto d’ogni ruolo. Non è accettabile, infatti, che il papà abbia un certo indirizzo educativo, la mamma ne abbia un altro e gli insegnanti un altro ancora. E' indispensabile un'ampia concordanza d’intenti, anche se ognuno avrà la possibilità di manifestare le sue peculiarità individuali o il suo ruolo sociale.

Essere padre, madre, uomo, donna, nonno, nonna, insegnante, regista o scrittore, comporta responsabilità, caratteristiche e ruoli diversi ma ognuno deve riuscire ad armonizzare i propri comportamenti educativi in modo tale che nell'animo del minore siano alla fine ben integrati. 

E’ necessario inoltre che i genitori e gli educatori abbiano ed indichino delle mete e degli obiettivi da raggiungere. Queste mete e questi obiettivi dovrebbero essere scelti non secondo la moda, i capricci, le paure o ansie del momento ma tenendo conto della gradualità, dei valori da conquistare e dei parametri maturativi presenti nella personalità del minore.

 

Tratto dal libro "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 

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